Giustizia: “sono pronta a sostenerla”, il ministro Severino apre all’amnistia di Dino Martirano Corriere della Sera, 18 dicembre 2011 “Il carcere è il primo dei miei pensieri anche se sarei davvero una sognatrice se pretendessi di risolvere il problema con un decreto...”. Parla di un mondo che conosce bene il ministro della Giustizia, l’avvocato Paola Severino, che - nella sua prima conferenza stampa a Palazzo Chigi - non ha remore a definire “umilianti e invasive” le perquisizioni personali previste per i cosiddetti “nuovi giunti”. Per cui - quando le chiedono un parere su un eventuale provvedimento di clemenza - il Guardasigilli non si tira indietro: “Non ho mai escluso che l’amnistia e l’indulto siano mezzi per contribuire a svuotare le carceri ma ho sempre ricordato che non sono provvedimenti governativi. E se il Parlamento deciderà di adottarli certamente non mi opporrò”. Il governo Monti, dunque, rispetta i tempi annunciati per il varo del pacchetto svuota-carceri che contiene alcune novità anche sul processo civile (converrà di più ricorrere alla procedura di conciliazione), sulla razionalizzazione degli uffici dei giudici di pace (ne potrebbero sparire 500), sulle procedure che interessano le famiglie e le piccole imprese sovra indebitate. Sul carcere il ministro Severino ha ottenuto il ricorso al decreto legge. Un provvedimento d’urgenza per arginare il fenomeno delle “porte girevoli” che determinano ogni anno 21 mila presenze limiate ai 3 giorni di permanenza in cella. Si tratta per lo più “dei soliti noti” - pizzicati per reati di non particolare gravità per i quali è previsto l’arresto obbligatorio - che d’ora in poi resteranno nelle camere di sicurezza delle questure e della caserme dell’Arma (sono 706 quelle agibili) a patto, però, che il giudizio direttissimo venga svolto entro le 48 ore dall’arresto e non più entro 96 ore. “L’arrestato dovrà essere, di norma, custodito dalle forze di polizia salvo che ciò non sia possibile per mancanza di adeguate strutture o per altri motivi quali lo stato di salute dell’arrestato o la sua pericolosità”. In questo modo, ogni anno, non entrerebbero più in carcere molte migliaia di persone. Ma l’uso delle camere di sicurezza consente il contatto ravvicinato tra il “detenuto” e gli agenti che hanno operato l’arresto. Tant’è che l’ex ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma - cui si deve l’istruttoria sul pacchetto ora varato dalla Severino - aveva proposto che ai soggetti non pericolosi fossero concessi i domiciliari anche in attesa del rito direttissimo. Il decreto prevede poi che vadano ai domiciliari i detenuti con pena residua di 18 mesi (e non più di 12 mesi come stabilito dal precedente governo). L’effetto è di 3.300 detenuti in uscita nel 2012 ma, osserva Antigone, molto dipende dai magistrati di sorveglianza che impiegano anche 140-180 giorni per decidere. Con un disegno di legge, invece, si prevede la sospensione del procedimento per gli irreperibili, la messa in prova anche per gli adulti (pena massima 4 anni e impiego in lavori di utilità sociale) e la depenalizzazione dei reati che prevedono la sola pena pecuniaria. Alla Severino, infine, si deve una piccola rivoluzione: l’inserimento nel codice penale, tra le pene principali decise senza automatismi dal giudice, della reclusione presso la propria abitazione per le condanne fino a 4 anni. Verrà varata infine la carta dei diritti e dei doveri dei detenuti stampata in più lingue. E tutto questo arriva alla vigilia della visita in carcere del Santo Padre che domani celebrerà la messa a Rebibbia. Giustizia: carceri che scoppiano, un primo passo nella direzione giusta di Gilda Maussier Il Manifesto, 18 dicembre 2011 Carceri domiciliari per pene residue di 18 mesi, dimezzati i tempi in attesa per il processo in direttissima, ma nelle camere di sicurezza. Il decreto non risolve, ma coglie l’emergenza. Apertura sull’amnistia. Giustizia: approvato in Cdm il “pacchetto sicurezza”, ma le norme su immigrazione e droga non si possono modificare “in un tempo così limitato”. Per risolvere il problema dell’illegalità di Stato riscontrabile nelle carceri e nella paralisi del sistema di giustizia italiano bisognerà attendere ancora. Almeno fino a quando si aprirà anche in parlamento quello spiraglio che ieri la neo guardasigilli Paola Severino ha lasciato intravedere su un provvedimento tabù come l’amnistia (“non la contrasterò”, ha detto) che se non altro potrebbe azzerare l’intasamento pregresso e far tornare all’efficacia le aule di giustizia. Impossibile al momento sperare nella depenalizzazione delle leggi criminogene come la Fini-Giovanardi o la ex Cirielli, che risolverebbe alla base il problema: “Non è cosa che si fa in poco tempo”, si è giustificata la ministra. Per ora dunque bisogna accontentarsi delle misure tampone contenute nel decreto legge varato ieri dal consiglio dei ministri che amplifica lo “svuota carceri” applicato un anno fa dall’ex ministro Alfano, portando da 12 a 18 mesi la pena residua da poter scontare ai domiciliari, e dispone di trattenere gli arrestati in flagranza di reato nelle celle di sicurezza dei posti di polizia in attesa del processo per direttissima che dovrà essere celebrato - secondo le intenzioni di Paola Severino - entro 48 ore. Lo ha spiegato la stessa ministra di giustizia presentando il pacchetto di norme che porterà un sollievo immediato al sovraffollamento carcerario di circa 3300 detenuti in meno (secondo le prime stime) e alleggerirà il turn over giornaliero di coloro che rimangono in carcere solo per pochi giorni, circa 21 mila persone l’anno. “Si passa così - ha detto Severino - dal sistema cautelare preventivo al sistema penale vero e proprio”. Diverso però è il fenomeno delle “porte girevoli”, cioè di coloro che entrano e escono dal carcere, degenerazione potenziata dall’ex Cirielli, appunto. Provvedimenti utili, precisa la guardasigilli, anche per “risparmiare circa 375 mila euro al giorno” sul mantenimento dei detenuti. Ma non c’è crisi che tenga se si tratta di finanziare ulteriormente il “piano Ionta” per la costruzione di nuovi penitenziari con “un incremento di 57 milioni per fare fronte alle esigenze dell’edilizia carceraria”. Nel pacchetto governativo anche la detenzione domiciliare in prova e i lavori socialmente utili per pene fino a 4 anni, la sospensione dei procedimenti per persone irreperibili, la depenalizzazione immediata dei reati irrisori e un disegno di legge per depenalizzare e trasformare in illecito amministrativo i reati puniti con la sola pena pecuniaria, esclusi quelli in materia di edilizia e ambiente, immigrazione, alimenti e bevande, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sicurezza pubblica. Una serie di norme anche per velocizzare il processo civile e un decreto legislativo per la revisione delle circoscrizioni del giudice di pace, consentendo di recuperare 1.944 giudici di pace, 2.104 dipendenti, con un risparmio di spesa, a regime, pari a 28 milioni l’anno. In dirittura d’arrivo anche una Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti. Le misure, sebbene non risolutive, fanno tirare un sospiro di sollievo a molti, soprattutto a reclusi e agenti penitenziari. Piacciono al Pd, dividono il Pdl, fanno inorridire la Lega e storcere il naso all’Idv. Ma chi si inalbera decisamente è Marco Pannella perché senza l’amnistia è “troppo poco e troppo tardi” (anche se poi in fondo i Radicali apprezzano). Contrarie anche le forze di polizia, a cui tocca trasformarsi in secondini per gli arrestati in flagranza di reato da detenere nelle 706 celle di sicurezza delle questure: “È un costo insostenibile per la sicurezza dei cittadini - protestano i funzionari di polizia -, per sorvegliare 21.000 arrestati per 48 ore, con le strutture disponibili servono 136.000 turni lavorativi in un anno che equivalgono a 68.000 servizi di volante. È come se 46 capoluoghi di provincia per un intero anno si privassero del controllo del territorio”. “Non sarà per sempre, solo fino alla costruzione delle nuove carceri”, tenta di rassicurare la guardasigilli. Giustizia: il Papa a Rebibbia “ le carceri vanno adeguate a esigenze della dignità umana” Agi, 18 dicembre 2011 “Il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione”. In visita al carcere di Rebibbia, Benedetto XVI ha usato parole molto chiare - arrivando ad affermare che “c’è un abisso tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone” - per esprimere la sua denuncia sulla difficile situazione delle carceri italiane. Una denuncia che è largamente condivisa nel mondo cattolico e della quale si è fatta interprete, nel suo breve discorso di saluto, anche la neo ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha voluto leggere al Papa la lettera di un detenuto di Cagliari, scritta per lamentare lo stesso disagio. “La custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale”, ha poi affermato il ministro assicurando il proprio impegno affinché nelle carceri si possano “coniugare entrambi i valori posti dalla Costituzione a fondamento di ogni sanzione: la riparazione e la rieducazione”. Parole che Papa Ratzinger ha accolto con fiducia: “il nostro Governo e i responsabili faranno il possibile per aiutare questa situazione, realizzando una giustizia che aiuti a tornare nella società”, ha garantito ai detenuti chiedendo che “le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale”. L’auspicio del Pontefice è che si possa “promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione”. Benedetto XVI non è andato oltre, ma i detenuti hanno salutato queste aperture gridando: “amnistia, amnistia”. “Hanno compiuto azioni orrende e provocato tragedie spesso insanabili, ma restano Figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, e sperano di essere considerati e chiamati nostri fratelli e nostre sorelle”, ha ricordato al Papa (e ai milioni di italiani che hanno seguito la diretta della visita in tv) il cappellano del carcere don Piersandro Spriano. “A nome mio e di tutti i detenuti - sono state le parole del sacerdote - chiedo perdono per le nostre colpe e per le sofferenze inflitte agli altri, vorremmo poter ricomporre le rotture, le separazioni che abbiamo provocato. Ma non vogliamo però essere sempre identificati con le nostre azioni sbagliate, chiediamo di poter tornare nella società senza il marchio di mostri del male”. Proprio il tema dell’esclusione è stato del resto al centro del dialogo tra il Papa e i detenuti che gremivano la cappella del carcere, intitolata a “Dio, Padre Nostro”. “Si parla in modo feroce di voi, purtroppo è vero. Ma parlano in modo feroce anche contro il Papa, e tuttavia andiamo avanti”, ha risposto a un ospite dell’infermeria di Rebibbia che gli descriveva il senso di esclusione che si prova stando in carcere. “Altri - ha tenuto a testimoniare il Pontefice - pensano bene di voi. Penso alla mia famiglia papale: quattro suore laiche che pregano per voi e hanno contatti con alcuni carcerati. Bisogna incoraggiare questo dialogo. Io farò il mio per invitare tutti a pensare in modo giusto. Ognuno può cadere ma Dio vuole che tutti arrivino a trovare sempre rispettata la loro dignità e trovare gioia nella vita. Anche i passi oscuri hanno il loro senso. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicino a voi. Lo stesso Figlio di Dio, il Signore Gesù, ha fatto l’esperienza del carcere, è stato sottoposto a un giudizio davanti a un tribunale e ha subito la più feroce condanna alla pena capitale”. A nome dei “malati e sieropositivi”, l’uomo aveva chiesto “al nostro Papa gravato da tutte le sofferenze del mondo, che preghi e porti la nostra voce dove non viene sentita”. “È questa la ragione principale che mi rende felice di essere qui”, ha continuato Joseph Ratzinger rivelando di essere lì “per pregare, dialogare ed ascoltare”. “Vorrei potermi mettere in ascolto della vicenda personale di ciascuno, ma non mi è possibile; sono venuto però a dirvi semplicemente che Dio vi ama di un amore infinito”, ha confidato. “È importante che il padre possa tenere in braccio la figlia e essere con la moglie e la figlia e così anche collaborare per il futuro dell’Italia”, ha poi risposto ad un altro detenuto che gli chiedeva se fosse giusto rimanere a lungo lontani dalla propria famiglia. “Anche io ti voglio bene e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore”, ha detto invece ad un carcerato che avrebbe voluto fargli “milioni di domande” e alla fine è riuscito solo a ringraziarlo per la visita di oggi. Sono state in tutto sei le domande, tutte molto commoventi e davvero significative. “Mi assolverebbe, o sarebbe una assoluzione di diverso valore, quale sarebbe la differenza?”, gli ha chiesto ad esempio un altro detenuto. “Se lei prega che Dio perdoni, Dio perdona”, ha risposto Ratzinger. “Se uno con vero pentimento e non solo per evitare pene e difficoltà, se per amore di Dio chiede perdono, allora - ha spiegato - riceve il perdono di Dio. Se riconosco che ho fatto male vengo perdonato”. Giustizia: il Papa a Rebibbia; Ratzinger sulle orme di Wojtyla e Roncalli Agi, 18 dicembre 2011 Rebibbia è stato il secondo istituto penitenziario romano visitato da Benedetto XVI, che il 18 marzo 2007 si era recato al carcere minorile di Casal Del Marmo. “Non è possibile vivere senza Dio perché manca la luce, perché manca il senso di cosa significa essere uomo”, disse in quell’occasione ai 53 ragazzi ospiti nell’istituto, diversi familiari e rappresentanti delle organizzazioni di volontariato impegnate nel recupero dei giovani detenuti. Nella sua omelia con grande sensibilità affermò in quell’occasione che “i comandamenti non sono un ostacolo alla libertà e alla bella vita, ma indicatori per trovare una vita piena. La disciplina allarga la vita e la fatica dà profondità alla vita e contribuisce a creare un mondo migliore”. Giovanni Paolo II era andato invece per due volte a Rebibbia, incontrandovi la seconda volta, il 27 dicembre 1983, anche il terrorista turco Alì Agca, che lo aveva ferito in piazza San Pietro il 13 maggio di due anni prima. Visitandolo nella cella, Papa Wojtyla si sentì dire “prima di tutto voglio chiederle perdono”. Il vaticanista Domenico del Rio poté descrivere la scena con tutti i particolari: “all’entrata del Papa, Agca gli va incontro e gli bacia la mano. I due si siedono su una sedia vicino al letto, uno di fronte all’ altro. Wojtyla, per un momento, posa una mano su un ginocchio di Alì. Poi tutte e due chinano la testa e cominciano a parlare a voce bassa. Parlano in italiano. Chi parla di più è Agca. Il Papa si china con una mano sulla fronte fino a sfiorare il capo di Alì. Si sentono queste parole di Wojtyla: “Gesù... forse un giorno... possono aspettarti... noi ricordiamo...”. Wojtyla prende un braccio di Alì e lo stringe più volte. Sul volto del terrorista si apre un timido sorriso, come un segno di liberazione interiore. Il Papa dice ancora: ‘Allora... la mamma... Il Signore ti dia la grazia... Buon anno”. E alla fine: “Un piccolo dono...”, e il Pontefice gli consegna una coroncina del rosario. Il colloquio dura venti minuti. Quando il Papa si alza, al termine dell’ incontro, Alì Agca rimane in piedi con la mano tesa che stringe la scatoletta bianca, con lo stemma pontificio, in cui è racchiuso il rosario. Sul suo volto è un’ espressione quasi stordita. Il volto del Papa è segnato da una grande tensione interiore. Tutti e due si portano dentro il segreto del loro colloquiò. È noto che quando, alla fine del colloquio, era stato chiesto al Papa se Alì Agca avesse dichiarato di essere pentito per il gesto che ha compiuto, Giovanni Paolo II aveva risposto semplicemente sì”. Giustizia: Sappe; “discorso di alto profilo”, quello del Pontefice nel carcere di Roma Rebibbia Comunicato stampa, 18 dicembre 2011 “Un discorso di alto profilò’, quello del Pontefice oggi ai detenuti di Roma Rebibbia, secondo il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. Un discorso che contiene molte sollecitazioni su “sovraffollamento, dignità e reinserimento sociale, tutte realtà al centro delle quali è da evidenziare il fondamentale ruolo svolto quotidianamente dagli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, che ogni giorno rappresentato lo Stato nel difficile contesto delle carceri italiane con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. “È tempo che il Corpo di Polizia Penitenziaria” prosegue il leader del Sappe “venga fatto conoscere all’opinione pubblica per l’alto merito sociale che svolge quotidianamente nelle carceri italiane, garantendo la sicurezza delle persone recluse e quella della società”. Il Sappe sottolinea infine di avere apprezzato anche la dichiarazione della Ministro della Giustizia Severino secondo la quale la custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale. E rilancia su un nuovo impiego operativo dei Baschi Azzurri: “ Da tempo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, sostiene che è necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia e potenzi il ricorso alle misure alternative alla detenzione per i reati con bassa pericolosità sociale. In questo contesto il ruolo della Polizia Penitenziaria dovrebbe essere anche quello di svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza.” Giustizia: Severino; forte impegno del Governo per migliorare condizioni vita nelle carceri Agi, 18 dicembre 2011 L’impegno del nuovo Governo per migliorare le condizioni di vita nelle carceri “è estremamente forte”. Lo assicura il ministro Paola Severino: “Oggi vi sono delle disponibilità economiche - ha detto ai microfoni della Radio Vaticana - che ci consentono di affrontare il problema della ristrutturazione di alcune carceri, ci sono alcune misure che prevedono l’alleggerimento del numero delle persone detenute in carcere”. Riguardo ai provvedimenti appena decisi, il ministro auspica che grazie a essi la situazione “cambi in meglio, anche se naturalmente tanto ci sarebbe ancora da fare, tanto ci sarà ancora da fare”. “Ho avuto - confida nell’intervista - molta cura di questi provvedimenti proprio perché credo che il sovraffollamento carcerario porti a condizioni di vita disumane e che la tutela dei diritti umani rappresenti uno dei valori fondamentali della nostra civiltà e della nostra Costituzione e che quindi vada tutelato con il maggior numero di misure possibili”. “La mia speranza - rivela a proposito delle decisioni assunte dal Governo - è semplicemente che aiutino a dare una prospettiva, a indicare che il governo, la vita politica di questo Paese, i cittadini che stanno fuori dal carcere hanno comunque a cuore la sorte dei carcerati”. Per il ministro sarebbe tuttavia “forse un pò troppo ottimistico” pensare che le iniziative intraprese possano fermare la spirale dei suicidi, problema che resta comunque al centro delle preoccupazioni del ministro. “Credo che ogni suicidio che avviene in carcere - spiega - sia il fallimento di tutto il sistema giudiziario e carcerario e che tutti lo debbano soffrire come tale”. “La prossima tappa dei miei sforzi - assicura la professoressa Severino - sarà rivolta proprio a questo: sto studiando molto, so che ci sono molte organizzazioni che si occupano del reinserimento e soprattutto del recupero lavorativo del carcerato, lavoro di qualità naturalmente, perché il carcerato può imparare a fare lavori di qualità, dei lavori anche raffinati. E io credo che se non si sentirà inutile, ma si sentirà utilizzato e utilizzabile per il futuro nel suo reinserimento, questo gli darà molto conforto”. Nell’intervista, il ministro esorta infine tutti a superare “il pregiudizio che chi è stato in carcere, chi è stato condannato abbia delle possibilità di recidiva”. In realtà, conclude, “per certe tipologie di reati, i margini di recidiva, le percentuali di recidiva sono molto bassi”. Situazioni di eccezionali difficoltà nei penitenziari “I dati sulla vita carceraria ci dicono che le condizioni attuali sono di eccezionali difficoltà” che c’è “un disagio terribile”. È quanto ha detto stamane il ministro della giustizia Paola Severino, nel discorso di benvenuto a Benedetto XVI , il ministro della Giustizia Paola Severino a Rebibbia. La Severino ha quindi letto una lunga lettera di un detenuto, poi ha ribadito che le “misure di custodia cautelare” devono essere finalizzate al reinserimento e che la detenzione, secondo quanto indica la Costituzione deve contenere entrambi gli aspetti: “la riparazione e la rieducazione per il reinserimento nella società”. Giustizia: Pannella; sulle carceri il Governo ha fatto troppo poco e troppo tardi Adnkronos, 18 dicembre 2011 Assolutamente troppo poco e troppo tardi. Marco Pannella commenta così all’Adnkronos le misure varate dal governo sulle carceri e in particolare le dichiarazioni del Guardasigilli, Paola Severino, sull’amnistia. Naturalmente - aggiunge il leader radicale - la responsabilità principale non è di questo Guardasigilli ma semmai dell’intero governo e, soprattutto, di quelli precedenti. Uno stillicidio di provvedimenti, uno dopo l’altro, costituisce una tattica pessima e illusoria. Un modo per non approdare a nulla di consistente”. “L’amnistia - rilancia Pannella - costituirebbe immediatamente e compiutamente il traino per l’avvio inarrestabile di quella grande riforma della giustizia che oggi corrisponde alla riforma democratica e legalitaria non solo dell’amministrazione della giustizia, ma dell’intero Stato italiano”. “Rimpallare scelte politiche fra responsabilità di governo, parlamentari ed altro - rimarca il leader radicale - è un ben misero pretesto. Per Pannella, inoltre, occorre far cessare la controinformazione antidemocratica che da trent’anni su questo tema connota l’opera dei media italiani”. Di tutt’altro avviso, invece, la Lega Nord: “Abbiamo appena sentito in Aula dal presidente Mario Monti che la misura svuota carceri appena approvata in Consiglio dei ministri è una misura di grande civiltà. Così dopo il decreto salva-Italia che di fatto “ammazza” pensionati e lavoratori, abbiamo il decreto salva delinquenti che “ammazza” la giustizia e le vittime dei reati. Lo dichiara in una nota l’on. Carolina Lussana, vicecapogruppo della Lega Nord alla Camera. Anche l’Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro, che ormai è all’opposizione del Governo Monti insieme alla Lega Nord, esprime perplessità sull’argomento carceri e giustizia: “La previsione di utilizzare la detenzione domiciliare per le pene, anche residue, inferiori a 18 mesi, così come formulata, è una misura generalizzata rischiosa perché, di fatto, per alcune condanne, viene esclusa la reclusione in carcere. E ciò comporterebbe una ricaduta negativa sulla sicurezza e la deterrenza, per specifiche gravi ipotesi delittuose, altamente offensive, quali i reati contro la pubblica amministrazione o il falso in bilancio, ben raramente sanzionate con pene detentive superiori ai 18 mesi”. Lo affermano in una nota congiunta il Presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, il Capogruppo in Commissione Giustizia al Senato, sen. Luigi Li Gotti, e il Capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera, on. Federico Palomba. “È assolutamente necessario, quindi, prevedere l’esclusione di applicazione di tale previsione astratta ai suddetti reati e a quelli caratterizzati da pesante offensività. I reati dei colletti bianchi hanno provocato e provocano gravissimi danni al Paese, basti considerare il prezzo pagato per la corruzione, stimato dalla Corte dei Conti, in oltre 60 miliardi l’anno. Dobbiamo scongiurare che questi criminali si sentano garantiti nelle loro malefatte dal sapere che mai varcheranno le soglie del carcere. Non vi è dubbio che l’attuale sistema carcerario soffra della carenza di posti ma la soluzione deve, comunque, rimanere quella di creare più posti in strutture più idonee, oltre ad un maggiore impegno e al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, e non certo quello, sic et simpliciter, di mandarli fuori. Questa sarebbe, infatti, una giustizia a doppia velocità in base alla quale i poveri cristi restano in carcere e i criminali dei colletti bianchi non dovranno mai temere di scontare la pena in carcere. Ciò anche perché, durante le indagini preliminari, prima ancora che vi sia la condanna definitiva, i criminali con il colletto bianco chiederanno di stare fuori nella ragionevole previsione che, poi, la condanna non supererà un anno e mezzo di carcere e, quindi, che mai sarebbero ristretti in galera. In conclusione, deve scongiurarsi che una norma astrattamente applicabile diventi essa stessa criminogena, giungendo al risultato di incentivare il malaffare”. Giustizia: Ferrante (Pd); un primo passo è stato fatto, ora bisogna abrogare l’ergastolo ostativo Ansa, 18 dicembre 2011 “Il decreto varato venerdì è una misura giusta e necessaria, che ha il merito di spostare un po’ più in là il punto di non ritorno, oltre il quale c’è il collasso di un sistema detentivo che da tempo ormai non è più degno di un Paese civile. Riconosciamo al ministro Severino di aver compiuto un primo passo verso la sempre più urgente riforma organica della detenzione, per la quale occorre coraggio e senso di civiltà, da dimostrare abrogando la misura dell’ergastolo ostativo, una pena di morte viva prevista dall’ordinamento penitenziario italiano”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante. “In Italia esistono due tipi di ergastolo - spiega Ferrante, che sull’ergastolo ostativo ha presentato un’interrogazione. A quello normale, che consente almeno di ottenere un’eventuale misura alternativa o un beneficio penitenziario, e quello ostativo, una pena senza fine che in base all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale. L’ergastolo ostativo, che attualmente viene scontato da 1.200 persone detenute, si traduce in sostanza nell’attesa della morte in carcere, in quanto è precluso qualsiasi reinserimento, nemmeno dopo 30, 40, 50 anni o in strutture di recupero e a prescindere dal percorso personale fatto dal condannato. Si tratta di una palese violazione dell’articolo 27 della Costituzione - sottolinea Ferrante - secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato: È una risposta vendicativa dell’ordinamento, che ha abdicato al suo compito di infliggere una pena giusta che consenta al condannato di pentirsi e di dimostrarlo. Ricondurre il sistema carcerario alla sostenibilità dal punto di vista dell’accoglienza e restituirgli la funzione di recupero sono due esigenze di riforma civile per il nostro Paese, e che devono andare di pari passo” - conclude Ferrante. Giustizia: Matteoli (Pdl): favorevole all’amnistia, forze politiche ne discutano rapidamente Ansa, 18 dicembre 2011 “Il decreto legge che prevede l’espiazione degli ultimi diciotto mesi della pena ai domiciliari, peraltro in linea con il precedente progetto Alfano, è condivisibile e lo voterò convintamente. Ma sono favorevole affinché il Parlamento discuta ed approvi un’amnistia”. Lo dichiara il senatore del Pdl Altero Matteoli. “Non sarebbe una misura per risolvere definitivamente la drammatica situazione carceraria - osserva ancora l’ex ministro - per la quale servono ulteriori provvedimenti che si muovano nell’ottica del decreto Severino, ma sarebbe un gesto di forza della nostra democrazia. Ho sempre ritenuto che uno Stato autorevole debba anche essere clemente con chi ha sbagliato. Auspico pertanto che le forze politiche sviluppino rapidamente una riflessione al riguardo”. Giustizia: Li Gotti (Idv); l’amnistia non risolverebbe il problema del sovraffollamento Adnkronos, 18 dicembre 2011 L’amnistia non risolve il sovraffollamento delle carceri. Lo sottolinea all’Adnkronos l’avvocato e senatore Idv Luigi Li Gotti riferendosi alle dichiarazioni del ministro della Giustizia Paola Severino, che ha affermato che non si opporrebbe ad un eventuale via libera del Parlamento. “L’amnistia - osserva Li Gotti - in ogni caso non svuota il carcere. Può alleggerire il carico degli uffici, può servire a liberare le scrivanie ma i provvedimenti da adottare per risolvere il sovraffollamento sono altri”. Li Gotti indica alcuni provvedimenti, contenuti nel suo ddl. “Si tratta della sospensione del processo agli irreperibili (sono decine e decine di migliaia). Noi proponiamo di celebrare i processi quando li troviamo, evitando ovviamente il decorso dei termini di prescrizione”. Un altro provvedimento riguarda l’istituto dell’affidamento in prova esteso anche agli adulti, non più solo ai minorenni, “incensurati o con reati di minima offensività”. Il giudizio complessivo del decreto per Li Gotti è “positivo” ma l’esponente dell’Idv vuole saperne di più sulla norma che alzerà fino a 18 mesi la pena residua che si può scontare ai domiciliari. “Se rimangono i termini in vigore attualmente non avremmo nulla da eccepire ma se il periodo dovesse essere più lungo - avverte - saremmo decisamente contrari perché significherebbe incentivare la criminalità”. Belisario (Idv): bene attenzione su detenuti, ma no amnistia “Apprezzo molto, dopo tante battaglie dell’Italia dei Valori, che il problema delle carceri sia tornato centrale quando si parla di Giustizia. Per troppi anni, infatti, gli unici interventi ai quali abbiamo assistito sono stati malati di leggi ad personam e il sistema penitenziario paralizzato”. Lo dichiara in una nota il capogruppo dell’Italia dei Valori in Senato, Felice Belisario, che aggiunge “questo però non ci deve portare fuori strada con misure che rischiano di avviare una giustizia a doppia velocità”. “È importante - prosegue - salvaguardare i diritti dei detenuti e le loro condizioni di vita, ma bisogna porre in essere sistemi che garantiscano la certezza della pena. Quindi assolutamente no ad amnistia e indulto, che sarebbero un’offesa agli italiani onesti, sé a misure alternative al carcere purché non nascondano salvagenti per i soliti noti. Vogliamo leggere con attenzione le misure annunciate dal ministro Severino e spero siano in linea con le numerose proposte depositate in Parlamento da noi. L’Italia dei Valori ha le idee chiare: nessuna scappatoia per chi commette reati, nessuna estinzione della pena, ma il carcere non può essere un lager”. Giustizia: Manconi; l’amnistia è una misura giusta, in una situazione eccezionale come questa Adnkronos, 18 dicembre 2011 “Accolgo con rammarico la dichiarazione di non realizzabilità dell’amnistia per ragioni politiche, una indispensabile misura eccezionale per una situazione d’eccezione”. Lo sottolinea Luigi Manconi, docente di Sociologia e presidente di A Buon Diritto. Sui provvedimenti svuota carceri, Manconi ritiene che vadano “nella direzione giusta e aprono una prospettiva intelligente. Considerata la correttezza dell’impostazione, una maggiore audacia avrebbe portato a risultati ancora più positivi”. Secondo Manconi, “la violazione delle regole della detenzione domiciliare, e la recidiva durante la detenzione domiciliare hanno una percentuale statisticamente irrilevante. Questo avrebbe consentito di prendere in considerazione l’estensione fino a 24 mesi, come nell’originale ddl Alfano”. Manconi dice ancora che le camere di sicurezza pongono un problema: “gli arrestati di quelle 48 ore resterebbero nelle camere di sicurezza dei corpi di polizia che hanno effettuato l’arresto. Ma è proprio lì, e proprio in quelle ore, che si consumano frequentemente abusi e violenze”. Giustizia: Letizia (Anfp); no alle celle nelle questure, non abbiamo strutture e personale La Repubblica, 18 dicembre 2011 Enzo Letizia, leader dei funzionari di Polizia: un colpo di grazia. Servono 68 mila turni di servizio l’anno per il piantonamento, vuol dire non fare più il controllo del territorio. “Sono contrarissimo al fatto che i detenuti in attesa di convalida restino nelle caserme delle forze dell’ordine”. Enzo Letizia, leader dell’Anfp, l’associazione funzionari di polizia, boccia, su questo punto, il decreto svuota carceri del ministro Severino. Letizia, perché è così tranchant? “È un colpo di grazia a tutto il sistema di controllo del territorio, che ancora regge nonostante i tagli del ministro Maroni, ben 2 miliardi e 400 milioni all’intero comparto”. Qual è il rapporto fra detenuti e sicurezza territoriale? “Le polizie non hanno camere di sicurezza idonee anche dal punto di vista igienico per ospitare questi detenuti, non abbiamo più neppure i soldi per le pulizie dei commissariati. Ciò vuol dire che quelle persone vanno piantonate nei nostri uffici per 48 ore, assistite, nutrite, curate. Ma per fare questo non siamo assolutamente organizzati”. Secondo le vostre previsioni cosa succederà quando il decreto diventerà esecutivo? “Per ognuno di quei 21 mila detenuti che resteranno 48 ore nei nostri uffici, ci vogliono nell’arco delle 24 ore otto turni servizio. Per due giorni sedici turni di servizio. Ogni anno sono 136 mila che equivalgono a 68 mila turni di servizio delle Volanti. Insomma, è come se la metà dei nostri capoluoghi di provincia non avesse più il servizio di controllo del territorio per un anno”. Secondo voi quindi durante quelle 48 ore in attesa di convalida i detenuti dovrebbero continuare ad essere trasferiti in carcere? “Sì. Perché nei penitenziari gli danno un letto pulito. Assistenza medica immediata. Pasto caldo certo. Ecco perché. Ma qualcuno s’è chiesto cosa succederà quando quei 21 mila “invaderanno” i nostri commissariati, con la carenza di personale che c’è. E saranno trattenuti in camere di sicurezza fatiscenti?”. Giustizia: Sap; con arrestati nelle celle di sicurezza si dimezza numero volanti e gazzelle Adnkronos, 18 dicembre 2011 “Torino è presidiata ogni giorno da circa 20 / 25 volanti e gazzelle che contemporaneamente controllano il territorio, prevenendo e reprimendo reati. Un numero di per sé già non sempre sufficiente destinato a dimezzarsi nelle prossime settimane perché poliziotti e carabinieri che effettueranno arresti saranno costretti a restare in ufficio per controllare i fermati, vista la discutibile decisione del Governo di non trasferire più queste persone in carcere in attesa del processo per direttissima”. È quanto afferma Massimo Montebove, consigliere nazionale del sindacato di polizia Sap. “Spostare il problema dalla polizia penitenziaria alla polizia di stato - spiega Montebove - non risolve i disagi, anzi li aggrava. A Torino possiamo contare appena su 10 camere di sicurezza presso il Commissariato S. Paolo: come faremo a gestire gli arrestati e dove li terremo? Dovremo forse portarceli in ufficio e pagare di tasca nostra anche i pasti, visto che non siamo organizzati in tal senso? E poi perchè costringere gli operatori di volanti e gazzelle a non presidiare più il territorio per gestire, magari, un ladruncolo che dopo il processo per direttissima sarà posto di nuovo in libertà grazie alle leggi iper garantiste che da sempre esistono in Italia?”. “Succederà purtroppo una cosa molto semplice - conclude amaramente il sindacalista -, i nostri uffici e reparti andranno al collasso e i cittadini avranno meno sicurezza. Anche perché non abbiamo soldi per pagare gli straordinari al personale che dovrà tenere sotto controllo gli arrestati e soprattutto non abbiamo organici adeguati, a Torino siamo rimasti al 1989 con 100 uomini in meno”. Vitali: legittime proteste dei rappresentanti forze polizia “Pur condividendo nel merito le urgenti misure deflattive del sistema penitenziario adottate su proposta del Ministro Severino quest’oggi non possiamo non tenere in debita considerazione le reazioni che provengono dai settori delle forze di polizia che avrebbero nuovi e doverosi compiti nella delicata materia”. È quanto affermato da Luigi Vitali, responsabile nazionale dell’ordinamento penitenziario del Pdl, commentando la presa di posizione di Marco Letizia, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia a commento del provvedimento del governo. “Invitiamo il ministro Severino e tutto il governo - ha proseguito il parlamentare del Pdl - a farsi carico di individuare e destinare adeguate risorse per far fronte a questi nuovi compiti, per evitare che il problema dell’affollamento penitenziario non venga risolto ma solo trasferito dalla polizia penitenziaria alle altre forze di polizia. Ove occorra possono essere utilizzati anche i fondi del famoso piano carceri che pur individuati, e a suo tempo messi a disposizione del Commissario Straordinario, non sembra siano stati spesi tempestivamente e nel migliore dei modi”. - Mantovano: camere di sicurezza inadatte a sostituire celle “I temi della sicurezza e del sovraffollamento carcerario, soprattutto in tempi di crisi, vanno tenuti al riparo dalle polemiche”. Lo dice Alfredo Mantovano, del Pdl. “Ma proprio per questo, senza alcuna vena polemica, mi permetto di invitare chi ieri al Consiglio dei ministri ha votato il decreto c.d. svuota carceri a operare un sopralluogo nelle camere di sicurezza di qualche presidio di polizia: quelle che, al fine di alleggerire la popolazione penitenziaria, dovrebbero custodire gli arrestati in attesa del giudizio per direttissima. Sono microcelle, adatte a trattenere al più per qualche ora, ma inadeguate, per dimensioni e arredo, a ospitare per qualche giorno. C’è il problema del vitto e dell’assistenza sanitaria: chi provvede e con quali risorse? È stata operata in proposito una previsione di spesa? C’è la questione della sicurezza: quanti saranno gli appartenenti a polizia e carabinieri che verranno sottratti ai compiti loro propri per svolgere la sorveglianza? E come e in quali spazi sarà garantita agli arrestati la fruizione di loro esigenze fondamentali, come qualche minuto di aria? Infine, ammesso che questa misura dia qualche respiro alla Polizia penitenziaria, come si concilia con un orientamento ormai consolidato, che ha fatto acquisire al Corpo professionalità esclusiva, e che ora lo priva della gestione di una fase non marginale, conseguente all’arresto? Non si tratta di interrogativi capziosi, ma di voci importanti, che meritano di essere affrontate prima di sprecare risorse, senza dare soluzioni degne di questo nome”. Giustizia: Pegorari (Roma); Garanti dei detenuti devono poter accedere a celle sicurezza Adnkronos, 18 dicembre 2011 “Non è significativo il numero delle persone che potranno lasciare le carceri, ma è già un passo avanti. Plaudo anche al fatto che gli arrestati, invece che finire a Regina Coeli dove la situazione è insostenibile, possano finire in celle di sicurezza. C’è un solo punto che va coordinato meglio: è quello di consentire ai garanti di accedere alle celle di sicurezza. Oggi la norma non consente, va integrata. È necessario per un maggior controllo della regolarità di ogni singola situazione. Ci tengo moltissimo, è una esigenza che non deve essere trascurata”. Lo ha dichiarato all’Adnkronos il garante dei diritti dei detenuti di Roma Filippo Pegorari in merito al decreto svuota-carceri approvato ieri dal governo. Quanto all’amnistia, secondo il Garante di Roma, “va preparata in carcere, con corsi di formazione continuativi e costanti per insegnare ai detenuti un mestiere, inoltre vanno potenziati i consulti psicologici per prepararli all’uscita”. “Non è possibile - ha concluso Pegorari - far uscire i carcerati lasciandoli allo sbando senza dar loro sostegno e un’opportunità di lavoro e di sopravvivenza. Li metteremmo sostanzialmente in mezzo a una strada. Spesso ritornano a commettere reati solo per rientrare in carcere dove un pasto caldo e un tetto lo trovano, molti non hanno più il sostegno delle famiglie. Non vanno abbandonati”. Monza: detenuto 40enne muore dopo aver inalando gas, indagini su suicidio o tentativo “sballo” Ansa, 18 dicembre 2011 Tragedia in carcere a Monza. Nel pomeriggio di domenica un detenuto della sezione maschile, di nazionalità italiana e poco più che quarantenne, si è tolto la vita inalando il gas contenuto nella bomboletta che tutti i detenuti hanno in dotazione. Inutili i soccorsi della Croce rossa di Brugherio, giunta sul posto con un’ambulanza e un’automedica. Sono comunque ancora in corso accertamenti per stabilire se si è trattato di suicidio o di una morte dovuta ad un “eccesso di sballo”. “L’ennesimo suicidio di un detenuto morto dopo aver inalato il gas della bomboletta, avvenuto nel carcere di Monza, bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario, impone a nostro avviso di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, alla notizia di una nuova morte in carcere a Monza. Il dramma che ha coinvolto la casa circondariale di via San Quirico è solo l’ultimo di una lunga serie che ha funestato l’anno che si sta per chiudere. Nel corso del 2011 sono stati 11 i tentativi di suicidio registrati, 87 gli episodi di autolesionismo, 2 le aggressione subite dagli agenti della polizia penitenziaria, 84 gli scioperi della fame. Alla base di questa protesta continua, il sovraffollamento del carcere monzese, che conta oggi 713 detenuti a fronte di una capienza massima stimata in 405 unità. E proprio la prigione monzese potrebbe essere una delle prime a essere interessata dal decreto svuota-carceri in fase di ultimazione da parte del ministro di Grazia e giustizia Paola Severino. A novembre alcuni settori del carcere erano stati chiusi perché dichiarati inagibili: 150 detenuti erano così stati trasferiti in altri penitenziari lombardi. Comunicato stampa Sappe “L’ennesimo morte di un detenuto morto dopo aver inalato il gas della bomboletta, avvenuto un’ora fa nel carcere di Monza, bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario, impone a nostro avviso di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, alla notizia di una nuova morte in carcere a Monza. “È un’ecatombe: in pochi giorni sono morti suicidi in carcere diversi detenuti, a Busto Arsizio, Cagliari, Napoli. Nel caso di oggi, si sta accertando se si tratta di un suicidio o di una morte dovuta ad un “eccesso di sballo” dopo avere inalato del gas, ma riteniamo che sia davvero giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione assicura il vitto a tutti i detenuti. Indubbiamente la carenza di personale di Polizia Penitenziaria, che è quello che sta nella prima linea delle sezioni con i detenuti 24 ore al giorno, e di figure professionali specializzate nonché il costante sovraffollamento delle carceri italiani sono due temi che si dibattono da tempo e sono concause di questi tragici episodi. A Monza il 30 novembre scorso era ristretti 705 detenuti a fronte di 400 posti letto. E se la drammatica conta dei detenuti suicidi è relativamente contenuta è grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria nel solo 2010 ha sventato ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti ed ha impedito che i 5.703 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. “Il suicidio in carcere “ conclude il Sappe “è sempre - oltre che una tragedia personale - una sconfitta per lo Stato. Il Comitato nazionale per la bioetica ha recentemente sottolineato che il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi è quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è da tempo impegnato”. Piacenza: tentato omicidio alle Novate, anche un agente fra gli arrestati Piacenza Sera, 18 dicembre 2011 Un brutale “pestaggio punitivo” ai danni di un detenuto delle Novate con la connivenza di un’assistente di polizia penitenziaria. È pesante l’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura di Piacenza che al termine delle indagini ha emesso tre ordinanze di custodia cautelare ai danni dell’agente e di altri due detenuti con l’accusa di tentato omicidio. L’attività, coordinata dal sostituto procuratore Ornella Chicca, è partita nel luglio scorso dopo la denuncia della convivente di un uomo di 45 anni, originario del genovese, che sta scontando una pena nel carcere delle Novate. La donna ha raccontato di un violento pestaggio ai danni del compagno, ricoverato in ospedale con una prognosi di 40 giorni per un grave trauma facciale con fratture multiple, spiegando di averlo trovato intimidito e poco propenso a raccontare quanto accaduto. Le indagini hanno ricostruito come il 45enne nel giro di un mese, tra giugno e luglio, avesse subìto tre aggressioni da parte di altri detenuti. La più grave, avvenuta il primo luglio in un corridoio della struttura, era stata portata da un gruppo di sei o sette persone e aveva coinvolto anche il compagno di cella, riuscito a fuggire e a dare l’allarme. I primi riscontri, ottenuti visionando i filmati delle telecamere di sorveglianza e sentendo alcuni testimoni, hanno fin da subito portato l’attenzione sul comportamento dell’agente, un 39enne di origine campane, ritenuto quantomeno anomalo. Non solo infatti non sarebbe intervenuto per cercare di sedare la rissa ma, secondo la Procura, avrebbe anche permesso ad un 23enne peruviano, uno dei due aggressori riconosciuti con certezza dalla vittima, di accedere al corridoio dove è avvenuto il pestaggio nonostante appartenesse ad un’altra sezione. Il sospetto degli inquirenti è che l’agente favorisse in varie forme alcuni detenuti: una situazione della quale la vittima si era lamentata più volte e che sarebbe alla base delle aggressione, avvenuta proprio con la connivenza del 39enne. Ad aggravare la sua posizione anche le contradditorie dichiarazioni, scritte nelle relazioni di servizio, attraverso cui ha ricostruito quanto accaduto quel giorno: fra le altre cose avrebbe infatti prima sostenuto di non essere intervenuto per paura della sua incolumità, poi di aver pensato ad una zuffa fra la stessa vittima e al compagno di cella. Non risulta inoltre abbia mai utilizzato il telefono cordless in sua dotazione per chiamare rinforzi. Una forte incongruenza, ha sottolineato il sostituto procuratore, riguarda anche quanto dichiarato dall’agente sul detenuto peruviano: secondo la sua relazione nell’arco temporale in cui è avvenuta l’aggressione, il giovane si sarebbe trovato in una saletta del carcere. Una versione smentita non solo dalla testimonianza del 45enne aggredito, ma anche dalle immagini delle telecamere che riprendono il sudamericano nel corridoio dove è avvenuto il pestaggio, consumatosi in una zona d’ombra e del quale non esistono immagini. Tutti elementi che hanno portato all’emissione di un’ordinanza di custodia ai suoi danni con l’accusa di tentato omicidio e falso. L’uomo si trova ai domiciliari. Di tentato omicidio dovranno rispondere anche i due detenuti riconosciuti dalla vittima, il sudamericano 23enne ed un marocchino di 36 anni. Non sono invece al momento state individuate le altre persone che avrebbero preso parte al pestaggio. “Un fatto molto grave - ha commentato il sostituto procuratore Antonio Colonna - connivenze come quelle emerse nel corso delle indagini tra detenuti e personale di polizia penitenziaria sono inammissibili. Comportamenti di questo tipo vanno a ledere l’immagine di tutti quegli agenti che fra mille difficoltà svolgono nelle strutture penitenziarie il loro compito con professionalità e correttezza garantendo la sicurezza di tutti i detenuti”. Sappe: arresto agente è fatto gravissimo “L’arresto di un agente della polizia penitenziaria, in servizio nel carcere di Piacenza, è un fatto gravissimo che merita la massima attenzione. Noi attendiamo l’evolversi delle fasi processuali, perché è giusto ed opportuno che la verità dei fatti venga accertata con chiarezza e da un giudice terzo ed imparziale”. È il commento di Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria alla notizia diffusa ieri: un assistente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Piacenza è agli arresti domiciliari perché accusato di aver tentato di favorire, con false dichiarazioni, due detenuti che nel luglio scorso avrebbero picchiato un altro recluso. “La presunzione di innocenza - ha proseguito Durante in una nota - deve valere per tutti, compreso gli appartenenti alle istituzioni, come gli uomini e le donne delle forze di polizia”. Se le accuse formulate dalla procura, ha detto ancora, “dovessero trovare conferma nelle sentenze dei giudici chiamati a giudicare, allora sarebbe opportuno che colui che si è reso responsabile di fatti così gravi venisse cacciato dal corpo cui appartiene, perché con il proprio comportamento, oltre ad essere venuto meno ai doveri del giuramento, avrebbe anche leso l’onore del corpo e vanificato il lavoro degli altri colleghi”. Biella; Osapp; detenuto aggredisce sovrintendente polizia penitenziaria, situazione incandescente Ansa, 18 dicembre 2011 Un detenuto albanese ha aggredito un sovrintendente di polizia penitenziaria nel carcere di Biella. L’agente, spintonato, è caduto in terra, riportando ferite guaribili in sette giorni. L’episodio viene denunciato dal sindacato di polizia Osapp, che ricorda come negli ultimi giorni si siano verificati altri gravi episodi e proteste per il sovraffollamento: un detenuto marocchino si è cucito la bocca e un altro ha tentato di togliersi la vita, venendo salvato dagli agenti. “A Biella - dice il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - è da tempo incandescente per la discutibile gestione dei vertici dell’istituto”. Il carcere di Biella - osserva ancora il sindacato - versa in una situazione di grave affollamento: a fronte di una capienza di 216 detenuti, ce ne sono 330. Piacenza: dai cittadini 170 panettoni in dono, per i detenuti e gli agenti Dire, 18 dicembre 2011 “È stata una risposta sorprendente quella della città, all’appello lanciato per far avere ai detenuti e al personale delle Novate un panettone come segno di umanità e di solidarietà per chi vivrà i giorni a ridosso del Natale in situazione di disagio e lontano da casa”. L’assessore Giovanna Palladini esprime la propria soddisfazione per il gesto di solidarietà dei piacentini che hanno consegnato allo Svep di via Capra oltre 170 panettoni. “Avevo lanciato l’appello nel corso di un convegno sulla genitorialità in carcere che si svolgeva all’Università Cattolica - ricorda Palladini in una nota - e infatti gli studenti presenti all’iniziativa sono stati tra i primi a mobilitarsi, ma allo Svep sono arrivati anche alcuni scatoloni da parte di imprenditori, amministratori e semplici cittadini. Di questo passo riusciremo a garantire anche il bis della fetta a detenuti e personale impegnato alle Novate”. La raccolta proseguirà fino al 22 dicembre. Il 23, infatti, le associazioni di volontariato ed il Comune provvederanno alla consegna all’Istituto penitenziario. “A tutti coloro che hanno così prontamente risposto all’appello - conclude l’assessore - va il nostro più caloroso e sincero ringraziamento e l’augurio di un Natale arricchito da un grande spirito di solidarietà e umanità”. Roma: inaugurato “Evasioni Romane”, il mercato natalizio dei prodotti realizzati dai detenuti Ristretti Orizzonti, 18 dicembre 2011 È stato inaugurato questa mattina il mercato di prodotti realizzati dai detenuti delle carceri italiane, allestito a Piazza Mastai a Trastevere fino al 31 dicembre. All’iniziativa, chiamata “Evasioni Romane”, hanno preso parte Filippo Pegorari, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per Roma Capitale, Marco Visconti, assessore capitolino all’Ambiente, Piergiorgio Benvenuti, Presidente di Ama e Maria Claudia De Paolo, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. “Abbiamo voluto dare lustro alle opere di tante persone svantaggiate che hanno trovato nel lavoro una concreta possibilità di reinserimento sociale. All’indomani dell’approvazione del decreto svuota-carceri, il tema della piena riabilitazione si ripropone con evidenza”. Lo ha dichiarato il Garante dei Detenuti Pegorari, promotore dell’iniziativa. Ha manifestato piena soddisfazione anche l’assessore Visconti: “Si tratta di un’iniziativa di solidarietà davvero lodevole perché, attraverso la promozione dei prodotti realizzati dai detenuti, pone l’attenzione sulla necessità di favorire il reinserimento sociale delle persone svantaggiate attraverso il lavoro. I prodotti messi in vendita sono tutti di elevata qualità, segno di un’alta specializzazione e della grande passione di chi ha materialmente realizzato gli articoli in vendita, che vanno dai prodotti alimentari alla pelletteria”. Visconti ha anche posto l’accento sulla sostenibilità, argomento a lui molto caro. “Importante anche il contributo di sensibilizzazione ambientale della manifestazione che ha scelto di puntare sulla sostenibilità, con iniziative per il riciclo di tutti i rifiuti prodotti all’interno del mercatino”. Per il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria De Paolo si tratta di “un’iniziativa pregevolissima perché porta nel cuore di Roma, a Trastevere, l’esperienza lavorativa penitenziaria. È importante, infatti, che ci sia interazione tra carcere e città, soprattutto in un periodo di festa come il Natale”. Francia: il terrorista Carlos, la strage di Bologna e le Br http://primadellapioggia.blogspot.com, 18 dicembre 2011 Ilich Ramírez Sánchez, noto col nome di Carlos, è stato condannato il 15 dicembre 2011 dalla Corte d’Assise Speciale di Parigi all’ergastolo, (ne sta già scontando uno) come responsabile del gruppo che commise quattro attentati mortali nel paese tra 1982 e 1983. Il tribunale ha anche condannato all’ergastolo due degli altri tre imputati, giudicati in contumacia. Si tratta del palestinese Ali Kamal All’Issawi, da una decade irreperibile, del tedesco Johannes Weinrich, che sconta un ergastolo in Germania. La tedesca Christa-Margot Fröhlich, iscritta dalla procura di Bologna nel registro degli indagati per la strage alla stazione del 2 agosto 1980, è stata invece assolta. “Questa sentenza è a suo modo epocale, in quanto viene riconosciuto che Carlos e il suo gruppo non esitavano a far saltare treni e stazioni, pur di liberare i loro compagni d’armi”. Così commenta “Cielilimpidi” in Italia. Si tratta, invece, di una sentenza epocale, in quanto scagiona del tutto la Frölich. L’ex brigatista Sandro Padula aveva già scritto un lungo documento nell’aprile 1997 per dimostrare la sua innocenza rispetto all’attentato di rue Marbeuf, unico fatto per cui era imputata in territorio francese, nel vano tentativo di evitare la sua estradizione dall’Italia. “Questa sentenza”, commenta oggi lo stesso Padula, “implicitamente sgonfia la pista palestinese e la recente indagine sulla Frölich rispetto alla strage di Bologna del 1980”.