Giustizia: approvato il decreto “svuota carceri”, la Severino apre a indulto e amnistia Ansa, 16 dicembre 2011 Tra i provvedimenti, trattenere i detenuti nelle camere di sicurezza degli uffici di polizia, anziché mandarli in cella. Altri lasceranno le carceri e godranno della cosiddetta “messa in prova” finora riservata ai minorenni. Approvato dal Cdm il decreto legge che nelle intenzioni del governo dovrebbe avere un immediato effetto “svuota carceri”. Tra i provvedimenti, trattenere nelle camere di sicurezza degli uffici di polizia, anziché mandarli in cella, gli arrestati che devono affrontare un processo per direttissima. Aumenteranno gli arresti domiciliari. Altri lasceranno le carceri e godranno della cosiddetta “messa in prova” finora riservata ai minorenni. Più volte, e anche di recente, Napolitano ha detto che in Italia la situazione carceraria “troppo spesso appare distante dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e della dignità delle persone”. Il ministro della Giustizia Paola Severino aveva assicurato a Napolitano che anche per lei la questione era “prioritaria” e adesso ha messo a punto i primi provvedimenti. Con domiciliari risparmiati 375mila euro al giorno Tremilatrecento detenuti, quelli condannati per i reati meno gravi e ai quali restano da scontare meno di diciotto mesi, potranno scontare la pena residua agli arresti domiciliari. In questo modo lo Stato, ricorda il Guardasigilli, risparmia 375mila euro al giorno. Altri potranno godere la “messa in prova”. Per ora niente braccialetto elettronico Non ci sarà il braccialetto elettronico, ma il governo non rinuncia a introdurlo successivamente, dopo ulteriori valutazioni costi-benefici. Altre misure saranno prese, ma su questo punto mancano ancora i dettagli, per evitare la permanenza in carcere per un massimo di tre giorni, che riguarda ogni anno circa 20mila detenuti. Severino: “Sovraffollamento mio primo pensiero” “Oggi è intervenuto un provvedimento significativo: l’incremento da parte dello Stato di 57 milioni di euro per l’anno 2011 per far fronte alle esigenze della edilizia carceraria. Sarà mia cura che questo denaro sia speso nel migliore dei modi soprattutto per completare opere che sono a buon punto”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, al termine del Consiglio dei ministri. “Il sovraffollamento delle carceri è il primo dei miei pensieri ed è per questo che ho scelto lo strumento del decreto legge - spiega il ministro. È tempo di mettere mano ad una seria riforma del sistema penitenziario ma sarei una sognatrice se pensassi di poterlo fare con le forze che mi accompagnano e con i tempi brevi di questo governo”. Non mi opporrò ad amnistia o indulto “Io non ho mai escluso che l’amnistia e l’indulto siano dei mezzi che contribuiscono ad alleviare l’emergenza carceri, ma ho sempre detto - dice il ministro - che non sono dei provvedimenti di matrice governativa: se questa indicazione verrà dal Parlamento io non la contrasterò. In questo anno il governo non potrà risolvere tutto, ma di certo potrà tracciare una strada, quella della ricerca di provvedimenti condivisi da tutti”. Giustizia: scheda di approfondimento sui provvedimenti approvati oggi dal Cdm www.giustizia.it, 16 dicembre 2011 Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi una serie di provvedimenti in materia di giustizia civile e penale: un decreto legge sull’emergenza carceri; un disegno di legge con interventi per il recupero dell’efficienza del processo penale; un Dpr di modifica del regolamento penitenziario che introduce la Carta dei Diritti e dei Doveri dei detenuti; un decreto legge sul sovra indebitamento del piccolo imprenditore e del consumatore e sull’efficienza del processo civile; il primo decreto legislativo di attuazione della delega per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie relativo ai giudici di pace. Dl emergenza carceri Le misure introdotte riducono il fenomeno delle “porte girevoli” e consentiranno di applicare la detenzione presso il domicilio introdotta dalla legge n.199 del 2010 per un maggior numero di detenuti. Più in dettaglio, il provvedimento introduce due modifiche nell’art. 558 del codice di procedura penale. Con la prima, si prevede che, nei casi di arresto in flagranza, il giudizio direttissimo debba essere necessariamente tenuto entro, e non oltre, le quarantotto ore dall’arresto, non essendo più consentito al giudice di fissare l’udienza nelle successive quarantotto ore. Con la seconda modifica, viene introdotto il divieto di condurre in carcere le persone arrestate, per reati di non particolare gravità, prima della loro presentazione dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto e il giudizio direttissimo. In questi casi, l’arrestato dovrà essere, di norma, custodito dalle forze di polizia, salvo che ciò non sia possibile per mancanza di adeguate strutture o per altri motivi, quali lo stato di salute dell’arrestato o la sua pericolosità. In tali casi, il pubblico ministero dovrà adottare uno specifico provvedimento motivato. Queste misure consentiranno di ridurre significativamente e con effetti immediati lo stato di tensione detentiva determinato dal numero di persone che transitano per le strutture carcerarie per periodi brevissimi (nel 2010 altre 21.000 persone sono state detenute per un periodo non superiore a tre giorni). Il decreto legge ha, poi, previsto l’innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena detentiva che può essere scontata presso il domicilio del condannato anziché in carcere. Secondo le stime dell’amministrazione penitenziaria, sarà così possibile estendere la platea dei detenuti ammessi alla detenzione domiciliare di altri 3.300, che si aggiungeranno agli oltre 4.000 che ad oggi hanno beneficiato della legge 199/2010. Ddl penale Interviene su quattro materie, attraverso lo strumento della delega al Governo: depenalizzazione; sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili; sospensione del procedimento con messa alla prova; pene detentive non carcerarie. Depenalizzazione: si prevede la trasformazione in illecito amministrativo dei reati puniti con la sola pena pecuniaria, con esclusione dei reati in materia di edilizia urbanistica, ambiente, territorio e paesaggio, immigrazione, alimenti e bevande, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sicurezza pubblica. Sono inoltre escluse dalla depenalizzazione le condotte di vilipendio comprese tra i delitti contro la personalità dello Stato. Il termine per l’attuazione della delega è di diciotto mesi. Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili: coerentemente con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo si tende a garantire l’effettiva conoscenza del processo. La delega prevede che la sospensione del dibattimento comporta una sospensione della prescrizione per un periodo pari a quello previsto per la prescrizione del reato: quindi, se il reato si prescrive in 6 anni, il corso della prescrizione sarà sospeso per 6 anni, dopo i quali ricomincerà a decorrere. Questo periodo dovrà servire a portare il processo a conoscenza dell’imputato. La sospensione del processo non opera nei casi in cui si può presumere che l’imputato abbia conoscenza del procedimento: ad es., quando è stato eseguito un arresto, un fermo o una misura cautelare o nei casi di latitanti (che si sono volontariamente sottratti alla conoscenza del processo). Inoltre, la sospensione del procedimento non opera nei casi dei reati di mafia, di terrorismo o degli altri reati di competenza delle direzioni distrettuali. Sospensione del procedimento con messa alla prova: è prevista in caso di reati non particolarmente gravi (puniti con pene detentive non superiori a quattro anni). La sospensione con messa alla prova è rimessa a una richiesta dell’imputato, da formularsi sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La messa alla prova consiste in una serie di prestazioni, tra le quali un’attività lavorativa di pubblica utilità (presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato), il cui esito positivo determina l’estinzione del reato. Potrà essere concessa soltanto una volta (o due, purché non si tratti di reati della medesima indole) a condizione che il giudice ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. Pene detentive non carcerarie: è prevista l’introduzione di due nuove pene detentive non carcerarie: la reclusione e l’arresto presso l’abitazione o altro luogo di privata dimora. Queste pene sono destinate a sostituire la detenzione in carcere in caso di condanne per reati puniti con pene detentive non superiori a quattro anni. Le nuove pene saranno applicate direttamente dal giudice della cognizione, con notevoli vantaggi processuali. Si tratta di modifiche in linea con gli obiettivi generali del provvedimento legislativo, che intende realizzare una equilibrata “decarcerizzazione” e dare effettività al principio del minor sacrificio possibile della libertà personale. Dpr per Carta diritti e doveri dei detenuti Con questo provvedimento si modifica l’ordinamento penitenziario, così da fornire al detenuto, al momento del suo ingresso in carcere, e ai suoi familiari, una guida, in diverse lingue, che indica in forma chiara le regole generali del trattamento penitenziario, e fornisce tutte le informazioni indispensabili su servizi, strutture, orari e modalità di colloqui, corrispondenza, doveri di comportamento. DL efficienza processo civile e sovra indebitamento Viene data una risposta urgente per fronteggiare le situazioni di crisi di piccole imprese e famiglie, a cui non sono applicabili le disposizioni vigenti in materia di procedure concorsuali. A questi soggetti viene offerta la possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei debiti che determini la finale esdebitazione del soggetto in crisi. Le norme introducono, per la prima volta in Italia, un meccanismo di estinzione (controllata in sede giudiziale) di tutte le obbligazioni del soggetto sovra indebitato, anche nella prospettiva di una deflazione del contenzioso in sede civile derivante dall’attività di recupero forzoso dei crediti. È previsto un intervento limitato dell’autorità giudiziaria (che si limita ad omologare l’accordo raggiunto tra debitore e creditore), mentre decisivo è il ruolo svolto dai neo costituiti organismi di composizione della crisi, che, composti da professionisti in possesso di adeguata preparazione, favoriscono la definizione dell’accordo e ne seguono l’attuazione. Sono previste alcune correzioni alla disciplina della mediazione, per potenziarne l’utilizzo; una modifica alle norme sull’istanza di prelievo per eliminare alcune distorsioni verificatesi nella prassi; la fissazione di un limite alle spese liquidabili per le controversie davanti ai giudici di pace per le quali non è richiesta l’assistenza di un difensore. Questa norma è volta ad eliminare il contenzioso seriale che spesso grava su tali uffici con gravi conseguenze in termini di costi e carichi di lavoro. È prevista una proroga di un anno per i magistrati onorari in servizio, tenuto conto, da un lato della necessità di procedere alla riforma organica della magistratura onoraria, dall’altro di completare l’attuazione della delega in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Dlgs revisione delle circoscrizioni giudiziarie degli uffici dei giudici di pace È stato approvato in prima lettura lo schema del primo dei decreti legislativi di attuazione della delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie degli uffici dei giudici di pace. Il decreto, che sarà trasmesso alle Camere per i relativi pareri, prevede l’accorpamento di diversi uffici consentendo di recuperare 1944 giudici di pace, 2104 unità di personale amministrativo, con un risparmio di spesa, a regime, pari a 28 milioni di euro l’anno. Giustizia: Favi (Pd); Governo va in strada giusta, ora confronto sereno con forze politiche Ristretti Orizzonti, 16 dicembre 2011 Dichiarazione di Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Partito Democratico: “In attesa di conoscere nel dettaglio i contenuti dei provvedimenti proposti dal ministro Severino ed approvati, dal Cdm di oggi, sull’emergenza carceri, apprezziamo innanzitutto l’approccio innovativo imperniato prevalentemente su un uso più esteso delle misure alternative alla detenzione, sull’indirizzo di depenalizzare quei reati che non rappresentano grave allarme sociale e sul principio di maggiore garanzia e legalità nell’uso della custodia cautelare. Auspichiamo che, su questi provvedimenti, si possa avviare un sereno e costruttivo confronto fra le forze politiche e il governo a partire anche dalle proposte presentate dal Partito democratico nei mesi scorsi. Giustizia: Mantovano e Crosetto (Pdl); inaccettabili provvedimenti sulle carceri Il Velino, 16 dicembre 2011 “Sulle agenzie di stampa leggiamo che il Consiglio dei ministri varerà un provvedimento teso a diminuire la popolazione carceraria, dilatando fino a 18 mesi i tempi della detenzione domiciliare e prevedendo che, per la custodia cautelare riguardante i processi per direttissima, si utilizzino i presidi di polizia invece che gli istituti di pena. Si tratta di due misure a diverso titolo inaccettabili: la prima perché riguarda chi è stato condannato in via definitiva, e costituisce un ulteriore allentamento della effettività della pena; la seconda perché adopera i posti di polizia per finalità che da decenni sono di competenza del sistema penitenziario”. Lo dichiarano i deputati Pdl Alfredo Mantovano e Guido Crosetto che aggiungono: “Entrambe, poi, si tradurrebbero in un aggravio di lavoro per le forze di polizia, che sarebbero chiamate a moltiplicare i controlli domiciliari e a garantire la sicurezza della custodia nei comandi di polizia. Toglierebbero, cioè, ulteriori risorse dai compiti di controllo del territorio e di contrasto alla criminalità. Non si comprende perché, previa seria razionalizzazione delle risorse, anche umane, non si decide di utilizzare i 2000 nuovi posti realizzati negli ultimi anni nel sistema detentivo. Vero è che l’impegno di sostenere il governo Monti non può estendersi da discutibili misure economico-finanziarie, che votiamo con notevole disagio, a misure ostili alla sicurezza di tutti, per le quali assicuriamo totale contrarietà in Parlamento”. Giustizia: Siulp; la decongestione delle carceri non sulla pelle dei poliziotti Ansa, 16 dicembre 2011 “L’esplosiva situazione delle carceri richiede un intervento immediato. Questo, però, non può avvenire né a scapito della sicurezza dei cittadini, atteso che i poliziotti che dovrebbero vigilare gli arrestati nelle camere di sicurezza, per le croniche carenze di organico che ammontano ad oltre 14 mila unità, saranno sottratti al controllo del territorio, alla gestione dell’ordine pubblico, né a danno dei poliziotti che oggi non hanno le risorse e l’organizzazione per trattenere persone con lo status di detenuto”. Lo afferma Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp, commentando l’ipotesi di detenere gli arrestati presso i posti di polizia fino all’udienza per direttissima. “Il trattenimento nelle camere di sicurezza degli uffici di polizia - sottolinea Romano - richiede indispensabili adeguamenti dei locali, per profili di salubrità e per garantire la compatibilità tra lo stato di salute di coloro che rientreranno in questa ipotesi, molti dei quali tossicodipendenti e affetti da gravi patologie, e le esigenze di assistenza di cui questi ospiti necessitano, così come si porranno problemi organizzativi ed economici legati alla garanzia dei pasti”. Il Siulp lancia quindi l’allarme sulla impossibilità a praticare questa soluzione alle condizioni attuali”. Giustizia: Fleres; decreto sia veicolo per riforma complessiva del sistema penitenziario Comunicato stampa, 16 dicembre 2011 Il Coordinatore nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, Sen. Salvo Fleres, su decreto svuota carceri annunciato dal Ministro della Giustizia: “dovrà essere il veicolo per affrontare anche i temi delle pene alternative, della custodia cautelare in carcere, della sanità penitenziaria, del ruolo dei Garanti dei Diritti dei detenuti, delle condizioni di lavoro del personale di polizia e di assistenza”. Commentando i provvedimenti previsti dal decreto annunciato dal Ministro della Giustizia, in materia di detenzione, il Sen. Salvo Fleres, Coordinatore Nazionale dei Garanti dei Diritti dei Detenuti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Considero positiva l’attenzione mostrata dal Ministro circa le difficilissime condizioni delle carceri italiane. Mi auguro che il decreto, una volta trasmesso al Parlamento, possa essere arricchito di tutta una serie di misure riguardanti le pene alternative, la procedura penale relativa alla comminazione dei vari provvedimenti di pertinenza dei magistrati dell’accusa e dei giudici, la custodia cautelare in carcere, la sanità penitenziaria, il ruolo dei Garanti dei Diritti dei detenuti e le condizioni di lavoro del personale di polizia e di assistenza. Sono convinto, ha aggiunto il Sen. Fleres, che le drammatiche condizioni detentive del nostro Paese consentano un esame sereno e non ideologico del provvedimento da parte di tutte le forze politiche”. Sul tema è intervenuto anche l’Avv. Vito Pirrone, Presidente dell’Associazione Nazionale Forense, sede distrettuale di Catania, nonché Consulente della Commissione Diritti Umani del Senato della Repubblica, il quale ha affermato quanto segue: “in linea di massima il provvedimento va nella direzione giusta, ma si deve tenere conto che la popolazione penitenziaria oggi è di circa 67.000 detenuti, sicché i 3.500 che probabilmente lasceranno il carcere costituiranno ben poca cosa. Mi auguro che a questo provvedimento ne seguano altri”. Giustizia: carceri… ritorno alla Costituzione di Patrizio Gonnella e Luigi Nieri www.linkontro.info, 16 dicembre 2011 Il carcere è una pena relativamente giovane. È un’invenzione della modernità che ha sottratto la giustizia all’arbitrio del sovrano e ha determinato il superamento dell’era dei supplizi e delle pene corporali. La pena carceraria, controllata nel suo svolgimento e temporalmente fissata, ha segnato le fasi del passaggio verso lo Stato costituzionale di diritto. Una volta che si è deciso che in prigione ci si poteva finire solo se una legge lo avesse previsto (e non per il capriccio del re di turno) e che nessuno sarebbe stato più sottoposto a pene inumane o degradanti, si erano introdotti i primi embrioni di una giustizia fondata sul diritto e sull’ umanità. L’articolo 27 della Costituzione fu l’esito della elaborazione politica e giuridica di illustri costituenti che avevano subito le vessazioni, le violenze, le umiliazioni del carcere fascista. Alla pena carceraria fu assegnata una funzione di reintegrazione sociale. Al contempo furono messe fuori legge la tortura e ogni forma di maltrattamento che potesse ledere la dignità umana. Oggi la quotidianità penitenziaria ci rimanda indietro, all’epoca dei supplizi, un salto a ritroso nel mondo violento precedente agli studi e alle intuizioni di Cesare Beccaria. In galera oggi ci si finisce per i capricci xenofobi e proibizionisti di alcune forze politiche che hanno codificato reati privi di qualsiasi pericolosità sociale. Inoltre quando ci si va a finire si entra nel regno dell’illegalità, tra malattie, sporcizia, violenze, suicidi, diritti negati. Quello carcerario è il luogo simbolo di una società di classe che ha abdicato alla giustizia sociale e ha deciso di tornare al medioevo. Se a una persona detenuta lo Stato non è capace di dare un letto e una vita dignitosa è giusto che rinunci alla sua potestà di punire. Noi vogliamo che si torni invece alla materia e allo spirito della Costituzione. Per fare questo ci vogliono riforme coraggiose che da un lato riducano il sovraffollamento, intervenendo sui flussi in entrata e in uscita, e dall’altro puniscano chi usa violenza nelle carceri nei confronti di persone affidate alla custodia pubblica. Sappiamo che il Governo ha deciso di intervenire. Lo faccia bene e lo faccia subito. Già 62 detenuti si sono ammazzati dall’inizio dell’anno. Ogni giorno perso può portare a una vita persa. Come quella di Carlo Saturno, ragazzo morto suicida a poco più di 20 anni nel carcere di Bari, dopo che aveva denunciato chi lo aveva torturato nel carcere di Lecce. Lui è morto, ma è morto anche il processo per le violenze subite che lo vedeva parte civile. Il processo è in via di prescrizione. La storia di Carlo Saturno è la metafora di una giustizia selettiva che non funziona. Giustizia: detenuti nelle celle delle questure e più arresti domiciliari, per svuotare le carceri Liana Milella La Repubblica, 16 dicembre 2011 La misura riguarderà i processati per direttissima. Celle anche nelle questure e domiciliari più facili via al piano svuota-carceri. Oggi in cdm il decreto Severino-Cancellieri. Misure presentate ieri sera da Monti a Napolitano Domenica la visita del Papa a Rebibbia. Luci accese in via Arenula, nella grande stanza del Guardasigilli Paola Severino, fino a notte fonda. Sul suo tavolo due pacchi di fogli, il primo decreto e il primo disegno di legge che porteranno il suo nome, lei prima donna ministro della Giustizia. Misure importanti, sulle carceri che ribollono perché dentro ci sono 68.050 detenuti. Un record. Interventi destinati sicuramente a far discutere e che oggi saranno assunti dal consiglio dei ministri. Che il premier Mario Monti ha già illustrato a Napolitano nelle sue linee guida. Appuntamento a mezzogiorno a palazzo Chigi. Lì, per decreto, e d’accordo con la collega dell’Interno Annamaria Cancellieri, si decideranno due passi delicati. Il primo: trattenere nelle camere di sicurezza degli uffici di polizia, anziché mandarli in cella, gli arrestati che devono affrontare un processo per direttissima. Il secondo: ampliare da 12 a 18 mesi la norma Alfano che manda ai domiciliari chi ha da scontare ancora un anno di carcere per reati non gravi. Numeri forti, 21-22mila detenuti in meno nel primo caso, dai 3.300 ai 3.600 per il secondo. Con un risparmio economico che, per quella che un anno fa fu battezzata come la “svuota carceri” (3.965 messi fuori in 12 mesi), sarà di 375mila euro al giorno. Ma è quello delle camere di sicurezza - che saranno ribattezzati con un nuovo nome - il punto su cui si riflette più a lungo. Sono tantissimi quelli che restano in cella per pochi giorni, dagli autori di uno scippo agli spacciatori agli autori di piccoli reati, ma fanno schizzare in alto il numero complessivo dei carcerati. L’intervento è sensibile, lo sa bene la Severino che per due volte ha incontrato la Cancellieri, con i tecnici della Giustizia che hanno discusso con quelli del Viminale. Ancora stanotte se n’è disquisito a lungo. Le camere di sicurezza in Italia hanno una cattiva storia, anche se non certo inferiore a quella di penitenziari dove quest’anno i suicidi sono già arrivati a quota 60. Da una parte e dall’altra sono morti Cucchi e Uva. Tuttavia Severino e Cancellieri hanno deciso di andarci caute e oggi spiegheranno che le garanzie saranno di massimo livello, sia sulle strutture da utilizzare, non tutte quelle esistenti ma solo quelle adeguate, sia sui controlli da parte dei magistrati. Alla Severino si riesce a strappare a sera solo una battuta: “Il mio obiettivo è mettere uno stop alle cosiddette “porte girevoli”“. Che, in gergo carcerario, indicano quel via vai di detenuti che restano una manciata di ore in galera. Sarà, alla fine, lo slogan della giornata. Dal decreto al ddl. Con l’ipotesi pensata nelle stanze del ministro che, “se in Parlamento ci dovesse essere un’ampia condivisione”, alcuni punti del ddl potrebbero fare il salto nel decreto. Depenalizzazioni, con una delega al governo, e ancora interventi svuota carceri. Come la cosiddetta “messa in prova”, misura che l’ex Guardasigilli Angelino Alfano aveva tentato di far passare, ben sperimentata per i minori, per cui al posto del carcere, chi finisce nelle maglie della giustizia e rischia una condanna fino a tre o quattro anni, paga il conto svolgendo un lavoro socialmente utile. Se ne stanno studiando nei dettagli tempi e modi rispetto al processo. Ancora: la reclusione domiciliare, misura che sta molto a cuore alla Severino, per cui l’arresto in casa diventa una pena autonoma e non alternativa, che verrà decisa dal giudice al pari del carcere. “Messa in prova” e reclusione domiciliare potrebbero pure finire nel decreto. Non basta. Un’altra norma cara ai giuristi, in giuridichese definita “esclusione della procedibilità nei casi di tenuità del fatto”: se rubi una mela, sei un bambino, un uomo affamato, un anziano, il processo non si fa per niente perché il fatto, per la sua pochezza, non lo merita. E ancora: la sospensione del procedimento per gli irreperibili, misura più volte sollecitata dall’Anm. Per chiudere due interventi, anche questi molto curati dalla Guardasigilli. Nel regolamento carcerario diventerà obbligatoria, con un decreto del Colle (Dpr), una carta dei diritti scritta in tutte le lingue da consegnare al detenuto al momento del suo ingresso in cella. Poi un pacchetto sul civile tra cui nuove norme per comporre le crisi per consumatori super indebitati che hanno perso qualsiasi possibilità di accesso al credito. Una manovra ampia, la prima del dopo Berlusconi. Alla vigilia della visita di domenica di Papa Ratzinger a Rebibbia, dove celebrerà una messa per i detenuti, presente la Severino. Per certo più d’uno chiederà l’amnistia ma su questo il Guardasigilli non ha lasciato spazi, anche nella sua prima visita a Bruxelles: “È un passo che spetta al Parlamento”. Giustizia: nuovi interventi per le carceri… ma il problema restano i “numeri” di Valter Vecellio L’Opinione, 16 dicembre 2011 Dunque, come ci informano le agenzie, il ministro della Giustizia Paola Severino è al lavoro per approntare un testo con diverse misure per contribuire a risolvere il problema del sovraffollamento nelle 206 carceri italiane. Tra le misure su cui si lavora, quella di consentire ai detenuti cui restano diciotto mesi di pena, di scontare la detenzione ai domiciliari. Inoltre si punta su progetti di pene alternative alla reclusione. Misure di cui potrebbero beneficiare circa tremila detenuti, con un risparmio per le casse dello Stato di circa trecentomila euro al giorno. Non sapremmo dire se la cifra abbia fondamento. Se lo è, è motivo di ulteriore riflessione: per ogni detenuto lo Stato spende circa cento euro al giorno e il “servizio” offerto è quello che sappiamo? Ad ogni modo: i detenuti sono circa 68mila. Con le misure annunciate si arriva a 65mila. La capienza delle nostre prigioni è di 44mila: la differenza, si chiede scusa per il conto della serva, è di 21mila. Siamo, insomma, all’aspirina. Si continua, intanto, a morire. Gli ultimi due casi di detenuti suicidi a Busto Arsizio (con Lametia Terme, Brescia, Como, Ancona, uno dei carceri tra i più affollati), e a Civitavecchia. Uno si è impiccato, l’altro ha ingerito gas da una bomboletta usata per cucinare. Sarebbe dovuto uscire tra un mese, ma non è riuscito ad aspettare il “fine pena” e ha così deciso di farla finita. “Amnistia!”, chiedono gli stessi direttori delle carceri, che hanno inviato una lettera aperta al ministro della Giustizia Paola Severino: “La situazione ci sta sfuggendo di mano, è una polveriera, e le conseguenze possono essere le più imprevedibili”. “Amnistia!”, chiede don Virgilio Balducchi, che dal 1 gennaio prossimo ricoprirà l’incarico di Ispettore generale dei cappellani delle carceri: “L’amnistia, in questo momento, sarebbe un atto di giustizia. Ora ha un senso perché molte persone in carcere stanno subendo limitazioni dei diritti fondamentali, pensiamo alla salute, alla malattia mentale, al degrado della dignità umana. Molti diritti vengono limitati, l’amnistia sarebbe un atto di giustizia”. “Il disagio della polizia penitenziaria ha superato i limiti della tollerabilità, è molto più di un codice rosso”. La denuncia viene da Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl. Cosa dice Centrella? “La situazione è drammatica, sia per i detenuti, che vivono in condizioni inumane, ma anche, soprattutto, per gli agenti, che non solo non riescono a svolgere il proprio lavoro ma si sentono sviliti nelle proprie funzioni. Il carcere è ancora considerato come un luogo separato dove tenere nascosti i problemi: questo è altamente deleterio, perché il carcere dev’essere visto come soluzione, non come mezzo per aggravare una situazione. Deve servire a reinserire l’individuo nella società, non a isolarlo per sempre”. E siamo qui a un punto dolente: gli agenti previsti nelle carceri italiane sono 41.377, mentre quelli in forza sono 33.632, con una carenza del 16,3 per cento. Chi parla di costruire nuove carceri dovrebbe avere la decenza di spiegare, visto che già oggi siamo a - 16,3 per cento - come si pensa di assicurare la necessaria sorveglianza. Con molto buon senso l’Ugl propone, oltre che una ristrutturazione globale del sistema carcerario, di “ampliare le misure alternative alla detenzione, per i reati minori e non pericolosi a livello sociale, un nuovo modello di istituti penitenziari, l’aumento delle tecnologie sia per le video-conferenze che per il problema delle traduzioni”. Ma, come non ci si stancherà mai di dire, non esiste solo il problema delle carceri. La questione (di cui le carceri, per usare l’espressione cara a Marco Pannella, è un’appendice) è quella della giustizia. Perché la “prepotente urgenza” evocata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono i circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Una sorta di impunità anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. La giustizia, i magistrati, stanno soffocando sommersi dai fascicoli, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono e c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l’anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l’anno. È un’amnistia mascherata, clandestina (perché si finge non ci sia) e di classe: perché ne beneficia solo chi ha un buon avvocato che sa come dribblare tra le leggi e i codici, o chi ha “amici”. Nella rete ci finiscono così i poveri diavoli, gente che si fa difendere dall’avvocato d’ufficio, come gli extra-comunitari. È giusto? Oppure, a questo punto, meglio non sarebbe fare un’amnistia alla luce del sole, con “paletti” certi, guadagnare sei-sette mesi, consentire ai magistrati di ricominciare da zero, e nel frattempo metter mano alle indispensabili riforme? Una situazione, solo per quel che riguarda il caos regnante nella giustizia civile, che costa al contribuente - lo stima un rapporto della Banca d’Italia - qualcosa come 20 miliardi di euro l’anno. Altro che finanziaria. Per non parlare del fatto che in una situazione del genere, non c’è nessun imprenditore straniero che si azzarda a fare investimenti e “impresa” nel nostro paese. Giustizia: Annuario Statistico Istat; i detenuti sono quasi 68mila, il 36% sono stranieri Asca, 16 dicembre 2011 Al 31 dicembre 2010 67.961 persone risultano detenute negli istituti di pena, il 4,9% in più rispetto a un anno prima. Si tratta di donne nel 4,6% dei casi, mentre gli stranieri sono il 36,7% del totale. Un detenuto su cinque lavora, in massima parte (85,4%) alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. Lo spiega l’Istat che questa mattina ha diffuso i dati dell’annuario statistico. La capienza regolamentare risulta superata in tutte le regioni italiane, con valori compresi fra i 108 detenuti per 100 posti letto regolamentari del Trentino Alto Adige e i 203 della Puglia. La media nazionale è di 160 detenuti per 100 posti letto, a riprova che l’effetto di svuotamento delle carceri a seguito dell’indulto concesso del 2006 è stato più che compensato da nuovi ingressi o reingressi. Continuano a diminuire i minori nei centri di prima accoglienza: nel 2010 sono 2.253 (-7% rispetto al 2009). Il calo è più rilevante per i ragazzi stranieri, che erano il 57,8% nel 2006 e sono il 36,8% nel 2010. Reati contro il patrimonio (71,4%), violazione della legge sugli stupefacenti (16,2%) e reati contro la persona sono le imputazioni più frequenti. Si conferma il trend discendente dei reati Nel 2009 sono stati 2.629.831 i delitti denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia, il 3% in meno rispetto al 2008; prosegue quindi la tendenza alla diminuzione già osservata l’anno precedente. Rilevante è il calo di alcune tipologie di delitti, come le rapine (-21,9%), i sequestri di persona (-18,4%), i tentati omicidi (-17%). Crescono, invece, le denunce per usura (+23,7%) e, in maniera lieve, le violenze sessuali (+1,4%). In forte crescita le misure alternative alla detenzione Per la prima volta nell’Annuario vengono presentati i dati relativi ai condannati sottoposti a misure alternative alla detenzione in carcere (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, libertà vigilata e controllata, semidetenzione). Alla fine del 2010 risultano in corso 18.435 misure, il 37,4% in più rispetto al 2009. Le misure più utilizzate sono l’affidamento in prova al servizio sociale (47,6%) e la detenzione domiciliare (31,2%). Nell’8,1% dei casi questi provvedimenti vedono coinvolte le donne, nell’11,5% gli stranieri e nel 18,1% persone dipendenti da alcool e droghe. Cresce la popolazione carceraria, un detenuto su cinque lavora Al 31 dicembre 2010 67.961 persone risultano detenute negli istituti di pena, il 4,9% in più rispetto a un anno prima. Si tratta di donne nel 4,6% dei casi, mentre gli stranieri sono il 36,7% del totale. Un detenuto su cinque lavora, in massima parte (85,4%) alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. La capienza regolamentare risulta superata in tutte le regioni italiane, con valori compresi fra i 108 detenuti per 100 posti letto regolamentari del Trentino Alto Adige e i 203 della Puglia. La media nazionale è di 160 detenuti per 100 posti letto, a riprova che l’effetto di “svuotamento” delle carceri a seguito dell’indulto concesso del 2006 è stato più che compensato da nuovi ingressi o reingressi. Continuano a diminuire i minori nei centri di prima accoglienza: nel 2010 sono 2.253 (-7% rispetto al 2009). Il calo è più rilevante per i ragazzi stranieri, che erano il 57,8% nel 2006 e sono il 36,8% nel 2010. Reati contro il patrimonio (71,4%), violazione della legge sugli stupefacenti (16,2%) e reati contro la persona sono le imputazioni più frequenti. Giustizia: la direttrice dell’Ucciardone; ma quale grand hotel? …i detenuti fanno la fame! di Valentina Ascione Gli Altri, 16 dicembre 2011 Quasi 30 anni di carcere. Praticamente un ergastolo. L’ergastolo volontario di chi ha preferito la prima linea alla scrivania. Come Rita Barbera, direttrice del carcere palermitano dell’Ucciardone che oggi ospita 600 persone. I posti regolamentari sarebbero 450 ma una sezione è in fase di ristrutturazione e altre due sono inagibili. I detenuti le scrivono che hanno fame perché il cibo non basta. La frustrazione è tanta e forte è il rischio di abituarsi alla sofferenza altrui, dal quale si difende cercando di continuare a sentirla sulla propria pelle. Dopo la laurea in Giurisprudenza s’immaginava magistrato ma oggi, dopo tanti anni trascorsi a dirigere prigioni, non riuscirebbe mai a mandare qualcuno in galera, convinta com’è che la detenzione debba essere l’ultima strada da percorrere. È invece diventata una risposta al disagio sociale e le nostre carceri “discariche umane” dove regna la povertà assoluta. La soluzione, secondo Rita Barbera, non è costruire nuove strutture, ma una radicale riforma che eviti il carcere a coloro ai quali non servirebbe. E che sono la maggior parte di quelli che oggi stanno dentro. Come si è avvicinata al mondo penitenziario? È accaduto per caso, come tutte le cose importanti della vita. Mentre studiavo per il concorso di magistratura ho provato quest’altro insieme ad alcuni colleghi che poi sono diventati tutti direttori di istituti penitenziari. Oggi lo ricordiamo ridendoci su, allora ci prendevamo in giro a vicenda dicendo che stavamo andando a fare un concorso per “aguzzino capo”. Abbiamo affrontato quella prova con un po’ di ironia, ma quando ho vinto il concorso mi sono fatta subito coinvolgere da questo lavoro. Ho preferito il carcere agli uffici e ad altre opportunità meno scomode e non mi sono mai pentita. È un mestiere che mi è sempre piaciuto e continua a piacermi ancora oggi, dopo quasi trent’anni di camera. Quanti anni aveva quando ha cominciato? Ventotto. Il primo incarico? Al carcere di Panna come vicedirettore. Ma dopo soli nove mesi sono andata a dirigere il carcere Marsala e dalla Sicilia non mi sono più mossa, tranne che per un incarico di un anno a San Gimignano. Sono stata all’Ucciardone da vicedirettore e prima di tornarci anni dopo, come direttore, sono stata a Termini Imerese, al Pagliarelli, che è l’altra grande casa circondariale di Palermo, e a Castelvetrano. Ho anche fatto un’esperienza al provveditorato regionale, ma breve. Ho chiesto io stessa di venire qui all’Ucciardone perché il lavoro d’ufficio non mi piaceva, così ho preferito lasciare... E tornare sulle barricate... La prima linea è stressante, ma è un lavoro che arricchisce professionalmente e non solo. In trent’anni di esperienza com’è cambiata la sua visione del carcere? Ho cercato di non cambiarla. Di conservare quella “freschezza” che si ha all’inizio di una carriera come la mia. E che ti consente di guardare a un atto di autolesionismo come a un fatto sempre grave e impressionante. Ho chiesto a me stessa di mantenere questa sensibilità. Il cinismo, che alcune volte può derivare dal mestiere, non aiuta. Bisogna sempre tener presente che abbiamo a che fare con delle persone e che qualunque segnale di sofferenza merita attenzione. Se ci si abbandona a una quotidianità che è fatta di tanti gesti di sofferenza, senza sentirne più nessuno sopra la propria pelle, si può anche perdere la voglia di fare questo lavoro. C’è il rischio di abituarsi alla sofferenza dei detenuti? Sì. Anche come forma di autodifesa. E ovvio che dovendo star qui ogni giorno non ci si può far trascinare troppo, però non si dovrebbe smettere di coglierne la portata e il valore. Com’è riuscita a difendersi dall’abitudine? Davanti all’autolesionismo e ad altri comportamenti estremi ho continuato a interrogarmi sulle ragioni che spingono una persona a compiere un gesto simile. Cerco di non fermarmi alla superficie dell’evento, ma di andare più a fondo. L’emergenza genera omologazione e si finisce per trattare i detenuti come fossero tutti uguali... Purtroppo. È vero però che esiste un’omologazione sociale. Gli istituti italiani sono pieni di “rifiuti della società”, migliaia di persone che il territorio non riesce a gestire adeguatamente. Tra questi c’è ovviamente chi ha commesso reati gravi e che quindi è di nostra “competenza”, ma il resto, che rappresenta la gran parte della popolazione detenuta, non è responsabile di reati di allarme sociale tali da ritenere il carcere una risposta efficace. Ricordava il caso di un uomo condannato a otto anni di reclusione per vendita di merce contraffatta... Prima dei cd masterizzati, vendeva le cassette e prima ancora viveva con il contrabbando di sigarette. La sua percezione era di fare un mestiere, proprio come io dirigo carceri e lei fa la giornalista. Questa persona sconta il carcere inutilmente, non comprende quale sia l’impatto sociale del suo reato perché ritiene di non fare altro che il proprio lavoro, né l’istituzione penitenziaria è in grado di fargli capire che ha sbagliato. Credo che in casi come questo la detenzione sia una pena troppo grave. Il carcere, anche quello più aperto, è sempre duro, perché la vera tortura è la perdita della libertà personale. L’uomo non .è fatto per essere recluso, è una condizione contro natura difficile da sostenere. Per questo penso che il carcere dovrebbe essere limitato alle persone che hanno realmente creato un grave allarme sociale e sulle quali potremmo intervenire con maggiore efficacia se non dovessimo usare le poche risorse disponibili anche per tutti gli altri. Si confonde quindi il disagio sociale con l’allarme sociale? Due concetti talmente lontani che non si dovrebbero neanche mai incontrare. Il disagio richiede soluzioni sociali, non il carcere. Eppure è quello che accade. L’Ucciardone è un istituto di media sicurezza, non ci sono detenuti per mafia, ma solo detenuti comuni. Se si facesse una riforma che guardasse al carcere come ultima risposta possibile, la maggior parte di loro non starebbe qui dentro. Il territorio e il contesto sociale come influiscono sul carcere? La popolazione detenuta qui è molto povera. La crisi economica si fa sentire e chi proviene da famiglie in difficoltà vive ancora peggio la detenzione. Ci sono poi gli extracomunitari, senza alcun supporto familiare, che hanno come prospettiva futura nient’altro che l’espulsione. Queste persone hanno ben poco da perdere e sono i detenuti più difficili da mantenere. Un uomo senza speranza non è gestibile e loro sono solo dei disperati. Come si comporta un uomo senza speranza? Stamattina mi è arrivata questa lettera: “Ill.ma dott. Barbera, vengo a lei con questo mio scritto per chiedere un vostro aiuto. Pregandola umilmente le chiedo di fare qualcosa per me, per avere un sostegno economico dalla Caritas. Mi trovo in condizioni disperate, vivo le mie giornate chiedendo sempre agli altri e questo mi fa stare male. Essendo extracomunitario e trovandomi distante dall’affetto dei miei cari non ho possibilità di fare colloqui e così non posso avere indumenti, non posso mangiare correttamente perché il cibo che ci passa l’amministrazione è poco. A volte giro a cercare mangiare dagli amici della sezione, loro si mettono a disposizione ma mi fa soffrire chiedere le cose o del cibo”. È questa la quotidianità. Non riusciamo a dare lavoro a tutti per sostenersi e ci sono pochissimi soldi per il sussidio. Segnalerò questo detenuto alla Caritas, gli darò 10,20 euro come sussidio dell’amministrazione, giusto per permettergli di comprare qualcosa... Insomma ci arrangiamo. Ma la frustrazione è tanta. L’ex Grand Hotel Ucciardone oggi è un carcere “no logo”. Perché avete bandito i vestiti firmati? Sono disposizioni arrivate da Roma per tutti gli istituti, io però ho sempre cercato di evitare che circolassero. In un carcere sono le cose più piccole a fare la differenza e il peso che un detenuto può avere sugli altri dipende anche da queste. Le firme possono essere utilizzate per creare posizioni di supremazia rispetto a chi non ha nulla, che non è mai una cosa positiva. Ho sempre vietato ai detenuti di ricevere indumenti di stoffe pregiate. Lei citava il “Grand Hotel”, ricordo che si raccontava di un Buscetta con la vestaglia di seta ai passeggi... Sono segnali, che non è il caso di far arrivare. Comunque non è stato difficile vietare le cose firmate, non ce n’erano poi tante. I detenuti come hanno reagito? Si sono lamentati. Avete spiegato loro le ragioni di questo divieto? La motivazione si capisce, non ce n’è stato bisogno. A volte i detenuti conoscono appena le regole e non ne sanno i motivi. Una spiegazione non aiuterebbe a digerire meglio ciò che scandisce la loro vita quotidiana? Manca una comunicazione efficace. Il regolamento penitenziario è preciso, quello che forse non si conosce sono le piccole cose. Ecco perché sto facendo stampare delle guide per aiutare i detenuti a orientarsi nella vita quotidiana. Non è proprio nelle piccole cose che risiede il potere maggiore di un direttore? Diciamo di sì, ma è un potere se si ha la possibilità di dire sì o no. Di questi tempi siamo costretti a dire troppi no, siamo impotenti rispetto a delle cose che mancano materialmente, come il cibo. Allora non è più un potere, è necessità. Però potete decidere molto della vita quotidiana di un detenuto: cosa poter portare ai figli in occasione del colloquio, ad esempio, o quanti indumenti possono ricevere dall’esterno... Purtroppo questa discrezionalità c’è. Le diversità sono sempre antipatiche quando si parla di restrizioni, di piccole cose che all’interno di un istituto di pena diventano molto più grandi e fanno la differenza, quando si vive di attimi come il colloquio settimanale. È duro dipendere dalla volontà di altri e il carcere ne è l’esempio estremo, perché sei chiuso in una stanza, non ti puoi muovere e puoi uscire solo se qualcun altro ti apre. Ci sono già restrizioni pesanti da sostenere, ma che fanno parte della pena, a cui si sommano queste piccole frustrazioni quotidiane. Essere donna l’ha aiutata a mantenere viva la sua sensibilità verso il disagio che si vive in carcere? Non essendo mai stata uomo, non lo so (ride). Conosco colleghi uomini molto attenti, come me, più che sensibili. L’attenzione è un dovere al di là della propria sensibilità. Forse noi donne siamo più sensibili, ma non è indispensabile per fare il nostro lavoro in maniera corretta. Bisogna applicare la legge e la legge prevede che si offra ai detenuti l’opportunità di cambiare la loro vita e il modo di vederla, che la pena sia umana e i loro diritti siano considerati come sacrosanti e da difendere. Dopo tutti questi anni trascorsi a dirigere carceri, se domani vincesse quel concorso di magistratura che magistrato sarebbe? Non potrei mai essere un giudicante. Mi verrebbe molto difficile giudicare con questa esperienza. Potrei essere un fallimentare, non manderei le persone in galera, ma al massimo potrei dichiararle fallite (ride ancora). E se invece domani fosse nominata ministro della Giustizia? Non vorrei. In questo momento mi sembra una poltrona scottante. Ha troppe cose da fare questo ministro per invidiarlo, a partire da una radicale riforma dell’individuazione delle fattispecie penali punite col carcere. È davvero impellente, c’è troppa gente per la quale questo carcere è inutile. Perché si fa tanta fatica a pensare di restringere l’area della penalità? È una riforma che rischia di essere impopolare e la politica insegue il consenso. Finché i politici si lasceranno condizionare dalla paura non si potrà mai fare una riforma seria, ci sarà sempre chi dice “mettiamo tutti gli extracomunitari su un’isola sperduta, oppure i tossicodipendenti, perché ci danno fastidio”. Sono entrata nell’amministrazione in un momento in cui si dibatteva sul mondo della pena in una prospettiva di apertura e sperimentazione. Si discuteva di affettività in carcere, un argomento che oggi sembra lunare. Ma quelli erano i tempi della legge Gozzini, c’era una visione diversa, si parlava del “carcere della speranza”. C’è bisogno di un grande sforzo culturale, oggi nessuno rassicura sull’opportunità di cercare strade alternative. Costruire nuove carceri non è una strada che porta lontano, bisognerebbe trovare il personale e nuove risorse economiche, aumenterebbero i problemi. Bisogna riflettere su chi oggi finisce in carcere, per puntare alla rieducazione e al reinserimento previsti dalla legge. Obiettivi impegnativi che in questa situazione di emergenza non possiamo garantire. Sardegna: Sdr; sanità penitenziaria, per ritardi regione rischia commissariamento Ristretti Orizzonti, 16 dicembre 2011 “La sanità penitenziaria è un problema sociale la cui soluzione non consente tempi lunghi. La Regione, che ha la piena responsabilità dopo il passaggio delle competenze da parte dello Stato, se ne deve fare carico interamente senza lasciare vuoti. Altrimenti vi è il rischio della nomina di un commissario governativo ad acta e di denunce all’autorità giudiziaria. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando il profondo malessere esistente tra i medici, gli infermieri ed i tecnici impegnati nei 13 istituti di pena. Vi sono inoltre da non sottovalutare - precisa la Presidente di Sdr - le lamentale dei detenuti e dei loro familiari che denunciano casi di mancata assistenza. Non bastono, quindi, gli annunciati provvedimenti tampone come la proroga delle convenzioni dei medici, degli infermieri e dei tecnici in scadenza al 31 dicembre. È necessario che vengano definite le linee guida dell’assessorato alle Asl per l’attuazione del Decreto Legislativo 18 luglio 2011, n.140 concernente “Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna in materia di sanità penitenziaria” entrato in vigore il 4 settembre di quest’anno. “L’aspetto sconcertante - sottolinea l’ex consigliere regionale socialista - è che aldilà della buona volontà dei singoli attori impegnati nell’esame delle questioni, non sono stati ancora definiti atti formali. È insomma urgente stabilire in che modo potranno essere garantite le emergenze interne alle strutture detentive. Dentro gli Istituti di pena infatti si trovano persone che hanno costante necessità di professionisti della salute. Mentre attualmente il personale medico e infermieristico è in grado, per la lunga esperienza pregressa, di gestire i momenti critici, la prospettiva di utilizzare le Guardie Mediche o altro personale non potrebbe garantire la prevenzione di atti di autolesionismo o suicidari e neppure le emergenze”. “La salute dei detenuti - conclude Caligaris - è una questione che riguarda l’intera comunità isolana perché è completamente nelle mani delle Aziende Sanitarie Locali. La Regione deve garantire ad adulti e minori privati della libertà i livelli essenziali di assistenza. Un’accelerazione nella piena attuazione della riforma è improcrastinabile per le condizioni in cui si trovano i cittadini privati della libertà negli Istituti di Pena sardi”. Lazio: Consulta femminile e per le pari opportunità apprezza la realizzazione dell’Icam Il Velino, 16 dicembre 2011 “Apprendiamo con soddisfazione della volontà politica della presidente Renata Polverini di realizzare il primo Istituto di custodia attenuata per le madri del Lazio (Icam)”, fa sapere la Consulta femminile e per le pari opportunità del Lazio che, già nel 2009, aveva intessuto relazioni con l’Istituto dell’Amministrazione Penitenziaria, con la giunta regionale, il V Municipio, l’Università la Sapienza e le Associazioni di volontariato operanti presso il carcere di Rebibbia, presenti anche in seno alla Consulta. L’azione era quella di dipanare il groviglio di problemi che ostacolavano la realizzazione del progetto, avendo come modello quanto già realizzato nella Regione Lombardia. “La costatazione diretta della Consulta sulla realtà carceraria femminile, che coinvolge non solo le madri ma i bambini al di sotto dei tre anni, ci ha ancor più motivato - dichiarano la presidente Donatina Persichetti e le vicepresidenti Federica De Pasquale e Patrizia Germini - a sollecitare azioni per salvaguardare il rapporto affettivo madre-figlio, riducendo il più possibile gli effetti traumatici della reclusione involontaria dei bambini. Siamo oggi più vicine all’obiettivo e proprio per questo non va abbassata la guardia affinché tutte le parti in causa diano prontamente il proprio contributo, superando quegli impedimenti burocratici che finora hanno rallentato il raggiungimento dell’obiettivo. La Consulta femminile nel perseguire nelle azioni tese alla promozione dei diritti umani, con particolare attenzione alle donne ed ai bambini, ribadisce la totale disponibilità a collaborare con tutte le Istituzioni e le Associazioni di volontariato”. Cagliari: Sdr; malato schizofrenia cagliaritano internato per 2 anni all’Opg di Montelupo Ristretti Orizzonti, 16 dicembre 2011 “Nuova pesante sconfitta per le istituzioni sarde impegnate in soluzioni alternative agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che dovrebbero essere chiusi al più presto. Un giovane cagliaritano, sofferente di disturbi mentali gravi, è stato internato nell’Ospedale Psichiatrico di Montelupo Fiorentino”. Ne dà notizia la Presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme avendo appreso che C.P. 34 anni di Selargius, privo di una gamba, affetto da schizofrenia, è stato prelevato dalla Comunità di Ploaghe e, in attuazione di un Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, trasferito in Toscana dove dovrà trascorrere due anni in una struttura la cui attività è stata di recente dimezzata dopo forti contestazioni. Il provvedimento è stato adottato dopo alcuni gravi episodi di intolleranza che C.P. aveva commesso nella Comunità e che erano stati segnalati al magistrato. Ieri l’uomo, difeso dall’avvocato Roberto Nati, era stato, peraltro, assolto, perché incapace di intendere e di volere, dal reato di violenza sessuale per avere pesantemente importunato una donna. C.P., nonostante la gravità della malattia e la pericolosità sociale sfociata in episodi di molestia ed intolleranza, non può stare a Montelupo Fiorentino - afferma Maria Grazia Caligaris - per due motivi. Il primo perché dal gennaio di quest’anno la Regione ha ricevuto la delega delle funzioni per accogliere in nuove strutture o nelle Comunità ritenute idonee i cittadini sardi internati negli ospedali psichiatrici. Il secondo perché non viene rispettata la legge sull’Ordinamento Penitenziario che i condannati, anche con problemi psichici, debbano essere ricoverati e curati in strutture ubicate nella regione di residenza dei familiari. A questo proposito la madre ed i familiari del giovane, da questa mattina internato a Montelupo, si sono rivolti, disperati, all’Associazione perché la permanenza del congiunto in Toscana non si protragga nel tempo. È però indispensabile - afferma l’ex consigliera regionale socialista - che il competente servizio di igiene mentale faccia pervenire al Tribunale di Sorveglianza di Firenze una relazione sanitaria attestante la possibilità di ricovero di C.P. in una struttura idonea in Sardegna in attesa dell’apertura, prevista per i primi mesi dell’anno prossimo, della casa per condannati malati di mente realizzata ad Ussassai dall’Asl di Lanusei in provincia dell’Ogliastra. Reggio Calabria: detenuto tenta suicidio dando fuoco al materasso, salvato da agenti Ansa, 16 dicembre 2011 Il Sappe - Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria rende noto il lodevole intervento del personale in servizio nella Sezione di osservazione psichiatrica del carcere di Reggio Calabria. “In data 15/12 c.m. alle ore 21.30 circa richiesto un urgente intervento nel reparto c.d. “D” (osservazione psichiatrica) ove si trova ubicato un detenuto in quanto questi aveva appena incendiato il proprio materasso. Giunti sul posto, notavano il reparto invaso da una nube di fumo nero che impediva di fatto la visuale, rendendo l’aria pressoché irrespirabile. Senza esitare un istante, gli agenti intervenivano aprendo la cella, ove si trovava chino sul pavimento del bagno il detenuto in evidente stato di intossicazione da fumo, è stato preso di forza e portato fuori dalla propria cella, dove si trovava intrappolato, per essere immediatamente soccorso presso la sottostante infermeria, ove gli veniva applicato l’ossigenatore. Nello stesso istante è stata disposta l’apertura delle restanti camere per consentire ai detenuti ivi ubicati di allontanarsi dal reparto, in quanto l’aria non si rendeva più respirabile. Munitisi di estintore e servendosi di un panno inumidito per non respirare le esalazioni provocate dai fumi, si è provveduto a spegnere la combustione del materasso. Tutto il personale coinvolto, ha accusato sintomi causati dall’esposizione ai fumi. Merita attenzione l’intervento provvidenziale del personale che forte di un agire tempestivo e professionale ha scongiurato ben più gravi immaginabili conseguenze. Il Sappe chiede che sia la Direzione reggina che i superiori organi si adoperino e chiedano che venga riconosciuto l’operato della Polizia Penitenziaria interessata”. Agrigento: carcere inaugurato nel 1997 per contenere 200 persone, oggi ne accoglie 427 La Sicilia, 16 dicembre 2011 Nei giorni in cui l’emergenza carceri in Italia riesplode in tutta la sua virulenza, il penitenziario di contrada Petrusa si conferma assai “caldo”. Quasi alla fine dell’anno, il sindacato Uil penitenziari ha stilato quello che è appropriato definire come report. Una foto sulla situazione in atto nella Casa circondariale della città dei Templi, nata nel 1997 per accogliere meno di 200 persone, ma che oggi ne contiene quasi 500. Ne emerge, dunque una fotografia com’era facile pronosticare a tinte abbastanza scure, anche se tutto sommato la Casa circondariale agrigentina si pone in una posizione di classifica certamente alta a livello nazionale, ma non al vertice. Per una volta non essere primi suscita un pò di soddisfazione anche se i punti di emergenza e preoccupazione non mancano di certo. Sono nove le voci che la Uil ha preso in considerazione per fotografare la situazione delle carceri siciliane. Capienza regolare, presenze ai primi di questo mese, esubero di presenze, percentuale dell’indice di affollamento, suicidi, tentati suicidi, gesti autolesionistici, aggressioni ai danni dei poliziotti penitenziari, scioperi della fame. Su una capienza regolamentare di 260 detenuti al 6 dicembre erano “ospiti” del Petrusa 427 persone, con un esubero di 167 unità, per un indice di affollamento del 64,2%. L’anno scorso a questa voce si accostavano dati più negativi. Agrigento si pone alle spalle di carceri come Palermo Pagliarelli e Ucciardone, Augusta, Catania e Siracusa. Anche sull’indice di affollamento il “nostro” penitenziario si pone circa a metà classifica delle 26 strutture detentive siciliane. Per fortuna e bravura degli agenti in servizio si è registrato “solo” un suicidio e, vista la situazione, pare quasi un miracolo. Sono stati invece 14 i tentativi sventati in extremis, due in più rispetto al 2010. Casi che fanno schizzare Agrigento immediatamente dopo le carceri di Palermo, segnale che le difficoltà logistiche a qualche detenuto hanno fatto abbassare le forze di autoconservazione, spingendo alcuni a cercare di farla finita. Gli atti di autolesionismo sono stati 51, 11 in più rispetto al 2010, al quarto posto in Sicilia dopo le carceri di Palermo e Siracusa. Secondo i numeri forniti dalla Uil polizia penitenziaria si sono registrate 3 aggressioni a danno degli agenti in servizio, un numero nella media isolana, con 4 agenti al pronto soccorso. I detenuti che nel 2011 hanno invece deciso e attuato lo sciopero della fame, rifiutando il vitto concesso dalla struttura detentiva sono stati 122, nel 2010 furono “solo” 81. Segnale evidente di insofferenza a una situazione logistica di grave difficoltà. Dai numeri emerge dunque l’immagine di una struttura con situazioni difficili specie dal punto di vista strutturale, causa molto spesso dei gesti di insofferenza che a volte sfociano con il tentativo di suicidio. Negli ultimi mesi in particolare il personale della polizia penitenziaria hanno sventato alcuni suicidi, salvando la vita a persone che ormai erano sul punto di passare all’altro mondo. Il sindacato Uil di categoria con una nota stampa diffusa nei giorni scorsi evidenziava la drammatica situazione delle carceri siciliane, chiedendo al Governo interventi immediati per migliorare la situazione. Il decreto “svuota carceri” che Roma dovrebbe presentare oggi, con l’illustrazione delle misure tesa a scarcerare chi può essere scarcerato, ad Agrigento dovrebbe incidere sulla liberazione di una quarantina di detenuti, nell’arco dei prossimi mesi. Nell’anno in cui, si spera possano essere ultimati i lavori di costruzione della nuova ala del penitenziario, capace di accogliere - si dice - altri 200 detenuti. Lavori sul cui andamento non è possibile stimare una conclusione in tempi brevi. E meno male che alla voce “ingressi” non figurano le centinaia di immigrati clandestini, giunti a Lampedusa sui barconi. Se ci fossero stati anche loro, la situazione avrebbe assunto connotati ancor più drammatici, di quanto già non abbiano assunto. Stati Uniti: arriva la “detenzione militare” a tempo indeterminato Il Manifesto, 16 dicembre 2011 Con 283 voti favorevoli, 136 contrari e i democratici spaccati in due, la Camera ha dato l’approvazione. Con un voto sorprendentemente trasversale, la Camera degli Stati uniti ha approvato la legge di bilancio della Difesa da 662 miliardi di dollari che prevede la detenzione militare a tempo indeterminato di tutti coloro sospettati di terrorismo, con l’eccezione dei cittadini americani. Dopo le polemiche dei giorni passati, che avevano spinto Barack Obama a minacciare il ricorso al veto presidenziale, la legge è stata approvata con alcune modifiche che introdurranno cambiamenti meno radicali rispetto alla prima proposta. Con 283 voti favorevoli e 136 contrari e i democratici spaccati in due, la Camera ha dato dunque l’ok alla legge che passerà ora al Senato, dove una versione precedente era stata approvata con 93 voti favorevoli e 7 contrari. L’appoggio di Obama al National Defense Authorization Act, che farà risparmiare 43 miliardi di dollari, è arrivato a poche ore dal voto, facilitandone così il passaggio. “Abbiamo concluso”, ha spiegato la Casa Bianca in un comunicato, “che il linguaggio non mette in discussione né limita l’autorità del presidente”. Ritirata la minaccia di veto, la legge è stata approvata dalla Camera e darà all’esercito un ruolo centrale nei casi di terrorismo sul suolo americano, lasciando al presidente la facoltà di attuare il nuovo regolamento e il potere di sospendere immediatamente la custodia militare, potere che in prima battuta era stato attribuito al Segretario alla difesa. Le modifiche apportate, ritenute soddisfacenti dalla Casa Bianca, hanno incontrato la forte opposizione dei gruppi per la tutela delle libertà civili, che ritengono che la misura violi i diritti fondamentali americani. “Firmando questa legge di bilancio il presidente Obama passerà alla storia come quello che ha avvallato la detenzione a tempo indeterminato senza processo”, ha spiegato Kenneth Roth direttore di Human Rights Watch. Contro la legge si sono schierati sia l’ala sinistra del partito democratico che le frange più conservatrici di quello repubblicano, Tea Party compresi. Grande soddisfazione è stata espressa dal repubblicano Buck McKeon, presidente della commissione Servizi Armati della Camera. “Come combattiamo i terroristi in tutto il mondo, abbiamo protetto le libertà civili degli americani”, ha spiegato in un comunicato pochi minuti dopo il voto confermando inoltre che “le nuove misure non prevedono la detenzione di cittadini americani”. Nei giorni passati anche l’Fbi si era schierata con la Casa Bianca. Il direttore dell’agenzia Robert Mueller aveva spiegato alla commissione giustizia del Senato come questa legge avrebbe potuto creare confusione fra l’Fbi e l’esercito. Forte era stata anche l’opposizione del Dipartimento di giustizia, del Pentagono e di tutte le agenzie d’intelligence americane, tutti convinti che la legge potrebbe interferire con il lavoro dell’antiterrorismo. “Se il presidente Obama firmerà questa legge”, ha commentato Laura Murphy, direttore di American Civil Liberties Union, “danneggerà la sua immagine e la reputazione degli Stati uniti. L’ultima volta che al Congresso passò una legge che prevedeva la detenzione a tempo indeterminato fu durante l’era McCarthy e il presidente Truman ebbe il coraggio di apporre il veto”. Per quanto riguarda le altre tematiche affrontate, la legge autorizza finanziamenti per le guerre di Iraq e Afghanistan e congela 700 milioni di dollari destinati al Pakistan. Per l’Iran sono previste invece nuove sanzioni, che colpiranno la banca centrale di Tehran. Misure su cui la Casa Bianca aveva espresso dubbi e che il presidente Obama avrà la possibilità di sospendere per questioni di sicurezza nazionale.