Giustizia: carceri, l’inevitabile clemenza di Carlo Federico Grosso La Stampa, 15 dicembre 2011 Paola Severino ha annunciato che cercherà di fare approvare, già al Consiglio dei Ministri di domani, un decreto-legge destinato a ridurre il sovraffollamento carcerario: dovrebbe trattarsi dell’allungamento a 18 mesi del periodo residuo di pena che, con alcune limitazioni, un detenuto può scontare agli arresti domiciliari anziché in carcere. Tale provvedimento, secondo i calcoli, dovrebbe determinare la scarcerazione immediata di 3.000-3.500 detenuti. A tale decreto dovrebbe seguire un disegno di legge che, sempre nell’ottica di una riduzione del numero dei detenuti, dovrebbe allargare l’ambito delle pene alternative, estendere l’utilizzo dell’affidamento in prova, procedere alla depenalizzazione di alcuni reati. Tra le misure immediate non vi sarà tuttavia il “braccialetto elettronico”, poiché, ha soggiunto il ministro, non è stata ancora acquisita la certezza del suo funzionamento e la ragionevolezza dei suoi costi. In linea di principio questo programma è condivisibile. Appare giusto utilizzare, quando non vi siano controindicazioni, gli arresti domiciliari quale alternativa al carcere nel periodo finale dell’esecuzione penale; è condivisibile pensare ad uno sfoltimento dei reati con la depenalizzazione degli illeciti di minore allarme sociale; è sacrosanto ipotizzare una vasta gamma di pene alternative (gli stessi arresti domiciliari utilizzati quale pena irrogabile in luogo della reclusione, il lavoro a favore della collettività, le interdizioni da un’attività o da una professione, un complesso articolato di pene pecuniarie proporzionate alla capacità economica del reo). Appare, d’altronde, altrettanto ragionevole una pausa di riflessione nei confronti del cosiddetto “braccialetto”. Esso, introdotto da tempo fra gli strumenti ai quali affidare l’esecuzione della pena, non ha, fino ad ora, dato i frutti sperati. Il suo impiego è risultato costoso e soprattutto poco affidabile (diversi milioni pagati per circa 400/450 braccialetti di tecnologia obsoleta e quindi poco efficienti). Di qui, pertanto, l’opportunità di valutare se e come proseguire nell’esperienza, tanto più che la convenzione stipulata a suo tempo fra ministero dell’Interno e Telecom per la gestione di tale partita è in scadenza, e si presenta, di conseguenza, una rilevante opportunità per risparmiare. In linea di principio, pertanto, nulla da obbiettare al ministro: la linea imboccata va, sicuramente, nella direzione giusta. Ho, soltanto, un dubbio. La popolazione carceraria assomma, oggi, a 67.000 detenuti a fronte di 45.000 posti/carcere regolamentari. L’affollamento è, di conseguenza, assolutamente inaccettabile. Non a caso nelle carceri si è verificato, negli ultimi anni, un numero impressionante di suicidi e di tentativi di suicidio; di recente vi sono state violenze e sommosse destinate verosimilmente ad aumentare. Un intervento forte, in grado di rimediare ad una situazione non più sostenibile, sembrerebbe quindi indispensabile e urgente. Ed allora mi domando: che effetto avrà assicurare, con il previsto decreto-legge, la scarcerazione di 3.000/3.500 detenuti? Sarà un bene per i poco più di tremila fortunati che lasceranno il carcere. Ma per i restanti 63.000/64.000 che resteranno reclusi cambierà qualcosa? Mi domando, ancora: quale incidenza potranno avere, sulla sopra menzionata situazione d’insostenibile affollamento, gli ulteriori provvedimenti che il ministro pensa d’inserire nel successivo disegno di legge programmato? Come ho già detto, sul terreno della politica-criminale in materia di pena e di esecuzione penale le misure complessivamente ipotizzate vanno sicuramente nella direzione giusta. Con il tempo l’insieme di tali misure, unitamente alla costruzione di nuovi istituti carcerari predisposta dai precedenti Guardasigilli, potrà determinare una situazione caratterizzata da un rapporto più ragionevole fra numero di detenuti e numero di posti/carcere disponibili. Ma l’urgenza, oggi, è un’altra. Per ristabilire un minimo di umanità e di decenza nelle prigioni occorrerebbe ridurre entro pochi mesi, forse poche settimane, di quantomeno ulteriori 15.000 unità la popolazione carceraria. Ho letto che il ministro, nel tracciare il quadro delle cose fattibili in materia di giustizia da un governo tecnico destinato a durare poco più di un anno ed a convivere con una situazione politica difficile, ha dichiarato che avrebbe fatto soltanto proposte in grado di unire, mentre avrebbe scartato ogni iniziativa destinata a dividere. In questa prospettiva, facendo specifico riferimento al contesto carcerario, ha escluso che per risolvere la situazione avrebbe fatto, mai, ricorso ad istituti quali l’amnistia e l’indulto, attorno ai quali si sarebbe, a suo dire, inevitabilmente scatenata una bagarre. E se, per caso, la situazione nelle carceri dovesse diventare ingestibile? E se l’unico modo per ristabilire in qualche modo ordine e vivibilità fosse, proprio, il ricorso agli istituti di clemenza? Continuerebbe, il ministro, a chiudere ogni prospettiva a tale, a quel punto forse inevitabile, tipo di intervento? Giustizia: troppi ingressi in carcere, 70mila nuovi detenuti in un anno di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2011 Terapia soft o strong contro l’emergenza carceri? Le due opzioni sono sul tavolo del ministro della Giustizia Paola Severino in vista del Consiglio dei ministri pre-natalizio (venerdì o lunedì) che dovrebbe varare il pacchetto di misure anti-sovraffollamento. La popolazione carceraria ha infatti toccato il record assoluto nella storia della repubblica con 67.953 detenuti, 22.000 in più dei posti disponibili. E 28.636 erano in attesa di giudizio, il 42% del totale dei carcerati, ben sopra la media europea del 25%. Perciò, oltre ai provvedimenti già annunciati (si veda Il Sole 24 ore del 7 dicembre), la Severino vuole intervenire anche sulla custodia cautelare (sulla scia di quanto già messo in cantiere dal precedente governo), rendendo obbligatoria la detenzione ai domiciliari - piuttosto che in carcere - per gli imputati di reati puniti fino a 6 anni di reclusione. Un tetto che non coprirebbe gli autori di reati di spaccio, rapina, omicidio volontario, estorsione, furto, associazione mafiosa, violenza sessuale, ricettazione, destinati sempre “a finire dentro”, mentre coprirebbe altri potenziali clienti del carcere, per reati fiscali, di corruzione, resistenza a pubblico ufficiale, falso, che in caso di arresto finirebbero ai domiciliari. Ricetta soft, in questo caso, che ridurrebbe gli “ingressi” di circa 7-8mila persone e le presenze di poco più di un migliaio di detenuti. Le statistiche, infatti, dicono che dal 17 novembre 2010 al 17 novembre 2011 sono entrate in carcere a seguito di arresto, fermo o custodia cautelare, 68.411 persone, di cui 22.677 per violazione della legge sugli stupefacenti, 10.583 per furto, 6.649 per rapina, 3.592 per ricettazione, 3.463 per resistenza a pubblico ufficiale, 2.756 per estorsione, 1.695 per omicidio, ma il 17 novembre 2011 ne risultavano uscite 44.987 (la metà entro 3 giorni dall’ingresso e 9.652 entro 30 giorni); 23.524 - un terzo - sono invece ancora dietro le sbarre, e rientrano nei 28.636 detenuti in attesa di giudizio: un numero elevato in assoluto, meno se si considerano gli “ingressi” in carcere (circa 70-80mila persone ogni anno). È questo il cosiddetto “flusso”, spina nel fianco dell’amministrazione penitenziaria perché gli “ingressi” stressano il sistema, assorbendo risorse umane e materiali (dall’immatricolazione alle visite sanitarie alle traduzioni per celebrare le udienze). Di qui, appunto, l’idea di evitare il passaggio in carcere per gli arrestati destinati al rito direttissimo o per gli accusati di reati con pene fino a 6 anni. La ricetta strong - estendere la norma anche ad alcuni reati per i quali è prevista l’obbligatorietà della custodia in carcere - avrebbe ovviamente un impatto maggiore. Tra l’altro, su 28.636 detenuti in attesa di giudizio, due terzi sono recidivi. Questi e i tossicodipendenti sono stati i più colpiti dalle politiche sulla sicurezza degli ultimi anni, che li ha praticamente esclusi da ogni misura alternativa alla detenzione. Unica, piccola, deroga, la legge 199 del 2010, cosiddetta “svuota-carceri”, che consente di mandare ai domiciliari chi (anche se recidivo) deve scontare 12 mesi di prigione (come pena irrogata o residua). Il ministro vuole aumentare il tetto a 18 mesi (uscirebbero 3.300 detenuti, con un risparmio di 375mila euro al giorno): sei mesi in più rispetto a quanto oggi previsto, ma sei mesi in meno di quanto prevedeva l’ordinamento penitenziario (articolo 47 ter) prima che arrivasse la ex Cirielli, con cui le misure alternative al carcere sono scese ai minimi storici (nel 2005 erano 49.943, ora sono 23.861). Anche in questo caso, è prevalsa la “tolleranza zero” cavalcata dalla Lega per motivi di sicurezza, sebbene le statistiche dimostrino che con le misure alternative diminuisce la recidiva e quindi aumenta la sicurezza collettiva. Ma tant’è. Con queste resistenze politiche dovrà fare i conti il governo prima di scegliere la ricetta - soft o strong - sia sulla custodia cautelare che sulle misure alternative al carcere. Giustizia: il ministro Severino prova a rilanciare il “braccialetto elettronico” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2011 Sono tre le “emergenze” della giustizia che il governo considera “prioritarie”: l’efficienza della giustizia civile, una nuova mappa dei Tribunali e il sovraffollamento nelle carceri, giunto a livelli insostenibili che impongono risposte “stabili” e “immediate”, niente a che fare con l’amnistia e la costruzione di nuove prigioni, ma semmai con un più ampio ricorso alle misure alternative, compreso - perché no - il braccialetto elettronico. Indicare altre mète - come la riforma dei Codici penale e di procedura penale - sarebbe “fuorviante” considerato il poco tempo a disposizione. Bisogna essere “trasparenti” dice il ministro della Giustizia Paola Severino alla commissione Giustizia del Senato, illustrando le linee programmatiche dell’azione di governo e ottenendo il plauso di Pdl, Pd, Idv e Udc, una punta di delusione dei radicali, il silenzio della Lega. Anche in Parlamento, dunque, la Severino parte dal carcere e dai numeri del sovraffollamento (68.968 detenuti e 39.121 poliziotti a fine 2010), “non sostenibili e non compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali della persona”. Occorrono misure stabili, e l’amnistia non lo è. Occorrono interventi “immediati”, e la costruzione di nuove carceri non lo è (tra l’altro, bisognerà “valutare la compatibilità del piano di edilizia con i problemi economici gravanti sul Paese”). E allora: più spazio alla detenzione domiciliare, porte aperte alla “messa alla prova”, via libera a una “carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”, e - a sorpresa - rilancio del braccialetto elettronico, un “successo” in Europa e negli Usa, un “fallimento” in Italia. Dal 2001, lo Stato continua a pagare (alla Telecom dal 2003) 11 milioni di euro l’anno per 450 braccialetti (il contratto è in scadenza) senza di fatto averli mai utilizzati per un problema tecnico che sembra “irrisolvibile” (la rintracciabilità del segnale) ma che ora la Severino e il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, vogliono verificare, in funzione di un ampliamento delle misure alternative, distinguendo, ha aggiunto il guardasigilli, tra carcere preventivo e definitivo. “Se il problema non è irrisolvibile come sembra, si potrebbe varare un progetto per l’uso del braccialetto, con risparmi notevoli - osserva il guardasigilli -. È evidente che il suo costo sarebbe compensato dai risparmi derivanti dalla mancata detenzione. E sarebbe - insiste - un risparmio notevole”. Il governo punta quindi sulle misure alternative. A cominciare dalla detenzione domiciliare. Resta da capire se si vuole soltanto allargare l’area dei “clienti” della legge 199, che oggi consente di dare i domiciliari a chi ha un residuo pena di un anno, o se invece si vuole modificare la ex Cirielli del 2005, che ha fatto crollare da 44mila a 15mila le misure alternative, escludendole per i recidivi reiterati (con l’effetto paradossale che è tale il venditore ambulante di Cd condannato per la terza volta e non anche il rapinatore con una precedente rapina alle spalle o l’omicida primario). Finora, la Lega ha sempre bloccato ogni ipotesi di modifica della Cirielli, nonché l’introduzione della “messa alla prova” e ha frenato sul braccialetto elettronico. Ora che il Carroccio è all’opposizione, la strada potrebbe essere in discesa. “Risparmio ed efficienza” è stato il leit motiv dell’intervento del ministro sulle priorità del governo, che oggi saranno illustrare anche alla Camera. Coniugare risparmio ed efficienza è un imperativo anche per restituire efficienza alla giustizia civile, “legata all’economia del Paese”. “Molto è già fatto ma altro si può fare” ha detto la Severino, preannunciando investimenti per garantire l’informatizzazione di tutti gli uffici. Infine, ha ribadito l’impegno per una “risistemazione delle circoscrizioni giudiziarie”, di cui ci sono già le premesse normative con la delega approvata a settembre, “che va attuata” dando “massima attenzione a criteri oggettivi” e che consentirà di “realizzare un enorme risparmio”. Nessuno a palazzo Madama, neppure il Pdl, ha parlato di “prescrizione breve” né di altre “riforme” considerate prioritarie dal precedente esecutivo, rilanciate ieri da Silvio Berlusconi, come le intercettazioni. Si è parlato d’altro, e tutti hanno riconosciuto alla Severino un approccio “concreto”. Può sembrare “il libro dei sogni”, ha osservato lei. Ma, ha aggiunto, “a volte i sogni si realizzano”. La fornitura di Telecom Il braccialetto elettronico è un dispositivo per il controllo a distanza di detenuti in misura alternativa e persone ai domiciliari. Ieri è stato rilanciato dal ministro della Giustizia Paolo Severino. È stato introdotto nel 2001 dal governo D’Alema ma da allora lo strumento è stato poco utilizzato. Durante la sperimentazione un detenuto fugge. Dal 2001, lo Stato continua a pagare (alla Telecom dal 2003) 11 milioni di euro l’anno per 450 braccialetti (il contratto è in scadenza) senza di fatto averli mai utilizzati per un problema tecnico che sembra “irrisolvibile”. Giustizia: carceri incivili, è (sempre) emergenza di Luigi Iorio Il Riformista, 15 dicembre 2011 Con 61 decessi, condizioni igienico sanitarie inadeguate, mancanza di riscaldamento e sommosse come quelle di questi giorni ad Ancona e Parma l’emergenza carceri è sempre meno sotto controllo. Da ormai un decennio il sovraffollamento delle carceri provoca una serie di problematiche alle quali ancora non si è data nessuna risposta concreta. In una cella dove dovrebbero soggiornare soltanto 2 detenuti ve ne alloggiano almeno 6 e alle volte 8. Da questa situazione scaturiscono problematiche quali depressioni, condizioni igienico sanitarie ai limiti della vivibilità, insomma un non rispetto quotidiano dei diritti umani dell’individuo. Nella struttura di Montacuto, ad Ancona addirittura i detenuti sono 440 in una struttura che prevede di ospitarne solo 178. A queste condizioni disumane va aggiunto anche una emergenza di pubblica sicurezza, infatti con 1’aumentare dei detenuti non aumentano le forze dell’ordine penitenziarie. Da tempo socialisti e radicali denunciano senza mai avere delle risposte la vicenda, e se i socialisti non sono stati presenti in Parlamento fino a poche settimane fa, molte sono state le interrogazioni parlamentari a firma radicale con i Parlamentari Rita Bernardini e Mario Perduca ai ministri della Giustizia e della Sanità, in cui si segnalava il fatto che in molti istituiti i detenuti dormono su materassi per terra per il sovraffollamento, anch’esse finite nel dimenticatoio. Anche sulle carceri l’Italia è indietro agli standard europei, infatti la media Ue è di 97 detenuti su 100 posti letto disponibili, quella italiana è di 148 su 100, per poi arrivare a casi di esponenziali come nelle strutture di Catania, Ancona, Foggia e Napoli. Ormai i detenuti e le sigle sindacali della polizia penitenziaria parlano la stessa lingua, in quanto affermano che la situazione è insostenibile ed è ormai un caso nazionale. Gli ultimi dati nazionali forniti dal sindacato Uil penitenziari parlano di una popolazione carceraria che ha sfondato quota 68mila persone, a fronte di una capienza di 44.385 posti, 23.632 in più di quanto gli istituti potrebbero contenerne. Il sovraffollamento medio nazionale ha così raggiunto il 53,2%. A nulla è servito il monito del Capo dello Stato Napolitano mesi fa quando affermava che la condizione carceraria dei detenuti andava migliorata. Andrebbe approfondito anche il motivo per il quale 40 carceri costruite e terminate su tutto il territorio della penisola, l’esempio più lampante è quello di Gela in costruzione da 30 anni ed inaugurato 2 volte e poi chiuso, non vengono utilizzati per fermare l’emergenza; senza dimenticare quelli di Irsina, vicino Matera, costruito negli anni ‘80 con una spesa di oltre 3 miliardi di lire, quello di Morcone in provincia di Benevento e i tanti casi pugliesi; Minervino Murge, Monopoli dove la struttura, abbandonata da 30 anni, è occupata da un gruppo di cittadini sotto sfratto. In provincia di Foggia invece, non sono mai stati aperti quello di Volturata Appula, rimasto incompiuto, Castelnuovo della Daunia finito e arredato, Bovino ed Orsara. Questo è solo una parte del problema, infatti il problema in sé non si risolve solo aprendo nuove strutture penitenziarie; va inoltre riformata la giustizia penale in materia di misure cautelari, ed una concessione maggiore di arresti domiciliari per reati minori ad per individui non socialmente pericolosi. Di questo se ne dovrebbe occupare anche il nuovo governo Monti. Voltaire affermava che: “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. È giunto davvero il momento di dare priorità anche a questa emergenza. Giustizia: domani in Cdm il piano del ministro Severino per “svuotare” le carceri Ansa, 15 dicembre 2011 Il pacchetto di misure con le quali affrontare l’emergenza carceri - e non solo - approderà domani in Consiglio dei ministri, alla vigilia della visita, prevista per domenica, del Papa a Rebibbia alla quale parteciperà anche il ministro della Giustizia Paola Severino. Il primo punto all’ordine del giorno del Cdm di domani reca infatti “Provvedimenti urgenti per il settore della giustizia”. A via Arenula puntano sul maggior ricorso alle misure alternative al carcere: questa, infatti, è la ricetta che il ministro ha indicato nelle sue audizioni davanti alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato. L’attenzione è focalizzata in particolare sull’allargamento della detenzione domiciliare, cui si farebbe ricorso anche per chi ha ricevuto condanne definitive, almeno per il residuo pena fino a 18 mesi. Una misura che dovrebbe consentire di svuotare le carceri di almeno 3.300 detenuti con un risparmio di circa 370-380 mila euro al giorno. Ma si punta anche sull’estensione dell’istituto della messa alla prova, oggi previsto solo per i minorenni, anche agli adulti. Riguardo al braccialetto elettronico per il controllo a distanza dei detenuti, invece, Severino ha già detto di aver rinviato la decisione in attesa di dati certi sui costi dell’operazione. Un’altra misura è finalizzata ad evitare il meccanismo delle “porte girevoli”, cioè gli ingressi e le uscite dal carcere per soli pochi giorni: si stima, infatti, che ogni anno circa 20 mila persone entrano ed escono dagli istituti penitenziari nell’arco di tre giorni, provocando comunque un lavoro molto oneroso agli uffici. I provvedimenti sulla giustizia - tra cui anche misure per velocizzare il processo civile - saranno contenute in un decreto e in un disegno di legge delega al governo: quest’ultimo riguarderà, tra l’altro, la depenalizzazione di alcuni reati. Giustizia: Osapp; Governo appronti provvedimenti definitivi e duraturi non soliti palliativi Adnkronos, 15 dicembre 2011 “Non sappiamo granché, se non dalla lettura dei giornali, degli interventi che il Guardasigilli Severino si accinge ad approntare riguardo all’emergenza penitenziaria, anche tenuto conto che come sindacati della polizia penitenziaria non abbiamo ancora avuto modo di conoscere il ministro, ma da quello che apprendiamo si tratterebbe di interventi non dissimili da quelli che negli anni hanno portato a miglioramenti di portata provvisoria e di esigua durata”. Lo dichiara in una nota Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. “Con 68mila detenuti per 45.620 posti e con 9 regioni italiane su 20 hanno superato, persino, qualsiasi capienza tollerabile, con oltre 170 morti in un anno di cui più di 60 per suicidio, con 7mila poliziotti penitenziari in meno su 45mila previsti e con 2.300 addetti ai profili tecnico-amministrativi in meno su 8.500 in organico - prosegue il sindacalista - per le carceri occorrono un coraggio e una onestà intellettuale ben maggiori da quelli che abbiamo visto fino ad oggi e a cui solo nel 2006 ci si è avvicinati con un indulto a cui, però, sono difettati gli interventi strutturali che avrebbero impedito alle carceri di riempirsi nuovamente, anche se solo in minima parte (il 34%) di coloro che ne erano usciti”. “Anche per quanto riguarda le tanto vantate misure alternative alla detenzione, di cui si immagina chissà quale potenziamento - osserva Beneduci - l’attuale impegno della cosiddetta area penale esterna riguarda 45mila soggetti con risorse e mezzi che a mala pena riuscirebbero a sostenerne 15mila”. Secondo l’Osapp, poi “risulta assurdo anche solo immaginare, per restare nel concreto, che nelle attuali carceri italiane, con almeno il 40% delle infrastrutture da ristrutturare per gravi dissesti o fatiscenze, con le caserme del personale inidonee da anni persino a fungere da mero spogliatoio, con le mense che somministrano pasti sempre più scarsi e poveri di nutrimento, possano anche solo 60mila detenuti degli attuali 68 detenuti, come invece anche l’attuale Governo sembrerebbe disposto ad accettare”. “Per restituire nell’immediato e duraturo futuro al sistema penitenziario in Italia la funzione risocializzante prevista dalla nostra Costituzione - conclude Beneduci - occorre ripartire da zero e che la politica, se il Governo tecnico non ne ha la forza, trovi finalmente il coraggio di pronunciare apertamente la parola amnistia, quale unico provvedimento, se del caso condizionato a particolari condizioni, in grado di rendere il carcere giusto e non inumano ed iniquo per chi vi lavora e per chi sconta il proprio debito con la società”. Giustizia: Unione Camere Penali; politica faccia finalmente scelte coraggiose sulle carceri Il Velino, 15 dicembre 2011 Per realizzare la riforma penitenziaria e porre freno all’emergenza sovraffollamento, ci vogliono “scelte coraggiose, prevedendo misure alternative svincolate da lacci e lacciuoli che ancora le rendono di difficile e residuale applicazione, improntate come sono ad una legislazione penale che mette al centro il tipo di autore e privilegia, più che le istanze di tutela sociale della sicurezza, la propaganda securitaria”. Alla vigilia del decreto ad hoc che verrà presentato dal ministro della Giustizia, Paola Severino, l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane, in un documento, sollecita la politica a fare “delle scelte di fondo, culturali, prima ancora che politiche, e per ottenere questo bisogna avere un’idea complessiva ed omogenea del problema. Se si avrà il coraggio di fare questo - incalza l’Ucpi - saremo in presenza di quella auspicata inversione di tendenza che sino ad oggi la politica non ha saputo operare, e i penalisti saranno ancora una volta pronti a dare il loro contributo per porre rimedio alle illegittime condizioni delle carceri”. Misure quali quelle ipotizzate dal Governo, (dalla riforma della custodia cautelare che renda effettivamente eccezionale la detenzione in carcere, all’incremento di misure alternative come l’istituto della messa alla prova anche per la cognizione ordinaria, ovvero per operare una depenalizzazione di alcuni reati di minor allarme sociale e valutare i costi e l’effettiva applicabilità di strumenti elettronici per il controllo dei detenuti in regime domiciliare), aggiunge l’Osservatorio, “possono sortire l’effetto deflattivo previsto solo se avranno il coraggio di eliminare la maggior parte delle preclusioni soggettive ed oggettive che oggi paralizzano l’applicazione della legge Gozzini”. Inoltre, per la riuscita di una riforma strutturale “si devono innanzi tutto accantonare le logiche di esclusione che hanno caratterizzato la politica penitenziaria degli ultimi decenni, a destra come a sinistra”. L’Ucpi cita infine dati già noti della situazione penitenziaria attuale “ormai al collasso. Costringere oltre 68 mila persone in spazi destinati ad ospitarne 45 mila - si sottolinea - non è fisicamente possibile, così come è intollerabile, a causa di una carenza di organico per oltre 6.500 unità circa, costringere a turni massacranti gli operatori”. Infine, la cifra “che non può e non deve rimanere una fredda valutazione matematica - si conclude - delle morti in carcere: 180 fino a oggi nel 2011, e di queste 64 si sono suicidate; dal 2000 ad oggi i morti sono stati 1.750, di cui 630 per suicidio”. Giustizia: lettera al Ministro Severino; predisporre “evacuazione” degli internati in Opg di Donatella Poretti (Senatore Radicali-Pd) Notizie Radicali, 15 dicembre 2011 Gentile Ministro, la “prepotente urgenza” della situazione penitenziaria in particolare come epifenomeno di quella più complessiva della giustizia denunciata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano resta in attesa di soluzioni politiche che spero lei voglia suggerire e sottoporre al Consiglio dei Ministri domani, con forza. Sono certa che anche Lei è consapevole che un provvedimento blando come quello che viene enunciato dai media e che consentirà a 3300 detenuti di scontare gli ultimi sei mesi agli arresti domiciliari altro non sarà che un cucchiaino per svuotare l’oceano di illegalità in cui versano le carceri italiane. L’amnistia è l’offerta dei Radicali per interrompere la flagranza di reato da parte delle istituzioni italiane, come punto di partenza necessario per una riforma della giustizia. E nell’urgenza oggi da mettere subito all’attenzione del nuovo Governo occorre anche predisporre un piano per l’”evacuazione” degli internati dagli Ospedali psichiatrici giudiziari. In alcuni casi la loro destinazione saranno i reparti psichiatrici delle carceri e in altri le comunità terapeutiche. Comunque per più di mille pazienti, mai condannati perché “matti”, o ammattiti in carcere, è chiara l’incompatibilità con la detenzione in luoghi sanitariamente inadeguati e assolutamente irrispettosi dei principi costituzionali del diritto alla salute, della dignità della persona nonché della funzione riabilitativa che viene data alla pena. Il presidente della Repubblica nell’occasione del convegno del Senato di luglio ebbe parole anche per gli Opg definiti come “estremo orrore dei residui manicomiali, inconcepibile nei Paesi civili”, riconoscendo alla Commissione d’inchiesta sull’efficienza e l’efficacia del Ssn di compiere un passo importante verso la loro definitiva chiusura. Per una felice coincidenza quelle parole arrivarono nel giorno in cui la nostra Commissione presieduta dal senatore Ignazio Marino aveva notificato dei provvedimenti giudiziari in cui oltre a sequestrare alcune celle, dava 6 mesi di tempo per adeguarsi alla normativa nazionale e regionale in merito ai requisiti minimi per le strutture riabilitative psichiatriche. In caso di inottemperanza delle disposizioni si sarebbe disposto il sequestro dell’intera struttura. La scadenza si avvicina e nulla nei nostri Opg è stato fatto in questa direzione. Sono stati adeguati a norma di legge i sistemi antincendio di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) e Montelupo Fiorentino (Firenze), sono stati chiusi reparti e celle anche ad Aversa. Sono state fatte opere di manutenzione ordinaria delle strutture, si è avviato un processo più rapido delle dimissioni sollecitando interventi e prese in carico da parte delle Asl e Dsm competenti. Ma la situazione complessivamente è ancora invariata. Cosa succederà allora a queste strutture e agli internati a due mesi dalla scadenza del provvedimento che ne decreta la chiusura? Alcune strutture potranno essere riconvertite in istituti penitenziari quali già sono come Secondigliano e Reggio Emilia, ma forse anche Barcellona Pozzo di Gotto, altre come Montelupo Fiorentino forse potrebbe essere ripensata e riconsegnata alla sua funzione di Villa Medicea che si affaccia sull’Arno e perché no, rivenduta per destinarla ad altro. Ecco perché occorre predisporre con urgenza un piano di “evacuazione” in collaborazione con i ministri di Giustizia e Salute prendendo a modello ciò che fu fatto per la chiusura dei manicomi più grossi come previsto dalla legge 180, per programmare il destino dei nostri mille e più internati a partire dall’inizio dell’anno. Come senatori componenti della commissione d’inchiesta abbiamo depositato e offerto anche un disegno di legge che scandisce tempi e modi per mettere la parola fine a questa brutta vicenda. Se non ora, quando? Giustizia: il Parlamento Europeo chiede a Stati membri misure urgenti per diritti detenuti Ansa, 15 dicembre 2011 Il Parlamento europeo ha approvato oggi una risoluzione con cui chiede agli Stati membri di adottare misure urgenti per garantire la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti nell’Ue tramite standard minimi comuni. L’obiettivo dell’Eurocamera è assicurare in particolare il diritto alla difesa e all’accesso a un avvocato oltre alla garanzia dei diritti degli indagati e degli imputati, compreso il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti e la possibilità di comunicare al momento dell’arresto. Gli eurodeputati hanno indicato che la popolazione carceraria è in aumento, le carceri nell’Ue sono sovraffollate e aumentano i casi di suicidio. Dal libro verde della Commissione Ue risulta che i paesi con il maggior sovraffollamento carcerario in Europa sono Italia, Bulgaria, Cipro, Spagna e Grecia, mentre Lussemburgo e Cipro hanno il numero più alto di detenuti in attesa di giudizio, su una popolazione carceraria stimata di 633.909 unità nel 2009/2010. L’Europarlamento ha chiesto anche standard uniformi per il risarcimento delle persone ingiustamente detenute o condannate. Tra gli europarlamentari che hanno presentato la risoluzione ci sono Rita Borsellino, Roberto Gualtieri, Silvia Costa, per il gruppo S&D, Salvatore Iacolino, Roberta Angelilli, Mario Mauro, Erminia Mazzoni, per il Ppe e Niccolò Rinaldi, Andrea Zanoni per il gruppo Alde. Iacolino (Pdl): nel 2010 i detenuti in Europa erano 634mila “Lo spropositato aumento della popolazione carceraria nell’Ue, nel 2010 pari a 634 mila unità, deve spingere gli Stati membri ad adottare misure urgenti per garantire che siano rispettati e tutelati i diritti fondamentali dei detenuti, degli indagati o degli imputati, compreso il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti”. Lo ha detto l’europarlamentare Salvatore Iacolino (Pdl) durante la discussione sulle condizioni detentive nell’Ue. “La Commissione - ha indicato Iacolino - deve invitare gli Stati membri a stanziare più risorse per la ristrutturazione e l’ammodernamento delle carceri, a tutelare i diritti dei detenuti, a riabilitare e preparare con successo i detenuti per il rilascio e l’integrazione sociale, a fornire alla polizia e al personale carcerario una formazione ispirata alle moderne pratiche di gestione delle carceri e agli standard europei in materia di diritti dell’uomo, a monitorare i prigionieri che soffrono di disturbi mentali e psicologici e a creare una linea specifica nel bilancio Ue al fine di incoraggiare tali progetti”. Giustizia: processo per la “squadretta” di pestatori a Sollicciano, Associazioni parte civile di Eleonora Martini Il Manifesto, 15 dicembre 2011 L’accusa dei pm: “Calci, pugni, schiaffi e bastonate”. Antigone e L’Altro diritto si costituiscono parte civile. Punizioni “non consentite dalla legge”, percosse “con manici di scopa in legno fino a spezzarli”, calci, pugni e schiaffi sul viso e sul corpo. A processo una “squadretta” di agenti penitenziari che avrebbe usato violenza su alcuni detenuti nel carcere di Sollicciano, a Firenze. “Misure di rigore illegali” che si aggiungono alla “normale” tortura dì Stato. Punizioni “non consentite dalla legge”, percosse “con manici di scopa in legno fino a spezzarli”, calci, pugni e schiaffi sul viso e sul corpo. Le violenze che una “squadretta” di poliziotti penitenziari avrebbe usato su alcuni detenuti nel carcere di Sollicciano, a Firenze, tra il settembre e il dicembre 2005, si aggiungono - se il processo che si è aperto lunedì scorso confermerà le accuse mosse dal sostituto procuratore fiorentino Concetta Gintoli contro cinque agenti, di cui uno nel frattempo è deceduto - alla “tortura di Stato” che normalmente subisce chiunque venga recluso nelle celle italiane. “Una grande sofferenza”, l’ha definita (la tortura legale, non quella illegale) il neo Guardasigilli Paola Severino che, dopo aver appreso la notizia di altri due suicidi nella sola giornata di ieri, nei carceri di Busto Arsizio (Varese) e di Civitavecchia (Roma) - e siamo a 64 dall’inizio dell’anno -ha promesso di portare sul tavolo del Consiglio dei ministri di domani, o comunque entro Natale, un pacchetto di norme per tentare di risolvere almeno il problema del sovraffollamento. Misure tampone ovviamente, perché di amnistia come chiedono da tempo i Radicali non se ne parla nemmeno. Però sembra che la ministra abbia almeno fatto un mezzo passo indietro sul braccialetto elettronico, “non definitivamente accantonato ma solo rinviato” per maggiori approfondimenti; e in tempi di crisi è difficile che pensi di proporre nuovamente il piano di edilizia carceraria. Piuttosto, al momento i tecnici del ministero starebbero lavorando ad ampliare il piano svuota carceri varato nel dicembre 2010 da Angelino Alfano: prolungando fino a 18 mesi di pena residua il requisito per poter beneficiare di pene alternative al carcere, si potrebbero liberare 3-4 mila dei 67 mila detenuti in celle che ne possono contenere al massimo 45 mila. Decisamente, non un colpo di genio. E sembra incredibile che debba intervenire la Cassazione a ribadire un concetto lapalissiano: “In presenza di gravi patologie - è la sentenza che ieri ha dato ragione a un detenuto ricorrente - si impone la sotto-posizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture”. Invece, alle violenze “non consentite dalla legge” ci pensano al momento solo le procure. A Firenze, le accuse formulate dal pm Gintoli sono già arrivate in dibattimento davanti al giudice Maria Dolores Limongi e nella prima udienza di lunedì scorso anche le associazioni Antigone e L’Altro diritto si sono costituite parte civile. In calendario, la seconda udienza è fissata a luglio prossimo. La “squadretta” di cinque poliziotti penitenziari di Sollicciano - di cui uno, morto, risulta “recidivo specifico” - che “in concorso tra loro” avrebbero sottoposto a violenze psichiche e fisiche alcuni detenuti, italiani e immigrati, sarà giudicata per “lesioni volontarie aggravate” e “abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione e con l’arma”. Secondo la ricostruzione della procura, che porta tra le altre fonti di prova la stessa segnalazione del Provveditorato regionale e la relazione ispettiva del Dap, oltre agli accertamenti clinici e alle testimonianze delle associazioni di volontariato presenti nella Casa circondariale, la “squadretta” agiva nell’ufficio del capoposto e nelle celle dei detenuti. Colpiva con calci, pugni e schiaffi, e in un’occasione anche con un manico di scopa in legno “sino a spezzarglielo addosso in più parti”. “Misure di rigore non consentite dalla legge”, le chiamano gli inquirenti. Succede però che anche se fossero confermate tutte le accuse, i quattro agenti (uno nel frattempo è morto) non rischiano molto: “Non più di due o tre anni - spiega l’avvocato delle associazioni, Michele Passione - lo sforzo è quello di arrivare a sentenza prima che i reati si prescrivano, nel giugno 2013”. Ma non è neanche questo il punto. “Non sempre i fatti di violenza prodotti da squadrette penitenziarie illegali arrivano a giudizio - commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Perciò in quelle rare volte in cui ciò avviene è interesse pubblico assicurare giustizia alle vittime”. Ecco perché a Firenze, dice, “ci siamo costituiti parte civile”. “Ma vorremmo che al processo - aggiunge Gonnella - come anche nel caso di Stefano Cucchi o della squadretta di Asti, fosse presente anche lo Stato. Sarebbe un segno di rispetto profondo della legalità”. E la legalità dice che le persone in carcere vanno trattate con dignità. E, perlomeno, non vanno pestate. Giustizia: Cicchitto (Pdl); troppi tossicodipendenti in carcere, depenalizzare reati minori Ansa, 15 dicembre 2011 “Va valutata positivamente la decisione della Corte di Cassazione di consentire gli arresti domiciliari ai detenuti che sono malati gravi. La tutela della vita viene prima di tutto, specie nella situazione nella quale lo Stato non è in grado di garantire a molti detenuti le condizioni di una vita carceraria decente”. Lo dice il capogruppo del pdl alla Camera Fabrizo Cicchitto. “In questa situazione, poi - aggiunge - il discorso va sviluppato sia per quello che riguarda la regolazione della carcerazione preventiva, sia per quello che riguarda la depenalizzazione dei reati minori compresi quelli che portano le carceri italiane ad essere piene di tossicodipendenti con la conseguenza di aggravare e non di risolvere neanche minimamente questo gravissimo problema. Attendiamo con interesse quale sarà il decreto preannunciato dal Ministro Paola Severino del quale non sappiamo nulla”. Sardegna: Ladu (Pdl); Consiglio regionale istituisca Garante per i detenuti Adnkronos, 15 dicembre 2011 “Preoccupato per gli ultimi gravi episodi avvenuti nel carcere di Buoncammino”, dove due detenuti si sono suicidati nel giro di una settimana, Silvestro Ladu (Pdl), presidente della Commissione Diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo, con la quale chiede la convocazione urgente del Consiglio regionale con all’ordine del giorno la nomina della figura del Garante per i detenuti, prevista dalla legge regionale numero 7/2011”. Ladu, nella lettera, rimarca “la gravissima situazione in cui versa tutto il sistema carcerario sardo; e quanto accaduto nei giorni scorsi nel carcere cagliaritano, prima e dopo la visita del Ministro Guardasigilli Paola Severino, è il segnale dell’urgenza con cui andrebbe fatta la nomina del Garante, a distanza di dieci mesi dall’approvazione della legge”. “La condizione di precarietà in tutti i penitenziari - spiega - è stata più volte denunciata dalla Commissione, che, fin dall’inizio della legislatura, ha effettuato visite e sopralluoghi in numerosi istituti di pena della Sardegna”. Il 4 dicembre scorso nel carcere cagliaritano di Buoncammino si è suicidata, impiccandosi nel bagno della cella che condivideva con altre 4 detenute, Monia Bellofiore, 41enne accusata dell’omicidio della madre, Maria Irene Sanna, avvenuto il 28 ottobre scorso. Ieri un 25enne algerino, Feres Fabachb, 25 anni, si è impiccato nella propria cella del centro clinico. Lazio: il governatore Polverini; l’Icam per madri detenute sorgerà nel parco di Aguzzano Il Velino, 15 dicembre 2011 Il governatore laziale: Dalla Regione risposta concreta ai figli di detenute con meno di tre anni. “Sorgerà nel Parco di Aguzzano, all’interno di Roma Natura, l’Icam, l’Istituto di custodia attenuata per le detenute madri nel Lazio”. Lo dichiara la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. “Attraverso l’Icam - aggiunge Polverini - diamo una riposta, molto attesa, ai bambini che hanno meno di tre anni, figli di detenute, costretti a vivere all’interno degli istituti penitenziari. Una problematica con cui ho avuto modo di confrontarmi nelle tante visite che ho effettuato nelle carceri del nostro territorio e per la cui soluzione mi ero impegnata anche durante l’udienza con il Santo Padre lo scorso gennaio. Nel Parco di Aguzzano i bambini troveranno un ambiente più consono ai loro bisogni, una struttura immersa nel verde, fermo restando il rispetto dei requisiti richiesti per la detenzione attenuata. Dopo un lungo e proficuo lavoro di collaborazione con il Dap anche nel Lazio, seconda regione dopo la Lombardia, l’Icam finalmente diventa realtà”. “Abbiamo espletato l’iter amministrativo, anche con il nulla osta del Dap, per procedere all’attivazione dell’Icam - spiega l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi - ora si tratta solo di attendere tempi tecnici per portare la delibera di istituzione all’approvazione prima della giunta e poi del Consiglio regionale dove siamo certi non mancherà il sostegno unanime ad un progetto importante per migliorare le condizioni di vita di tanti piccoli figli di mamme detenute”. Napoli: detenuto stranieri si suicida nel carcere di Secondigliano Adnkronos, 15 dicembre 2011 Ne dà notizia il Sappe. L’uomo, straniero, con fine pena nel 2015, si è impiccato. Un detenuto straniero, con fine pena nel 2015, si è impiccato ieri sera nel carcere di Napoli Secondigliano. Ne dà notizia il Sappe, sindacato autonomo di Polizia penitenziaria. “La situazione penitenziaria è ogni giorno di più triste e drammatica. L’ennesimo suicidio lo conferma - commenta il segretario generale del Sappe, Donato Capece - E la Polizia penitenziaria è lasciata sola a fronteggiare tutte le emergenze quotidiane, come anche la megarissa tra detenuti a Marassi”. “L’unico appello che ormai ci sentiamo di fare è al Capo dello Stato, sempre sensibile alle criticità delle carceri: solo la sua autorevolezza - conclude Beneduci - può contrastare l’indifferenza della politica alle problematiche del sistema”. Busto Arsizio: detenuto inala gas da bomboletta e muore, a gennaio sarebbe tornato libero Dire, 15 dicembre 2011 Aveva inalato il gas di una bomboletta, probabilmente per cercare lo “sballo”, ma gli è stato fatale. Un marocchino di 26 anni è morto martedì nel carcere di Busto Arsizio (Varese). Il giovane, tossicodipendente, era detenuto per furto e sarebbe dovuto tornare in libertà a gennaio. Si trovava da solo in cella quando avrebbe inalato il gas di una bombola che i detenuti utilizzano per cucinare. Il personale del carcere ha trovato il corpo senza vita riverso a terra, attorno alle 14.30 di, dopo che alcuni compagni hanno lanciato l’allarme. A provocare il decesso sarebbe stata l’asfissia, o un malore dovuto proprio all’assunzione della sostanza dalla bomboletta, che è stata trovata vicino al cadavere. Il pm di Busto Arsizio Francesca Parola ha disposto l’autopsia del giovane per chiarire le cause della morte. “Oggi ci sono stati altri due suicidi nelle carceri: è una grande sofferenza”, ha dichiarato il ministro della giustizia Paola Severino, a Bruxelles. “Ho visitato il carcere; so quanto dolore ci sia nell’espiazione e quanto sia difficile affrontare tutto questo”. L’altro caso è avvenuto a Civitavecchia: in questo caso il detenuto, anche lui straniero, voleva sicuramente togliersi la vita, perché si è impiccato. Roma: suicidio nel carcere di Civitavecchia, c’è l’ipotesi di omicidio colposo Ansa, 15 dicembre 2011 La Procura della Repubblica di Civitavecchia ipotizza l’omicidio colposo per il suicidio del detenuto greco di 30 anni, che si è impiccato ieri nel carcere di borgata Aurelia, dove era detenuto per traffico internazionale di stupefacenti. L’ipotesi di reato, al momento nei confronti di ignoti, è legata alle condizioni psichiche del giovane, che versava in uno stato di profonda depressione legata al regime carcerario, motivo per il quale era sotto sorveglianza speciale. Incensurato, di buona famiglia e laureato, D.M. (queste le iniziali del suicida) era stato trovato in possesso di droga ed arrestato qualche mese fa all’aeroporto di Fiumicino. Proseguono intanto le indagini dei carabinieri, mentre per domani è prevista l’autopsia. Genova: Sappe; maxi rissa nel carcere di Marassi, marocchini contro albanesi Agi, 15 dicembre 2011 Sei detenuti feriti nello scontro scoppiato durante l’ora d’aria. Il sindaco Vincenzi: “Vergognoso sovraffollamento”. Maxirissa nel cosiddetto “cortile passeggi” del carcere di Marassi. Una trentina di detenuti, albanesi da una parte e marocchini dall’altra, hanno dato vita a una scazzottata durante l’ora d’aria nel cortile dove si trovavano circa 180 detenuti. La rissa, che ha visto sei detenuti feriti e trasferiti sotto sorveglianza in ospedale, è stata sedata da una decina di agenti di sorveglianza. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza - scrive in una nota il segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli - Lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nel penitenziario di Marassi perennemente sovraffollato a tutto discapito dell’operatività e della sicurezza dei Baschi Azzurri”. Sull’episodio è intervento il sindaco di Genova, Marta Vincenzi: “La rissa rende ancora più esplosiva la situazione nella quale operano gli agenti degli istituti penitenziari. Il vergognoso e inumano sovraffollamento delle celle e la diversità linguistica, culturale, etnica e religiosa creano una miscela esplosiva che deve richiamare l’attenzione del Governo e delle forze politiche. Senza risorse adeguate da assumere con misure urgenti contro il sovraffollamento a tutela dei diritti umani, ma anche per tutelare le guardie penitenziarie, si rischia il collasso dei nostri istituti di pena”. Trento: pet therapy per detenuti tossicodipendenti, iniziativa di Comunità San Patrignano Ansa, 15 dicembre 2011 Con un cerimonia alla casa circondariale di Spini di Gardolo (Trento) sono stati consegnati certificati di frequenza di “Educatori e conduttori di cani sociali” al gruppo di dieci detenuti tossicodipendenti che hanno partecipato al corso di recupero organizzato dalla comunità di San Patrignano in collaborazione con la direzione del carcere. Il corso, durato tre mesi, puntava a far riconquistare l’autostima ai detenuti grazie all’uso della pet therapy, uno degli strumenti di riabilitazione che la comunità di San Patrignano ha attuato tra le prime in Italia. Alla cerimonia erano presenti la direttrice Antonella Forgione e l’assessore alla convivenza sociale Lia Giovanazzi Beltrami. “Presso il Cinformi esiste da un paio d’anni uno sportello per i detenuti immigrati proprio per attuare corsi di recupero e impegno sociale - ha affermato Lia Beltrami -. In provincia di Trento i detenuti immigrati rappresentano circa il 70% del numero totale di detenuti”. Taranto: un convegno su tossicodipendenze, carceri, misure alternative alla detenzione Giornale di Puglia, 15 dicembre 2011 “Le tossicodipendenze, le carceri, le misure alternative alla detenzione: perché la cura valga la pena”. Questo l’argomento affrontato in serata nel corso di una conferenza stampa, voluta fortemente dal consigliere comunale, Gionatan Scasciamacchia, il quale unitamente al sindaco di Taranto, Ippazio Stefano e all’Assessore alla cultura, Mario Pennuzzi, ha organizzato un dibattito pubblico per spiegare alla cittadinanza l’importanza delle comunità terapeutiche e del loro intervento sul detenuto tossicodipendente attraverso un percorso riabilitativo. Alla conferenza erano presenti anche, il dott. Giovanni Aquilino, dirigente ai servizi sociali, il dott. Massimo Brandimante, presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto, il dott. Vincenzo Simeone, direttore dell’Asl di Taranto, del dipartimento dipendenze patologiche, il dott. Francesco Resta, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale S. G. Moscati di Taranto, e la dott.ssa Anna Paola Lacatena, sociologa presso il dipartimento delle dipendenze patologiche dell’Asl di Taranto. L’iniziativa nasce proprio per far fronte all’emergenza del sopraffollamento carcerario, che conta ancora oggi 70.000 detenuti, di cui solo il 25% tossicodipendenti. Secondo l’assessore Pennuzzi, l’unico rimedio per affrontare lo stato di assoluta emergenza è quello di mettere a disposizione dei più deboli non soltanto risorse economiche, ma è necessario che ci sia soprattutto l’intervento del privato sociale e del volontariato. Dunque l’obiettivo è quello di concedere ai detenuti lo stato di semilibertà, purché compiano lavori socialmente utili, in modo tale che “la pena arrivi ad avere una funzione riparativa verso la società”, spiega il dott. Brandimante. Si evita inoltre che il detenuto ozii in una cella, stimolando il suo senso di responsabilità nei confronti della società e rieducandolo ad una vita corretta per giungere al miglioramento del proprio vivere sociale. Reggio Emilia: è durata un giorno la fuga di un internato dall’Opg Apcom, 15 dicembre 2011 Ritrovato ieri a Parma il detenuto per omicidio che si era allontanato lunedì durante un permesso premio. Era seminudo e si stava ferendo con una lametta. È durata poco la fuga di Kamel Souki, l’algerino detenuto all’Opg per omicidio e tentato omicidio, che lunedì scorso si era dileguato durante un permesso premio. È stato ritrovato ieri mattina alla periferia di Parma. Il 45enne è stato notato da alcuni passanti, che hanno avvertito le forze dell’ordine. L’uomo infatti si aggirava, seminudo, in via don Minzoni, nella vicina città, e si infliggeva ferite con una lametta. È stato portato nel carcere di Parma. La fuga era avvenuta lunedì. Ricevuto un permesso di otto ore dal magistrato di sorveglianza, si stava recando in un centro commerciale accompagnato da due sanitari volontari, quando aveva fatto perdere le proprie tracce salendo su un’auto. Non sono emerse altre responsabilità: chi gli ha dato un passaggio evidentemente non sapeva chi fosse. Nella struttura di via Settembrini doveva restare fino a 2023. Era giunto a Reggio alcuni anni fa, trasferito da un carcere lombardo dopo che gli era stata diagnosticata una malattia psichiatrica. Israele: accordo con Hamas, presto saranno scarcerati altri 550 detenuti palestinesi Tm News, 15 dicembre 2011 Israele ha iniziato i preparativi per scarcerare altri 550 detenuti palestinesi in base all’accordo con Hamas che ha consentito il ritorno a casa di Gilad Shalit, rimasto ostaggio del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza per più di cinque anni. Lo riporta il sito web del quotidiano israeliano Haaretz. Lo scorso 18 ottobre Israele aveva già scarcerato 477 detenuti in cambio della liberazione di Shalit. Le autorità carcerarie israeliane hanno diffuso su internet la lista dei detenuti che saranno rimessi in libertà, e i cittadini israeliani hanno 48 ore per appellarsi contro la loro scarcerazione. Mentre nel primo gruppo rilasciato in ottobre c’erano anche palestinesi condannati all’ergastolo per attentati terroristici, nessun detenuto incluso nella lista dei 550 risulta condannato per omicidio. Tra essi c’è il franco-palestinese Salah Hamouri. La scarcerazione dovrebbe avere luogo domenica.