Giustizia: carceri… gli impressionanti porcili italiani di Luigi Amicone Tempi, 10 dicembre 2011 L’amnistia è l’unica parola mai evocata da Monti e dribblata dal ministro Severino. Ma le galere scoppiano, l’Europa ci condanna e le mancate riforme della giustizia bloccano ogni ripresa. Nella sua prima audizione parlamentare il neo ministra della Giustizia ha dato l’impressione di una signora che raccontava alle sue amiche la passeggiata di un yorkshire inseguito da un mastino. Messe le mani avanti (“riforme non ne possiamo fare”) l’avvocato Paola Severino ha proposto “risparmi”, “tagli”, riflessioni su “pene alternative” e “braccialetto elettronico”. Cosi, date queste premesse, è proprio solo in materia di giustizia che Mario Monti si è fatto mancare la parola. Nemmeno sulla richiesta di amnistia - che ha unito ai soliti pannelliani le organizzazioni sindacali del circuito penitenziario, associazioni di volontariato, mondo cattolico, giornalisti - il presidente del Consiglio ha speso un solo grano del suo rosario fitto di sobrietà, rigore, equità. Eppure, è proprio sull’amministrazione della giustizia che l’Europa ci ha condannato e ci condanna severamente. Come la spazzatura disegna Napoli, cosi la tortura - si, la tortura - disegna i luoghi di detenzione in Italia entro spazi molto più angusti di quelli assegnati dalle direttive comunitarie ai verri nei porcili. Domenica 4 dicembre, mentre Super Mario metteva a punto le ultime note per la Conferenza stampa e il suo “discorso agli italiani”, l’onorevole radicale Rita Bernardini entrava a san Vittore. E l’istantanea è questa. Capienza regolamentare: 600 detenuti; persone detenute: 1.600. Metri quadrati a disposizione per detenuto secondo la disposizione di legge: 7 metri quadrati. A Milano - San Vittore: da 1,3 metri quadrati - nelle celle da sei - a 2,5 nelle celle da nove. Superficie minima regolamentare per l’alloggiamento dei suini: 6 metri quadrati. Stato giuridico dell’85 per cento dei ristretti: imputati in attesa di giudizio. Dunque, col detenuto lo Stato italiano non ci potrebbe fare nemmeno gli insaccati di maiale. Figuriamoci se ci fa l’articolo 27, terzo comma, della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso eli umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Di qui la disperazione del nostro capo dello Stato. “Situazione carceraria che ripugna alle coscienze e alla Costituzione”, “Prepotente urgenza”. “Emergenza assillante”, Di tutta questa disperazione cosa dicono il decreto salva Italia e i provvedimenti “impressionanti” per restituire “credibilità” al nostro paese nel mondo? Dicono niente. In piedi, rimane solo lo sciopero della fame di Marco Palmella. Secondo i dati del ministero di Giustizia, al 31 ottobre 2011 nelle carceri italiane erano 67.510 i reclusi (di cui più di un terzo stranieri, 24.923, il 36 per cento) contro i 45.572 regolamentari. Un affollamento record (e costantemente in crescita) che eccede del 48 per cento la capienza regolamentare, Altro record: la custodia cautelare. Al giugno 2011, quasi la metà dei detenuti in Italia era in attesa di giudizio. Il 43 per cento contro una media Ue del 25. E l’Europa ci condanna. “Si tratta - ha commentato il commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti umani Thomas Hammarberg - di persone non ancora giudicate in sede processuale. Esse sono in linea di principio innocenti. L’abuso della custodia cautelare è quindi una questione di diritti umani”, In Germania i detenuti in attesa di giudizio rappresentante il 17,1 per cento della popolazione carceraria, in Inghilterra il 18, in Francia il 25,1. Quanto alla spesa pubblica: un detenuto costa giornalmente 138 euro all’erario italiano. Circa 3 miliardi l’anno. L’80 per cento se ne va in stipendi per i 48 mila dipendenti Dap (polizia e uffici), il 13 per cento per mantenimento dei detenuti (vitto, alloggio, sanità), il 4,4 per cento per la manutenzione e il 3,4 per cento per il funzionamento (gas, elettricità) delle strutture carcerarie. Nota bene: il costo relativo al personale è aumentato di 5 punti negli ultimi 4 anni, mentre tutte le altre voci (mantenimento detenuti, manutenzione e funzionamento strutture) sono diminuite del 31 per cento. Quanto pesano sui costi complessivi giornalieri le attività rieducative e di reinserimento sociale del detenuto? 11 centesimi. Quanto alle grida belluine di chi sostiene che un’amnistia minaccerebbe la sicurezza del paese. A un tasso medio di recidiva ordinaria del 68 per cento tra la popolazione detenuta, si osserva che i beneficiari dell’indulto 2006 hanno una recidiva del 30,3 per cento (pressoché identica a coloro che scontano la pena in misure alternative al carcere) e che la recidiva tra gli indultati che già scontavano pene alternative scende addirittura al 21 per cento. Se tutti insieme i 67.510 residenti nelle nostre prigioni sollevassero a Strasburgo il caso delle loro condizioni di detenzione, all’Italia non basterebbe un’altra manovra Monti per pagare il dazio della persistente flagranza di reato in violazione delle leggi italiane e del diritto internazionale. Ma non occorre Strasburgo, basterebbe qualsiasi tribunale di sorveglianza indigeno. A rigore di legge italiana, infatti, quasi la metà dell’intera popolazione attualmente detenuta potrebbe ottenere lo stesso risarcimento per “danno esistenziale” che ha ottenuto nel settembre scorso da un tribunale di Lecce un recluso nel carcere di Borgo San Nicola, dove sono ristrette 1.400 persone a fronte di una capienza di 700, Certo, ad impossibilia nemo tenetur. Nessuno può fare cose impossibili. Perciò la sentenza di Lecce resterà isolata. Ma fino a quando? Lunedi 5 dicembre, nel carcere di Bologna dove sono reclusi in 1.100 (capienza: 480), si è suicidato il sessantesimo detenuto dall’inizio dell’anno. Fino a quando? Deve succedere come a Napoli, dove “la vergognosa emergenza” (cosi il commissario Ue all’Ambiente) sta per provocare all’Italia “una multa colossale” (cosi il capo dei commissari Ue)? Deve succedere che i radicali impazziscano fino a sentirsi in dovere di organizzare tra i detenuti un ricorso all’Alta Corte Europea? Ma non si tratta solo di carceri. L’altra faccia della giustizia in Italia, l’ha fotografata il 29 novembre scorso il numero due del Csm, Michele Vietti. “I processi civili e penali pendenti sono rispettivamente 5 milioni e un milione e 300 mila, mentre la Cassazione smaltisce circa 30 mila ricorsi civili e 50 mila penali l’anno e ha circa 100 mila processi pendenti arretrati. Il tutto mentre la Corte Suprema Usa, che corrisponde alla nostra Cassazione e alla nostra Corte costituzionale assieme, decide 75 - 80 processi l’anno”. Sono vent’anni che il pieno mediatico - giudiziario e il vuoto di politica si fronteggiano e azzerano ogni servizio di giustizia reso alla comunità. Oggi, vigilia di Anno Domini 2012, l’Ong Transparency International sostiene che l’Italia è il paese più corrotto d’Europa. Come mai, visto che la “questione morale” è il chiodo fisso dei repulisti che si succedono dal 1992? Quando l’orizzonte della verità si fa parziale è inevitabile che produca il contrario del giusto. Ed è cosi che è andata in Italia. È andata male per un manipulitismo senza l’intera realtà e verità. Anzi. È andata malissimo. L’indice di corruttela è schizzato come lo spread proprio mentre i magistrati assumevano l’aura di salvatori e passavano dalla tv alla politica formando un corpo d’élite con poteri di veto su ogni riforma della giustizia (giacché, Berlusconi regnante, sarebbe stata immancabilmente “punitiva” e “ad personam”. Nei frattempo il processo penale e civile moriva. Eppure, la fame del giustiziere anti politico non si placa. Con qualche paradosso, però, Come quando arrestano un giudice del tribunale fallimentare di Firenze o dell’antimafia di Reggio Calabria. Non c’è mai molto rumore mediatico intorno a questi fatti. Però, succede, inizia a farsi strada l’idea di Sinjavskj secondo cui “solo quando ti buschi una malattia venerea cominci a capire che tutti gli uomini sono puliti”. E che se non c’è giustizia senza politica, non c’è neanche quando la misericordia non tempera il giudizio. Ecco, se tutto ciò non fosse un pezzo consistente del ventennio che ha sprofondato l’Italia nella crisi, tutto ciò potrebbe rivelarsi un sogno, Come il sogno di una neo - ministra della Giustizia a cui un’amica rivelasse: “Sai che il yorkshire ha ammazzato il mastino?”. “Non ci posso credere, e come ha fatto?”. “Gli è rimasto incastrato in gola”. Giustizia: 4.000 detenuti fuori con la “svuota-carceri”… portare a 24 mesi il residuo pena di Claudia Fusani L’Unità, 10 dicembre 2011 Nel 2011 il Dap ha ottenuto i domiciliari per quattromila detenuti con un anno di residuo pena e buona condotta. Il 99% ha rispettato le prescrizioni. Il Dap; “Recluso in casa chi deve scontare ancora 18 - 24 mesi”. Severino: “In Cdm per Natale”. “Stiamo studiando la possibilità di far scontare gli ultimi due anni di detenzione definitiva a casa. La nostra proposta, che il ministro Severino ha accolto con favore, si basa sull’esperienza positiva del primo anno della cosiddetta svuota - carce - ri entrata in vigore in via sperimentale a dicembre 2010 e che ha concesso la detenzione domiciliare a circa quattromila detenuti modello, Dopo un anno possiamo dire che il 99 per cento ha rispettato regole e prescrizioni. Un andamento più che positivo che suggerisce non solo di riproporre ma anche di aumentare da 12 a 24, o 18, il residuo di pena che ammette alla detenzione domiciliare”. L’alto dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dà corpo alle promesse che il Guardasigilli, secondo tradizione del governo Monti, annuncia come imminenti ma tace nel dettaglio dei contenuti. Il ministro Paola Severino è convinta dei tempi (“spero di portare le misure deflattive per il sovraffollamento carcerario in Consiglio dei ministri prima di Natale”) e ha chiari i modi: “Punteremo sulle misure alternative alla detenzione, sulla carcerazione domiciliare sia per i detenuti in attesa di giudizio che per quelli definitivi e faremo di tutto per evitare il fenomeno delle porte girevoli”, un meccanismo perverso, figlio della burocrazia e costosissimo. Sono 22 mila i detenuti, un terzo del totale, che “toccano” il carcere per tre giorni prima di essere liberati o giudicati in direttissima e mandati ai domiciliari. Nessuna amnistia, quindi. Né indulto. La soluzione, come spesso succede, può essere figlia di buon senso, conoscenza dei fenomeni e volontà. Cosi come la conoscenza, raccontano indiscrezioni, avrebbe fatto dire al ministro che “sarebbe il caso di non rinnovare più la convenzione con Telecom per il funzionamento dei braccialetti elettronici (risale al 2001 e prevede 110 milioni per 400 braccialetti ma ne funzionano una decina, ndr)”. Il che non vuol dire cestinare il braccialetto ma sforzarsi di capire perché solo in Italia non funziona. Il ministro ieri ha incontrato la giunta dell’Associazione nazionale magistrati. Incontro cordiale segnato da “ragionevolezza e cordialità”, come si dice sempre in questi casi, e però non sembra la revisione delle circoscrizioni giudiziarie (il taglio dei tribunali sotto le venti unità) la cosa più facile da realizzare. “È uno dei punti del mio mandato - promette Severino - e seguiremo la strada già tracciata, dalla delega. Certo non mi farò tirare dalla giacchetta dai localismi”. Resta il carcere, invece, la prima cosa da fare, “l’emergenza” come disse il ministro il giorno in cui giurò al Quirinale. “La filosofia delle nostre scelte” spiegano fonti del Dap “è che in carcere restino solo i detenuti pericolosi oltre a quelli condannati per terrorismo e mafia. Una delle misure deflattive è sicuramente la carcerazione domiciliare per chi ha un profilo di buona condotta e gli resta da scontare un anno di carcere. La nostra proposta al ministro è di allungare il residuo pena fino a due anni”. Se nel 2011 sono usciti quattromila detenuti con un risparmio per le casse dello Stato di 165 milioni (ogni detenuto costa circa 110 euro al giorno), nel 2012 ne potrebbero uscire di più (tra i cinque e i seimila) con un risparmio ancora maggiore. “Fondamentale - aggiungono i dirigenti del Dap - è far capire che si tratta di persone che hanno scontato quasi del tutto la pena, che sono stati detenuti modello e per questo possono acquisire lo status di recluso in casa”. Nessun allarme sociale. Nessuno sconto, quindi. Un modo diverso, però, di scontare la pena. La decisione tocca al Tribunale di sorveglianza. Nel pacchetto - carcere dovrebbero trovare posto anche la “messa alla prova” e i “lavori socialmente utili”. Giustizia: decreto legge “Monti”; Napolitano non ha accettato l’inclusione del Piano Carceri Ansa, 10 dicembre 2011 Nel decreto legge “Monti” è stata eliminata la norma sul Piano Carceri, che si doveva realizzare tramite finanza a progetto e aiuti da parte delle banche. Invece si potrà procedere con le agevolazioni e i sistemi logistici per il collegamento delle aree portuali. Felicità anche per il settore delle ferrovie, infatti, saranno garantite le somme per Trenitalia per garantire un migliore servizio pubblico. Per quale motivo il piano carceri non è stato approvato da Napolitano? Molto probabilmente a causa di una mancanza di requisiti costituzionali urgenti. In questa manovra si penserà moltissimo ai sistemi logistici che permetteranno di migliorare la realizzazione delle infrastrutture del territorio italiano. Queste normative sono state scelte anche per soddisfare le esigenze dei piani regolatori ormai indispensabili. Novità sostanziali che per una volta permetteranno una netta ripresa del settore, con notizie positive e progetti importanti. Giustizia: il ministro Paola Severino incontra l’Anm; quasi 70 mila detenuti sono troppi… Corriere della Sera, 10 dicembre 2011 Le carceri sono state il suo primo pensiero, appena insediata. E un decreto legge per risolvere l’ emergenza carceri arriverà prima della fine dell’ anno in consiglio di ministri. Un altro provvedimento urgente riguarderà “l’ accelerazione” del processo civile. Parola di Paola Severino. Il ministro della Giustizia ieri ha incontrato i giudici dell’Anm e ha spiegato che il provvedimento per il sovraffollamento delle carceri è allo studio dei suoi uffici. Con una novità, principale: “Gli arresti domiciliari da estendere come misura alternativa anche alla carcerazione post sentenza, oltre che a quella preventiva”, ha spiegato il ministro, aggiungendo che allo studio c’ è anche un provvedimento per snellire le procedure del processo civile. Il ministro Severino, tuttavia, ha intenzione di risolvere prima la drammatica situazione delle carceri e non è un caso che lunedì prossimo abbia fissato una visita nel penitenziario di Cagliari, li dove è avvenuto l’ ultimo dei 61 suicidi di detenuti di questo anno. Vuole svuotare le carceri italiane il ministro Severino, oggi affollate da quasi 70 mila persone a fronte di circa 45 mila posti disponibili. Ecco perché non ha abbandonato nemmeno l’ idea del braccialetto elettronico per i detenuti, anche se sta valutando la spesa per questo provvedimento: fino ad oggi gli 11 milioni di convenzione con la Telecom sono stati spesi invano, visto che i 450 braccialetti previsti sono rimasti inutilizzati. C’è anche la legge svuota carceri (approvata a fine del 2010) sulla quale il ministro Severino sta pensando di intervenire: oggi prevede che per reati non troppo gravi, gli ultimi dodici mesi della pena possano essere scontati fuori ai domiciliari. Il ministro Severino sta pensando di portare da dodici a diciotto i mesi residui. L’altra priorità riguarda il processo civile. Fra i temi che potrebbero dare impulso all’ efficienza nel settore della giustizia civile, il ministro ha citato “l’informatizzazione, che deve essere attuato su tutto il territorio nazionale” e potrebbe portare “grande sollievo” alle strutture giudiziarie. Vanno inoltre migliorate “alcune misure già assunte nella riforma del processo civile ma che hanno avuto qualche intoppo - ha concluso: revisionare questi punti potrebbe essere importante”. Giustizia: gli errori giudiziari costano, a Bologna in 3 anni risarciti 90 detenuti con 2,6 milioni di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 10 dicembre 2011 Gli importi oscillano da poche centinaia di euro a oltre 140mila. Una perizia fonica scagionò un 58enne, considerato uno degli intercettati in un’operazione antidroga. Nei registri della Corte d’appello ancora compilati a mano e nel lessico degli addetti ai lavori si chiamano con un acronimo. Rid. Sono le “riparazioni per ingiusta detenzione”, gli indennizzi che possono chiedere e ottenere le persone finite in carcere o ai domiciliari e poi prosciolte o assolte, soldi a risarcimento dei giorni e dei mesi di privazione della libertà per indagini superficiali, errori, scambi di persona. Sono tre lettere che riassumono il calvario di presunti colpevoli - uomini e donne, italiani e stranieri, pregiudicati e incensurati, signori nessuno e cognomi pesanti - finiti incolpevolmente nella spire della giustizia. Come il geometra Giuseppe Di Noi del celebre film “Detenuto in attesa di giudizio”, interpretato da Alberto Sordi. O come l’impiegato di banca Josef K., il protagonista del “Il processo” di Kafka. Diversamente che per il personaggio di carta, però, alla fine è stata la giustizia stessa a riconoscere i passi falsi e rammendare gli strappi. Nessun automatismo. Chi ha subito l’onta della prigione, da innocente, può decidere di chiedere un ristoro economico. La corte d’appello esamina le istanze. E accorda, a chi non ha fatto niente per trarre in inganno investigatori e inquirenti, la cifra ottenuta con un calcolo matematico, fino a un massimo di 516mila euro: 235,82 euro per un giorno dietro le sbarre, la metà per uno di arresti domiciliari. A liquidare il dovuto, poi, è il ministero dell’Economia. Nel distretto di Bologna, l’intera Emilia Romagna, ogni anno le cause per Rid avviate e discusse sono nell’ordine delle decine. Nel 2009 hanno presentato richiesta 71 persone. In 46 (il 64,8 per cento) si sono viste riconoscere l’indennizzo. Nel 2010 i procedimenti aperti sono stati 79, con 33 risposte positive (41,8 per cento). Al 13 giugno, quest’anno, erano state messe a ruolo 57 cause. Gli importi stabiliti oscillano da mille euro a 143.488 euro. E la somma degli addendi porta a cifre annue non da poco: 1.191.687 euro per il 2009, 776.735 euro per il 2010, un parziale di 631.526 euro per il 2011, con un terzo delle istanze ancora da esaminare. In meno di un triennio, due milioni e 600mila euro. Dietro numeri e somme ci sono le vicende più disparate e un’ampia varietà di “soliti sospetti”, innocenti. Lo “zio”, ad esempio. Un pm della direzione distrettuale, era il 2 febbraio 2008, fece fermare un albanese perbene di 58 anni, incensurato, invalido per un infortunio sul lavoro, sposato e padre di una giovane figlia. Provò a dire che non era lui lo “zio” intercettato in un’inchiesta antidroga. Non venne creduto. Ci volle una perizia fonica per “affermare pacificamente” che la voce captata dalle microspie non era la sua. Prosciolto dal Gup, dopo le foto segnaletiche sui giornali e 156 giorni da “colpevole”, ha chiesto 50mila euro di equa riparazione e ne ha avuti 40mila. Un ragazzo italiano, accusato di concorso in un furto, di giorni dentro se ne è fatti 164 prima di essere scagionato e risarcito con 38.704 euro. Un altro italiano, arrestato per spaccio, ha ottenuto 1.534 euro per 23 giorni di cella perché si erano dimenticati di fare l’interrogatorio di garanzia. Anche lo stretto parente di una mammasantissima della mafia, dipinto come il contabile della succursale bolognese della cosca, è da annoverare tra i risarciti: un anno di custodia cautelate e titoloni strillati, l’assoluzione per insussistenza dei fatti contestati, 86mila euro da avere dallo Stato. Ci sono poi i casi di arrestati, per spaccio, perché si trovavano in ambienti dove era nascosta della droga e secondo le accuse non potevano non sapere. Una donna dominicana di 62 anni fini in manette a Riccione, nella tarda primavera del 2008, perché aveva ospitato a casa un conoscente con 100 ovuli di cocaina in pancia, espulsi in bagno Fu un po’ leggera. Non complice, sancì il giudice che la assolse. Si al risarcimento, dunque, ma a metà tariffa: 24mila euro per dieci mesi da prigioniera. Due ragazzi piacentini hanno avuto “solo” mille e 1.400 euro di indennizzo, per una giornata gratis dietro le sbarre, nel 2007. Non erano responsabili di nulla. Anzi. Furono arrestati dalla polizia, per resistenza e lesioni, dopo essere stati spaventati a morte: la loro auto fu scambiata per quella di “un malvivente” e colpita dalla rivoltellata sparata da un agente. Giustizia: Pannella; la battaglia sulle carceri diventi transnazionale Notizie Radicali, 10 dicembre 2011 “Il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito si impegnerà a monitorare la situazione delle carceri e la condizione dei detenuti in tutto il mondo”, ha dichiarato Marco Pannella intervenuto ai lavori del 39° Congresso del Nonviolent Radical Party Transnational e Transparty, che si sono aperti venerdì a Roma presso l’Hotel Summit. Da quattro giorni il leader radicale ha ripreso l’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame a favore di una grande Amnistia da adottare non come atto di clemenza, ma come strumento non negoziabile per affrontare la crisi del sistema carcerario, che faccia da traino a una riforma complessiva della giustizia. Una battaglia che vede impegnati, insieme ai radicali, direttori, agenti, psicologi, operatori e gli altri componenti della comunità penitenziaria, e che il Partito Radicale si impegnerà a estendere sul fronte transnazionale attraverso un monitoraggio dello stato delle prigioni e dei reclusi nel resto del mondo, come ha annunciato oggi Pannella ai partecipanti al congresso provenienti da 45 Paesi diversi. Petizione al Parlamento per l’amnistia Testo di una petizione al Parlamento per chiedere quell’amnistia che ripristinerebbe condizioni di legalità e di umanità nelle nostre carceri. È possibile firmare la petizione on line a questo link: http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N17144 Sì all’amnistia!!! La situazione disumana nella quale i detenuti sono costretti a vivere ogni giorno e su quanto dolore sta causando questa situazione a chiunque abbia una persona cara là dentro, sapendo che vengono trattati peggio degli animali da macello. Perché è nel dolore e nella rabbia che si vive ogni giorno, sapendo che alle persone che ami manca praticamente tutto: acqua calda per lavarsi, detergenti per pulire, letti per dormire; le celle ospitano più detenuti di quanti dovrebbero, i letti a castello non bastano e c’è chi deve dormire su un materasso buttato per terra. Le condizioni sanitarie sono pessime e il rischio di contrarre malattie è elevato, i processi sono arretrati, i tempi della giustizia troppo lunghi, manca addirittura la benzina per portare i detenuti ai processi. Tutto questo è vergognoso. Nelle carceri italiane sono presenti più di 67.000 detenuti, in uno spazio che ne dovrebbe contenere poco più di 45.000, come potete immaginare la situazione è esasperante per chi ci è recluso, per chi ci lavora e per chi aspetta fuori, i suicidi aumentano di giorno in giorno, le statistiche dicono uno ogni cinque giorni e ad essi si aggiungono i decessi per suicidio degli agenti penitenziari. Non sono più istituti per il reinserimento del cittadino ma lager di morte. Non sono solo i cittadini a denunciare questa situazione, ma anche magistrati, avvocati, psicologi, assistenti sociali, agenti penitenziari, dottori, insegnanti, anche alcuni politici e gli altri Stati europei e non. Quindi mi chiedo cosa stia aspettando il Governo per dare una svolta a questa situazione che viola i diritti umani, invece di continuare ad evitare l’argomento, forse perché manca il coraggio di prendere una decisione per paura delle varie reazioni. Cosi facendo aumentano il dolore e l’angoscia di ogni persona che ha qualcuno dentro le carceri. Ritengo sia giusto parlare di amnistia e che serva parlarne sui giornali, nelle radio, nelle trasmissioni e nei telegiornali per sensibilizzare l’opinione pubblica, perché l’Italia è formata da noi cittadini e se permettiamo che succedano cose come questa anticostituzionali, direi, ne siamo responsabili anche noi se non proviamo almeno a fare qualcosa, visto che chi dovrebbe occuparsi di questo pensa solo ai propri interessi, pensando a come levarci altri soldi a noi e non ai loro stipendi, preoccupati solo di mantenere una buona immagine ignorando quello di cui abbiamo veramente bisogno. Dite sì all’amnistia con le vostre firme accompagnate dagli estremi di un documento del firmatario. Giustizia: Sappe; contro l’emergenza carceri servono misure serie e concrete Agi, 10 dicembre 2011 “La rivolta nel carcere di Ancona testimonia drammaticamente la situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani. È l’ora che tutti, a cominciare dai vertici nazionali e regionali dell’amministrazione penitenziaria, abbiano piena consapevolezza del problema ed affrontino l’emergenza in atto con provvedimenti seri e concreti”. Ad affermarlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, che boccia “disposizioni allo stato improponibili come la classificazione dei detenuti secondo codici colorati di pericolosità e il permesso di girare liberamente nelle strutture detentive, oggi tutte sovraffollate e spesso fatiscenti. Un classico esempio di come la pratica - fatta di rivolte, aggressioni, suicidi e tentativi di suicidio, risse e tensioni continue - sia ben altra cosa rispetto alla teoria”. “Oggi - continua Capece - la polizia penitenziaria ha carenze organiche quantificate in più di 7mila unità. Abbiamo bisogno di una nuova politica della pena. Bisogna ripensare il carcere e l’istituzione penitenziaria, favorendo un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici. Rendiamo concreta la possibilità che i detenuti stranieri (come i maghrebini di Ancona) scontino la pena nelle carceri del proprio Paese d’origine e affidiamo ai servizi sociali e impieghiamo in lavori socialmente utili i detenuti con pena inferiore a 3 anni (attualmente circa 20mila). Si faccia qualcosa, altrimenti rischiamo davvero l’implosione delle carceri italiane”. Giustizia: carcere per il contribuente che trasmette documenti falsi o fornisce notizie non vere Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011 Rischia la reclusione il contribuente che, a seguito delle richieste effettuate dall’amministrazione, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero. La manovra infatti prevede l’introduzione della sanzione penale per tali fattispecie in quanto si applicheranno le pene previste per la falsità nelle autocertificazioni. La manovra non delimita le caratteristiche della condotta illecita: viene ricompresa l’intera attività di controllo, richiesta, accesso e verifiche dell’amministrazione con la conseguenza che il reato potrebbe scattare anche per le richieste in sede di verifica o per i questionari inviati al contribuente che contemporaneamente è tenuto a dire la verità e a essere sottoposto a indagini. Per completare il novero delle misure antievasione contenute nella manovra, si segnala che agli studi di settore viene attribuito un ruolo centrale che tiene conto anche del valore attribuito dalla giurisprudenza della Suprema Corte a questo strumento accertativo. Vengono cosi previsti benefici per coloro che saranno congrui e coerenti (impossibilità di eseguire le rettifiche analitico induttive, più difficile l’accertamento sintetico, riduzione di un anno della decadenza dell’azione di accertamento). Contemporaneamente, abbandonata l’idea di poter contestare automaticamente quanto emergente da Gerico rispetto a quanto dichiarate), per coloro che non saranno congrui saranno svolti controlli, selezionati anche sulla base delle informazioni che perverranno dagli intermediari finanziari. Se invece il contribuente non sarà né congruo né coerente, verranno svolte prioritariamente nei suoi confronti indagini finanziarie. Per fruire dei nuovi benefici, il contribuente deve aver regolarmente assolto agli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini degli studi indicandoli fedelmente. Nella pratica, tuttavia, è molto difficile, sia per la complessità delle richieste sia per la scarsità di istruzioni, poter riprodurre correttamente questi dati: sarebbe auspicabile, quindi, che la perdita dei benefici scatti solo in presenza di infedeltà che in qualche modo influenzano i valori di coerenza e congruità e non in tutti gli altri casi in cui gli errori sono ininfluenti a tal fine. Giustizia: il boss dei Casalesi Michele Zagaria è in regime di 41-bis nel carcere di Novara Ansa, 10 dicembre 2011 Non una parola, silenzio assoluto. Michele Zagaria, il boss dei Casalesi, è arrivato ieri sera nel carcere di Novara e per lui, nel primo giorno da detenuto, è già 41 bis. Agli agenti della Polizia Penitenziaria dell’Ufficio Matricola del carcere non ha detto nulla oltre a nome, cognome e data di nascita. Si è limitato ad aggiungere le poche e scarne informazioni indispensabili per la compilazione della sua scheda e per l’istituzione del suo fascicolo personale. Il suo trasferimento dalla Campania al carcere di Novara è stato rapidissimo e anche la sua permanenza all’Ufficio matricola è stata velocissima: controllo del verbale d’arresto, verifica dei documenti che ne certificano le condanne (deve scontare vari ergastoli), esame delle ordinanze di custodia cautelare e poi le riprese fotografiche, di fronte e di profilo, per la scheda segnaletica, insieme alle impronte digitali. Tutto in silenzio assoluto, fino al trasferimento in una cella isolata in regime di 41 bis. Il Ministro di Giustizia, Paola Severino, dopo l’arresto, l’ha disposto in pochissime ore, su richiesta dell’autorità giudiziaria. Non si sa se per il boss Severino ha disposto qualche prescrizione speciale. Si sa, invece, che Zagaria è controllato a vista, 24 ore su 24, dagli agenti del Gom, il Gruppo operativo mobile della Polizia Penitenziaria. Lo sorvegliano in diversi, almeno due agenti per volta e una luce nella sua cella, nella sua prima notte in carcere, è rimasta sempre accesa. Il boss non ha contatti con niente e con nessuno e non lascia la cella per nessun motivo, neanche per mangiare: finanche i pasti gli vengono portati in cella. Fuori dal carcere, a Novara, nulla fa pensare alla sua presenza; anche i pochi fotografi e giornalisti che all’alba si erano raccolti davanti ai cancelli sperando di riuscire a vederlo, quando è arrivata la conferma che era già in cella, sono andati via. Giustizia: oltre 3.200 contatti su Facebook per il “re delle evasioni” Max Leitner Agi, 10 dicembre 2011 Max Leitner, il “re delle evasioni”, reo di aver compiuto diverse rapine a banche e portavalori e arrestato mercoledì mattina con un blitz dai carabinieri, sta diventando personaggio. Il numero dei suoi fan ed ammiratori, soprattutto di lingua tedesca ma anche italiana, sono in continuo aumento. Le due pagine Facebook contano oltre 3.200 iscritti. Tra i commenti di legge un “tifo” nei confronti del 53enne altoatesino di Elvas (Bressanone) che in questi giorni si trova in carcere a Trento per gli interrogatori di rito. Nel frattempo anche la figlia di Leitner, Bettina, 30 anni che vive sin da piccola in Irlanda, ha organizzato, per arrivare alla grazia per suo padre, una raccolta di firme che saranno fatte recapitare al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lei riferisce di aver sognato che suo papà morirà in carcere e vuole evitare che ciò avvenga. Oltre al video nel quale Max Leitner chiedeva la grazia al Capo dello Stato e fatto pervenire alla redazione bolzanina del quotidiano in lingua tedesca Die Neue Tageszeitung, su Youtube è stata postata dall’altoatesino Markus Dorfmann una canzone in dialetto sudtirolese dedicata al “Vallanzasca dell’Alto Adige” che viene ritratto come Robin Hood. Dal titolo “Max Leitner Tribute” singolare il ritornello “Max laf Max laf Max laf und loss di niemehr fongen”, (Max corri Max corri Max corri e non farti più prendere, tu sei finalmente libero, la traduzione in lingua italiana). Lettere: dal ministro Severino un intervento sul regime carcerario che lascia ben sperare di Luigi Muro Roma, 10 dicembre 2011 Onorevole ministro per la Giustizia, il suo intervento sul regime carcerano lascia ben sperare: no a condoni, sì a interventi di sistema. Che si ricominci finalmente a parlare dell’ormai desueto termine “riforme”? È una bella speranza per tutti. Per ridurre il numero (e le pene) dei detenuti non occorre varare indulti o amnistie, ma consentire un più largo uso del braccialetto elettronico. Oggi i detenuti nella carceri italiane sono oltre 67.000. Essi costano allo Stato circa 200,00 € al giorno. Un fiume di denaro: quasi 10 miliardi di euro. Di essi, il 28% è in attesa di giudizio. Le statistiche, a cinque anni dall’indulto, sono abbastanza rassicuranti: solo il 30% è tornato a delinquere. Mentre il dato è capovolto per coloro che scontano tutta intera la pena: ben il 70% torna a commettere delitti nello stesso arco temporale. Ciò a prova quel che è risaputo: le carceri, ignobilmente sopraffollate, sono una scuola di criminalità e non, come vuole la nostra costituzione, un luogo di riabilitazione. Quanto costa, invece, una detenzione in casa propria con il braccialetto elettronico? Secondo le stime più attendibili, circa 25 euro al giorno (compreso i controlli remoti e gli eventuali sopralluoghi). Allora, svuotiamo le carceri? Cum grano salis. Il carcere deve avere carattere assolutamente di emergenza e deve riguardare solo coloro che sono pericolosi per la società. Quanti sono? Senz’altro una minoranza. Al contrario, il regime di detenzione domiciliare deve divenire la norma. Per diversi buoni motivi. Primo, la detenzione in attesa di giudizio è una patologia che va combattuta: troppo arbitrio da parte dei giudici e spesso nessuna minaccia per l’ordine pubblico. Gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, oltre a costituire una diminuzione di una poco lodevole prassi, sono efficaci in caso di inquinamento di prove, di tentativo di fuga, di reiterazione del delitto. Quanti dei quasi 20.000 detenuti in attesa di giudizio costituiscono davvero un pericolo per la collettività? Meno di un terzo. Una forma alternativa (o parallela) agli arresti domiciliari può essere il lavoro gratuito presso una comunità no profit o in un’azienda iscritta ad apposito albo ministeriale. E, in caso di mancata partecipazione al lavoro, o si paga una retta, o si torna in carcere. Così i detenuti che sono negli ultimi tre anni di pena (27%, pari a 18.000 unità) e che hanno una buona condotta carceraria (e che non siano, anche psicologicamente, socialmente pericolosi) possono beneficiare delle misure detentive a casa, se non della libertà diurna. Lo stesso per coloro che hanno scontato almeno un terzo della pena e hanno i requisiti di buona condotta e sono innocui per la libertà degli altri. In questo modo, altro che stanziare soldi per la costruzione di nuove carceri! Occorre, semmai, manutenere e rendere civili per la popolazione carceraria rimanente quelli in uso. Se si comincia a fare ciò, si passerà ad un risparmio di spesa pari a circa 4 miliardi all’anno. Ciò diminuirà sensibilmente anche il carico di lavoro delle guardie carcerarie che sono comunque in carenza di organico, che potranno essere facilmente collocate, previo esame, sotto altre forze dell’ordine e potenziare la vigilanza dei territori a rischio, in modo da prevenire le azioni delittuose. Insomma, la detenzione sarà di norma a casa, lavorando o pagando. Il carcere è utilizzato solo in caso di necessità: non bisognerà costruirne di nuovi e gli interventi di ristrutturazione renderanno umani gli attuali penitenziari. Il territorio sarà maggiormente presidiato, spostando risorse dall’azione repressiva a quella preventiva. La diminuzione fisiologica dei reati porterà risparmi diretti ed indiretti (spese sanitarie, spese sociali, spese processuali). Insomma, caro Ministro, se è questo che voleva intendere, continuerà ad avere il nostro sempre più convinto appoggio. Lettere: aspettando Leda… di Antonella Barone www.innocentievasioni.net, 10 dicembre 2011 “Viviamo in un periodo in cui parole come solidarietà, condivisione, uguaglianza sembrano essere per pochi: forte è la tendenza a chiudersi nella difesa delle proprie scarse e precarie certezze e dei privilegi, per chi ne ha. L’egoismo, dunque, da difetto morale individuale rischia di diventare il tratto distintivo della società”. Cosi Leda Colombini introduce la raccolta di racconti dal carcere “Malgrado tutto”, a cura di Luciana Scarcia e Tristan Scmidt, frutto del laboratorio di scrittura promosso dall’associazione di volontariato “A Roma, insieme”, dalla Colombini fondata nel 1991. Lunedi stavamo aspettando Leda nella biblioteca della casa circondariale di Rebibbia per la presentazione del libro, quando ci è arrivata la notizia del suo ricovero e della gravità delle sue condizioni. Forse, se lei fosse stata presente, la presentazione sarebbe stata un po’ diversa da quelle delle edizioni passate, con molti più “se” e “ma” sul senso di continuare in un momento tragico del sistema penitenziario, attività come il laboratorio di scrittura, seguite da piccoli numeri (14 detenuti - autori), difficili da promuovere all’esterno, addirittura considerate privilegi da cittadini che non ne vedono la “concreta” utilità . Qualcuno di noi, operatori veterani di galera, arriva all’estremo masochismo di chiedersi se sia giusto continuare a sostenere quelle attività che continuano disperatamente a tenere ancorato il carcere alla legalità, oppure se sia meglio lasciare la presa e far emergere del carcere solo l’aspetto peggiore, di deposito illegale di rifiuti umani. Mentre aspettavamo Leda, tra noi ci confessavamo tormenti, sensi di colpa, ipotesi d’impegni alternativi...Ma, quando una persona se ne va, succede anche che al dolore per la sua morte si mescoli quella specie di egoismo che porta a cercare in lei un significato che ci aiuti ad affrontare i misteri della vita. Con Leda è stato facile perché è bastato pensare al suo passato di bracciante poco più che bambina, all’attività di assistenza ai partigiani appena quattordicenne, alla sua abitudine alla lotta, non persa neanche dopo i suoi mandati parlamentari, intatta per passione, rigore e ostinazione nella lunga battaglia contro la carcerazione dei figli assieme alle madri detenute, anche in questo caso piccoli numeri, settanta creature in media, così facili da ignorare di fronte ai grandi numeri delle nuove emergenze. È cosi che (mi assumo la responsabilità di estendere le mie riflessioni agli altri) abbiamo sentito i nostri dubbi persino ridicoli, ci siamo chiesti se anche noi (persino noi!)non fossimo già condizionati dal pragmatismo che si sta affermando fuori, come se la catastrofe da temere non sia solo quella economica e non anche il dilagare, con la povertà, della miseria e che l’egoismo diventi” il tratto distintivo della società”. Così torno a credere, con ritrovata forza e leggerezza, nell’importanza, ora più che mai, della difesa dei diritti dei numeri piccoli e piccolissimi, delle iniziative “gratuite”, delle battaglie impopolari, delle sfide culturali. Grazie a Leda e ad altri come lei, tutto questo in carcere continua ad esserci e il carcere, almeno il carcere, resta un luogo non di sola sofferenza ma anche di qualche speranza. Ancona: detenuti costretti a dormire per terra si rivoltano, sono già stati trasferiti di Alessandra Arachi Corriere della Sera, 10 dicembre 2011 Fiamme nelle celle. Il sindacato di polizia: rischio collasso. È successo nella sezione terza, quella destinata ai cosiddetti reati comuni. È partita giovedì pomeriggio, ma poi, a più riprese, è andata avanti fino a ieri: una rivolta che avrebbe potuto trasformarsi in una vera tragedia, in questo carcere di Ancona talmente affollato che i detenuti dormono con i materassini di gomma messi sul pavimento. Ha cominciato un detenuto maghrebino: si è cucito le labbra con ago e filo. Voleva protestare la sua innocenza. Lo hanno seguito i compagni di cella, e non solo: una ventina, in tutto. Tutti maghrebini. Armati di lamette da barba e fornelletti da campeggio e una violenza sulla quale la polizia penitenziaria è intervenuta sedando gli animi e la rabbia. Ma non era finita cosi. Ieri mattina ci si sono messi anche i termosifoni, rotti all’improvviso. E un altro detenuto che si è cucito le labbra e ha acceso di nuovo la miccia. Questa volta i fornelletti a gas sono stati usati per bruciare lenzuola, indumenti, suppellettili. Questa volta se la polizia penitenziaria non fosse intervenuta con prontezza e abilità sarebbe bastato un attimo a trasformare in un incendio questo carcere che è già di suo una polveriera. “Non è un caso che sul carcere di Ancona ci siano dodici interrogazioni parlamentari soltanto nell’ultimo mese”, denuncia Aldo Di Giacomo segretario delle Marche del Sappe, uno dei sindacati di polizia penitenziaria. Poi aggiunge: “Senza voler giustificare minimamente la rivolta dei detenuti, bisogna però tenere presente le condizioni di questo penitenziario: a fronte di una capienza di 178 posti ci sono circa 440 persone. Con una percentuale di presenza di extracomunitari del 53% contro una media nazionale che non arriva al 40%. Per non parlare dello stato dei servizi igienici”. È una carcere “difficile” quello di Ancona, lo ammette anche Franco Ionta, il capo del Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria, che ieri è rimasto in stretto contato con il ministro della Giustizia Paola Severino. E che non a caso, qualche giorno fa si era presentato a sorpresa al cancello per una visita di ispezione. Tornerà, Franco Ionta che ha garantito un intervento rapido per questo penitenziario dove, afferma preoccupano “la mancanza di personale, il dato del il sovraffollamento e le condizioni degli impianti delle docce rilevano preoccupanti infiltrazioni d’acqua”. Non è certo un caso isolato il carcere di Ancona. E basta guardare i dati della popolazione penitenziaria nazionali per capire: si è arrivati a un affollamento di quasi 70 mila detenuti nelle carceri italiani (record storico), a dispetto di una capienza di poco più di 44 mila. Un dato che il ministro Paola Severino ha messo in cima alla lista dei suoi interventi, garantendo che prima della fine dell’anno poterà sul tavolo di Palazzo Chigi un provvedimento per combattere l’emergenza delle carceri. Non pensa a un’amnistia, il ministro, e nemmeno a un indulto, ma tutte le altre misure alternative che possano servire a svuotare le carceri e possano trovare spazio in un decreto legge, prima e in un disegno di legge poi. In cima a tutto c’è l’idea di estendere gli arresti domiciliari non soltanto come pena alternativa in attesa di processo, ma anche post sentenza. Dap allontana detenuti coinvolti (Ansa) Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha adottato un provvedimento di allontanamento per 13 detenuti che hanno preso parte alla rivolta scoppiata nel carcere di Montacuto Ancona. Lo rende noto il segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo, secondo cui questo “è un ottimo segnale”. Ionta (Dap): ad Ancona condizioni difficili (Ansa) Le condizioni del carcere di Ancona, dove oggi i detenuti hanno dato fuoco a suppellettili e indumenti, sono ‘difficili, a causa del sovraffollamento, della mancanza di personale e di carenze varie. E quanto afferma il capo del Dap, Franco Ionta, aggiungendo che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria esaminerà in tempi rapidi gli interventi da adottare. Ionta aggiunge che la protesta è stata affrontata correttamente dai responsabili dell’istituto. La manifestazione di protesta, sottolinea il Dap, è stata inscenata stamani da ‘alcuni detenuti che hanno bruciato suppellettili e indumenti. Ragione della protesta, viene spiegato, è stata quella di “solidarizzare con un detenuto che protestava la sua innocenza e che, per dare forza alla sua richiesta di ascolto da parte dell’ autorità giudiziaria, si era cucito le labbra”. Convinto dal personale dell’istituto a desistere, era tornato in sezione: è a quel punto che gli altri detenuti hanno dato vita alla protesta. Il capo del Dap Ionta assicura che “la situazione è stata correttamente affrontata dai responsabili dell’istituto e ricondotta alla normalità”. Le condizioni del carcere di Ancona sono comunque ‘difficili, come lo stesso capo del Dap ha rilevato nella visita compiuta mercoledì scorso. “In particolare desta preoccupazione - viene sottolineato - la carenza del personale, i dati del sovraffollamento e le condizioni degli impianti docce che rilevano preoccupanti infiltrazioni d’acqua”. Il Dap conclude segnalando che “alla direzione è stata chiesta una relazione aggiornata sul personale distaccato in altre sedi e che la direzione generale dei beni e dei servizi verificherà in tempi brevi gli interventi opportuni da adottare”. Appello Radicali a parlamentari perché visitino Montacuto (Adnkronos) “Marco Pannella, i parlamentari radicali, i consiglieri regionali e gli altri dirigenti del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, venuti a conoscenza nel corso dei lavori del 39 esimo Congresso della rivolta che si è scatenata oggi pomeriggio nel carcere di Montacuto ad Ancona, si sono appellati ai parlamentari , in primo luogo a quelli eletti nelle Marche, affinché si rechino al più presto in visita all’istituto anconetano per verificare la situazione, cosi come torneranno a fare i deputati e i senatori radicali non appena terminati i lavori congressuali che vedono al centro proprio i diritti umani fondamentali e la loro costante violazione non solo da parte dei regimi, ma anche di Stati partitocratici come il nostro”. È quanto si legge in una nota. “Da mesi - prosegue il comunicato - i radicali denunciano il degrado della Casa Circondariale di Montacuto e le condizioni disumane che oggi hanno spinto i detenuti a dare fuoco alle celle, mettendo a rischio la vita propria e degli agenti di polizia penitenziaria. Condizioni disumane, sovraffollamento e carenza di personale ampiamente descritte nell’ultima - solo in ordine di tempo - interrogazione depositata dalla deputata Rita Bernardini e dal senatore Marco Perduca a seguito dell’ispezione effettuata lo scorso giugno”. “Rivolgendo questo appello ai parlamentari, Marco Pannella, che ha ripreso da cinque giorni lo sciopero della fame a favore di una grande amnistia, ha ribadito l’urgenza di questa misura non negoziabile per porre fine all’illegalità dell’intero sistema giudiziario e della sua appendice carceraria, e la necessità di estendere al fronte transnazionale la battaglia per la legalità delle carceri e il rispetto dei diritti umani dei detenuti”. Sarno (Uil): detenuti hanno bruciato solo cartaccia (Tm News) Nessuna rivolta né celle bruciate, ad Ancona nel carcere Montaguto solo pochi detenuti che si sono limitati alla classica battitura delle grate e ad incendiarie qualche cartaccia: lo riferisce Eugenio Sarno, il segretario generale della Uil penitenziari. “Non conosco i motivi che hanno indotto un sindacalista della polizia penitenziaria a diffondere notizie prive di fondamento su quanto accaduto oggi ad Ancona. Credo che alimentare ingiustificati allarmismi sia di nocumento non solo alla verità quant’anche chi è in prima linea sul fronte dell’informazione penitenziaria”, sottolinea Sarno, aggiungendo: “Ma non posso non ribadire che ad Ancona si è registrata una banale protesta di pochi detenuti che si sono limitati a battere le stoviglie sulle grate ed incendiare qualche cartaccia nei corridoi. Nessuna cella è stata devastata e nessuna cella risulta inagibile. Ne ho avuto diretta conferma, pochi minuti fa, dal Comando di Reparto della polizia penitenziaria di Ancona”. “Piuttosto - prosegue Sarno - vorrei segnalare la professionalità con cui ha operato il personale di Ancona, pur in un grave quadro di sofferenza organica. La protesta è stata sedata senza ricorrere ad alcun atto coercitivo e senza ricorrere ad alcun atto di forza. Le armi usate nell’occasione dalla polizia penitenziaria sono quelle che da sempre ha in dotazione: la persuasione, il buon senso, la calma, la competenza”. Per il segretario Uil penitenziari “anche la genesi dell’allarme, originato da un avvocato presente in istituto, deve far riflettere su quanto sia delicato tutto ciò che è informazione intramoenia. L’avvocato in questione ha assistito a null’altro che alla quotidianità attuale del sistema penitenziario. Questo tipo di proteste, infatti, sono quasi all’ordine del giorno cosi com’è ordinaria la gestione degli eventi critici d parte del personale. Per questo riteniamo ultronea e dannosa una informazione non veritiera”. Inoltre “occorre anche chiarire che la protesta messa in campo da alcuni detenuti ad Ancona, origina da una protesta di due detenuti che si sono cuciti la bocca per sollecitare i magistrati che hanno in carico i loro procedimenti penali. Insomma la classica tempesta in un bicchier d’acqua”. Ma Sarno ricorda anche che l’attenzione si sarebbe dovuta “concentrare su aspetti complessivi della situazione penitenziaria. Settemila unità in meno della polizia penitenziaria, 23mila detenuti in più rispetto alla capienza prevista nelle degradate carceri italiane, 61 suicidi, 924 tentati suicidi, circa trecento agenti penitenziari feriti”. E - conclude - “queste sono le cifre di uno spaccato drammatico che dovrebbe toccare le coscienze di tutti”. Ferrara: detenuto tenta il suicidio; salvato dagli agenti, è in coma all’Ospedale Ansa, 10 dicembre 2011 È in coma all’ospedale di Ferrara un detenuto di origine tunisina che nel tardo pomeriggio di ieri ha tentato di impiccarsi nel carcere cittadino ed è stato salvato dalla polizia penitenziaria. L’uomo, in carcere da pochi giorni, si trovava nel reparto “nuovi giunti”. Pochi minuti di ritardo e ogni intervento sarebbe stato inutile. Si è salvato grazie all’intervento provvidenziale di un agente penitenziario il detenuto che nel tardo pomeriggio di venerdì ha provato a togliersi la vita, stringendosi attorno al collo le lenzuola di servizio, legate in un cappio improvvisato ma efficace. L’uomo, un trentaseienne di origini marocchine, era stato accompagnato presso la casa circondariale di Ferrara quattro giorni prima, condannato in primo grado per omicidio. Si trovava all’Arginone poiché, in attesa del processo d’appello, non aveva rispettato le restrizioni impostegli dagli arresti domiciliari. Non si conoscono i motivi che l’hanno condotto al gesto estremo del suicidio, fortunatamente l’intervento dell’agente, che svolgeva in quel momento il regolare giro di sorveglianza, ha fermato le sue operazioni appena in tempo. Il nodo già serrato, il detenuto è stato trovato nella propria cella agonizzante, e subito liberato grazie all’intervento di un secondo agente che ha aiutato la manovra - mentre uno dei due gli sorreggeva le gambe, l’altro lacerava la stoffa. É stato chiamato d’urgenza il 118, e per rianimazione il personale sanitario ha dovuto lavorare per oltre 30 minuti, le condizioni dell’uomo infatti erano già molto gravi. Intubato e trasportato velocemente in ospedale, attualmente è ricoverato presso il Sant’Anna, nel reparto rianimazione. Sono ancora incerte le sue condizioni fisiche. Bari: l’Anm visita il carcere… “viste cose spaventose” Apcom, 10 dicembre 2011 “Nel carcere di Bari abbiamo visto cose spaventose”, lo ha detto Marco Guida, magistrato e presidente della giunta distrettuale di Bari dell’Associazione Nazionale Magistrati al termine di una visita fatta nel carcere barese. “Siamo stati alla sezione femminile dove non si può neppure parlare di strutture fatiscenti ma di molto peggio, è qualcosa di spaventoso. Nelle cosiddette celle di appoggio ve né una con 15 detenuti e una con 13 persone. Lì i letti a castello sono a quattro piani e l’ultimo tocca praticamente il soffitto”. Secondo il giudice Guida: “dovrebbe essere reso obbligatoria a tutti gli operatori della giustizia visitare periodicamente le carceri. Sappiamo che queste persone hanno commesso dei reati, anche gravi, ma non è giusto, né corretto, andare al di sotto il livello della umana dignità: l’articolo 27 della Costituzione italiana afferma che la pena deve avere una funzione rieducativa. Serve - ha concluso Guida - “un intervento della politica”. Cagliari: ministro Severino lunedì prossimo sarà in visita al carcere di Buoncammino Agi, 10 dicembre 2011 Il ministro della Giustizia Paola Severino è attesa a Cagliari, lunedì prossimo, 12 dicembre, nel carcere di Buoncammino, dove inizierà una serie di visite nei sovraffollati istituzioni penitenziari italiani. Nei giorni scorsi nella sezione femminile della casa circondariale cagliaritana si era impiccata Monia Bellofiore, 39 anni, tossicodipendente, arrestata il 4 novembre scorso con l’accusa di aver ucciso, assieme al marito, la madre, Maria Irene Sanna, un ex infermiera di 64 anni di Assemini (Cagliari). Quello di Bellofiore è stato primo suicidio di una detenuta a Buoncammino, il 56esimo fra i detenuti nelle carceri italiane. Severino sarà accompagnata dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Al termine della visita il ministro incontrerà la stampa attorno alle 12 nella sala mensa del carcere. Secondo quanto anticipa il sito del ministero, Severino intende portare la sua vicinanza a coloro che soffrono in carcere e agli operatori penitenziari che quotidianamente lavorano in una situazione di emergenza. Modena: il carcere di S. Anna scoppia, 9 tentati suicidi e 53 atti di autolesionismo La Gazzetta di Modena, 10 dicembre 2011 Peggio di noi in regione ci sono solo Bologna e Ravenna, in cui le carceri hanno un indice di affollamento dei detenuti superiori a quelle di Modena. Per il resto l’istituto di pena di S. Anna non teme confronti - in negativo - con le altre realtà dell’Emilia Romagna. L’ultima analisi, la più aggiornata della situazione a livello nazionale, arriva dalla Uil Penitenziari che bussa con urgenza alla porta del neoministro Severino per sollecitare provvedimenti che servano a raffreddare l’emergenza bollente dei reclusori italiani. L’analisi trimestrale del sindacato, che riporta meticolosamente l’indice di affollamento, l’indice di detenuti, i suicidi e i tentati suicidi, i casi di autolesionismo e le aggressioni agli agenti fotografa al di là dei numeri lo stato di crisi dell’isola dimenticata del pianeta - giustizia. “Abbiamo forti dubbi - attacca Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - sulla credibilità di un sistema penale che determina la detenzione di circa il 42% di persone prive di una condanna definitiva. L’eccessivo ricorso alla custodia cautelare alimenta poi il fenomeno delle “porte girevoli”, con tantissimi detenuti che entrano in carcere solo per essere scarcerati dopo poche ore. Tutto questo sovraccarica di spese e di lavoro il sistema penitenziario”. I numeri modenesi di questo ragionamento vanno nella stessa direzione, come più volte ricordato negli ultimi anni in appelli accorati da parte di vari operatori dell’universo - carceri. Nel carcere di S. Anna, a fronte di 221 posti per i detenuti, al 6 dicembre ne risultavano ospitati 424, quasi il doppio, con una percentuale di affollamento del 92% superiore al massimo consentito. È questo il contesto in cui sono maturati i 9 tentati suicidi dall’inizio del 2011 e i 53 atti autolesionismo: anche facendo la tara sui gesti dimostrativi è evidente che se finora non ci è scappato il morto è stato per l’attenzione degli altri detenuti e la pronta risposta degli agenti. Lo stesso vale quando il clima di tensione permanente fa da moltiplicatore ad atteggiamenti poco disponibili nei confronti degli agenti di custodia. Sino al 6 dicembre, ultima data utile dei rilevamenti resi di noti dal ministero, ci sono state anche due aggressioni al personale in divisa con tre feriti. I tre casi di sciopero della fame, sempre riferiti al S.Anna, sono la spia di un malessere endemico, sempre sul limite di guardia. I dati sulle due Case di lavoro, le uniche in regione e tra le pochissime in Italia, sono più tranquillizzanti ma sono dei “falsi positivi”. In altre parole è vero che gli ospiti sono inferiori di 6 e 2 unità rispetto alla capienza prevista, rispettivamente per Castelfranco e Saliceta, ma i numeri sono molto più piccoli e le strutture fatiscenti. Portare sovraffollamento in quelle strutture vuol dire garantirsi un livello di ingovernabilità esplosivo. Neppure qui sono mancati i problemi: un caso di autolesionismo per parte mentre per gli scioperi della fame siamo a 25 casi a Castelfranco e 4 a Saliceta. Pordenone: detenuti sempre stipati al “Castello” e progetto del nuovo carcere a rischio Messaggero Veneto, 10 dicembre 2011 Ennesimo allarme sovraffollamento per il Castello, la casa circondariale di Pordenone, mentre nella manovra del Governo Monti scompare il piano carceri. L’urgenza di mettere mano all’edilizia penitenziaria viene sollevata dalla Uil Pa che ha rilevato come sia stato sfondato il tetto dei 68 mila reclusi a fronte di una capienza di 44 mila 385 posti in tutta Italia. A Pordenone non va meglio visto che la capienza regolamentare del Castello è di 53 persone, ma al 6 dicembre erano presenti 79 detenuti, con 26 presenze in esubero e un indice di affollamento del 49,1%. Uil Pa ha anche indicato in 10 i tentativi di suicidio nelle carceri regionali, di cui 3 a Pordenone; 84 gli atti autolesionistici dei reclusi, di cui 5 a Pordenone. Fortunatamente nessuna aggressione si è verificata ai danni della polizia penitenziaria in città, contro i 4 avvenuti negli altri istituti del Friuli Venezia Giulia, mentre sono 19 i detenuti che hanno avviato lo sciopero della fame. Di fronte a questa situazione che, se pure non allarmante è sicuramente seria, dal decreto Monti è stata stralciata la norma sul piano carceri da realizzare tramite finanza di progetto e apporto delle fondazioni bancarie. Ha a che fare anche con il progetto del nuovo carcere in Comina? Allo stato attuale non è possibile saperlo. L’accordo che era stato raggiunto tra istituzioni provinciali, regionale e ministero per l’edificazione della casa di pena a Pordenone, in teoria si basa su una parte di fondi statali ed una compartecipazione di Regione, Provincia e Comune. Ma nel documento nulla si diceva su “dove” lo Stato avrebbe reperito la risorse proprie. È intuibile che se il progetto prevedeva il ricorso alla finanza di progetto, l’iter si è fermato su richiesta della presidenza della Repubblica in ragione della mancanza dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza. La disposizione che stata eliminata prevedeva la realizzazione degli interventi per l’emergenza conseguente all’affollamento delle carceri utilizzando prioritariamente la finanza di progetto con una concessione di durata non superiore ai vent’anni. Il concessionario avrebbe ricevuto una tariffa comprensiva dei costi di gestione del carcere, e per queste opere le fondazioni bancarie avrebbero potuto contribuite per almeno il 20% dell’investimento. Allo studio, peraltro, anche un’altra ipotesi in cui al privato verrebbero ceduti immobili di pregio in cambio dell’edificazione delle nuove strutture penitenziarie, ma anche in questo caso mancano i dettagli. “Le informazioni disponibili a oggi non sono molte - spiega il deputato del Pdl Manlio Contento, la manovra è appena stata varata e tutte le implicazioni sono ancora oggetto di valutazione. Quel che è certo è che nell’elenco delle opere prioritarie, il carcere di Pordenone è al secondo posto, e quindi sarà tra i primi ad essere realizzati. Con quali strumenti lo verificheremo, ma non credo che lo Stato rinunci a portare a termine l’opera, se non altro per la disponibilità a compartecipare all’investimento già sancita con un accordo. Credo - conclude il parlamentare - che tra qualche giorno ne sapremo di più”. Arezzo: i Sindacati di Polizia penitenziaria “riaprite la sezione chiusa” Il Tirreno, 10 dicembre 2011 I sindacati di polizia penitenziaria di Cgil, Cisl e Uil hanno promosso un’iniziativa presso la casa circondariale di Arezzo in via Garibaldi. Lunedi 12 dicembre, alle ore 15, verrà effettuato un sopralluogo al quale sono stati invitati i rappresentanti delle istituzioni. Quindi parlamentari, consigliere regionali, amministratori di Comune e Provincia. Con loro i magistrati, gli avvocati aretini e i rappresentanti delle Forze dell’Ordine. “Il nostro obiettivo - annunciano i sindacati di categoria - è evidenziare lo stato di assoluta incertezza in cui versa il carcere aretino. Il Ministero di Grazia e Giustizia non ha dato risposte né a noi né alle interrogazioni parlamentari. La sezione che era rimasta aperta all’inizio dei lavori di ristrutturazione, è stata chiusa nonostante il cantiere non ne compromettesse la funzionalità. I lavori procedono tra molti ritardi e non è chiaro se e quando potranno essere conclusi. In questa situazione, il disagio degli operatori di polizia e di giustizia è massimo perché tutti i detenuti devono essere portati o a Sollicciano o in altre carceri. Abbiamo quindi bisogno di chiarezza e di certezze. Chiediamo che la sezione chiusa venga riaperta e che i lavori di ristrutturazione procedano rapidamente”. Udine: “evade” dai domiciliari per assistere al processo, il giudice lo assolve Ansa, 10 dicembre 2011 Ai domiciliari per scontare un cumulo pene, aveva dato rinuncia a presenziare a un’udienza di un altro processo che doveva essere celebrato davanti al gup del tribunale di Udine. Convinto di aver semplicemente rinunciato alla scorta, il 1 aprile 2010 si era presentato regolarmente in aula, ammettendo davanti al gup Paolo Lauteri di voler assistere al processo e di aver avvisato le forze dell’ordine che intendeva rinunciare alla scorta. Il protagonista della vicenda, Umberto Beltrame, di 40 anni, di Udine, è stato così imputato per il reato di evasione. Accusa dalla quale è stato assolto ieri dal giudice Mauro Qualizza, dopo che tra i testi a difesa è stato ascoltato anche il pubblico ministero Annunziata Puglia che quel primo aprile era in aula. Il pm ha testimoniato come l’uomo fosse assolutamente convinto di essere stato legittimato a uscire di casa da solo. Non c’era dunque alcuna volontà di evadere. Foggia: Sappe; due agenti aggrediti e feriti, rientrano in servizio Adnkronos, 10 dicembre 2011 Sono regolarmente in servizio oggi i due agenti di Polizia Penitenziaria che nel pomeriggio di ieri hanno bloccato un detenuto che stava inalando gas da una bomboletta utilizzata per cucinare, e per questo sono stati aggrediti riportando contusioni varie ed una prognosi di sette giorni. Lo riferisce in una nota il segretario nazionale del sindacato Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), Federico Pilagatti. “Nonostante ciò - spiega - i due agenti hanno rinunciato alla malattia ed oggi sono ritornati presso il carcere di via Casermette per riprendere regolarmente il proprio servizio. Ancora una volta parte dal carcere un gesto di grande professionalità, serietà ed attaccamento al proprio lavoro che dovrebbe far riflettere i tanti benpensanti che pensano che nel carcere ci sia solo disumanità e violenza”. “Ancora un gesto di due lavoratori responsabili - sottolinea Pilagatti - che avrebbero anche potuto far finta di non vedere il detenuto che con l’inalazione del gas metteva seriamente a repentaglio la propria incolumità”. Si tratta di un metodo con cui molti detenuti si suicidano nelle carceri italiane. Peraltro il gas determina, come la droga, una momentanea estasi . Proprio per questo il Sappe in più occasioni ha denunciato la presenza di bombolette di gas nelle sezioni detentive e nelle celle dei detenuti “che sono vere e proprie armi pericolose e che tanti incidenti, anche gravi, hanno provocato in Puglia, vedi Taranto, Lecce, Bari ecc. ecc. Quanto accaduto nel carcere di Foggia - continua Pilagatti - deve far riflettere anche sulla drammatica situazione che si vive nelle carceri pugliesi”. La Puglia è la regione più affollata di detenuti della nazione, con oltre 4500 presenze a fronte di 2350 posti disponibili, tra cui il Penitenziario del capoluogo dauno con oltre 730 detenuti a fronte di 370 posti, di cui moltissimi pericolosi appartenenti alla malavita di Foggia, di Cerignola e del Gargano ecc. ecc. “A Foggia mancano oltre 50 agenti - continua il Sappe - mentre in tutta la regione Puglia sono circa 500 le unità di Polizia Penitenziaria che servirebbero per assicurare livelli minimi di sicurezza e la copertura di tutti i posti di servizio considerato che sempre più frequentemente una unità occupa più posti di servizio contemporaneamente”. Il Sappe spera che “la presenza di un ministro della giustizia tecnico, riesca finalmente a fare quelle riforme che servono per ridare dignità all’Istituzione carcere, in ossequio alla Costituzione Italiana, attualmente lasciata allo sbando e senza nessuno che se ne occupi seriamente, se non per riscuotere a fine mese, lauti compensi”. Roma: mercatino di Natale con prodotti realizzati dai detenuti Ansa, 10 dicembre 2011 Dal portacandele realizzato con forchette piegate, alle cullette ricavate con il riutilizzo delle cabine telefoniche del carcere di Torino; dal panettone “Dolci libertà” del laboratorio di alta pasticceria artigianale del carcere di Busto Arsizio alla borse di pvc riciclato fatte a mano dalle detenute di Rebibbia e alle magliette con i versi delle canzoni di Fabrizio De Andrè lavorate dai reclusi del Marassi di Genova. Tutto questo e molto altro sarà in esposizione e in vendita a Roma dal 10 al 18 dicembre prossimi al primo mercatino di Natale “Celle, stelle e bancarelle”, organizzato dall’Istituto superiore di studi penitenziari (Isspe), a conclusione di un percorso formativo per operatori penitenziari dedicato alla conoscenza della persona detenuta. Alla realizzazione hanno collaborato i 15 provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria e molti istituti per adulti e per minori. I prodotti, realizzati negli istituti penitenziari e nei servizi minorili e che saranno in vendita in un ampio spazio antistante la sede dell’Isspe, sono veramente tanti: addobbi natalizi, agende e articoli di cartotecnica, articoli di pelletteria, biscotti, borse, bigiotteria, caffè, candele, cappelli, centrini e merletti, ceramiche, composizioni floreali, dipinti, formaggi, icone religiose, miele, mosaici, olio extra vergine, oggetti per la casa, pasticceria, prodotti da forno, presepi, piatti, quadri, sciarpe, scatole, vassoi. Sono circa 80 i soggetti privati (imprese, cooperative sociali e associazioni), che negli istituti penitenziari organizzano lavoro e formazione per i detenuti consentendo la produzione di centinaia di articoli artigianali di qualità: alcuni sono di nicchia, qualcuno raggiunge il grande mercato, altri entrano nel circuito del commercio equo e solidale, molti sono commercializzati a livello locale in mostre, mercatini e iniziative di beneficenza. Udine: “Libri per evadere”… cantieri di lettura, scrittura e mediazione culturale di Maurizio Battistutta Ristretti Orizzonti, 10 dicembre 2011 Nonostante il sovraffollamento le diverse attività scolastiche, formative e culturali all’interno dell’istituto proseguono anche se, come è intuibile, non mancano le difficoltà. Da alcune settimane è ripresa l’attività a cadenza settimanale che abbiamo denominato “Libri per evadere: cantieri di lettura, scrittura e mediazione culturale” e che prevede la presentazione di libri di vario genere di autori locali e non solo. L’iniziativa è nata sulla scia di un altro progetto, gestito sempre a livello volontario, tramite il quale vengono forniti gratuitamente, con la collaborazione dell’associazione “Banco Libero”, libri, riviste, fumetti alle persone detenute. Queste due iniziative sono attive già da alcuni anni e si pongono, con tutti i loro limiti, nella prospettiva di creare un dialogo tra la comunità esterna e la popolazione detenuta, alla luce di quanto prevedono gli articoli dell’ordinamento penitenziario: da un lato lo sviluppo di attività culturali all’interno degli istituti (articolo 27 dell’Ordinamento penitenziario), dall’altro la partecipazione della comunità esterna ai processi reinserimento sociale delle persone detenute (articolo 17 dell’Ordinamento penitenziario). Queste attività di promozione alla lettura, sviluppate in collaborazione anche con i corsi scolastici gestiti dal Centro territoriale di formazione permanente, e prossimamente anche con la biblioteca civica di Udine, vorrebbero divenire, momenti continuativi all’interno del carcere, con l’intento, forse presuntuoso, di creare un luogo “culturale” e cercando cosi di smentire o tentare di smentire l’immaginario che solitamente si ha sul carcere. Dobbiamo certamente ringraziare la disponibilità di molti scrittori che gratuitamente hanno partecipato agli incontri e gli enti che hanno finanziato l’acquisto dei loro libri, ci auguriamo che altri scrittori siano disponibili a presentare le proprie opere, a trasmetterci la loro passione al racconto, alla scoperta, all’introspezione personale, in fondo con il loro intervento riescono a farci “evadere”, almeno momentaneamente, dalla nostra condizione di ristretti, e non è poca cosa. Certamente ci vorrebbero maggiori spazi per favorire una maggiore partecipazione della popolazione detenuta, ma purtroppo l’istituto soffre di limiti logistici dato che la ristrutturazione non è stata ultimata ed i cosiddetti spazi di risocializzazione non sono stati purtroppo ancora realizzati e ciò compromette non poco la promozione delle attività culturali che potrebbero essere, se ci fossero le condizioni strutturali, maggiormente sviluppate. E ci vorrebbe anche più tempo dato che le diverse attività in istituto terminano alle ore 16.00 e noi veniamo riconsegnati da quell’ora alle nostre celle fino all’indomani. Gli incontri oltre alla lettura vorrebbero anche stimolare la scrittura, scrittura che potrebbe trovare spazio non solo nel periodico che elaboriamo in istituto, peraltro in grossa difficoltà per l’assenza di risorse economiche, ma anche in altre riviste o periodici proprio per rompere l’isolamento che viviamo ed esprimere cosi anche le nostre esigenze di riscatto e di reinserimento sociale. Un ultimo e diciamo non trascurabile tema che cerchiamo di affrontare attraverso questi incontri con l’autore, è quello della mediazione culturale o il confronto tra diverse culture, esperienze, vissuti, presenti qui in istituto e che a volte entrano in contrasto come nella società libera. Forse questo è il tema più difficile da affrontare e che meriterebbe un serio approfondimento. A questo scopo abbiamo allargato gli incontri anche a scrittori immigrati e a mediatori culturali proprio per cercare di capire le “diversità” e come queste possono confrontarsi e convivere; in spazi ristretti le “diversità” non possono che far aumentare le difficoltà di convivenza e sfociare in maggiori frizioni per cui diventa non poco necessaria una riflessione e un confronto con persone esterne che hanno vissuto, pur nelle difficoltà, positivamente l’esperienza dell’immigrazione. Certamente queste sono solo circoscritte e minimali iniziative che però ci forniscono una “boccata” d’aria o qualche spunto di riflessione oltre a rendere meno isolata la popolazione detenuta rispetto alla società esterna e ci lasciano una domanda “I libri possono salvare una vita”? Udine: incontro con Pino Roveredo “questo carcere non dà riscatto” Messaggero Veneto, 10 dicembre 2011 Pino Roveredo si alza dalla scrivania e ci accoglie. Sta scrivendo Vota Berlinguer, il libro di cui abbiamo parlato in anteprima in queste pagine e che uscirà per Bompiani agli inizi del 2012. “Sono a metà”, racconta mentre ci invita a entrare nella altra metà della sua vita: quella, viva, dell’operatore di strada. È qui che la cultura salva la vita, e il teatro è un modo di essere. “Il teatro di Roveredo - disse un giorno Caterina Roja, psicologa al Sert di Udine - vale come 500 boccette di metadone”. A Udine, il 17 dicembre, i detenuti del carcere, insieme con Pino Roveredo e Paolo Carbone, registreranno Le evasioni di via Spalato, un dvd sostenuto e promosso dal Css, Teatro stabile dell’innovazione del Friuli Venezia Giulia, e che ha la cella come sala di registrazione. “Posso fare una premessa? Sono stato detenuto e per giusta causa. Carcerato a 17 anni, scrivevo lettere per i miei compagni. C’è ancora qualche vecchio detenuto a Trieste che si ricorda di “Pino letterato”. Mi facevo pagare con le sigarette: le lettere alle madri valevano due pacchetti, alle mogli/fidanzate tre, cinque ai magistrati perché ne andava dell’incolumità dello scrivente, se la risposta del giudice era negativa... Questo per raccontare che la bellezza e l’utopia è entrarci oggi in veste di docente. E questo fa si che il mio rapporto con i detenuti debba affrontare meno muri: sono uno di loro”. Roveredo, entrato negli anni Settanta... “Io non debbo al carcere mezza virgola della mia salvezza. Casomai ha aumentato le mie capriole e le mie salite. Il reinserimento sociale - con questo tipo di carcere - oggi è pura utopia. Il carcere è un luogo di grande violenza dove o si impara immediatamente la materia o rischi di essere stritolato. Porta all’imbarbarimento del detenuto. Vedi i 50 e più suicidi all’anno. Più del 70% torna a delinquere una volta uscito. Mi viene da pensare che ci sia una volontà di mantenere in questi luoghi un tono di disagio”. Affermazione forte. “In carcere non esiste la socialità, si rimane per 22 ore in cella. Questi corsi sono aria per loro. A Pordenone agli inizi di quest’anno abbiamo proposto il teatro con “la sezione protetti”: ne è nato un video, proiettato a giugno nell’ex chiesa di San Francesco alla presenza dei magistrati. A Gorizia, un libro, con le parole “liberate”: I sussurri di via Barzellini, perché in carcere è difficile urlare. E poi quando vado nelle città, abbino sempre un’entrata in carcere, proprio perché sono la persona che è riuscita a ribaltarsi la vita. Vado a raccontare la possibilità, non a spiegare”. - Le carceri regionali? “Quella di Pordenone è un’offesa alla città, invivibile, antico, ti crea angoscia solo entrarci. Stessa cosa vale per Gorizia, sta cadendo a pezzi, non hanno un frigorifero, pensiamo all’estate, a differenza di quello di Udine, che paragonato a questi indicati, è vivibile, hanno la doccia, che è un diritto, ma non sempre c’è. Come Trieste, se non fosse sovraffollato, sarebbe vivibile”. Il progetto di Udine. “Abbiamo raccolto una decina di testi straordinari. Useremo la musica con chitarra e saxofono, chitarre che loro non possono nemmeno tenere in cella normalmente. I ragazzi con la musica e le parole si raccontano la pelle. Questo per ribadire che la cultura è indispensabile. Batto sempre questo chiodo sulla testa delle istituzioni, che continuano a trattare tali progetti come fossero un contorno. Invece sono un investimento al benessere. Liberano le solitudini terrificanti”. Una malinconica delusione che ruota dentro l’offesa. “Dico questo perché lavoro in tutta Italia. Improvvisamente da due anni e mezzo lavoro qui a Udine, città che mi piace e che amo, e mi sono trovato a inciampare dentro l’indifferenza. Dolorosa. Inspiegabile. Lo dico brutalmente. Ci sono persone che hanno avuto il posto in prima fila e poi non hanno contribuito con un solo gesto, una parola, un loro credo. I ragazzi la sentono l’indifferenza delle istituzioni. Questo per dire che dopo l’applauso non si fa più nulla”. Rimini: squadra di calcio professionisti gioca al carcere "Casetti" con i detenuti Adnkronos, 10 dicembre 2011 La partita si disputerà sul campo di calcetto del carcere di Rimini alle ore 15. Al termine il presidente Amati ed i calciatori biancorossi premieranno la squadra vincitrice del torneo di calcetto "Casetti 2011". Secondo importante appuntamento sportivo dell'anno per il carcere di Rimini. Dopo l'incontro dello scorso maggio con l'arbitro Christian Brighi, che ha raccontato ai detenuti il percorso che lo ha portato a diventare uno degli arbitri più famosi del campionato di serie A, tocca questa volta all'AC Rimini - si legge in una nota della Direzione Casa Circondariale Rimini. La società, sempre sensibile ai temi della solidarietà e del valore educativo legato allo sport, ha raccolto l'invito della direzione dell'istituto penitenziario della città per disputare una partita di calcetto con una rappresentativa di detenuti. La partita si disputerà sul campo di calcetto del carcere lunedì 12 dicembre con inizio alle ore 15. Al termine i detenuti incontreranno il Presidente ed i calciatori del Rimini che premieranno la squadra vincitrice del torneo di calcetto "Casetti 2011". Grande attesa e fermento, quindi, tra gli oltre 70 detenuti che, dal 18 ottobre al 7 dicembre, hanno partecipato al torneo con la voglia di "liberare" le proprie energie fisiche e vivere un avvincente momento di aggregazione e di sano impegno agonistico. E' un evento che, attraverso lo sport, avvicina la città ad una realtà spesso dimenticata e per questo la Direzione del carcere ringrazierà l'AC Rimini donando al Presidente Amati alcune stampe disegnate per l'occasione. Cile: appello dell'arcivescovo di Santiago per ridare la dignità ai detenuti Radio Vaticana, 10 dicembre 2011 Un anno fa nel carcere di San Miguel 81 carcerati perdevano la vita e 14 rimanevano feriti in una ribellione scaturita dal forte sovraffollamento. Per ricordare questa tragedia l'arcivescovo di Santiago, mons. Ricardo Ezzati, ha presieduto una Messa di suffragio alla quale hanno partecipato i familiari delle 81 vittime. Mons. Ezzati ha chiesto alle autorità di migliorare le condizioni dei carcerati e di essere solidali con le famiglie. Secondo una nota inviata dalla Conferenza episcopale del Cile all’agenzia Fides, durante la celebrazione, le 81 famiglie hanno portato 81 croci con i nomi dei detenuti morti come simbolo della loro presenza in una cerimonia ricca di segni e messaggi cristiani. I parenti delle vittime tenevano nelle mani le candele, simbolo di speranza, fiori da seminare nel carcere dove sono morti i loro cari e infine un cuore rosso simbolo della conversione interiore. Dietro le famiglie, i cartelli dell'associazione "81 Razones" con la scritta: “Privati della libertà ma non della dignità”. Mons. Ezzati, nella sua omelia ha detto con forza: "possiamo costruire una società fraterna e rispettosa, dove le persone si riconoscono come tali, oltre le proprie debolezze, solo se la nostra esistenza viene fondata sui valori che riconoscono che Dio è Padre di tutti e fonte della dignità di tutti. Se nella nostra società, questa verità fosse riconosciuta, le nostre carceri non sarebbero un luogo dove la dignità umana è calpestata ed ignorata, senza possibilità di rinnovarsi, ma sarebbero un posto dove cambiare vita è possibile. Il Cile ha bisogno di camminare con decisione verso una cultura dove chi ha sbagliato può trovare lo spazio per il rinnovamento e nuovi modi di vita e di speranza." L'arcivescovo ha concluso lanciando un appello alle autorità: "Invoco, in nome del Signore, tutte le autorità del Paese di raddoppiare gli sforzi in modo che i fratelli prigionieri nelle carceri del Cile riescano a trovare, non solo un luogo di punizione, ma un luogo di redenzione, dove si può pensare che è possibile un futuro diverso. Questo compito e questa responsabilità riguardano tutta la società”. La Chiesa in diverse occasioni ha denunciato la drammatica realtà delle carceri in Cile, dove si riscontra un sovraffollamento del 70% a livello nazionale. Il carcere di San Miguel, un anno fa aveva circa 2.000 prigionieri, quando l’edificio ne può accogliere solo mille; e questa situazione si riflette in tutto il Paese con una popolazione carceraria di 54.000 persone rinchiuse in una struttura penitenziaria che ne può accogliere al massimo 34.000. Yemen: rivolta nel carcere di Dhammar, 2 morti e 2 feriti Adnkronos, 10 dicembre 2011 Una rivolta dei detenuti è scoppiata oggi nella prigione centrale di Dhammar, città del sud - ovest dello Yemen. Secondo quanto riferisce la televisione satellitare al-Arabiya, negli scontri tra carcerati e polizia si contano al momento due morti e due feriti.