Giustizia: emergenza carceri dimenticata; zero fondi, vuote le nuove prigioni di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 8 aprile 2011 Il 13 gennaio 2010 il governo proclamò lo “stato d’emergenza” nelle carceri italiane, come di fronte a una catastrofe naturale. Furono stanziati fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre, obiettivo altri 21.749 posti. I detenuti a quella data erano 65.067, per una capienza ferma a 44.055: un’eccedenza di oltre ventimila galeotti, da assorbire attraverso un piano per 47 nuovi padiglioni penitenziari. Oggi, un anno e quattro mesi dopo, i detenuti sono 67.648 (dato rilevato al 4 aprile dall’associazione “A buon diritto”), cioè 2.658 in più rispetto al numero per cui la situazione fu accostata a una calamità. E i posti in più? Pochi, pochissimi. C’è chi dice duemila, con un’approssimazione probabilmente per eccesso, ma sarebbe comunque una cifra inferiore all’incremento degli “ospiti”. Dunque la realtà è peggiorata. Ma non solo per la crescita dei detenuti. Parte delle nuove prigioni che si è riusciti a costruire sono vuote perché mancano i soldi per metterle in funzione. E soprattutto manca il personale della polizia penitenziaria. Sempre nel gennaio 2010 il ministro della Giustizia Alfano dichiarò che a breve sarebbero entrati in servizio altri duemila agenti. A luglio ribadì la promessa, abbassando i reclutamenti “in prima battuta” a mille. Sono passati altri nove mesi, e ancora si attende l’ingresso delle nuove guardie carcerarie. Quando arriveranno, paventa qualcuno, saranno meno di quelle che nel frattempo hanno lasciato il servizio per raggiunta pensione o altri motivi. Sono i numeri di una crisi che l’annunciato impegno del governo non è riuscito a scalfire. Di cui la politica generalmente si disinteressa - a parte il costante impegno dei radicali e pochi altri esponenti sparsi nei diversi partiti, ma che continua a lasciare i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. E a produrre morti. Carlo Saturno è la quarantesima vittima del 2011; per adesso siamo nella media, nel 2010 i decessi furono 172. Divisi in tre grandi categorie: suicidi, cause naturali 0 da accertare. All’inizio anche la morte di Stefano Cucchi, il tossicodipendente spirato nel reparto carcerario di un ospedale romano a sei giorni dall’arresto, fu classificata come “naturale”, poi s’è capito che forse le cose andarono diversamente e oggi c’è un processo a carico di una dozzina d’imputati. Ufficialmente, tra perizie e controperizie, le vere cause sono passate fra quelle “da accertare”. Le prime verifiche sul caso del giovane Saturno non fanno dubitare del suicidio, ma dietro c’è ancora una storia da chiarire. Non solo quella del processo a carico di alcuni agenti del carcere minorile in cui fu rinchiuso in passato, accusati di presunte violenze. “L’esperienza ci porta a dire che le carceri sono sovraffollate di molti soggetti che versano in uno stato di tensione personale regolarmente accentuato ed esasperato dalla situazione - spiega Luigi Manconi, presidente di A buon diritto. E in queste situazioni il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo”. Servirebbero vari tipi d’intervento, non solo nuovi spazi nelle celle. I tagli economici, che colpiscono il pianeta carceri come gli altri settori della pubblica amministrazione, hanno riguardato anche l’assistenza; per dime una, non ci sono soldi per gli psicologi, e la media tra quelli in servizio e i reclusi fa sì che mediamente ogni detenuto possa usufruire di un sostegno per due minuti ogni mese. Qualcosa, in questo “stato d’emergenza” potrebbero fare i Garanti dei diritti della persone private della libertà. Figura che in Puglia, dov’è morto Saturno, esiste sulla carta ma manca nella realtà; per nominarlo serve una maggioranza di tre quarti del consiglio regionale, e non si trova l’accordo sul nome. Giustizia: i tagli alla spesa pubblica colpiscono anche le carceri di Ilaria Sesana Avvenire, 8 aprile 2011 Negli ultimi dieci anni la gestione del sistema carcerario italiano è costato alle casse dello Stato oltre 28 miliardi di euro. Una cifra imponente, cui vanno poi aggiunti gli stanziamenti per il “Piano straordinario di edilizia penitenziaria” (finora circa 600 milioni di euro) e la spesa per l’assistenza sanitaria ai detenuti, che dal 2008 viene sostenuta dal ministero della Salute per un importo medio annuo di 90 milioni di euro. La spesa ha toccato il massimo storico nel 2007, con uno stanziamento di 3 miliardi e 95 milioni di euro. Ma nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalle ultime leggi finanziarie, si è scesi a 2 miliardi e 770 milioni (meno 10% rispetto al 2007). I dati sono stati diffusi dal Centro studi di Ristretti Orizzonti, la rivista del carcere “Due Palazzi” di Padova. Ad assorbire la quota più importante degli stanziamenti del decennio (il 79,2%) sono stati i circa 48mila dipendenti del Dap (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori, età), il 4,4% del budget è stato speso per la manutenzione delle carceri e il 3,4% per il loro funzionamento (energia elettrica, acqua...). Solo il 13% è stato speso per garantire ai detenuti vitto, cure sanitarie, istruzione e assistenza sociale. Tradotto in euro, significa che il costo medio giornaliero di ogni singolo detenuto (dal 2001 a oggi) è stato di 138,7 euro. Ma in costante calo dal 2007 a oggi, anche a causa del crescente sovraffollamento: la spesa giornaliera procapite, infatti, è passata dai 198,4 euro del 2007 ai 113 del 2010. Escludendo i costi per il personale penitenziario e per l’assistenza sanitaria (che è diventata di competenza del ministero della Salute) si scopre che ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un totale di 13 euro al giorno. Tra le “voci di spesa” i pasti rappresentano la maggiore (3,95 euro al giorno), seguita dai costi di funzionamento delle carceri (acqua, luce, energia elettrica, gas e telefoni, pulizia locali, riscaldamento, età), pari a 3,6 euro al giorno. Poi ci sono le “mercedi dei lavoranti” : i compensi che vengono corrisposti dall’Amministrazione penitenziaria ai detenuti addetti alle pulizie, alle cucine, alla manutenzione ordinaria. Sono poco più di 2 euro al giorno, ma sono fondamentali per garantire ai detenuti-lavoranti un piccolo gruzzolo. Pochi soldi, ma che permettono di alleviare le condizioni di vita in carcere. “Al riguardo va detto che il fabbisogno stimato perii funzionamento dei cosiddetti servizi domestici sarebbe di 85 milioni l’anno - spiegano da Ristretti orizzonti - ma nel 2010 ne sono stati spesi soltanto 54: i pochi detenuti che lavorano si sono visti ridurre gli orari e, di conseguenza, nelle carceri domina la sporcizia e l’incuria”. E poi c’è il capitolo dedicato alla rieducazione, una spesa a dir poco irrisoria: alla voce “trattamento della personalità e assistenza psicologica” vengono investiti 2,6 euro al mese. Pari a 8 centesimi al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le “attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive”: 3,5 euro al mese, pari ali centesimi al giorno per ogni detenuto. Giustizia: un carcere minorile molto da ripensare di Antonio Mazzi Famiglia Cristiana, 8 aprile 2011 Sono contento che si cominci a parlare, in termini concreti e legislativi, di recupero dei minori in strutture più rieducative e meno carcerarie. Nelle carceri minorili, la fatica del recupero integrale è evidente e supera di molto la visione repressiva che trionfa nelle patrie galere per adulti. C’è, però, un vizio di fondo, che inficia i risultati: è l’ambiente. Nutro certamente preconcetti gratuiti, ingiusti e poco verificabili. La mia storia, non semplice e non breve, dice che certe etichette, appioppate a persone e a istituzioni, sono più pesanti di ogni innovazione e trasformazione. Tempo fa, ho consigliato di abolire anche i seminari minori per seguire e formare i giovani da casa, richiamandoli per brevi periodi intensi, contemplativi e selettivi. (E anche lì ho ricevuto grandi botte in testa. Pazienza!). L’opinione pubblica grezza, però, non fa tante distinzioni di sfumature. Per esempio, io faccio una fatica enorme per smontare le paure che i genitori hanno rispetto alle comunità terapeutiche. La nostra società ha spinto e molto su una visione autoritaria e indiscriminatamente punitiva delle comunità. E non ci sono santi (direbbero i nostri nonni) che possano ridurre o correggere queste maldestre convinzioni. Solo l’atmosfera serena, la sparizione delle etichette, l’autorevolezza e la paziente cucitura del tessuto affettivo, permette una ricostruita identificazione di sé, e una miracolosa ripresa del cammino futuro anche dei ragazzi più difficili, non sulle ceneri dei passati errori, ma sulle potenti leve di una rinnovata motivazione. Non va trascurata una formazione degli educatori molto diversa, meno formale e centrata su una rilettura dei fatti e degli avvenimenti. Mai, come in questi casi, il passato metabolizzato in termini positivi permette progetti nuovi sul futuro. Nessuno, però, ci ha aiutato a scovare dentro la nostra e altrui vita le enormi ricchezze sepolte ma non cancellate dalle tragedie, o dagli errori. Anche noi educatori siamo figli delle teorie, delle ricette illuministe, della scuola di pensiero specializzata nell’interpretare la parte peggiore delle persone e mai la migliore. Sono ancora più contento che i dati delle ricerche mostrino una decrescita dei reati e una diminuzione dei ragazzi rinchiusi. La fatica più vera e più lunga da interpretare, però, è la vittoria sulla discriminazione. Perché - dice il presidente di Antigone - la discriminazione nei confronti di queste fasce di minori rende poco efficaci tutte le opportunità di integrazione e un accesso più massiccio alla de-carcerizzazione. La nostra coscienza civile, ci obbliga a non desistere. Giustizia: intervista a Patrizio Gonnella (Antigone); verità per Carlo, presunto suicida di Federica Grandis ww.gruppoabele.org, 8 aprile 2011 Carlo Saturno è un ragazzo di 22 anni che sta lottando tra la vita e la morte: ha tentato di suicidarsi nel carcere di Bari e ora è in coma irreversibile. A 16 anni è finito in carcere per furto, a Lecce, poi è stato trasferito nel penitenziario barese per adulti. Martedì scorso si sarebbe dovuto presentare al tribunale di Lecce come parte lesa in un processo per maltrattamenti. Nei mesi scorsi aveva avuto il coraggio di costituirsi parte civile contro 9 agenti di polizia penitenziaria accusati di abusi. I fatti risalgono al 2003, quando - secondo il pm - nell’istituto minorile leccese un gruppo di agenti avrebbe costruito una “squadretta” col compito di “governare l’istituto con la violenza”. Il Gup ha rinviato a giudizio i 9 poliziotti, ma il processo è in fase di stagnazione. E Carlo non ne potrà vedere la fine. Ora la Procura barese ha aperto un provvedimento per sapere cosa davvero è accaduto in cella: la perizia eseguita dal medico legale ha stabilito che i segni intorno al collo di Carlo sarebbero compatibili sia con un salto nel vuoto che con un eventuale strangolamento da parte di altri. Della storia di Carlo Saturno e della situazione dei penitenziari nel nostro Paese abbiamo parlato con Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone. La storia di Carlo Saturno racconta la situazione di estrema gravità del nostro sistema carcerario o dice anche qualcosa di più? Questa vicenda è terribile sotto tanti aspetti. Quando ha subito le violenze che racconta, Carlo aveva solo 16 anni. Ha detto di essere stato seviziato, torturato, e malgrado ciò ha deciso di costituirsi parte civile: una cosa non comune, perché di norma i detenuti hanno paura di parlare, temono conseguenze, ritorsioni. Tra l’altro a denunciare questi soprusi non sono solo lui e altri carcerati, ma anche operatori che lavorano nel penitenziario di Lecce. Martedì, giorno in cui si sarebbe dovuta tenere l’udienza per le violenze perpetuate da questo gruppo di poliziotti rinviati a giudizio, il tribunale ha rimandato il processo, superando il tempo di prescrizione. Un fatto di una gravità estrema, che mette in discussione legalità, dignità della persona, habeas corpus, Stato di diritto. Parliamo da anni di processi brevi, prescrizioni brevi, occupandoci di colletti bianchi e di leggi ad personam, ma la realtà è che la giustizia, a chi non ha mezzi, non viene garantita. Spero che un’indagine chiarirà al più presto l’eventuale legame del gesto di Carlo con la fine del processo per il quale tanto si era battuto, resta comunque l’immensa gravità di una prescrizione che lo uccide due volte. Sia chiaro: “Antigone” è garantista al massimo: i poliziotti potevano anche essere del tutto innocenti, ma perché non saperlo? Perché non celebrare quel processo? Possibile che in 8 anni non si sia arrivati a sentenza? Un problema di lentezza giudiziaria, quindi? Peggio: a me pare che il sistema della giustizia sia ormai fallito del tutto. O, perlomeno, presenti processi di serie A e di serie B, come probabilmente veniva considerato quello per il quale Saturno si era costituito parte civile. Questo ragazzo ora è in fin di vita: non celebrare quel processo significa buttare via un’esistenza. Come si può pensare, di fronte a un atto come questo, di avere ancora fiducia nella giustizia? Il caso di Carlo è paradigmatico: nella sua storia non ha funzionato niente. È finito in carcere quando era un ragazzino, per una storia di piccoli furti. Poi le violenze, il silenzio, e il coraggio di credere, malgrado tutto, nello Stato. Perché il suo costituirsi parte civile racconta esattamente questo: Carlo aveva fiducia nella giustizia. Quella stessa giustizia che oggi gli gira le spalle, che fa cadere in prescrizione il suo processo perché è passato troppo tempo. Negli istituti penitenziari italiani ci sono oggi 67.700 persone detenute, a fronte di una disponibilità di posti pari a 45.059. Qual è la situazione negli altri Paesi dell’Unione? Pur rimanendo, il nostro, uno dei Paesi con il maggior numero di persone detenute d’Europa, la situazione è variegata: ci sono casi paragonabili a quello italiano (la Francia, ad esempio, ha problemi quasi quanto noi), poi ci sono i Paesi scandinavi che stanno sperimentando pratiche più avanzate. La Norvegia, ad esempio, sta adottando una nuova procedura che rappresenta a mio parere un modello virtuoso da imitare. Si tratta della cosiddetta pratica delle “liste d’attesa”, che prevede, per i reati meno gravi, la possibilità di non finire in carcere quando gli istituti penitenziari sono pieni, ma di...”attendere” il proprio turno, ovviamente sulla base di una serie di normative molto ristrette e rigide. È chiaro che questa pratica garantisce carceri più “umane”, gestibili, a misura di persona detenuta. Ma come si spiega allora l’incremento “tutto italiano” del numero di persone detenute in Italia? Droga e immigrazione: siamo nel Paese europeo che più incarcera per reati legati a questi due temi. Ciò accade perché su questi discorsi si è agito ideologicamente e molto poco pragmaticamente. Sono stati trattati come “materiale” sul quale costruire campagne elettorali, cercare consensi. Nessun coinvolgimento di esperti, nessuna seria riflessione: si è andati avanti per spot. I provvedimenti più recenti sulla droga e sull’immigrazione hanno fatto sì che due carcerati su tre, oggi, siano dentro perché hanno a che fare con queste leggi. Se si pensasse seriamente e definitivamente a un percorso serio di depenalizzazione dei reati, torneremmo ad avere carceri “normali”, controllate. Anche perché il 42% delle persone detenute sono oggi in custodia cautelare, in attesa di giudizio. I processi sono lentissimi, non arrivano mai a sentenza e la custodia diventa la pena. Qual è la situazione delle misure alternative? Calma piatta: non esistono, ad oggi, vere misure alternative. E questo accade perché ci sono divieti normativi (come la legge Cirielli che ha previsto lo stop di tali misure per i recidivi) che negano alla maggioranza delle persone detenute la possibilità di trovare un diverso modo di scontare la pena. A ciò si aggiunge un aspetto che è ancora più grave: non ci sono risorse. Il terzo settore, dall’associazionismo, al sociale, alle comunità terapeutiche, non ha più un soldo. I finanziamenti sono stati chiusi: nessuno è in grado, a queste condizioni, di accogliere persone per misure alternative. E così finiscono in carcere, uno sull’altro. Spesso Antigone parla dell’urgenza di un “carcere trasparente”: cosa significa questa espressione? Significa che fatti come quello di Carlo Saturno devono uscire dall’opacità penitenziaria. Significa che storie come la sua devono poter essere osservabili e raccontabili all’esterno del carcere. “Carcere trasparente” vuol dire far sì che l’istituzione non sia complice, ma custode della legalità penitenziaria e ciò implica che l’istituzione debba essere disponibile a venire osservata dall’esterno, perché l’osservazione già di per sé condiziona il soggetto osservato. Non possiamo più permetterci di raccontare storie come quella di Carlo Saturno, coraggiosa parte civile in un procedimento per fatti che non si possono definire tortura solo a causa della mancanza di questo reato nel nostro codice penale. Giustizia: un ragazzo muore in carcere. I pm accusano: “Istigato al suicidio” di Eleonora Martini Il Manifesto, 8 aprile 2011 È morto ieri senza aver mai ripreso conoscenza nel reparto di rianimazione del Policlinico di Bari, Carlo Saturno, il detenuto 22enne di Manduria ritrovato il 30 marzo scorso impiccato con un lenzuolo nella sua cella del carcere cittadino. Un suicidio, secondo i poliziotti che lo hanno soccorso, messo in dubbio però dagli stessi sanitari del Policlinico che avrebbero trovato incongruenze tra i segni sul corpo e le modalità del suicidio, e dai familiari che non credono alla versione della polizia penitenziaria, anche perché il ragazzo era riuscito sei anni fa a mandare sotto processo nove poliziotti del carcere minorile di Lecce accusati di abusi e vessazioni. Il giorno prima, poi, il 29 marzo, in seguito ad una violenta “colluttazione” con un agente, Carlo Saturno era stato arrestato in carcere, dove era detenuto per furto, e trasferito in cella d’isolamento. Ieri, qualche ora dopo il decesso, la procura di Bari ha disposto una perquisizione del penitenziario e ha cambiato i capi d’imputazione nel fascicolo d’inchiesta sul presunto suicidio: da “modello 45”, cioè senza indagati né ipotesi di reato, ora i pm Drago e Ginefra indagano per istigazione al suicidio contro ignoti. A fare maggiore chiarezza sarà l’autopsia disposta dalla magistratura ma nel frattempo anche il Dap, il dipartimento di amministrazione penitenziaria, ha aperto un’indagine interna. Anche il Pd (Ferrante e Della Seta) e l’Idv (Evangelisti e Palomba) chiedono al governo, con due diverse interrogazioni parlamentari a risposta scritta, di fare luce su quanto avvenuto nel penitenziario del capoluogo pugliese, ricordando al ministro di Giustizia Alfano lo stato di totale illegalità in cui versano le carceri italiane. Ma è la prescrizione che incombe sul processo cominciato due anni fa che vede come imputati i nove agenti accusati di violenze da Carlo Saturno e da altri ragazzi detenuti nel 2006 nel carcere minorile di Lecce, il problema più specifico di cui bisognerebbe chiedere conto al Guardasigilli. Il senatore Pd, Alberto Maritati, allora sottosegretario alla Giustizia, fu il primo a stilare una “denuncia indiretta” sulle presunte violenze cui sarebbero stati sottoposti i minori reclusi: “Mi vennero a trovare un medico e due assistenti sociali dell’Ipm di Lecce - ricorda - e mi raccontarono di una squadra capeggiata da un graduato della polizia penitenziaria che seminava terrore all’interno della struttura. Mi dissero anche che in seguito alle loro reiterate denunce avevano subito ritorsioni. Ne parlai col ministro Mastella che mi assicurò che presto si sarebbe fatta luce sulla vicenda. In realtà - continua Maritati - per mesi non è accaduto nulla mentre il medico tornò a trovarmi e a raccontare di aver ricevuto minacce. Ho sempre lamentato le assurde lungaggini ministeriali e processuali, soprattutto quando la dottoressa Cavallo, la direttrice generale, ritenne di risolvere il problema chiudendo l’istituto di Lecce (ufficialmente “per restauro”, ndr), e punendo così di fatto solo le famiglie dei detenuti, che vennero spostati altrove, e non toccando affatto il personale penitenziario. Temo peraltro che anche questa volta non si intervenga tempestivamente. Ho anche sempre manifestato il mio rammarico per un sindacato di polizia penitenziaria che sembrava voler coprire a tutti i costi le eventuali mele marce”. Lui, Maritati, non poteva fare di più, dice. Anche don Raffaele Bruno, cappellano del circondariale di Lecce, esprime “mille perplessità e punti interrogativi”. Ricorda una struttura, il minorile, “in fibrillazione costante, dove cambiavano spesso i dirigenti e non vi si lavorava volentieri”. Anche lui, “senza entrare nel merito”, si “sorprende per un sindacato che non riesce ancora oggi a spendere una parola di vicinanza a un ragazzo di 22 anni che non ha avuto una vita facile, e peraltro è stato creduto da tutti i magistrati”. Giustizia: una storia di pestaggi e di vecchi rancori dietro il suicidio di Carlo Saturno Bari Sera, 8 aprile 2011 Una storia di pestaggi, denunce insabbiate e rancori che si trascinano da quasi 10 anni. Questi gli ingredienti dietro il suicidio di Carlo Saturno, il giovane che si è impiccato nel carcere di Bari lo scorso 30 marzo, a quanto pare dopo un pestaggio, forse l’ennesimo, che avrebbe subito da parte di alcuni agenti di polizia penitenziaria il giorno precedente il folle gesto. Sul suo decesso la Procura ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. Qualcuno potrebbe averlo indotto al folle gesto, ma chi e per quale motivo? Gli ingredienti di questa nuova tragedia, trovano una prima risposta nel processo in corso a Lecce, anche se la prescrizione è vicina, dove sono imputati Gianfranco Verri, capo delle guardie carcerarie dell’istituto minorile di Lecce (ormai chiuso), Giovanni Leuzzi, il suo vice, Ettore Delli Noci, Vincenzo Pulimeno, Alfredo De Matteis, Emanuele Croce, Antonio Giovanni Leo, Fernando Musca e Fabrizio De Giorgi, tutti agenti della Penitenziaria, per fatti compiuti tra il 2003 e il 2005. Questo processo nasce da un esposto dell’allora sottosegretario alla Giustizia e attuale senatore del Pd, Alberto Maritati. Ma in realtà, prima che Maritati prendesse in mano la vicenda, anche sulla base delle dichiarazioni di Roberto Della Giorgia, medico nella struttura minorile, già erano stati inviati esposti all’attenzione dell’allora capo del Dipartimento Giustizia Minorile, Rosario Priore, l’ex giudice istruttore che seguì l’inchiesta sulla strage di Ustica. Un uomo tutto d’un pezzo, ci raccontano le cronache, che però a quanto pare non tenne in dovuta considerazione la missiva del 29 giugno 2005, firmata dell’ex direttore dell’istituto minorile di Lecce, Francesco Pallara, con la quale si denunciavano una dozzina di guardie del penitenziario minorile, per violenze e abusi sui giovani detenuti. Una lunga lista di presunte vittime, tra i quali c’era anche Carlo Saturno, teste chiave nel processo contro Verri, ritenuto essere il reale artefice di queste aggressioni. Sulla base di questa missiva, inviata anche all’allora capo dell’amministrazione penitenziaria di Bari, Francesca Perrini, non fu avviato alcun procedimento di controllo interno, ed anzi l’ex direttore dell’istituto minorile di Lecce, fu trasferito. Sembra, dunque, che Saturno possa aver deciso di suicidarsi dopo alcune pressioni. È per questo che la Procura ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. Ora si attendono solo i risultati dell’esame autoptico affidato al medico legale Francesco Introna, il quale ha tenuto a precisare che “i segni trovati sul collo di Saturno sono compatibili con un lenzuolo legato tipo cappio”. Intanto è in corso una perquisizione nel carcere di Bari da parte della polizia giudiziaria su disposizione della Procura. La polizia giudiziaria sta acquisendo fascicoli e documentazione utili a ricostruire i giorni precedenti a quello che sembra essere un suicidio. È certo, comunque, che dopo l’aggressione Saturno è stato rinchiuso in isolamento, dopo aver compiuto un furto all’interno della stessa struttura. Giustizia: Vendola; un uovo caso Cucchi, dietro le sbarre c’è il medioevo di Giuliano Foschini La Repubblica, 8 aprile 2011 Il governatore pugliese: “La storia di Carlo è una di quelle che non può passare sotto silenzio”. Nichi Vendola in mezzora di chiacchierata usa una parola con più frequenza di ogni altra. Anzi due: “Vergogna” e “ipocrisia”. Parla molto più piano del solito, chiama Carlo Saturno soltanto con il nome come se lo avesse conosciuto. Ripete che questi sono i momenti in cui, nonostante la responsabilità e dunque anche il potere del ruolo, si senta completamente inerme. Anche per questo ha voluto incontrare i familiari del ragazzo, ieri pomeriggio, al Policlinico di Bari. “La storia di Carlo, Carlo Saturno, è una di quelle che non può passare sotto silenzio. È una di quelle vicende che deve conoscere una reazione molto forte della società civile e della politica”. Che storia è? “Da una parte è l’ennesimo campanello d’allarme che suona sulla sopportabilità del carcere oggi in Italia con l’implosione di quella sorta di discarica sociale che fa oggi come non mai del nostro circuito penitenziario un ciclo produttivo di violenza e autolesionismo, di dolore indicibile e di morte. Le galere esplodono. E attorno a tutto questo si svolgono le oscure sequenze della morte di Carlo Saturno, 22 anni di Manduria”. Perché oscure sequenze? “Non è una storia facile da capire. Ci troviamo di fronte a un ragazzo difficile che in una precedente esperienza in un reclusorio per minori aveva subito assieme ai suoi compagni di sventura le sevizie continuate di alcuni agenti di polizia penitenziaria. Questo per lo meno era l’oggetto di una denuncia che aveva instaurato un procedimento giudiziario. Questo ragazzo vittima e testimone ora non ha più la voce per reclamare verità e giustizia. Le perizie e gli accertamenti delle autorità competenti dovranno dirci cosa è accaduto a Carlo. Lo dobbiamo a lui e soprattutto lo devono a tutti noi. Dobbiamo sapere se si è suicidato e per quale ragione nessuno si sia accorto di questa deriva esistenziale. Oppure se è stato suicidato secondo quelli che sono i sospetti della famiglia”. Dal carcere dicono che è tutto in regola. “Spero che sia così. Certo non si possono fare sconti né attenuare il rumore assordante di questa richiesta di verità perché talvolta si ha il sospetto e, nel caso di Stefano Cucchi questo è molto più di un sospetto, che un certo clima culturale nell’Italia di oggi abbia legittimato una sorte di pena di morte a bassa intensità. Una pena frutto di una molteplicità di azioni di piccola barbarie e di sciatteria burocratica. La vita di un ventenne viene ridotta a una fedina penale e perde qualunque valore. E c’è chi ritiene che non basti il giudizio di un giudice. Che non basti la sofferenza che deriva dalla privazione della libertà personale. In quei luoghi chiusi oltre le sbarre può andare in scena un ordinario e diffuso Medioevo che forse per esorcizzare la pena del vivere non sfugge agli smottamenti verso la pena delle pene: la privazione della dignità e della speranza”. La Regione non fa troppo poco per le carceri? “Sì. Ma facciamo quello che possiamo. Nelle prossime settimane giungerà in consiglio la figura del garante dei diritti del detenuto, fondamentale ma non minimamente risolutiva dei problemi. Il problema è della politica: nonostante la pletora di garantisti che gremiscono le aule parlamentari non c’è quasi nessuna che si voglia occupare delle garanzie dei non garantiti. Di quelle decine di migliaia di detenuti in attesa di giudizio che sono attualmente sequestrati in questa specie di girone dantesco che è il nostro circuito penitenziario. La verità è che il nostro codice penale viene usato come una clava nei confronti di tutto ciò che è devianza sociale e non c’è scampo per nessun povero cristo la cui condotta irregolare sia ascrivibile a un quadro di miseria. Viceversa per i reati dei colletti bianchi, della criminalità economica o dei devastatori dell’ambiente c’è quasi una garanzia preventiva, una sorta di immunità aprioristica in un’Italia in cui vige un doppio codice: garantiti con i garantisti, giustizialisti con i giustiziati”. Giustizia: Aduc; in Puglia si continua a morire è urgente nomina Garante dei detenuti Adnkronos, 8 aprile 2011 “È di ieri la notizia che Carlo Saturno, detenuto nel carcere di Bari, è morto a seguito del tentativo di suicidio dello scorso 30 marzo. L’ennesimo gesto di disperazione avvenuto nelle strutture detentive pugliesi, evidenzia nuovamente una delle promesse elettorali del presidente Vendola fin ora non mantenute: la nomina del garante dei detenuti”. Lo afferma l’Associazione Diritti Utenti e Consumatori (Aduc) per bocca di Alessandro Gallucci, delegato Aduc-Lecce. “Il governatore di Puglia - si legge in una nota - aveva preso quest’impegno prima della sua rielezione, ribadendolo anche nel mese d’agosto 2010 e dando la propria parola che da lì a breve la situazione si sarebbe sbloccata. Il garante dei detenuti è una figura di fondamentale importanza a tutela di chi, sottoposto a restrizione della libertà personale, deve essere trattato secondo diritto in modo tale che la pena sia anche strumento di effettiva rieducazione e reinserimento sociale come stabilito dalla Costituzione. È dal 2006 - aggiunge Gallucci - data di approvazione della legge che istituisce la figura del garante, che se ne attende la nomina”. “La Puglia non è nuova a vuoti decisionali relativi alla nomina di simili figure; il trentennale ritardo nella designazione del difensore civico regionale la dice tutta. Ad ogni modo l’emergenza civile e democratica che si vive quotidianamente negli istituti di pena italiana e pugliesi in particolare non può andare oltre. Il presidente Vendola - conclude l’Aduc - abbia la forza ed il coraggio di mantenere le proprie promesse: impegni la sua giunta a nominare immediatamente il garante per i detenuti”. Giustizia: esplode la rabbia dei fratelli; è rimasto appeso per mezz’ora di Francesca Russi La Repubblica, 8 aprile 2011 Anna cammina avanti e dietro per i corridoi dell’ospedale, risponde al cellulare e parla con i giornalisti. Non si scompone, non grida, non piange. Affronta il dolore con gran dignità. Ha solo 20 anni. Filomena invece scuote la testa, si allontana e scoppia in lacrime. Ha la stessa età di Carlo, 22 anni, e non riesce ancora a crederci. Rosario è il più piccolo, ha appena 17 anni e non dice una parola. Manca solo Ottavio, il più grande, 24 anni, non è potuto venire perché è ai domiciliari. Sono i fratelli di Carlo Saturno. Nel cortile del reparto di Rianimazione del Policlinico di Bari aspettano le 19.15, l’orario in cui il fratello sarà dichiarato ufficialmente morto dai medici. Attorno si raduna una folla di parenti, amici, volontari. Hanno saputo che Carlo non ce l’ha fatta e vogliono stare vicini alla famiglia. “Mio fratello è entrato nel carcere con i suoi piedi ed è uscito dentro una bara - protesta Filomena - adesso vogliamo sapere chi l’ha ucciso”. Le fa eco Anna. È lei la sorella coraggio che denuncia tutto. “In carcere lo picchiavano, ne sono convinta, lo hanno fatto fuori prima che potesse parlare e raccontarci quello che succedeva lì dentro. Non so se è vero che si è impiccato, ci hanno detto che lo hanno trovato attaccato con il lenzuolo al letto a castello ma com’è possibile? Il letto è alto 1.70, Carlo invece è alto 1.75. I conti non tornano. E se Carlo ha fatto quel gesto davvero è perché lo hanno costretto”. Si avvicina il marito di Anna, è lui che al telefono contatta gli avvocati. “Il referto del 118 parla chiaro: è stato trovato dopo mezz’ora che non respirava, che stavano facendo le guardie? Perché non se ne sono accorti prima? Abbiamo diritto alla verità. È l’unica cosa che ci rimane”. Arriva anche Gianni, il cugino. Lui è di Bari e di amici che sono passati dal carcere ne ha tanti. “Ci hanno detto che giocava a pallone, che lavorava, che stava bene. Aveva voglia di vivere non di morire”. Eppure Carlo aveva già tentato di tagliarsi le vene alcune settimane prima. “È vero - ammette Anna - ma era un ragazzo solare, tranquillo, non è vero che era depresso. Il carcere lo ha fatto diventare così”. La interrompe Gianni. “Proprio perché aveva già tentato il suicidio era sotto un regime particolare di sorveglianza. Doveva essere seguito 24 ore su 24. Invece è stato lasciato morire”. Sotto i portici del padiglione Asclepios ci sono anche la nonna, la cognata, la zia, le amiche di famiglia. Tutte donne. I mariti, i figli, i fratelli sono in carcere. Allora possono essere solo loro a raccontare. “Mio genero è rinchiuso carcere - spiega sotto voce un’amica - ed è uno forte, energico, impassibile, eppure si è tagliato le vene. Mi ha detto che non poteva più sopportare quello che gli facevano”. “Per cercare la verità - suggerisce un’altra - bisogna andare in carcere. Solo lì potrete sapere la verità”. “Dentro c’è mio marito - si inserisce una terza - le guardie terrorizzano i detenuti al punto tale da costringerli a farla finita”. Un altro cugino, che in carcere ci è stato e conosce come funziona, spiega che gli agenti dai detenuti vanno sempre minimo in due. “Ci hanno detto che Carlo ha litigato con un agente e gli ha fratturato il polso ma mi devono spiegare come è possibile che sia riuscito ad aggredirlo se le guardie erano due e soprattutto - mima i movimenti di lotta - per avergli fratturato il polso vuol dire che si stava difendendo”. Ha letto la notizia su Internet ed è corsa al Policlinico anche Francesca, una volontaria della comunità di recupero di Ostuni dove Carlo è stato nel 2008. “L’ho conosciuto per pochi mesi quando era da noi. Lo avevamo convinto a riprendere gli studi, faceva l’istituto agrario, era contento, lo stavamo aiutando. In carcere nessuno svolge il ruolo che dovrebbe: rieducare i detenuti”. Giustizia: Losacco (Pd); le carceri ridotte a realtà brutale e inumana Agenparl, 8 aprile 2011 “La morte di Carlo Saturno, detenuto nel carcere di Bari, a seguito del tentativo di suicidio dello scorso 30 marzo, è una fatto drammatico che contiene elementi su cui deve essere fatta chiarezza. Così Alberto Losacco, parlamentare barese del Pd ha commentato la vicenda, preannunciando la presentazione di una interrogazione parlamentare. L’inchiesta aperta dalla procura di Bari, prosegue Losacco, in cui si ipotizza l’induzione al suicidio è un importante segnale di attenzione da parte delle autorità. Tuttavia chiediamo al governo di riferire in aula in proposito poiché sembra purtroppo profilarsi un nuovo caso Cucchi. La terribile vicenda tuttavia, al di la delle responsabilità personali, è conseguenza anche di quella brutale e inumana realtà che è divenuto l’universo carcerario italiano. Nel nostro Paese stiamo sviluppando una pericolosa indifferenza nel confronti del dolore degli emarginati, siano essi carcerati o immigrati. La morte è ormai ridotta a contabilità e questa è una cosa inammissibile per un paese civile. Sulle Carceri, conclude il parlamentare del Pd, servirebbe una sessione parlamentare speciale, poiché se la pena è fondamentale e deve essere certa non è ammissibile e accettabile trasformarla in tortura. E ciò deve essere fatto anche per il rispetto dovuto alle migliaia di operatori del settore carcerario che si trovano costretti a lavorare in condizioni disperate mettendo spesso a repentaglio la propria sicurezza. Per questo motivo presenterò al più presto una interrogazione parlamentare”. Giustizia: Sappe; caso Saturno, monta la rabbia dei poliziotti penitenziari Comunicato stampa, 8 aprile 2011 Incredulità, disagio, rabbia, queste sono le sensazioni che si raccolgono all’interno del Carcere di Bari da parte dei Poliziotti Penitenziari frastornati dal clamore mediatico creatosi intorno alla vicenda relativa al detenuto Marco Saturno che in data 30 u.s. ha tentato il suicidio. La cosa che non va giù è che attraverso un abile regia mediatica le vittime si sono trasformate in carnefici. Eppure il Sappe, sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, nei giorni scorsi aveva messo in guardia i mass-media dal raccontare una storia che non corrispondeva alla verità posta in essere da chi aveva tutto l’interesse a creare un caso mediatico per interessi non tanto nascosti. Proprio per questo , un minuto dopo la fine dell’inchiesta avviata dalla Magistratura di Bari, il SAPPE chiederà conto a queste persone del grave danno di immagine e morale provocato a dei lavoratori che in silenzio, tra le mille difficoltà di un sistema alla sbando, ci stanno rimettendo anche la dignità. Nonostante il Sappe abbia raccontato in maniera precisa quanto accaduto nelle tragica giornate del 30 Marzo scorso, si è continuato ad ingenerare dubbi, sospetti arrivando persino a prefigurare un diretto coinvolgimento della Polizia Penitenziaria nel tentato omicidio del Saturno. Così si è parlato di pestaggio del detenuto avvenuto in data 29 marzo, cosa non vera, si è parlato che lo stesso stesse all’isolamento e da solo, cosa non vera e così via. Purtroppo i fatti documentati parlano di un improvviso gesto di ribellione del Saturno (con seri problemi psichiatrici) alla notizia del suo trasferimento in altra sezione del carcere (III Sezione) poiché il reparto ove era ristretto doveva essere chiuso per ristrutturazione. Voleva essere trasferito a Taranto il detenuto, ma a Taranto come in altri penitenziari della regione il Saturno ci era stato, creando sempre situazioni di disordine. Così ha iniziato a scalciare nei confronti di un sovrintendente, un servitore della Stato, che per 1.400 euro al mese, stava solo facendo il suo dovere, lo doveva trasferire in altro reparto. Ed i segni di tale aggressione si leggono tutti negli occhi e nel fisico del coraggioso poliziotto penitenziario che ha subito una frattura della mano con una prognosi di 35 giorni, una trauma cranico ed escoriazioni alla mano ed al basso ventre. È triste constatare che tanti cosiddetti perbenisti a cominciare dalla Presidente della Regione Vendola, cosi attento a visitare i familiari del detenuto o del parlamentare del Pd che ha subito fatto un interpellanza parlamentare, non abbiano avuto nemmeno una parola di conforto per un lavoratore che barbaramente aggredito che ha così pagato il suo attaccamento alle Istituzioni. Come si diceva, dopo l’aggressione del Saturno, sono subito accorsi altri colleghi a bloccare il detenuto che continuava a scalciare all’impazzata e nonostante quanto accaduto non c’è stato alcun pestaggio od altro. E ciò viene testimoniato dalla visita medica effettuata dal medico di guardia al detenuto Saturno 40 minuti dopo il fatto. Poi lo stesso una volta calmatosi è stato accompagnato al piano terreno della Terza sezione in attesa di essere smistato nel piano superiore. Non era in isolamento e non era nemmeno solo il detenuto Saturno, tanto è vero che ha condiviso la stanza con un altro detenuto che verso le ore 14.30 circa è uscito poiché scarcerato. Considerato che le lesioni che il Saturno ha provocato al Sovrintendente, erano abbastanza gravi, si è proceduto, così come prevede la legge, al suo arresto per il reato di lesioni gravi. Dopo tale contestazione il detenuto è stato riaccompagnato, sempre nella cella, che ripetiamo non è di isolamento. Anche per quanto riguarda i soccorsi si ribadisce che sia il personale di Polizia Penitenziaria che quello medico presente nella sezione è occorso con la tempestività necessaria e ciò e dimostrato dal fatto che il detenuto è giunto in condizioni gravi, ma vivo presso l’Ospedale. Il Saturno aveva una serie di problemi psichiatrici e per questo veniva seguito dal servizio specialistico all’interno del carcere ove in più occasioni, nonostante il breve periodo trascorso a bari da ottobre 2010 al aprile 2011, ha posto in essere gesti autolesionistici come inghiottire lamette, tagliarsi i polsi o tentare il suicidio, anche in questo caso soccorso in tempo dal personale di Polizia Penitenziaria. Pertanto tutte le illazioni i sospetti i dubbi, nel tentativo di collegare i fatti accaduti circa 8 anni fa a Lecce sono figli di malafede, disinformazione, se non di peggio. Per questo chi ha messo in giro queste voci pagherà per queste affermazioni. Ultima questione il Sappe la vuole rappresentare poiché ora tutti piangono, si disperano, gridano allo scandalo, mentre nei fatti il Saturno all’interno del Carcere di Bari era solo. Infatti nei sei mesi trascorsi all’interno del penitenziario Barese, non ha mai telefonato alla propria famiglia e nemmeno fatto colloqui, se si esclude un unico colloquio nel mese di gennaio a seguito di intervento dell’Ufficio educatori del carcere di Bari presso i servizi sociali di Taranto che, avrebbero caldamente invitato i familiari ad incontrare il proprio congiunto. Noi rispettiamo il dolore di tutti e quando una persona muore in carcere è una sconfitta per tutti, ma non si può scaricare in maniera subdola tutta la colpa sulla Polizia Penitenziaria. L’Istituzione carcere è malata, per tanti motivi che il Sappe denuncia da tempo, sovraffollamento, carenza di personale, strutture fatiscenti, carenza di servizi socio-sanitari e bene farebbe il Presidente Vendola dopo la commozione di rito, ad interrogarsi perché la sanità all’interno delle carceri pugliesi è al collasso. Nei mesi scorsi, per esempio, il Sappe denunciò che a Foggia su oltre 170 detenuti con problemi psicologici e psichiatrici era in servizio un solo psichiatra con sole 50 ore lavorative al mese per assistere tanti malati. Il Sappe vuole sperare che da questo caso nasca una vera discussione sul carcere, anche se si sa che spente le luci, tutto ritorna come prima, tanto è vero che nemmeno i suicidi in carcere registratisi in questo 2011, hanno sollevato granché. Proprio per essere vicino al personale di Polizia Penitenziaria di Bari e della Regione, la prossima settimana verrà in Puglia il Segretario Generale dottor Donato Capece che visiterà nella giornata di martedì 12, i penitenziari di Lecce e Taranto, mercoledì 13, Trani e Foggia e giovedì 14 Turi e Bari. Federico Pilagatti Segretario Nazionale Sappe Giustizia: Cuffaro; basta con la politica, dopo il carcere farò l’agricoltore Italpress, 8 aprile 2011 “Quest’esperienza pone fine alla mia carriera politica. Ho la serenità per capire che si è chiusa una pagina bellissima e affascinante della mia vita. Sette anni di galera sono tanti. E io sono realista. Ricevo migliaia di lettere e le visite degli ex colleghi. Ma non vivo nell’iperuranio. Oggi parlare di Totò Cuffaro interessa, ma fra qualche anno sarò solo un numero. Il mio futuro è la campagna. E una volta uscito da qui farò l’agricoltore, come ho sempre sognato”. Lo dice Salvatore Cuffaro in un’intervista che il settimanale Panorama pubblica sul numero in edicola da domani. L’ex senatore e presidente della Regione Siciliana racconta la sua vita nel carcere di Rebibbia, dove dal 22 gennaio scorso sconta una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia. Cuffaro, scrive Panorama, vive in una cella di 16 metri quadrati assieme ad altri tre detenuti, nel braccio G8 del penitenziario. Visibilmente dimagrito, ha ricevuto circa 2.500 lettere e la visita di una sessantina tra deputati e senatori. “Sono convinto che la sentenza sia ingiusta, ma devo accettarla” dice a Panorama. “Sono arrivato in Cassazione pessimista, sicuro della condanna. Convinto che qualcuno mi stesse usando per lanciare un monito ai potenti”. L’ex senatore rivendica il suo modo di fare politica: “Con quel vasa-vasa mi hanno marchiato, volgarizzando ogni mia manifestazione d’affetto. Come se baciare e abbracciare le persone fosse esecrabile”. E attacca Raffaele Lombardo, suo successore alla guida della Regione Siciliana: “Il suo tradimento - sostiene - è stata la cosa che mi ha fatto soffrire di più nella vita. Mi ha usato: deve a me la sua elezione, ma il giorno dopo la vittoria ha rotto scientificamente ogni rapporto”. Giustizia: Consulta disarma Sindaci-sceriffi; stop ordinanze anti-lucciole e anti-accattoni Corriere del Veneto, 8 aprile 2011 Via stella e cinturone. All’improvviso i sindaci-sceriffi di tutta Italia si ritrovano denudati dei superpoteri in materia di ordine pubblico conferiti loro dal pacchetto sicurezza Maroni 2008, mandato a gambe all’aria proprio dal Veneto. La buccia di banana l’ha pestata il primo cittadino di Selvazzano (Padova), Enoch Soranzo (a capo di una coalizione Lega-Pdl), che lo scorso novembre ha emanato un’ordinanza anti-accattonaggio contro la quale l’associazione “Razzismo Stop”, allertata da un gruppo di cittadini, ha presentato ricorso al Tar. L’idea dei ricorrenti, assistiti dall’avvocato padovano Giovanni Dell’Agnese, era di contestare “uno spot elettorale travestito da provvedimento, visto che a Selvazzano ci sono soltanto un mendicante davanti alla Chiesa e uno davanti al supermercato, inoffensivi per la collettività “. In realtà l’iniziativa è andata molto più lontano, perché il Tar non si è limitato a sospendere l’ordinanza contestata, ma ha pure sollevato davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 54 del pacchetto sicurezza, che tali superpoteri conferisce ai sindaci. E che la Consulta ha dichiarato “illegittimi”. Significa dire addio alla miriade di ordinanze anti-lucciole (fecero scuola quelle di Padova, con multe portate a 500 euro, di Vicenza, con il cartello di divieto di transito nelle “vie a luci rosse”, di Mogliano, che proibisce la contrattazione con il cliente), anti-droga (multe di 500 euro a chi consuma o compra stupefacenti in pubblico, a Belluno e nella città del Santo), anti-accattoni (in vigore pure a Belluno, Cittadella e Treviso), anti-bivacco sulle panchine (a Vicenza) e addirittura anti-gay (nella Spresiano di centrosinistra), anti-panino (a Verona è vietato mangiare sulle scalinate dei monumenti) e anti-fumo nei parchi (sempre nel capoluogo scaligero), che in maniera bipartisan imperversano nei Comuni veneti da tre anni. I giudici bocciano la legge 125 del 2008 nella parte in cui consente al sindaco di adottare provvedimenti “a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato”, per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche al di fuori dei casi di “contingibilità e urgenza”. Il motivo? Vìola gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione, riguardanti il principio di uguaglianza, la riserva di legge e il principio di legalità in materia di sanzioni amministrative. Sarcastica la reazione del presidente di Anci Veneto, Giorgio Dal Negro (Pdl): “Bene, bravi, sette più. Se anche gli interventi spiccioli di ordine pubblico verranno sottratti ai sindaci, le nostre città sono destinate ad un progressivo degrado. Se non potremo più intervenire su nulla, bisognerà distogliere carabinieri, polizia e Guardia di finanza da compiti certamente più gravosi. È chiaro che chi ha scritto questa sentenza capisce poco di come si amministra una comunità locale”. Critico anche Flavio Tosi (Lega), primo cittadino di Verona: “La Consulta sbaglia, così non agisce nell’interesse dei cittadini, di cui invece dovrebbe preoccuparsi chi è pagato con le tasse di tutti. Tutte le ordinanze da noi emesse sulla base di una norma sacrosanta e utilissima sono su richiesta e a difesa della popolazione. Quanto a Verona, abbiamo emanato sempre provvedimenti annuali e non a tempo indeterminato, perciò siamo tranquilli”. Dall’altra parte della barricata non si scompone invece il Flavio-sceriffo del Pd, cioè il sindaco di Padova Zanonato: “Ho firmato il mio primo provvedimento anti-prostituzione nel 1994, molto prima del pacchetto sicurezza. Sull’articolo 54 ho sempre nutrito dei dubbi, perché certi temi vanno gestiti con l’apposito regolamento di polizia urbana. La sentenza dunque non mi sorprende, quanto a Padova rifarò l’ordinanza con il vecchio motivo dei problemi al traffico causati dalle file dei clienti delle prostitute, che nessuno aveva mai impugnato”. In forse invece quella sulla droga. “Potrebbe decadere - ammette Zanonato - vedremo come adottare misure diverse”. Gongola infine Luca Bertolino, portavoce di “Razzismo Stop”: “Speriamo che una buona volta si ponga fine all’epopea dei sindaci-sceriffi: hanno fatto solo danni. I fenomeni sociali non sono problemi e basta, e comunque non si risolvono mostrando i muscoli, ma con il dialogo”. Venezia: Ordine Avvocati; condizioni insopportabili, chiudere carcere S. Maria Maggiore Adnkronos, 8 aprile 2011 Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia va immediatamente chiuso, poiché le condizioni di vita dei detenuti sono oramai divenute insopportabili. A sottolinearlo l’Ordine degli Avvocati di Venezia, dopo una protesta messa in atto dai detenuti del penitenziario lagunare per contestare il sovraffollamento e le condizioni igieniche ritenute disastrose. “L’opinione dell’Ordine su questo tema - sottolinea l’Avvocato Daniele Grasso, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia - è che si debba costruire un carcere nuovo. Non è importante dove, ma che si faccia al più presto. È necessaria - prosegue Grasso - una nuova struttura che consenta al detenuto di condurre una vita dignitosa, e che porti, attraverso percorsi riabilitativi e l’apporto di assistenti e psicologi, ad un pieno recupero del condannato”. Piacenza: l’allarme degli operatori; il carcere scoppia di detenuti e affonda nel degrado Dire, 8 aprile 2011 “Non scompaia il tema del carcere dai programmi elettorali delle prossime consultazioni”. La commissione comunale di Piacenza ha messo questo pomeriggio attorno allo stesso tavolo Caritas, operatori sociali ed educatori che operano all’interno del carcere delle Novate per fare il punto su una situazione “allarmante” e ormai allo “stremo” con 350-400 detenuti quando la capienza massima è quasi la metà. Sul piatto, quindi, le attività relazionate ai consiglieri di quanto viene fatto per i detenuti: dall’opera della Caritas che fa emergere “lo stato di degrado in cui versano i detenuti - spiega il presidente, Giuseppe Chiodaroli - perché siamo noi a fornire biancheria, vestiti e coperte a chi entra con poco o niente”. Ma l’aiuto della Caritas non si ferma certo all’interno delle mura del carcere: “La nostra è una funzione di appoggio e ospitalità - prosegue Chiodaroli - anche per mettere in contatto i detenuti con i propri familiari, ospitandoli”. I problemi del carcere, però, “sono molteplici - specifica Brunello Bonocore, l’operatore sociale che su incarico del Comune si occupa dei disagi dei detenuti- a partire dal fatto che chi entra alle Novate è per la maggior parte chi ha commesso reati legati a uso e consumo di stupefacenti. Ma il carcere - prosegue Bonocore - non è un posto adatto per chi ha problemi di tossicodipendenza”. La sovrappopolazione delle Novate è però cosa nota e si aspetta la realizzazione del nuovo padiglione che potrebbe ospitare 200 altri detenuti e il cui primo mattone è stato posato dallo stesso Guardasigilli, Angelino Alfano: “Siamo sicuri che il nuovo padiglione sia un bene? - domanda il consigliere del Pd, Giulia Piroli - bisognerebbe pensare a come diminuire la sovrappopolazione del carcere, piuttosto, magari inserendo alcuni detenuti a lavorare con il Comune, come suggeriva in tempi non sospetti il sindaco”. Ed è sempre una Democratica, Giovanna Calciati, ad intervenire proponendo l’invio di una lettera alla dirigente del carcere per un incontro e una visita all’interno delle Novate “per renderci conto anche noi delle condizioni in cui versano 350-400 nostri concittadini”. Ma è lo stesso Bonocore che, constatando l’interesse dei consiglieri verso le condizioni dei detenuti, chiosa: “A breve ci saranno altre consultazioni elettorali e il tema del carcere è spinoso e sotto elezioni i detenuti vengono messi sotto il tappeto. Nei programmi elettorali, vi prego, non scompaia il carcere”. Roma: il Dap interviene sulla situazione del carcere femminile e invia 11 nuove agenti Ansa, 8 aprile 2011 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rende noto che, per fronteggiare la situazione di criticità dell’organico di Polizia Penitenziaria femminile in forza alla casa circondariale di Roma Rebibbia femminile, ha disposto l’invio di undici nuove unità che andranno ad integrare l’organico attuale. Il capo del DAP Franco Ionta, pur valutando con la massima attenzione lo stato di agitazione messo in atto dal personale che da alcuni giorni sta attuando una protesta pacifica con l’astensione dalla mensa di servizio e dal sonno, assicurando comunque il servizio, ha precisato che la situazione dell’organico di Roma Rebibbia femminile è da tempo all’attenzione del Dap che ha, pertanto, anticipato la già prevista assegnazione delle undici unità. Negli anni scorsi, ha precisato Ionta, è stata adottata una pratica di distacchi che ha ridotto il quadro permanente del personale in servizio, non solo a Rebibbia femminile, ma in diversi altri istituti. Il monitoraggio continuo e la revoca di numerosi distacchi, a livello nazionale, disposti dal capo del Dap, rientrano negli interventi di stabilizzazione del sistema carcere, le cui linee di indirizzo sono state illustrate ieri alle organizzazioni sindacali nel corso di un incontro svoltosi al Dap. A settembre, ha continuato Ionta, saranno immessi in servizio 760 nuove unità di personale di Polizia Penitenziaria, che hanno iniziato il corso di formazione lo scorso 28 marzo. Compatibilmente con le esigenze degli altri istituti, si valuterà la possibilità di rafforzare ulteriormente l’organico di Rebibbia femminile. Sono certo che questo segnale di attenzione e comprensione per le esigenze espresse dal personale che sta attuando la protesta pacifica, determini il ripristino della normale attività di servizio. Idv: preoccupazione per salute delle agenti “Le agenti del carcere femminile di Rebibbia continuano ad oltranza lo sciopero della fame e del sonno, perché anche l’irrisoria promessa verbale di aumentare l’organico da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) è assolutamente insufficiente”. Lo dice in una nota la senatrice dell’Idv, Giuliana Carlino, commentando la notizia dell’invio di 11 unità di rinforzo da parte del capo dipartimento, Franco Ionta. “Misura - prosegue l’esponente dell’Idv - totalmente irrisoria dal momento che mancano ben 80 unità di personale femminile. Siamo fortemente preoccupati per lo stato di salute delle agenti, che iniziano a stare seriamente male. Chi pagherà le conseguenze per quanto sta accadendo? Al momento dal ministro Angelino Alfano c’è stato solo un silenzio assordante e nessuno, a parte noi dell’Italia dei Valori, si è prodigato per andare a verificare di persona lo stato di salute delle agenti che stanno digiunando da martedì, senza neanche dormire, continuando però a compiere zelantemente il loro dovere di servizio nel rispetto dei diritti delle detenute”. “Abbiamo saputo che è stata espressa solidarietà da parte di vari istituti penitenziari italiani, a partire dal personale del carcere maschile Nuovo complesso di Rebibbia, sempre a Roma, che ha dichiarato ‘una profonda condivisione della necessità di portare alla luce le difficoltà oggettive quali il sovraffollamento, la carenza d’organico e la scarsa disponibilità economica impiegata nel settore penitenziario che da tempo affliggono tutte le carceri italiane. E il comunicato termina con “Vi stiamo vicini”, mentre - conclude Carlino. Alfano è lontano anni luce dai problemi seri del Paese reale”. Cagliari: caso di meningite, è di nuovo allarme sanitario nel carcere di Buoncammino L’Unione Sarda, 8 aprile 2011 Il direttore minimizza: “Si tratta di un portatore sano”. Ma il chiarimento di Gianfranco Pala ridimensiona parzialmente l’allarme meningite nel carcere di Buoncammino. Dalla sera di mercoledì un detenuto in cella per duplice tentato omicidio è in isolamento. Le analisi a cui è stato sottoposto hanno rivelato che è portatore sano del batterio che causa la malattia. Per questo è stato isolato e sottoposto a cure antibiotiche. Anche i cinque compagni di cella sono in queste ore sottoposti ad analisi per verificare se sono stati a contatto col bacillo e vengono protetti con una mascherina. “Una situazione capitata altre volte”, evidenzia Pala, “ma non preoccupante. Prendiamo tutte le precauzioni possibili per evitare che la situazione degeneri, specie a causa di contatti con altri detenuti in condizioni non ideali di salute”. Insomma, il caso sarebbe isolato e sarebbe simile a quello del 5 novembre del 2009 quando sette detenuti nel carcere di Buoncammino erano risultati positivi allo stafilococco e l’amministrazione penitenziaria ne aveva disposto l’isolamento sanitario. I sette erano sottoposti a terapia antibiotica per evitare che potesse svilupparsi un’emergenza meningite. Cinque erano detenuti comuni, gli altri due, di cui uno di nazionalità nigeriana, in regime di alta sicurezza. Anche in quel caso il direttore della casa circondariale aveva evitato gli allarmismi sottolineando che la situazione era sotto controllo. Come lo era anche venti giorni prima con due detenuti risultati positivi al batterio. Sottoposti a terapia antibiotica, erano guariti. La positività allo streptococco è stata scoperta grazie ai tamponi faringei cui vengono regolarmente sottoposti i detenuti. Proprio grazie a quei controlli, in carcere capita di individuare il batterio di cui molti, fuori, sono portatori senza esserne consapevoli, anche perché non dà sintomi. Trani (Ba): poliziotti penitenziari protestano davanti al carcere Comunicato stampa, 8 aprile 2011 Dopo l’ultimo fallimentare incontro con la Direzione della Casa Circondariale di Trani le OO.SS. Osapp - Fp Cgil, Cisl Fns, Cnppfsa, Ugl Pp e Sinappe che rappresentano il 70% del personale di polizia sindacalizzato, hanno organizzato un sit-in di protesta di tutti gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nella sede di Trani, alla Via Andria, 300 - zona filtro, da tenersi in data 8 aprile 2011, davanti ai cancelli del Carcere, a partire dalle ore 09.00 mentre, con una seconda fase dimostrativa pubblica, in data 11 aprile davanti al Prap di Bari, Via G.Petroni,90/A ore 09.00. I Poliziotti Penitenziari di Trani protestano poiché i vertici del Prap Puglia hanno inopinatamente ed unilateralmente deciso di trasferire 150 detenuti dalla Casa Circondariale di Bari a quella tranese, che si vanno ad aggiungere agli attuali 280 reclusi, più 45 nella sezione femminile della stessa città penitenziaria della Bat e che superano di gran lunga la capienza massima regolamentare di 220 detenuti senza disporre contemporaneo rientro nella sede di trani delle proprie unità di Polizia che si trovano colà distaccate ambito uffici Regionale di seguito all’allora disposta chiusura del Carcere che risale al 2003. Tra l’altro il trasferimento dei detenuti viene effettuato senza un adeguato e congruo numero di agenti. Tant’è che la decisione è stata presa senza tener presente quanto motivatamente denunciato dalle OO.SS. in data 23 febbraio u.s. e in data 2 marzo u.s., in sede di trattativa regionale e il 4 aprile u.s., in sede di trattativa decentrata che hanno contestato e richiesto a gran voce il rientro nel Carcere tranese delle numerose unità di personale, distaccate in altre sedi, ma in pianta organica, previste presso il Carcere di Trani. Di fatto, vi è la necessità di avere un 30% di personale in più rispetto a quello attualmente in servizio, che consta di circa 250 agenti. Inoltre, illegittimamente è stata soppressa l’unica fonte di benessere del personale dipendente e, quindi, non è ulteriormente tollerabile la chiusura, disposta da una settimana, dello spaccio agenti bar/sala convegno di Trani, di cui le OO. SS. hanno chiesto l’immediata riapertura. Pertanto, le OO.SS. che avevano dichiarato lo stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria, invitano tutti i media e gli agenti, a partecipare ai due sit-in di protesta, affinché i diritti e la sicurezza di chi lavora nelle Carceri per lo Stato siano tutelati. Il Cartello Sindacale Unitario Messina: dramma per un orologio nell’Opg di Barcellona al collasso Gazzetta del Sud, 8 aprile 2011 Un labbro gonfio e spaccato, ematomi vari, la fronte contusa e varie lesioni al braccio destro. Giuseppe, 22 anni, palermitano, porta addosso i postumi della rissa verificatasi lunedì all’Ospedale psichiatrico giudiziario “Madia” con gli agenti di polizia penitenziaria, due assistenti e un sovrintendente, che a loro volta hanno riportato fratture alle mani e contusioni. L’Opg è oramai una polveriera. Sovraffollato oltre ogni limite, deprivato di personale e di risorse, è invivibile per gli internati e per il personale in servizio. I rapporti interpersonali sono ingestibili, l’esasperazione viaggia sul filo del rasoio. Miria è una volontaria del progetto “Gerico”. Incontra Giuseppe una volta alla settimana. “Gli porto le sigarette - ci dice - non è cattivo. Si sente furbo, forte e questo lo porta ad essere aggressivo. Lo hanno messo dentro per una rapina a mano armata. Per lui rappresento quella madre che purtroppo ha perduto. Martedì era il giorno di visita - racconta - l’ho trovato ferito, dolorante, pallido, intontito”. Giuseppe è l’altra vittima di un sistema al collasso. “Mi ha raccontato la sua versione - dice Maria. Un agente lo ha accusato di uno scambio illegale di un orologio. In realtà l’orologio lo avevo regalato io al ragazzo circa due mesi fa; poi Giuseppe aveva sostituito il cinturino che si era rotto. L’agente - secondo la ricostruzione del ragazzo - glielo avrebbe sottratto e pestato con i piedi e gli avrebbe sferrato un pugno sul naso. A quel punto si sarebbe scatenato un parapiglia, proseguito con l’intervento di altri due agenti dopo il trasferimento del detenuto in una piccola sala. Sedata la rissa - racconta Miria - i due agenti sono stati portati subito in ospedale e curati, il sovrintendente si è fatto visitare privatamente. Ma Giuseppe è stato portato in ospedale solo martedì mattina”. Gorizia: entra in carcere per girare un film e lo arrestano per una vecchia condanna Il Piccolo, 8 aprile 2011 Dalla fiction alla realtà. Dal carcere al carcere. È la paradossale vicenda che vede protagonista uno sloveno di 46 anni che fino a ieri mattina faceva parte della troupe che sta girando il film sul bandito Felice Maniero. Per la precisione era stato ingaggiato come autista di uno dei mezzi usati per trasportare le attrezzature. Come tutti i componenti della troupe, per la gran parte stranieri e dell’Est Europa in particolare, anche lo sloveno aveva dovuto consegnare i documenti all’autorità di polizia. Percorso necessario per essere autorizzati ad entrare in carcere e accedere al secondo piano trasformato in set, attualmente sgombero di detenuti per la nota situazione di degrado della struttura di via Barzellini. Sicché ieri mattina all’ingresso della troupe in carcere gli agenti hanno effettuato un semplice controllo al terminale e hanno scoperto che lo sloveno era un ricercato. Deve infatti scontare una pena residua di sei mesi inflittagli anni fa dal Tribunale di Trieste per una vicenda legata all’ingresso di clandestini in Italia. Altro che film. La scena deve essere stata irreale e a nulla sono valse le giustificazioni dell’uomo. Che ha dovuto salutare la compagnia e sistemarsi in cella. Udine: comune e volontariato in campo per i libri in prestito ai carcerati Corriere Veneto, 8 aprile 2011 I libri della biblioteca civica Joppi entrano nella casa circondariale di Udine. Grazie alla firma del protocollo stipulato ieri tra la biblioteca del Comune di Udine, la direzione della casa circondariale, il Centro territoriale permanente per l’età adulta e l’associazione di volontariato penitenziario “Icaro” i detenuti potranno godere infatti dei servizi offerti per il prestito dei libri. “Negli ultimi anni - spiega il sindaco del capoluogo friulano, Furio Honsell - la nostra biblioteca si è sviluppata come un’istituzione sempre più aperta alla città, promotrice dell’integrazione dei nuovi cittadini e di un articolato programma di iniziative. Ecco perché - prosegue - abbiamo deciso di mettere a disposizione anche dei detenuti della casa circondariale i 150 anni di storia della Joppi e il suo inestimabile patrimonio librario di oltre 500 mila documenti”. Alla firma del protocollo erano presenti, oltre al sindaco e all’assessore comunale alla Cultura, Luigi Reitani, il direttore della biblioteca cittadina, Romano Vecchiet, il direttore della casa circondariale, Francesco Macrì, il presidente dell’associazione Icaro, Maurizio Battistutta, e per il Centro territoriale permanente, la dirigente scolastica del complesso scolastico di via Petrarca, Roberta Bellina. “Iniziative come questa - dichiara Macrì - sono importantissime perché la cultura e la scuola all’interno del carcere alimentano il senso critico delle persone e rappresentano uno dei principali trattamenti di riabilitazione dei detenuti, oltre al lavoro e la religione. E questo - prosegue il direttore della casa circondariale - soprattutto in una struttura come la nostra dove il problema del sovraffollamento è molto sentito visto che per una struttura costruita per 87 posti e dove si potrebbe al massimo arrivare a 166, la media dei detenuti di via Spalato si aggira sempre sulle 215 unità”. Vibo Valentia: al convegno “Vita in-grata”, la drammatica realtà delle carceri calabresi Gazzetta del Sud, 8 aprile 2011 La drammatica situazione delle carceri calabresi e le prospettive di reintegro sociale e lavorativo degli ex detenuti. Sono stati questi i temi al centro del convegno “Vita in-grata”, che si è tenuto ieri al Valentianum. Problemi strutturali ed organizzativi, comuni a tutti gli istituti penitenziari della regione, quelli messi sul tavolo del confronto dal rappresentante della segreteria regionale Sappe, Francesco Ciccone, per il quale “i detenuti devono essere valorizzati - ha detto - in modo da creare una fitta rete di azioni tese al loro reinserimento sociale. La Regione Calabria - ha aggiunto - in questo contesto può giocare un ruolo determinante”. Il primo passo per avviare un riforma radicale nel settore è - per come auspicato dallo stesso Ciccone - l’istituzione di un Garante per i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Non si tratta, infatti, solamente di attività ricreative svolte all’interno della Casa circondariale di appartenenza, ma di tutta una serie di opportunità per creare le condizione necessarie all’avviamento nel mondo del lavoro, aiutando i detenuti a ricostruirsi un futuro. Le soluzioni ci sono è sono state individuate dall’assessorato regionale al Lavoro e alla Formazione professionale, che da quasi un anno ha dato il via libera a numerosi progetti volti alla valorizzazione degli ex detenuti. Ad illustrare le iniziative portate avanti dalla Regione, l’assessore Francescantonio Stillitani, che, nel corso della manifestazione, ha rassicurato sull’impegno assunto dal suo assessorato a favorire processi di reintegro degli ex detenuti. “La Regione - ha spiegato Stillitani - ha competenze marginali in materia penitenziaria. Il nostro contributo riguarda principalmente tutto il mondo che ruota al di fuori delle carceri”. Su questo aspetto sono stati avviati una serie di progetti. Da quello per favorire l’accesso al microcredito da parte degli ex detenuti, che potranno usufruire di risorse e di un consulente, per l’avvio di attività imprenditoriali proprie a quello che riguarda la formazione lavorativa tramite uno stage presso un’azienda della durata di dodici mesi. “Sotto quest’ultimo aspetto - ha ribadito l’assessore Stillitani - sono stati presentanti ed approvati 24 progetti richiesti da altrettante associazioni di volontariato e cooperative. Le risorse messe a disposizione dalla Regione sono quasi cinque milioni di euro”. Il convegno organizzato dalla Conferenza regionale volontariato giustizia, il cui referente è Antonio Morelli, sono intervenuti il direttore della Casa circondariale della città, Antonio Galati; il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Nello Cesari, il magistrato di sorveglianza, Laura Antonini e Angela Campolo, psicologa la quale ha relazionato sui riflessi sulla persona e sulla società del sovraffollamento delle carceri. Siria: rilasciati decine di attivisti arrestati nei giorni scorsi nell’est paese Ansa, 8 aprile 2011 Decine di siriani arrestati nei giorni scorsi nell’est del Paese da parte delle forze di sicurezza, sono stati rilasciati nelle ultime ore mentre la città si prepara a nuove proteste anti-regime indette su Internet in tutte le città siriane. Lo riferisce stamani l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), precisando che le decine di giovani attivisti ed esponenti della società civile rilasciati erano finiti in carcere nelle settimane precedenti a Dayr al Zor, città sull’Eufrate e capoluogo della regione orientale al confine con l’Iraq. Dayr al Zor era stato teatro di massicce proteste anti-regime all’inizio della mobilitazione popolare senza precedenti a metà marzo, parallelamente alla sollevazione di Daraa, nel sud, epicentro della repressione delle forze di sicurezza di Damasco. Egitto: in carcere fedelissimo di Mubarak, è accusato di malversazione Aki, 8 aprile 2011 Si stringe il cerchio intorno all’ex presidente egiziano, Hosni Mubarak, deposto a metà febbraio in seguito a una sollevazione popolare e al momento agli arresti domiciliari a Sharm el-Sheikh. Le autorità giudiziarie hanno stabilito che il suo ex capo dello staff, Zakaria Azmy, dovrà essere rinchiuso per 15 giorni nel carcere di Tora, al Cairo, in attesa di ulteriori indagini sul suo conto. Secondo il sito web del quotidiano al-Ahram, che riporta la notizia, Azmy, ex deputato e ritenuto uno dei fedelissimi dell’ex rais, è accusato di malversazione ai danni dello Stato e di aver accumulato un patrimonio grazie alla posizione occupata nel governo. Secondo il procuratore Essam El-Gohary, alla guida dell’agenzia anti-corruzione, l’ex capo dello staff presidenziale sarebbe proprietario di ville di lusso, terreni e stabili in diverse città dell’Egitto. Stando al quotidiano, Azmy dovrà anche essere processato per i reati di corruzione e violazione dei diritti umani. Cuba: scarcerati 37 dissidenti politici, la Spagna li accoglie come rifugiati Il Manifesto, 8 aprile 2011 Trentasette dissidenti cubani, di recente liberati dal carcere, e i loro famigliari (circa duecento persone) arriveranno questa mattina a Madrid in un volo charter organizzato dal governo spagnolo. Si chiude così l’accordo negoziato nel luglio dell’anno scorso fra il presidente Raul Castro e l’allora ministro degli esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, mediato dal cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana. In quel negoziato Elizardo Sanchez, leader della Commissione diritti umani a Cuba (non riconosciuta ma tollerata dal governo) presentò una lista di 163 detenuti, ma le autorità cubane rifiutarono la richiesta di liberazione di 30 nomi, condannati per atti di terrorismo. Finora sono arrivati in Spagna 78 ex-detenuti con le rispettive famiglie. Con quelli in arrivo oggi in tutto saranno 114 (anche se alcuni di loro hanno poi scelto altri paesi, soprattutto gli Stati Uniti). Dodici dei 126 ex-detenuti liberati dal luglio scorso hanno preteso di restare a Cuba, cosa che all’inizio le autorità cubane avevano rifiutato e poi accettato. Fra quelli scarcerati nelle ultime settimane e attesi oggi a Madrid c’è Orlando Fundora, del “gruppo dei 75” presi, processati e condannati nell’ondata repressiva della primavera del 2003, liberato due anni fa per motivi di salute. Gli altri in arrivo non sono parte dei 75. Con questi ultimi 37 più i famigliari, saranno 650 i cubani dissidenti (che le autorità dell’Avana considerano “mercenari” al soldo degli Usa) arrivati in Spagna dal luglio 2010. La maggior parte di loro ha accettato lo status di “protezione internazionale assistita” che prevede la concessione del permesso di residenza e lavoro e apre la porta all’acquisizione della nazionalità dopo due anni.