Giustizia: è nuovamente “allarme suicidi” nelle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 4 aprile 2011 Tragico il bilancio dell’ultimo weekend nelle carceri italiane: 2 detenuti sono morti e altri 2 sono gravissimi. In tre casi si è trattato certamente di gesti suicidari. Da inizio anno sono già 37 i detenuti morti nelle carceri italiane, di cui 15 per suicidio, 17 per “cause naturali” e 7 per “cause da accertare”. La loro età media era di 37 anni, 12 erano stranieri e 25 italiani; la sola donna si chiamava Loredana Berlingeri ed aveva 44 anni, è morta per “cause naturali” il 18 marzo scorso nel carcere di Reggio Calabria. Padova, Casa Reclusione, 3 aprile 2011: Mehedi Kadi, algerino 39enne, si impicca nella Casa di Reclusione “Due Palazzi”. Era appena stato trasferito da Vicenza, condannato con pena definitiva fino al 2023 per rapina e tentato omicidio. L’uomo ha deciso di uccidersi quando è rimasto solo in cella mentre gli altri compagni di reclusione usufruivano dell’ora d’aria pomeridiana. Kadi era stato arrestato nell’ottobre del 2008 a seguito di una rapina avvenuta in una villetta di Creazzo (Vicenza). Lo scorso anno nella Casa di Reclusione di Padova ci furono ben 3 suicidi: il primo fu il 28enne tunisino Walid Aloui, che si impiccò il 23 febbraio 2010; poi fu la volta di Giuseppe Sorrentino, 35 anni, che si uccise il 7 marzo 2010 e l’ultima delle impiccagioni ebbe come vittima Santino Mantice, 25enne, che si uccise nel Reparto Infermeria il 30 giugno 2010, quando gli mancavano soli 3 mesi a terminare la pena detentiva. Inoltre il 17 luglio scorso fu ritrovato senza vita in cella Sabi Tautsi, che aveva 39 anni e la cui morte fu registrata come evento determinato da “cause da accertare”. Negli ultimi 13 mesi, quindi, nell’istituto di pena padovano sono morti 5 detenuti, di cui 4 per suicidio tramite impiccagione. Viterbo, Casa Circondariale, 2 aprile 2011: Mario Germani, 29 anni, tenta di suicidarsi nella sua cella del carcere di “Mammagialla”. L’uomo viene salvato da alcuni agenti di Polizia penitenziaria e trasportato d’urgenza nell’ospedale di Belcolle con un’ambulanza del 118, dove è stato rianimato e intubato ed è tuttora ricoverato al reparto di rianimazione, in condizioni gravissime. Era stato arrestato nei giorni scorsi da una pattuglia della polizia che lo aveva sorpreso, di notte, fuori dalla propria abitazione, dove avrebbe dovuto essere agli arresti domiciliari. È stato così denunciato per evasione e riportato in carcere. Sono in corso indagini per accertare le ragioni che hanno indotto il giovane a tentare il suicidio. Nel carcere di Viterbo l’ultimo decesso risale a un anno fa, quando morì per “cause naturali” Agostino G., detenuto di 35 anni. L’ultimo suicidio avvenne il 20 aprile 2009, con la morte per impiccagione del 57enne Antonino Saladino. Il 2008 fu l’anno più “nero” del carcere di “Mammagialla”, con 3 suicidi ed 1 morte per cause “da accertare”. Novara, Casa Circondariale, 2 aprile 2011: Mario Coldesina, 42 anni, muore in cella. Secondo i primi accertamenti medico legali il decesso è avvenuto per soffocamento. Il detenuto - era rinchiuso nel reparto “nuovi giunti”, in una cella con altre due persone. Da quanto si è saputo, intorno alle 13 l’uomo ha sbucciato un kiwi e l’ha mangiato tutto intero. Subito dopo si è sentito male. Soccorso da personale del 118, intervenuto su richiesta dei responsabili del carcere, è morto poco dopo. Sul decesso interviene il Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, che esprime preoccupazione per il sovraffollamento delle carceri dal momento che - sostiene l’organizzazione sindacale - la cosiddetta “legge svuota carceri” non ha deflazionato a sufficienza gli istituti di pena. La nota del Sappe continua: “Non è ancora chiaro se si è trattato di un incidente o di un suicidio. L’uomo era detenuto per furto aggravato e il suo periodo di detenzione sarebbe terminato nel 2013. Aveva impugnato la sentenza di primo grado ed era in atteso della conclusione del processo di appello”. Bari, Casa Circondariale, 1 aprile 2011: Carlo Saturno, 22 anni, di Manduria (Ta), si impicca in cella. Ora è in condizioni disperate nella rianimazione del policlinico di Bari, dove è mantenuto in vita dalle macchine. L’elettroencefalogramma di ieri è risultato piatto, come quello del giorno precedente, per cui da un momento all’altro i sanitari potrebbero decidere di staccare la spina del respiratore. A trovarlo penzoloni sono state le guardie che lo hanno tirato giù quando respirava appena ed era in fin di vita. In suo aiuto è intervenuto il personale dell’infermeria e del 118. Ora però rischia di non farcela. Come fanno sapere i suoi familiari, Carlo soffriva da tempo di crisi depressive ed era in cura con tranquillanti. Il suo avvocato, Tania Rizzo, del foro di Lecce, lo aveva visto l’ultima volta una ventina di giorni fa nel corso di un’udienza che lo riguardava nel tribunale di Manduria. “In quell’occasione - racconta l’avvocatessa - Carlo era visibilmente agitato, nervoso e scostante”. I familiari che vivono a Manduria si sarebbero già rivolti ad un proprio legale di fiducia per capire le cause del gesto e soprattutto per scoprire eventuali responsabilità. Il giovane era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, che sono accusati di aver compiuto violenze sui ragazzi detenuti tra il 2003 e il 2005. Carlo, che all’epoca16enne, avrebbe subito vere e proprie sevizie. Gli agenti sono accusati di maltrattamenti e vessazioni. Saturno - spiega ancora l’Osservatorio - è uno dei tre ex detenuti di quel minorile che ha trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa nel processo iniziato il 19 febbraio scorso davanti giudice Pietro Baffa, che vede alla sbarra, per i presunti abusi nei confronti anche di Saturno, il capo degli agenti Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi, sette agenti di polizia penitenziaria, per rispondere tutte della presunta atmosfera di paura instaurata tra i giovani detenuti con minacce, privazioni e violenze non di natura sessuale. Giustizia: Ferrante (Pd); sulle morti in carcere indecente silenzio del Governo 9Colonne, 4 aprile 2011 “Mentre in materia di giustizia il governo e la maggioranza sono in tutt’altre faccende affaccendati, con sempre lo scopo ultimo di salvare il premier dai processi, nelle sovraffollate carceri italiane si continua a morire, e si aggiorna con impressionante cadenza la conta dei detenuti che si tolgono la vita. Con la dodicesima interrogazione parlamentare, che segue ad altre 11 rimaste finora senza risposta, chiederò conto al Presidente del Consiglio di questa strage che avviene nell’indecente silenzio del Governo”. Così il senatore del Pd Francesco Ferrante dopo il tragico bilancio dell’ultimo weekend nelle carceri italiane, con 2 detenuti morti e altri 2 in fin di vita. “Il sovraffollamento e una scarsa tutela per chi si trova in una situazione di riduzione della libertà personale - continua Ferrante - sono carenze endemiche dei penitenziari del nostro Paese, che da nord a sud registrano un sovraffollamento di 68mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila. Negli ultimi dieci anni circa un terzo dei decessi nelle carceri italiane è avvenuto per suicidio, una proporzione impressionante se confrontata con quanto accade al di là delle sbarre. Nelle carceri inoltre mancano tantissimi agenti che costringono il personale che c’è ad un lavoro durissimo, ma occorrono anche educatori e assistenti sociali, categorie indispensabili per assicurare la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 della Costituzione”. “Tra le misure da assumere, un Governo serio ne sarebbe cosciente, c’è una seria politica di rivalutazione delle misure alternative al carcere”, conclude Ferrante. Giustizia: Antigone; tentato suicidio di Carlo Saturno, fare luce su eventuali responsabilità Ristretti Orizzonti, 4 aprile 2011 Tenta il suicidio nel carcere di Bari uno dei ragazzi che denunciò violenze nel minorile di Lecce. Le istituzioni intervengano immediatamente per fare luce sulle eventuali responsabilità. Carlo Saturno, 22 anni, di Manduria (Ta), detenuto presso la Casa Circondariale di Bari, ha tentato giovedì sera di suicidarsi impiccandosi, ma solo oggi la notizia è stata resa nota: le sue condizioni sarebbero gravissime. “Ci auguriamo che ci sia una rapida inchiesta amministrativa e giudiziaria” - dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone - “diretta ad accertare: 1) quali siano state le cause del suicidio; 2) se vi siano responsabilità dirette o indirette da parte di coloro che lo avevano in custodia; 3) se vi è un nesso con il processo che lo vedeva parte lesa per i ripetuti maltrattamenti denunciati quando era recluso nell’istituto per minori di Lecce. È un dovere dare oggi una risposta ai genitori. Il ragazzo insieme alla sua famiglia aveva avuto il coraggio di denunciare nove poliziotti penitenziari: le istituzioni abbiano il coraggio di raccontare quello che è successo. Bisogna anche sgombrare il campo dal sospetto che ci possano essere state ritorsioni da parte degli agenti che lui aveva denunciato”. Secondo quanto avrebbe ricostruito la magistratura, all’interno dell’Istituto minorile di Lecce si sarebbe creata, dal 2003 al 2005, una “pseudo associazione di intenti” finalizzata a sopprimere con la violenza qualsiasi cenno di dissenso, tanto dei reclusi quanto del personale operante all’interno della struttura stessa. Un vero e proprio inferno in cui a farne le spese sono stati i giovani detenuti, vittime di violenze e abusi di ogni genere. Le testimonianze raccolte parlano di ragazzini denudati e pestati in cella, fino a “far uscire sangue da entrambe le orecchie” o “spezzare tre denti”. O ancora, di un ospite della struttura lasciato “per un’intera notte completamente nudo a dormire in cella di isolamento senza materasso”. Il processo, iniziato il 19 febbraio 2010 dinanzi ai giudici della II sezione penale del Tribunale di Lecce, non si è ancora concluso. Si teme peraltro la prescrizione dei reati contestati, dato che molte posizioni sono state stralciate con evidente perdita di tempo per il tribunale. Carlo Saturno è uno dei tre ex detenuti di quel minorile che ha trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa nel processo. Giustizia: Opg; ci sono i fondi per fare uscire i “dimissibili”, in 388 potrebbero uscire Dire, 4 aprile 2011 Sono 388 le persone internate negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani che, non essendo “socialmente pericolose”, potrebbero essere dimesse ma rimangono negli Opg per assenza di strutture alternative. Per loro qualcosa si sta muovendo. A riferirlo è Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, che intervenendo a Roma al convegno del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale, annuncia che dal ministero della Salute sono stati effettivamente erogati finanziamenti in direzione di quelle regioni che hanno presentato al dicastero dei Piani per accogliere nuovamente i propri detenuti. La risposta “non ci sono i fondi per far uscire gli internati dimissibili”, che dovrebbero già essere fuori dagli Opg da mesi o anni perché non sono più socialmente pericolosi - dice Marino - non può più essere ammessa. La disponibilità totale per agevolare l’assistenza sul territorio dei dimissibili è stata, da parte del ministero della Salute, di 5 milioni di euro, da assegnare alle regioni sulla base di apposita richiesta con la redazione di un Piano per la presa in carico e l’assistenza dei “propri” internati negli Opg. Alcune regioni, come la Lombardia (che ha 85 internati) o la Toscana (che ne ha 15 in queste condizioni), hanno presentato effettivamente la documentazione e per questo hanno avuto l’assegnazione delle risorse richieste. Dei 5 milioni complessivi - fa notare Marino citando informazioni riferite dal ministro della Salute Fazio - sono stati effettivamente erogati alle regioni 3 milioni e 400mila euro. Altre regioni invece, fa notare Marino, non hanno ancora provveduto a presentare i Piani per accogliere gli internati dimissibili, e 1 milione e 600mila euro sono rimasti, finora, nelle disponibilità del ministero. Fra queste regioni, ce ne sono alcune con un numero considerevole di persone: “La regione Lazio - spiega Marino - non ha presentato alcuna richiesta di fondi pur avendo 41 cittadini che hanno il diritto di lasciare gli Opg in cui sono; così ha fatto la Liguria che ne ha 11; l’Abruzzo che dovrebbe riaccoglierne 6; la Campania dove dovrebbero poter tornare 75 internati che hanno scontato la pena e non sono più socialmente pericolosi; la Calabria e la Sicilia che devono riaccogliere rispettivamente 11 e 31 persone; il Friuli Venezia Giulia che ne aspetta 7. Questa evidente mancanza di cooperazione va fermata al più presto per bloccare uno scandalo che non può più continuare”. “È preoccupante - conclude - che anche di fronte alla disponibilità finanziaria non venga fatto nulla per rispondere al problema: è tempo che ognuno prenda le proprie responsabilità”. Anche dal vice capo del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, è arrivata la richiesta di utilizzare tutte le opportunità previste per usufruire dei fondi a disposizione della Cassa delle Ammende per finanziare progetti per il miglioramento della situazione nelle carceri: del capitale di 160 milioni di euro, circa 100 sono “distratti dal Piano Carceri” ma i rimanenti sono utilizzabili: “Avendo la competenza su detenuti e trattamento e avendo registrato carenze negli investimenti - dice - ho sollecitato provveditori e direttori a presentare progetti”. Consolo ricorda anche che l’Opg di Castiglione delle Stiviere (il migliore fra tutti gli Opg) “non è comunque un modello, perché come con gli altri dobbiamo giungere anche alla sua chiusura e al suo superamento”. Giustizia: Osapp; ancora aggressioni ad agenti, necessario riassetto organizzativo della Polpen Ansa, 4 aprile 2011 “Due ulteriori inevitabili episodi di aggressione questa mattina nel carcere di Novara nei confronti di 2 Sovrintendenti e nel carcere di Firenze-Sollicciano nei confronti di un Ispettore sono gli ulteriori tasselli che si aggiungono al crescente cumulo di rischi e tensioni negli istituti penitenziari sul territorio nazionale a carico del personale di Polizia Penitenziaria” è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Durante una perquisizione straordinaria nel carcere Novara un detenuto italiano di 44 anni con varie imputazioni, tra cui quella per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, ha rifiutato il controllo degli agenti e, condotto per motivi di riservatezza presso il magazzino ha aggredito, senza apparente motivazione, i 2 sovrintendenti presenti che subito sono stati condotti al pronto soccorso del locale nosocomio”. “Sempre in mattinata nell’istituto penitenziaria di Firenze-Sollicciano invece - prosegue il sindacalista - durante il cambiamento di cella un detenuto extracomunitario, analogamente senza appartenente motivazione, ha aggredito con un pugno un Ispettore di polizia penitenziaria causandogli la probabile frattura del setto nasale” “Purtroppo, oltre che a Novara e a Firenze, anche sul restante territorio l’amministrazione penitenziaria si dimostra assai poco avveduta in quanto a sicurezza e prevenzione a favore del personale di polizia penitenziaria e, comunque per una maggiore vivibilità delle infrastrutture penitenziarie, - indica ancora il leader dell’Osapp - basti pensare sempre più spesso in carcere, qualora un detenuto si renda responsabile di intemperanze o di atti di violenza nei confronti di altri detenuti o del personale, per giorni non si provvede ad alcuno spostamento preventivo e il soggetto permane nella stessa cella, a contatto con lo stesso personale, fino all’esito procedimento disciplinare”. “Rispetto a tali situazioni di sempre maggiori attualità e gravità a fronte del crescente abbandono istituzionale della polizia penitenziaria - conclude Beneduci - riteniamo urgente che, oltre agli interventi mirati da parte del capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, il Ministro Alfano e il Governo si pronuncino anche per quanto riguarda l’indispensabile riassetto organizzativo del Corpo”. Lettere: sto provando a trovare un lavoro ad un detenuto modello, ma ricevo solo porte in faccia di Giovanni Ferrero www.targatocn.it, 4 aprile 2011 Gentile Direttore, Berlusconi ha detto, l’altro giorno, che basterebbe che ogni Comune ospitasse un fuggitivo dall’Africa e che il lavoro per uno solo si trova sempre. Ma sa quel che si dice? Io, a Cuneo, come attività di volontariato (sono pensionato), mi sto dando da fare da ottobre per trovare un lavoro, generico che più generico non si può, per un detenuto che uscirà a Maggio. Ha 40 anni, è sano di mente e di corpo, non ha problemi di droga o di alcool o di altro genere personale, è volenteroso ed umile, ha commesso un solo reato - non contro il patrimonio - quasi casualmente, sta terminando i suoi due anni e rotti (difeso d’ufficio) in modo esemplare. Ho anche sentito gli assistenti sociali che lo seguono e lo descrivono nel migliore dei modi. Ho bussato a tante porte, fabbricone, fabbrichette, aziendone ed aziendine, istituzioni grosse e piccole. Nessuna risposta, salva quella di un politico, inconcludente. Eppure Cuneo non è città tanto piccola. Ho una rabbia in corpo che sono tentato di votare Lega, anche se sono iscritto ad un partito di opposizione. Non è giusto che veda entrare in certi stabilimenti (mi sono appostato per vedere) parecchi gialli e neri e balcanici non comunitari, ma che non ci sia posto per un cuneese nato a Cuneo da padre e madre italiani. Non è giusto che le agenzie di collocamento al lavoro scrivano “senza distinzione di nazionalità”; se non sono della Comunità Europea la distinzione ci deve essere, eccome! Sono diventato cattivo, perché tocco con mano. Se gli ultimi Governi (non solo Berlusconi) ci hanno portato a questi risultati, non mi rimane che sperare nel padre del Trota. Il che non mi entusiasma. Lazio: Il Garante; la legge svuota-carceri non funziona, è “record storico” di detenuti presenti Adnkronos, 4 aprile 2011 “I detenuti presenti attualmente nelle 14 carceri della Regione Lazio sono 6.531, per la prima volta in assoluto oltre quota 6.500. In poco meno di 60 giorni, da gennaio ad oggi, i reclusi sono aumentati di 154 unità: sono questi i dati che certificano, in maniera inequivocabile, l’inutilità nel Lazio della legge svuota-carceri”. È quanto si legge in una nota del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. “Ormai - ha detto Marroni - non si parla più del provvedimento varato dal governo a dicembre che, secondo le stime, avrebbe dovuto svuotare le carceri concedendo la possibilità di scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena. Nella nostra regione non solo non si sono visti i benefici ma, anzi, i reclusi continuano a crescere in maniera impressionante, con tutte le drammatiche conseguenze che questo implica”. “Infatti, dopo un leggero decremento delle presenze registrato a gennaio - prosegue la nota - il trend dei reclusi nelle carceri della regione è tornato a salire: il 15 febbraio i detenuti erano 6.398, il 27 marzo sono arrivati a toccare quota 6.531, 1870 in più rispetto alla capienza regolamentare. Rispetto ad un anno fa (quando i detenuti erano 6.082), c’è stato un incremento di 416 unità”. “Attualmente nelle celle della Regione sono reclusi 6.087 uomini e 444 donne - prosegue la nota - A febbraio erano 5.949 e 449. A gennaio invece 5.598 uomini e 419 donne. Alla fine di novembre 2010 erano 5.989 e 445. A settembre c’erano 5868 uomini e 449 donne mentre ad agosto i reclusi erano 5853 uomini e 434 donne. A luglio nelle celle c’erano 5811 uomini e 442 donne. Il 20 giugno 5.795 uomini e 459 donne: il 24 maggio 5.784 gli uomini e 445 le donne. Il 21 aprile i detenuti erano 5.704 uomini e 434 donne, l’11 marzo 6.082 (5648 uomini e 434 donne), a febbraio 5.882 (5.470 uomini e 412 donne)”. “Il dato di maggior allarme - sottolinea il Garante - è quello del sovraffollamento, registrato un po’ in tutte le carceri della Regione: a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece più del doppio), Viterbo (300 detenuti in più rispetto alla capienza), Frosinone (oltre 200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (oltre 500 in più) e Regina Coeli. A Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece quasi cento in più, con tutti i problemi che ciò comporta nella gestione delle recluse madri con i figli da 0 a 3 anni al seguito. Ancora senza soluzione i casi, da tempo segnalati dal Garante, delle strutture di Rieti e Velletri dove oltre 300 nuovi posti restano utilizzati per carenza di personale di polizia penitenziaria”. “Piano Carceri, legge svuota carceri; l’esperienza di questi mesi dimostra che la politica degli annunci spot è fallimentare - ha detto Marroni - Sovraffollamento, Inadeguatezza delle strutture, cronica carenza di risorse umane e finanziarie e tutte le altre criticità del pianeta carcere dovrebbero essere risolte con un intervento strutturale che parta dalla politica. Purtroppo, in questo momento, le priorità dell’agenda politica sono altre”. Lazio: Federazione della Sinistra; le carceri scoppiano, ma non sono una priorità del Governo Dire, 4 aprile 2011 “Le carceri del Lazio scoppiano ma non è una priorità di questo Governo che, dopo provvedimenti inutili e tagli insostenibili ai budget per il funzionamento delle strutture penitenziarie, non ha il minimo interesse a risolvere la situazione”. Lo dice in una nota Fabio Nobile, consigliere regionale della Federazione della Sinistra, commentando l’allarme lanciato da Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio. “L’incredibile aumento di reclusi nelle 14 strutture carcerarie della nostra regione - prosegue Marroni - certifica il fallimento della politica propagandistica del Governo Berlusconi, che aveva promesso miracoli grazie al piano svuota carceri varato a dicembre. Nessun miracolo e per il momento rimane irrisolto il problema del sovraffollamento”. “E mentre gli istituti penitenziari del Lazio stanno collassando - spiega il consigliere - le risorse destinate al mantenimento dei servizi per i detenuti vengono illogicamente razionalizzate, paralizzando ogni tipo di attività. Tagliate le ore di servizio per l’assistenza psicologica, ogni psicologo dovrà seguire mediamente 250 detenuti; 740mila euro in meno rispetto all’anno scorso per il vitto, 275mila euro in meno per il funzionamento degli asili per i figli delle detenute. Per non parlare delle gravi carenze di organico fra gli agenti della polizia penitenziaria: un unico operatore spesso costretto a turni infernali e a gestire da solo fino a 200 persone”. “Occorre - conclude Nobile - affrontare seriamente la disumana situazione in cui vivono gli oltre 6500 detenuti nelle carceri della nostra regione, abbandonando la politica degli annunci”. Puglia: Osapp; tre tentativi di suicidio in carcere in cinque giorni La Repubblica, 4 aprile 2011 L’ultimo episodio riporta in superficie l’allarme sullo stato degli istituti penitenziari pugliesi. E riaccende la polemica dei sindacati sul sovraffollamento delle carceri: in media, nella regione, il numero di persone recluse è quasi doppio rispetto alla soglia massima prevista. Il nuovo tentativo di suicidio da parte di un detenuto, dopo quello di giovedì scorso, si è verificato ieri mattina nel carcere di Bari, dove l’emergenza tocca le punte massime. Lo ha reso noto il vicesegretario nazionale dell’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Mimmo Mastrulli. “In cinque giorni - elenca Mastrulli - si sono verificati in Puglia tre tentativi di suicidio, il primo a Lecce martedì scorso e gli altri due a Bari: in tutti e tre i casi i detenuti sono stati salvati senza gravi conseguenze grazie all’intervento di un agente di polizia penitenziaria”. Dall’inizio dell’anno ad oggi in tutta la regione sono stati otto gli episodi - tra suicidi e tentativi di suicidi - riguardanti detenuti rinchiusi “negli affollatissimi istituti di pena della Puglia”. Un’emergenza che spinge il sindacato a chiedere soluzioni immediate. Il penitenziario di Bari in questi ultimi giorni ha operato uno sfollamento di quasi cento reclusi per le regioni del sud e del centro Italia, e si appresta a breve al trasferimento di altre centocinque persone verso la città di Trani. Lo spostamento segue quello di altri diciassette detenuti verso il carcere di Foggia. “Un istituto sovraffollato - denuncia Mastrulli - che ha già avuto gli onori della cronaca per episodi di suicidio e di tentativi di suicidio avvenuti nei mesi scorsi”. Il penitenziario di Bari dovrebbe mantenere una capienza regolamentare di 296 posti letto. Un tetto che però viene sforato puntualmente: attualmente il carcere ospita 606 detenuti. Più del doppio della soglia massima prevista. L’Osapp denuncia “la cronica carenza degli organici di polizia penitenziaria” e chiede “interventi urgenti per far fronte alla difficile situazione”. In Puglia nelle 15 strutture penitenziarie i posti regolamentari sono 2.528 ma ad oggi i reclusi risultano essere complessivamente 4.445. Toscana: parte la protesta dei direttori penitenziari e degli uffici dell’esecuzione penale esterna Comunicato Stampa, 4 aprile 2011 Parte la protesta dei direttori penitenziari e degli uffici dell’esecuzione penale esterna della Toscana: in queste condizioni non possiamo più operare, vogliamo il contratto e la copertura di tutte le sedi scoperte, tutto rischia di fermarsi dal 2 maggio prossimo. Rispettando la tabella di marcia decisa dal Consiglio Direttivo del Si.Di.Pe. il 16 marzo scorso in Roma, nel corso del quale sono state programmate, in successione, tutta una serie di azioni sindacali finalizzate a riportare al centro dell’attenzione del Governo e delle forze politiche la difficilissima situazione dei Dirigenti Penitenziari, Direttori d’istituto penitenziario e degli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna della Toscana, si è provveduto ad informare la Commissione di Garanzia per l’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, nonché le altre autorità di cui all’allegata comunicazione. Analoghe iniziative, ove non verranno date concrete risposte da parte del Governo ed in specie dal Ministero della Giustizia, potranno essere assunte anche in altre regioni italiane. La regione Toscana è sempre stata all’avanguardia sulle tematiche relative all’esecuzione penale ed al sistema penitenziario, improntato sulla rieducazione delle persone detenute. Ma il procrastinarsi di una situazione di grandissima difficoltà, dovuta innanzitutto alle insufficienti risorse umane sia di polizia penitenziaria che degli altri ruoli e profili civili, specialistici ed amministrativi, insieme con la gravissima carenza di dirigenti penitenziari di diritto pubblico, ha reso le condizioni di lavoro praticamente impossibili, esponendo soprattutto i direttori degli istituti e degli uffici di esecuzione penale esterna a rischi che superano il consentito, dovendo essi svolgere contemporaneamente la difficile funzione di governo delle carceri e degli uffici in più sedi di servizio, distanti tra di loro, e non più come fatto provvisorio e limitato nel tempo, bensì in modo praticamente permanente. Lavorare due o tre volte di più, rischiando con una progressione geometrica, in quanto la somma delle difficoltà che si debbono incontrare non corrisponde a quella meramente matematica, mentre risulta a tutti noto come le carceri siano in ebollizione, al punto che è stato reiterato dal Governo il decreto sullo stato d’emergenza delle carceri, al fine di realizzare il relativo piano delle infrastrutture. Ad oggi sono numerose le sedi scoperte della Toscana, si tratta spesso di carceri sovraffollate e di uffici strategici nella gestione delle persone detenute e del personale. Non si tiene, poi, conto dei bisogni e delle esigenze dei dirigenti penitenziari, i quali senza contratto di lavoro e senza alcuna forma di incentivi, sono costretti ogni giorno a sacrificare interessi ed affetti familiari e personali pur di non far crollare il sistema ed evitare l’ulteriore progressivo imbarbarimento dello stesso, a causa dell’assenza di risorse economiche e umane che dovrebbero essere sempre garantite per poterlo presiedere, nel rispetto dei principi di legalità ed umanità della pena. Proprio per tali ragioni, il Consiglio Direttivo del Si.Di.Pe. ha deciso di superare ogni indugio ed avviare una durissima ma corretta battaglia sindacale per riportare all’attenzione del Governo e della Politica oltre che lo stato pietoso delle carceri, anche le difficili condizioni di lavoro alle quali sono sottoposti tutti gli operatori penitenziari, ivi compresi gli stessi dirigenti, direttori d’istituto e degli uffici di esecuzione penale esterna. Dal 2 maggio p.v., quindi, stop agli straordinari, stop alle partecipazioni presso le numerose Commissioni di lavoro, in particolare a quelle disciplinari del personale, stop alle attività di Funzionari Istruttori, stop alle attività di contrattazione sindacale in quelle sedi ove si è direttori in missione e non risulterà, nella pratica, possibile verificare l’effettivo stato dell’attuazione degli accordi e degli impegni assunti, stop alla partecipazione alle attività di formazione se non previa sostituzione con altri dirigenti e pagamento degli anticipi delle spese che dovranno essere affrontate, in caso di missione, stop insomma all’assunzione indiscriminata ed ingiusta di responsabilità amministrative non disciplinate dal contratto di lavoro e che rendono sempre di più difficile il lavoro di una Dirigenza costretta a vivere nella continua emergenza e senza che si intraveda una progettualità coerente con i principi costituzionali ai quali il nostro sistema dovrebbe costantemente conformarsi. Alla data di oggi sono scoperte le seguenti Direzioni della Toscana (Istituti, Uepe e Uffici del Provveditorato): Casa Circondariale di Livorno; Casa di Reclusione di Gorgona; Casa Circondariale di Massa Marittima; Casa Circondariale di Pistoia; Casa di Reclusione di San Gimignano; Opg di Montelupo Fiorentino; Uepe di Pisa; Ufficio Epe del Provveditorato; Ufficio Detenuti e Trattamento del Provveditorato; Ufficio Sicurezza e Traduzioni del Provveditorato; Ufficio dell’Organizzazione e delle relazioni del Provveditorato. Inoltre, si precisa che: la Direzione della C.R. di Massa è provvisoriamente coperta in missione con un incarico a tempo determinato (per mesi tre); la Direzione della C.C. di Firenze “Gozzini” rimarrà priva di titolare dal 1° aprile. È stata coperta sottraendo un dirigente alla C.C. di Firenze Sollicciano (il maggior Istituto della regione); nel Distretto del Provveditorato Regionale di Firenze sono vacanti ben dodici posti di funzione di dirigente aggiunto. La Segreteria Nazionale Si.Di.Pe. Reggio E.: in Opg troppi pazienti altre regioni; compiuti interventi per migliorare condizioni vita Dire, 4 aprile 2011 Per superare i problemi di sovraffollamento nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, viste le carenze infrastrutturali, è necessario rispettare le competenze territoriali e attuare la dimissione o il trasferimento dei pazienti negli Opg di competenza. Infatti i pazienti presenti al 31 dicembre 2010 erano 276, di cui più della metà (147) provenienti da regioni non di competenza della struttura reggiana. Ma sulle condizioni sanitarie dei pazienti, da quando tale competenza è stata trasferita all’Ausl, sono stati effettuati numerosi interventi di miglioramento. A precisarlo è la stessa azienda sanitaria dopo il presidio di protesta dei sindacati della polizia penitenziaria davanti a carcere e Opg, che ha puntato il dito sulle carenze di organico e i problemi di sovraffollamento delle due strutture. L’Ausl precisa che nel 2008 la situazione presentava un importante sovraffollamento di pazienti (275 persone a fine 2008, con una dotazione di 131 celle singole), carenze di organico e di qualifica del personale, deficit strutturali e tecnologici, scarsa qualità dell’assistenza e dell’organizzazione sanitaria, diffuso ricorso alla contenzione fisica, difficoltà negli approvvigionamenti di beni di uso comune. Inoltre, in quattro reparti su cinque, i pazienti erano ricoverati in celle chiuse giorno e notte. In seguito all’applicazione del decreto del primo 1 aprile 2008, sono state però separate le responsabilità sanitarie, in carico all’Azienda Usl da quelle relative alla sicurezza e alla gestione dei locali rimaste di competenza diretta dell’amministrazione penitenziaria. In tre anni si è quindi provveduto ad un aumento del personale sanitario da 3 medici e 8 infermieri dipendenti, ai quali si aggiungevano numerosi contratti libero professionali, a 7 psichiatri e 3 psicologi, 33 infermieri, 5 terapisti della riabilitazione psichiatrica, 22 operatori socio- sanitari, tutti dipendenti dell’Azienda Usl. Viterbo: Mario Germani se la caverà; ma è il quinto detenuto che tenta il suicidio da inizio anno Viterbo Oggi, 4 aprile 2011 È sempre grave ma, secondo i sanitari che lo hanno in cura, non sarebbe più in pericolo di vita Mario Germani, 29 anni, che ieri ha tentato di suicidarsi nella sua cella del carcere di Mammagialla. L’uomo è stato salvato da alcuni agenti della polizia penitenziaria e trasportato d’urgenza nell’ospedale di Belcolle con un’ambulanza del 118, dove è stato rianimato e intubato. Quello di Germani è il quinto tentativo di suicidio avvenuto dall’inizio dell’anno a Mammagialla, in un istituto dove sono presenti oltre 730 detenuti (444 posti letto previsti) di cui 54 detenuti 41 bis, 150 detenuti ad Alta sicurezza, 40 detenuti cosiddetti precauzionali. Oltre 10 detenuti, inoltre, sono sottoposti a controllo multidisciplinare essendo soggetti violenti e ad alto rischio suicidio- autolesionismo e altrettanti sottoposti a grande sorveglianza che rappresentano uno stato di grave rischio ad atti nei propri confronti. “Solo questi dati dovrebbero prevedere un organico di polizia penitenziaria adeguato alla popolazione detenuta - ha commentato il coordinatore regionale della Uil penitenziari, Nicola Nicastrini - . Le responsabilità di questa grave situazione sono da attribuire al vertice dell’amministrazione penitenziaria, sulla quale ci attendiamo un’immediata attenzione ad affrontarli”. “Un encomio va al personale di polizia penitenziaria che ha sventato questi cinque tentativi di suicidio - ha aggiunto Nicastrini - perché solo la loro capacità professionale permette di tenere ancora testa alla totale inefficienza dell’amministrazione penitenziaria e dei suoi vertici capi dipartimentali”. Bologna. un cantiere per dare lavoro ai detenuti, corso di edilizia per 12 reclusi Dire, 4 aprile 2011 Un cantiere per aiutare i detenuti a trovare lavoro. È “Dozza in cantiere”, l’iniziativa che permette il reinserimento professionale dei detenuti del carcere della Dozza. Il progetto, organizzato e gestito dall’Iiple (Istituto professionale edile) di Bologna e finanziato dalla Provincia attraverso il Fondo sociale europeo, è rivolto a 12 detenuti, la metà stranieri: i partecipanti seguono all’interno del carcere un percorso di formazione su attività di manutenzione edile e muratura. Il corso ha una durata complessiva di 460 ore, di cui 120 sono di stage presso il servizio di Manutenzione ordinaria dei fabbricati (Mof) del carcere della Dozza. Al termine del corso, il prossimo 30 giugno, i più meritevoli saranno integrati in qualità di operai edili dipendenti nella Mof, e cominceranno a lavorare prima ancora di aver scontato completamente la loro pena. Tutti i detenuti otterranno un certificato di competenza, che dovrebbe agevolare la ricerca di un lavoro. Spesso gli ex detenuti, nel momento in cui finiscono di scontare la pena o escono in regime di semi- libertà, si trovano in condizioni di isolamento e di discriminazione, e hanno enormi difficoltà a trovare lavoro. Il progetto “Dozza in cantiere” contribuisce al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, grazie all’esperienza dell’Iiple che, essendo bilaterale, cioè composto da rappresentanti degli imprenditori e dei sindacati, garantisce un reale collegamento con il sistema imprenditoriale. Inoltre, l’edilizia è un settore meno discriminante di altri, per quanto riguarda la provenienza dei nuovi addetti, grazie al continuo ricambio della manodopera. I partecipanti al corso sono stati selezionati in base alle motivazioni individuali, alle esperienze professionali pregresse, all’ammontare della pena rimasta da scontare e alle indicazioni della dirigenza carceraria sulle eventuali situazioni di incompatibilità. I tecnici dell’Iiple guidano i detenuti in un percorso formativo teorico e pratico, sviluppato interamente all’interno del carcere, attraverso il quale hanno la possibilità di imparare a lavorare in sicurezza sulle opere in muratura. Durante il periodo di stage, i detenuti sono impegnati in interventi sulle aree del carcere che hanno bisogno di piccole ristrutturazioni e di manutenzione ordinaria. Al termine del percorso formativo, i dodici corsisti sosterranno un esame finale per ottenere la certificazione. Ferrara: i Consiglieri regionali Sel-Verdi; all’Arginone i detenuti vivono in tre metri quadri www.estense.com, 4 aprile 2011 “Tre persone in una cella singola da 9 metri quadri”. È parte del quadro della situazione carceraria ferrarese - terzo penitenziario per ordine di grandezza in Regione, che illustra Gian Guido Naldi, consigliere regionale del Gruppo assembleare Sel-Verdi, che è giunto in visita alla struttura dell’Arginone con la collega Gabriella Meo, questa mattina. Il sopralluogo rientra nel progetto ‘I lunedì al carcere”, un tour di visite ai luoghi di restrizione della Regione Emilia-Romagna, avviato a ottobre 2010 dal gruppo Sel-Verdi. “L’obiettivo - ha spiegato Meo - è approfondire la conoscenza del sistema carcerario per valutarne criticità e punti di forza. Oltre a queste valutazioni - ha aggiunto la consigliera, riteniamo nostro dovere visitare con una certa periodicità questi luoghi, per loro natura chiusi”. La visita dei due consiglieri, durata circa 2 ore, è terminata poco dopo le 13, con una conferenza stampa presso il piazzale antistante la casa circondariale. “I detenuti - fa il punto Naldi - sono 2,5 volte il previsto, mentre il personale di sorveglianza è sotto organico”. Una situazione, quella descritta, che pare non mutata rispetto allo scorso 19 gennaio, quando la Garante dei detenuti Fede Berti, in consiglio comunale, illustrava che “su un organico previsto di 236 agenti per 250 detenuti, il Ministero ha assegnato 192 persone”. A questo dato, Berti aggiungeva nel suo rapporto: “al 5 gennaio 2011, i detenuti sono 501, di cui 243 stranieri e 258 italiani”. Ed evidenziava: “i posti regolamentari sono 235, con un’effettiva capienza tollerata di 383 posti”. La questione del sovraffollamento è affrontata da Naldi con due proposte di risoluzione. La prima, di ordine terapeutico. “Tanti detenuti - sostiene il consigliere - potrebbero stare in comunità di recupero per tossicodipendenti: sarebbe una utile misura alternativa”. La seconda, di ordine logistico. “Anche qui a Ferrara - considera Naldi - è prevista la realizzazione di una nuova ala che dovrebbe ospitare 200 detenuti. Con i parametri di adesso - rimarca l’amministratore - significa diventeranno 400 persone. Secondo la nostra valutazione, la gran parte di queste strutture non è indispensabile: sarebbe sufficiente - argomenta Naldi - assumere più personale di sorveglianza, per ottimizzare l’utilizzo delle strutture attuali. Sosteniamo ciò perché temiamo che il piano del governo non sia quello di far star più larghi i detenuti: il quadro che si sta già profilando è infatti quello di un aumento dei detenuti a fronte dello stesso numero di agenti”. “Lavoro sul territorio”. È questa dunque la priorità, secondo il consigliere regionale Gian Guido Naldi, che occorre implementare, nell’ambito delle attività promosse dal carcere di Ferrara. “Occorre promuovere attività lavorative all’esterno della struttura carceraria” ribadisce il consigliere. “L’obiettivo del carcere - rileva Meo - è far uscire persone migliori di quelle che sono entrate: è uno sforzo che va fatto in una prospettiva di sicurezza. Perciò occorre far loro imparare un mestiere, la lingua. Ho apprezzato molto - aggiunge la consigliera - il fatto che oltre ad una cappella cattolica sia previsto anche un luogo di preghiera per i musulmani. È il primo caso che riscontriamo, che contribuisce ad allentare le tensioni”. Parole di elogio al carcere ferrarese anche per quanto riguarda le ore concesse ai detenuti fuori dalla cella: “In altre prigioni, sono previste meno di 5 ore. Qui, tra le 7 e le 8. Inoltre le attività messe in campo sono molteplici e la struttura è in buone condizioni, rispetto ad altre che abbiamo visitato: maglia nera - riferisce Naldi - al carcere di Forlì, antico e invaso da topi e piccioni”. Volontariato e professionalità, fanno dell’Arginone un luogo di eccellenza, nonostante le criticità: “Rileviamo - evidenzia Naldi - come queste strutture funzionino grazie all’abnegazione delle persone che ci lavorano, dagli educatori al personale di sorveglianza fortemente professionalizzato”. Ora i due consiglieri tireranno le somme di questi “lunedì al carcere”: “redigereremo un rapporto -annuncia Meo - che presenteremo quanto prima in Regione”. Firenze: Uil-Pa; detenuto senegalese aggredisce un agente e gli rompe il setto nasale Ansa, 4 aprile 2011 Un detenuto senegalese di 38 anni stamani ha aggredito un ispettore capo della polizia penitenziaria procurandogli con un calcio un forte trauma cranico e la rottura del setto nasale nonché altre lesioni al volto. È stato necessario far intervenire dall’esterno del carcere personale del 118. L’episodio è stato reso noto dal sindacato Uil-Pa Polizia penitenziaria. Secondo il sindacato, sembra che il detenuto presentasse già dal suo ingresso in carcere, pochi mesi fa problematiche di natura psichiatrica ma come più volte abbiamo denunciato la situazione sanitaria anche in questo contesto presenta tutte la sua inadeguatezza ed inefficienza. Il sindacato parla di situazione grave. Siamo in emergenza carcere - afferma il coordinatore provinciale di Firenze, Eleuterio Grieco - ed il sistema è un vulcano prossimo all’esplosione aggravato dal sovraffollamento e dai consistenti tagli dei fondi a disposizione. Preoccupano anche i fatti di questi giorni a Lampedusa poiché il carcere potrebbe diventare il serbatoio dell’immigrazione clandestina. Lucera (Fg): progetto “La vera sfida è vivere” con l’associazione “Lavori in Corso” onlus www.luceraweb.eu, 4 aprile 2011 Il carcere non può essere considerato un contenitore in cui la società si sbarazza, senza avvertire alcun coinvolgimento, di tutto ciò che è esecrabile e corrotto: il carcere ci appartiene ed il detenuto è un membro della nostra collettività. Soprattutto è molto facile avere reazioni di condanna ed indignazione verso i colpevoli di abusi sessuali, specie se a danno di minori, senza però impegnarsi in alcun modo a livello sociale e scientifico per cercare di aiutare anche gli autori di tali reati: non si può dimenticare che tali soggetti, dopo essere stati “ibernati” in prigione, comunque torneranno nella società con tutte le loro disfunzioni, trovando spesso un tessuto sociale lacerato su cui non si è intervenuti, con in più una buona dose di rabbia e carica aggressiva quale conseguenza delle condizioni detentive. Alla luce di questo necessario ed auspicabile processo di cambiamento culturale nella direzione di presa in carico “comunitaria” dei detenuti, l’Amministrazione penitenziaria della casa circondariale di Lucera sta integrando risorse del territorio e coinvolgendo attivamente le energie del volontariato. In particolare, da ottobre scorso l’Associazione di volontariato “Lavori in Corso” Onlus con il progetto “La vera sfida è vivere” sta realizzando iniziative che facilitino la sperimentazione da parte dei detenuti di spazi di socialità per l’elaborazione critica del proprio vissuto deviante. Il carcere è un mondo diseredato dalla parola e dal linguaggio, da cui deriva una metamorfosi della personalità che si insinua gradualmente nel detenuto. La perdita “ufficiosamente ufficiale” della parola è la conseguenza più dannosa della reclusione: l’ultima muraglia che circonda il detenuto è il vuoto della non- parola. Il progetto offre occasioni per avviare autentiche manifestazioni di comunicazione interpersonale attraverso i “Gruppi poetici”, momenti di riflessione, dialogo, condivisione sui “grandi temi” trattati dalle poesie proposte ai reclusi che, a loro volta, diventano soggetti attivi del percorso, traducendo in versi i loro vissuti, le loro emozioni, i loro propositi. Nella prospettiva di promuovere lo sviluppo della comunicazione in tutte le sue forme, l’Associazione ha accolto con entusiasmo anche la richiesta di collaborazione per dare rilancio alla funzione della biblioteca in carcere, attraverso un’opera di nuova catalogazione dei testi esistenti. È inoltre ben noto che i ristretti sono colpiti anche dalla deprivazione sensoriale e motoria dovuta all’impossibilità di muoversi liberamente, alla carenza di stimolazioni sensoriali e alla forzata convivenza fisica legata all’affollamento, che procurano deficit fisici e psicomotori, nonché disturbi psicosomatici che costringono l’espressione corporea dei bisogni. Pertanto Lavori in Corso ha dato avvio ad un laboratorio di sensibilizzazione ed espressione corporea. Siamo convinti che il modo migliore per evitare che i fatti di violenza non si ripetano ancora è accompagnare la galera a percorsi che portino gli autori degli stessi a riconoscere di aver compiuto un azione sbagliata, ad acquisire consapevolezza, a riflettere sulla propria personalità, a capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire: è questo un dovere sociale, oltre che istituzionale. Trieste: detenuto ricoverato in ospedale per intossicazione da farmaci Il Piccolo, 4 aprile 2011 È finito all’ospedale per intossicazione da farmaci un detenuto di origine russa recluso all’interno del Coroneo. L’episodio si è verificato l’altra sera. L’uomo ha improvvisamente perso i sensi all’interno della cella. È stato subito soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria che hanno cercato di rianimarlo. Poi è arrivata un’ambulanza del 118. Il medico ha visitato il recluso e ha disposto il ricovero a Cattinara. In breve è stato trasportato ed è stato sottoposto alle opportune cure. Il detenuto si è salvato grazie all’intervento delle guardie carcerarie. L’agente in servizio si è subito reso conto della gravità della situazione e dopo aver cercato di rianimare l’uomo, ha chiamato il 118. L’episodio fa seguito alla doppia rissa al Coroneo sedata prontamente dagli agenti della polizia penitenziaria in cui sono stati coinvolti quattro detenuti: due nigeriani, un serbo e un rumeno. È avvenuta l’altra settimana a quanto pare per problemi di convivenza, futili motivi. Nella zuffa hanno utilizzato la parte bassa delle caffettiere di alluminio, usate come “armi”. Due i detenuti rimasti feriti. Sono stati soccorsi dai sanitari del 118 ai quali si erano rivolti gli agenti della penitenziaria quando hanno visto i due carcerati riversi sul pavimento e sanguinanti. Arienzo (Ce): “Letture d’evasione”, progetto di promozione del libro e della cultura Agi, 4 aprile 2011 Presentato presso la casa circondariale di Arienzo il progetto di promozione del libro e della cultura “Letture d’evasione”. Il progetto è promosso dalla struttura restrittiva di Arienzo (CE) e dall’associazione Melagrana, e si pone come obiettivo quello di promuovere una nuova offerta culturale e di socialità, ovvero realizzare un luogo di incontro nel carcere, per il gruppo dei detenuti, dove la proposta culturale, il libro nello specifico entra nel carcere in maniera viva, direttamente incontrando gli scrittori. Gli obiettivi dell’iniziativa sono l’implementazione della biblioteca interna al carcere, a tal proposito le Edizioni Melagrana hanno donato l’intero catalogo, circa centotrenta libri; incontri con l’autore, un libro e uno scrittore al mese che incontrano i detenuti; la realizzazione di un laboratorio di lettura nel carcere, promosso attraverso l’azione preziosa dell’I.C. Settembrini di Maddaloni (Ce) attraverso la sua scuola interna al carcere ed al lavoro delle sue insegnanti che accompagnano la lettura del libro che mensilmente sarà presentato a cura della biblioteca del carcere; la realizzazione di un laboratorio di scrittura creativa gestito direttamente da operatori delle Edizioni Melagrana e portato avanti in integrazione con le attività degli insegnanti interni al carcere; l’indizione di un Concorso Letterario Nazionale destinato alla popolazione carceraria che possa coinvolgere nella giuria anche le scuole del territorio, oltre ad una giuria tecnica, che possa concorrere a rompere quel muro invisibile di diffidenza tra la società al di fuori del carcere ed il mondo dei detenuti che pur nell’assunzione delle proprie responsabilità continuano il loro percorso di vita emozionale e relazionale. “L’iniziativa vuole promuovere la lettura come strada per crescere, perché grazie alle parole di un libro si può viaggiare con la fantasia oltre ogni limite. Melagrana vuole ringraziare, fin da adesso, la disponibilità degli autori, sia delle nostre edizioni, che di altre, che hanno accolto in modo entusiasta il progetto”. Verona: cuochi professionisti volontari in carcere, aiutano la preparazione del vitto per i detenuti di Margherita Forestan (Garante dei detenuti di Verona) Ristretti Orizzonti, 4 aprile 2011 Con aprile, con questo annuncio, è partita presso la Casa Circondariale di Verona, un’iniziativa che vede 4 cuochi, professionisti, esperti di mense e comunità, che alternandosi, giorno dopo giorno, metteranno le loro competenze a disposizione delle persone detenute che lavorano in cucina o sono addette al porta vitto. Consigli pratici, indicazioni sul come trattare le materie prime, sostegno al personale di vigilanza quanto a qualità delle stesse, il vitto non potrà che essere più gustoso. Molto soddisfatte le persone che in cucina lavorano, la loro collaborazione a questa iniziativa destinata a durare nel tempo, aperta anche ad altri cuochi “volontari”, ha trovato il sostegno di molti: dall’Ulss 20, che ha ripreso in mano il controllo della formazione quanto a igiene, alla Direzione della Casa Circondariale, dalle Associazioni 663 e La Libellula alla Garante: “un vitto sano e gustoso, un’igiene accurata, la vigilanza costante sui prodotti in arrivo - la Direzione su questo è davvero impegnata - sono punti fermi che fanno parte di quel contenitore, che va riempito e che si chiama diritti”. Grazie se potrai passare questa notizia. Roma: domani presentazione di un volume su tutela salute in carcere e ruolo polizia penitenziaria Adnkronos, 4 aprile 2011 La tutela della salute del detenuto attraverso il potenziamento e il sostegno del ruolo della Polizia Penitenziaria. Di questo si parlerà martedì 5 aprile, alle 9.30 presso la Biblioteca del Senato, sala Atti Parlamentari, in Piazza delle Minerva a Roma, in occasione della presentazione del volume “Garantire la Speranza è il nostro compito: la tutela della salute del detenuto, il ruolo della Polizia Penitenziaria”, realizzato dal Centro Studi Cappella Orsini con il contributo della Regione Lazio, Assessorato alla Politiche della Sicurezza, e con il sostegno della Molteni Famaceutici. Al convegno è prevista la presenza, tra gli altri, del sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il progetto fa seguito al convegno che il Centri Studi Cappella Orsini ha tenuto a Roma nella rotonda della Casa Circondariale di Regina Coeli nel novembre 2010 dal titolo: “L’emergenza sanitaria nei penitenziari italiani a 18 mesi dall’entrata in vigore della legge”. In quell’occasione cittadini, detenuti, medici, personale penitenziario e associazioni del terzo settore si sono confrontati sulle problematiche della sanità in ambiente penitenziario per trattare l’applicazione della legge approvata già nel 2002 in materia di sanità penitenziaria. Dal convegno è emerso che una prima soluzione al pesante sovraffollamento delle carceri potrebbe essere quella della concreta definizione dei circuiti penitenziari differenziati: carceri per così dire “leggere” per i detenuti in attesa di giudizio, ovvero con gravi disabilità e problemi di natura sanitaria, viceversa destinando le carceri tradizionali ai detenuti quelli con una sentenza definitiva da scontare. Obiettivo dell’intero progetto è il riconoscimento dell’azione svolta dagli agenti all’interno del Carcere per poi individuare possibili interventi. Torino: “Il contesto”, una rivista di giovani… tra i progetti anche un blog per i detenuti Adnkronos, 4 aprile 2011 Può una rivista cambiare il mondo? “Forse no, ma può contribuire a proporre nuove prospettive per conoscerlo e analizzarlo”. Ne è convinto Ugo Panzani, giovane direttore del “Il Contesto”, una rivista tematica nata all’interno dell’università di Torino nel 2001 che oggi, dopo dieci anni, si sostiene attraverso feste per vecchi e nuovi abbonati, bandi pubblici e collaborazioni con istituzioni private. Ma “Il Contesto” non è solo una rivista. Dal 2009 è diventata una onlus che organizza eventi e seminari, ha un sito dove si trovano articoli e blog, www.ilcontesto.org, e segue dei progetti specifici. Proprio da uno dei numeri è partito un progetto con il carcere torinese “Lorusso e Cotugno”. “Dopo aver fatto un numero sulla situazione carceraria in Italia - ricorda Ugo - abbiamo proposto al carcere delle Vallette (così viene chiamato il carcere di Torino dal nome del quartiere dove è stato costruito ndr) di iniziare una collaborazione su un blog per i detenuti per creare una relazione tra chi sta dentro e chi sta fuori”. Non a caso si chiama “Dentro e Fuori” ed è il primo blog scritto da detenuti in Italia. Il sito è nato nel 2005 e consente ai reclusi della sezione Prometeo e della sezione femminile della casa circondariale di scrivere pensieri, esperienze e brevi racconti, che vengono pubblicati sul blog e di leggere poi i commenti e le riflessioni degli utenti. In Italia esistono molti siti dedicati alla realtà carceraria e ai detenuti, ma questo è il primo blog in Europa scritto direttamente da chi sta dentro il carcere. Il sistema messo in piedi è semplice: ogni settimana i ragazzi della redazione vanno in sezione, ritirano il materiale scritto dai detenuti e consegnano le mail, stampate in precedenza, degli utenti del blog. Il tutto supervisionato dall’amministrazione carceraria. Internet infatti è interdetto alle carceri per ovvie ragioni di sicurezza. Una volta fuori i testi vengono ricopiati e postati sul blog. L’iniziativa è andata così bene che nel 2006 la direzione ha dato al blog la possibilità di proseguire e il Comune di Torino ha deciso di patrocinare e finanziare il progetto che, dal 2008, è stato esteso anche alla sezione femminile del carcere. Libri: “I medici della camorra”, di Corrado De Rosa La Repubblica, 4 aprile 2011 Un tic alla spalla, il dondolio dell’andatura, le parole che prendono una bizzarra direzione. I maestri della simulazione psichiatrica cominciano spesso con questi dettagli. Come i coach degli attori, possono trasformare un capocosca, un narcotrafficante o un pluriomicida in un paziente “bisognoso di cure speciali”. Medici, ma arruolati dalla parte sbagliata, che li preparano ingannare un giudice. Li allenano a non mangiare, a inventarsi le “voci” nella testa, a vivere le giornate in cella come farebbe un depresso o un potenziale suicida. Fino a somministrare, a quei detenuti camaleonti, i farmaci utili perché si compia la recita della patologia: il male che li renderà incompatibili con il carcere. Può costare 2mila, 5mila o al massimo 50mila euro assicurarsi la complicità di uno psichiatra. Spiccioli, per le finanze illecite. La loro ambiguità era rimasta ai margini della narrazione criminale, epica o austera che fosse. Un libro pieno di fatti si incarica di illuminarne le azioni. Racconta dei traditori di Ippocrate (minoranza silenziosa) che hanno favorito le evasioni e le scorribande di camorra, mafia o Banda della Magliana. Eppure “I medici della camorra” di Corrado De Rosa (Castelvecchi editore, 288 pag., 16 euro), medico e scrittore 36enne, non è solo un’inchiesta-testimonianza, ma un racconto italiano che illumina i volti dei borghesi per eccellenza, tra i collusi. E denuncia i buchi di un sistema sanitario e penitenziario tendenzialmente a rischio. Un bisturi che affonda. Nel volume - arricchito dagli interventi dei magistrati Raffaele Cantone e Franco Roberti, e dai commenti dello psichiatra Mario Maj e dello psicoterapeuta Girolamo Lo Verso - si sottolinea come l’uso strumentale della malattia colpisca in due direzioni opposte. Sia a favore dei boss che hanno fretta di lasciare le celle, sia contro gli “odiati” pentiti. Pezzi di agghiacciante storia criminale ricostruiti nel dettaglio. Dal caso Raffaele Cutolo, lucidissimo “pazzo” dell’iconografia di camorra, alla terribile fine di Aldo Semerari, il criminologo al quale il padrino Umberto Ammanirò tagliò personalmente la testa in mezzo alle bestie di un macello perché lo specialista aveva osato favorire, con un giudizio truccato, un affiliato del clan avversario. Dai fratelli Francesco e Walter Schiavone, padrini storici dei casalesi entrambi affetti da un’anoressia “che è diventata una sorta di epidemia in quella zona”, fino al blitz del 2001 della Procura antimafia di Napoli sull’allora servizio di neuropsichiatria del carcere di Poggioreale. Per non dire del clamoroso caso del super killer Peppe ‘o cecato (il cieco), quel Giuseppe Setola oggi sotto processo come stragista dei casalesi che, grazie ad una diagnosi di maculopatìa, era riuscito a lasciare il carcere per un centro oculistico di Pavia. Evaso da quelle corsie, Setola torna a Casal di Principe nella primavera del 2008 e con il suo gruppo dà inizio ad un autentico bagno di sangue. Diciotto morti in pochi mesi, innocenti: uccisi a colpi di mitra dal sicario considerato cieco, senza che ancora nessuno abbia presentato un conto ai medici che gli aprirono la cella. Negli stessi giorni, ecco indagati gli specialisti che avrebbero fatto arrivare, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, “compresse a preparazione galenica anfetamino-simili”. Per ridurre l’appetito. Il primo pentito a raccontare di una struttura di psichiatri a disposizione è Gaetano Guida, boss a Secondigliano: “Nel caso in cui la perizia veniva disposta dal magistrato, il mio medico, che mi faceva fare lo psicopatico, si informava di chi fosse il perito e lo convinceva a confermare la sua falsa diagnosi. E per questa attività riceveva ogni volta 10 o 15 milioni”. Erano gli anni Ottanta. Stessa epoca dei tanti capicosca battezzati con i sinonimi dei disturbi mentali. ‘O pazzo, è soprannome non solo di Cutolo, ma dei boss Michele Zaza, Vincenzo Mazzarella, Michele Senese, Alfonso Perrone, volto di Gomorra a Modena. L’indagine attraversa trent’anni di complicità eccellenti. Sempre per costruire la via di fuga alla giustizia: la testa malata, appunto. De Rosa conosce, d’altra parte, la precarietà degli psichiatri allergici ai compromessi, la maggioranza. E l’affresco che le sue storie compongono non vuole produrre un’invettiva generica e giustizialista. Casomai, porre qualche domanda. Nella galleria dei paradossi, ad esempio, brilla il caso di Luigi Cimmino, boss napoletano che doveva essere bersaglio dell’agguato in cui morì, invece, una madre innocente, Silvia Ruotolo. Cimmino oggi è passato per matto e incassa dallo Stato una pensione di invalidità civile. È il killer della Napoli bene, Rosario Privato, a raccontare: “Cimmino si è sempre finto pazzo, andava in escandescenza, ci raccontava che entrava in questura e gridava: “Ma ora io che ci faccio qui?”. Riflette De Rosa: “Com’è possibile assegnare una pensione di invalidità a una persona condannata a 8 anni in via definitiva per associazione mafiosa e che rimane in carcere per anni? Eppure la pratica 755/2009 della municipalità riconosce a Cimmino perfino gli arretrati dal 2007”. La dedica de “I medici di camorra” amplifica il valore di un’inchiesta che dovrebbe turbare più a lungo la società civile. È un pensiero rivolto agli altri: “A chi soffre realmente di uh disturbo mentale”. Immigrazione: accesso negato al Cie di Bologna; circolare ministeriale sospende il diritto di visita www.meltingpot.org, 4 aprile 2011 Il Ministero dell’Interno dirama una circolare che impedisce l’ingresso ai centri di identificazione ed espulsione. Mentre gli attivisti della campagna Welcome! si preparavano a fare ingresso assieme ad avvocati e consiglieri regionali nel Cie di Bologna, il Ministero dell’Interno diramava una circolare secretata che impedisce l’accesso negli stessi centri a chi, fino ad allora, vi era legittimato. In occasione della giornata di oggi contro la guerra in Libia, l’ingresso al Cie significava la possibilità di monitorare le condizioni dei cinquanta tunisini detenuti presso la struttura di via Mattei. I migranti erano stati trattenuti a seguito dello sbarco nell’isola di Lampedusa; se ne constatava la presenza in occasione dell’incursione al Cie dello scorso primo marzo. Senza essere stati espulsi, di fatto i migranti in fuga dai regimi destabilizzati del Maghreb vengono trattenuti da irregolari. Nella giornata di oggi, nonostante le formali richieste di ingresso avanzate in settimana da operatori di sportelli legali, avvocati e consiglieri regionali, gli stessi hanno poi riscontrato un secco no all’ingresso della struttura. Il diniego è stato motivato a fronte di una circolare diramata il giorno precedente dal Ministero dell’Interno, la quale pone un divieto di accesso generalizzato e indeterminato nel tempo, salvo ai membri delle organizzazioni umanitarie più rappresentative come l’Unhcr e Amnesty International. Tuttavia, nonostante il sollecito intervento del portavoce di Terres des Hommes Prof. Salinari la cui associazione è accreditata presso le Nazioni Unite, la direzione del Cie si è comunque opposta perché la richiesta di quest’ultimo non era stata precedentemente formalizzata. La circolare rappresenta un atto di regolamentazione interna alla Pubblica Amministrazione e non è fonte del diritto, non può cioè produrre norme, né modificare quelle già in vigore. L’art. 3 della legge regionale 24 marzo 2004, n.5 stabilisce infatti che la Regione svolge attività di osservazione e monitoraggio, per quanto di competenza ed in raccordo con le Prefetture, del funzionamento dei centri istituiti ai sensi dell’articolo 14 del Testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 Sito esterno e dell’articolo 1, comma 5 del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416. Questo implica un potere degli stessi consiglieri di fare ingresso all’interno delle strutture nel territorio regionale, al fine di monitorarne l’attività e le condizioni di trattenimento dei detenuti. Si tratta quindi di un atto illegittimo del Ministro Maroni, che incurante oltre che dei poteri delle Regioni anche della gerarchia delle fonti del diritto, ha impedito l’accesso ai rappresentanti dei cittadini nel luogo di detenzione, come stabilito dalla legge. Il gesto del Ministero dell’Interno ci pone quindi di fronte a forti dubbi sulla legittimità di una circolare che modifica una legge e il cui testo risulta tuttora segreto. A nulla valga avanzare giustificazioni rispetto alla eccezionalità del momento attuale. Ciò in particolare rispetto alle dubbie garanzie poste a tutela delle persone trattenute, nei confronti delle quali ci chiediamo se per esempio la loro detenzione è stata nel tempo oggetto di convalida come previsto dal Testo Unico. Se ragioni di ordine pubblico si oppongono al mantenimento delle garanzie previste dallo stato di diritto, non è certo con una circolare che queste possono venire stravolte. Sportello Migranti Tpo Siria: rivolta nel carcere di Latakia, almeno 8 morti e 17 feriti Agi, 4 aprile 2011 È di almeno 8 morti e 17 feriti il bilancio della rivolta esplosa nella prigione della città costiera di Latakia, porto a 348 chilometri a nord- ovest di Damasco, in Siria. Lo ha riferito l’agenzia Sana citando fonti locali della polizia. “Venticinque prigionieri sono stati ricoverati, otto dei quali sono morti per asfissia e gravi ustioni”, ha detto Kamel Fteih, capo della polizia precisando che a provocare i morti è stato un incendio divampato nell’istituto penitenziario, dopo che un detenuto della sezione omicidi e droga ha appiccato il fuoco al materasso e alla biancheria nella sua cella. I soccorritori hanno avuto molta difficoltà a domare le fiamme, e sono stati costretti ad aprire due brecce nel muro perché i detenuti avevano bloccato le porte con i letti. Latakia insieme a Deraa sono le città simbolo della rivolta, che sta scuotendo la Siria da oltre tre settimane. Imponenti manifestazioni di protesta contro il regime baathista, vengono sistematicamente represse nel sangue, con un bilancio molto pesante. Ad oggi si contano almeno 160 morti, centinaia di feriti e un numero imprecisato di arresti in tutto il Paese. Bahrein: manifestante anti-regime di 39 anni muore dopo 5 giorni in carcere Ansa, 4 aprile 2011 Un uomo arrestato in seguito alle manifestazioni anti-regime in Bahrein è morto oggi in prigione. Lo ha annunciato il ministero dell’Interno. “Un detenuto che soffriva di una malattia del sangue è deceduto stamani in prigione”, si legge in un comunicato del ministero dove si precisa che la vittima, 39 anni, si chiamava Jasem Makki. Il ministero ha aggiunto che il medico della prigione gli aveva dato i farmaci richiesti, ma Makki ha perso conoscenza ed è stato trasportato immediatamente in ospedale dove i medici ne hanno constatato il decesso. Makki era stato arrestato il 28 marzo scorso e accusato di aver fomentato le violenze e atti di vandalismo nel regno. Da parte sua, il principale gruppo di opposizione shiita, Al-Wefaq, ha detto che l’uomo “è morto in circostanze misteriose dopo cinque giorni di detenzione”.