Giustizia: quando chi uccide indossa la divisa di Roberto Alfatti Appetiti Il Secolo d’Italia, 2 aprile 2011 C’è un filo rosso che lega le vittime degli abusi in divisa. Giuliani, Cucchi, Aldrovandi e Sandri: quattro casi e una sola... storia. Stefano Cucchi fu ricoverato, sì, presso la struttura “protetta” - quella riservata ai detenuti - dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma. Ma per essere nascosto a occhi indiscreti che potessero verificare le drammatiche condizioni fisiche in cui era stato ridotto e sottrarlo “intenzionalmente” alle cure di cui aveva bisogno. Così il gup Rosalba Liso, martedì scorso, ha motivato la condanna a due anni di reclusione per Claudio Marchiandi, un funzionario del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, e il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’assise di agenti, medici, infermieri del Pertini che lo avevano in “custodia”. Altro che “presunta morte naturale”, come recitava il certificato di morte. Per i genitori fu sufficiente vederlo all’obitorio - prima no, non gli fu concesso - per capire quello che era successo: un occhio pesto e l’altro completamente incavato, la mascella rotta, ecchimosi ovunque. Il pidiellino Carlo Giovanardi ebbe persino l’impudenza di dichiarare che era stata la droga a ridurlo così. “La droga - disse all’emittente Radio 24 - rende larve, zombie”. E le fratture alla colonna vertebrale e al coccige? Effetti collaterali, o altro...? Cosa è successo nei sotterranei del tribunale? Le risposte iniziano ad arrivare, malgrado reticenze, omertà e depistaggi di chi non ha esitato a coprire le proprie mele marce. A tal proposito, proprio in questi giorni, è arrivato nelle librerie un libro prezioso quanto scomodo, dedicato a tutte le vittime degli abusi “in divisa” e alle loro famiglie, scritto da due giornalisti coraggiosi, Tommaso Della Longa e Alessia Lai “Quando lo Stato uccide” (Castelvecchi, pp. 245, € 16,00). “Un’indagine senza pregiudizi sul grave problema della violenza delle forze di polizia” - chiarisce il sottotitolo - ma, aggiungiamo noi, un pregiudizio resiste, quello dell’innocenza che tende a diventare una verità assoluta, concesso ai responsabili dei crimini. Tanto più odiosi “perché chi veste una divisa deve avere la capacità di essere sempre giusto”. Chi perde, infatti, è quasi sempre la parte disarmata o comunque senza potere. Della Longa e Lai non si sono limitati a collezionare ritagli di stampa. Muovendo da una disanima approfondita di un quadro legislativo a maglie larghe che - ieri per gli anni di piombo, oggi per il terrorismo internazionale - assegna alle forze dell’ordine “un potere discrezionale che apre la strada a eccessi pericolosi”, si sono calati nei singoli fatti. Hanno parlato con legali e familiari, passando al setaccio dolore, rabbia e speranze per restituirne un racconto il più onesto possibile. Ne viene fuori una fotografia desolante: l’Italia figura nella black list di Amnesty International per maltrattamenti e omicidi a opera delle forze dell’ordine, decessi in carcere mai chiariti, ritardi nelle inchieste, mancata ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro le torture. Un libro senza sconti, il loro, ma che non lascia spazio a facili generalizzazioni, ricordando i tanti tu - tori dell’ordine che svolgono con serietà e abnegazione le loro mansioni, anche in costante carenza d’organico ed equipaggiamenti, con una formazione permanete carente e basse remunerazioni. Non a caso, infatti, un capitolo del libro è “a microfoni aperti” e dà voce ai sindacati di categoria. Un’opportunità che ha permesso loro di farsi portavoce dei tanti problemi esistenti ma anche, come nell’intervista ad Antonio Saviano, presidente nazionale dell’Unione nazionale Arma carabinieri e direttore de La rivista dell’Arma, di lanciare precise e circostanziate accuse alle gerarchie militari. Niente di quello che è accaduto negli ultimi dieci anni finisce sotto al tappeto: dalla condanna dei tutori della legge dopo la “macelleria messicana” della scuola Diaz di Genova alla morte di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi e tanti altri che non hanno “goduto” dello stesso clamore mediatico ma le cui sconcertanti vicende sono passate sotto silenzio o quasi. “I problemi emersi in maniera così detonante nell’estate genovese del 2001 - scrivono Della Longa e Lai - venivano da tempo sperimentati nelle curve degli stadi italiani”. Come se gli stadi siano stati e siano una specie di “palestra” nella quale le forze dell’ordine vengono addestrate più che a gestire l’ordine pubblico a preparare una vera e propria repressione sulle masse. Si tratta di una analisi inedita e lucida al tempo stesso. La nostra legislazione, sottolineano, è formalmente di prevenzione ma in realtà è repressiva e va nella direzione di un costante inasprimento delle pene. “Basti pensare - spiega Lorenzo Cantucci, avvocato penalista romano, uno dei massimi esperti nella normativa applicata alla questione ultras - che se Totò Riina evade da un carcere rischia da sei mesi a un anno; se un tifoso di calcio obbligato a firmare quando la sua squadra gioca, magari al circolo polare artico, si dimentica di mettere la firma perché si addormenta, la pena va da uno a tre anni con multa da 10mila a 40mila euro e una nuova diffida da due a otto anni”. Se prima si limitavano a punire i comportamenti degenerativi degli ultras, ora si vuole proprio cancellarne la realtà sociale. Criminalizzare il movimento ultras, sempre e comunque. Basti ricordare la gaffe dell’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato: “Se Gabriele fosse stato lì a prendere un caffè - ebbe a dichiarare, salvo poi scusarsi - non sarebbe successo tutto quel che è poi accaduto”. Gabriele è Gabriele Sandri, tifoso laziale, e l’11 novembre del 2007 era all’autogrill di Badia al Pino, vicino ad Arezzo, e pochi minuti prima di essere colpito mortalmente dal proiettile dell’agente Luigi Spaccarotella, aveva avuto una “discussione” animata con un gruppo di juventini. Niente che potesse giustificare l’ingiustificabile Spaccarotella che, nel secondo grado di giudizio, è stato condannato per omicidio volontario con dolo eventuale, ribaltando così la precedente condanna per omicidio colposo. Sapeva quali conseguenze avrebbe potuto scatenare. Sapeva di poter uccidere. Perché criminalizzare le tifoserie? Perché non hanno partiti alle spalle. Ma, in occasione dell’assassinio di Sandri, ebbero la solidarietà attiva della società italiana, anche di chi allo stadio non ci mette mai piede. E una tale mobilitazione ha sortito i suoi effetti. Una presa di coscienza che gli autori fanno coincidere con i fatti di Genova. Dalla morte di Carlo Giuliani alla famigerata mattanza del giorno dopo quando, nella notte di sabato 21 luglio 2001, nella scuola Diaz fanno irruzione degli agenti del VII Nucleo del Reparto mobile, comandati da Vincenzo Canterini. Il pestaggio è talmente violento e ingiustificato che il vice comandante Michelangelo Fournier - colui che coniò la definizione di “macelleria messicana” - deve gridare agli agenti di smettere e fa chiamare un’ambulanza. Purtroppo ne serviranno molte. Melanie Jonasch, studentessa di archeologia, è ridotta in fin di vita. Il giornalista britannico Mark Cowell resterà in coma per quattordici ore ma i suoi aggressori, ad oggi, non sono mai stati individuati. Una pagina buia che più buia non si può, una macchia indelebile sulla reputazione delle forze dell’ordine. Nella sua requisitoria, il procuratore generale Machiavello aveva detto: “Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto di 93 persone, le bugie sulla presunta resistenza. La sistematica e indiscriminata aggressione”. Violenze continuate nella caserma di Genova Bolzaneto dove vennero portati fermati e arrestati. Il libro continua con le storie di altri “protagonisti” involontari e, come nel caso del diciottenne ferrarese Federico Aldrovandi, del tutto incolpevoli, che se ne andavano per la loro strada. E 25 settembre 2005 Federico si appresta a tornare a casa da un sabato sera passato con gli amici quando si imbatte in una pattuglia di polizia. Cos’è successo? Una misura di contenimento troppo energica, come si usa dire. Nessuna overdose, come è stato detto e come gli esami clinici dell’autopsia hanno smentito. Hanno riferito che il ragazzo manifestava comportamenti autolesionistici ma, chissà perché, non hanno chiamato i sanitari. Il referto è chiaro: viso sfigurato, sangue alla bocca, ecchimosi all’occhio destro, ferite lacero - contuse dietro la testa, scroto schiacciato e due lividi da schiacciamento sul collo. Solo grazie alle testimonianze la verità è stata ricostruita: dopo una violenta colluttazione, Federico è stato immobilizzato a terra con tanta violenza da provocarne la morte. I quattro poliziotti sono stati condannati a tre anni e sei mesi per eccesso colposo nell’omicidio colposo, ma non hanno scontato la pena a causa dell’indulto e altri tre poliziotti sono stati condannati per i depi - staggi nelle indagini confermando l’ipotesi accusatoria dell’intralcio alle indagini sin dal primo momento. Condannati nel luglio 2009 hanno fatto ricorso in appello e - incredibilmente - vestono ancora la divisa. Oltre al danno, la beffa: la madre di Federico s’è beccata una denuncia per diffamazione perché aveva chiamato delinquenti gli agenti. Stessa sorte sarebbe potuta toccare al giovane Stefano Gugliotta, se alcuni testimoni non avessero avuto il coraggio di intervenire e porre fine a un selvaggio pestaggio. È il 5 maggio 2010 e Roma ospita la finale della Coppa Italia di calcio: Roma - Inter. Stefano, però, non è nemmeno andato allo stadio, non ha niente a che vedere col tifo organizzato, è sul suo motorino quando gli agenti lo avvicinano e lo aggrediscono con un improvviso pugno alla testa. Le immagini riprese da alcuni provvidenziali telefonini romperanno il muro di omertà mentre già ci si affrettava a rappresentare Stefano - che comunque si farà una settimana di galera - come un delinquente abituale. Resta da chiedersi, tuttavia, cosa si sarebbe saputo dei fatti di quella sera senza quei due fortuiti filmati? Sembra domandarselo anche Franco Battiato, cui Della Longa e Lai affidano l’epigrafe al testo. “Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere, di gente infame che non sa cos’è il pudore / Si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene / ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”. Giustizia: l’impunità per i soliti noti… e tanta galera per tutti gli altri di Giuseppe Di Lello Il Manifesto, 2 aprile 2011 La proposta riforma costituzionale della giustizia, dati i necessari tempi lunghi e l’incognita di un referendum confermativo finale senza quorum, ha avuto solo un carattere intimidatorio nei confronti del potere giudiziario e non inciderà in nessun modo sull’andamento e sui tempi dei processi. Se approvata, servirà per il futuro e assicurerà una più ampia impunità alle classi dirigenti memori, come ammesso onestamente dallo stesso Berlusconi, del cataclisma degli anni ‘90 e determinate a non correre più gli stessi rischi. Di rincalzo è arrivato il disegno di legge sul processo breve, già approvato dal Senato, con le tagliole della fine immatura dei procedimenti che superino un certo numero di anni senza arrivare alla sentenza definitiva. Questo, però, si è dimostrato indigeribile per gli sfracelli che sicuramente avrebbe prodotto in migliaia di processi, in corso e futuri, e con un sistema giudiziario lento e farraginoso: avrebbe accontentato certo molti imputati, ma avrebbe scontentato in maggior misura molti cittadini che si rivolgono al giudice per una sentenza e non per una prescrizione. Alla Camera il mostro è stato soffocato nella culla e sostanzialmente abbandonato perché ridotto solo una indicazione di massima sui tempi del processo, con eventuali ricadute disciplinari per i giudici ritardatari. E però le urgenze premono e per l’oggi il Cavaliere - propaganda a parte - infatti non sa proprio cosa farsene della separazione delle carriere o della notizia di reato affidata alla sola ed amorevole cura dell’esecutivo, così come del processo breve i cui costi generali sembrano superiori ai suoi benefici individuali. Sono le urgenze che vanno affrontate, cioè i processi per i quali il Nostro potrebbe avere a breve delle sentenze che ritiene per certo essere sfavorevoli, dovendole emettere, a suo dire, plotoni di esecuzione più che collegi giudicanti. Ecco allora la magia della prescrizione breve, anzi brevissima, dato che già la ex Cirielli le aveva dato una prima accorciata per gli incensurati (pena edittale più un quarto) mentre per i recidivi e gli abituali c’era stata una escalation con l’aumento della metà, dei due terzi e del doppio. D’ora in poi, anche a processo pendente a causa del sacrosanto e civilissimo favor rei, per gli incensurati (e Berlusconi lo è, grazie anche alle diverse prescrizioni collezionate negli anni) la prescrizione scatterà allo scadere della pena edittale più un sesto: ulteriore accorciamento provvidenziale che fulminerà a breve alcuni processi del Capo, compreso quello che lo vede accomunato all’inglese Mills. Ecco perché il Cavaliere ha finalmente deciso di affrontare a viso aperto i giudici: ne guadagna in pubblicità da predellino e non paga nessun eventuale prezzo dato che tutto finirà in prescrizione. È la solita storia all’italiana che si ripete quanto alla “sostanza” della giustizia, al suo essere “di classe”, termine sempre attuale e senza sinonimi che la possano meglio qualificare. Pugno duro per i recidivi, gli abituali, gli emarginati, con lunghissimi termini di prescrizione alla consumazione dei quali non arrivano mai, per esempio, i processi ai tossicodipendenti o agli immigrati. Guanto di velluto e tappeti rossi per le persone “perbene” alle quali, oltre alle varie depenalizzazioni per i reati tipici (ricordiamo il falso in bilancio?) viene ora offerto anche la prescrizione brevissima per tenerli al riparo di condanne. Certo, la legge continua ad essere uguale per tutti ma bisognerebbe specificare che tale uguaglianza si attua solo all’interno di varie categorie di persone, a compartimenti stagno, incomunicabili: da una parte i “buoni” e dall’altra i “cattivi”, secondo il principio del doppio binario che è la negazione dello stato di diritto: la vera legge “svuota carceri” che questo governo ha riservato ai soli cittadini fortunati. Giustizia: delitto dell’Olgiata; confessa il cameriere filippino “ho ucciso la contessa” Dire, 2 aprile 2011 In un primo momento si era avvalso della facoltà di non rispondere ma poi, dopo ore, è crollato. Winston Manuel Reves ha confessato di aver ucciso, venti anni fa, la contessa Alberica Filo della Torre. Davanti al pm Francesca Loy e al comandante del Nucleo investigativo dei Carabinieri, il colonnello Bruno Bellini, Reves ha ammesso tra le lacrime l’omocidio. “Chiedo scusa a tutti gli italiani e alla famiglia della contessa - ha detto - Finalmente mi sono tolto un peso. Ogni volta che sentivo parlare di questa storia mi veniva l’angoscia. Sono sinceramente pentito”. A quanto si apprende, Reves non ricorda molto di quel giorno. Ricorda di essere andato dalla contessa per chiedere di essere riassunto, ma ha un vuoto su quello che è successo dopo. Forse, ipotizzano gli inquirenti, hanno litigato. Ma lui non ricorda altro. Sa solo che è stato lui ad uccidere la contessa. “Il nostro cliente si è assunto le sue responsabilità” dicono i legali all’uscita del carcere di Regina Coeli, dove si è svolto l’interrogatorio. Lettere: egregio Senatore Marino.... gli Opg non si possono riformare, vanno chiusi! www.imgpress.it, 2 aprile 2011 Egregio Senatore Marino, a proposito dell’ormai periodico “gran baccano” che sistematicamente si imbastisce sulla situazione delle carceri di questo Paese e, da ultimo, sui fin qui sempre dimenticatissimi ospedali psichiatrici giudiziari, sarebbe opportuno che finalmente fosse data la parola a chi queste realtà le conosce davvero e vi lavora da gran tempo in condizioni di assoluta carenza di risorse economiche e professionali. Ad essi (ed a quei pochi, ma grandemente benemeriti, gruppi di volontari che hanno costituito le coraggiose, quanto sparute, avanguardie di una società civile sostanzialmente assente e distante su questa come su tante altre questioni tragicamente irrisolte dell’Italia cento cinquantenaria) bisognerebbe dire solo grazie! Veda, Senatore Marino, queste persone sono quelle che da anni chiedono, con tutte le loro forze, che gli Opg siano presi in considerazione per essere messi in condizioni di funzionare e, quindi, profondamente riformati. Sono decenni che tutti, direttori ed operatori, gridano nel deserto, invocando interlocuzioni a livello politico ed istituzionale. È così avvenuto che tutti i manicomi giudiziari (con l’esclusione di quello mantovano che è un vero ospedale e, quindi, tutt’altra cosa!) degenerassero come e più delle carceri. Perché gli Opg erano, sono e rimarranno, nei termini delle normative vigenti, carceri, concepite ed organizzate come tali; carceri dalle quali si vorrebbe (nientemeno!) che facessero assistenza adeguata, cura avanzata, riabilitazione e reinserimento sociale di soggetti resi, nel frattempo, non più pericolosi. Cioè tutto quello che non riescono a fare gli stessi servizi psichiatrici territoriali, le cui disfunzioni e inadempienze sono, appunto, una delle maggiori cause di ciò che è avvenuto negli Opg negli ultimi anni! Come già accennato dianzi gli “addetti ai lavori” hanno, invano, chiesto, pregato, progettato, protestato, cercato di sensibilizzare, aperto le porte dei vecchi manicomi criminali (ai quali, ipocritamente, fu, tempo addietro, cambiato solo il nome, senza sapere, o volere, incidere sulla sostanza) facendovi entrare i volontari, il mondo femminile, insomma la comunità esterna, coinvolgendola in attività prima mai realizzate dentro quelle tragiche mura e cercando alleanze per far sentire la voce dei “dimenticati da Dio e dagli uomini” (voci che nessuno, fuori da quelle mura, ha mai voluto ascoltare!). Privi, alla lettera, di ogni risorsa, con un personale ridotto ai minimi termini e senza formazione specifica (e costituito, nella componente sanitaria, in larga parte da “avventizi” pagati ad ore o a prestazioni) questi istituti si sono viste assegnate, soprattutto negli ultimi anni, decine e decine di poveracci, indesiderati ed emarginati, provenienti dall’ambiente libero o dagli altri istituti penitenziari destinati ai cosiddetti “normali”. Sono così diventati alla fine (e come poteva essere altrimenti!) delle pattumiere, delle vere e proprie discariche sociali, perché questo si è voluto che diventassero nella assoluta indifferenza ed ipocrisia delle compagini politiche succedutesi al governo del Paese, nell’affaccendarsi vacuo ed inconcludente dei vertici dell’Amministrazione Penitenziaria (fra l’altro sempre tenacemente silenziosa rispetto all’ennesima campagna mediatica), nel pervicace rifiuto di comprendere il problema da parte del “consesso civile” che sempre volentieri rimuove dalla coscienza collettiva i luoghi di segregazione che esso stesso ha creato illudendosi di curare, così, le paranoie diffuse che lo affliggono in questa lunga fase crepuscolare che scandisce i passaggi della post - modernità salvo, poi, dare la stura agli eclatanti lavacri mediatici che rapidamente scorrono, tra una pubblicità e l’altra, in attesa del prossimo motivo di “scandalo” tanto lacrimevole quanto, a sua volta, fugace: quasi un rito collettivo ormai! Orbene, Senatore, ci consenta di chiederLe quando la classe politica di questo Paese ritroverà il coraggio di guardare in faccia la realtà, di assumersi le proprie responsabilità e di fare le scelte necessarie attuando quelle riforme che questo stesso Paese attende da troppo tempo? Nel caso di specie gli Opg vanno certamente chiusi, perché assolutamente fuori dal tempo. Chiusi come da decenni grida proprio chi vi lavora, spesso per 8 ore di seguito al giorno in mezzo ai malati in un rapporto di 1 a 80, quando va bene. Malati deterioratissimi che spesso nessuno (ma proprio nessuno, a cominciare da quelli che ora si stracciano le vesti a tutti i livelli) vuole prendersi in carico. Non può concepirsi l’ulteriore permanenza di istituti diventati assurdi contenitori di relitti umani, iper affollati, senza possibilità di un minimo di manutenzione delle strutture, di pagare i ricoverati lavoranti (sono questi, tanto per essere chiari, a fare le pulizie, come i detenuti le fanno in carcere), di svolgere tutte quelle attività di cura ed assistenza che sarebbero assolutamente necessari, con pochissimi psichiatri, praticamente senza psicologi e nel sistematico rifiuto alla accoglienza da parte dei cosiddetti territori e delle istituzioni (si pensi alla Regione Sicilia). Se nei “fatali” giorni prenatalizi del 2010, in cui il Parlamento è rimasto chiuso per consentire al Presidente del Consiglio di questo ineffabile Paese di rinserrare le fila del suo impalpabile governo e dar vita alla vergognosa campagna acquisti cui, come cittadini, abbiamo assistito attoniti, si fosse dato luogo, per non andar lontano, ad uno sforzo di riforma di questi luoghi (stiamo parlando di circa 1.500 persone senza nessun potere contrattuale, esattamente come gli operatori che vi lavorano) forse avremmo risolto la questione senza dare luogo a spettacoli televisivi i quali raccontano, come al solito, solo una parte della realtà (quella che si vuol far vedere) e finiscono invariabilmente per mettere in evidenza, una volta di più, la cronica insipienza di un potere legislativo che volentieri assolve se stesso e riversa, altrettanto volentieri, su chi, in prima linea, cerca disperatamente di tenere in piedi ciò che, nella falcidie di risorse e nel siderale ritardo dell’ammodernamento di strutture ed apparati normativi, non è più gestibile: uno scarico inqualificabile di responsabilità alla ricerca di capri espiatori da dare in pasto ai riti mediatici ossessivamente iconolatrici ed ovviamente assolutori per chi potendo scegliere non ha scelto e potendo fare non ha fatto (a proposito, questo Governo, forse troppo impegnato nella “epocale” riforma della giustizia, è il primo a non aver mai messo nell’agenda della Commissione Giustizia la riforma del codice penale, soprattutto nella parte che tratta delle misure di sicurezza detentive irrogate per motivi di ordine psichiatrico!). Partito della Rifondazione Comunista Messina Lettere: l’ingiusta detenzione va risarcita sempre, serve legge sulla retroattività Ristretti Orizzonti, 2 aprile 2011 Ieri la corte d’assise d’appello di Brescia, ha accolto la richiesta di risarcimenti danni per ingiusta detenzione, di due maestre di scuole elementari di Brescia, accusate di pedofilia e detenute ingiustamente per questo reato. Trecentomila euro per ognuna, il risarcimento per i dieci mesi di ingiusta detenzione. Una decisione giusta ed ineccepibile. Ma perché per gli assolti su altri reati si rifiutano o diventano minimi i risarcimenti? Io scontai cinque anni e otto mesi di carcere, con l’accusa di banda armata, per poi essere assolto ma non ho avuto un euro di risarcimento, in quanto la legge sul risarcimento da ingiusta detenzione non è retroattiva, quindi le sentenze definitive di assoluzione prima dell’entrata in vigore della legge nell’ ottobre 1989, non vengono risarcite. Ma ho avuto modo di leggere di risarcimenti negati, in questi ultimi anni, per molte persone detenute ingiustamente. Se uno viene assolto, dopo un’ingiusta detenzione, deve essere risarcito, qualsiasi accusa abbia avuto, lo dice la Costituzione nell’articolo 24, quando dice che la legge deve garantire la riparazione per errore giudiziario. Non facciamo una discriminazione sui risarcimenti, l’errore giudiziario va risarcito sempre. Giulio Petrilli (Responsabile Pd Prov. L’Aquila, dipartimento diritti e garanzie) Emilia Romagna: Sappe; mancano 650 agenti, impossibile garantire la sicurezza Dire, 2 aprile 2011 “Nelle carceri non è più possibile garantire la sicurezza. Troppi detenuti e pochi agenti”. L’ennesimo allarme sulla carenza di organico penitenziario nelle carceri dell’Emilia Romagna, lo lancia il segretario aggiunto del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria), Giovanni Battista Durante: “In Regione mancano 650 agenti - dice nel corso di un sit-in davanti alla Dozza a Bologna - e così non è più possibile andare avanti. Si verificano aggressioni, l’ultima solamente qualche giorno fa, e questo deve far riflettere. Per non parlare degli agenti che vanno in missione, molto spesso costretti a anticipare i soldi per la benzina e per l’albergo”. Si è vicini a un punto di non ritorno, aggiunge il segretario Sappe: “Se non avremo risposte, faremo una manifestazione per le strade di Bologna. Lunedì mattina avremo un incontro col Prefetto, speriamo in qualche buona notizia”. Condivide un diffuso livello di allarme Nello Cesari, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria: “I problemi ci sono, tanti e molto grandi. Ma sono gli stessi da venti anni - spiega in una conferenza all’interno della Dozza - per motivi economici, ma anche per colpa di politiche sbagliate. Perché i soldi, già pochi, non sono stati spesi bene. Sono state fatte le case mandamentali, ma non abbiamo i soldi per aggiustare i rubinetti”. Poi il mistero dell’aula bunker del carcere di Bologna, da anni in disuso: “Uno spreco - aggiunge Cesari - perché l’utilizzo di quella struttura avrebbe consentito un grande risparmio. Di uomini e di finanze, avrebbe evitato un numero incredibile di traduzioni”. Si unisce al coro degli scontenti la vice direttrice della casa circondariale della Dozza, Palma Mercurio: “Siamo demoralizzati - confessa - perché la carenza di organico e il problema relativo al sovraffollamento sono situazioni che durano da troppo tempo. Sono arrivata a Bologna nel 1997, ed è stato un crescendo. Capita che nei turni di notte un solo agente debba controllare anche 300 detenuti”. Calabria: l’Associazione “Marco Polo” chiede tempi rapidi per il Garante dei detenuti Ristretti Orizzonti, 2 aprile 2011 L’Associazione di Volontariato, Marco Polo, per la tutela dei diritti, ha appreso che la Giunta Regionale ha deliberato una proposta di legge, in esame dalla prima Commissione Consiliare “Affari Istituzionali e Affari Generali” per l’Istituzione dell’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misura restrittive della libertà personale - quale autorità super partes - garante dell’imparzialità e del buon andamento dell’Amministrazione pubblica e, soprattutto, dell’ambito Carcerario. L’audizione in corso di seduta, della Commissione Affari Istituzionali, della prestigiosa figura del Dott. Giuseppe Tuccio e del suo consigliere giuridico avvocato Agostino Siviglia, Garante da tempo del Comune di Reggio Calabria, unico ente ad aver Istituito tale figura in Calabria. Determinante è stata l’esperienza illustrata del Dott. Tuccio che, doverosamente, riteniamo opportuno evidenziare: “Il detenuto è debole tra i deboli e sono titolari di diritti proclamati e conclamati, ma c’è ancora grande distanza tra conclamazione dei diritti e realtà pratica”. Difatti, la figura del garante è importante e determinante negli Istituti penitenziari, in quanto, riceve segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza. I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009. In Italia, allo stato, sei regioni, Emilia Romagna (L.R. n. 3/2008), Piemonte (L.R. n. 28/2009), Puglia (L.R. n.19/2006, Sardegna (L.R. n.7/2011), Toscana (L.R. n. 64/2005), Umbria (L.R. n. 13/206). Dove è stata già approvata la legge che ne prevede la istituzione del Garante regionale dei diritti dei detenuti ma di fatto non hanno provveduto a tale “adempimento,” La Marco Polo, pertanto, si auspica che detta proposta di legge venga resa operativa entro breve termine ed alla contestuale nomina della figura del garante Regionale, tanta attesa e voluta da parte della popolazione carceraria. La Marco Polo, altresì. Resta fiduciosa. che non venga tralasciata nel tempo la costituzione dell’ufficio del garante dei detenuti una figura tanto più necessaria visto che né a livello comunale (con l’eccezione di Reggio Calabria) né a livello provinciale si è proceduto all’affidamento dell’incarico di pertinenza dagli Enti Istituzionali in Calabria. Giuseppe Barbuto, Rosario Villirillo Associazione di Volontariato Marco Polo Lamezia: ispezione Commissione parlamentare; carcere sovraffollato e carente nei servizi www.lametino.it, 2 aprile 2011 Una delegazione della Commissione parlamentare sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, di cui fa parte anche l’ onorevole Doris Lo Moro, ha visitato il carcere maschile di Lamezia Terme, alla presenza, tra gli altri, del Direttore del carcere, la dott.ssa Mendicino, e del Responsabile sanitario, il dott. Cugnetto. La Commissione ha potuto constatare come il carcere lametino sia sovraffollato e pari al doppio del numero considerato tollerabile: 85 detenuti a fronte di una capienza ottimale di 27 persone e ad una capienza tollerabile di 27. Tale sovraffollamento è ormai diventato un dato strutturale: da oltre un anno, infatti, il numero dei detenuti ha sempre oscillato tra gli 80 e i 90. In carcere risultano detenuti 40 cittadini stranieri, ma di questi solo 7 hanno commesso reati in Calabria, gli altri 33, invece, arrivano da altre regioni. Accanto al sovraffollamento è emersa anche la carenza di agenti di polizia penitenziaria, sottorganico persino in riferimento alle condizioni ordinarie. L’altra grande criticità riguarda l’aspetto sanitario con tre principali problematiche: scarsi servizi erogati dal sistema sanitario territoriale; difficoltà nel reperire farmaci; assenza del servizio di psichiatria e mancanza di continuità col servizio del Sert (Servizio per le Tossicodipendenze), a fronte della presenza di ben 23 detenuti tossicodipendenti. Infine, alla Commissione in vista è stato evidenziato come la guardia medica sia presente solo dalle 14 alle 20. La delegazione ha visitato la struttura incontrando poi i detenuti e gli agenti, acquisendo dati e documenti che saranno valutati in maniera attenta. Al termine della visita l’on. Lo Moro ha dichiarato come “i dati di Lamezia confermano il sovraffollamento, ma chiariscono che si tratta di un sovraffollamento strutturale. Evidenziano, inoltre, carenze particolarmente gravi in alcuni servizi sanitari. Elementi che la Commissione valuterà - ha precisato - grazie ai dati e ai documenti raccolti anche per capire se le carenze segnalate riguardino solo l’istituto lametino o siano invece indicative di una mancata o parziale attuazione della riforma della sanità penitenziaria, che ha stabilito il passaggio della sanità carceraria dal ministero della Giustizia alle regioni, e della difficoltà che tale riforma incontra nell’esser tradotta in pratica in tutta la Calabria”. Per il presidente della Commissione, Leoluca Orlando “La Commissione ritiene che, accanto alla denuncia di singole gravi disfunzioni, sia necessaria una presa di coscienza da parte della politica e un intervento deciso e organico da parte del Governo”. Reggio Emilia: Lusenti (Regione); l’Opg è una struttura inadeguata e sovraffollata Dire, 2 aprile 2011 “La Regione Emilia - Romagna è costantemente impegnata per garantire condizioni di vita dignitose alle persone recluse e per arrivare al superamento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia con progetti di presa in carico di ex reclusi in strutture sanitarie e assistenziali del territorio”. Lo ha detto l’assessore alle Politiche per la salute della Regione Emilia - Romagna Carlo Lusenti a proposito della situazione in cui si trovano le persone all’interno dell’Opg, sulla quale la Commissione senatoriale presieduta da Ignazio Marino sta conducendo un’indagine di cui hanno parlato i media anche in questi ultimi giorni. In Emilia - Romagna si trova uno dei 6 Opg presenti in Italia, a Reggio Emilia. Ospitato in un ex carcere, e dunque in una struttura non adeguata alla cura, registra un grave sovraffollamento a cui contribuisce in maniera determinante il continuo invio di persone che non afferiscono al suo bacino di utenza definito a livello nazionale (che comprende Friuli Venezia Giulia, Veneto, Province di Bolzano e Trento, Emilia - Romagna e Marche). Diversi gli interventi che la Regione ha messo in campo per far fronte alla situazione: come prima azione, è stato autorizzato un importante incremento della pianta organica delle Ausl di Reggio Emilia, per assicurare l’assistenza necessaria alle persone e superare i reparti chiusi. È stato poi costituito tra Regione e Magistratura di sorveglianza - che ha la competenza della proroga della misura di sicurezza in Opg - un tavolo di discussione per favorire la condivisione di percorsi di presa in carico da parte dei Servizi sanitari territoriali competenti. È stato anche istituito un gruppo di lavoro con i professionisti delle Aziende Usl per mettere a punto i programmi territoriali di dimissione dall’Opg, i cui costi sono a totale carico della Regione. Ci sono poi strutture, come la residenza sanitaria psichiatrica di tipo socio - riabilitativo di Sadurano, nel forlivese, che ospitano utenti che possono usufruire di “licenza finale”, fase propedeutica alle dimissioni dall’Opg, dove si realizzano importanti esperienze riabilitative. A Bologna è stata potenziata una struttura residenziale di accoglienza per detenuti (l’ex Roncati di viale Pepoli) che necessitano di perizia psichiatrica, in modo da ridurre invii impropri all’Opg di detenuti che necessitano di diagnosi psichiatrica. Infine, è ormai prossima l’apertura di un reparto di osservazione psichiatrica presso il carcere di Piacenza. “Confermiamo il nostro impegno - ha ribadito Lusenti - per dare continuità assistenziale alle persone recluse e per migliorare, per quanto nelle nostre competenze, la loro condizione, ma dobbiamo dire che restano aperte molte criticità, a partire dalla struttura in cui è ospitato l’Opg, completamente inadeguata alla cura e alla riabilitazione, poiché è nata come carcere. Altro problema rilevantissimo - ha aggiunto l’assessore - è il sovraffollamento, aggravato dal fatto che non sono rispettati gli invii nei singoli bacini di utenza dei 6 Opg. Basti pensare che a Reggio Emilia, su 277 persone, 147, di cui 84 lombardi, venivano da zone extra bacino. È comunque evidente - ha concluso - che il completo superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, come concordato tra Stato e Regioni, è prima di tutto un obiettivo di civiltà, che perseguiremo con impegno”. Civitavecchia (Rm): processo per detenuta suicida; il pm chiede 4 rinvii a giudizio Il Messaggero, 2 aprile 2011 La detenuta Alessia T. fu trovata impiccata nel carcere di Aurelia. Per l’accusa si trattò di omicidio colposo. Il pm chiede il rinvio a giudizio di direttrice, psicologo e due agenti. Avrebbe sottovalutato i problemi psichici di una detenuta che si impiccò nella cella, dopo aver tentato il suicidio tre giorni prima. Ora Patrizia Bravetti, direttrice del carcere del carcere di Aurelia a Civitavecchia all’epoca dei fatti, rischia di finire sotto processo con l’accusa di omicidio colposo. Il pubblico ministero di Civitavecchia, Alessandro Gentile, ha infatti chiesto il suo rinvio a giudizio per omicidio colposo, insieme a Marco Celli, facente funzione di Comandante delle guardie del penitenziario, Cecilia Ciocci, responsabile del reparto femminile e Paolo Badellino, lo psichiatra che aveva in cura la donna. Vittima della tragedia Alessia T., 31 anni, alla quale era stata diagnostica una “sindrome bipolare con disturbi borderline”. Finita in carcere dopo aver commesso una rapina in un supermercato nel dicembre 2008, fu trovata impiccata nel penitenziario la mattina del 20 giugno 2009. Un morte che, forse, non giunse del tutto inattesa. Appena tre giorni prima la giovane donna aveva tentato di suicidarsi sbattendo con violenza la testa al muro. E il 13 giugno si era legata intorno al collo il cavo della televisione. In entrambi le occasioni, Alessia T. fu salvata per un soffio. Le condizione della donna erano però allarmanti. E, secondo l’accusa, avrebbe meritato l’adozione di soluzioni estreme, come prevedono i protocolli medici quando un detenuto manifesta gravi disturbi emotivi. La donna, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe dovuto essere sottoposta ad una sorveglianza a vista. Cioè le guardie non avrebbero dovuto perderla d’occhio neanche per un istante. Al contrario Alessia T. era sottoposta a un regime di “grande sorveglianza” che prevede controlli ogni dieci minuti. Dopo il secondo tentativo di suicidio, lo psichiatra del carcere aveva subito allertato i suoi superiori, tra cui la direttrice del carcere, avvertendo che era necessario approntare un “controllo a vista” della detenuta. Suggerimento rimasto lettera morta. Il giorno della morte la donna era ancora soggetta ad un regime di “grande sorveglianza”. Le indagini hanno inoltre stabilito che la giovane non aveva alcun problema legato alla tossicodipendenza, come era stato insinuato. “Ora speriamo che sia un processo a fare chiarezza”, l’auspicio dell’avvocato Valerio Aulino, rappresentante legale della madre della detenuta. Reggio Emilia: sit-in di protesta della Polizia penitenziaria per un carcere che scoppia www.viaemilianet.it, 2 aprile 2011 Davanti ai cancelli della Pulce la protesta del sindacato di polizia penitenziaria. La costruzione di un nuovo padiglione potrebbe attenuare il sovraffollamento, ma acuirebbe il problema della carenza di personale. La casa circondariale di via Settembrini potrebbe diventare presto la seconda in regione. Tra detenuti del carcere e internati nell’ospedale psichiatrico giudiziario ospita quasi 600 persone. Il piano carceri varato lo scorso anno prevede la costruzione di un nuovo padiglione e l’appalto dei lavori sembra ormai imminente. La situazione sta per esplodere secondo il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che ha organizzato sit-in di protesta in tutta l’Emilia Romagna. “Il piano prevede 200 nuovi posti letto, ampliabili a 400 - sostiene Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe - mentre il personale di polizia penitenziaria diminuisce”. Alla Pulce attualmente sono 322 i detenuti, oltre il doppio rispetto alla capienza standard di 160 persone. La tolleranza massima è di 297. All’Opg gli internati sono 276, mentre la capienza è di 132. Dal 2008 l’Azienda Usl, responsabile della gestione a livello sanitario, ha adottato provvedimenti che hanno migliorato la vita degli internati ma il sovraffollamento resta. In carcere un reparto formato da 75 detenuti è controllato da un solo agente. Nella sola casa circondariale mancano 44 persone tra ispettori, sovrintendenti e agenti. All’Ospedale psichiatrico, su un organico previsto di 121 unità, ne sono presenti solo 76. Il sindacato denuncia poi condizioni di lavoro difficili, a causa dei tagli al budget. Non ci sono le uniformi, né i mezzi di trasporto idonei, non si fa nemmeno manutenzione. “Ci sono infiltrazioni d’acqua nella struttura - continua Malorni - questo è un carcere fuorilegge, come molti altri, non ci sono docce nelle celle, con lavoro doppio per noi agenti”. Forse a settembre arriveranno altre guardie carcerarie, uscite dal corso che si sta svolgendo a Parma. Anche gli enti locali annunciano che faranno la loro parte. Ferrara: sit-in degli agenti davanti al carcere; il Prefetto si occupi anche di noi La Nuova Ferrara, 2 aprile 2011 “Al prefetto vogliamo ricordare che non c’è solo l’emergenza immigrati. C’è un’emergenza anche in carcere e nessuno si deve voltare dall’altra parte. La sicurezza è un bene di tutti”. Gli agenti di custodia tornano a protestare. Ieri si è svolta la manifestazione del Sappe. Un drappello di operatori si è infatti radunato davanti all’ingresso del penitenziario di via Arginone per ribadire i motivi che creano preoccupazione, malcontento e disagio tra i dipendenti dell’istituto di pena. Ed è un elenco che sembra allungarsi a ogni manifestazione, come se la politica si fosse dimostrata sorda ad ogni chiamata. Ieri mattina il sindacato Sappe ha indetto l’astensione in tutta la regione. Undici i temi sollevati, che includono carenza di personale e sovraffollamento delle celle, l’inadeguatezza dei mezzi di trasporto, la mancanza dei fondi per finanziare lo straordinario e le ‘missioni’ esterne, l’assenza di ristrutturazioni sugli edifici, il super - lavoro. “In Emilia Romagna mancano 650 agenti, in Italia 6500, a Ferrara una sessantina - spiegano Roberto Tronca e Antonio Fabio Renda, segretario e vice del sindacato - i lavori per la nuova ala del carcere sarebbero dovuti iniziare a febbraio, siamo ad aprile ed è tutto fermo. Ma per noi va bene così: abbiamo già visto cosa succede quando si interviene su una struttura. Quando nel 1995 si chiuse la sezione femminile per istituire la sezione collaboratori di giustizia il Dipartimento avrebbe dovuto inviare a Ferrara 15 unità di personale in più ma non è arrivato nessuno. La nuova sezione dovrebbe ospitare 200 detenuti che entreranno subito, gli agenti forse mai”. All’Arginone lavorano oggi 156 poliziotti (l’organico ne prevede 178) e i detenuti sono 465 mentre non dovrebbero superare il tetto delle 250 unità, proseguono i due sindacalisti. L’altro ieri, lamentano, era in programma un incontro in prefettura, “ma è stato rinviato a data da destinarsi, forse a causa dell’emergenza profughi. Mantenere l’ordine pubblico in carcere non è solo un problema nostro ma di tutta la società”. “Per sopperire alle esigenze di servizio i turni si allungano - concludono Tronca e Rende - su di noi ricadono anche funzioni che dovrebbero svolgere altri, come la presa in carico del detenuto per le direttissime”. A livello nazionale si stanno formando 700 nuovi agenti “ma sono solo una goccia nell’oceano”. Lamezia: servizi carenti e celle affollate nel carcere di San Francesco Gazzetta del Sud, 2 aprile 2011 La struttura penitenziaria è stata concepita per 27 detenuti, con un margine di tollerabilità che può arrivare fino a 47. Il problema è che di norma nel carcere di “San Francesco” di detenuti ce ne sono dagli 80 ai 90. Una situazione di vera emergenza, soprattutto se si considera che la struttura lametina ha conquistato il primato di carcere più affollato d’Italia, avendo un indice pari al 193,3% di sovraffollamento. Una situazione insostenibile, al punto che la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori e le cause dei disavanzi sanitari regionali, guidata da Leoluca Orlando, ha deciso di inviare ieri mattina una delegazione nella struttura penitenziaria lametina. Delegazione che è stata guidata dall’on. Doris Lo Moro. “Oggi (ieri, ndr) nel carcere abbiamo trovato 85 detenuti, 40 dei quali stranieri - ha affermato la deputata Doris Lo Moro - di questi solo 7 hanno commesso reati in Calabria, mentre 33 sono detenuti stranieri arrivati qui per sovraffollamento. Un dato che sarà oggetto di riflessione della commissione che ha il compito di verificare le condizioni di vivibilità e di salute delle strutture carcerarie. Abbiamo trovato delle carenze, anche se d’altra parte abbiamo registrato un dato sorprendente e cioè che tutto sommato, a parte il sovraffollamento, i detenuti si trovano “bene”, soprattutto per il personale e per l’accoglienza”. A parte questo dato positivo, la commissione parlamentare ha trovato all’interno della struttura lametina dei servizi carenti. Ad iniziare da quello di psichiatria che, a detta della Lo Moro, è inadeguato. “C’è un servizio che è iniziato dal mese di marzo - ha spiegato la parlamentare - ma è inadeguato perché in una condizione di disagio personale e ambientale, come può essere un carcere, le figure che possono essere di aiuto dovrebbero essere più presenti. E invece c’è un educatore in missione, perché la titolare è in maternità, poi c’è uno psicologo che viene per qualche ora a settimana, mentre lo psichiatra, solo da marzo, visita una volta a settimana. Bisogna ammettere comunque che nonostante le carenze strutturali e datate nel tempo, oggi c’è un tentativo di normalizzazione, perché da marzo è presente lo psichiatra, cosa che prima invece non c’era”. Un’altra questione da rivedere è il collegamento col Sert. “Oggi in carcere ci sono 27 tossicodipendenti - ha spiegato la deputata - c’è quindi la necessità di un raccordo più stretto e collaborativo con il Servizio di tossicodipendenza dell’Asp. C’è bisogno in sostanza, non solo di riportare la struttura alla normalità dal punto di vista dei posti letto, ma anche di rilanciare il servizio sanitario. Per questo come commissione avremo un’interlocuzione con la Regione per vedere se queste carenze, quelle del servizio psichiatrico e dei farmaci, sono presenti solo qui da noi o anche in altri luoghi in Calabria”. Ieri mattina Doris Lo Moro ha incontrato oltre i detenuti, anche i dipendenti, il direttore e il cappellano del carcere, don Vittorio Dattilo. Lecco: Lucia Codurelli porta in Parlamento i problemi del carcere La Provincia, 2 aprile 2011 Carcere: occorrono più fondi e risorse umane per garantire maggiore sicurezza a lecco “In merito alla risposta alla mia interrogazione n. 5/03279 del 22 luglio scorso, avuta ieri dal Governo, mi sono dichiarata insoddisfatta perché quanto non corrisponde alla realtà dei fatti e minimizza la gravità di quanto accaduto nel carcere di Lecco. Nel carcere di Lecco un detenuto come Romeo non avrebbe mai dovuto essere trasferito, vista la pena che doveva scontare (10 anni). Solitamente i detenuti ivi assegnati debbono avere una pena non superiore a 3 anni di reclusione. Non funzionava nel momento della fuga, ma oggi la situazione è rimasta tale e quale, la sala regìa preposta a gestire gli allarmi e ei dispositivi di sicurezza. Così come non funzionava il riscaldamento e condizionamento nei locali comuni. Il tutto a causa della mancanza di fondi per la manutenzione. Inoltre ho chiesto che venisse verbalizzato che i dispositivi di sicurezza, compreso l’antincendio, non sono mai entrati in funzione dal momento dell’apertura dopo la ristrutturazione . Ho preso atto dell’impegno del Governo di potenziare la pianta organica degli agenti penitenziari, stante la grave situazione di sovraccarico di turni di lavoro, ho però chiesto che si dica quando e se arriveranno anche nelle carceri di Lecco. Risorse finanziarie e umane indispensabili per garantire la sicurezza superando questa fase emergenziale in tutte le carceri compreso quello di Lecco”. Salerno: la lotta dei detenuti per i propri diritti arriva fino a Strasburgo La Città di Salerno, 2 aprile 2011 Riconoscere subito il reato di tortura per quanti trascorrono almeno venti ore al giorno in celle sporche e degradate, potendo usufruire di uno spazio che supera di poco i tre metri a testa, visto che le celle (di 20 metri quadri) ne ospitano almeno sette. I pasti e le medicine sono insufficienti, le docce buttano acqua gelida anche d’inverno, le possibilità di trovare lavoro sono ridotte all’osso, l’assistenza psichiatrica è pressocché inesistente a dispetto del rischio suicidi e quella medica non riesce a fronteggiare i casi più delicati, come quelli di numerosi tossicodipendenti. Ma non finisce qui, perché al carcere di Fuorni - dove di recente anche l’ufficio postale ha subito dei disservizi che hanno impedito ai familiari dei detenuti di smistare loro dei soldi per piccole spese - la polizia penitenziaria è a dir poco sottodimensionata e tenere a bada la struttura è un’impresa titanica. Sono questi i motivi che hanno spinto alcuni detenuti, supportati dai Radicali, a sottoscrivere un esposto (26 firme provenienti dagli istituti penitenziari di mezza Italia) che è stato presentato alla Corte Europea per i diritti dell’uomo. “La richiesta di chiarimenti da parte della Corte, rappresenta un primo risultato utile a sollevare l’attenzione internazionale sullo stato di illegalità delle nostre carceri”. Lo sottolinea Donato Salzano dei Radicali, che hanno aiutato i detenuti di Fuorni a presentare i ricorsi alla Corte di Strasburgo, “dopo aver constatato il degrado della struttura salernitana in occasione delle visite ispettive effettuate dalla deputata radicale Rita Bernardini”. Segnale positivo anche “per il riconoscimento del reato di tortura”, contemplato da una convenzione europea ratificata dall’Italia, ma non ancora recepita dal nostro ordinamento. I detenuti nel ricorso hanno denunciato di essere sottoposti a trattamento “inumano e degradante”, rivendicando la possibilità di vivere in condizioni più dignitose. La Spezia: cinque detenuti al lavoro sulla viabilità provinciale www.cittadellaspezia.com, 2 aprile 2011 Un protocollo d’intesa per avere una seconda possibilità, imparare un mestiere e, una volta scontata la propria pena, reintegrarsi nella società. Questo lo scopo del nuovo protocollo d’intesa firmato tra la Provincia e la casa circondariale Villa Andreino della Spezia. L’iniziativa è stata presentata questa mattina nella sala riunioni del carcere. L’istituto spezzino coinvolgerà cinque detenuti che si occuperanno della manutenzione e pulitura stradale di alcuni tratti provinciali. Il primo interessato sarà quello di Via Buonviaggio. “La provincia - ha spiegato l’assessore alla viabilità Giorgio Casabianca - partirà con questo percorso, in via sperimentale, dal 4 aprile e contribuirà fornendo l’assicurazione i materiali antinfortunistici. Gli operai lavoreranno dalle 8.30 alle 12.30 e non è escluso che l’orario possa essere prolungato. Nelle zone interessate gli operai saranno coordinati da un capo cantoniere della Provincia. Si tratta di un accordo molto positivo che darà un ottimo contributo a tutta la comunità.” Questo progetto ha una duplice valenza: quella di avvicinare i detenuti al mondo del lavoro, ma anche di prevenzione per contribuire alla diminuzione dei recidivi. Il protocollo, stilato con la Provincia della Spezia, è stato portato avanti dalla Direzione del Carcere nella figura della dottoressa Maria Cristina Bigi, Licia Vanni responsabile Area Pedagogica della Casa Circondariale e Tiziana Babbini, commissario penitenziario e responsabile dell’Area Sicurezza. “Con questo progetto - ha dichiarato Maria Cristina Bigi - il personale detenuto si avvicina ad un percorso concreto che permette loro il reintegro nella società. Il progetto segue le normative dell’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario e che permettono l’esercizio lavorativo al di fuori dell’istituto di pena. Il personale detenuto, durante il percorso sulla manutenzione della viabilità si alternerà con un turn over. Una volta terminato il proprio compito subentreranno altri detenuti.” Il carcere spezzino non è nuovo a questo genere di attività, in questi anni, sono stati portati avanti molti percorsi: dal laboratorio di cucina, attivato con l’Assessore Paola Sisti, a molti corsi formativi ed attività lavorative all’interno del carcere, per arrivare allo sport. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 verrà completata la ristrutturazione della casa circondariale che attualmente ospita centocinquanta detenuti; a lavori terminati potrebbe ospitarne trecento. Roma: Zingaretti (Provincia) aderisce a proposta Radicali su visite ispettive Adnkronos, 2 aprile 2011 Il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti ha sottoscritto l’appello per la approvazione della legge che consentirà di effettuare visite ispettive negli istituti carcerari ai sindaci e ai presidenti delle Province. Lo fa sapere in una nota la Provincia di Roma ricordando che la proposta è stata lanciata dal sindaco di Enna e raccolta da Rita Bernardini, deputata radicale eletta nel Pd; ove venisse approvata si allargherebbe notevolmente la platea delle autorità titolari del potere di ispezione e di controllo sulle carceri, sinora riservato ai soli deputati nazionali e regionali. “Si tratta - ha dichiarato Zingaretti - di una proposta intelligente in quanto punta a consentire alle autorità locali, che sono poi le più vicine ai problemi concreti, una conoscenza diretta delle problematiche legate al mondo delle carceri, dei detenuti e del personale penitenziario. Essa assume un valore altamente legato alla attualità di una situazione carceraria che vive problemi gravissimi di sovraffollamento, con il conseguente forte disagio dei detenuti, dei loro familiari e di tutti gli operatori carcerari”. Parma: in via Burla ci sono 100 detenuti in più della norma e gli agenti 170 in meno Gazzetta di Parma, 2 aprile 2011 Nel carcere di via Burla ci sono 600 detenuti, oltre 100 in più di quelli che dovrebbe contenere. E gli operatori sono 280, circa 170 in meno di quelli necessari a formare un organico regolare. Per il Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria, si è toccato davvero il fondo. E ieri mattina, davanti a tutte le carceri regionali, ha indetto una manifestazione di protesta e di sensibilizzazione verso organi politici e amministrativi. “Bisogna fare qualcosa, il Governo deve decidere di intervenire perché non si può andare avanti così - spiega il vicesegretario regionale, Enrico Maiorisi. Nelle carceri c’è un sovraffollamento di detenuti, una carenza di personale, pochissimi automezzi con cui muoversi per accompagnare i detenuti in tribunale, non ci vengono pagate le missioni esterne”. In tutta l’Emilia Romagna, mancano all’appello 650 agenti di polizia penitenziaria. A Parma 170, seconda città “in negativo” dopo Bologna dove mancano 250 operatori per un carcere che contiene 1.200 persone. Con striscioni e fischietto, fuori dalla struttura di via Burla, c’è anche Gaetano Catalano, agente di custodia a Parma: “Quotidianamente dobbiamo inventarci qualche mansione che non è la nostra - spiega. È prevista la presenza di 2 operatori per reparto e invece ci troviamo con un operatore per più reparti. Mancano gli educatori, e dobbiamo farlo noi. Manca il personale sanitario e dobbiamo farlo noi. La mancanza di tutte queste figure, nei detenuti crea frustrazione: noi non riusciamo a dare tutte le risposte. E scaricano sempre su di noi le loro tensioni. È veramente poco sicuro tenerci in questo stato, se finora non è successo nulla di grave e la situazione non è degenerata lo dobbiamo alla maturità dei detenuti, che hanno capito la situazione. Anche se episodi di autolesionismo sono già avvenuti”. Al sit-in di ieri mattina, seguirà una protesta davanti alla Prefettura tra due settimane. “Le decisioni devono essere prese a livello nazionale, ma qualcuno deve insistere - conclude Maiorisi. Vogliamo quindi mettere a conoscenza il prefetto, Luigi Viana, della situazione. Su 70 mila carcerati che ci sono in Italia, destinati ad aumentare, ci sono 40 mila operatori che si dividono turni sulle 24 ore. Si parla di un agente ogni 100 detenuti, con picchi negativi in certi periodi dell’anno. Una situazione impossibile da sostenere per noi e per gli stessi carcerati”. Ferrara: consiglieri regionali Sel-Verdi in visita al carcere dell’Arginone www.estense.com, 2 aprile 2011 I consiglieri regionali Gian Guido Naldi e Gabriella Meo visiteranno la casa circondariale di Ferrara, lunedì 4 aprile dalle ore 11. La visita fa parte di una serie di sopralluoghi nei luoghi di restrizione della Regione Emilia Romagna, organizzati dal Gruppo Assembleare Sel-Verdi, iniziati a ottobre del 2010. I due consiglieri hanno deciso di approfondire la conoscenza del sistema carcerario per capire quali sono le mancanze e i punti di forza. I consiglieri sono alla fine delle loro visite, sono entrati all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia e nelle case circondariali di Rimini, Ravenna, Piacenza, Parma, Bologna e Forlì, e hanno visitato anche l’Istituto Penitenziario Minorile Pratello di Bologna; stanno raccogliendo informazioni per agire in maniera mirata rispetto ad ogni istituto, ma anche per pensare a possibili miglioramenti organici, applicabili alle diverse strutture. “Ci stiamo rendendo conto di come ci sia bisogno di agire su diversi fronti: dal sovraffollamento alla maggiore attenzione dal punto di vista sanitario, dai diritti delle guardie carcerarie alle possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro per i detenuti - continua Gian Guido Naldi. - Sappiamo però che ogni struttura ha delle peculiarità e ci sarà quindi la necessità di agire in maniera diversa”. Turi (Ba): evento culturale nel carcere che “ospitò” Antonio Gramsci e Sandro Pertini a cura di Patrizia Spagnoli www.2duerighe.com, 2 aprile 2011 La Casa di Reclusione di Turi (Bari) ha ospitato recentemente lo spettacolo “Dove va la nave ?” messo in scena dai detenuti dell’Istituto coordinati da Pino Cacace, regista teatrale e Presidente del Circolo Aics “Borgo delle Arti”. Si è trattato del lavoro conclusivo del laboratorio della stagione 2010 - 2011 che lo staff operativo del “Borgo delle Arti”, valorizzato dalla collaborazione della scenografa Valeria Pinto, ha realizzato in questa fase. La sperimentazione che ha coinvolto circa cinquanta ospiti dell’Istituto ha ottenuto un significativo riconoscimento da parte dei referenti politici della Provincia di Bari. Alla manifestazione erano infatti presenti l’Assessore alle Politiche Sociali Pino Quarto, l’Assessore alla Sicurezza e Legalità Vito Perrelli, l’Assessore al Personale Sergio Fanelli e il Vescovo di Bari Mons. Antonio Padovano. Le testimonianze di questi importanti esponenti del mondo politico pugliese sono state coordinate dalla Direttrice del Carcere Dottoressa Maria Teresa Susca. Ha offerto un contributo conclusivo il responsabile nazionale delle politiche sociali dell’Aics, Antonio Turco. Il lavoro del Circolo “Borgo delle arti” assume, in questa cornice, particolare rilevanza sociale. Pino Cacace e Valeria Pinto operano anche all’interno del Carcere di Altamura dove hanno realizzato alcuni video con i detenuti sex offender dell’Istituto. La delicatezza di tale progettazione sta ottenendo apprezzamenti costanti tanto in ambito regionale quanto in quello della provincia. Fra qualche settimana i due artisti presenteranno una nuova progettazione dedicata ad Antonio Gramsci che, come noto, è stato ospite, così come Sandro Pertini del Carcere di Turi. Si tratterà di un’importante azione teatrale che ricorderà il periodo della detenzione dei due grandi Statisti. Il borgo delle Arti, così come la Compagnia Stabile Assai della Casa di Reclusione di Rebibbia, la Compagnia dell’Araba Fenice della Casa di Reclusione sezione Alta Sicurezza di Spoleto, come la Compagnia Oltre il Teatro della Casa di Reclusione di Fuorni e le compagnie teatrali delle carceri minorili di Torino, Airola, Cosenza e Catanzaro rappresentano un punto di eccellenza della operatività dell’Aics. Hanno ottenuto tutte riconoscimenti pubblici a testimonianza di quanto il teatro nelle realtà penitenziarie contribuisca a far crescere le persone e a modificare la loro natura deviante. Televisione: domani a Tg3 “Persone” una storia dal carcere Agi, 2 aprile 2011 Rinascere a nuova vita, dopo l’esperienza del carcere. Costruire il presente, un lavoro, una famiglia. Per molti un sogno, ma per qualcuno, ora, una realtà tutta nuova. È la vicenda di un ex detenuto che a “Persone” - il settimanale del Tg3 dedicato alle storie di vita quotidiana, in onda domenica 3 aprile alle 12.10 su Rai3 - racconta il suo “secondo tempo”. Cinema: “Dalle sbarre al palcoscenico”, film dei Taviani girato nel carcere di Rebibbia Il Messaggero, 2 aprile 2011 La vita nella sezione di alta sicurezza del carcere di Rebibbia a Roma, che si fonde con la messa in scena da parte dei detenuti del Giulio Cesare di Shakespeare: è quanto racconterà il nuovo film di Paolo e Vittorio Taviani, “Dalle sbarre al palcoscenico”, di cui inizieranno le riprese, della durata di 4 settimane, ai primi di maggio. “L’idea ci è venuta dopo che Nicola Piovani ci ha detto che per riuscire di nuovo a piangere a teatro saremmo dovuti andare a vedere La tempesta messa in scena a Rebibbia”, spiega Vittorio Taviani. “Noi siamo andati e siamo rimasti profondamente colpiti. Ci è venuta l’idea di questo progetto, mostrare la realtà della vita in carcere e la risposta di bellezza del teatro”. A recitare nel film - realizzato da una troupe tecnica di non più di 10 persone, in cui le fasi della tragedia verranno messe in scena tra celle, corridoi, stanzoni del carcere, con solo gli ultimi 15 minuti in palcoscenico - saranno 30 detenuti, fra protagonisti e comparse, che appartengono alle tre compagnie teatrali, che contano circa 100 persone, nate nel carcere grazie alla fondazione Enrico Maria Salerno, con la direzione artistica della vedova dell’attore, Laura Andreini Salerno. “Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto nel nostro teatro di 400 posti 22mila spettatori”, spiega Fabio Cavalli regista degli spettacoli a Rebibbia e anche del Giulio Cesare per i Taviani. “Nel film reciteranno detenuti dai 20 ai 65 anni, condannati a pene di diversa entità. Ci saranno, fra gli altri, Cosimo Rega, che sconta l’ergastolo, nella parte di Cassio e Giovanni Arcuri in quella di Giulio Cesare. Del cast faranno parte anche quattro ex detenuti che, usciti dal carcere, sono diventati attori professionisti, come Salvatore Striano, che ha recitato in Gomorra e ora è in compagnia con Umberto Orsini”. Il progetto dei due registi ha trovato l’appoggio del direttore del carcere di Rebibbia (dove già sono stati realizzati programmi come Rock in Rebibbia e la docufiction Liberanti), Carmelo Cantone e l’avallo del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e commissario straordinario per l’emergenza carceri, Franco Ionta: “Avere i Taviani che girano a Rebibbia equivale a Kubrick che girava a Folsom, carcere di massima sicurezza californiano”, dice Cantone. Immigrazione: incendio al Centro per richiedenti asilo di Bari, distrutto un prefabbricato La Repubblica, 2 aprile 2011 È bastato un mozzicone di sigaretta ancora acceso per scatenare l’inferno. Le fiamme hanno avvolto e distrutto uno dei moduli prefabbricati del centro di accoglienza richiedenti asilo di Bari. L’incendio è scoppiato la scorsa notte intorno all’1.30. I migranti, sei in tutto quelli presenti all’interno del modulo, a quell’ora stavano già dormendo sui letti a castello quando si sono accorti del fuoco e sono scappati all’esterno. Per spegnere il rogo sono intervenuti prima gli operatori della cooperativa Auxilium che gestisce la struttura e poi i vigili del fuoco del comando di Bari. I vigili giunti nel Cara di Palese pochi minuti dopo sono riusciti a domare subito le fiamme che si stavano propagando anche agli altri moduli adiacenti. Il pericolo però è stato scongiurato. Nessuno è rimasto ferito ma la piccola stanza prefabbricata che ospitava le sei brandine è andata completamente distrutta. “Siamo intervenuti in tempo e abbiamo evitato il peggio - spiega il caposquadra dei vigili del fuoco - non abbiamo trovato tracce che dimostrino la natura dolosa dell’incendio, qualcuno evidentemente deve essersi addormentato lasciando la sigaretta accesa”. I materassi sono stati bruciati ed è stata proprio la gommapiuma a facilitare l’espansione dell’incendio. Del modulo adesso non rimane che una semplice carcassa: le lamiere sono contorte e il prefabbricato è inutilizzabile. Non è il primo episodio di questo tipo all’interno del Cara di Bari. In una settimana sono stati tre gli incendi. Mercoledì scorso, il 23 marzo, è andato a fuoco il modulo numero 28 a causa di una lampada finita su un materasso. Sabato invece, il 26 marzo, è stato un corto circuito a causare l’incendio di altri due moduli: uno è stato chiuso perché inagibile, l’altro invece, parzialmente danneggiato, è in corso di riparazione. Ieri infine l’ultimo. Tre episodi a distanza ravvicinata che preoccupano gli ospiti del centro. Il gran numero di migranti, quasi 1400 su una capienza di 940, rende la situazione più difficile. Basta una semplice distrazione per causare un incendio. Caos la scorsa notte anche nel Cie al quartiere San Paolo di Bari. Un tentativo di ribellione da parte dei detenuti è stato stroncato sul nascere dalla polizia. Un tunisino recluso nel centro ha provato a fuggire ma è stato bloccato.