Giustizia: alla Camera il 3 maggio si discute di emergenza carceri di Claudio Tucci Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2011 Le carceri italiane scoppiano, mentre le spesa per detenuto è in costante diminuzione. Dal 2007 al 2010, la popolazione carceraria è quasi raddoppiata (passando dalle 39.005 unità del 1° gennaio 2007 alle 67.961 del 31 dicembre scorso), a differenza i costi medi giornalieri pro capite che sono scesi a 113 euro (nel 2007, erano a 198,4 euro, nel 2008, 152,1, nel 2009, 121,3). Senza contare che in dieci anni il sistema carcerario è costato all’Erario ben 29 miliardi di euro. I dati sono tratti da diverse indagini di due associazioni impegnate nel settore, Antigone e Ristretti Orizzonti, e sono contenute in pacchetto di mozioni presentate bipartisan per sollecitare il governo ad affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. Le mozioni, sette in tutto, saranno esaminate dall’Aula della Camera il prossimo 3 maggio. Dar seguito al piano carceri In Italia, ricordano i documenti, sono presenti 206 strutture penitenziarie, con una capienza di 45.022 unità e con un tasso di sovraffollamento del 151 per cento. Il ministro della Giustizia ha più volte annunciato un “piano carceri”, si chiede il finiano Benedetto Della Vedova, con un investimento pubblico di 670 milioni volto a creare 9.700 posti letto in più, e comunque insufficienti rispetto ai 23.600 a oggi necessari. E servono pure investimenti privati. Per il “dare seguito immediato” al piano carceri è anche la mozione, primo firmatario Donato Renato Mosella (Api). Le carceri scoppiano soprattutto a Padova, Roma, Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia, Milano San Vittore, Napoli, Poggioreale, evidenzia la mozione, primo firmatario Roberto Rao, dell’Udc. Ripensare gli istituti di pena Chiede invece di “ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale”, la mozione, prima firmataria Donatella Ferranti, Pd, e di affrontare “con urgenza” il problema delle morti in carcere. Dall’inizio dell’anno le vittime sono state ben 37, di cui 15 per suicidio. La mozione, primo firmatario Enrico Costa (Pdl) sprona il Governo a proseguire nella realizzazione di nuovi istituti e di assumere nuovo personale, mentre quella prima firmataria Rita Bernardini (Pd) chiede che vengano attuati con urgenza gli impegni già assunti dal governo più di un anno fa sul problema dell’affollamento delle carceri. Per la mozione, primo firmatario Antonio Di Pietro (Idv) bisogna pure convocare tempestivamente i sindacati di polizia penitenziaria e informare il Parlamento ogni semestre sugli esiti del progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti. Giustizia: niente carcere per i clandestini; l’Europa boccia la legge italiana Corriere della Sera, 29 aprile 2011 L’Italia non può, non deve, mettere in prigione uno straniero perché è entrato clandestinamente nel suo territorio e non ha obbedito a un ordine di espulsione; quell’arresto contrasta con le normative europee, è fuori dal diritto. In altre parole: la clandestinità non è di per sé un reato penale, come invece stabilito pochi mesi fa dai nostri legislatori. Tutto questo lo dice dal Lussemburgo la Corte di giustizia della Ue, con una sentenza che in via di principio restituisce la libertà ad Hassen El Dridi, alias Soufi Karim, algerino espulso dall’Italia nel 2004 e condannato nel 2010 a un anno di reclusione dopo aver ignorato un secondo ordine di espulsione, entro 5 giorni. Dalla sua cella di Trento, l’uomo aveva presentato ricorso, e la Corte d’appello locale si è poi rivolta alla Corte Ue per aver lumi. La risposta è arrivata in due mesi, con una procedura d’urgenza adottata proprio perché El Dridi si trovava in galera. Ma la casistica su cui si riverbera ora la sentenza è naturalmente molto più generale, e così il suo risvolto politico. Come si intuisce anche dal diluvio delle reazioni italiane: insoddisfatto il ministro degli Interni Roberto Maroni con buona parte del centrodestra, che parla di ingiusta decisione dell’Europa; favorevoli il Vaticano e buona parte del centrosinistra. La motivazione della sentenza è scarna, ma chiara: punire la clandestinità come un reato è qualcosa che contrasta con la direttiva Ue sui rimpatri. Cioè con una normativa sottoscritta a suo tempo dagli Stati membri, che prevede sì l’espulsione dei clandestini ma attraverso “una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali”. La prigione “può compromettere” questa politica, e perciò il giudice italiano “dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da 1 a 4 anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”. I giudici precisano poi: “Solo qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato, Io Stato membro può procedere al suo trattenimento. Conformemente alla direttiva rimpatri il trattenimento deve avere durata quanto più breve possibile ed essere riesaminato ad intervalli ragionevoli... Inoltre gli interessati devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune”. Vale a dire: non in carcere. Ecco il nodo della questione, che ha calamitato le reazioni italiane. “Insoddisfatto” si dice il ministro Maroni, soprattutto “perché ci sono altri Paesi europei che prevedono il reato di clandestinità e non sono stati censurati. L’Europa ci complica la vita”. Per Maurizio Gasparri (Pdl) “sbaglia l’Europa, non l’Italia”, e per Isabella Bertolini (Pdl) la decisione “è un passo indietro sulla strada della sicurezza e legalità”, mentre l’eurodeputato leghista Mario Borghezio si chiede “che cosa ci stiamo a fare in questa Ue?”. Plaudono invece alla sentenza Caritas e comunità di S. Egidio. E il Vaticano, per bocca del presidente del Pontificio consiglio dei migranti Antonio Maria Vegliò, dice che questa “dimostra attenzione e sensibilità verso la dignità della persona umana”. Dal centrosinistra, è fuoco sul governo: da Pier Luigi Bersani, Pd (“L’improvvisazione ha aggravato tutto”), a Pier Ferdinando Casini, Udc (“Aspettiamo solo che Berlusconi ci venga a dire che i giudici europei sono comunisti...”), ad Antonio Di Pietro, Idv (è “un governo a tendenza mussoliniana, ragiona col manganello”). Dal Pd europeo, David Sassoli parla di “débâcle in piena regola”, e Debora Serracchiani di “un governo delle banane”. Forse, una nuova guerra è appena iniziata. Giustizia: Mantovano; ma l’impianto della legge sull’immigrazione non è saltato di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2011 “Se si legge bene la sentenza della Corte di Giustizia europea, ci si accorge che l’impianto delle nostre scelte di governo sull’immigrazione non è stato smantellato. L’opposizione, insomma, non ha ragione”. Alfredo Mantovano, sottosegretario al ministero dell’Interno, sceglie la linea diplomatica, ma anche pragmatica, per spiegare al Sole 24 Ore come il Viminale si sta rimboccando le maniche dopo la decisione di Bruxelles. “Diciamo subito che c’è pieno ossequio, a questo punto, all’applicazione della direttiva europea. 115 sui rimpatri”. Un provvedimento che al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, è sempre piaciuto poco, tanto da ipotizzare nei mesi scorsi un provvedimento, disegno di legge o perfino decreto legge, che potesse attenuarne gli effetti sulla legislazione italiana. È da quelle bozze - accantonate dopo l’emergenza umanitaria degli immigrati nordafricani - “che si può partire. Faccio notare, comunque, che se conia sentenza Ue viene meno la sanzione detentiva, non è stato toccato né il reato di clandestinità né quello di inottemperanza del clandestino all’invito di lasciare lo stato”. Certo, ammette “viene meno il fattore deterrente” del carcere. E non è poco. Non solo: se i Cie (centri di identificazione ed espulsione) sono spesso pieni - come lo sono ora - e i clandestini non possono essere portati lì adesso l’impossibilità del fermo, illegittimo con la decisione di Bruxelles, e quindi di andare in carcere, pregiudica l’espulsione e il rimpatrio del clandestino. Un aspetto che riguarda “tutti coloro che risultano immigrati illegali e che sono entrati in Italia non tanto con gli sbarchi, ma via terra, magari con un visto turistico poi scaduto”. I rimpatri non sono pregiudicati invece a Lampedusa, dove sono considerati “respingimenti perché zona di frontiera. Di sicuro, adesso, nell’adeguarsi alle norme Ue, si metterà in piedi un meccanismo che non potrà non essere farraginoso e macchinosa. È ancora presto - aggiunge il sottosegretario al ministero dell’Interno - dire se sarà un disegno di legge oppure un decreto legge. In questo secondo caso sarà comunque conveniente aspettare la tornata elettorale delle amministrative e portarlo in Consiglio poco tempo dopo, per non sprecare settimane preziose di conversione in Parlamento”. Quali potranno essere i contenuti dell’atto dell’Esecutivo? “Dovremo configurare un sistema di applicazione graduale della pronuncia della Corte di Giustizia Ue senza scardinare i meccanismi messi in piedi dalla nostra legislazione”. Di certo non manca una certa delusione in Mantovano: “L’Italia è a tutti gli effetti un territorio di confine europeo” e la decisione di ieri conferma, in sostanza, ad avviso del sottosegretario, un atteggiamento poco solidale nei confronti dell’Italia, “anzi quella decisione fa un danno ai meccanismi da noi messi in piedi per fronteggiare l’immigrazione clandestina”. Il testo del provvedimento, va sottolineato, non è semplice da mettere in piedi. Proprio perché deve essere un adeguamento della direttiva Ue senza finire in contraddizione con la linea politica del governo sull’immigrazione. Mantovano, però, sottolinea anche altri risultati “che non vanno dimenticati, ottenuti giorno per giorno, e di cui ormai possiamo andare orgogliosi”. Si riferisce in particolare alla piena operatività dell’accordo tra Italia e Tunisi: “I dati aggiornati a stamattina (ieri per chi legge, ndr) dicono che a fronte di 2.034 sbarchi, di cui la maggior parte tunisini, sbarcati dal 6 aprile, fuori cioè dai termini previsti per il rilascio del permesso di soggiorno temporaneo a fini umanitari, fino a oggi, ne sono stati rimpatriati 717, oltre un terzo. Mi pare un risultato molto significativo - sottolinea il sottosegretario - non solo sul piano del messaggio comunicativo, e simbolico, ma anche dei numeri reali, che siamo riusciti a ottenere con due voli ogni giorno e trenta immigrati per ogni aereo, per un totale già svolto di 213 voli charter. Prima il massimo consentito da Tunisi - ricorda - era di riportare quattro tunisini per ogni tratta”. Dati del Dap al 31 marzo 2011 67.615 il totale dei detenuti 24.829 i detenuti stranieri 1.301 detenuti solo per “clandestinità” 26.227 i detenuti solo per reati di droga Giustizia: la “clandestinità” non è reato punibile con il carcere; i commenti politici Dire, 29 aprile 2011 Clandestini, non criminali. La Corte europea di giustizia ha bocciato ieri il reato di clandestinità introdotto in Italia dal pacchetto sicurezza nel 2009. Patrizio Gonnella: chiederemo risarcimenti per ingiusta detenzione “È una norma che non rispetta il principio di uguaglianza”. Quella del tribunale Ue era una sentenza attesa da buona parte del mondo italiano e soprattutto dagli ambienti giudiziari. “È stata certificata la mancanza di proporzionalità e equilibrio nelle scelte di gestione dei flussi migratori in chiave esclusivamente repressiva”, scrive in una nota l’Unione delle camere penali italiane. L’inasprimento, fortemente voluto dalla Lega nord, rappresenta un fallimento politico del ministro dell’Interno Roberto Maroni, che accusa l’Ue di non usare lo stesso pugno di ferro con altri Stati membri che prevedono lo stesso reato. Polemiche a parte, ora il governo è obbligato ad adeguarsi, altrimenti andrà in contro a delle procedure di infrazione. Va detto però che molti giudici avevano già iniziato a disapplicare la norma; consapevoli che mettere in carcere i migranti irregolari significava agire in modo contrario alla direttiva sull’immigrazione del 2008. I tempi di recepimento della normativa comunitaria erano scaduti, infatti, a dicembre del 2010. Per i rimpatri le regole imposte da Bruxelles prevedono una procedura divisa in più fasi, la prima spinge verso “una possibile partenza volontaria, sulla quale l’interessato può riflettere per massimo trenta giorni”. Nel caso in cui ciò non avvenga lo Stato membro può procedere all’allontanamento “prendendo le misure meno coercitive possibili”. Le autorità possono procedere al fermo soltanto “qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato”, la sua durata “non può oltrepassare i 18 mesi”. Inoltre, ricorda la Corte di giustizia i migranti “devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti comuni”. I dubbi di legittimità sono stati sollevati da Hassen El Dridi, un algerino condannato a fine 2010 a un anno di reclusione dal tribunale di Trento per non aver rispettato l’ordine di espulsione. Sentenza che El Dridi ha impugnato presso la Corte d’appello di Trento, da cui è partita la richiesta alla Corte di giustizia di chiarire. “Gli ingressi in prigione per il reato di clandestinità sono stati circa 10mila l’anno - spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri -. Ciò non significa che erano imputati solo per tale reato, anche se va specificato che per questa fattispecie è previsto il carcere obbligatorio, in particolare per violazione dell’ordine di allontanamento del questore”. Cosa accadrà ora a chi si torva in prigione solo per clandestinità? “Non verrà scarcerato immediatamente, bisogna aspettare l’abrogazione della norma da parte del Parlamento. Nel frattempo però i giudici inizieranno a disapplicarla caso per caso”. Mentre per chi in questi anni è stato già incarcerato, il presidente di Antigone chiede “un risarcimento per ingiusta detenzione. Sarà molto difficile - ammette - ma è una battaglia di principio da tentare”. Corleone: immediata scarcerazione delle persone arbitrariamente detenute “Immediata scarcerazione delle persone arbitrariamente detenute”. È quanto chiede Franco Corleone, coordinatore dei garanti territoriali e garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze all’indomani della sentenza della prima sezione della Corte di giustizia europea sul reato di clandestinità “La sentenza - ha detto Corleone - ha una valore rilevante dal punto di vista dei principi giuridici. La condanna subita dall’Italia colpisce l’introduzione del reato di clandestinità, che viene ritenuto incompatibile con le norme europee sull’asilo e sul rientro assistito. La condanna riguarda anche la normativa sulle previsioni dello status degli immigrati irregolari che in base all’art. 14 della legge Bossi Fini vengono incarcerati per inottemperanza al decreto di espulsione. “La sentenza - ha aggiunto - richiama i contenuti della direttiva 115 del 2008 e chiarisce che essa ha un valore cogente per il nostro Paese. Questa situazione impone dunque degli atti immediati da parte dei giudici dell’esecuzione per i condannati definitivi, e da parte dei giudici della cognizione per i procedimenti in corso: cioè devono provvedere all’immediata scarcerazione delle persone arbitrariamente detenute”. “I Garanti dei detenuti in tutte le realtà in cui sono presenti - ha concluso Corleone - solleciteranno i magistrati a compiere gli atti dovuti. Sono certo che le camere penali e gli avvocati procederanno subito con le azioni di loro competenza. Non so quanti siano i detenuti presenti nelle carceri italiane in queste condizioni, ma è possibile che scopriremo che una delle ragioni del sovraffollamento è proprio dovuta all’applicazione di questa legge criminogena”. Acli: Corte europea e Cassazione, doppia bocciatura per la normativa italiana Riformare la legge 94 del 2009 ed abolire il reato di clandestinità. È quanto chiedono le Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) dopo la bocciatura da parte della Corte di giustizia di Lussemburgo della normativa italiana in materia di immigrazione, giudicata in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini. “Una bocciatura - segnalano le Acli - che segue di poche ore la sentenza 16453 della Cassazione a sezioni unite, depositata ieri, che sancisce a sua volta la sostanziale inapplicabilità della norma introdotta dal Pacchetto Sicurezza, che punisce con l’arresto fino ad un anno e l’ammenda fino a 2 mila euro i cittadini stranieri che vivono in Italia senza il permesso di soggiorno o senza un documento di riconoscimento attestante la regolare presenza sul territorio italiano”. “A due anni dall’emanazione del famigerato Pacchetto Sicurezza - spiega Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli - aumentano le crepe in una norma che non tardammo insieme ad altri a definire discriminatoria oltre che di improbabile applicazione. Dopo questa doppia e ravvicinata bocciatura, si rende ancor più urgente riformare la legge 94 del 2009 e abolire il reato di clandestinità, che ha alimentato in questi due anni un inutile contenzioso”. “Ci auguriamo - continua Russo - che queste sentenze spingano il Governo a riprendere in considerazione nuove politiche per l’accesso dei cittadini stranieri in Italia. Il nostro Paese, anche a seguito dei nuovi flussi migratori provenienti dal Nord Africa, ha bisogno di norme capaci di accompagnare il processo di integrazione degli stranieri e non di leggi ostili, che spesso costringono all’irregolarità. Riconsiderare l’ipotesi di un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro può essere la strada giusta da seguire per riscrivere le regole relative all’arrivo e alla permanenza dei lavoratori stranieri in Italia”. Arci: l’Italia rispetti i diritti umani “Una sentenza importante, che conferma quanto da tempo l’Arci, come altre associazioni, andava denunciando: l’illegittimità di norme approvate a scopo propagandistico, per raccogliere consensi elettorali a scapito della salvaguardia dei principi fondamentali sanciti dal diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, principi che devono ispirare sempre e comunque l’azione del legislatore in un sistema democratico”. Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, ha commentato così la notizia della bocciatura da parte della Corte di giustizia europea del cosiddetto reato di clandestinità. Dichiarando illegittimo il provvedimento introdotto nel 2009 col pacchetto sicurezza, che punisce con la reclusione gli immigrati irregolari, la Corte secondo l’Arci avrebbe “di nuovo messo a nudo l’arroganza e la stolta demagogia che guida la politica del governo italiano in materia di immigrazione”. “Così - continua Miraglia, mentre il ministro Maroni si appella all’Europa chiedendo solidarietà nella gestione di un’emergenza che in realtà non è mai esistita, l’Italia è sempre più isolata e delegittimata, con un governo prigioniero dei deliri xenofobi della Lega e incapace di affrontare con giustizia e lungimiranza un fenomeno globale e irreversibile come quello dell’immigrazione”. Secondo l’associazione, i giudici nazionali non dovrebbero limitarsi a disapplicare la norma contraria alla direttiva, “ma anche tener conto dell’applicazione retroattiva della pena più mite secondo le tradizioni costituzionali comuni degli stati membri”. “Alla luce di questa sentenza - conclude l’Arci - acquista dunque ulteriore forza la denuncia che abbiamo fatto nei giorni scorsi della scelta del governo di aprire nuovi Cie - Centri di identificazione ed espulsione, in realtà vere prigioni. Non solo dunque il reato di clandestinità va abolito, ma va anche restituita giustizia alle migliaia di migranti detenuti illegalmente”. Giustizia: un caso emblematico; condannato 4 volte in due mesi perché clandestino L’Eco di Bergamo, 29 aprile 2011 Arrestato e condannato quattro volte in poco più di due mesi per lo stesso reato: la legge sull’immigrazione. È successo a Mohamed, 28enne tunisino, detenuto da giugno 2010 nella Casa circondariale di Bergamo, dalla quale dovrebbe uscire solo il 10 settembre 2012. Anche se ora, alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea, potrebbe essere scarcerato. Il suo immediato futuro è legato agli esiti di un incidente di esecuzione promosso dal suo avvocato, Luca Bosisio di Bergamo. La vicenda processuale di Mohamed è indicativa di un sistema amministrativo e sanzionatorio che, come sostengono i giudici europei nella sentenza pubblicata ieri, appare inadeguato a perseguire gli scopi che si prefigge la legge, cioè contenere l’immigrazione clandestina. Mohamed intercetta le forze dell’ordine la prima volta nel 2008, a Brindisi, quando viene colpito da un ordine di allontanamento del territorio italiano dal prefetto. Passano due anni e nel frattempo entra in vigore la legge 94 del 2009, il pacchetto sicurezza, che inasprisce le pene e introduce il reato di immigrazione clandestina. Il 7 aprile 2010 Mohamed viene arrestato a Bergamo per non aver lasciato l’Italia nonostante l’ordine del 2008. Il giorno dopo finisce a processo e patteggia il minimo della pena: 5 mesi e 10 giorni. Viene emesso, come previsto, un nuovo ordine del questore che lo obbliga a lasciare l’Italia entro 5 giorni. Non trascorre nemmeno un mese che viene di nuovo arrestato dalle forze dell’ordine, il 5 maggio. A processo, il giorno dopo, patteggia 10 mesi, pena sospesa e nuovo ordine del questore. Due settimane dopo, il 20 maggio, viene di nuovo arrestato e processato con rito abbreviato. Nella sentenza il giudice riconosce lo stato di emarginazione e di indigenza in cui si trova Mohamed, ma non lo ritiene tale da giudicare credibile l’impossibilità di allontanarsi dal territorio italiano. Tuttavia concede le attenuanti generiche e lo condanna a 5 mesi e 10 giorni, senza sospendere la pena perché ritiene che sussistano i presupposti per la recidiva. Anche in questo caso, viene emesso un nuovo ordine del questore. Nemmeno il tempo di attendere il passaggio nelle cancellerie perché la sentenza diventasse irrevocabile, che Mohamed viene arrestato una quarta volta, il 12 giugno. Il giudice convalida l’arresto e questa volta dispone la custodia cautelare in carcere. In abbreviato Mohamed viene condannato a 8 mesi e da allora è recluso a Bergamo. Giustizia: giuramento dei neo Commissari, Alfano elogia la Polizia penitenziaria Comunicato stampa, 29 aprile 2011 “Noi uomini che serviamo le Istituzioni siamo orgogliosi della scelta che avete fatto entrando a far parte del Corpo di Polizia Penitenziaria, scelta che è caduta proprio nell’anniversario del 150° Anniversario”. Così ha esordito il Ministro della Giustizia Angelino Alfano intervenuto a Roma, nella sede dell’istituto Superiore di Studi Penitenziari, alla cerimonia di giuramento dei neo 143 Commissari di Polizia Penitenziaria. “Noi siamo convinti che il trattamento più giusto sia quello indicato dall’art. 27 della Costituzione - ha continuato il Guardasigilli rivolgendosi ai neo Commissari - se da un lato voi siete coloro che fanno parte, a pieno titolo, del sistema della sicurezza del nostro Paese, dall’altro la Polizia Penitenziaria rappresenta il primo, significativo, contatto tra il detenuto e lo Stato. Ciascuno di voi si senta investito della funzione, delicatissima, che gli viene affidata e dell’alta responsabilità di rappresentare lo Stato”. Alfano ha quindi sottolineato il carattere “inclusivo” del Corpo di Polizia Penitenziaria all’interno della squadra Stato e ha confermato la vicinanza del Governo e dell’Amministrazione Penitenziaria nelle situazioni di difficoltà e l’impegno a sostenere le legittime aspettative per la crescita del Corpo di Polizia Penitenziaria. Il Guardasigilli ha infine rivolto un saluto e gli auguri alle famiglie dei Vice Commissari presenti alla cerimonia: “Siate orgogliosi della scelta fatta dai vostri figli che da oggi faranno parte di un Corpo di Polizia di grande prestigio e professionalità”. Giustizia; caso Cucchi; al processo Carabiniere testimonia “quando fu arrestato stava bene” Dire, 29 aprile 2011 Si è svolta ieri mattina, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, la seconda udienza del processo sulla morte di Stefano Cucchi, il romano di 31 anni fermato dai Carabinieri per droga il 15 ottobre 2009, al Parco degli Acquedotti di Roma, e morto il successivo 22 mattina nella struttura di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini. L’udienza è iniziata con la convocazione dei primi testimoni, gli otto carabinieri coinvolti nell’arresto del ragazzo, citati dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy. Davanti alla III Corte d’Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, sono dodici le persone imputate. Si tratta di sei medici che ebbero in cura il giovane (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e tre guardie carcerarie (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). A seconda delle posizioni processuali, i reati contestati sono: lesioni e abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. La prima deposizione è stata quella di Roberto Mandolini, comandante della stazione Roma Appia convocato come testimone, insieme ad altri sette carabinieri. “Quando Stefano Cucchi entrò in caserma era tranquillo e spiritoso - racconta il militare - ma anche molto preoccupato per la sua famiglia”. Mandolini, poi, ricorda che Cucchi “venne colto in flagranza di reato mentre cedeva 20 euro di hashish a un avventore”. Poi continua: “Lui stesso dichiarò di essere senza fissa dimora, ma che abitava saltuariamente a casa dei suoi genitori” e per questo partì la perquisizione nell’appartamento della madre e del padre del geometra. “La perquisizione diede esito negativo”. Poi il militare spiega perché il ragazzo trascorse la notte in un’altra caserma. “Dai noi non c’erano celle di sicurezza - dice - e per questo venne portato a Tor Sapienza. Dopo la perquizione - continua Mandolini - Cucchi era stanco e provato. Chiese da bere ma si rifiutò di mangiare”. Al termine della deposizione Mandolini sottolinea: “Cucchi quando andò alla caserma di Tor Sapienza era tranquillo. Con occhiaie vistose forse dovute all’estrema magrezza e allo stato di sofferenza dovuto alla tossicodipendenza”. Giustizia: rettifica; “Tecnostruttura” non riceverà 53 milioni di €, è consulente tecnico Regioni Ristretti Orizzonti, 29 aprile 2011 In relazione all’articolo pubblicato ieri “53 milioni € a Tecnostruttura delle Regioni, per il reinserimento di 9.000 detenuti”, il citato Ente precisa che il suo ruolo è quello di fornire assistenza tecnica e operativa alle Regioni sui Progetti del Fondo Sociale Europeo, mentre la gestione economica del progetto sarà curata direttamente dalle Regioni stesse. Lettere: così è morto Federico, nel carcere di Padova www.radiocarcere.com, 29 aprile 2011 Cara Radio Carcere, ti scrivo anche a nome dei miei compagni detenuti perché sono giorni questi che stiamo vivendo un grande dolore. Infatti oggi, 17 aprile, data in cui ti scrivo, un nostro compagno detenuto è morto. Si chiamava Federico e aveva solo 37 anni. Pensa che già il giorno prima di morire, ovvero il 16 aprile, Federico si era sentito male, ma il medico gli ha dato solo delle gocce e una pastiglia di quelle che danno a tutti i detenuti. Il giorno seguente, verso le 4 di pomeriggio, i compagni di cella di Federico si sono accorti che stava di nuovo male e hanno chiamato aiuto. Solo dopo un’ora si è presentato qualcuno che non ha potuto far nulla non avendo degli strumenti per la rianimazione e solo alle 6 di pomeriggio, ovvero 2 ore dopo da quando Federico si è sentito male, è arrivata l’autombulanza, ma purtroppo era tardi… Federico era già morto. Ora, oltre al dispiacere per la morte di Federico, io ho anche molta paura. Ho infatti 72 anni e soffro di diverse patologie e temo che sarò il prossimo a morire nel carcere di Padova. Vi saluto con tanta stima. Luigi, dal carcere Due Palazzi di Padova Lettere: noi sempre dalla parte della legalità, ma a Genova non c’è stato nessun assalto al carcere di Roberto Martinelli (Segretario Generale Aggiunto Sappe) Il Giornale, 29 aprile 2011 Gentilissimi Massimiliano Lussana e Diego Pistacchi, confesso di avere letto con molta sorpresa l’articolo di Diego Pistacchi “25 aprile: condannano i vinti, non i violenti. I democratici che giustificano la violenza rossa” nella parte in cui si scrive che sarebbero “stati addirittura giustificati gli assalti anarchici” al carcere di Marassi nella serata del 25 aprile scorso a Genova. L’amico Pistacchi scrive che “persino il Sappe, il sindacato autonomo, smorza i toni, spiegando che anche l’incendio di cartacce appiccato dai detenuti, rientra nella normale routine. Tutto bello, tutto edificante, dunque”. Tutto mi sarei aspettato di leggere, ma certo non questa ricostruzione di Pistacchi (che pure mi conosce bene e sa come la penso) sui presunti eventi accaduti la serata di Pasquetta a Marassi che non risponde affatto alla realtà dei fatti. Ho detto e scritto che quella che è avvenuta nella serata di Pasquetta nel carcere di Genova Marassi, durante la manifestazione di gruppi antagonisti, anarchici e dei centri sociali per la ricorrenza del 25 aprile, è stata una protesta sostanzialmente senza troppi problemi di sicurezza per i bravi poliziotti penitenziari in servizio, che hanno saputo controllare e gestire la situazione con professionalità e competenza. Ma la sera del 25 aprile non c’è stato nessun assalto al carcere di Marassi e men che meno una rivolta interna. Lo dico perché è quello che è successo e perché trovo sia da irresponsabili lanciare questi allarmi strumentali per apparire sui media. Quel che più mi ha dato fastidio è far passare su “Il Giornale” quel che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (e chi lo rappresenta) non è: una Organizzazione che giustifica e tollera violenze. Non è affatto così! E lo dimostrano la storia del Sappe e la mia personale. Ricordo a me stesso che il Sappe e chi lo rappresenta è stato ed è spesso indicato, da gruppi dell’area antagonista, obiettivo di iniziative e contestazioni nell’ambito di una diffusa e costante campagna anticarceraria, il cui culmine si registrò nel dicembre 2004, quando venne recapitato negli uffici della Segreteria Generale di Roma un pacco bomba per fortuna intercettato in tempo. Sapete come la penso sull’eversione antagonista, sulla natura violenta di certe manifestazione contro il carcere inteso come Istituzione, sul G8 e su Carlo Giuliani. Sapete quante volte ho detto e scritto che il piazzale del carcere di Marassi - come tutte le sedi istituzionali delle Forze di Polizia - dovrebbe essere interdetto e quindi non ospitare manifestazioni antagoniste (che invece si autorizzano e si tengono regolarmente), banchetti di gruppi anarchici contro carcere ed ergastolo (che pure con costante regolarità sono spesso davanti all’accesso del carcere di Marassi dedicato ai familiari ammessi a colloquio con i detenuti) ed anche la sosta dei pullman di coloro che vanno allo stadio (che se per il 99% delle volte sono pacifici, preoccupano per il restante 1%). Sapete che esporsi così, e pubblicamente, non è gradito. Ed il pacco bomba arrivato negli uffici della Segreteria Generale del Sappe a Roma nel 2004 lo ha inquietantemente conferma. Non voglio però passare per quello che predica bene ma razzola male. E quindi il Sappe (e chi lo rappresenta) non giustifica affatto alcuna violenza e men che meno assalti a strutture penitenziarie, anche quando - come la sera di Pasquetta nel quartiere di Marassi a Genova - non ci sono state. Sono certo che la Vostra abituale cortesia e correttezza faranno sì che questa mia possa trovare spazio su Il Giornale. Con immutata stima, un cordiale saluto. Caro Martinelli, come ho già avuto modo di dirti, anch’io - conoscendoti e conoscendo le tue posizioni - sono rimasto sorpreso dal tuo comunicato. Non ho scritto che il Sappe ha giustificato gli assalti anarchici, ma che “il Sappe smorza i toni, spiegando che anche l’incendio di cartacce appiccato dai detenuti, rientra nella normale routine”. Mi pare che tu stesso confermi con questa lettera che a vostro avviso si sia trattato di “una protesta sostanzialmente senza troppi problemi di sicurezza”. Quel che è successo è quanto riportato e tu spesso in una prima lettera descrivevi esattamente i metodi della protesta. Io, semplicemente, per condannare queste proteste, non ho bisogno che ci scappi il morto o che i “bravi poliziotti” non riescano a controllarle. Con Stima. Diego Pistacchi Piacenza: Ugl e Osapp; detenuto tenta il suicidio, salvo per miracolo Comunicato stampa, 29 aprile 2011 Ennesimo suicidio sventato dalla polizia penitenziaria. Da un lato si cerca di salvare una vita umana, dall’altro riesplode la dura protesta dei detenuti che da due giorni hanno attuato l’ennesima forma di protesta contro la direzione del carcere per la mancanza di acqua calda. La cronaca ci porta al giorno di Pasquetta, quando un detenuto italiano, arrestato per presunta estorsione, ha tentato il suicidio con i lacci delle scarpe. Il detenuto rinchiuso al reparto isolamento ha tentato di togliersi la vita ma, l’agente di polizia penitenziaria durante la costante vigilanza sui detenuti del reparto giunto nei pressi della cella Ha visto appeso alle inferriate il detenuto. Così subito ha dato l’allarme ma ecco che succede l’imprevisto. L’agente cerca di entrare in cella per soccorrere subito il detenuto ma, la cella si blocca e non si apre. Così l’agente avvisa di nuovo la sorveglianza dicendogli di portare a seguito degli attrezzi, si vivono attimi di fortissima tensione, da un lato il personale di polizia che cerca con forza di sbloccare la chiusura della cella, mentre il detenuto è li che lotta con la morte, alla fine l’agente del reparto riesce a sbloccare la serratura ed ad entrare sollevando di peso il detenuto e portandolo con gli altri colleghi nella sala infermeria dov’era nel frattempo giunto anche il medico di guardia. Il fatto è gravissimo, afferma in una denunciano i segretari regionali della UGL e OSAPP che denunciano la scarsa manutenzione del fabbricato assegnata ad una sola unità impegnata tra l’altro su più fronti e non si riesce in giornata neanche a cambiare una lampadina nelle celle. Anche qui i tempi d’attesa sono abbastanza lunghi per i detenuti. Adesso è ritornato anche il problema dell’acqua calda, La protesta incide molto sui carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria ormai stressato e dove il numero di malattie è aumentato enormemente negli ultimi anni. I sindacati da mesi aspettano di incontrarsi con la Direzione sui carichi di lavoro ma, l’argomentazione è ferma al punto di partenza. L’Ugl e Osapp, continua la nota, non possono non esprimere solidarietà ed essere vicini ai colleghi che espletano servizio nei reparti detentivi è lasciati soli durante tutta la giornata a risolvere problematiche che nelle loro funzioni non spettano. L’UGL e l’ OSAPP chiederanno per l’agente che ha salvato la vita al detenuto un elogio dal Ministero, ad oggi da parte della direzione, invece nemmeno un grazie per l’agente. Tempio Pausania: allarme sicurezza al carcere della “Rotonda” La Nuova Sardegna, 29 aprile 2011 In attesa che il ministero della Giustizia apra il carcere di Nuchis, i problemi si accavallano all’interno della “Rotonda”. A protestare è il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, che chiede la riduzione dei detenuti presenti e l’adeguamento dell’organico degli agenti. Antonio Cannas, segretario provinciale del Sappe, ha inviato un lungo “cahiers de doléances” al ministero e al provveditore regionale degli istituti di pena segnalando la grave situazione di carenza di organico nella quale versa la casa circondariale della “Rotonda”, dove prestano servizio 22 agenti, che debbono accudire 55-60 detenuti. E di notte soltanto due poliziotti restano in turno, con gravi ripercussioni sulla sicurezza del carcere. “Una situazione, questa - scrive il segretario del Sappe - che andrà sicuramente ad incrementarsi con l’arrivo dell’estate. Quasi la metà dei poliziotti devono ancora fruire del congedo ordinario per il 2009, tutti di quello del 2010 e siamo già giunti al periodo estivo del 2011. La direzione della carcere di Tempio ha inviato un prospetto indicando i dati esposti e invitandoci a partecipare, il prossimo maggio, ad un incontro per discutere sull’articolazione dei turni di servizio, fornendo come turni per fruire le ferie estive il primo periodo dal 1º Giugno e l’ultimo fino al 30 Settembre. Una scelta che penalizza gli agenti, che non potranno anche quest’anno usufruire dei propri turni di ferie, che spettano di diritto ad ogni lavoratore”. Il Sappe chiede che venga ridotto al più presto anche il numero degli ospiti nella casa circondariale. “Occorrerebbe attestarli dice il Sappe - permanentemente a non più di 25 detenuti, tenendo conto che durante la turnazione notturna, con 55-60 persone detenute, sono di norma presenti solo due agenti e si può pertanto solo immaginare cosa possa accadere nell’ipotesi di un tentativo di evasione, emergenza sanitaria o quant’altro può verificarsi all’interno di un carcere. Le traduzioni sia in aule di giustizia che in luoghi esterni di cura vengo eseguite senza la minima osservanza delle norme sulla sicurezza, infatti non più di qualche giorno fa, venivano tradotti in tribunale 4 detenuti consecutivamente, con una scorta composta da soli tre agenti. E tutto questo accade con personale che effettua turni di otto ore anziché sei, e senza pagamento di straordinari. La sede di Tempio dovrebbe essere riclassificata in “Centro di accoglienza” e non Casa Circondariale”. Le forme di protesta che saranno attuate dagli agenti della polizia penitenziaria verranno esaminate e discusse nell’incontro previsto con il provveditore regionale il prossimo 10 maggio. Brescia: il Garante dei detenuti uscente, Mario Fappani, non si ricandida www.quibrescia.it, 29 aprile 2011 Il garante dei detenuti del comune di Brescia, Mario Fappani, ha deciso di ritirare la propria candidatura per un nuovo mandato. La sua scelta, di fatto, spiana la strada a Emilio Quaranta, ex-procuratore capo del Tribunale dei minori, unico candidato rimasto in lizza per l’incarico quinquennale. Fappani ha inviato una lettera alla presidente del consiglio Simona Bordonali, in cui ha spiegato le proprie motivazioni. La sua scelta è direttamente collegata alla doppia votazione dell’11 aprile, dove maggioranza e opposizione non hanno trovato un accordo sul candidato. “Con il mio gesto”, ha scritto Fappani, “intendo evitare ulteriori divisioni all’interno del consiglio comunale su una nomina che per sua natura non dovrebbe mai essere caratterizzata da connotazioni partitiche o da contrapposizioni tra coalizioni di forze politiche e rivolgere auguri di buon lavoro al dottor Emilio Quaranta sulla cui persona nelle prime votazioni è confluito il consenso della maggioranza dell’assemblea”. Il garante ha poi risposto a Nicola Gallizioli, capogruppo della Lega Nord, che lo aveva accusato di occuparsi di piccole cose e di non lavorare per la realizzazione di un nuovo carcere: “Per fare un nuovo carcere bisognerebbe sapere dove deve andare, mentre non mi risulta che il comune abbia ancora formalizzato alcuna scelta urbanistica. Su chi debba finanziarlo, è evidente la competenza del governo. I finanziamenti per la Lombardia sono migrati altrove, ma non per realizzare un nuovo carcere ma per allargarne uno esistente. Esattamente quello che bisogna evitare a Brescia: Canton Mombello non va ampliato. Va abbattuto”. Fappani tra le cose fatte ha ricordato “la celebrazione di una seduta del consiglio comunale in carcere, il lavoro fatto con le associazioni in occasione dell’indulto di fine luglio 2006 quando in un giorno uscirono da Canton Mombello più di 200 detenuti. Senza dimenticare il contributo dato sollecitando l’intervento del procuratore del Tribunale di Brescia per abbattere due tristi primati del carcere cittadino, ovvero l’essere il secondo più affollato d’Italia ed essere quello con il maggior numero di carcerazioni di 48 ore in attesa della convalida”. Catanzaro: scoppia la protesta nel carcere, gli agenti disertano la mensa Gazzetta del Sud, 29 aprile 2011 Da ieri mattina gli agenti della polizia penitenziaria del carcere lametino protestano per la carenza di personale e il sovraffollamento delle celle. Quello cittadino è infatti il carcere più affollato della Calabria. La protesta è sostenuta dal Sappe, il sindacato autonomo di categoria, rappresentato da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto. Si tratta del sindacato più rappresentativo tra i dipendenti della polizia penitenziaria con 11 mila iscritti sul territorio nazionale ed oltre 700 in Calabria. “La protesta è iniziata ieri con l’astensione dalla mensa”, dichiara Durante, “che è stata disertata da tutti. Se non ci saranno iniziative e soluzioni immediate, non è escluso che proseguirà anche con l’autoconsegna di tutto il personale”. Il segretario aggiunge anche che il sindacato “ha inviato anche una lettera al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta per denunciare ancora una volta la carenza di personale ed il sovraffollamento che interessano la casa circondariale lametina”. Nella stessa missiva il Sappe sostiene che “a partire da ieri c’è lo stato d’agitazione del personale e l’astensione dalla mensa di servizio, che nel pranzo odierno ha coinvolto tutto il personale”. Nella nota, secondo quanto riferito dai rappresentanti del Sappe Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto, e Damiano Bellucci, segretario nazionale, “si è inteso ulteriormente rappresentare al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria la grave situazione operativa in cui versa il personale di polizia penitenziaria in servizio a Lamezia Terme, che a fronte di un organico di 41 unità previsto dal decreto ministeriale del 2001, organico non adeguato alle attuali esigenze operative e di tutela dei diritti dei dipendenti, registra una presenza di personale in servizio “attivo” di sole 33 unità, di cui 5 impiegate al Nucleo traduzioni e piantonamenti”. Una situazione d’emergenza che, secondo il Sappe, “s’è ulteriormente aggravata a causa del rientro in altre sedi di personale precedentemente distaccato a Lamezia, e delle numerose unità collocate in congedo e che sono in attesa di pensionamento. A seguito delle continue riduzioni di personale che hanno interessato tutti i settori dell’istituto, compreso quello addetto agli uffici, pare sia stato annunciato un ulteriore riduzione nell’impiego delle unità di polizia penitenziaria nei vari turni”. Gli esponenti del sindacato autonomo hanno richiesto nella stessa lettera inviata al capo del dipartimento “immediati interventi per fronteggiare la situazione determinatasi, e l’invio a Lamezia Terme di una commissione che verifichi le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria”. Carenze di personale nel carcere minorile “Nell’Istituto penale per minorenni si registra una gravissima situazione a causa della carenza di personale di Polizia penitenziaria”. La segnalazione dell’Ugl Polizia penitenziaria è contenuta in una lettera inviata al prefetto Antonio Reppucci, al quale vengono sollecitati gli interventi di competenza. “È bene precisare - sottolinea il sindacato - che la struttura è l’unica ed è la sola competente per tutta la regione Calabria e che la stessa è stata oggetto di un’attività di manutenzione straordinaria e di ampliamento oggi in fase di ultimazione. Alla luce di tali premesse, l’istituto vedrà un notevole aumento dell’utenza ristretta; ciò, tuttavia, senza una corrispondente ed adeguata presenza di personale. Tale problematica, più volte segnalata agli uffici competenti del Ministero della Giustizia - continua l’Ugl - non ha purtroppo trovato ad oggi un definitivo riscontro. Ed infatti, a fronte di una richiesta di almeno 15 nuove unità, sono giunte di recente nell’organico (tra l’altro in modo del tutto provvisorio) soltanto tre unità, assolutamente insufficienti per la copertura dei servizi. Inoltre, a differenza di altri Istituti minorili del territorio, all’Istituto “Silvio Paternostro” di Catanzaro non viene assegnato personale in via definitiva da almeno dieci anni”. Caltanissetta: due detenuti a giudizio per la rivolta in carcere di cinque anni fa La Sicilia, 29 aprile 2011 Per 5 giorni si barricarono nella cella del “Malaspina”, scatenando una sommossa per rivendicare il trasferimento in un altro carcere ed essere visitati con più frequenza dai familiari. A cinque anni dalla rivolta che tenne col fiato sospeso la casa circondariale di via Messina, due ex detenuti finiscono sotto processo: si tratta dell’algerino Ahmed Karbache di 43 anni e del tunisino Eddine Houssen Kemir di 29 anni (difesi dall’avvocato Massimiliano Bellini) che il giudice monocratico Antonia Leone sta processando per avere incendiato lenzuola e federe dei letti, sfasciato gli arredi e minacciato gli agenti penitenziari con lamette da barba e bombolette del gas. Pesaro: in vendita in città i manufatti realizzati in laboratorio dai detenuti www.pesarottama.com, 29 aprile 2011 Anche la Casa Circondariale di Pesaro partecipa attivamente a Pesarottama: nel punto di via Castelfidardo verranno messi in vendita prodotti e manufatti realizzati con materiale di scarto dalle detenute, all’interno del laboratorio posto all’interno della struttura di Villa Fastiggi. Di questa iniziativa ne parliamo con la direttrice dell’ente carcerario, Claudia Clementi. Perché l’idea di partecipare a PesaRottama? “La partecipazione alla manifestazione si colloca nell’ambito di un discorso globale di sensibilizzazione alle specifiche tematiche. Questa Direzione, infatti, ha da tempo siglato una convenzione con Marche Multiservizi per un programma di raccolta differenziata che interessa le varie articolazioni della struttura. Inoltre, già da alcuni anni le detenute della sezione femminile partecipano al “Laboratorio del Riù”, che produce oggetti vari (suppellettili di arredo, cartoleria, giochi didattici per bambini) realizzati con materiali di riciclo”. Che significato ha per la vita del carcere l’attività manuale degli detenuti, da quanto tempo si svolge e con quali risultati? “La valenza educativa ed i positivi effetti delle attività manuali sulle persone, a tutte le età, compresa quella adulta, sono ben noti. Tali effetti sono ancor più importanti in un contesto quale quello detentivo, in cui la limitazione della libertà in molte delle sue manifestazioni condiziona fortemente la possibilità di espressione e di realizzazione dell’individuo. Per questo motivo nella Casa Circondariale di Pesaro - così come in tutti gli istituti penitenziari - vengono organizzate varie attività che prevedono una forte componente di manualità”. Quali attività in particolare? “In questa sede sono attivi da vari anni un laboratorio di falegnameria con relativa produzione di oggetti di arredo e di suppellettili, attività artigianali ed hobbistiche di vario tipo, laboratori di arteterapia, percorsi artigianali-artistici. Le varie attività sono realizzate in collaborazione con diverse realtà esterne (istituzioni locali, istituti scolastici e professionali, realtà produttive, espressioni del volontariato e del terzo settore), nel solco dell’ottica partecipativa che ha sempre caratterizzato questo Istituto”. Qual è l’approccio dei detenuti con la cultura del riciclo? “L’arte del riciclo sembra appartenere a quella che viene definita cultura carceraria. Anzi, volendo scherzare, si può dire che il carcere è l’ambiente naturale del riciclo! La scarsità dei mezzi e delle risorse a disposizione della maggior parte delle persone ristrette, nonché le norme restrittive relative agli oggetti di cui è consentito il possesso, costringono ad apprendere l’arte dell’arrangiarsi; in alcuni casi si sviluppa una sapiente manualità creativa in base alla quale, con materiali di avanzo o di risulta, vengono creati oggetti di uso più o meno comune: piccoli ventilatori, marchingegni di cottura che riproducono le caratteristiche di un forno, auricolari, attrezzi per l’esecuzione di tatuaggi ed altro”. Quali manufatti verranno messi in vendita? “I manufatti che verranno realizzati sono quelli provenienti dal laboratorio di falegnameria e del Riù. Questi oggetti, peraltro, sono già esposti ed in vendita presso il negozio Il gatto e la volpe, sito nel locale messo a disposizione dal comune di Pesaro in via Castelfidardo e gestito dall’associazione di volontariato Osservatorio permanente sulle carceri”. Messico: turista italiano morto in carcere; il processo a Lecce grazie a Convenzione di New York Adnkronos, 29 aprile 2011 È iniziato oggi ma è stato rinviato subito al 17 novembre per un difetto di notifica il processo davanti alla Corte di Assise del tribunale di Lecce a magistrati e poliziotti messicani ritenuti responsabili della morte del bancario leccese Simone Renda avvenuta a Playa del Carmen nel 2007 durante una vacanza. Si tratta della prima applicazione della Convenzione di New York sui diritti umani che consente di celebrare il processo nel paese di origine della vittima. L’uomo venne arrestato per motivi non ben chiariti e morì di infarto anche per trascuratezza delle autorità dopo due giorni dall’ingresso in carcere. In Messico alcune persone, tra magistrati, poliziotti e personale del carcere, vennero poste sotto accusa ma il processo fu archiviato. Renda, oltre che non curato, sarebbe stato anche maltrattato. Infatti gli otto imputati, ovviamente assenti, sono accusati di concorso in omicidio volontario. Stati Uniti: da Wikileaks a dossier su L’Espresso; 8 detenuti di Guantanamo sono vissuti in Italia Adnkronos, 29 aprile 2011 Un “consigliere militare” di Osama Bin Laden, un tunisino ex eroinomane che si converte all’Islam più radicale, un uomo accusato da intercettazioni effettuate dopo il suo arresto. Sono queste alcune delle storie degli otto detenuti di Guantanamo vissuti in Italia, i cui dossier personali, ottenuti da Wikileaks, verranno pubblicati domani da “l’Espresso”. I dossier mostrano quanto fosse ramificata la rete del terrore islamico nel nostro Paese, con un network che da Torino, Milano, Bologna e Napoli riforniva le basi afghane, ma anche la frettolosità di alcune accuse. Fra gli “italiani” di Guantanamo troviamo Muhamed Bin Erfane, il “comandante Bilal” che ha vissuto a Bologna ed era a fianco fianco di Osama Bin Laden nella battaglia di Tora Bora alla guida di una brigata di tunisini arruolati in Italia e nel Maghreb. Ma anche Adel Ben Mabrouk, eroinomane e spacciatore tunisino, che abbraccia l’Islam più radicale nel carcere di Pesaro e nel febbraio 2001 parte per l’Afghanistan. Verrà poi arrestato in dicembre in Pakistan e spedito a Guantanamo. Nell’autunno 2009, l’Italia accetta di accoglierlo, ma poi lo espelle subito in Tunisia. Dai dossier, l’Italia degli anni Novanta emerge come una sorta di paradiso logistico per i terroristi. Si parla spesso della Piccola società cooperativa Eurocoop come una delle coperture sfruttate per ottenere permessi di soggiorno legali. A Guantanamo è finito uno dei fondatori: Abdul Haddi Bin Hadiddi, descritto come un globetrotter della Jihad in viaggio tra Bologna, Mauritania, Pakistan, Belgio. Ma una telefonata intercettata che lo accusa si colloca dopo il suo arresto.