Giustizia: Alfano firma accordo con 12 Regioni e 2 Province per reinserimento di detenuti Dire, 27 aprile 2011 Progetti di inclusione sociale finalizzati a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno reinserimento nella vita sociale ed economica dei detenuti, nell’ottica del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena. È questo l’obiettivo dell’accordo interregionale firmato oggi a Roma dal ministro della Giustizia Angelino Alfano e promosso dal dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria, con il coordinamento della regione Lombardia insieme a Lazio, Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, e delle Province Autonome di Trento e Bolzano. All’intesa era presente l’assessore regionale al Lavoro, Mariella Zezza. Cofinanziato dal Fondo sociale europeo, il progetto denominato “Interventi per il miglioramento dei servizi per l’inclusione socio-lavorativa dei soggetti in esecuzione penale” ha come obiettivi la programmazione partecipata degli interventi per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi e creare reali opportunità di reinserimento socio-lavorativo a favore delle persone condannate. Sono previsti inoltre il rafforzamento del campo di azione delle politiche di inclusione per contrastare fenomeni di discriminazione e governare l’inserimento sociale, formativo e lavorativo delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, promuovendo in particolare l’intervento integrato e “socialmente responsabile” di imprese, cooperative sociali, agenzie e presidi territoriali. A livello operativo, il progetto intende rafforzare il sistema di governance locale, al fine di svolgere un’efficace azione inclusiva, adottando prioritariamente un approccio preventivo della recidiva e inclusivo di soggetti che hanno già intrapreso un percorso di detenzione. La parte attiva dell’iniziativa si svolgerà attraverso un rapporto “a rete”, tra i provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria, gli enti locali, il Terzo settore, il volontariato, gli operatori dell’istruzione e della formazione, le parti sociali e i rappresentati dell’imprenditoria locale. Il protocollo d’intesa firmato oggi da Alfano è “aperto”, ovvero sarà possibile ampliare il partenariato favorendo la partecipazione di ulteriori enti nazionali e regionali a livello italiano ed europeo, e prevede la costituzione di un Comitato di Pilotaggio composto da rappresentanti designati delle regioni/province autonome e dal ministero di Giustizia - dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. “L’occupazione potrà crescere favorendo un’economia inclusiva che preveda l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone svantaggiate, tra le quali i detenuti al centro del progetto che abbiamo siglato oggi con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il ministero del Lavoro le altre undici Regioni e Province autonome aderenti”. Lo ha detto, come si legge in una nota, l’assessore al Lavoro e Formazione della Regione Lazio, Mariella Zezza, a margine della cerimonia presso la sala Livatino di via Arenula per la sottoscrizione del progetto interregionale per il miglioramento dei servizi per l’inclusione socio-lavorativa dei soggetti in esecuzione penale. “Si tratta di un progetto importante - ha spiegato l’assessore Zezza - per il quale la Regione Lazio ha previsto un investimento iniziale di un milione di euro per favorire l’inclusione sociale dei detenuti attraverso un’intesa istituzionale e operativa tra i servizi penitenziari, formativi, di inserimento lavorativo e socio-assistenziali. Come ha spiegato oggi il ministro Alfano, tra i detenuti che lavorano, meno del 10 per cento torna a delinquere mentre tra coloro che durante la detenzione non svolgono attività lavorative o educative il tasso di recidiva arriva fino al 90 per cento”. “Questo progetto - ha aggiunto l’assessore Zezza - si aggiunge alle altre iniziative messe in campo in questi mesi dalla Giunta Polverini per favorire il reinserimento lavorativo e nella società di chi ha scontato o sta scontando il suo debito con la giustizia. In particolare abbiamo finanziato vari progetti di formazione per consentire ai detenuti di apprendere una professione e abbiamo attivato diversi strumenti di politica attiva per incentivarne l’ingresso nel mondo del lavoro”. “Tra le ultime iniziative - ha concluso Zezza - l’avviso per l’assunzione di soggetti svantaggiati rivolto alle cooperative sociali, del valore di quasi 8 milioni di euro, per il quale sono state presentate oltre 250 domande, di cui circa il 10 per cento aventi ad oggetto l’inserimento lavorativo di ex detenuti”. Alfano: il protocollo mira a ridurre la recidiva Secondo il Guardasigilli l’accordo firmato oggi con le regioni “coniuga le esigenze di sicurezza con quanto prevede l’art. 27 della Costituzione, in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione e non deve essere contraria al senso di umanità”. Un progetto che mira alla “riduzione della recidiva”. Definisce così il ministro della Giustizia Angelino Alfano, l’iniziativa sul reinserimento dei detenuti firmato oggi a Roma con le regioni. “Questo protocollo - afferma il ministro Alfano - rientra in un più ampio ventaglio di iniziative che puntano alla sensibile riduzione della recidiva. Tutto questo è possibile grazie alle opportunità lavorative offerte ai detenuti e all’acquisizione di specifiche abilità professionali attraverso dei percorsi di formazione”. Secondo il Guardasigilli l’accordo “coniuga le esigenze di sicurezza con quanto prevede l’art. 27 della Costituzione, in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione e non deve essere contraria al senso di umanità”. Alla firma del protocollo, oltre ad Alfano e agli assessori delle regioni coinvolte (Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e con le province autonome di Trento e Bolzano) era presente anche il capo del Dap Franco Ionta. Il progetto è stato finanziato con i fondi sociali dell’Unione Europea per un totale di oltre 53 milioni di euro. Il protocollo siglato oggi è aperto a tutte le regioni che intendono partecipare concretamente all’iniziativa. La cabina di regia è formata da rappresentanti del Dap, delle regioni interessate e delle province autonome di Trento e Bolzano. Giustizia: lavora il 20% dei detenuti e il 5% iscritto a corsi di formazione professionale Adnkronos, 27 aprile 2011 Nelle carceri italiane, al 31 dicembre 2010, risultava lavorare il 20,8% dei detenuti, per un totale di 14.174: di questi 12.110 erano alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e 2.064 alle dipendenze di ditte esterne. Questi i dati, del ministero della Giustizia, riportati da Ristretti Orizzonti. In particolare, a fine 2010, erano 12.705 i detenuti che svolgevano attività cosiddette “domestiche” (scopini, cucinieri, spesini, etc.). I laboratori industriali, artigianali e le lavorazioni agricole attive al 31 dicembre 2010 risultavano 213, su un totale di 260 presenti, di cui 127 gestite dell’Amministrazione Penitenziaria. I detenuti occupati in queste attività erano 1.469, su un totale di posti teoricamente disponibili pari a 2.133. Il maggior numero di addetti è nel settore della falegnameria (165), seguito da vivai/serre/allevamento bestiame (150 lavoranti), e dalle attività di assemblaggio (149 lavoranti). Nel complesso le attività agricole impiegano 507 detenuti, di cui 359 nelle Colonie Penali. Quanto invece ai corsi di formazione professionale, sempre al 31 dicembre 2010, risultavano iscritti 3.592 detenuti, pari al 5,29% di tutti i reclusi. I corsi attivati erano 279 e 228 di questi sono nel frattempo terminati, con la promozione di 2.178 detenuti (l’81,5% degli iscritti). Gli iscritti a corsi universitari erano 303, di cui 224 uomini e 79 donne, 263 italiani e 40 stranieri. Nel 2009 hanno ottenuto una laurea 19 detenuti, di cui 13 uomini e 6 donne. Nell’anno scolastico 2009-2010 i detenuti iscritti ai corsi di alfabetizzazione sono stati 3.145 e il 44,7% di loro ha ottenuto la promozione. Gli iscritti alla scuola elementare sono stati 2.866 (40,9% i promossi), alla scuola media inferiore 4.494 (36,8% i promossi) e 4.300 sono stati iscritti alla scuola media superiore (51,9% i promossi). Nel 2009 i detenuti che hanno partecipato a qualche tipo di attività trattamentale (cultuale/ricreativa/religiosa/sportiva/etc.) sono stati 37.471, pari al 55% di tutti i ristretti nelle carceri. 29.165 hanno anche partecipato come spettatori ad eventi culturali e ricreativi organizzati negli istituti penitenziari. Nel 2009 i volontari che hanno prestato attività nelle carceri sono stati 8.482, di cui 7.238 autorizzati come “soggetti esterni” e 1.244 con la qualifica di “assistenti volontari”. Tra i primi 5.554 operano in associazioni ed enti benefici, i rimanenti 1.684 svolgono l’attività di volontariato in maniera individuale. Tra gli “assistenti volontari” 852 sono membri di associazioni ed enti. La tipologia di attività più svolta dai volontari è il sostegno alla persona, seguita dalle iniziative sportive culturali e ricreative e dalla formazione lavorativa. Infine, sempre nel 2009, i mediatori culturali che hanno operato nelle carceri sono stati 292 (1,21 ogni 100 detenuti stranieri). Mentre 120 si sono occupati dell’area Est Europa, 86 dell’area Nord Africa, 35 Medio ed Estremo Oriente. Giustizia: Cassazione; la custodia cautelare può durare più dei 2/3 della pena “prevista” Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2011 Nessun automatismo nella revoca della carcerazione preventiva. Ma sempre una valutazione, anche in itinere, dei principi di proporzionalità e adeguatezza. A queste conclusioni approdano le Sezioni unite penali della Corte di cassazione con la sentenza n. 16085 depositata il 22 aprile. La pronuncia ha risolto un contrasto insorto all’interno della stessa giurisprudenza delle Sezioni unite tra due differenti indirizzi: uno, secondo il quale la custodia cautelare non può risultare maggiore della pena inflitta in concreto, riteneva ragionevole il ricorso a criteri che prescindessero dall’esistenza di esigenze cautelari una volta che il periodo già trascorso in carcere avesse superato determinate percentuali (2/3 per esempio) del trattamento sanzionatorio stabilito con la condanna non definitiva o possibile; l’altro, invece, non considerava determinante il superamento di una percentuale, ma la riteneva solo uno degli elementi da valutare, insieme ad altri, nel giudizio sull’adeguatezza della detenzione. Le Sezioni unite hanno sposato quest’ultimo orientamento e ricordato innanzitutto che le condizioni cui l’ordinamento subordina una misura gravissima come la privazione della libertà personale devono esistere non solo al momento dell’applicazione ma anche per tutta la durata successiva. Se così non fosse, a venire compromessi sarebbero parametri riconosciuti anche dalla Corte costituzionale come l’inviolabilità della libertà personale e la presunzione di non colpevolezza. Adeguatezza e proporzionalità non vanno però interpretate in astratto, ma si chiariscono solo nel quadro delle specifiche esigenze cautelari del caso concreto. Se si ritenesse, invece, che “l’ipotetico raggiungimento del limite della proporzionlità sconti ex se l’automatica dissoluzione delle esigenze cautelari che potessero comunque residuare, ne deriverebbe che l’altrettanto automatico venir meno della cautela risulterebbe del tutto privo di “causa normativa”“. Che poi il canone della proporzionalità non possa essere risolto sulla base di una semplice verifica di tipo aritmetico tra la durata della misura e l’entità della pena è dimostrato dalla circostanza che il legislatore nel Codice di procedura penale colloca accanto all’entità della sanzione anche l’entità del fatto, a sottolineare ulteriormente come è necessaria una verifica anche qualitativa del fatto e delle esigenze che la gravità di questo può fare emergere. Quindi sono tre gli elementi che il giudice deve tenere presenti nel decidere la misura cautelare e la sua applicazione: il tipo di misura, la durata in relazione alla pena inflitta e alla gravità del fatto e le esigenze che riguardano il caso concreto nel corso del tempo. L’applicazione di un criterio rigido come quello dei 2/3 appare eccentrico alle Sezioni unite, tanto più che lo stesso parametro della proporzionalità è un principiò tendenziale che non sopporta automatismi aritmetici. Giustizia: Cassazione; stop videosorveglianza nei bagni, il detenuto ha diritto alla privacy Il Mattino, 27 aprile 2011 Il boss mafioso Salvatore Lo Piccolo, detenuto nel carcere milanese di Opera, ha diritto a non essere videosorvegliato mentre, nella sua cella, è alla toilette. Lo ha confermato la Cassazione - con la sentenza 16402 - respingendo il ricorso del pubblico ministero del tribunale di Milano che sosteneva la necessità, per motivi di sicurezza del detenuto, di mantenere la videosorveglianza per il boss anche quando si appartava per esigenze fisiologiche che chiedeva di ripristinare la sorveglianza date le “spiccate caratteristiche di pericolosità del detenuto”. La Cassazione, che già aveva affrontato questo caso annullando con rinvio l’ordinanza che aveva convalidato la videosorveglianza totale nei confronti di Lo Piccolo, sottolinea che “mediante feritoie ed oblò” si possono effettuare su Lo Piccolo “controlli fisici diretti” a “prevenire possibili aggressioni alla persona del detenuto” anche rispetto “ad atti autolesivi”. In tal senso si era già espressa, fanno presente i supremi giudici, la direzione del carcere di Opera. Con questa decisione la Suprema corte, per la seconda volta, conferma il diritto di Lo Piccolo, già sottoposto alla misura del 41 bis, a mantenere preservata “l’intimità e la sua riservatezza”. Sardegna: 800mila € a Cooperativa sociale “San Lorenzo”, per reinserimento dei detenuti Adnkronos, 27 aprile 2011 Un contributo di 800mila euro (suddiviso in tre anni: 250mila nel 2011; 300mila nel 2012; 250mila nel 2013) è la cifra stanziata dalla Giunta regionale della Sardegna, su proposta dell’assessore della Sanità, Antonello Liori, a favore della cooperativa sociale “San Lorenzo” di Iglesias per il completamento dell’ultimo lotto di ristrutturazione dell’Azienda agricola “ex fondazione Corsi” a Villamassargia. Da più di un decennio - ha spiegato l’assessore Liori - la Regione sostiene la finalità rieducativa della pena e la finalizzazione al reinserimento sociale, sancita dall’articolo 27 della Costituzione, delle persone sottoposte a pene detentive attraverso progetti di reinserimento sociale e lavorativo, gestiti da associazioni di volontariato. Progetti che hanno permesso l’applicazione di pene alternative alla detenzione in carcere. Negli anni scorsi, la Regione ha attivato un programma per il recupero strutturale di immobili da destinare all’accoglienza e alla residenzialità di detenuti che scontano misure alternative o ad ex detenuti e la cooperativa sociale San Lorenzo di Iglesias aveva predisposto un progetto di ristrutturazione dell’Azienda agricola ‘ex fondazione Corsi’ a Villamassargia, che il Comune gli aveva assegnato in comodato d’uso per l’inserimento residenziale sociolavorativo di persone ammesse al regime di esecuzione penale esterna. ‘Il pieno utilizzo della struttura, che già ospita 38 ex detenuti - ha concluso Liori - consentirebbe ad altre 28 persone, attualmente sottoposte alla detenzione nelle carceri di Cagliari, Iglesias e Guspini, di scontare la pena fuori dagli istituti penitenziari’. Palermo: detenuto attende da 6 mesi la visita di controllo per riconoscimento invalidità Redattore Sociale, 27 aprile 2011 La visita del medico è necessaria per avere riconosciuta l’invalidità. Il Seac ha diffidato l’azienda sanitaria: se entro 30 giorni non ci saranno risposte, pronta una denuncia alla Procura. Sono già trascorsi sei mesi e ancora nessun medico si è recato ad effettuare la visita medica a C.L., detenuto indigente della casa circondariale Pagliarelli, con alcuni problemi di deambulazione, che ha necessità di avviare la pratica che gli riconosca l’invalidità. Il detenuto, secondo quanto prevede la legge, ha già effettuato la prima visita, in seguito alla quale gli è stato rilasciato a pagamento (con un costo di 50 euro) il certificato medico che tramite il Patronato è stato mandato all’Inps. Dopo avere ricevuto il documento, l’Inps a sua volta ha richiesto per l’interessato la visita medica alla commissione dell’Asp, atta a valutare la percentuale d’invalidità. Nel caso di un cittadino detenuto, poiché questi non può uscire dal carcere, è il presidente della commissione dell’Asp che, non appena riceve il certificato di detenzione, nomina il medico che andrà all’interno della casa circondariale per effettuare la visita domiciliare. Il 3 giugno dello scorso anno C.L viene chiamato dall’Inps per sottoporsi alla visita da parte della commissione dell’Asp ma essendo recluso non può andare. Successivamente, in seconda convocazione, il 4 novembre il Seac presenta il certificato di detenzione che permette al presidente della commissione dell’Asp di nominare il medico per la sua visita domiciliare. Da quel momento in poi tutto è rimasto fermo. Invano i volontari del Seac hanno tentato più volte di sollecitare, con tutti i mezzi a disposizione, sia l’Asp che il medico incaricato a potere effettuare la visita domiciliare nei confronti di C.L.. Pertanto per tutelare il detenuto nell’esercizio di un suo diritto, il prossimo 29 aprile il Seac invierà, tramite il patrocinio gratuito di un suo avvocato, una lettera di diffida all’Asp per inadempienza di quanto previsto dalla legge. Se entro trenta giorni l’Asp non risponderà alla diffida del Seac la documentazione arriverà sotto forma di denuncia in Procura per omissione di atti d’ufficio. “Da sempre ci occupiamo di aiutare i detenuti soprattutto nel disbrigo delle pratiche amministrative che li riguardano - riferisce Bruno Maria Di Stefano, coordinatore regionale del Seac e volontario dell’Asvope. Sicuramente c’è anche un problema di coordinamento tra Inps e Asp che non può essere sottovalutato ma nel caso in questione è l’azienda sanitaria che ancora non ha provveduto. Ci troviamo davanti ad un grave ritardo da parte dell’Asp che non ha precedenti. Per questo abbiamo deciso come Seac di mandare una diffida all’Asp. Al detenuto vanno riconosciuti e tutelati i suoi diritti. Essere privato della libertà non vuol dire essere privato dei diritti comuni a tutti i cittadini come quello a potere avere riconosciuta l’invalidità”. Napoli: ancora in gravissime condizioni il detenuto che ha tentato il suicidio giovedì scorso Il Mattino, 27 aprile 2011 Resta intubato e in prognosi riservata Giuseppe Toto, l’uomo condannato a 26 anni per aver partecipato all’omicidio dell’ex assessore di Villaricca Roberto Landi e che giovedì scorso ha tentato il suicidio nel carcere di Poggioreale. Ieri mattina i legali dell’imputato hanno presentato istanza di scarcerazione innanzi alla Corte d’Assise viste le condizioni di salute dell’uomo, fortemente debilitato da una grave forma di depressione. E stamattina ci sarà l’udienza del Riesame rispetto alla seconda grave accusa recentemente caduta in capo a Toto, quella di aver fatto parte del commando criminale che nel dicembre del 2009 e nel febbraio del 2010 tentò l’omicidio prima di Fortuna Iovinelli, poi della boss a capo del clan di cui Iovinelli faceva parte, Raffaella D’Alterio. Accuse queste aggravate dalle finalità mafiose. Secondo i pm dell’antimafia, infatti, anche Toto al pari degli altri tre imputati coinvolti nell’omicidio Landi (Ciro Pianese, Vincenzo Di Domenico, Rosario Somonte) avrebbe fatto parte di un clan camorristico, quello facente capo a Paride De Rosa e in aperta ostilità con il clan capeggiato dalla vedova del boss Pianese, Raffaella D’Alterio. Subito dopo l’arresto, l’imputato, poi condannato a 26 anni di carcere, si ammalò di depressione. “Non ha più potuto vedere né i figli, né la moglie. Ha iniziato a rifiutare il cibo e, in tutti i colloqui con noi, ha sempre detto che sarebbe morto prima dell’appello, prima di riuscire a dimostrare di non aver mai partecipato all’esecuzione di Landi”, ricorda la sorella . Intanto il legale di Giuseppe Toto, vvocato Monica Pantaleo, fa sapere di star valutando eventuali responsabilità nel tentativo di suicidio da parte del detenuto. La famiglia chiede verità e invoca giustizia. “Vogliamo sapere come sia stato possibile che mio fratello sia riuscito a tentare il suicidio”, incalza la sorella. Sarà il difensore della famiglia a valutare tutti gli indizi, inclusa la testimonianza della guardia penitenziaria che giovedì scorso scoprì il corpo di Toto allertando i soccorsi e provando a salvargli la vita, una vita che per il momento resta davvero appesa ad un filo. Lecce: sì al “diritto di ispezione” delle carceri per i Sindaci e i Presidenti delle Province Gazzetta del Sud, 27 aprile 2011 Il sindaco di Lecce, Paolo Perrone, sostiene la proposta di legge per estendere a sindaci e presidenti di Provincia la prerogativa di sindacato ispettivo nelle carceri scegliendo di sottoscrivere la proposta di legge in materia di visite agli istituti penitenziari. Si tenta, dunque, di porre rimedio a una lacuna normativa dell’ordinamento penitenziario perché nonostante i sindaci ricoprano anche la responsabilità di autorità sanitaria delle carceri, l’ordinamento non consente agli stessi di visitarli, anche per fini di controllo, senza preventiva autorizzazione. “Spero che il suo esempio possa essere seguito da molti altri sindaci d’Italia - è l’auspicio di Annarita Digiorgio, che con Radicali Italiani organizza l’iniziativa - e che partendo proprio da qui si possa mettere mano a politiche d’intervento locali per il carcere”. Come si può parlare delle condizioni di un istituto penitenziario prescindendo dai problemi territoriali, per i quali la massima autorità locale è il sindaco, o dalle relazioni con Provincia e Comune sugli aspetti urbanistici ed edilizi? Per non parlare delle questioni degli affidamenti esterni e delle iniziative di formazione e inserimento lavorativo che coinvolgono appieno Amministrazioni penitenziarie, Province e Comuni. Il nostro Paese è pieno di casi in cui enti locali, cooperative e associazioni del terzo settore interagiscono con le case circondariali per attivare iniziative e progetti tesi al recupero e al pieno reintegro nella società dei detenuti, come previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione. Allo scopo, quindi, di riconoscere il ruolo degli enti locali nella ispezione delle carceri e garantire così un maggiore collegamento col territorio, Paolo Perrone ha aderito alla proposta di legge depositata alla Camera dei Deputati dall’on. radicale Rita Bernardini. Civitavecchia (Rm): Cgil; il carcere è al collasso, come le altre strutture regionali Asca, 27 aprile 2011 Le carceri del Lazio a rischio implosione. A denunciare la drammatica situazione della nostra regione sono le organizzazioni sindacali di categoria che questa mattina, riunite in conferenza stampa presso il salone della Cgil, hanno rappresentato anche le difficili condizioni in cui versano da tempo i due istituti penitenziari cittadini. Il sovraffollamento nelle due carceri è al limite, con oltre 700 detenuti nei due istituti ed una carenza nell’organico di oltre il 30% che rende la condizione lavorativa dei poliziotti in servizio insostenibile anche sotto il profilo della sicurezza. Presso il nuovo complesso penitenziario di Aurelia sono presenti circa 600 detenuti con un decremento continuo, per pensionamento e trasferimento in altre sedi, del personale che conta solo 232 unità anziché le 342 previste dalla pianta organica del decreto elaborato dal Ministero della Giustizia nel 2001. Analoga la situazione al carcere di via Tarquinia dove si trovano circa 120 ristretti ed il personale è di sole 52 unità anziché le 82 previste dallo stesso decreto. Un sistema carcerario in stato di totale abbandono in tutta la regione, secondo i sindacati che accusano l’amministrazione centrale, colpevole, a loro dire, di non aver proceduto alla nomina di un nuovo Provveditore Regionale. Ciò determina la mancanza di un tavolo di confronto e di uno stallo che dura da ben 8 mesi. La carenza di personale complessivamente supera nel Lazio le 1000 unità con circa 400 poliziotti distaccati nei palazzi del potere romano: ciò ovviamente incide sulla gestione della sorveglianza interna arrivata a oltre 6.500 detenuti mentre la capienza “tollerabile” è di 4.500 posti. A questo si aggiunge il taglio delle risorse per lo straordinario, le missioni e la manutenzione che influisce negativamente anche sulla popolazione detenuta. I sindacati chiedono un impegno formale all’amministrazione con l’invio di 40 unità (25 al nuovo complesso penitenziario e 15 alla casa di reclusione). Secondo un comunicato stampa, a firma di varie sigle, anche la sanità penitenziaria è allo sbando totale, soprattutto per mancanza di una progettualità da parte della presidenza della Regione Lazio. Per attirare l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria, accusata di immobilismo, le organizzazioni sindacali hanno proclamato lo stato di agitazione del personale a livello regionale ed una manifestazione di protesta che si terrà l’11 maggio a Roma davanti al dipartimento di Polizia Penitenziaria. Foggia: carcere a rischio di cedimento strutturale, intervengono i vigili del fuoco Comunicato stampa, 27 aprile 2011 Il Sappe sindacato autonomo polizia penitenziaria - maggior sindacato di categoria, nonostante da diverso tempo stia denunciando la grave situazione di fatiscenza del penitenziario Foggiano che mette a rischio la salute e l’incolumità dei detenuti e del personale di Polizia Penitenziaria, deve registrare che nonostante le tante buone intenzioni non si è arrivati, a tutt’oggi, alla soluzione del problema , anzi la situazione si è ulteriormente aggravata, tanto da richiedere l’intervento dei vigili del fuoco. Il Sappe è ben cosciente che non è possibile sfollare l’intero carcere (circa 750 detenuti ) considerata l’attuale situazione regionale e nazionale di sovraffollamento di detenuti, ma chiede di chiudere con la massima urgenza e quindi procedere all’urgente ristrutturazione della sezione denominata “Nuovo Complesso”, dove la situazione sarebbe più drammatica poiché a conferma di quanto più volte denunciato dal Sappe, (in ultimo la scorsa settimana in occasione della visita a Foggia del Segretario Generale Sappe dottor Capece) sarebbe stato constatato anche dai vigili del fuoco il distacco di calcinacci dalle strutture portanti quali travi e pilastri arrivando persino ad ossidare i ferri d’armatura a causa dell’infiltrazione di acqua. Tale grave situazione sarebbe stata provocata dall’incuria e dalla mancanza di manutenzione sia ordinaria che straordinario della struttura ed è strano che tutto ciò sia sfuggito al Vice Capo del Dap Santi Consolo ed al suo codazzo di burocrati romani e regionali che hanno visitato la struttura carceraria di Foggia qualche mese fa, con l’intento di ricavare ancora posti letto per metterci detenuti, nonostante la struttura fosse sovraffollata con circa 750 detenuti a fronte di 370 posti regolamentari. Risulterebbe poi che i vigili del fuoco che si sono presentati presso il carcere di Foggia in data 23.4.2011 (vigilia di Pasqua), constatata la gravità della situazione abbiano, al fine di evitare immediati danni a persone causati dalla caduta di calcinacci, interdetto l’utilizzo di un camminamento, sigillando l’intera area, che consente ai detenuti di raggiungere i passeggi dove effettuano l’ora d’aria. Stante tale interdizione i detenuti per raggiungere i passeggi o altre attività giornaliere, fanno un giro molto lungo con ulteriori rischi e problemi alla sicurezza dell’Istituto. Vorremmo capire perché se tale problematica fosse stata riscontrata in una civile abitazione, i vigili del fuoco avrebbero potuto provvedere anche allo sgombero dello stabile,in attesa di una verifica strutturale, mentre per il carcere, tutto resta nella mani di un Amministrazione che in questi anni non ha fatto nulla nonostante le denunce e le proteste di questa O.S., per risolvere la questione non ponendo in essere nessun intervento di ripristino e messa in sicurezza della struttura a tutela della sicurezza dei detenuti e dei lavoratori. La situazione del penitenziario Foggiano che purtroppo si accomuna a quelle di altri penitenziari pugliesi (vedi Taranto, Lecce, Bari per fare qualche esempio) è la dimostrazione di un certo modo di fare, dove con colpevole disinvoltura si lascia la sorte di tante persone in mano al destino, salvo poi fare processi, dibattiti, proclami sulla sicurezza sul lavoro quando accadono tragedie. Per questi motivi, considerato che l’Amministrazione Penitenziaria Centrale e Regionale in maniera colposa hanno evitato di affrontare la problematica evidenziata in più occasioni dal Sappe e confermata anche dai vigili del fuoco, si chiede l’intervento del signor Sindaco , del signor Prefetto, della Magistratura, dell’Ispettorato del Lavoro nonché delle Autorità Sanitarie affinché costringano l’Amministrazione Penitenziaria a prendere il necessario e non più rinviabile provvedimento di chiusura di almeno della sezione denominata “Nuovo Complesso” per la messa in sicurezza della stessa. Il Segretario Nazionale Pilagatti Federico Parma: Uil Penitenziari; ergastolano aggredisce un altro detenuto con l’olio bollente Lungo Parma, 27 aprile 2011 Ha tentato di gettare una padella colma di olio bollente contro un altro detenuto. Ma la prontezza di riflessi di un agente ha evitato il peggio e le persone coinvolte hanno solo riportato ustioni lievi. È successo ieri mattina nel carcere di Parma e ne dà notizia oggi il segretario generale del sindacato Uil-Pa Penitenziari Eugenio Sarno. L’autore del gesto è un detenuto italiano condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e fino a poco tempo fa recluso in regime di 41 bis. L’uomo, portatore di handicap, stava cucinando nel fornelletto della propria cella quando, una volta entrato nella stanza il detenuto addetto al ritiro della spazzatura, si è scagliato contro di lui ed ha cercato di ustionarlo con l’olio bollente. La manovra non è però sfuggita all’agente di sorveglianza che lo ha fermato anche se alla fine parte del contenuto della pentola è finito sullo stesso agente e sul detenuto. L’agente ha riportato ustioni al volto con prognosi di sei giorni; per il detenuto invece prognosi di trenta giorni. Lo sconsiderato gesto è da riportare alla volontà dell’ex 41-bis di vendicarsi di presunte violenze, ricevute da altri detenuti, alcuni giorni fa, al rientro dall’ora d’aria. “In ogni caso - sottolinea Sarno nel comunicato - intendiamo sottolineare come l’ennesimo atto di violenza, posto in essere da detenuti ristretti nell’istituto parmense, non abbia fatto registrare ben più gravi conseguenze solo grazie alla pronta reazione dell’agente penitenziario il cui gesto, auspichiamo, possa essere adeguatamente considerato dall’Amministrazione Penitenziaria. Occorre un’immediata verifica delle condizioni fisiche dell’ergastolano - avverte il Segretario della Uil Penitenziari. Se è davvero portatore di handicap grave (con tanto di sedia a rotelle e badante) deve essere ristretto nelle specifiche sezioni destinate ai disabili (che non offrono adeguate condizioni di sicurezza). Il suo permanere, in tali condizioni, nella sezione Alta Sicurezza di Parma può essere, di contro, motivo di grave turbamento dell’ordine e della disciplina. È una situazione, evidentemente, che i sanitari debbono chiarire con urgenza. Questi ricoveri determinano un grave sovraccarico di lavoro per gli agenti penitenziari ed affermano situazioni di rischio sia per l’incolumità delle persone che per l’ordine pubblico”. Orvieto (Pg): nuovo corso alla Casa di reclusione, intervista al neo direttore Luca Sardella di Stefania Tomba www.orvietosi.it, 27 aprile 2011 Originario di Orte, quarantaquattro anni, sportivo, con una grande passione per il nuoto (è atleta tesserato della Federazione italiana nuoto e gareggia nella sezione master), Luca Sardella, da un paio di mesi, è il nuovo direttore del carcere di via Roma. Prende il posto del direttore Giuseppe Donato che ha guidato la struttura per oltre vent’anni, ed è stato ora trasferito alla direzione del carcere di Terni. Buongiorno direttore, partiamo dalla sua idea di carcere. E naturalmente dalle sue esperienze precedenti. Quali sono state? “Beh, il carcere serve a chiudere a chiave i delinquenti”. Il direttore sorride. “Poi ha anche una funzione rieducativa, certamente, che è prevista dalla Costituzione. Passo per essere un “duro” dell’amministrazione carceraria. Dal 1997 ad oggi ho ricoperto diversi incarichi. Sono stato capo divisione del Servizio Centrale Traduzioni e Piantonamenti al comando del generale Alfonso Mattiello. Ho partecipato - con grandi soddisfazioni devo dire - a traduzioni per maxi processi a Genova e a Brescia. Ero funzionario in sala regia al G8 di Genova, nel 2001. Inoltre, ho ricoperto l’incarico di responsabile della sezione Rapporti con l’autorità giudiziaria dell’Ufficio per lo sviluppo del sistema informativo automatizzato, poi ho trascorso anche un periodo in missione all’Ugap (l’Ufficio garanzia penitenziaria comandato dal generale Enrico Ragosa) con funzioni di intelligence. Infine il mio ultimo incarico è stato quello direttore aggiunto a Viterbo”. Da Viterbo ad Orvieto, due realtà molto diverse… “Certamente. Viterbo è un carcere di massima sicurezza. Si tratta di due carceri molto diversi: per numero e tipologia di detenuti”. (Orvieto è classificata come una casa di reclusione di media sicurezza. Accoglie, infatti, detenuti già condannati che, per i reati commessi, non sono particolarmente pericolosi sotto il profilo associativo, ndr). Che situazione ha trovato? Ha già in mente qualche cambiamento da un punto di vista organizzativo? “Ad Orvieto, sinceramente, ho trovato una situazione piuttosto confusa, essendosi succeduti in poco tempo diversi direttori in missione dal provveditorato di Perugia. Intendo avere un confronto diretto e costante con il personale, con il quale mi piace applicare tecniche di problem solving. Per questo, come prima cosa, ho instituito un briefing settimanale da tenere con i capi area. Per i detenuti, invece, voglio rinnovare completamente la palestra. Quella attuale è dotata di pochi strumenti e molti sono rotti. Ho in mente una palestra moderna, in piena regola. Anche perché l’ozio in carcere va evitato in ogni modo. I detenuti bisogna tenerli sempre occupati. Ad Orvieto, poi, stanno fuori dalle celle fino alle 19, quindi a maggior ragione”. In passato, c’è stata qualche evasione: detenuti in permesso premio che non sono rientrati. E un paio di anni fa un detenuto si è calato dal muro dei semiliberi con le lenzuola. “Sì, effettivamente, ho trovato alcuni aspetti di debolezza dal punto di vista della sicurezza. Li stiamo studiando per eliminarli”. Di tanto in tanto si sente parlare di un trasferimento del carcere al di fuori del centro storico. Che ne pensa? “Benché si tratti di una delle pochissime strutture all’interno di un centro storico, non mi risultano piani di trasferimento. D’altro canto, in questi ultimi anni, sono stati portati a termine importanti lavori di ristrutturazione, a partire dal tetto. Quindi non prevedo novità, in tal senso. Anzi, tra l’altro, vogliamo presentare un progetto per sistemare un terrazzo interno da destinare ai colloqui con i famigliari, così che i detenuti possano incontrali anche all’aperto”. Scusi, ma non si definiva un “duro” dell’amministrazione carceraria? “Diciamo che, in realtà, mi piace semplicemente applicare le regole. Cercando di tenere presenti, sempre, tanto le esigenze del personale quanto quelle dei carcerati”. Pisa: progetto “Gioco Dentro”, tornei sportivi nella Casa circondariale Don Bosco Redattore Sociale, 27 aprile 2011 Si chiama “Gioco Dentro” il progetto che la Provincia di Pisa promuove e finanzia, d’intesa con la casa circondariale Don Bosco, e in collaborazione con l’ente di promozione sportiva Csi, e che per un mese, da maggio a giugno, impegnerà i detenuti del carcere (uomini e donne) in una serie di tornei sportivi di varie discipline. Nella sezione maschile dell’istituto verranno organizzati tornei di tennis tavolo, calcio e pallavolo, mentre nella sezione femminile ci saranno un corso di ginnastica e tornei di pallavolo e biliardino. Durante questo periodo operatori qualificati promuoveranno la pratica sportiva come diritto di cittadinanza. “Uno dei nostri obiettivi - ha spiegato l’assessore provinciale allo Sport Salvatore Sanzo - è far entrare lo sport trasversalmente nei programmi provinciali, soprattutto nell’ambito del sociale, come strumento di integrazione e di inclusione per le categorie a rischio, nonché canale privilegiato di integrazione giovanile, compresa quella della popolazione carceraria. Vogliamo dare impulso a una nuova cultura della pratica sportiva in tutte le realtà con personale adeguatamente formato”. I premi che saranno consegnati ai detenuti al termine dei tornei hanno soprattutto un carattere simbolico: per tutti ci sarà una medaglia di partecipazione e, per la casa circondariale, un campo regolamentare da tennis tavolo, completo di racchette e palline, oltre ad attrezzature sportive che saranno acquistate per i corsi che si svolgeranno al Don Bosco. Macerata: un incontro alla ricerca di forme e vie “altre” di informarsi e di informare di Marcello Pesarini Ristretti Orizzonti, 27 maggio 2011 Corridonia ospita, e costruisce, il 25 aprile dell’in-formazione, dell’in-forma-azione, nel giorno della Liberazione. A presentarci questo gioco di parole e in-tenzioni, è Concetta Contini, titolare di “Parole di pace” programma bisettimanale a Radio Africa di Ancona. Merito dei corsi e ricorsi storici, il “linguaggio trasversale”, che ascolteremo anche in Sergio Sinigaglia, è il titolare del dibattito al centro della prima parte della Festa della Liberazione a Villa Fermani a Corridonia, organizzata da Anpi e Sciarada, con la collaborazione di Sisma, Ya Basta, Emergency, Ambasciata dei diritti, Ristretti Orizzonti, Soms Club, Diritto Forte e Mondo Solidale. La forte tempra dei relatori e del pubblico ha saputo resistere al freddo sotto ai pini perché tutti hanno centrato il bersaglio. La necessità di un In-form@to resistente negli anni della lotta di classe per pochi e dell’ignoranza per molti è grande: grazie al sunto storico che Sergio ha egregiamente raccontato sugli anni dell’informazione militante, Manifesto, Lotta Continua e Quotidiano dei lavoratori, dai volantini ai megafoni fino alle radio libere, attraverso Radio Città Aperta, è stata confermata la connessione fra una militanza forte ed una narrazione puntuale e fortemente ritmata. Luca Alagna, blogger attivista, non ha misurato una distanza incolmabile dalle denunce di “Strage di stato” su Piazza Fontana nel 1969, riportandoci con la tragedia dell’Iran e la morte di Neda, alla importanza di rischiare per trasmettere la sua morte filmata col telefonino, e farle raggiungere l’Olanda e poi tutto il mondo, caricato su Facebook e YouTube, usando il fenomeno del viral video di Internet. C’è sempre l’essere umano dietro la macchina, ma gli strumenti si evolvono. Internet vale la ricerca, Facebook in Egitto è valso la libertà, ma una volta oscurato da Mubarak le nuove generazioni egiziane avevano imparato il significato della rete per uscire dalla gabbia della dittatura. L’irruzione del mondo arabo “nuovo”, non le avanguardie della liberazione dell’Algeria del 1960, ma una borghesia che ha studiato, che conosce l’Occidente e lo frequenta, pur non denigrando le proprie origini, è nelle parole di Giampaolo Milzi, direttore dell’Urlo, “mensile di resistenza giovanile” di Ancona, reduce da un viaggio in Tunisia ed attivo nell’illustrarlo in Italia. Giampaolo ci significa la lotta contro il concentrarsi di testate, la conoscenza di internet e di twitter, mezzi spesso poco costosi. Ci manifesta e denuncia la sua ricerca instancabile, fiaccata però da decine di anni di precarietà come giornalista, la stessa precarietà dei tanti giornali della sinistra che vivono cambiando continuamente formato, menabò, alla ricerca di una coesistenza fra le notizie da consegnare e il panorama da tenere assieme. Marco Bocci di global project, è impegnato nella controinformazione ambientalista, sui nuovi diritti, sulle nuove migrazioni, e ci conforta sui linguaggi che si rincorrono, ma possono essere raggiunti da chi comprende che le verità della televisione hanno molto marcio dentro. Concetta Contini è la rappresentante di una radio che viene ascoltata attraverso il computer, per cui un uso meno immediato e più meditato. Il palinsesto di Radio Africa, il cui primo finanziamento deriva da un progetto europeo, è perciò un nuovo tipo di servizio. Ma ciò che può sembrare limitato, come mezzo, più studio meno passatempo, può moltiplicarsi se la qualità è genuina. E Concetta su questo ci sciorina la sua teoria di in-forma-azione che la cura dalla scossa che la spinse anni fa dopo la repressione del G 8 di Genova a non volere essere più preda della non-informazione di stato. “La mia quotidianità come collaboratrice di Radio Africa, dove parlano coloro che fanno azioni che non possono essere conosciute facilmente, e la mia appartenenza all’Anpi, sono le azioni in questa direzione. Possono sembrare piccole, ma cresceranno. E si affacceranno alla città, aggiungiamo dopo averla conosciuta più a fondo, perché è necessario risvegliare la fame di verità, come ribadiranno poi gli interventi a favore di Emergency, che presenta la sua rivista, e di Ristretti Orizzonti, controinformazione sulle carceri e la giustizia, che è scritta in gran parte da chi vive e lavora nei penitenziari. Questi ultimi devono calcolare i rischi che le loro verità vengano taciute, e si sono attrezzati per entrare nei dogmi del lettore medio e scardinarli, magari mostrando che la repressione costa molto e non produce né coscienza né sicurezza. Il dibattito, con continue domande, aneddoti, interventi da parte di un pubblico attento nonostante la durata, è cosa da riproporsi nelle varie città, per connettere i vari impegni che, proprio perché meno di massa, senza più la grande mediazione dei partiti storici della vecchia e nuova sinistra, non possono restare tante piccole cattedrali nel deserto delle produzioni interrotte, ma devono con-net-tersi. Milano: detenuti del carcere di Opera in scena con il musical “La luna sulla capitale” Ansa, 27 maggio 2011 Sono 14 detenuti del carcere di alta sicurezza di Opera, per la maggior parte ergastolani con reati di criminalità organizzata alle spalle, i protagonisti di “La luna sulla capitale”, musical, finora rappresentato solo all’interno della Casa di reclusione, che approda per una sera al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Lo spettacolo sarà in scena il 9 maggio, in una serata aperta al pubblico con finalità di beneficenza. A curare la regia e la genesi del musical, un family show che racconta la storia a lieto fine di un giovane spazzacamino, è la regista IsaBeau, impegnata dal 2007 con laboratori teatrali ad Opera. La cosa più difficile per i detenuti è curare i movimenti perché sono abituati a stare in spazi molto ristretti - ha spiegato oggi in conferenza stampa. In questo momento si trovano agli Arcimboldi, per l’unica giornata di prove, e devono familiarizzare con l’ampiezza della sala perché i loro occhi non riescono più a guardarla. I 14 detenuti sono affiancati, in scena, da sei attori esterni, fra cui qualche donna, visto che Opera è un carcere maschile. Di età compresa fra i 25 e i 50 anni, sono tutti italiani - a parte ‘un filippino dalla voce straordinaria, dice IsaBeau - e nella maggior parte vengono dal napoletano. Per il direttore della casa di reclusione Giacinto Siciliano, bisogna dare dignità e senso al carcere con il lavoro e con attività come queste, dovendo gestire lunghe detenzioni. Il musical è sostenuto congiuntamente dalle istituzioni, con un contributo di 5mila euro da parte della Regione e l’utilizzo gratuito del teatro concesso dal Comune di Milano. Secondo l’assessore allo sport e tempo libero del Comune Alan Rizzi gli ergastolani possono dare un messaggio alle nuove generazioni ed è come se i detenuti di Guantanamo uscissero per un giorno. Droghe: Gruppo Abele denuncia; dopo 2 anni non raggiunti obiettivi Conferenza Trieste Redattore Sociale, 27 maggio 2011 Il commento del vicepresidente Grosso: “Non è stato risolto il ginepraio di contraddizioni sulla normativa e non si è completata la trasformazione dei progetti sperimentali in servizi strutturali e permanenti”. A due anni di distanza, gli obiettivi stabiliti dalla conferenza nazionale sulle droghe di Trieste del marzo 2009 “non sono stati raggiunti”. È il commento di Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele, alla vigilia del convegno “Droga, è tempo di riparlarne”, organizzato dall’associazione di Torino e che si svolgerà il 28 e il 29 aprile presso la “Fabbrica delle e” a Torino”. Non è stato risolto il ginepraio di contraddizioni sulla normativa e non si è completata la trasformazione dei progetti sperimentali in servizi strutturali e permanenti - spiega Leopoldo Grosso. Ancora stiamo aspettando i livelli minimi di assistenza per la riduzione del danno”. Uno dei nodi relativi alla normativa, ad esempio, è quello di offrire ai detenuti tossicodipendenti che hanno accumulato fino a sei anni di pena la possibilità di beneficiare di misure alternative. Un beneficio che però viene annullato dalla cosiddetta “ex Cirielli” che impedisce ai recidivi (e la maggior parte dei tossicodipendenti lo sono) di accedervi. Una situazione cui si aggiungono i tagli imposti dalla finanziaria che hanno ridotto la spesa sociale. Una situazione che, ad esempio, rende molto più difficili gli inserimenti lavorativi delle persone con problemi di dipendenza. “Tagliando i fondi ai servizi si riducono anche gli invii in comunità, che possono costare anche 3mila euro al mese per persona - aggiunge Grosso. Paradossalmente, ci sono le liste d’attesa per accedere alle comunità perché non ci sono i soldi per pagare le rette”. Il convegno “Droga, è tempo di riparlarne a 35 anni dall’approvazione della legge 685” si svolgerà presso la “Fabbrica delle 2” (corso Trapani, 91/b) a Torino (vedi lanci successivi). Sarà un’occasione per fare il punto sull’evoluzione del fenomeno della tossicodipendenza e del consumo di sostanze stupefacenti in Italia e vedrà la partecipazione, tra gli altri, di don Luigi Ciotti, Salvatore Natoli, Piero Badaloni, Leopoldo Grosso, Ambros Uchtenhagen. Libia: 16 i giornalisti detenuti o scomparsi Ansa, 27 maggio 2011 Sedici giornalisti che coprivano il conflitto in Libia sono dispersi o detenuti dalle autorità del Paese. Tre americani sono sulla lista dei giornalisti in pericolo, compilata dal Comitato per la protezione dei giornalisti e da altri rapporti. Due sono stati portati in custodia il 5 aprile dalle forze di Muammar Gheddafi, si tratta di James Foley di GlobalPost e Clare Morgana Gillis di The Atlantic e USA Today. Il terzo è il freelance Matthew VanDyke. I primi due hanno contattato nei giorni scorsi i loro parenti negli Stati Uniti. Gillis ha detto che il trattamento riservatole è umano e che si trova in un carcere femminile a Tripoli. Foley ha chiamato la madre sabato, dicendo di non essere ferito e di essere trattato bene. Egitto: Governo; condizioni Mubarak non consentono suo trasferimento in carcere Aki, 27 maggio 2011 “Le attuali condizioni di salute del deposto presidente egiziano, Hosni Mubarak, non ne consentono il trasporto dall’ospedale al carcere”. È quanto ha comunicato il ministro dell’Interno egiziano, Mansur al-Isawi, al procuratore del Cairo che sta seguendo le indagini sul tesoro accumulato dalla famiglia Mubarak. Secondo quanto riferisce il sito egiziano “Youm al-Sabaa”, il ministro ha scritto in una lettera inviata alla procura che “Mubarak necessita di cure continue e di una equipe medica sempre a disposizione e tutto questo si può trovare solo in un ospedale di buon livello completo di tutte le attrezzature mediche necessarie”. Secondo i medici, il deposto capo di stato soffre di un deficit cardiaco che potrebbe provocargli un infarto in qualsiasi momento. Dallo scorso 12 aprile Mubarak si trova ricoverato nell’ospedale di Sharm el-Sheikh. L’ex presidente è in stato di custodia cautelare con l’accusa di aver ordinato alla polizia di sparare sui manifestanti che dalla fine di gennaio sono scesi in piazza provocando la destituzione dell’ex rais.