Giustizia: il rumoroso silenzio sulla shoah nelle carceri di Valter Vecellio Europa, 21 aprile 2011 A voler nobilitare la cosa si potrebbe dire che stiamo assistendo a un crescendo rossiniano. Comincia Umberto Bossi con il suo: “Immigrati, fuori dalle palle”. Subito Roberto Calderoli minaccia il ritiro del contingente militare italiano dal Libano. Per non essere da meno il ministro dell’interno Roberto Maroni ipotizza che l’Italia possa uscire dall’Unione europea; il ministro degli esteri Franco Frattini nel patetico tentativo di metterci una toppa non fa in tempo a dire che Maroni ha parlato in un momento di esasperazione e di rabbia, che subito interviene un altro Roberto, quel Castelli che ancora ce lo ricordiamo quando è stato ministro della giustizia: e se ne esce che per il momento contro gli extracomunitari non si possono usare le armi, ma non si sa mai. In questo delirio a chi dice la corbelleria più grossa manca certamente qualcuno, ma non bisogna disperare: la lacuna sarà prontamente e lestamente colmata. Del resto, non bisogna stupirsi. Indimenticabile l’affermazione qualche giorno fa, del deputato leghista all’indirizzo di Ileana Argentin, parlamentare “colpevole” di essere portatrice di un grave, permanente handicap. Un parlamentare della Lega diversamente intelligente, si è scagliato contro la Argentin in modo volgare e disgustoso. Ma la cosa più disgustosa, avvilente è che da parte del parlamentare diversamente intelligente non c’è stato neppure cenno di scuse; e la Lega, il gruppo politico anch’esso diversamente intelligente, non si è dissociata, non ha condannato quella volgare e disgustosa invettiva. Stanno facendo una belluina campagna elettorale, come sanno, facendo leva sugli istinti più bassi dell’elettorato. E mentre con le loro volgarità e le loro indecenti, indecorose, affermazioni calamitano l’attenzione di chi dovrebbe garantire a tutti noi l’informazione di cui abbiamo diritto, giorno dopo giorno, quotidianamente, si consumano quelli che Marco Pannella chiama, isolato e parrebbe inascoltato, e tra la generale indifferenza, nuclei consistenti di shoah. Cerchiamo allora almeno noi di dare un po’ di voce a questi nuclei che a quanto pare lasciano indifferenti, e massimamente indifferente e inerte è il ministro della giustizia Angelino Alfano, evidentemente impegnatissimo nelle sue fasulle riforme epocali e nelle leggi ad personam per salvare l’inquilino di palazzo Chigi dai processi che lo riguardano. Era un romeno di 58 anni. Non sappiamo il suo nome, sappiamo che da otto anni era rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. L’altra notte è andato in bagno, da un lenzuolo ha ricavato una corda, se l’è stretta attorno al collo, si è lasciato andare. È il secondo suicidio negli ultimi quattro mesi. Ha deciso di farla finita subito dopo aver ricevuto la notizia di un’altra proroga della pena, nonostante fosse stato riconosciuto non più socialmente pericoloso. Condannato a restare ad Aversa perché non c’era spazio nella regione di provenienza, l’Asl non lo poteva o non lo voleva assistere. All’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ci sono 180 posti, gli internati sono 300. L’associazione nazionale dei magistrati non perde occasione per scendere in campo in difesa tra l’altro dell’intangibile conquista giuridica e democratica che sarebbe costituita dall’obbligatorietà dell’azione penale. Ecco: qui c’è sicuramente molta materia di indagine, e sicuramente ci sono dei responsabili per il degrado in cui versa l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa che rende possibili delitti - perché tali sono, tali vanno considerati - come quello del rumeno che si è tolto la vita nel bagno della cella dove lo avevano rinchiuso. Dall’inizio dell’anno sono diciotto i detenuti che si sono tolti la vita. A questi vanno sommati i circa duecentotrenta tentati suicidi dal 1 gennaio del 2011. Questa shoah che si consuma quotidianamente e silenziosamente non riguarda solo i detenuti; riguarda sempre più anche chi ha il compito di vigilare sui detenuti. Un assistente capo della Polizia penitenziaria, 40 anni, effettivo in servizio nella casa circondariale di Caltanissetta, in distacco alla casa circondariale di Caltagirone, ha accostato la macchina al ciglio della strada e si è impiccato a un albero. Due giorni prima si è ucciso un altro agente della polizia penitenziaria del carcere sardo di Mamone Lodè. Due suicidi in pochi giorni. Avranno, forse, avuto i loro problemi, che a un certo punto saranno sembrati così pesanti, così gravosi da poter essere risolti solo togliendosi la vita. Ma ormai comincia a essere una lunga lista, quella degli agenti di polizia penitenziaria che - anche loro - come i detenuti, si suicidano. Il segretario della Uil penitenziaria Eugenio Sarno ci fa sapere che negli ultimi cinque anni si sono tolti la vita ben diciotto agenti penitenziari. È evidente che occorre comprendere e accertare quanto può aver inciso l’attività lavorativa, le difficili condizioni lavorative cui sono costretti. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva assicurato una verifica delle condizioni di disagio del personale e l’istituzione di centri di ascolto. A tutt’oggi, denunciano i sindacati della polizia penitenziaria, le promesse sono rimaste tali. Propongo ai partiti di opposizione all’attuale governo di impegnarsi in due iniziative autenticamente riformatrici che urgono: l’abolizione di due leggi criminogene: la Bossi-Fini sull’emigrazione; e la Fini-Giovanardi sulla droga. Se la situazione nelle carceri, nei tribunali, nel mondo della giustizia è quello sfacelo che è, buona parte della responsabilità è di queste due leggi. Giustizia: pianeta carcere; il fallimento del “braccialetto elettronico” di Simona Carandente Il Mediano, 21 aprile 2011 Mentre interi uffici del Dap sono privi di carta per stampare, si spendono 11 milioni di euro per i “braccialetti elettronici”. Spreco di denaro pubblico per un sistema di vigilanza già fallito. Nonostante il copioso impegno di uomini e mezzi, nonostante gli sforzi profusi quotidianamente da chi fa del proprio lavoro una missione, le difficoltà della giustizia e del mondo penitenziario sono sotto gli occhi di tutti: tanto per citarne uno, interi uffici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) sono privi addirittura della carta per stampare, per non parlare dei sistemi informatici in dotazione al ministero, obsoleti e scarsamente funzionali. Non può, pertanto, lasciare indifferenti la notizia dei milioni di euro sprecati per il cd. braccialetto elettronico, strumento introdotto nel nostro paese nel 2001 per meglio monitorare i detenuti posti agli arresti domiciliari, garantendo il rispetto delle prescrizioni imposte con lo scopo di allinearci ai soliti più evoluti paesi europei. All’epoca, il contratto stipulato con il più noto gestore di telefonia prevedeva la fornitura in esclusiva dei braccialetti, e dei relativi apparati, con un costo di ben 11 milioni di euro all’anno, ritualmente erogati, per una durata minima di 10 anni. Tenuto conto che, allo stato, il numero degli apparati concretamente utilizzati è di poche unità all’anno, ogni braccialetto costa allo Stato un milione di euro, con un enorme ed ingiustificato, oltre che inutile, spreco di denaro pubblico. Il mancato utilizzo del sistema di controllo elettronico non desta alcuno stupore: un presunto mezzo di tutela, che si pone a metà tra un’illuminata e civilissima introduzione ed una barbarie legalizzata. Eppure, nella maggior parte dei paesi europei rappresenta una costante, con risultati definiti “brillanti” ed in costante ascesa. Sulla carta, i vantaggi del dispositivo sarebbero innumerevoli: arginare il sovraffollamento carcerario, consentire l’espiazione di una pena al proprio domicilio, evitare di impegnare fisicamente migliaia di agenti deputati al controllo delle misure restrittive. Ad ogni modo, però, se ogni anno in Italia è utilizzato solo da 10 detenuti, qualche motivo ci sarà. Diffidenza del giudicante a concedere gli arresti domiciliari “controllati”, o scetticismo dei detenuti e dei loro difensori? Probabilmente entrambi. Inoltre, se si considera che molti dispositivi si sono rivelati inefficaci, dotati di tecnologia superata e, in alcuni casi, tali da far registrare evasioni, i conti tornano. A non tornare, invece, è l’enorme spreco di denaro pubblico, in un paese già in ginocchio e con altre, e ben più pressanti, problematiche di ordine sociale e penitenziario. Giustizia: Pasqua; la “Settimana Santa” nelle carceri (secondo il Ministero) Vita, 21 aprile 2011 Pasqua in carcere, tra momenti di festa, solidarietà, liturgie della Settimana Santa e qualche “nota dolce”, come le prelibatezze pasquali preparati dalla pasticceria interna al carcere di Padova o le uova di cioccolato della Casa Circondariale di Busto Arsizio. Anche quest’anno - informa il ministero della Giustizia sul quotidiano telematico Giustizia online - sono “molte le iniziative che porteranno momenti di festa e serenità alle persone recluse, nell’ottica di una realtà carceraria che sempre più compie sforzi significativi per migliorarsi ed aprirsi alle famiglie e alla società civile”. Via crucis con i detenuti di Rebibbia, organizzata lo scorso giovedì dalla Caritas di Roma presso la cappella della Casa circondariale Nuovo Complesso e nel piazzale antistante la chiesa. Insieme alle rituali letture e riflessioni proposte dal calendario liturgico, i detenuti hanno proposto anche alcune loro testimonianze. La Settimana Santa si è formalmente aperta nella Casa circondariale di Forlì, da dove per il 14° anno consecutivo, il network internazionale cattolico di Radio Maria, ha trasmesso la Santa Messa delle Palme. Al termine, come da tradizione, l’impegno di 17 ristoranti forlivesi ha consentito di offrire un pranzo a base di pizza per tutti e 204 i residenti dell’istituto. Non sono mancate poi, le tradizionali colombe pasquali offerte dai dipendenti della Banca Forlì Credito Cooperativo. Martedì santo, Monsignor Giuseppe Petrocchi, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, grazie alla disponibilità della Direzione del personale e della Polizia Penitenziaria, si è recato in visita ai detenuti del carcere pontino. Ha offerto ad ognuno parole di conforto e ha infine presieduto alla celebrazione eucaristica, tenuta da Luca Volpe, padre trinitario che da anni segue i detenuti nel loro percorso di recupero sociale. Analogo appuntamento ha avuto luogo mercoledì santo, presso la casa circondariale di Vasto, in provincia di Chieti, dove l’arcivescovo Bruno Forte ha celebrato la messa pasquale. Nella stessa giornata è stata inaugurata la nuova palestra destinata ai detenuti, realizzata con parte dei fondi raccolti in occasione della partita del cuore tra la Nazionale Italiana Famosi e quella della Casa circondariale. Incontri liturgici anche a Reggio Emilia e Parma per il giorno di Pasqua: i rispettivi vescovi saranno in visita pastorale ed officeranno la santa messa. Un po’ più appetitose le festività di Chiavari (Ge). Nell’area verde del carcere, uova di cioccolato a tutti i figli minori delle persone ristrette e colombe pasquali a tutti i detenuti e al personale della Polizia Penitenziaria. L’incontro, informa sempre la nota di via Arenula, si inserisce all’interno di un percorso già avviato di collaborazione tra la Casa Circondariale, la Polizia Penitenziaria e l’assessorato provinciale alle carceri, per il recupero della genitorialità e delle relazioni familiari durante la detenzione. Anche quest’anno i “Dolci di Giotto”, pasticceria interna alla casa di reclusione di Padova, producono la loro colomba artigianale, che in questi anni ha fatto incetta di premi e riconoscimenti. Altrettanto vale per le uova di cioccolato della pasticceria artigianale Dolci di Libertà, allestita nella Casa Circondariale di Busto Arsizio. Giustizia: lettera di minacce al Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni Ansa, 21 aprile 2011 Un nuovo messaggio intimidatorio, firmato “Fronte Antimperialista combattente”, è stato recapitato al Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. La lettera è stata consegnata agli agenti della Digos, che hanno avviato le indagini. Nel messaggio il “Fronte Antimperialista” avanza una generica minaccia di gambizzazione. È la quinta volta in questi anni di attività che al Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio vengono indirizzate pesanti intimidazioni. Le precedenti erano firmate “Brigate Rosse Nucleo Galesi”. Negli ultimi sei mesi, in particolare, le minacce hanno subito un incremento: a novembre 2010 con la lettera al Garante arrivò anche un proiettile calibro 40 Smith and Wesson, mentre lo scorso gennaio il “Nucleo Galesi per la Costruzione del Fronte Antimperialista combattente” accomunò nelle minacce Marroni a diversi esponenti di primissimo piano del mondo istituzionale e imprenditoriale. “Al di là del testo minaccioso, è difficile - ha detto Marroni - interpretare fino in fondo il significato di questo messaggio. Ovviamente non posso ignorare che si tratta del quinto messaggio minaccioso che ricevo in poco tempo da parte di due sigle che si rifanno comunque alla stessa organizzazione eversiva, che storicamente ha sempre tentato di alimentare tensioni nelle carceri. Probabilmente qualcuno ha interesse che in Italia si torni a respirare un clima di questo genere. Ovviamente il lavoro mio e del mio ufficio continuerò come sempre”. “Al Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, va tutta la mia solidarietà per le minacce subite oggi”. Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia, Elisabetta Alberti Casellati così commentando, in una nota, il quarto messaggio intimidatorio inviato a Marroni. “È l’ennesimo episodio di violenza - conclude - che va condannato con forza”. Polverini: episodio grave - “Piena solidarietà” al Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Maroni, oggetto di una lettera minatoria, è stata espressa dal Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. “Un episodio grave - ha aggiunto - sul quale mi auguro si faccia quanto prima chiarezza ma che sono certa non condizionerà il suo operato a tutela dei diritti dei detenuti nel Lazio”. Zingaretti (Pd): contro garante detenuti ennesimo atto violenza - “Voglio rivolgere a nome dell’intera Amministrazione provinciale la piena solidarietà al Garante per i Diritti dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni per le gravi minacce ricevute. Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza che sono certo non riuscirà a piegare e intimidire la forza e la tenacia di un uomo che svolge un ruolo importantissimo per il nostro territorio”. È quanto dichiara in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Perilli-D’Annibale (Pd): solidarietà a Garante detenuti Lazio - “Le vili intimidazioni che continuano ad arrivare al Garante dei detenuti del Lazio non fiaccheranno lo spirito indomito di Angiolo Marroni”, lo dichiarano i consiglieri PD alla Regione Lazio, Mario Perilli e Tonino D’Annibale. “Siamo anzi convinti - continuano - che la sua attività sarà sempre più orientata al servizio dei detenuti della nostra regione. A lui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza per le minacce ricevute”. Nieri (Sel): minacce a Garante Lazio episodio da non sottovalutare – “Voglio esprimere la mia solidarietà al Garante per i Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni per le gravi minacce ricevute”. È quanto dichiara Luigi Nieri, Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà del Consiglio regionale del Lazio. “Si tratta di un episodio che non può e non deve essere in alcun modo sottovalutato. Bisogna sostenere e proteggere chi si batte quotidianamente per i diritti della popolazione detenuta. Auguro a Marroni di ritrovare al più presto la serenità per proseguire al meglio il suo importante lavoro”, conclude Nieri. Gramazio (Pdl): affettuosa vicinanza a garante per vile intimidazione - “Esprimiamo la nostra affettuosa vicinanza al garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, condannando con forza il vile gesto del quale è stato vittima”. È quanto dichiara Luca Gramazio, capogruppo Pdl di Roma Capitale. “Siamo certi - continua e conclude Gramazio - che queste violente intimidazioni non condizioneranno in alcuna misura l’impegno quotidiano del garante nel suo prezioso lavoro per i detenuti”. Giustizia: processo Thyssen, scontro dopo la sentenza di Raphaël Zanotti e Grazia Longo La Stampa, 21 aprile 2011 La severa condanna inflitta all’amministratore delegato (16 anni in Corte d’Assise) divide manager e magistrati e apre una discussione sull’uso del codice penale nei reati legati alla sicurezza sul lavoro: qual è la giusta pena? Interviste a Gianfranco Carbonato, presidente di Confindustria Torino, e Giancarlo Caselli, a guida della Procura torinese. Gli industriali: “Neanche agli scafisti viene contestato l’omicidio volontario” L’ omicidio doloso non è stato contestato nemmeno agli scafisti che nei giorni scorsi hanno fatto annegare dei poveri immigrati clandestini, trovo sconcertante che questa ipotesi d’accusa possa essere invece mossa nei confronti di un amministratore delegato per un infortunio avvenuto nel suo stabilimento”. Passato il momento di confusione del dopo sentenza Thyssen, il presidente dell’Unione Industriale di Torino, Gianfranco Carbonato, torna sulla pesante decisione del tribunale di Torino che ha condannato per omicidio volontario (16 anni e mezzo) l’Ad dell’acciaieria tedesca Harald Espenhahn per il rogo in cui morirono 7 operai. L’analisi, a qualche giorno di distanza, è più dura delle risposte a caldo. Presidente, cosa la preoccupa della sentenza Thyssen? “Innanzitutto l’anomalia. Non mi risulta che l’ipotesi dolosa sia mai stata contestata su un incidente sul lavoro nemmeno quando è avvenuto in luoghi di conclamata illegalità e lavoro nero. Siamo gli unici in Europa e questo mi preoccupa perché penso agli investitori stranieri. L’immagine che diamo all’esterno non invita un’impresa a scegliere l’Italia. Se il modo di ragionare della procura e della Corte d’assise dovessero diffondersi nel Paese sarebbe un gigantesco “regalo competitivo” agli altri”. Lei crede si possa sacrificare la sicurezza in cambio dell’investimento? “Proprio il contrario. Sono preoccupato perché, seguendo questa linea di pensiero, lavoro e sicurezza rischiano di finire in contrapposizione. E questo sarebbe un danno per tutti”. Secondo lei perché si è arrivati a una decisione come quella della corte d’assise di Torino? “Questa impostazione giuridica, che intende contestare il dolo nelle situazioni in cui non si fanno tutti gli investimenti “tecnicamente” possibili sembra essere frutto di emozione, se non di valutazione ideologica. In questo modo s’intenderebbe affermare che sul lavoro si è penalmente responsabili di tutto quello che non sia teoricamente e tecnicamente perfetto!”. Non le sembra che siano proprio colpa e dolo a differenziare le responsabilità di un imprenditore che ha sempre fatto di tutto per l’incolumità dei propri dipendenti da quello che non fa fare corsi antincendio, che disloca investimenti per la sicurezza in altri stabilimenti e fa fare visite “teleguidate” agli organi di controllo? “Quello che mi sconcerta nella sentenza è la presunzione di dolo. Le imprese non hanno fondi illimitati, un amministratore delegato deve fare delle scelte. Ma se queste hanno conseguenze tanto gravi, chi vorrà più fare l’amministratore di una società? Penso all’amministratore pubblico che deve guidare un luogo di lavoro pubblico che sappiamo essere molto lontano dal “tecnologicamente” perfetto e anche al manager privato che rischia una sorta di “roulette russa” della responsabilità perché con il “tecnologicamente possibile” si può sempre dimostrare l’inadeguatezza di ciò che si fa normalmente”. Quindi è una sentenza da “migliore dei mondi possibili”? “Questo approccio astratto dimentica che non sono meno gravi le perdite di vite per infortuni stradali e domestici, quasi 10mila all’anno, mentre il lavoro continua a migliorare i propri standard: meno di mille, con oltre la metà nel tragitto casa-lavoro”. Secondo lei in Italia si fa abbastanza per la sicurezza sul lavoro? “La sicurezza si migliora con la prevenzione e la formazione. Questo dolo contestato per presunti mancati investimenti sembra dimenticare il dato più eclatante: la stragrande maggioranza degli infortuni dipendente direttamente, e in molti casi esclusivamente, dal fattore umano”. Se si fa tanto per la prevenzione e la formazione, perché siete preoccupati di un effetto domino della sentenza Thyssen? “Perché l’impostazione di Torino può essere replicata senza peraltro migliorare realmente la sicurezza ma insinuando un clima da “caccia alle streghe” agli amministratori delegati”. La Procura: “Nessuna ideologia, Sono state applicate le leggi vigenti” Chi, come stabilito dalla Cassazione, passa con il rosso provocando un incidente mortale, rischia la condanna per omicidio volontario e non solo per omicidio colposo. Lo stesso vale per chi non rispetta la sicurezza sul posto di lavoro. La replica del procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, alle considerazioni espresse dal presidente degli industriali torinesi Carbonato è pacata, ma secca. Dottor Caselli, per Carbonato la sentenza al processo Thyssen è frutto di emozione o di una scelta ideologica. “Niente affatto, la contestazione dell’omicidio con dolo è il prodotto di valutazioni rigorose dei concreti elementi di prova raccolti nel corso delle indagini preliminari”. Al di là delle prove raccolte, su cosa si basa la contestazione del dolo eventuale? “È intervenuta sulla scorta degli insegnamenti costantemente impartiti dalla Corte di Cassazione. Ultimamente riaffermati proprio dal verdetto del “semaforo rosso”. Si tratta della sentenza numero 10411 del 15 marzo 2011, relativa a un incidente stradale causato dal mancato rispetto del semaforo rosso: chi si è messo in quella condizione ha accettato il rischio di un incidente mortale”. Quanto è importante la tutela dei lavoratori? “L’eventuale responsabilità dei datori di lavoro costituisce oggetto di attenta e congrua valutazione sia nel settore pubblico che nel settore privato, come riconfermano anche alcuni procedimenti penali attualmente in corso”. Secondo gli industriali c’è stato un accanimento nei confronti dei dirigenti della Thyssen. “Il lavoro della procura è stato serenamente condiviso dal gup in sede di udienza preliminare e dalla Corte d’Assise, massima espressione di partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, all’esito di un dibattimento che si è sviluppato in quasi cento udienze e nel quale tutte le parti sono state poste in grado di esprimere pienamente le proprie ragioni. E non solo”. Cos’altro ha influito sull’attività giudiziaria? “Gli obblighi in materia di sicurezza del lavoro costituiscono patrimonio essenziale della legislazione vigente nel nostro Paese sin dai Dpr degli anni Cinquanta del secolo scorso e sino al Testo unico di sicurezza del lavoro del 15 agosto 2008, corretto dal decreto legislativo 106 del 2009”. Anche la Costituzione protegge la sicurezza sul lavoro. “Proprio per questo non può non essere obiettivo anche di una giurisdizione che sia esercitata in modo autonomo e indipendente, in sintonia istituzionale con le preoccupazioni reiteratamente manifestate dal presidente della Repubblica e dal ministro del Lavoro”. Lettere: la ministra Gelmini sul tema dell’ingiusta detenzione ha ragione di Giulio Petrilli (resp. prov. Pd dipartimento diritti e garanzie L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 21 aprile 2011 Il tema degli errori giudiziari e della sua riparazione è sempre più attuale. Attualmente gli art.314 e 315 del codice di procedura penale prevedono la riparazione per ingiusta detenzione, articoli di legge non retroattivi quindi applicabili solo a sentenze di assoluzioni post ottobre 1989. Le corti d’appello di competenza sono preposte a stabilire se e quanto risarcire. È inutile dire che le maglie sono sempre strette. Ma il problema vero è che nessun risarcimento può riparare l’ingiusta detenzione. A proposito di questo sono rimasto colpito in positivo dalle parole della Ministra Maria Stella Gelmini che nel corso della trasmissione di ieri a Ballarò, analizzando e criticando il manifesto di Lassini, che equiparava alcuni magistrati alle Br, rimarcava però come l’equilibrio psicologico di una persona, che era stata arrestata per due mesi e poi assolta poteva essere stato colpito in modo forte e poteva anche generare un astio e reazioni fuori le righe. Queste parole devo dire che la Ministra le ha dette in modo sincero e non strumentale e io che difficilmente ho condiviso sue scelte, devo dire che questa volta mi trovo d’accordo con lei. Quando al conduttore Floris che chiedeva l’intervento dello psicologo per Lassini lei ha ribadito che poteva averne bisogno, perché anche 52 giorni in carcere da innocente potevano provocare traumi, diceva una cosa vera. Io parlo con cognizione di causa dell’argomento in quanto avendo scontato 2081 giorni di carcere per poi essere stato assolto ( e non ho avuto un euro di risarcimento perché assolto prima del 1989), so cosa sono le conseguenze psicologiche. La mia riflessione è quella che sull’ingiusta detenzione e sugli errori giudiziari, bisognerebbe avere maggiore attenzione, che spesso questo può significare un non riprendersi più per una persona. È un trauma molto forte che crea ferite profonde. Giustizia: il permesso premio a Jucker… di Antonella Calcaterra (Avvocato e consigliere della Camera penale di Milano) Corriere della Sera, 21 aprile 2011 Non intendo entrare nel merito della vicenda del detenuto Ruggero Jucker che, al pari di molti altri che si trovano nella sua stessa situazione, ha iniziato, decorsi i termini di legge, un percorso extra-murario che è previsto dall’Ordinamento penitenziario (Corriere, 19 aprile). La nostra legislazione è fortemente ispirata alla Costituzione, e in particolare all’articolo 27 che prevede che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato. Ed in tal senso, e in vista di tale irrinunciabile obiettivo, sono previste attività e percorsi di graduale riavvicinamento alla società, che iniziano proprio con i permessi premio e si concludono con le misure alternative più ampie. Il permesso premio è stato concesso semplicemente in applicazione della nostra normativa, dopo accurate indagini e valutazioni da parte degli esperti e dei magistrati. Forse sarebbe opportuno, talvolta, parlare della Magistratura di Sorveglianza di Milano non solo per alcuni provvedimenti che apparentemente fanno notizia, e che risultano impopolari, ma anche per il lavoro che svolge quotidianamente in applicazione di quei buoni principi costituzionali cui si ispira il nostro ordinamento penitenziario e che, di fatto, hanno, a dispetto di quella che si pensi, il pregio di garantire molto di più del carcere la sicurezza sociale. Forse pochi sanno che all’ultimo convegno nazionale di Sarzana (Sp) sul tema “Carcere e Costituzione” organizzato dall’Ucpi (Unione Camere penali italiane) sono presentati i dati nazionali dai quali emerge che la Magistratura di Sorveglianza di Milano ha concesso negli ultimi 2 anni una percentuale molto più elevata di tutti gli altri Tribunali di Sorveglianza di misure alternative alla pena e che dette misure vengono concesse all’esito di un percorso che passa attraverso i permessi premi. E sono ancora meno le persone che sanno che la ricaduta nel reato dopo il passaggio attraverso le misure alternative alla pena è pari al 19 per cento a fronte dell’80 per cento di chi invece espia la sua pena interamente in galera. Sardegna: l’Assessore Liori: pronto un progetto per accoglienza detenuti degli Opg Il Velino, 21 aprile 2011 L’assessore regionale della Sanità, Antonello Liori, commentando le parole di Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti riforme”, sostiene che “per il passaggio della sanità penitenziaria al Sistema sanitario regionale, la Regione ha già compiuti i passi di sua competenza dallo scorso mese di dicembre ed è ancora in attesa che il Consiglio dei Ministri approvi il Decreto, predisposto dalla Commissione paritetica Stato-Regione, per poi trasferirlo alla firma del Presidente della Repubblica. L’ho segnalato recentemente anche in occasione dell’audizione con la “Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale”. Solo così si renderà effettivo il passaggio e potranno considerarsi operative le competenze che lo Stato ha assegnato alle Regioni”. “Per quanto riguarda l’accoglienza dei circa 50 sardi detenuti negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) - sottolinea Liori - abbiamo già ipotizzato un progetto di accoglienza ed un’apposita commissione si riunirà a breve per ultimarne i contenuti. Anche se lo Stato è in ritardo con il versamento della quota promessa, la Regione è pronta ad anticipare per ricevere in tempi brevi, in apposite strutture sociali territoriali, i 9 detenuti che sono stati dichiarati dimissibili. Però, dobbiamo ancora effettuare un accertamento della loro effettiva pericolosità sociale. Il progetto prevede la costruzione di strutture che siano alternative all’Opg e che possano gestire le esigenze ed i problemi dei detenuti/pazienti, considerando adeguatamente i vari livelli di pericolosità. Esiste già la disponibilità di fondi nazionali pari a 3 milioni di euro, ma per queste strutture sono intenzionato a chiedere maggiori finanziamenti statali. Infatti, ancor più in questi casi, non possiamo trascurare la finalità riabilitativa e di recupero sociale della detenzione. Per farci trovare pronti - conclude l’assessore - ho anche attivato un servizio di psichiatria forense presso la Asl 8 di Cagliari e presto lo faremo anche alla Asl 1 di Sassari. Infine, mi preme smentire con forza l’ipotesi che questi detenuti possano finire nel carcere di Tempio Pausania o in qualsiasi altro carcere, che non è la struttura idonea per ospitarli, neanche se si trattasse di un carcere dismesso”. Bologna: muore un detenuto di 40 anni, sospetto di overdose Redattore Sociale, 21 aprile 2011 È accaduto stamattina intorno alle 8.30 nella casa circondariale “Dozza”. L’uomo stava scontando una condanna definitiva per furto aggravato. I reclusi sono 1.139, a fronte di una capienza di 467 posti letto. Questa mattina, intorno alle ore 8.30, un detenuto di origine italiana B.M. di 40 anni, detenuto nella casa circondariale “Dozza” di Bologna, è morto per sospetta overdose di sostanze stupefacenti. L’uomo stava scontando una condanna definitiva per furto aggravato. “L’agente di servizio in sezione questa mattina, nel giro di controllo, si è reso conto che il detenuto accusava malori. Immediatamente ha allertato il servizio sanitario del carcere ma a nulla sono valse le prime cure”, spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, che ha diffuso la notizia. All’interno della casa circondariale di Bologna, sono recluse 1.139 persone, a fronte di una capienza di 467 posti letto. “Questa infernale situazione di sovraffollamento è l’humus naturale in cui maturano certe tragedie -commenta Sarno, sottolineando che - il personale della Dozza, pur essendo gravato dalle croniche carenze organiche, cerca di gestire la situazione come meglio può”. Sul fronte del contrasto all’introduzione in carcere di sostanze stupefacenti, a Bologna, gli agenti cercano di prevenire il fenomeno con iniziative spontanee ed autonome. “In Emilia Romagna manca un Nucleo cinofili antidroga della Polizia Penitenziaria e le operazioni di controllo sono svolte manualmente dai baschi blu”, puntualizza Sarno. Sale così a 45 il numero di persone morte in carcere nei primi quattro mesi del 2011, secondo le stime dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Tra questi, 18 sono suicidi (due dei quali avvenuti all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari di Castiglione delle Stiviere e di Aversa), cui vanno sommati i circa 250 tentativi di togliersi la vita e i 1.800 atti di grave autolesionismo messi in atto dai detenuti e censiti dal segretario della Uil-Pa Penitenziari. Perugia: rissa nel carcere di Capanne, una cinquantina i detenuti coinvolti Asca, 21 aprile 2011 Sarebbero stati i dissidi tra i detenuti di etnia albanese e maghrebina a far scoppiare, ieri mattina, una violenta rissa nel carcere perugino di Capanne che avrebbe coinvolto una cinquantina di persone. A riportare la notizia, il quotidiano locale “Il giornale dell’Umbria”. I feriti sarebbero 22, dei quali 7 in condizioni più serie degli altri, uno di loro sarebbe stato sfregiato, un altro avrebbe riportato un trauma cranico ed un terzo una frattura a una mano. Su una quindicina di stranieri invece, sarebbero state riscontrate semplici escoriazioni. Ad agire per primi sarebbero stati i maghrebini, che per misurarsi con gli albanesi avrebbero usato lamette e gambe di tavoli, circostanza che farebbe ipotizzare che la cornice del pestaggio sarebbe il refettorio, luogo dove è più semplice trovare tavoli a portata di mano. A riportare la situazione alla normalità gli agenti della Polizia penitenziaria. Non è stato possibile apprendere se anche alcuni degli agenti hanno riportato ferite. Che la casa circondariale di Perugia sia afflitta da emergenze delle quali il sovraffollamento è una delle più pressanti, è situazione nota. È recente, infatti, la visita alla struttura della deputata radicale Rita Bernardini, a seguito della quale è stata presentata un’interpellanza al ministro della Giustizia. Nel testo del documento, tra l’altro, la parlamentare evidenzia che il carcere, la cui capienza regolamentare è pari a 352 posti letto, attualmente accoglie 521 detenuti (441 uomini e 80 donne). Il 75 % sono stranieri; 138 i tossicodipendenti dei quali 52 in terapia metadonica. Annualmente a Perugia arrivano circa 2.000 detenuti molti dei quali restano pochi giorni. Nelle celle, concepite come singole, ci sono due ed anche tre persone. Sul fronte del personali, la deputata enumera che gli agenti in servizio sono 237 (un numero insufficiente alle necessità da affrontare nell’istituto), gli educatori 4 (la pianta organica ne prevede 8); non esiste una figura di mediatore culturale e solo la ASL di riferimento ne fornisce uno. All’ultimo semestre del 2010, evidenzia Bernardini, risalgono 138 atti di autolesionismo, nei primi mesi del 2011 un suicidio. Agrigento: alta tensione nel carcere di Petrusa, protestano i detenuti e anche gli agenti La Sicilia, 21 aprile 2011 C’è tensione nel carcere agrigentino di contrada Petrusa. Da un lato ci sono i detenuti (oltre 450) che, stanchi di sopravvivere in condizioni disumane dettate dagli spazi sempre più ristretti, hanno deciso di intraprendere lo sciopero della fame e di rendere evidente il loro disagio battendo le pentole contro le sbarre. Dall’altro gli agenti della Polizia penitenziaria che sono ai ferri corti con la dirigenza della casa circondariale. Dai comunicati dei giorni scorsi emergono accuse evidenti ai vertici della struttura detentiva da parte di chi lavora in condizioni comunque difficili. In una “polveriera” com’è oggi il Petrusa, il fatto che non si registrino fatti spiacevoli ha del miracoloso. Locri: Sappe; Casa circondariale sovraffollata e carente di personale www.infooggi.it, 21 aprile 2011 Il Sappe (Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria) il più rappresentativo della categoria, con 11.000 iscritti a livello nazionale e oltre 700 nella Regione Calabria, ha inviato nei giorni scorsi un missiva al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dott. Franco Ionta per denunciare la carenza di personale ed il sovraffollamento che interessano la Casa Circondariale di Locri (Rc). Nella nota, secondo quanto riferito dai rappresentanti del Sappe Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto, e Damiano Bellucci, segretario nazionale, si evidenzia che la Casa Circondariale di Locri soffre una consistente carenza di personale particolarmente aggravatasi negli ultimi tempi. Attualmente nella C.C. di Locri sono ristretti circa 190 detenuti di varie etnie, a fronte di una capienza regolamentare di 83 detenuti e tollerabile di 142. L’organico di Polizia Penitenziaria è ulteriormente sceso a 85 unità, ma quelle in servizio se si escludono i distaccati in altre sedi, quelli in aspettativa a lungo termine, non supera le 55 unità. Il personale di Polizia Penitenziaria effettivamente presente è assolutamente insufficiente e nonostante la buona volontà e lo spirito di sacrificio, in mancanza ormai di ogni logica gestionale dei turni e dei posti di servizio, spesso sacrificando la propria vita privata e la famiglia, non riesce più garantire la sicurezza minima dell’istituto. Quotidianamente molti posti di servizio vengono scoperti, altri vengono accorpati per poter sopperire alle continue problematiche. Il nucleo traduzioni, ridotto ormai a 8 unità, compresi coordinatore e vice, deve fronteggiare le traduzioni con solo 2 furgoni adibiti al trasporto dei detenuti; spesso in casi d’urgenza, per tradurre i detenuti vengono utilizzate le autovetture, più volte si è fatto ricorso all’organo superiore per l’invio in missione di personale da altri istituti, ma sempre con esito negativo. La carenza di personale è diventata talmente grave che se nei prossimi mesi non vengono presi seri provvedimenti non si potrà nemmeno programmare e garantire il piano ferie al personale, ormai stremato e stanco di mendicare il diritto di dedicare del tempo alla famiglia, senza essere continuamente richiamati in servizio. I rappresentanti del Sappe hanno, infine, evidenziato la necessità di un immediato intervento, onde evitare la totale paralisi dell’istituto penitenziario della Locride. La situazione di sovraffollamento e di carenza di personale della casa circondariale di Locri, purtroppo, come più volte denunciato da questa O.S., non è diversa da quella degli altri istituti penitenziari della provincia reggina e della Calabria più in generale, dove le difficoltà aumentano quotidianamente. Infatti, a Reggio Calabria c’è una sezione femminile dove il personale non è assolutamente sufficiente per garantire il servizio. I detenuti presenti nelle 12 strutture penitenziarie della regione al 31 marzo scorso erano 3.266 di cui 787 stranieri e 55 donne ristrette negli istituti penitenziari di Castrovillari e Reggio Calabria, gli unici due istituti della regione che hanno una sezione femminile. In particolare a Castrovillari ci sono 290 detenuti; a Catanzaro 640; a Cosenza 350; a Lamezia Terme 85; a Laureana di Borrello 50; a Locri 190; a Palmi 285; a Paola 260; a Reggio Calabria 330; a Rossano 350; a Vibo Valentia 430. Alcuni di questi istituti registrano un tasso di sovraffollamento tra i più alti nel Paese, come per esempio Lamezia Terme che continua ad essere, in percentuale, il più sovraffollato d’Italia. Proprio questa mattina la segreteria generale ha inviato ai vertici del Dipartimento una lettera per evidenziare la grave difficoltà operativa dell’istituto lamentino. Complessivamente la Calabria risulta essere una delle regioni con il maggiore indice di sovraffollamento rispetto alla capienza regolamentare prevista. Va detto anche che la recente entrata in vigore della legge 199 del 2010 che permette l’espiazione delle pene inferiori a 12 mesi presso il proprio domicilio ha permesso al 31 marzo l’applicazione a 69 soggetti che si trovavano nelle carceri calabresi. Bisogna inoltre ricordare che in Calabria circa 1000 detenuti appartengono alla criminalità organizzata, quindi al circuito alta sicurezza, per i quali è richiesto l’impiego di un maggior numero di agenti. Lucera (Fg): i parenti attendono visita ai detenuti su sedie messe davanti alla porta del carcere www.luceraweb.eu, 21 aprile 2011 Si susseguono le riunioni, si esplorano le soluzioni, si cercano le convinzioni, ma il problema resta sempre lo stesso, simboleggiato da quelle sedie messe davanti alla porta del carcere, unico strumento di accoglienza per i familiari dei detenuti che ricevono visita per quattro giorni alla settimana. Caldo o freddo, pioggia o sole, la sala d’aspetto all’aria aperta è ancora l’unica che si riesce a offrire a tante gente, spesso provenienti anche da altre province o addirittura regioni, che si raduna in quei pochi metri quadri antistanti la casa circondariale, “arredati” da alcune sedie di legno messe a disposizione dai frati minori conventuali che “abitano” giusto accanto alla porta dell’istituto. Eppure qualche anno fa è stata realizzata da parte del Comune una (inutile) pensilina che sembra più che altro una fermata di autobus e che i visitatori non hanno mai adottato, magari preferendo sedersi sugli scalini della porta del convento, in attesa che il piantone della polizia penitenziaria dia loro il permesso di entrare per il colloquio con il congiunto detenuto. Sulla questione c’è stato un nuovo incontro a cui hanno preso parte il direttore della casa circondariale Davide Di Florio, la parlamentare europea Barbara Matera, il vescovo della diocesi monsignor Domenico Cornacchia e il cappellano del carcere Alessandro Di Palma che poi è il primo destinatario dei disagi degli stessi parenti. L’esito è stato ancora interlocutorio, anche perché l’obiettivo principale è ancora sfumato, ovvero quello di convincere una famiglia residente a pochi metri dal carcere a mettere a disposizione un proprio locale terraneo (già individuato da tempo) che è di fatto adiacente, e che quindi sarebbe perfettamente utilizzabile per lo scopo di attesa e accoglienza. “È un problema che abbiamo molto a cuore ma che ancora non siamo riusciti a risolvere - ha spiegato il direttore Di Florio - nonostante gli sforzi fatti o le idee che abbiamo messo sul tavolo. All’Amministrazione penitenziaria dispiace molto della situazione che si crea ogni volta e per tutto l’anno, ma purtroppo le condizioni logistiche del nostro carcere non permettono tanta libertà di movimento su questo versante”. In realtà una spinta si sarebbe potuta dare con le dichiarazioni dello stesso vescovo, il quale ha riferito di aver più volte incontrato i titolari dell’immobile individuato, mettendo a disposizione anche una somma di denaro per il suo fitto. “Come chiesa locale ci sentiamo umiliati e mortificati per la situazione che queste famiglie sono costrette a vivere - ha detto il pastore Domenico Cornacchia - che con le dovute proporzioni è paragonabile a quella di Lampedusa, con i concetti di accoglienza e sensibilità che possono essere tranquillamente trasferiti”. L’intervento di Barbara Matera, invece, è servito anche ad assicurare il suo impegno sulla vicenda. “Mi farò carico di un’esplorazione verso lo stesso Comune di Lucera - ha detto durante la riunione tecnica - ovvero l’ente che è necessariamente da coinvolgere nella questione, senza contare che al mio ritorno a Bruxelles cercherò l’eventuale esistenza di fondi europei che possano andare verso una felice risoluzione di una situazione veramente antipatica e che non fa onore alla società civile”. San Cataldo (Ct): sarà costruita una struttura di accoglienza per familiari dei detenuti La Sicilia, 21 aprile 2011 È in fase di realizzazione, presso la Casa di reclusione di San Cataldo, una struttura di accoglienza, sala d’attesa con relativo parlatorio, per le famiglie dei detenuti. Già da circa un mese, infatti, la locale impresa Vincenzo Mirisola è al lavoro presso l’area esterna antistante l’ingresso principale dell’istituto carcerario, per porre in essere l’opera, il cui costo è di 130mila e 500 euro. L’ampiezza della struttura ad un piano sarà di circa 200 metri quadrati: i progettisti sono i componenti dell’Ufficio Tecnico del Comune, l’ing. Liborio Grillo ed il geom. Silvio Baglio; quest’ultimo è, inoltre, il direttore dei lavori. Come spiegato dal direttore della Casa di reclusione, dott. Angelo Belfiore: “La realizzazione della struttura rientra nell’ambito di una convenzione stipulata negli anni scorsi tra l’istituto carcerario ed il Comune, quale corrispettivo della strada ricavata in una porzione di terreno di via Libertà. Così, conclude il direttore Belfiore, invece delle indennità di espropriazione, venne concordata la realizzazione di una struttura che rappresenta un’opera necessaria per l’accoglienza dei detenuti”. Così, invece, il dirigente della ripartizione Governo del Territorio, ing. Paolo Iannello: “I lavori di realizzazione sono in fase avanzata e l’opera sarà pronta entro il mese di luglio. Sorgerà, dunque, un centro di controllo pacchi per i detenuti, munito di sale d’attesa e servizi igienici. Servirà per accogliere i parenti dei detenuti, ma anche per ospitare la garitta di sorveglianza. Non solo, all’esterno sarà approntato uno spazio attrezzato per i bambini”. L’ing. Iannello ha concluso affermando: “Si tratta di una delle poche strutture presenti negli istituti carcerari dove i familiari dei detenuti potranno trovare una degna accoglienza e sarà molto utile anche per i bambini, costretti sinora ad attendere i propri congiunti all’esterno del Carcere”. Perugia: ubriachi al volante? niente carcere, lavoreranno (gratis) per il Comune La Nazione, 21 aprile 2011 Invece che finire in carcere o trasformare la condanna in sanzione pecuniaria (che è salatissima) da oggi si potrà lavorare in biblioteca, ripulire un’area verde, sistemare cappelle nei cimiteri, o fere la guida in un museo. Senza però beccare un centesimo. Comune e Tribunale, infatti, hanno firmato a Palazzo dei Priori una convenzione per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In sostanza, chi viene condannato dal giudice perché sorpreso a guidare ubriaco, invece che la pena potrà lavorare per l’ente o per una delle società partecipate per un tempo uguale alla pena da scontare. Una misura alternativa al termine della quale è prevista, oltre all’estinzione del reato, il dimezzamento del tempo di sospensione della patente e l’eventuale restituzione del veicolo confiscato dopo che si è stati sorpresi a guidare ubriachi. Cosa che una normale condanna, invece, non può accadere. Alla firma del protocollo c’erano il sindaco, Wladimiro Boccali, il presidente del Tribunale, Aldo Criscuoio, quello della Corte d’Appello, Wladimiro De Nunzio, procuratore Giacomo Fumu con il sostituto Mario Formisano, il gip Claudia Matteini e la dirigente dell’Ufficio di esecuzione penale esterna, Laura Borsani. Il sindaco ha colto l’occasione per ricordare che ancor più della condanna, in particolare per quanto riguarda la guida in stato di ebbrezza, è fondamentale la cultura della prevenzione. “Tutti - ha detto Boccali - dalle istituzioni alla scuola, dalle famiglie al mondo dell’associazionismo agli esercenti di locali, debbono alzare, molto più di quanto non si faccia ora, la guardia contro la piaga dell’ abuso di alcol, in particolar modo se ne sono vittime i ragazzi e addirittura i minorenni”. Il sindaco ha detto che, come presidente dell’Anci solleciterà anche gli altri Comuni umbri a mettere in campo questa convenzione. Matteini ha auspicato che altri enti adottino un analogo protocollo, nella convinzione che sia utile, per i condannati, “uno stimolo a capire e ad impegnarsi in attività lavorative al servizio della comunità”. Sia il giudice di pace che il giudice monocratico possono applicare, su richiesta dell’imputato, la pena del lavoro di pubblica utilità. E anzi la richiesta di un eventuale patteggiamento da parte dell’imputato accorcia i tempi di esecuzioni e di emissione del decreto penale. Quanti sono i casi che ogni giorno arrivano in Tribunale per la guida in stato di ebbrezza? “Diffide dirlo, ma la metà dei decreti che emettiamo riguardano questo aspetto. E certamente si tratta di un fenomeno in crescita” ha precisato ancora il gip Matteini. Il compito di controllo sulla serietà dell’adempimento dell’obbligo da parte del condannato è affidato all’Ufficio locale di Esecuzione penale esterna, mentre quello sull’effettiva esecuzione del lavoro è demandato ad un responsabile individuato dal Comune: insomma il lavoro a cui si viene destinati deve essere fatto e fatto con serietà. Le persone che possono contemporaneamente lavorare per l’ente in base a questo accordo, sono dieci. La persona incaricata di coordinare le prestazioni lavorative dei condannati li seguirà dunque durante il periodo di inserimento e segnalerà eventuali inadempienze o assenze giustificate all’autorità incaricata, individuata nel dispositivo della sentenza. Tra i suoi compiti, anche la redazione del registro, delle presenze. Nelle convenzione, infine, è spiegato a chiare note il divieto di corrispondere ai condannati una retribuzione, in qualsiasi forma, per l’attività svolta, mentre è obbligatoria l’assicurazione dei condannati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nonché per responsabilità civile verso i terzi. Roma: 35 senatori Pd; Alfano intervenga su carenza personale a Rebibbia Femminile Agenparl, 21 aprile 2011 “Cosa farà il Ministro Alfano risolvere rapidamente la drammatica carenza di organico degli istituti penitenziari del Lazio e in particolare della CCF di Rebibbia? Cosa per assicurare più dignitose e sostenibili condizioni di lavoro per il personale?”. Lo chiedono, al ministro della Giustizia, 35 senatori del Pd in un’interrogazione urgente di cui è primo firmatario Paolo Nerozzi. Tra i firmatari anche Luigi Zanda, Felice Casson, Gianrico Carofiglio, Gerardo D’Ambrosio, Vincenzo Vita, Marco Perduca, Francesco Sanna e Anna Maria Serafini. Nell’interrogazione i senatori ricordano che “in data 14 aprile 2011 una delegazione di parlamentari si è recata in visita presso la Casa circondariale femminile (CCF) di Rebibbia, a Roma. Secondo i dati ufficiali del Dap, la CCF di Rebibbia avrebbe in pianta organica 250 agenti effettivi, rispetto ai 234 previsti. In realtà, secondo varie fonti, sarebbero in servizio presso l’istituto soltanto 170 agenti. A causa dei tagli agli organici, sono in servizio soltanto quattro educatori penitenziari e si riscontra una carenza anche di personale sanitario e di psicologi”. “In seguito alla protesta del personale e allo sciopero della fame e della sete, il Dap ha garantito l’arrivo di ulteriori 11 unità. Al momento, nessuno degli agenti in cima alla graduatoria ha accettato di entrare in servizio presso la CCF, ragione per cui la situazione è rimasta immutata. Nel Lazio, poi, è attualmente vacante la carica del Provveditore. Tale situazione - continuano i senatori del Pd - comporta un deficit sotto ogni punto di vista (...) Inoltre, secondo elaborazioni della Funzione Pubblica-Cgil, nel Lazio oltre 2.000 unità di personale della Polizia penitenziaria svolgono servizio fuori dalle carceri, fattore che sta altamente danneggiando le condizioni di lavoro nei penitenziari, dove sono fortemente aumentati i reclusi. La CCF di Rebibbia è il più grande istituto penitenziario femminile d’Italia e attualmente contiene 374 detenute, oltre a 12 bambini. Il sovraffollamento in questa struttura, che dovrebbe contenere non oltre 274 recluse, è del 36,5 per cento. Alla carenza di organico e al sovraffollamento, presso la CCF di Rebibbia si aggiunge la difficoltà di una drastica riduzione del bilancio Dap, diminuito del 22 per cento nominale (50 per cento reale) e per il quale sono previsti ulteriori tagli fino a un terzo del bilancio del 2001”. Concludono i senatori del Pd: “Chiediamo al Ministro Alfano di trovare, al più presto, una soluzione a questa drastica situazione. Inoltre gli chiediamo di fornire dati ufficiali sul numero dei distacchi effettuati in uscita dagli istituti penitenziari del Lazio e quali azioni verranno intraprese per impedire gli effetti dei tagli al bilancio, della carenza di organico e del sovraffollamento nelle carceri, con conseguenze drammatiche sia sulle condizioni di detenzione e sia su quelle lavorative del personale”. Sassari: il Procuratore Capo Porqueddu; mai ricevuto la lettera di Erittu, poi morto in carcere La Nuova Sardegna, 21 aprile 2011 Caro Bazzoni, ho letto gli articoli a sua firma intitolati “Non si impiccò, fu un delitto” e “Ucciso per droga e sequestri”, relativi alla morte di Marco Erittu nella Casa Circondariale di Sassari, pubblicati su “La Nuova” rispettivamente in data 17 e 18 aprile. Con grande sconcerto ho rilevato che lei mi ha attribuito una condotta omissiva di straordinaria gravità ed altamente lesiva della mia reputazione di uomo e di magistrato. Intendo riferirmi, in particolare, al passo del primo articolo in cui lei, dopo aver parlato dell’incontro del detenuto con il sostituto procuratore Gian Carlo Cirielli, ha affermato testualmente che “Marco Erittu inviò una lettera al Procuratore Giuseppe Porqueddu: mise per iscritto gran parte delle cose che avrebbe voluto raccontare a voce. E quella missiva torna d’attualità ora che la Direzione distrettuale antimafia - con una serie di elementi nuovi a disposizione - ha deciso di approfondire gli aspetti poco chiari sulla fine di Marco Erittu”. Se ciò rispondesse a verità e nel caso di specie fosse fondata l’ipotesi omicidiaria, quale destinatario della missiva in questione io dovrei essere considerato moralmente responsabile della morte dello stesso Erittu. Ciò a causa (sempre secondo la sua ricostruzione) della mia totale ed incomprensibile inazione, nonostante la conoscenza di notizie concernenti vicende di grande spessore criminale, non disgiunta dalla percezione dei rischi cui andava incontro il detenuto a causa delle sue rivelazioni. Senza tema di smentita affermo che la notizia da lei fornita è assolutamente falsa, in quanto la lettera che il detenuto mi avrebbe indirizzato non è mai pervenuta sulla mia scrivania, rectius non è mai pervenuta alla Procura della Repubblica che io ho avuto l’onore e l’onere di dirigere con illimitata dedizione per oltre undici anni. Quanto detto trova adeguato riscontro, se ce ne fosse bisogno in aggiunta alla mia parola, nei Registri di corrispondenza predisposti dall’ordinamento al fine specifico dell’automatica iscrizione degli atti in entrata ed in uscita dall’Ufficio giudiziario: del passaggio della missiva in discussione non è stata rinvenuta la pur minima traccia documentale. Lei non ha compiutamente compreso la devastante portata accusatoria e diffamatoria del suo disinvolto dire nei miei confronti. Mi meraviglia il fatto di non essere stato ancora arrestato, avendo commesso, secondo la sua ottica, una gigantesca omissione di atti d’ufficio, un favoreggiamento nei confronti di autori di efferati delitti nonché la distruzione o l’occultamento di un atto costituente notitia criminis. Lei ha maldestramente ricostruito i fatti con una procedura sommaria, inaudita altera parte. Sarebbe stata sufficiente una telefonata per avere esaustive delucidazioni sulla vicenda, attesa la mia proverbiale disponibilità. Ciò non è avvenuto e mi dispiace, avuto riguardo ai pregressi rapporti di stima reciproca. In estrema sintesi, lei mi ha fatto, mio malgrado, volare con la fantasia e mi sono visto protagonista di una sorta di fiction, in cui il Procuratore insabbiatore si cura prevalentemente di pubbliche relazioni e non fa un... niente dalla mattina alla sera. Temo che il comune lettore possa aver avuto la medesima sgradevole sensazione, formulando un giudizio fortemente negativo nei miei confronti e, soprattutto, dell’Ufficio che ho rappresentato. Giuseppe Porqueddu Egregio dottor Porqueddu, nei due servizi a cui lei fa riferimento ho scritto che Marco Erittu - come risulta anche ai familiari - inviò una lettera alla Procura e oggi la Direzione distrettuale antimafia, che ha riaperto l’inchiesta e indaga per omicidio, cerca quello scritto. Oggi veniamo a sapere che è partita dal carcere, ma non è mai arrivata alla Procura di Sassari. E questo è indubbiamente grave. Non ho mai parlato di una sua “inazione” - non sono valutazioni che mi competono - ma ho fatto riferimento al Procuratore capo Giuseppe Porqueddu come elemento di garanzia al quale il detenuto Marco Erittu ha inteso rivolgersi. Non ho mai sostenuto le altre cose che cita nella nota e che lascio alla sua considerazione. I tanti anni di conoscenza personale e professionale le avranno dato consapevolezza che non faccio ricostruzioni maldestre e fantasiose dei fatti, non sarei ancora al mio posto. Gianni Bazzoni Brindisi: meglio in cella che con moglie e suocera, lascia i domiciliari e si fa arrestare Gazzetta del Mezzogiorno Era evaso dagli arresti domiciliari per sfuggire alla moglie e non voleva ritornare in quella casa nonostante il giudice Francesco Cacucci avesse disposto che poteva lasciare il carcere. Meglio restare in cella piuttosto che a casa dalla moglie e dalla suocera. E per questo ha rinunciato al beneficio dei domiciliari in attesa di trovare qualche altro familiare che lo accolga in casa. Enzo Di Lauro, 49 anni, brindisino, era stato arrestato domenica scorsa per evasione. Si trovava agli arresti domiciliari da qualche mese. Beneficio che il suo avvocato Paola Giurgola era riuscito ad ottenere nonostante la scorsa estate l’uomo fosse stato arrestato per detenzione al fine dello spaccio di sostanze stupefacenti. I carabinieri lo avevano sorpreso con centodieci grammi di sostanze stupefacenti, tra cocaina, hashish e marijuana e alcune centinaia di euro, ritenute provento dello spaccio. Una convivenza difficile, fatta di litigi. Domenica è scoppiata l’ennesima discussione. Di Lauro ha preso una borsa, ha messo dentro vari effetti personali, ed è uscito dall’abitazione del rione Commenda. Ha raggiunto una cabina telefonica ed ha chiamato i carabinieri. “Venite a prendermi, sono evaso”, ha detto. I carabinieri hanno fatto un controllo a casa. “È uscito da qualche minuto”, ha detto la moglie. Lo hanno trovato vicino alla cabina telefonica. Ieri mattina è comparso dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto per evasione. Aver lasciato la casa per la legge è evasione. Il giudice monocratico ha convalidato l’arresto ma ha disposto la scarcerazione “se non detenuto per altra causa”. Il che voleva dire che sarebbe dovuto tornare a casa dalla moglie. Di Lauro al momento non ha capito. Pensava di essere stato scarcerato senza obblighi. Quando invece si è reso conto che sarebbe dovuto tornare agli arresti domiciliari, dalla moglie, ha detto no. “Dal carcere non mi muovo”, ha detto al giudice. E, in effetti, non si è mosso. Pur di evitare la casa della moglie ha preferito non lasciare la sua cella rinunciando agli arresti domiciliari. Rovigo: tre detenuti tentano la fuga attraverso una botola nel tetto della chiesa Il Gazzettino, 21 aprile 2011 A tradire Gazmir Bekshiu, detto Gaz, albanese trentaduenne arrestato per spaccio con altre undici persone lo scorso 12 aprile nell’ambito dell’operazione “Pizzo del diavolo”, e due compagni di cella è stata l’insolita devozione che sembra da qualche giorno manifestassero. Assidui alle funzioni, sempre gli ultimi a lasciare chiesa della casa circondariale di via Verdi. Va bene la vicinanza con la Pasqua, devono aver pensato gli agenti penitenziari, ma tanta fede nasconde qualcosa. Così hanno deciso di fare un sopralluogo nella chiesa e dopo qualche tentativo hanno notato un particolare insolito: la botola che si trova nel soffitto del luogo sacro era stata aperta di recente. Il soffitto era stato infatti ridipinto poco tempo fa e l’apertura del “coperchio” aveva screpolato la vernice tutt’attorno. A questo punto del guardie sono salite e nella botola, in particolare nel sottotetto, hanno trovato nascoste delle lenzuola accuratamente attorcigliate e legate tra loro per fare una rudimentale corda. Oltre a queste alcuni manici di scopa. A questo punto il piano dei tre carcerati è stato chiaro. Probabilmente avevano progettato di attendere un momento tranquillo e di salire fino alla botola. Da lì avrebbero potuto accedere al tetto della chiesa. Una volta saliti sarebbero riusciti con relativa facilità a saltare sul muro di cinta delle carceri, che dista pochi metri. Da qui si sarebbero poi calati utilizzando le lenzuola annodate preparate e nascoste in precedenza e si sarebbero ritrovati in strada. Fuggire a questo punto sarebbe stato abbastanza semplice, magari contando sulla complicità di qualche amico che avrebbe potuto attenderli in auto nelle vicinanze. Difficile capire se il piano fosse stato già progettato prima dell’arrivo di Gazmir Bekshiu in via Verdi e che parte abbia avuto l’esponente del clan albanese nel progetto di fuga. L’amministrazione carceraria ha comunque deciso di trasferire “Gaz” nel carcere di Verona. Più grande e progettato secondo criteri più moderni, viene considerato a prova di evasione. Porto Azzurro (Li): San Vincenzo De Paoli; aiutare chi soffre dietro le sbarre Il Tirreno, 21 aprile 2011 “Un conto è dichiararsi disponibili ad aiutare gli emarginati, altra cosa è operare con continuità, equilibrio e preparazione” afferma Claudio Messina, follonichese, da dodici anni volontario per la San Vincenzo De Paoli di Piombino nel carcere di Porto Azzurro. “Visitare i detenuti - dice Messina - richiede una vocazione particolare, che si scopre e si arricchisce strada facendo: il loro, infatti, è un insieme di percorsi terribili, che ognuno di noi dovrebbe conoscere per capire”. “In Italia - continua il volontario - ci sono attualmente 67mila reclusi, a fronte di 43mila posti, che spesso vivono stipati in spazi, al di sotto dei quali si può tranquillamente parlare di tortura: meno di 3 metri quadrati a persona. E la sanità, da due anni, di competenza del Servizio sanitario nazionale, funziona peggio di prima, con forti differenze fra regione e regione”. Secondo Messina, che dedica tutto il suo tempo libero agli ultimi degli ultimi, battendosi soprattutto per i loro diritti, il carcere è diventato “discarica sociale” per ogni sorta di emarginazione. “Se esiste una filosofia vincente del riciclo dei rifiuti, mi chiedo perché non ci si debba impegnare al recupero delle persone” afferma il volontario, spiegando che dietro le sbarre ci sono, con le loro mamme, anche 60 bambini sotto i tre anni. “Perché, se va bene - dice - il disegno di legge approvato di recente, che prevede per le mamme incinte o con figli fino a sei anni, lo sconto della pena in strutture particolari a custodia attenuata, sarà concretizzato non prima di tre anni”. Per conto della San Vincenzo di Piombino, nel carcere di Porto Azzurro operano, oltre a Claudio Messina, 4 volontari, coadiuvati da altri 6 dell’Associazione “Dialogo” di Portoferraio. “Il nostro centro di accoglienza piombinese ospita anche detenuti in permesso premio - rivela Messina - e in collaborazione con l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna di Livorno, accettiamo inserimenti di persone in regime di misure alternative alla detenzione”. “Ogni brutta storia non nasce mai per caso e spesso il carnefice è stato a sua volta vittima” conclude il volontario, puntando il dito anche sulla triste contabilità dei suicidi nelle carceri italiane: “Ben 18 dall’inizio dell’anno a oggi”. Milano: al Teatro degli Arcimboldi il musical dei detenuti del carcere di Opera Ansa, 21 aprile 2011 Arriva al Teatro degli Arcimboldi il musical dei detenuti del carcere di Opera, finora rappresentato soltanto all’interno della casa circondariale. Un’idea dell’Assessorato allo Sport e Tempo Libero del Comune di Milano e del Consigliere regionale Stefano Carugo, dopo aver assistito ad una delle rappresentazioni. “È troppo bello e i detenuti sono troppo bravi - affermano Rizzi e Carugo -, abbiamo fatto il possibile per portarlo fuori da Opera”. Lo spettacolo agli Arcimboldi è in programma il prossimo 9 maggio alle ore 21.00. L’incasso della serata sarà devoluto in parte all’Associazione “Hope of Children” e in parte servirà a rifinanziare il laboratorio musicale dei detenuti. Iran: 4 uomini accusati di omicidio impiccati in pubblico a Bandar Abbas Aki, 21 aprile 2011 Quattro uomini accusati di omicidio e stupro sono stati impiccati in pubblico nella città di Bandar Abbas, nel sud dell’Iran. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Fars, non aggiungendo altri dettagli a riguardo né rivelando l’identità dei condannati. Con queste condanne sale a oltre 100 il numero dei detenuti giustiziati in Iran dall’inizio dell’anno, ma è una stima basata solo sui rapporti diffusi dai media e per questo motivo il numero potrebbe essere anche superiore. Lo scorso anno furono 179 le impiccagioni eseguite nella Repubblica Islamica, mentre nel 2009 furono 388. Usa caso WikiLeaks; trasferito il soldato Manning, dopo le denunce di violenze in carcere Asca, 21 aprile 2011 Il militare che avrebbe rivelato i segreti del Pentagono al sito di Assange sarà detenuto in un penitenziario del Kansas. I suoi legali avevano denunciato abusi e condizioni detentive inumane nella prigione militare della Virginia dove si trova da dieci mesi Bradley Manning, il soldato americano sospettato di aver fornito a WikiLeaks documenti segreti, sarà trasferito dalla prigione militare di Quantico, in Virginia, dove si trova dal luglio 2010, in un carcere del Kansas. Le condizioni di detenzione del militare di 23 anni hanno suscitato forti critiche nei mesi scorsi 1. Dal luglio 2010, Manning è detenuto in una cella d’isolamento 23 ore su 24, privato di cuscini, lenzuola ed effetti personali. Può fare esercizi solo un’ora al giorno, e non all’aria aperta, ma in una stanza vuota. Manning è anche sottoposto al regime di “prevenzione da lesioni”, sorvegliato a vista ogni cinque minuti e costretto a dormire su un letto di metallo, nonostante gli psichiatri dell’esercito abbiano giudicato tali misure non necessarie, e costretto a spogliarsi completamente, ogni sera. L’avvocato del militare ha sporto denuncia, accusando le autorità militari incaricate del suo caso di aver abusato del loro potere discrezionale nel classificarlo come detenuto a rischio, cosa che permette ai secondini di controllarlo costantemente. “In questa fase della vicenda, abbiamo ritenuto che il nuovo centro correttivo di Fort Leavenworth in Kansas fosse più adeguato per la detenzione provvisoria del soldato Manning”, ha detto in conferenza stampa il consulente giuridico del pentagono, Jeh Johnson, precisando che il trasferimento è “imminente”. Johnson ha quindi sottolineato che la decisione sul trasferimento del militare non è stata adottata in conseguenza delle critiche, ribadendo che la detenzione di Manning ha rispettato le leggi. Il colonnello Dawn Hilton, responsabile del carcere di Leavenworth, ha sottolineato come la prigione di Quantico non sia stata concepita per lunghe detenzioni, mentre quella di Leavenworth, con medici e psicologi a domicilio consente di assistere meglio detenuti come Bradley Manning. Nel carcere del Kansas, Manning potrà ricevere visite. Il militare rischia la prigione a vita. Sud Africa: progetto per commercializzare le opere d’arte “made in jail” Agi, 21 aprile 2011 Le autorità sudafricane stanno esaminando un progetto che prevede la creazione di un organismo con il compito di commercializzare le opere d’arte realizzate dai detenuti. Lo ha annunciato in Parlamento il ministro per i Servizi penitenziari, signora Nosiviwe Mapisa-Nqakula, nel corso di un intervento sul bilancio del suo dicastero. Mapisa-Nqakula ha spiegato che il ricavato dalla vendita delle opere potrebbe essere utilizzato per l’acquisto di tele, colori, pennelli e quanto necessario per lo svolgimento dell’attività artistica nelle prigioni. Il ministro ha anche lanciato l’idea di aprire al pubblico esposizioni a tema con le creazioni “made in jail” e l’apertura di un’apposita galleria d’arte permanente. Australia: in fiamme centro di detenzione per immigrati, dopo rivolta dei richiedenti asilo Ansa, 21 aprile 2011 Alcuni richiedenti asilo hanno dato fuoco a nove edifici di un centro di detenzione situato alla periferia di Sydney, durante una notte di rivolte. Alcuni migranti si trovano ancora sui tetti del centro di Villawood da ieri, stando a quanto riferito dalle autorità. Circa un centinaio di richiedenti asilo hanno lanciato tegole e altri oggetti contro i vigili del fuoco intervenuti per domare l’incendio e contro i poliziotti in tenuta anti-sommossa dispiegati per tutelare i vigili. Le fiamme hanno distrutto un centro informatico, una cucina, una lavanderia e l’infermeria. L’incendio è stato domato, ma molti richiedenti asilo sono ancora sui tetti, dove espongono lo striscione con su scritto “Abbiamo bisogno di aiuto”. La politica del governo australiano prevede che i migranti irregolari vengano posti in stato di detenzione in attesa che sia esaminata la loro domanda. I migranti arrivano soprattutto da Afghanistan e Sri Lanka, via mare. Nel centro di Villawood ci sono stati di recente diversi altri incidenti, soprattutto quando i migranti vedono respinta la loro richiesta di asilo. Lo scorso anno, due richiedenti asilo si sono suicidati. Diverse centinaia di migranti sono detenuti anche sulla piccola isola di Christmas, nell’Oceano Indiano, ma di fronte al crescente numero di profughi, le autorità hanno preferito trasferirli in centri situati nel Paese. Lo scorso dicembre, 48 persone, perlopiù migranti iracheni e iraniani, morirono nel naufragio della loro imbarcazione nei pressi dell’isola di Christmas. Oman: il Re concede la grazia a 234 manifestanti anti-governo Adnkronos, 21 aprile 2011 Il re dell’Oman, Sultan Qaboos Bin Saeed, ha perdonato 234 cittadini che avevano partecipato alle recenti proteste nel Paese. Lo riferisce la Oman News Agency, che rilancia un comunicato diffuso dalla Casa Reale in cui si comunica la decisione del monarca di perdonare coloro che sono sospettati di essere coinvolti nelle rivolte avvenute a Sohar, Ibri, Dhank e Yanqul. Nel testo si legge anche che le indagini hanno però identificato alcune persone che hanno commesso atti criminali. Coloro che sono stati giudicati colpevoli di aver incendiato proprietà pubbliche o private, di aver ostacolato con la forza le attività pubbliche bloccando il traffico e le strade, coloro che hanno insultato e aggredito impiegati del servizio pubblico, saranno portati davanti a un tribunale. Nel documento non si fa alcun riferimento al numero delle persone che sono ancora in carcere. Le manifestazioni nell’Oman sono iniziate lo scorso gennaio con la cosiddetta “Marcia verde”. Verso la fine di febbraio, la protesta ha preso una piega violenta a Sohar, dove sono state date alle fiamme proprietà pubbliche e private, distruggendo anche il maggiore ipermercati della città portuale. Un uomo è morto mentre i manifestanti hanno tentato di assaltare la stazione di polizia di Sohar. Marocco: venti detenuti saharawi in sciopero della fame, chiedono processo “giusto ed equo” Ansa, 21 aprile 2011 Da due giorni venti saharawi arrestati in novembre nel corso dell’operazione di smantellamento del campo di Gdeim Izik, a el-Ayoun, stanno attuando uno sciopero della fame per sollecitare la scarcerazione o, almeno, la rapida celebrazione di un processo “giusto ed equo”. Lo si è appreso oggi, in occasione di un sit-in di protesta, davanti al carcere marocchino di Salè (vicino Rabat), messo in atto dai familiari dei detenuti saharawi. Lo scrive l’Aps, citando uno degli organizzatori della manifestazione che, in questo modo, vogliono protestare contro quella che ritengono una detenzione ingiustificata dei loro congiunti. Siria: 35 studenti arrestati ad Aleppo durante manifestazione davanti all’università Aki, 21 aprile 2011 Le autorità siriane hanno arrestato 35 persone nel corso della manifestazione di ieri all’università di Aleppo. Lo denuncia oggi Ammar Qurabi dell’Organizzazione nazionale per i diritti umani. La protesta si era svolta dopo che martedì il ministero degli Interni aveva invitato a non partecipare alle manifestazioni pubbliche di dissenso. Attivisti dei diritti umani hanno quindi rivolto un appello per il rilascio dell’attivista politico Mahmoud Issa, arrestato nella tarda serata di martedì nella sua abitazione di Joms, e di tutti i detenuti di coscienza dalle carceri siriane.