Giustizia: audizione di Ristretti Orizzonti alla Commissione diritti umani del Senato www.senato.it, 1 aprile 2011 Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani Seguito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti in Italia e nella realtà internazionale: audizione di rappresentanti di “Ristretti Orizzonti”, sulla situazione carceraria in Italia. In apertura di seduta il presidente Marcenaro, informa che con la seduta odierna la Commissione prosegue il suo approfondimento sulla situazione degli istituti penitenziari in Italia. La dottoressa Ornella Favero, direttore responsabile della rivista “Ristretti Orizzonti”, spiega l’approccio della organizzazione al fenomeno della detenzione, che consiste essenzialmente nel tentativo di cambiare la mentalità comune intorno alla carcerazione nel nostro paese, mentalità, oggi, ancora tutto centrata sulla vendetta ed il castigo, meno - come invece dovrebbe - sul recupero dei detenuti alla civile convivenza. Tutti gli aspetti negativi che caratterizzano i nostri penitenziari oggi sono abbastanza conosciuti e rendono particolarmente pesante la condizione di detenuti in Italia. Si tratta ad esempio del sovraffollamento delle carceri o dell’insufficiente tutela dal punto di vista sanitario. Queste condizioni negative della detenzione nel nostro paese maturano in un contesto culturale costruito sull’equivoco di fondo concernente la detenzione, prima ricordato. Questo approccio sbagliato penalizza in particolare coloro che necessitano di cure sanitarie in carcere, come è stato messo in evidenza dal dossier “Morire di carcere” della rivista “Ristretti Orizzonti”, in quanto la stessa riforma che affida la sanità carceraria al Sistema Sanitario Nazionale risulta a tutt’oggi ancora poco applicata. Un’esperienza interessante va però segnalata ed è quella del carcere di Verona dove per iniziativa della dottoressa Vesentini ed in via sperimentale è stata introdotta la figura del medico curante. Se da un lato sarebbe molto utile in questo contesto l’introduzione dei permessi per motivi di salute, dall’altro sarebbe auspicabile che la novità introdotta dal carcere di Verona fosse estesa ad altre realtà. Allo stesso modo andrebbe data maggiore attenzione al disagio psichico, oggi poco seguito in carcere, anche a causa dei tagli di bilancio. La carenza di risorse ha anche provocato un peggioramento delle condizioni igieniche negli istituti penitenziari con conseguenze gravi, come è facilmente comprensibile, per lo stato di salute dei detenuti. Sarebbe utile pensare a un sistema di sconti di pena per i detenuti che svolgono lavori socialmente utili per migliorare le condizioni igieniche e la manutenzione die luoghi di detenzione. Anche il problema del sovraffollamento, peraltro gravissimo, sarebbe meno pesante se fosse attuata un’altra politica nella cura degli affetti, che del resto non implicherebbe aumento di costi, attraverso l’aumento delle ore per conversazioni telefoniche o per i colloqui con i famigliari. Per quanto riguarda la condizione degli immigrati detenuti, occorrerebbe che la misura dell’espulsione nel paese d’origine fosse adottata, su richiesta del detenuto, negli ultimi tre anni di detenzione e non solo negli ultimi due, e senza l’esclusione di molti reati, come avviene oggi.. Da ultimo va sottolineato che le misure alternative al carcere sono largamente insufficienti e poco applicate. Giustizia: nelle nostre carceri si vive in 3 metri quadri di Désirée Ragazzi Secolo d’Italia, 1 aprile 2011 “Che le carceri italiane siano un inferno è un dato di fatto. Noi radicali lo denunciamo da tanto tempo, ma anche la Corte europea per i diritti dell’Uomo lancia segnali importantissimi. L’ultimo è arrivato due giorni fa: l’Italia dovrà dare chiarimenti sullo stato in cui sono costretti a vivere i detenuti”. Rita Bernardini, parlamentare radicale, si batte da tempo per il riconoscimento dei diritti dei detenuti all’interno degli istituti di pena. Delle 206 carceri dislocate su tutto il territorio nazionale ne ha visitate 120, “molte delle quali più di una volta. In pratica passo tutti i miei fine settimana in galera. Abbiamo aiutato molti detenuti a presentare ricorsi a Strasburgo, e ora arrivano i risultati”. La Corte europea ha, infatti, contattato il governo italiano chiedendo informazioni sulle condizioni di detenzione nei vari istituti di pena, sul numero di detenuti di ogni istituto, sulla capienza massima e sul numero di ore di aria previste per ogni carcere. La richiesta nasce sulla base dei ricorsi che ventisei detenuti nelle carceri di Cosenza, Salerno, Palmi, Matera e Saluzzo, hanno presentato tra l’agosto del 2009 e l’ottobre del 2010; a questi se ne aggiungono altri quarantacinque, provenienti dagli istituti penitenziari di Piacenza e Busto Arsizio, che descrivono un certo degrado della situazione carceraria. Ma come si vive in carcere? Le celle sono troppo piccole, di soli tre metri quadri circa, manca un’adeguata ventilazione e illuminazione. E i detenuti sono costretti a trascorrere anche l’intera giornata al loro interno senza la possibilità di muoversi. Non è la prima volta che una denuncia in merito alla delicata situazione delle carceri viene trattata dall’organo giudiziario internazionale; un altro caso risale al luglio del 2009, quando lo Stato italiano fu ritenuto responsabile della morte di un detenuto, costretto per due mesi a stare in una cella di meno di tre metri quadrati. “Abbiamo sostenuto i ricorsi alla Corte di Strasburgo - spiega la Bernardini - come strumenti di rivendicazione di diritti fondamentali e inviolabili. In particolare abbiamo aiutato i detenuti del carcere di Fuorni (Salerno) a presentarli, dopo che ho constatato il degrado della struttura salernitana durante alcune mie visite ispettive. Sulla situazione ho anche presentato diverse interrogazioni parlamentari per chiedere conto ai ministri della Giustizia e della Salute delle criticità e delle carenze riscontrate”. L’ultima risale a meno di un anno fa. E denuncia un forte deficit di agenti e di personale in servizio a fronte del gravissimo sovraffollamento; la mancanza di assistenza psicologica e psichiatrica; un’assistenza sanitaria decisamente inadeguata alla presenza di numerosissimi detenuti tossicodipendenti e di diversi casi a rischio suicidio; scarsissime possibilità di lavoro per i detenuti (“a Salerno possono lavorare soltanto in 40 e con una retribuzione di cento euro al mese che non basta neanche per acquistare le sigarette”), pasti insufficienti per uomini di circa trent’anni. “I detenuti di Fuorni - dice ancora la parlamentare radicale - passano in celle sporche e degradate almeno venti ore al giorno, costretti a stare in sette in venti metri quadrati, meno di tre metri a testa, e che in molte celle c’è ancora il wc a vista, benché vietato dall’ordinamento penitenziario. Se lo immagina che cosa significa non avere neanche un attimo di privacy?”. Recentemente si sono inoltre verificate emergenze alla sezione tossicodipendenti, anche queste, sottolinea la Bernardini, oggetto di interrogazione, e un disservizio all’ufficio postale di Fuorni che mette a serio rischio l’approvvigionamento mensile di cibo e medicinali dei detenuti. “Quindi, l’interessamento della Corte di Strasburgo - puntualizza la Bernardini - è un segnale positivo non solo ai fini di un risarcimento per il trattamento subito dai detenuti, ma anche per il riconoscimento del reato di tortura, contemplato dall’articolo 3 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dal nostro Paese, ma non ancora recepita dall’ordinamento italiano”. Situazioni analoghe si verificano puntualmente anche in altri istituti, ma non sempre i detenuti sono disponibili a denunciare. “È accaduto a Poggioreale - dice la parlamentare - ho parlato con alcuni detenuti, ma nelle loro lettere mi hanno risposto di aver paura di ritorsioni. Bisogna fare i conti anche con queste realtà...”. Chiaramente pur nelle difficoltà e nel degrado generale ci sono esempi “più umani”. “A Rebibbia - conclude - c’è un forte sovraffollamento, ma il direttore in alcune sezioni ha disposto che le celle restino aperte per consentire ai detenuti di circolare nei corridoi. Un esempio che dimostra come i direttori, pur in situazioni estreme, possano dare un “minimo di respiro”. Giustizia: stragi italiane… di Valter Vecellio Europa, 1 aprile 2011 La guerra in Libia, quello che accade nei paesi del Maghreb, la tragedia del Giappone: sono questi gli eventi che attirano e concentrano l’attenzione. Così, di questi tempi, si finisce per non prestarne alcuna a notizie che già in condizioni “normali” vengono ampiamente trascurate. Ed è di alcune di queste notizie ignote e ignorate che ci si occupa oggi. Dice niente, per esempio, Ilie Nita? Romeno residente a Vigonovo (Ve), aveva 34 anni: si è impiccato nella sua cella del carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Era detenuto dallo scorso 10 febbraio, dopo essere stato arrestato dai carabinieri di Dolo con l’accusa di estorsione nei confronti della sua ex compagna, anch’essa romena, dalla quale con minacce e intimidazioni si sarebbe fatto consegnare trecento euro. Lui si è sempre proclamato innocente e aveva già compiuto un gesto di grave autolesionismo, che aveva costretto gli agenti della polizia penitenziaria a trasferirlo alcuni giorni in ospedale per le cure. Dopo il suo ritorno in cella, dunque, era tenuto particolarmente d’occhio, ma gli organici a Santa Maria Maggiore sono all’osso e in questo momento di sovraffollamento spesso c’è un solo un agente che deve tenere d’occhio ben cento detenuti. Come Ilie Nita, Mario Di Fonso. Aveva 35 anni. Era detenuto nel carcere di Pescara. Era detenuto dallo scorso settembre, arrestato nell’ambito di un’inchiesta per un presunto traffico di sostanze stupefacenti. E l’altra mattina ha preso il suo lenzuolo, ne ha ricavato una rudimentale corda, ha fatto un cappio, e così l’ha fatta finita. Si è preso la sua personale, definitiva amnistia. Dall’inizio dell’anno l’hanno fatto altri dodici detenuti. Altri venti sono morti per cause diverse, moltissimi per infarto. Quattro per cause da accertare. Si chiamavano Adel, Victor, Enzo, Giuseppe, Francesco, Michele, Jean-Jacques, Vasile, Raffaele, Gianluca, Jon, Ciprian, Gioffré, Salvatore, Antonino, Mamhoud, Michele, Brahim, Yuri, Salvatorw. Di molti non sappiamo neppure il nome. Comunque non sappiamo perché erano in carcere, accusati di cosa, in attesa di giudizio o condannati definitivamente. Nulla. Sappiamo solo che sono morti. Quando per la prima volta Marco Pannella ha definito la situazione esistente nelle carceri “Nuclei di Shoah in formazione”, ho pensato: il solito esagerato. Come quasi sempre mi devo ricredere. Cos’è altro quello che tutti i giorni accade nelle carceri italiane, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, in quell’enorme discarica sociale e umana resa tale in modo particolare da due leggi criminogene come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze? Vincenzo Muccioli, che dalle teorie legalizzatrici era stellarmente lontano, su una cosa era con Pannella: dopo aver “offerto” la comunità di San Patrignano per svolgere il congresso, pensate un po’, del Cora, gli antiproibizionisti radicali, gli disse: “Marco, al di là di tutto, una cosa deve essere chiara: un tossicodipendente in galera, questo mai”. Dalle carceri alla giustizia lumaca. Un caso quanto mai emblematico: è arrivato, dopo quarantun anni di attesa, il verdetto della Cassazione su un’epocale vicenda giudiziaria nata il 5 luglio del 1969, giorno dello sfortunato incidente stradale nel quale un giovane ingegnere perde la moglie. Quarant’anni per il risarcimento dalla società assicuratrice. È stata necessaria una causa penale partita nel 1970 e conclusasi nel 1976, e una causa civile iniziata con citazione del 16 dicembre 1978, passata due volte dal giudice di secondo grado ed altrettante, con oggi, al cospetto della suprema corte. Da Pescara la causa lumaca è andata a finire alla Corte di Appello dell’Aquila per slittare - dopo il primo approdo in Cassazione, nel 1993 - fuori regione, a Perugia, designata quale corte di rinvio. Negli uffici giudiziari umbri, tra conseguenze, prove presuntive e ricalcoli, la stagnazione del procedimento è durata fino alla fine del dicembre 2007. In Cassazione il ricorso è pervenuto nel 2009, e qualche giorno c’è stato il deposito definitivo della sentenza 6357. L’ingegnere ha avuto complessivamente diritto a 22 milioni di vecchie lire - nemmeno rivalutabili perché l’avvocato aveva dimenticato di chiederlo - e sua figlia Maria Pia, rimasta orfana a quattro anni, ha ricevuto poco più di 250 milioni, sempre in vecchie lire. E ora altre morti - più propriamente una strage - quelle che chissà perché vengono chiamate “morti bianche”, i morti sul lavoro. Solo l’altro giorno, quattro morti e due feriti. La prima vittima Dante, a Fermo, era impegnato in lavori di scavo è rimasto travolto dal cedimento di un terrapieno che ha trasformato in una tomba la buca di quattro-cinque metri in cui era sceso. A Paolo Del Colle, vicino Bari, la seconda vittima, Gennaro, muore dopo essere scivolato da una scala precipitando da un balcone al secondo piano di un edificio mentre montava una tenda da sole in un’abitazione privata. Raffaele era il titolare di una piccola impresa edile di Cesena. Sale su un ponteggio, perde l’equilibrio e precipita, muore sul colpo battendo la testa sull’asfalto. Pietro, un altro piccolo imprenditore di Cerreto Guidi (Firenze), sale sul tetto del capannone del maglificio della moglie, scivola, l’uomo muore sul colpo. Prima parlavo di strage. Dall’inizio dell’anno oltre cento morti, più di uno al giorno, domeniche e feste comprese. Quasi duecentomila infortuni, quasi cinquecento persone rimaste ferite o invalide. Nel 2010, secondo dati Inail ancora provvisori, si sono registrati 780mila infortuni e 950 morti bianche. Ministro del lavoro Maurizio Sacconi: se ci sei batti un colpo. Giustizia: Osapp; a 18 mesi dalla morte di Stefano Cucchi la situazione non è cambiata Comunicato stampa, 1 aprile 2011 “A 18 mesi dalla morte di Stefano Cucchi, come sindacato di polizia penitenziaria, oltre a rinnovare la nostra piena solidarietà alla famiglia e a permanere nella convinzione che, alla conclusione di questa tristissima vicenda, sarà dimostrata l’assoluta innocenza da qualsiasi addebito almeno per i 3 colleghi coinvolti, non possiamo astenerci denunciare che nulla è cambiato, al Tribunale di Roma come in altre articolazioni sul territorio, rispetto alle condizioni di servizio del personale, comunque prodromiche di eventi di gravità consimile” è quanto si legge in una nota a forma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Forse Stefano Cucchi non sarebbe morto o si sarebbe potuto intervenire prima e in maniera adeguata e, comunque, forse si sarebbe potuta fare piena luce sulla reale dinamica degli eventi - sostiene il sindacato - se nelle camere di sicurezza del tribunale di Roma ci fossero state le telecamere, se si fossero tenuti registri delle entrate e delle uscite e se fosse stato disponibile di un medico in pianta stabile, come il sindacato aveva lungamente richiesto; ma le promesse dei vertici dell’amministrazione penitenziaria, rinnovate persino all’indomani dei fatti, sono tuttora lettera morta, tant’è che i poliziotti penitenziari sono tuttora impiegati in un servizio che a loro non compete in alcun modo, nella custodia degli arrestati da altre forze di polizia, quale lo stesso Cucchi prima del processo, e non dei detenuti”. “Purtroppo anche sul restante territorio, l’amministrazione penitenziaria si dimostra assai poco avveduta in termini di sicurezza e di prevenzione in favore del personale di polizia penitenziaria e, comunque per una maggiore vivibilità delle infrastrutture penitenziarie, - prosegue il leader dell’Osapp - basti pensare che in numerosi istituti, non ultimo quello di Napoli-Poggioreale, qualora un detenuto si renda responsabile di violenza nei confronti di altri detenuti o del personale, non si provvede ad alcuno spostamento preventivo e il soggetto permane nella stessa cella, a contatto con lo stesso personale, fino all’esito procedimento disciplinare”. “Ci sarebbe assai utile come operatori di polizia nelle carceri e sarebbe assai utile alla funzionalità del sistema penitenziaria, se rispetto a tali problemi, apparentemente di scarsa rilevanza - conclude Beneduci - anche tenuto conto che il Ministro Alfano appare da tempo istituzionalmente lontano dalle carceri, riuscissimo ad ottenere debita attenzione almeno dal Capo dell’amministrazione Franco Ionta”. Giustizia: Osapp; il sovraffollamento penitenziario non si è affatto stabilizzato Ansa, 1 aprile 2011 “I dati in nostro possesso confermano che negli istituti di pena il trend di crescita della popolazione detenuta, dopo 3 mesi della c.d. legge svuota carceri, non si è assolutamente arrestato e che, prima di ulteriori danni, sarebbe opportuno che il Governo concepisse ulteriori misure deflattive de sistema penitenziario” è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) “67.627 sono i detenuti presenti nelle carceri italiane al 30 marzo 2011, rispetto ai 67.274 dello scorso 27 marzo (347 in più) e solo 1.770 sono i ristretti usciti dal carcere e per scontare la detenzione presso il domicilio, dall’entrata in vigore il 16 dicembre 2010 della Legge 199 - prosegue l’Osapp - mentre si attendono entro breve, anche in carcere, effetti ingenti dal flusso di immigrati dal Nordafrica”. “Non comprendiamo perché il Ministro Alfano e tutto il Governo continuino ad optare per la detenzione in carcere, come il piano carceri da 700 milioni di euro dimostra, invece di adoperarsi per l’introduzione di pene sostitutive e per un allargamento delle misure alternative da gestire nella c.d. “area penale esterna”, soprattutto per le migliaia di detenuti per reati scarsa rilevanza che proprio l’attuale promiscuità-disorganizzazione penitenziaria istruisce a scelte criminali definitive”. “Purtroppo, quello che neanche questo Governo sembra aver compreso, al di là di generi richiami alla sicurezza dei cittadini, è che le scelte sbagliate di politica penitenziaria sono doppiamente dannose - conclude Beneduci - in primo luogo per i poliziotti penitenziari che pagano di persona le tensioni del sistema, come anche ieri avvenuto con due aggressioni, dagli esiti fortunatamente non gravi, a Napoli-Poggioreale e all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e poi, in maniera assai più deleteria, per l’intera Collettività in ragione dei soggetti, assolutamente non recuperati, che il carcere comunque ri-immette nella società”. Giustizia: Ugl; chiesto un incontro urgente con il ministro Alfano Agenparl, 1 aprile 2011 “Abbiamo chiesto un incontro urgente al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, affinché si giunga al più presto alla risoluzione dei numerosi problemi che attanagliano il settore penitenziario”. Lo ha dichiarato Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, mantenendo fede alla promessa fatta una settimana fa agli agenti della polizia penitenziaria della casa circondariale di Bellizzi Irpino. “La speranza è che il Guardasigilli risponda subito ed in modo positivo alla nostra richiesta permettendo così ai lavoratori e ai detenuti delle carceri italiane di riscattarsi”. “Unitamente al segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, - continua Centrella - ci confronteremo con il ministro sui disagi a cui il mondo carcerario deve rispondere quotidianamente. In un Paese civile come il nostro - conclude - non è possibile elemosinare il diritto di lavorare in modo dignitoso”. Giustizia: Federazione Medici Pediatri; per detenute madri più istituti a custodia attenuata Dire, 1 aprile 2011 “Occorre promuovere il modello Icam, ovvero quello degli istituti a custodia attenuata per madri detenute, per affrontare il problema dei bambini costretti a vivere in carcere con il genitore”. Così Giuseppe Mele, presidente della Federazione italiana medici pediatri (Fimp). Il Senato ha da poco approvato in via definitiva il ddl che consente alle detenute incinte o con figli fino a 6 anni di non stare chiuse in cella con i loro bambini e di andare in strutture apposite come gli istituti a custodia attenuata, ad esclusione di casi con particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”. “Dando il via libera a questa legge Palazzo Madama- prosegue Mele- consente ai bimbi figli di detenute di trascorrere i primi anni della loro vita in strutture più adeguate al mondo dell’infanzia, senza sbarre che possono limitare la creatività, il gioco e influire negativamente sullo sviluppo psico-fisico del bambino”. Il provvedimento interessa, secondo i dati in possesso del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria 42 madri con figli minori di 3 anni e 43 bambini. Il Congresso Fimp tenutosi nel 2010 ha affrontato anche queste tematiche con particolare riguardo alle “cicatrici” vissute nell’infanzia. Lettere: ergastolo; la Comunità Papa Giovanni XXII risponde al pm Bruno Tinti Comunicato stampa, 1 aprile 2011 “Una buona legge”, articolo di Bruno Tinti (Procuratore del Tribunale di Torino), pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 27 febbraio 2011. “B&C hanno fatto una legge che impedisce il rito abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo. Questa volta non si può dire che vogliano salvare il loro capo: non pare che B. abbia commesso delitti di questo tipo: corruzione, falsi in bilancio e frodi fiscali sì; forse concussione e prostituzione minorile pure; ma assassinii pare di no. Quindi la legge dovrebbe avere un suo perché. E, in effetti, ce l’ha. I cultori del luogo comune si riempiono la bocca con la “ferocia” delle pene detentive: Tizio è stato condannato a 10, 15, 20 anni di prigione: orrore! E, per l’ergastolo: “Fine pena mai!”, cosa indegna di uomini civili! Stupidaggini. Le pene detentive, in Italia, non sono mai quelle che sembrano. 30 anni di prigione, in concreto, sono circa 8 anni e 7 mesi. Capisco che pensate sia una balla, ma vi giuro che è proprio così. Nel nostro ordinamento vi sono 4 straordinari istituti: la legge Gozzini, i permessi premio, la semilibertà e l’affidamento in prova al servizio sociale. Secondo la legge Gozzini, ogni anno di prigione vale 9 mesi perché, ogni anno, 3 mesi vengono abbuonati. Non è proprio automatico; bisogna che il detenuto non abbia fatto casino. Avete capito bene: non deve aver tenuto una buona condotta, aver fatto opere di bene, essersi adoperato nell’interesse della comunità carceraria o cose del genere. No, basta che non abbia piantato grane. Se non rompe, gli regalano 3 mesi ogni anno. I permessi premio si possono dare nella misura massima di 1 mese e mezzo all’anno; e di fatto così avviene. Quindi ogni anno di prigione in realtà sono 7 mesi e mezzo. Dopo 15 anni il condannato può avere la semilibertà: di giorno va a lavorare e la notte torna in carcere. Solo che questi 15 anni, in concreto, sono 11 anni e 7 mesi per via di Gozzini e permessi premio. Sicché, dopo 11 anni e 7 mesi, un condannato a 30 anni di galera in prigione ci torna per dormire! Ma non basta: quando gli mancano 3 anni per finire la pena, anche la semilibertà viene eliminata e il nostro galeotto viene affidato in prova al servizio sociale. Insomma, e fidatevi dei calcoli, uno che è condannato a 30 anni di galera, in realtà fa 8 anni e 7 mesi circa. Ora, succede che, se un imputato di omicidio o di qualche altro delitto che prevede l’ergastolo chiede il giudizio abbreviato, per una serie di motivi che non sto a spiegare, può essere condannato, al massimo, a 30 anni di galera. Che, come si è visto, sono in realtà 8 anni e 7 mesi. Mentre, se fosse processato con il giudizio ordinario e si beccasse l’ergastolo, farebbe almeno 15 anni e 4 mesi circa. Eh, proprio così: perché anche per l’ergastolo valgono tutti quei benefici che ho elencato più sopra; solo che i calcoli sono un po’ diversi. Insomma, con la legge voluta da B&C , i peggiori delinquenti almeno un pò di galera (un po’, altro che “fine pena mai”) se la fanno. Il che mi pare cosa buona e giusta. Chi ha votato con B&C? Idv. E ha fatto bene perché una proposta buona, ovviamente, non diventa cattiva perché la fa uno cattivo. E chi ha votato contro? Il Pd. E ha fatto male, perché non è così che si fa opposizione. Soprattutto quando, mentre era al governo, si è “dimenticato” di abrogare la legge sul falso in bilancio e di farne una sul conflitto di interessi”. La risposta della Comunità Papa Giovanni XXIII Ci rivolgiamo a lei, dott. Tinti: noi siamo dei semplici volontari carcerari, ma il carcere lo conosciamo bene, perchè ce lo facciamo almeno un giorno tutte le settimane. Abbiamo un Servizo Carcere e da anni appoggiamo la lotta degli ergastolani per l’abolizione di questa pena disumana. Già nel 2007 il nostro fondatore, Don Oreste Benzi, dopo aver incontrato gli ergastolani di Spoleto, decine e decine di uomini in carcere ininterrottamente da 20-30 e senza prospettive di uscire, affermava che questa pena priva di qualsiasi speranza e prospettiva, risulta crudele e degradante. Lei dice testualmente: Ergastolo, “Fine pena mai”, cosa indegna di uomini civili! Stupidaggini. Le pene detentive, in Italia, non sono mai quelle che sembrano. 30 anni di prigione, in concreto, sono circa 8 anni e 7 mesi. Capisco che pensate sia una balla, ma vi giuro che è proprio così. Dott. Tinti, noi incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate all’ergastolo, senza speranza, ostative ai benefici penitenziari, persone che sono in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori, persone che l’ ergastolo se lo vivono sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anno dopo anno, da decenni. Noi li incontriamo: sono sempre lì, estate, inverno, Natale e Pasqua: non escono di giorno, come dice lei e non hanno la cella del carcere come letto dove rientrare per dormire, ce l’hanno come tomba. Noi vediamo il tempo scorrere sui loro volti, settimana dopo settimana, e lasciare solchi profondi. E non è, come lei sostiene, che non escono perchè hanno piantato grane, o rompono. No, molti di loro nella riflessione e nella sofferenza, sono arrivati ad una revisione interiore sugli errori del passato, hanno studiato, tutto questo nonostante un sistema carcerario che per le condizioni in cui è ridotto costringe a beffa l’articolo 27 della Costituzione che sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione. Dott. Tinti, lei è una persona esperta e quindi il cittadino comune che l’ha letta in quell’articolo è autorizzato a pensare che la sua sia una fonte attendibile, ma allora, se fosse vero quello che lei afferma, e cioè che con la legge Gozzini tutti escono al massimo dopo 8 anni e pochi mesi, e perciò lei auspica l’approvazione di una legge che prevede che gli ergastolani facciano almeno 15 anni, perché allora in Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di 26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà condizionale? La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni di detenzione. Al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano oltre 1.500: quadruplicati negli ultimi sedici anni, mentre la popolazione “comune” detenuta è “solamente” raddoppiata. Se tutti uscissero, come sostiene lei, non potremmo certo avere oggi 1.512 condannati a quella che di fatto invece è una pena di morte mascherata. Lei dice ancora: “Dopo 15 anni il condannato può avere la semilibertà: di giorno va a lavorare e la notte torna in carcere”, ma lo sa che i dati ufficiali del Ministero della Giustizia dicono che al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carcere italiani erano 67.961 e quelli in semilibertà poco più di 900? E di questi solo 29 sono ergastolani? 29 su 1.512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non sembra anche a lei questo un Paese dove esiste, eccome, la certezza della pena? Dott. Tinti, con i suo dati “imparziali” e irreali fa sembrare l’ergastolo una pena necessaria, mentre la stessa è stata abolita da Paesi che noi consideriamo meno civili, Brasile compreso. Secondo il Sipp sono stati 18 gli ergastolani suicidatisi nel 2010, ma non vogliamo discutere solo a suon di dati: noi la invitiamo a venire con noi. Venga con noi un giorno ad incontrare gli ergastolani, noi le proproniamo volti, corpi ingabbiati e storie vere. Saranno loro a parlare, non i nostri numeri. Venga con noi una giornata, poi riparleremo di ergastolo. Oppure ci dica qual è il suo Tribunale che fa scontare un ergastolo con 8 anni e pochi mesi: avremmo centinaia di detenuti pronti a trasferirsi. Nella rivista “Ristretti Orizzonti” anno 12, numero 3 maggio-giugno 2010, pag. 34, Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia rilascia questa dichiarazione: (...) Per finire, e qui mi allaccio ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma anche una riflessione sull'ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l'ergastolo, è vero che ha all'interno dell'Ordinamento dei correttivi possibili, con le misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti oggi in Italia che prendono l'ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono praticamente persone condannate a morire in carcere. Anche su questo, forse, una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita. (Roma 28 maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso di umanità). Aldo Moro nelle sue lezioni universitarie avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici: «Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta». Per l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Il Responsabile Generale Giovanni Ramonda Emilia Romagna: l’8 aprile inizia la Rassegna “Teatro in carcere” Asca, 1 aprile 2011 “Teatro e carcere” in Emilia Romagna: partirà l’8 aprile una rassegna per sviluppare progetti e proporre esperienze, laboratori, itinerari di un percorso che ha come principale finalità il recupero e il reinserimento sociale delle persone detenute. Lo riferisce una nota regionale. La rassegna parte da un protocollo d’intesa sull’attività di teatro in carcere e dal progetto ‘Stanze di Teatro e Carcere. 2011’ che saranno presentati nel corso di una conferenza stampa martedì 5 aprile alle 12, nella sala stampa della Giunta dell’Emilia-Romagna, al XII piano di viale Aldo Moro 52 a Bologna. Parteciperanno alla presentazione gli assessori regionali alla Cultura Massimo Mezzetti e alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, il provveditore regionale del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Nello Cesari, Cristina Valenti, consulente scientifico del progetto “Stanze di Teatro in Carcere” e Paolo Billi, portavoce del Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna. Roma: Rebibbia Femminile; vita dietro le sbarre, ma la voglia di riscatto c’è e si vede di Luca Attanasio La Repubblica, 1 aprile 2011 L’investimento nella formazione professionale. Il corso per badanti e la detenuta scrittrice. Ma resta il nodo delle recluse-mamme che tengono bambini o bambine al di sotto dei 6 anni in cella con loro. La protesta delle associazioni contro un disegno di legge restrittivo approvato al Senato. Rebibbia Femminile è il penitenziario per donne più grande d’Italia. Delle 3.000 detenute sparse sul territorio nazionale, 380 sono ospitate in questa struttura della periferia nord-est di Roma. Il 53% di esse (203), sono straniere, 30 dal nord e dal centro Africa, 145 dall’Europa dell’Est, 20 dal centro e sud America, 8 dall’Asia. Nei restanti penitenziari italiani dei 67.615 detenuti, gli stranieri (metà dei quali è in attesa di giudizio), sono circa il 38%. Sono percentuali sproporzionatamente alte. A guardare l’Italia dal carcere, infatti, circa 4 cittadini su 10 sarebbero stranieri. Gli immigrati presenti sul territorio nazionale, invece, tra regolari e irregolari, sono meno del 9%. Gli investimenti sulla formazione. La direzione di Rebibbia Femminile, tra tagli continui e successive enormi difficoltà - 168 unità di Polizia Penitenziaria invece delle previste 234, 5 educatori invece di almeno il doppio - continua a investire sulla formazione e su corsi di avviamento professionale dalle connotazioni più varie. L’ultimo in ordine di tempo è quello iniziato a febbraio in collaborazione con l’Istituto Nazionale Malattie della Povertà (Inmp) - San Gallicano - di Roma. “Progettare un corso di formazione - spiega la vice-direttrice Ida Del Grosso -, significa immaginare prospettive di lavoro per le detenute una volta fuori di qui. Per il corso attualmente in svolgimento che coinvolge 50 donne divise in tre gruppi di 16/17 alunne, abbiamo pensato alla professione al momento più richiesta in Italia”. Il corso per badanti. E così è stato attivato il Progetto “Carcere senza barriere”, un corso di medicina essenziale e di assistenza, per badanti. A leggere i commenti lasciati dalla prima classe al termine del corso, si ha la misura del successo dell’iniziativa. Le parole più ricorrenti sono “futuro”, “domani”, “fuori di qui” e i concetti espressi dalla totalità delle intervistate (una ventina) sono di soddisfazione totale per i temi trattati ma soprattutto per il tipo di professione scelta. Accanto alla grossa voglia di riscatto, di reinserimento, infatti, emergono prepotentemente una particolare sensibilità e il desiderio di essere utili alla società, di “servire”. “Io so cosa significa sofferenza - racconta Ana Maria, una giovane donna romena mentre ci offre il ciambellone appena sfornato - e mi piace l’idea di aiutare disabili o anziani a superarla”. La detenuta scrittrice. “Prima lavoravo in un asilo nido del comune - interviene Catia, la detenuta scrittrice che sta cercando una casa editrice per pubblicare i suoi racconti -, ora col mio lavoro vorrei essere di conforto a chi ha difficoltà nella vita”. Roseline, una donna nigeriana che in carcere frequenta il terzo anno dell’Itis, un corso di teatro e uno di Coro Gospel, dice di sentirsi portata a gestire l’igiene, le cure per persone malate o disabili, così come Ester: “Io lo faccio anche in famiglia, ho un figlio in carrozzina”. Il corso registra una frequenza attorno al 100%. Alta frequenza ai corsi. “A parte due detenute che sono state male - afferma Rita del Gaudio - una delle coordinatrici Inmp del corso -, sono tutte venute 5 giorni a settimana, per tutte e tre le settimane di corso”. “I temi teorici - aggiunge Marta Mearini, l’altra coordinatrice - ma anche molto pratici (igiene dell’operatore e del paziente, alimentazione, disagio mentale, diritti di assistiti e assistenti, normative in maniera di immigrazione), le possibilità di collocamento, la presenza di medici, psichiatri, infermieri, igienisti, antropologi, hanno trovato il pieno gradimento di tutte le allieve”. Sono tutte mamme. Le provenienze di queste donne, le età, le lingue, sono le più disparate, così come i reati commessi: sono oltre 350 le condanne per rapina o crimini legati al traffico di stupefacenti, 43 per omicidio, una ventina per sfruttamento della prostituzione. Ma c’è un aspetto che le accomuna quasi tutte. Sono mamme. Delle 380 detenute, infatti, alcune peraltro giovanissime, 310 hanno figli; alcuni di questi, 11, sono ospitati nel nido penitenziario più grande d’Italia e hanno da zero a tre anni (come previsto dalla legge). “Tutti i giorni - chiarisce la Del Grosso - i bambini frequentano i nidi comunali esterni, escono alle otto per tornarvi alle 16.30 e tutti i sabati fanno gite”. I bambini dietro le sbarre. Le donne che vivono con i propri piccoli in carcere in Italia, sono poco più che 40. Da qualche giorno è stata approvata dal Senato un disegno di legge che riguarda proprio loro, ma che sta già suscitando critiche e proteste da parte delle associazioni di volontariato che operano negli istituti di pena da parte dei Radicali, che vedono nei criteri per ottenere la misura una netta limitazione, come le “recidive” ad esempio, che sarebbero escluse e molte delle donne recluse con figli al di sotto dei 6 anni, lo sono. “Ma il sistema funziona”. Dice così la vice-direttrice - “Se alla fine della pena, la donna esce almeno un pò migliore di come è entrata. Noi abbiamo la possibilità di offrire qualcosa, non solo togliere”. Tra le “cose” da dare, c’è la cultura. Il luogo dove a Rebibbia Femminile si può trovare in abbondanza, è la biblioteca gestita con estrema cura da Rita, una detenuta: 10.000 volumi in varie lingue, 100 Dvd, enciclopedie. È aperta tre volte a settimana e frequentata ogni volta da più di 40 persone. Qui si svolge il corso ed è qui che si avvicina, terminata una lezione, Martha, una donna di mezz’età nigeriana. Nel 2005, durante scontri avvenuti nella sua città, gruppi armati islamici hanno dato fuoco alla sua casa. Dentro c’erano suo marito e due dei suoi tre figli. Dopo aver lasciato l’unico superstite della sua famiglia in mani sicure, è scappata. Niger, Ciad, deserto del Sahara e Libia. Poi Siracusa e lo status di rifugiata ottenuto in Italia. “Per la disperazione, nel 2009 ho commesso un errore - dice col volto rigato dalle lacrime - ed è giusto che paghi. Ma sono una buona donna e una buona madre, so come assistere chi è in difficoltà”. Genova: Sappe; città si attivi per individuare un Istituto a custodia attenuta per detenute madri Comunicato stampa, 1 aprile 2011 Approvata dal Senato la legge per bimbi in carcere con le mamme detenute. Tra le detenute di Pontedecimo, 1 bambino in cella con la mamma. “Spero e mi auguro che la città di Genova si attivi da subito per la individuazione di un Istituto a custodia attenuata per madri detenute con bimbi fino a sei anni di età: le mamme, con la legge approvata in via definitiva mercoledì dal Senato con il consenso di tutte le forze politiche tranne il Pd, non dovranno più stare chiuse in cella, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza” come può avvenire, ad esempio, per i delitti di mafia o per terrorismo. Oggi a Genova Pontedecimo, unico istituto di pena della Liguria con sezioni detentive femminili e con un asilo nido proprio per i bimbi delle detenute, c’è un solo bambino in carcere. Una legge di civiltà, dunque, è stata varata per alleviare la triste realtà dei bimbi in carcere. Chi li ha visti, sa a cosa mi riferisco e sa quali sensazioni di profondo disagio lasciano nell’animo di ognuno di noi. Va però messo in luce, su questa particolare situazione penitenziaria, l’encomiabile impegno delle donne con il Basco Azzurro del Corpo che, a Pontedecimo e negli altri 15 asili nido delle carceri italiane, hanno espresso nel tempo ed esprimono quotidianamente una professionalità ed una umanità davvero particolari.” È quanto scrive in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario ligure del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo, commentando la legge recentemente approvata dal Senato della Repubblica per i bimbi in carcere con le mamme detenute. “La legge approvata al Senato prevede che in alternativa alla cella si disponga la custodia cautelare negli “Istituti a custodia attenuata per madri detenute”. Per ora ce n’è uno solo, a Milano ed è una casa famiglia concepita per i piccoli senza sbarre interne. Possono andarci anche donne incinta o padri, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Il carcere di Pontedecimo, che oggi ha un bimbo in carcere con la mamma detenuta, ha ospitato nel tempo molti bimbi: spesso sono figli di immigrate, in particolare di nazionalità rom, e questo è anche il risultato dell’incidenza sempre maggiore del fenomeno immigratorio e dei cambiamenti da esso prodotti nella società italiana, diventata sempre più multietnica. Mi auguro che Genova si attrezzi per tempo per individuare una struttura dove realizzare questa nuova tipologia di Istituto. Quello che mi preme rilevare è il fondamentale e prezioso ruolo delle Agenti di Polizia Penitenziaria, in servizio a Pontedecimo e negli altri Istituti di pena del Paese, che, spesso mamme loro stesse, sanno conciliare perfettamente il binomio di tutori dell’ordine e della sicurezza e di operatrici del trattamento rieducativo con una particolare ed apprezzata sensibilità umana. Ed è davvero un peccato ed una ingiustificata grave dimenticanza che la nobiltà d’animo e la lodevole professionalità delle nostre colleghe in questo particolare aspetto della nostra difficile professione non siano state nel tempo adeguatamente valorizzate ed apprezzate, anche a livello sociale e mediatico”. Brescia: 10 mesi in carcere per pedofilia; due maestre ora assolte e rimborsate con 300mila euro Agi, 1 aprile 2011 Un risarcimento per ingiusta detenzione e per danni morali. È quello che la Corte d’appello di Brescia ha riconosciuto a due maestre bresciane, una di 57 anni e l’altra di 59, che hanno scontato dieci mesi di carcere e 12 di arresti domiciliari perché accusate di pedofilia ai danni di una classe di 23 bambini all’asilo dove all’epoca dei fatti lavoravano. Le due tuttavia sono state assolte con formula piena in primo, secondo e terzo grado. Il caso è quello della Scuola Materna Sorelli: alla sbarra con la medesima accusa - ma senza finire in carcere - finirono altre quattro maestre, un sacerdote e un bidello. La procura di Brescia chiese una condanna complessiva di 125 anni, ma il 6 aprile 2007 il tribunale scagionò tutti. La sentenza assolutoria fu riconfermata in appello, nell’ottobre 2008, e in Cassazione, il 6 maggio 2010. Ora lo Stato rifonderà alle due maestre 299.520 euro a testa. Entrambe avevano presentato istanza risarcitoria, il cui accoglimento era stato sollecitato anche dal procuratore generale. Lamezia: arriva in carcere il 92° detenuto, ma non c’è un letto per lui www.lameziaweb.biz, 1 aprile 2011 Un detenuto del carcere lametino appena arrivato nell’istituto penitenziario non ha trovato il letto per dormire. Nella struttura la disponibilità è di 91 posti, ma lui è il novantaduesimo. A denunciare l’episodio è Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria. È stato necessario ricorrere al trasferimento di 7 detenuti per consentire a tutti di poter avere un letto. In ogni stanza dovrebbero stare non più di 3 letti, invece ce ne sono alcune con 9. “Chiediamo ai parlamentari che si recheranno in visita nel carcere lametini”, scrive Durante, “di sollecitare il commissario straordinario per l’emergenza penitenziaria Franco Ionta ad inserire Lamezia tra le aree in cui costruire un nuovo penitenziario, se ancora possibile. D’altra parte lo stesso commissario ha indicato la Calabria tra le quattro emergenze nazionali, insieme a regioni come il Veneto e l’Emilia Romagna. “Il problema del carcere lametino dopo lo sfollamento è rinviato solo di qualche giorno”, afferma Damiano Bellucci, segretario calabrese del Sappe. Che aggiunge: “Appena ci saranno i prossimi arresti, il carcere si troverà nella condizione di non poter ospitare i detenuti. Chiediamo all’amministrazione che assegni al più presto in Calabria un provveditore in pianta stabile e un direttore a Lamezia”. L’anno scorso l’indice di sovraffollamento del carcere lametino era del 176,7%, per passare nel marzo scorso al 193,3%. Un dato che conferisce alla struttura penitenziaria cittadina il titolo di carcere più sovraffollato d’Italia. “Un altro triste primato per la nostra città”, ha commentato il collettivo “Altra Lamezia”, “costretta ad ospitare anche un altro luogo di reclusione, quel lager per stranieri chiamato Centro di identificazione ed espulsione (il Cie di Pian del Duca) considerato il peggiore d’Italia della categoria, e che nei prossimi giorni potrebbe accogliere altri migranti giunti dai paesi del Mediterraneo in rivolta”. Delegazione Commissione errori visita carcere Lamezia “Una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori e le cause dei disavanzi sanitari regionali, guidata da Doris Lo Moro, visiterà stamattina il carcere di Lamezia Terme, struttura penitenziaria in cui, da tempo, si registra una situazione di emergenza dovuta al grave sovraffollamento”. Lo comunica una nota della Commissione errori. “Con il sopralluogo odierno - si legge -, la Commissione presieduta da Leoluca Orlando prosegue il monitoraggio dei penitenziari italiani, come previsto nell’ambito dell’indagine sulla tutela del diritto alla salute fisica e psichica all’interno delle strutture detentive, coordinata da Melania De Nichilo Rizzoli, Doris Lo Moro e Laura Molteni”. Ferrara: occhiali e articoli sanitari donati ai detenuti dalle farmacie comunali Dire, 1 aprile 2011 Un consistente numero di occhiali da vista, stampelle e articoli sanitari di vario genere per i detenuti della Casa Circondariale di Via Arginone. A consegnarli questa mattina nel corso di un incontro, Sergio Caselli, Riccardo Zavatti e Mario Zamorani, rispettivamente presidente, direttore e consigliere delle Farmacie Comunali. Trova così concretizzazione l’iniziativa dell’azienda municipalizzata che ha accolto tempestivamente l’appello di solidarietà lanciato dai dirigenti medici della struttura carceraria. Lo scopo è di contribuire al miglioramento delle condizioni di salute dei detenuti, attenuando le difficoltà dovute alla reperibilità di materiale sanitario, conseguenza dell’elevato numero di carcerati. “Salvaguardare la salute è un diritto di tutti, anche dei detenuti - afferma Sergio Caselli - la nostra azienda ha voluto dare un piccolo ma valido aiuto per il raggiungimento di tale obiettivo”. Firenze: bioagricoltura per il reinserimento sociale dei detenuti, il punto sui progetti di Aiab www.greenreport.it, 1 aprile 2011 Proseguono le attività progettuali elaborate da Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica), per l’inserimento nel mondo agricolo di persone sottoposte a pene detentive. Il punto sui progetti, finanziati dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e dalla Cassa delle ammende del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia, è stato fatto oggi a Roma, in occasione del Convegno nazionale “L’agricoltura biologica per una pena utile”. La notizia più importante comunicata dagli organizzatori riguarda l’assegnazione delle prime quattro borse lavoro per i nove detenuti della Casa circondariale di Bergamo, che hanno partecipato al corso di formazione in agricoltura biologica con il progetto di Aiab e Associazione Amici di Areté, che saranno attivate nel mese di aprile. Per quanto riguarda le altre iniziative finalizzate alla formazione e all’inserimento lavorativo di detenuti alle quali Aiab partecipa, particolare rilievo ha il progetto C.O.L.O.N.I.A. del Provveditorato regionale della Sardegna, per la conversione al bio delle attività delle colonie agricole delle Case di Reclusione di Is Arenas, Isili e Mamone. Il progetto, di durata triennale, ha l’obiettivo di favorire l’integrazione sociale e lavorativa delle colonie agricole di Is Arenas, Isili, Mamone, attraverso la loro qualificazione produttiva con metodologie innovative mai utilizzate in nessun penitenziario Italiano. Secondo la convenzione stipulata con Aiab Sardegna, le colonie agricole entreranno nel sistema di certificazione del biologico, grazie anche un processo continuato di assistenza e formazione. I prodotti delle colonie sarde (formaggio, miele, mirto, polline, conserve, piante officinali) saranno in seguito immessi nel mercato. Per quanto riguarda il Lazio al convegno è stato presentato il progetto “Coltiviamo Valori”. Grazie a questa iniziativa il terrazzo, finora spoglio, del Centro di Prima accoglienza di Roma del Dipartimento per la Giustizia minorile, si è trasformato da qualche mese in uno spazio verde bio: una parte coltivato con piante ornamentali, l’altra ad orto pensile. “Coltiviamo Valori” è stato realizzato dall’ Aiab in collaborazione con il Centro per la giustizia minorile (Cgm) del Lazio, in seguito ad un protocollo d’intesa sottoscritto con l’intento di promuovere iniziative di carattere educativo per i minori sottoposti a misure penali, attraverso la pratica di agricoltura biologica. Bologna: Centomani (Centro giustizia minorile); all’Ipm del Pratello non c’è un’emergenza Dire, 1 aprile 2011 Qualcuno ha portato via i ritratti dei ragazzi che da inizio marzo campeggiano sulle mura esterne dell’Istituto minorile del Pratello. Dei grandi teli su cui l’artista Paper Resistance aveva disegnato i volti dei ragazzi detenuti ne sono rimasti solo tre, che il vento a tratti accartoccia e capovolge. Anche all’interno dell’istituto però il momento sembra difficile: nell’ultimo mese si sono registrati un tentativo di evasione e un’aggressione agli agenti. Per Giuseppe Centomani, dirigente del Centro giustizia minorile di Emilia Romagna e Toscana, però, non si può parlare di emergenza. “Si tratta di episodi che rientrano nella vita ordinaria di un carcere minorile – spiega - in questo caso coincidono con la presenza di due ragazzi particolarmente problematici. Ma considero positivo che oggi questi episodi vengano alla luce”. Negli ultimi anni, infatti, il Pratello è cambiato molto, e uno degli sforzi principali è stato quello di aprirsi alla città, di far sapere ai bolognesi che il carcere esiste e chi sono i ragazzi che vi sono detenuti. “Nell’ultimo anno in particolare è cambiata l’area sicurezza dell’istituto - continua Centomani - c’è un nuovo comandante e si è formato un buon gruppo di agenti. È cambiato soprattutto l’approccio nei confronti dei ragazzi: prima si agiva forse con troppo paternalismo e un certo lassismo, ora si tenta di far capire ai detenuti la gravità del trovarsi in carcere, l’importanza delle regole e della parte educativa. Ma questo cambiamento può generare anche tensioni”. Attualmente l’istituto ospita una ventina di ragazzi (la capienza è di 22): la maggior parte sono maghrebini, seguiti dai rumeni, mentre sono praticamente scomparsi gli albanesi e si registrano presenze sporadiche di cinesi e di ragazzi dell’Africa sub-sahariana. Quasi tutti hanno commesso reati contro il patrimonio (il 60%) o connessi agli stupefacenti (25%), mentre pochissimi sono i reati contro la persona. Gli agenti di polizia penitenziaria sono 31, meno di quelli che servirebbero, e infatti il personale è costretto a fare turni di otto ore invece che di sei. “Con le organizzazioni sindacali abbiamo fatto un ottimo lavoro- spiega il dirigente- tentando di migliorare le condizioni di lavoro, attivando convenzioni con palestre e piscine, cercando di motivare gli agenti a rimanere qui ed evitare il turnover. Il tasso di malattia, che di solito indica il benessere degli agenti, non a caso si è abbassato”. Per un organico al completo servirebbero però 41 agenti, e almeno 50 per attivare anche il secondo piano dell’istituto, che potenzialmente potrebbe ospitare il doppio dei detenuti attualmente presenti. Con un’area sicurezza rinnovata, è migliorata anche la parte educativa del Pratello. “Oggi abbiamo attività di formazione professionale estese a tutto l’anno - spiega Centomani - e alcuni punti di eccellenza: dal laboratorio di cucina attivato con la Fondazione Del Monte sono usciti sei ragazzi che attualmente lavorano o sono in stage nei ristoranti del territorio bolognese”. Ed è forse questa la trasformazione più importante che l’istituto sta vivendo: “Ora le attività educative non sono più viste come qualcosa che serve solo a far passare il tempo ai detenuti, ora al Pratello c’è un modello educativo”. Cgil: al Pratello cantiere a cielo aperto e carenza di organico Da diversi anni all’Istituto minorile del Pratello sono in corso lavori di ristrutturazione interna. Il cantiere è aperto e operai vanno e vengono dal carcere. È ovvio che questo via vai di persone provenienti dall’esterno richiede una forma di controllo da parte degli agenti della polizia penitenziaria all’interno dell’istituto. “Si tratta di un lavoro che distoglie energie per chi deve esercitare la sorveglianza interna sui ragazzi rispetto ai compiti istituzionali - spiega Maurizio Serra di Fp-Cgil - perché gli agenti devono controllare cosa succede, seguire il personale esterno, controllare gli strumenti che portano all’interno”. Durante i lavori di ristrutturazione e rifacimento dei servizi igienici, sono stati anche rinvenuti dipinti, che richiedono restauri, e poi essendo l’istituto all’interno di un edificio storico è necessario rispettare regole precise. “Posso ipotizzare che il ritardo nella conclusione dei lavori dipenda da un mancanza di risorse - dice Serra. Fatto sta che gli spazi non sono ancora come dovrebbero essere in una struttura che è anche detentiva”. Ma secondo il sindacalista non c’è solo il cantiere tra le concause che hanno portato, nei giorni scorsi, a un tentativo di evasione da parte di due ragazzi, poi fermati. “Il secondo problema è dato dalla carenza di organico - sottolinea Serra - Delle 41 unità necessarie ne sono presenti solo 31, compreso il comandante di reparto che ha, ovviamente, compiti istituzionali e non può quindi essere sempre presente in sezione”. È da novembre che i sindacati chiedono che l’organico venga completato. Da allora (quando gli agenti erano 26) qualche passo avanti è stato fatto e, infatti, sono arrivati 5 agenti in più. “Si tratta di un contributo importante - precisa Serra - ma siamo ancora lontani dall’essere a regime”. Non va dimenticato poi che il lavoro all’interno del carcere è “h24” ovvero tutto il giorno, 24 ore su 24, che gli agenti non ci sono tutti i giorni perché come tutti i lavoratori possono usufruire di permessi, riposi e ferie. “Gli agenti non possono seguire i ragazzi e il personale esterno che entra nel carcere - conclude - cioè non possono essere dappertutto e gli spazi sono rilevanti”. Milano: teatro-carcere; detenuti di Opera in scena per i loro bambini e per quelli degli agenti Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2011 Il carcere di massima sicurezza apre ai bambini con uno spettacolo educativo i cui protagonisti saranno i padri-detenuti. Ancora un appuntamento teatrale Sabato 9 aprile 2011 ore 11.00 all’interno della Casa di Reclusione di Opera con il progetto culturale “Leggere Libera-Mente, che vede l’impegno di Cisproject ed il sostegno di Associazione Società San Vincenzo De Paoli e di Opera Francescana per i Poveri promotori delle iniziative. Dopo lo spettacolo sul tema dei Diritti Umani tenutosi lo scorso 11 marzo 2011, Il palcoscenico della sala teatrale all’interno della stessa Casa di Reclusione, che ha una capienza di 400 posti, questa volta vedrà in scena uno spettacolo che si rivolge ai bambini coinvolgendo, eccezionalmente i figli dei detenuti e del personale di polizia penitenziaria. La cultura può essere un valido aiuto per un programma di reinserimento e questi padri (detenuti), che hanno sbagliato e stanno pagando il loro debito con la società, ne vogliono dare dimostrazione cimentandosi a veicolare un messaggio positivo ai loro figli leggendo racconti e filastrocche scritti da loro stessi tra cui : Pinocchio e La rivolta degli elettrodomestici. Alla fin fine si tratta di una fiaba moderna che, con personaggi antichi, parla del ruolo fondamentale che ciascuno ha nella propria vita e che ne sancisce il senso; della pluralità di punti vista di fronte allo stesso evento; della difficoltà di essere solidali: atto mai facile e nemmeno gratuito, né scontato. Dopo l’esibizione dei padri-detenuti verrà inoltre proposto lo spettacolo “La cucina magica”, di Pandemonium Teatro dove, improvvisamente, in una moderna cucina appare uno gnomo spaesato e spaventato da un ambiente a lui sconosciuto, cerca di capire che cosa gli sia successo e soprattutto dove sia finita la fiaba in cui lui è da sempre vissuto e nella quale ha un ruolo fondamentale. Nella fiaba gli elettrodomestici diventano validi aiutanti per un reinserimento detenuti nel mondo esterno, finita l’espiazione della pena. Lo spettacolo si propone di lanciare un messaggio in cui lo spaesamento vissuto dal protagonista sia un’efficace metafora del vissuto di chi viene incarcerato, di chi cambia il proprio mondo come l’emigrante, e di chi vede cambiato il proprio mondo come il bambino a cui è sottratto un genitore. Spaesamento e difficoltà ci sono sicuramente anche da parte di chi accoglie e si prende cura di queste persone in difficoltà. Lo spettacolo sarà anche e soprattutto il pretesto per una riflessione e per tentare di dare delle risposte ad alcuni importanti quesiti come: Tu da che parte stai? Quanta difficoltà c’è nell’essere solidale? E cosa vuol dire essere solidale per te? Per maggiori informazioni si rimanda al sito: www.leggereliberamente.it, mentre le iscrizioni da parte di ospiti esterni sono ammesse fino a lunedì 4 aprile mandando copia del proprio documento all’indirizzo: barbross@libero.it. Roma: lo chef La Mantia cucina per i detenuti di “Regina Coeli”, partecipa il capo del Dap Italpress, 1 aprile 2011 “Il cibo nasce con la vita ed occupa una parte fondamentale della nostra esistenza”. Con queste parole Filippo la Mantia esprime la sua passione per la cucina. Passione che diventa “arte, riscoperta di sapori antichi, ritorno alla semplicità delle tradizioni e innovazione nel solco della memoria del gusto”. La ricerca dei sapori come “ricerca interiore”, quasi una pratica di meditazione che Filippo La Mantia ama condividere con chi è curioso di gustare antichi e nuovi sapori. “Oste e cuoco”, così ama definirsi La Mantia. Dalla sua voglia di comunicare attraverso il cibo, nasce l’idea di incontrare i detenuti del carcere di Roma “Regina Coeli”, accogliendo l’invito che gli è stato rivolto dal capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, di cucinare per un giorno per chi è al di là del muro. “Il cibo non è solo nutrimento del corpo, ma condivisione, comunicazione, socializzazione ed è per questo che ho accolto l’invito di offrire ai detenuti di Regina Coeli un pranzo domenicale, perché la domenica per molti è il giorno in cui il ritmo della vita rallenta, c’è spazio per la malinconia e la riflessione, soprattutto per coloro che scontano la pena in carcere, - afferma La Mantia - . Spero di contribuire, seppure in piccola parte e per pochi detenuti, a far trascorrere loro una domenica diversa, a comunicare che, laddove esiste la volontà di cambiare il percorso della propria esistenza, c’è sempre la possibilità di farlo e l’incoraggiamento a tentare”. “Ringrazio Filippo La Mantia per la sua generosa partecipazione, - sottolinea Ionta - e parteciperò al pranzo che ha voluto offrire ai detenuti di Regina Coeli. Pranzare con loro nella “rotonda” è diventata per me quasi una consuetudine, ed è sempre un’esperienza che trovo significativa e profonda. Ringrazio anche la dirigenza del carcere Regina Coeli, il comandante di reparto e la Polizia Penitenziaria per la disponibilità, la collaborazione e la professionalità che mettono al servizio di iniziative come queste. È grazie a loro, così come avviene in tute le carceri del Paese, che la ‘custodià delle persone detenute sia anche un prendersi cura, un’offerta di opportunità e un fondamentale contributo per la sicurezza di tutti, perché, come ha ricordato recentemente il garante dei detenuti della Regione Lazio, il miglioramento delle persone è un arricchimento sociale”. Immigrazione: Sassoli (Pd); sul reato di clandestinità l’Ue presenta il conto all’Italia Asca, 1 aprile 2011 “Un’altra emergenza sta per esplodere. Se, come tutto lascia supporre, la Corte di Giustizia europea si pronuncerà per l’incompatibilità del reato di immigrazione clandestina con la direttiva europea sui rimpatri, la legge italiana decadrà e si aggiungerà caos a caos. Sarà smontato il pacchetto sicurezza leghista del 2009 e torneranno liberi, finalmente, i 3.118 detenuti extracomunitari in carcere solo per aver messo piede nel nostro Paese. Per l’Europa questo è inaccettabile”. Lo afferma il capogruppo del Pd al Parlamento europeo, David Sassoli che aggiunge: “Il ministro Maroni sapeva bene che questo giorno sarebbe arrivato. Scegliendo di non attuare la direttiva europea sui rimpatri e introducendo il reato di immigrazione clandestina, sapeva di stare compiendo una scelta contraria all’Europa. Adesso, l’Europa presenta il conto all’Italia nel momento peggiore. Ecco a cosa ha portato la politica scellerata di un governo che ha tentato inutilmente di mostrare i muscoli con un fenomeno che invece va governato con responsabilità e nel rispetto dei diritti umani”. Immigrazione: Berlusconi; il governo tunisino accetti rimpatri connazionali Il Velino, 1 aprile 2011 Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha avuto oggi una conversazione telefonica con il Primo Ministro tunisino, Beiji Caid Essebsi. I due Capi di Governo hanno concordato che il Presidente Berlusconi sarà in visita in Tunisia lunedì prossimo, 4 aprile. “Abbiamo il dovere di rispondere all’imperativo categorico della compattezza. Abbiamo un’identità politica vincente, che ha dimostrato di essere solida e compatta e di credere in quello che stiamo facendo. Con Fini e Casini non avevamo nessuna possibilità di portare avanti alcuna riforma. Oggi abbiamo una maggioranza più esile, ma che dalla prossima settimana si posizionerà su 330 deputati, contro meno di 300 dell’opposizione”. Lo ha ribadito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo telefonicamente alla convention dei Cristiano Popolari, in corso a Roma. La telefonata è stata fatta dal premier mentre era sospeso il Consiglio dei ministri dedicato alla messa a punto degli accordi con la Tunisia per i respingimenti degli immigrati sbarcati clandestinamente - pausa legata alle votazioni alla Camera sul processo breve. “Il Consiglio dei ministri - ha spiegato il premier - sta affrontando il problema dei rapporti con la Tunisia, perché il governo ha garantito impegni finanziari per la ripresa economica delle città tunisine e di contro il governo tunisino deve accettare il rimpatrio dei suoi concittadini. Si tratta di 5 mila tunisini che non sarebbero accettati perché noi sappiamo che dalle loro carceri sono evasi in 11 mila ed abbiamo il sospetto che possano arrivare da noi. Volevamo terminare prima il Consiglio dei ministri, non ci siamo riusciti”. Il presidente del Consiglio - ha poi riferito una nota di Palazzo Chigi - si recherà in visita a Tunisi lunedì 4 aprile. Una decisione maturata in seguito a un colloquio telefonico con il primo ministro tunisino Beiji Caid Essebsi. Tornando alla questione politica, Berlusconi ha insistito sulla necessità della riforma della giustizia, ora fattibile perché “sono venuti meno i veti di Fini e Casini, i cui contatti e rapporti con l’Anm, ormai chiari ed evidenti a tutti”. Non poteva mancare un riferimento, seppure sfumato, alle tensioni di ieri e oggi, fuori e dentro l’aula di Montecitorio: “A differenza della sinistra noi non abbiamo mai risposto a odio con odio, perché la nostra religione è quella della libertà e del buon governo”. Colombia: una proposta di rivoluzione culturale del diritto; ridurre del 20% le pene detentive! di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2011 Il 18 marzo un gruppo di detenuti e detenute del carcere colombiano di Acacias, nel dipartimento di Meta, ha diffuso una lunga lettera aperta come sostegno al progetto di legge n. 3 del 2010: “concessione di una riduzione delle sanzioni in occasione del bicentenario della indipendenza della Colombia e altre disposizioni”. In tale messaggio si ricorda che, secondo il Patto internazionale sui diritti civili e politici e sulla base dell’articolo 9 del codice penale colombiano, “la pena ha la funzione di protezione e prevenzione, ma il suo scopo fondamentale è la risocializzazione”. Questo principio, d’altra parte, è contrastato dal populismo punitivo, dai mass media e in genere dall’idea secondo cui da un lato ogni problema sociale meriterebbe di essere affrontato “aumentando le pene” e dall’altro la funzione del carcere sarebbe solo ed esclusivamente quella di un vero e proprio supplizio. Per questo motivo il gruppo di persone detenute autore della missiva si pone usa serie di domande: “dove sono le vere politiche inclusive di vasti settori sociali come prevenzione dei reati? Dove sono i piani efficienti per la creazione di posti di lavoro per evitare la delinquenza comune o la paternità irresponsabile? Dove sono le politiche di accesso all’educazione o ad un’alimentazione dignitosa? Quali sono le politiche di prevenzione dell’abuso delle droghe? Dove sono le politiche di partecipazione democratica e di decisione dei cittadini in condizioni di pari opportunità? Dove si trova la volontà politica per superare i conflitti e trasformare le spese belliche in spese per le politiche sociali?” La grande maggioranza delle persone detenute in Colombia, come per altro succede nella totalità dei paesi del mondo, appartiene a classi sociali subalterne, proletarie, svantaggiate e, sia pur in quantità minore, al ceto medio. Esiste quindi un preciso legame fra l’emarginazione e il carcere: “la realtà è che, fatta eccezione per i casi complessi, come quelli degli psicopatici, degli assassini seriali o simili, la criminalità, in tanti casi, non si fa per piacere. Noi vediamo che molti quartieri popolari e molte periferie povere delle nostre città, dove hanno la residenza i cittadini esclusi, sono delle vere e proprie scuole di criminalità”. Le leggi sembrano essere garantiste e previdenti ma nella realtà non ci sono efficaci politiche sociali di riduzione dell’emarginazione e neanche vere attività per il reinserimento sociale delle persone detenute. Anzi, la prigione viene spesso utilizzata come mera vendetta. Le direzioni di ogni carcere “stabiliscono regimi interni con una serie di misure assurde approvate a discrezione del direttore di ciascuna struttura. In questo modo ci sono carceri in cui è vietato il possesso della televisione e dei ventilatori, l’ingresso di rifornimenti di pulizia come creme, saponi, spazzolini, eccetera”. Le istituzioni e le autorità competenti non realizzano studi sociologici, psicologici, antropologici e giuridici con l’obiettivo di definire le politiche applicabili alla giustizia e al reinserimento dei detenuti nella società. In pratica, nemmeno conoscono le cause delle forme trasgressive punite con il carcere. I giudizi pendenti aumentano di giorno in giorno e questa circostanza ricade in maniera negativa soprattutto sulle persone accusate e poi condannate, non di rado senza delle sufficienti prove d’accusa. Il sovraffollamento carcerario si sviluppa senza soluzione di continuità. A Bogotà, tanto per citare un caso emblematico, “ci sono 8-10 detenuti per cella che devono stare l’uno sopra l’altro in brande di fortuna o sul pavimento”. La situazione per quanto riguarda la salute e l’igiene in carcere è profondamente grave. Ad esempio, c’è “un solo medico curante per otto ore in un carcere con 2500 o più detenuti”. La dotazione di bilancio per il reinserimento sociale dei detenuti si configura in termini decisamente bassi (nel 2009 era inferiore al 2%). Le regole minime per il trattamento dei prigionieri, adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei detenuti e ampliate dalla Commissione dei Diritti Umani, non risultano rispettate nella loro interezza. La perdita della libertà di un cittadino comporta un effetto estensivo della pena rispetto ai suoi famigliari e soprattutto nei confronti dei bambini che non è mai stato analizzato in termini adeguati. Le lunghe pene carcerarie ostacolano tutte le ipotesi di risocializzazione e costituiscono un arretramento culturale rispetto al codice penale francese del 1791 che “prevedeva una pena massima di 20 anni”. Nella loro lettera, destinata anche ai parlamentari colombiani, i detenuti e le detenuti affermano inoltre che non pochi avvocati, facendo leva sull’altrui paura e ignoranza, si arricchiscono a spese delle persone prigioniere e dei loro familiari. Il sistema penitenziario, in conclusione, non fornisce tutte le condizioni necessarie per un trattamento rispettoso dei diritti di ogni persona e favorevole alla riabilitazione sociale. La missiva perciò si conclude mediante una precisa proposta: “sarebbe necessario uno sconto di pena del 20% per decongestionare le carceri, migliorare le condizioni interne e soprattutto per lasciare aperta la discussione sulle modifiche richieste dal sistema.” Grazie all’intelligenza collettiva dei detenuti e delle detenute del carcere di Acacias possiamo così comprendere meglio due questioni. La prima è relativa al fatto che i problemi sopra esposti sono in verità simili a quelli esistenti negli altri paesi del mondo. La seconda riguarda la coscienza secondo cui un’autentica riforma della giustizia su scala nazionale e globale, utile anche ad eliminare la pena di morte dalla faccia della terra, può essere soltanto una significativa riduzione percentuale del tempo delle pene detentive, ad esempio del 20% come grandezza media a livello planetario, cioè una riduzione proporzionata, non formalmente “uguale” ma nella sostanza equivalente e senza alcun tipo di esclusione. Una vera e propria rivoluzione culturale nel campo del diritto. Stati Uniti: la crisi economica in California soffoca anche le carceri di Daniela Roveda Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2011 Un incubo incombe sul futuro della California, e non si tratta né di un terremoto né di uno tsunami: quest’anno 40mila carcerati rischiano di essere rimessi in libertà per ordine dei tribunali. Le prigioni californiane sono talmente sovraffollate, sporche e pericolose - ha sentenziato la Corte Suprema della California un anno fa - da infliggere ai condannati una punizione “esagerata e crudele”, in palese violazione dell’ottavo emendamento della Costituzione americana. I cittadini californiani tremano, accusano le istituzioni di incompetenza, ma la colpa di questa ingestibile situazione è anche loro: 17 anni fa hanno deciso in un referendum di combattere il crimine con le pene più severe della nazione, cioè raddoppio della pena al secondo reato e 25 anni di galera automatica al terzo reato, qualunque esso sia. Le condanne automatiche hanno snellito le procedure giudiziarie e di conseguenza il numero di condannati è salito a un ritmo tre volte superiore a quello della popolazione, mentre il numero di nuove prigioni non è cresciuto di pari passo. Nel frattempo le finanze pubbliche sono peggiorate drasticamente, e il risultato è che ii64mila carcerati della California sono stipati in galere disegnate per ospitarne 8omila. Il tasso di suicidi è il doppio della media nazionale, e ogni otto giorni un carcerato muore per l’inadeguatezza delle strutture mediche e psichiatriche. “La situazione è raccapricciante, i prigionieri sono ammassati tutti insieme nelle palestre, nelle biblioteche, nelle aule, senza spazio e senza privacy, per non parlare di chi ha problemi psichiatrici e finisce in isolamento perché nessuno sa cosa fare”, dice il professor Craig Haney dell’University of California di Santa Cruz. “Dopo 20 anni di proteste, c’è voluto un ordine dei tribunali per costringere lo stato a far e qualcosa, e i tribunali fanno sul serio”. Nel gennaio 2010 i giudici hanno dato due anni di tempo alla California per abbassare il tasso di sovraffollamento delle carceri dal 200% al 137%, ma se l’ordine non sarà rispettato le porte delle prigioni si spalancheranno nel gennaio 2012, fra nove mesi. Il governatore Jerry Brown si sta arrabattando per trovare una soluzione-tampone al colossale problema e spera (invano, secondo gli esperti) che la Corte Suprema questo giugno annulli o sospenda la sentenza. La polizia si sta preparando invece all’arrivo di un’ondata di criminalità senza precedenti: il tasso di recidivismo in California è del 70 per cento. Solo un individuo sembra veramente soddisfatto di questa drammatica crisi: Damon Hininger, amministratore delegato della più grande holding di prigioni private del Paese, la Correction Corporation of America (Cca). Hininger, quarto nella classifica Forbes dei migliori manager d’America sotto i 40 anni, sa che la crisi delle prigioni californiane si tradurrà in un aumento del fatturato e dei profitti per la sua azienda. La Cca e altre società private già ospitano circa 8mila carcerati californiani (il 5% del totale) in strutture in Arizona, Louisiana e Mississippi, e ora si aspettano arrivi in massa a partire dall’anno prossimo perché il ricorso alle carceri private è il rimedio più rapido e meno costoso. La Reason Foundation ha calcolato per esempio che il trasferimento di altri 25mila carcerati in strutture private al ritmo di 5.000 all’anno nei prossimi cinque anni farebbe risparmiare allo stato 1,8 miliardi di dollari. Il motivo è che i costi operativi delle carceri private sono molto inferiori ai 47mila dollari all’anno spesi in California per ciascun individuo: il “segreto” è un personale non sindacalizzato in un tipo di business dove i costi del lavoro ammontano al 70% del totale. Le prigioni private contano oggi tra i loro clienti 19 stati americani che hanno fatto l’outsourcing di 126mila carcerati, il 7,8% del totale (il dato del Bureau of Justice Statistics risale a metà 2008). Il boom del settore ha consentito così a una società come la Cca di far salire il giro d’affari annuo a 1,7 miliardi di dollari, i profitti a 157 milioni e il valore di mercato a 2,6 miliardi di dollari. “Il ricorso alle prigioni private è una pessima soluzione, perché i carcerati finiscono a mille, duemila chilometri da casa, non ricevono più visite dei familiari, e al rilascio hanno difficoltà di reinserimento”, dice il professor Haney. Quello di cui ha bisogno la California sono riforme serie, per esempio l’abrogazione della condanna automatica a 25 anni al terzo reato, investimenti in programmi di recupero, riabilitazione e qualificazione professionale per offrire opportunità di reinserimento dopò la scarcerazione, e l’abolizione del carcere per i reati minori. “Per vent’anni la mentalità prevalente è stata quella di sbattere tutti in gabbia e buttar via la chiave, e con che risultato? Il crimine è in aumento, il recidivismo è in aumento e i criminali vengono trattati come animali”, dice Haney. “È ora di cambiare strategia”. Bosnia Erzegovina: ministero Giustizia; le carceri si stanno adeguando agli standard europei Agenzia Balcani, 1 aprile 2011 L’assistente del ministro della giustizia della BiH, Mustafa Bisic ha detto oggi all’agenzia “Fena” che la Bosnia Erzegovina sta già lavorando, ma anche nel prossimo periodo è attesa dai programmi di adeguamento, riadattamento, o costruzione di nuovi impianti affinché tutte le carceri vengano adeguate agli standard carcerari europei. In un’analisi del ministero della Giustizia sulla situazione delle strutture penitenziarie della Federazione, relativa alla situazione sino al gennaio del 2009, si afferma che queste strutture “non rispondono pienamente gli standard definiti dalla Legge per l’esecuzione delle sanzioni penali e le regole europee sulla detenzione”. “In termini generali si può dire che il numero di detenuti sia in ascesa”, afferma il portavoce del ministero della Giustizia. “Questo aggrava in modo significativo le condizioni e le disponibilità delle strutture esistenti. Le strutture della Federazione sono sovraffollate del 23% e questo dato è in continuo peggioramento”. Il ministro della Giustizia della Federazione ammonisce che è in continuo aumento anche il numero di detenuti rispetto al numero di guardie carcerarie e questo condiziona negativamente “il livello di sicurezza delle strutture”. Sudafrica: in carcere il capo dei servizi segreti, accusato di un omicidio commesso 12 anni fa Ansa, 1 aprile 2011 Si è consegnato alle autorità oggi pomeriggio e è già in carcere il capo dell’intelligence della polizia criminale, uno dei poliziotti più potenti del Sudafrica, accusato per un omicidio di 12 anni fa. Lo hanno riferito i media sudafricani. Il generale Richard Mdluli si è consegnato al tribunale di Boksburg (Johannesburg) accompagnato dal suo avvocato ed è comparso davanti a un giudice insieme a altri due funzionari di polizia, accusati di essere stati suoi complici. Tutti e tre devono rispondere delle accuse di omicidio, sequestro di persona e aggressione, secondo un portavoce della Procura nazionale. Una quarta persona è ancora latitante. Mdluli e i suoi coaccusati resteranno in carcere fono a giovedì prossimo, quando ci sarà una nuova udienza per decidere sulla libertà su cauzione.