Giustizia: in cella come all’inferno e loro pensano al processo breve di Valter Vecellio L’Unità, 19 aprile 2011 Si può provare a immaginare la scena. In una stanzuccia di pochi metri quadrati sono ammassate alcune persone, ci vivono in promiscuità per molte ore del giorno. Per qualche ora possono andare a prendere una boccata d’aria e fare due passi in circolo in un cortile. Quello è il momento buono. Bisogna aspettare quell’ora d’aria; o, magari, aspettare che sia scesa la notte, tutti i compagni di stanza dormono e fingere di avere un attacco di diarrea e andare nel piccolo locale che fa da bagno, separato dalla stanza da un telo di plastica. In ogni modo, bisogna pensarci, cogliere il momento buono, aspettare l’occasione giusta. Poi bisogna prepararsi per tempo. Una corda? Trovarla. Tocca arrangiarsi con quello che c’è. Un lenzuolo. Bisogna ricavarne delle strisce, annodarle. E poi, dove far leva, dove appendersi? Ecco, quel tubo, quella sbarra. Sì, quella tiene, può andar bene. Finalmente solo! Ecco la corda, annodarla in fretta, vedi mai che ci sia un controllo... fatto il nodo, fissiamo l’estremità alla sbarra... ecco, è fatta, un salto e buonanotte, alla faccia di chi dice no all’amnistia, io me la prendo, la mia amnistia definitiva e irrevocabile... Nell’ultima settimana non ci hanno “ripensato” in tre, forse quattro. Due detenuti sono morti, gli altri sono in gravissime condizioni. Dall’inizio dell’anno non ci hanno “ripensato” in quindici, che tanti sono i detenuti il cui suicidio è stato accertato. In totale sono morti in trentasette. Diciassette sono deceduti, dicono i referti “per cause naturali”; ma possono esistere “cause naturali” in carcere, quando lo Stato si fa garante dell’incolumità fisica e psichica delle persone che vengono private della loro libertà? Altri sette detenuti sono morti per “cause da accertare”. Non solo: in questa che Marco Pannella chiama nucleo consistente di shoah cominciamo a trovare anche gli agenti della polizia penitenziaria: negli ultimi giorni in due si sono tolti la vita; ben diciotto negli ultimi cinque anni... Nelle carceri, gli agenti sono costretti a turni massacranti, e i loro sindacati, unanimi, avvertono che in queste condizioni non sono in grado di assicurare alcun tipo di sicurezza; occorrono educatori e assistenti sociali per garantire la funzione rieducativa della pena prevista dall’art. 27 della Costituzione. Quello del ministro della Giustizia è un bilancio a dir poco fallimentare. Annuncia riforme “epocali” che di epocale hanno solo il tentativo di ingannare l’opinione pubblica, ma i fatti dicono che non si è saputo e voluto fare nulla. Giustizia: altro che “dimissioni”… negli Opg italiani gli internati stanno aumentando Redattore Sociale, 19 aprile 2011 Dai 1.272 internati presenti nel novembre 2007 si è passati ai 1.460 del maggio 2010 fino ai 1.550 dell’aprile 2011. E questo malgrado sia stato assunto l’impegno da parte delle Regioni di dimettere 300 soggetti ritenuti non più “socialmente pericolosi”. Cresce il numero di internati all’interno dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari: dai 1.272 internati presenti nel novembre 2007 si è passati ai 1.460 del maggio 2010 fino ai 1.550 dell’aprile 2011. I dati sono stati forniti all’agenzia Redattore sociale dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Il numero di internati è aumentato malgrado un anno e mezzo fa sia stato assunto l’impegno da parte delle Regioni di dimettere circa 300 soggetti ritenuti non più “socialmente pericolosi”. “Le dimissioni dagli ospedali psichiatrici giudiziari sono aumentate, ma continuano ad entrare nuovi pazienti dall’esterno - conferma Antonino Calogero, direttore dell’opg di Castiglione delle Stiviere (Mantova). È come lavorare in un sistema idraulico in cui l’afflusso di acqua è superiore al deflusso”. “A fine 2009 è stato fatto un elenco numerico di 300 pazienti dimissibili. Il nostro obiettivo era che le Regioni li dimettessero entro l’inizio del 2011 - spiega Santi Consolo, vice capo dipartimento del Dap. Abbiamo chiesto ripetutamente alle Regioni i dati: li hanno promessi entro fine aprile”. L’obiettivo è quello si superare gli Ospedali psichiatrici giudiziari, così come sono oggi: “Sanitarizzare le strutture, per garantire un adeguato livello di cure agli internati - spiega Consolo. E allo stesso tempo sostenere i progetti di dimissione validi che ci vengono presentati: stiamo lavorando con le Regioni affinché attuino strutture esterne di accoglienza per gli internati”. Uno dei progetti più importanti finanziati dal Dipartimento (con i fondi della Cassa delle ammende) è “Luce e libertà”, che coinvolge una sessantina di internati dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), uno degli istituti con maggiori presenze del Paese. “C’è uno stanziamento di quattro milioni di euro - spiega Consolo. Fondi che permetteranno di accompagnare nella fase iniziale il progetto di dimissione di queste persone”. Gli ex internati, infatti, verranno progressivamente inseriti nel settore degli impianti fotovoltaici: attraverso il loro lavoro si garantiranno la possibilità di una vita autonoma nel proprio territorio d’origine. Giustizia: quei milioni di euro sprecati in braccialetti… elettronici di Donato De Sena www.giornalettismo.com, 19 aprile 2011 Alla Corte dei Conti presentato un esposto sullo sperpero di denaro pubblico. Quando fu introdotto sembrava si fosse aperta una nuova era. E invece il braccialetto elettronico ha vissuto i suoi primi 11 anni come una soluzione da ignorare, da lasciare sulle carte di legge e decreti, piuttosto che un opportunità da sfruttare. Il ricorso a quello strumento che avrebbe contribuito a sfollare le carceri italiane e favorire il reintegro in società dei detenuti, è stato infatti scarsissimo, quasi nullo. In Italia dal 2001 - In sostituzione della custodia cautelare in carcere i giudici quasi mai hanno ritenuto opportuno ricorrere al controllo dei detenuti mediante mezzi elettronici e strumenti tecnici come consentito dalla legge n. 40 dell’8 luglio 2001. La cavigliera tecnologica che permette all’Autorità giudiziaria di verificare a distanza e costantemente i movimenti del soggetto che lo indossa, e alle Forze dell’Ordine di intervenire immediatamente nel caso di manomissioni dell’apparecchio o di allontanamento del detenuto da un prestabilito perimetro, fu inizialmente sperimentato in cinque città italiane: Roma, Milano, Torino, Napoli e Catania. I detenuti che utilizzarono il nuovo strumento durante la fase di sperimentazione, durata circa 6 mesi a partire dall’11 aprile 2001, furono 50. Oggi a farne uso sono appena 10 persone. Con un costo di un milione di euro, per ognuno, all’anno. A denunciarlo è Il Carcere Possibile, associazione nata nel 2003 su iniziativa dell’avvocato Riccardo Polidoro come progetto della Camera Penale di Napoli, e che dice di perseguire, “nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione”, “il fine della solidarietà sociale, civile e culturale nei confronti della popolazione detenuta”. Un milione a braccialetto - Il Carcere Possibile ha presentato a Roma presso la Corte dei Conti un esposto sul denaro pubblico sprecato per i braccialetti elettronici. Recita il comunicato: “Nel 2001 il Governo, per diminuire il sovraffollamento nelle carceri, decise d’incrementare l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari attraverso l’utilizzo dei c.d. braccialetti elettronici, già molto diffusi in altri Paesi, che permettono di garantire la sicurezza ed il rispetto della detenzione domiciliare da parte dei detenuti, con il controllo a distanza. Fu sottoscritto un contratto con la Telecom Italia S.p.A. per la fornitura in esclusiva dei predetti braccialetti e di tutti gli apparati necessari al relativo controllo. Il costo della fornitura risulterebbe essere stato di 11 milioni di euro all’anno, regolarmente erogati, per una durata minima di 10 anni. Il numero di braccialetti utilizzati dal 2001 al 2011 sarebbe stato di poche unità all’anno, per i dubbi connessi al loro funzionamento. In pratica ciascun braccialetto ha un costo di circa un milione di euro all’anno. Uno spreco di denaro pubblico enorme, in un settore come quello della Giustizia che è privo delle risorse essenziali, dalla carta per stampare gli atti a una reale informatizzazione degli uffici. Intanto l’Amministrazione Penitenziaria non è più in grado di assicurare ai detenuti condizioni igienico-sanitarie decenti, mentre ha del tutto rinunciato alla rieducazione, pur prevista dalla nostra carta costituzionale”. Giustizia: Senato; domani audizione della Conferenza nazionale volontariato giustizia 9Colonne, 19 aprile 2011 Prosegue l’indagine conoscitiva sulla situazione carceraria in Italia della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Domani, alle 14, la Commissione audirà Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia. Giustizia: l’ex terrorista Concutelli libero dopo 32 anni di carcere, per motivi di salute Ansa, 19 aprile 2011 Pierluigi Concutelli, l’ex terrorista di estrema destra che il 10 luglio del 1976 uccise a Roma il giudice Vittorio Occorsio, ha avuto tre ergastoli: per l’omicidio Occorsio e per quello di due neofascisti uccisi in carcere, Ermanno Buzzi e Carmine Palladino. I due vennero sgozzati perché ritenuti delle spie. Dopo oltre 32 anni passati in una cella Concutelli, che oggi ha 67 anni e che iniziò la sua “carriera” a Palermo, militando nei gruppi giovanili di estrema destra, fino poi a diventare uno dei leader di Ordine Nuovo negli anni Settanta, ottenne il regime di semilibertà che però gli fu revocato quando, nell’estate del 2008 fu fermato in auto mentre si accingeva a rientrare nel carcere di Rebibbia. Venne trovato in possesso di hashish, 4mila euro e un coltello a serramanico. Per questo Concutelli tornò in carcere. A dicembre dello stesso anno dopo un attacco di cuore per l’ex comandante di “Ordine Nuovo” fu disposta la detenzione domiciliare. Per la detenzione dello stupefacente, Concutelli venne prosciolto dal giudice dell’udienza preliminare perché il quantitativo dello stupefacente era di poco conto ed era destinato a un uso personale per motivi di salute. L’ex terrorista si era difeso, in quell’occasione, spiegando che l’hashish gli serviva per combattere l’ipertensione. Per la detenzione del coltello, che gli sarebbe servito per tagliare le cinture di sicurezza qualora fosse stato colto in auto da un improvviso attacco ischemico, è stato invece rinviato a giudizio. Quanto ai soldi, Concutelli si giustificò dicendo che erano destinati al pagamento dell’ultima rata per l’acquisto di un’auto. Lettere: Dioune Sergigme Shoiibou, lasciato morire in carcere con la testa rotta di Susanna Marietti www.carta.org, 19 aprile 2011 Non sappiamo quale reato avesse commesso Dioune Sergigme Shoiibou, il trentenne senegalese morto alcuni giorni fa nel carcere Mammagialla a Viterbo. Sappiamo che gli avevano dato sei mesi di pena. Non doveva essere un efferato criminale, non doveva essere troppo pericoloso per la nostra società, non doveva avere motivi di alta sicurezza ostativi nei confronti di un suo soggiorno di cura esterno al carcere. Aveva avuto un ematoma al cervello, il ragazzo, per rimuovere il quale era stata necessaria un’operazione che lo aveva privato di parte della calotta cranica. Non è facile andarsene in giro con mezza testa. Non è facile vivere in cella, dove i soccorsi sono lenti e parziali, sentendosi il cervello senza protezione. Peggio che andare in moto a duecento all’ora senza casco. Fatto sta che Dioune si è sdraiato sul letto e non si è più alzato. Si dice che sul suo corpo non si siano visti segni di violenze. Le cause del decesso saranno medici legali e magistrati a stabilirle. Quegli stessi magistrati che, per un reato bagatellare, hanno tenuto in carcere un uomo con il cranio rotto. Eppure le leggi ci sono. C’è il rinvio dell’esecuzione della pena (art. 147 comma due del codice penale), c’è la detenzione domiciliare a casa o in luogo di cura (art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario), ci sono molte possibilità tra le maglie delle norme. Se solo si volessero applicare. Ma oramai pare che i magistrati che fanno politica siano solo quelli che si schierano pubblicamente contro le nefandezze di Berlusconi, e che tutti gli altri si trascinino con stanchezza utilizzando solo le procedure che creano loro meno responsabilità. Sarebbe bello che la magistratura scegliesse di farsi scudo non solo contro i potenti ma anche a difesa dei deboli. Si fa alta politica e si fa alta società salvando dalla morte un poveraccio che è finito per disgrazia in una delle nostre carceri. Lettere: lavorare vale la pena di Don Enzo Giammello (Centro Orizzonte Lavoro) La Sicilia, 19 aprile 2011 Gentilissimo direttore, permetta che dica la mia sull’articolo pubblicato in prima pagina il 6 gennaio, a firma di Saretto Magrì, partendo da una poesia scritta alcuni anni fa sulla parete di una cella da un killer camorrista, condannato all’ergastolo a soli 23 anni. “Abbiamo imparato/ anche noi da bambini/ alla scuola severa/ dei nostri padri padroni./ Niente favole e giochi,/ compleanni o palloni;/ sui nostri banchi pistole,/ e sarete presto guaglioni”. Davanti a un mafioso o a un criminale, diceva Paolo Borsellino, chiediamoci sempre da dove viene e perché è arrivato a quel punto. Perché i bambini nascono tutti uguali, sono le storie di vita e le persone incontrate che fanno la differenza. Non c’è dubbio, chi commette un reato, ne è responsabile e deve anche scontare una pena. Ma di chi è la colpa? Lo stimato giudice Scidà, ci faceva riflettere sul fatto che tanti scippatori, prima di diventare tali, sono stati a loro volta scippati. Di una famiglia, per esempio, degna di questo nome, di un minimo di benessere, di una infanzia serena e spensierata, di un contesto sano, perché costretti a crescere in un quartiere dove si socializza la cultura della devianza… Chi delinque, specialmente se giovane, piuttosto che costituire la parte malata della società, rappresenta il frutto di una società malata, della quale paga le spese. Sarebbe ingenuo credere che per risolvere il problema della delinquenza basta inasprire le pene o un maggior controllo del territorio, presidiandolo con le telecamere e con un più frequente passaggio delle volanti. Aveva certamente ragione don Bosco quando diceva che bisogna investire di più sull’educazione e sul lavoro, giocando così d’anticipo e non in contropiede. È chiaro che non mi riferisco al caso concreto raccontato dal giornalista (dell’impiegata che si indigna e si preoccupa perché si vede arrivare, quale collaboratore, chi le aveva scippato la borsetta tempo addietro), perché non lo conosco. Ma non possiamo ancora andare avanti con i pregiudizi, gli stereotipi e la cultura dell’esclusione, così diffusi tra tanti perbenisti che partecipano (e forse, come pubblici impiegati, le organizzano e finanziano) alle conferenze e alle marce per la legalità, senza pensare poi minimamente a scommettersi (e perché no, a rischiare, se necessario) in prima persona. La tolleranza zero non può essere la soluzione. Rappresenta invece una risposta debole e pericolosa perché blocca solo i sintomi, le manifestazioni del problema, ma non ne cura le cause. È una ipocrita “eutanasia” del disagio e della delinquenza: se stai male e ti sfoghi per questo, noi non ti aiutiamo a togliere il male che hai dentro, ma ti impediamo di sfogarlo. In questo caso, carcerando le persone e buttando le chiavi, come si dice. Per quanto possa essere comprensibile l’imbarazzo dell’impiegata, “grottesco” non è tanto, come detto nell’articolo, il caso descritto (di uno scippatore che diventa il proprio collaboratore in ufficio). Lo è molto di più il clima che si è creato nell’ufficio stesso: la poveretta (l’impiegata) rimasta tramortita, che avvisa i colleghi del pericolo incombente, facendo scattare l’allarme e portando alla chiusura di tutti i cassetti. E non si può accettare l’espressione con cui sono stati qualificati (o, per essere più precisi, squalificati) in maniera generalista, falsa e dispregiativa i nuovi assunti (a torto, o a ragione, questo è un altro problema) dalla nostra regione: “un’infornata di ex detenuti, tossicodipendenti, alcolisti e altra bella gente”. In ogni caso, dopo vent’anni passati come compagni di viaggio di tanti giovani (anche ex detenuti) verso una occupazione dignitosa, al Centro Orizzonte Lavoro abbiamo toccato con mano che un lavoro onesto e interiorizzato, svolto in un ambiente stimolante (ma forse è troppo pensare che possa essere tale un ufficio del pubblico impiego), con i suoi orari e le sue regole, può diventare il principale strumento della rieducazione e consentire di riacquistare fiducia in sé stessi e in una società spesso emarginante, facendo crollare la recidiva. Se invece, scontata la pena (della quale ci deve essere certezza) e avendo magari una famiglia da mantenere, all’ex detenuto non resta che tornare negli ambienti che lo hanno portato a compiere reati, perché restano gli unici ad essere accoglienti, a dare fiducia e un “lavoro”, allora sì che, come conclude l’articolo citato, la frittata, il danno, purtroppo sono fatti e forse per sempre. Ma l’avremo voluto noi. La Sicilia 12.01.2011 “Accettiamo con francescana umiltà i rimbrotti di don Giammello e gli invidiamo la sua visione evangelica del mondo, la sua fede (nell’uomo) e il suo ottimismo. Purtroppo non tutti siamo Don Bosco e la società non è la bella nuvoletta popolata di buoni sempre disposti a farsi fratelli con i cattivi. Magari ognuno di noi si portasse a casa un barbone, invece lasciamo che muoiano di fame e di freddo sotto i ponti o sulle panchine. Comunque è giusto cercare di essere più comprensivi, ma tra i nostri peccati non ci sarà mai la presunzione: sappiamo già, purtroppo, di non riuscire a cambiare il mondo” Saretto Magrì Lettere: l’importanza delle misure alternative alla detenzione di Lucia Brischetto La Sicilia, 19 aprile 2011 Se è vero che la qualità della vita sta nella qualità dei rapporti che si hanno, la vita stessa dovrebbe essere una scuola di buoni sentimenti e un laboratorio di sana umanità. Il volontariato, servizio di aiuto è quindi l’unica vera autentica ricchezza dell’umanità. L’aiuto all’altro, dovrebbe essere un modus operandi naturale, connaturato all’agire quotidiano dell’uomo. Infatti una società può dirsi civile solamente quando le persone professano i valori fondamentali dell’esistenza e quando viene consentita la pacifica e gradevole convivenza in stato di uguaglianza e in pari opportunità fra tutti. L’esperienza penitenziaria ci ricorda un volontariato ludico, caritatevole, di assistenza e beneficienza proveniente soprattutto da enti religiosi affidati alla sperimentazione e al sentimentalismo. Oggi invece nella società dei saperi, si esige che il volontariato lavori per progetti, con programmi mirati e con finalità scientificamente ipotizzate e professionalità pari a quelle dello Stato. Il ministero della Giustizia si è sempre posto il problema dell’esecuzione della pena e della sua funzione. Tuttavia, sebbene sia in vigore dal oltre 30 anni la innovativa legge n. 354 del 1975 sulle misure alternative alla detenzione che ha rivoluzionato il modo di pensare e di vivere le carceri, permane nell’immaginario collettivo un residuo di barbarie quando si pensa che la pena debba essere scontata esclusivamente al chiuso e in condizioni di afflittività. Da tempo infatti l’immaginario sociale ritiene che la pena per essere efficace debba coincidere con il carcere in quanto qualunque altra modalità di esecuzione potrebbe rappresentare un pericolo per la società. Nulla di più inverosimile, un’analisi più attenta e mirata, qualche tempo fa ha stabilito che l’esperienza detentiva e punitiva non previene le condotte recidivanti e anzi il carcere, sebbene oggi “paradossalmente” rieducativo, acuisce quella frattura fra il singolo e la società che lo emargina. Pertanto gli operatori sociali specialisti della detenzione dentro e fuori dal carcere, pensano “oltre le sbarre”, pensano al “carcere invisibile, all’esecuzione penale esterna, alla risocializzazione, ai progetti di reinserimento sociale. L’art. 27 della Costituzione ci ricorda che le “pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, pertanto il carcere non può essere un carnaio ove si rinchiudono tutti i mali e gli errori della nostra società. Il carcere deve essere un luogo di riabilitazione e di sostegno ove con l’aiuto delle leggi quadro sul volontariato e con le indicazioni dell’Ordinamento Penitenziario, si riconosce il valore sociale e la peculiare funzione risocializzante della pena, anche “fuori le mura”. Prima dell’entrata in vigore della legge, di altissima civiltà giuridica, sulle misure alternative alla detenzione alla detenzione, non si investiva sull’aspetto umano e sociale della funzione rieducativa della pena e non si intravedevano progetti di prevenzione e prospettive di risocializzazione per i soggetti meritevoli di reinserimento nel circuito normativo. A tal proposito, anche i ministeri del Lavoro e delle Politiche sociali hanno impartito, da tempo, linee programmatiche per l’attuazione di una puntuale pianificazione di interventi alla popolazione detenuta attraverso “Progetti Pedagogici di Istituto”. Tutto questo per non fare rimanere l’uomo nei luoghi dove finge di vivere le sue giornate di non esistenza e forse, dove, nutrendosi di assenza di valori che lo inducono a non credere più a niente, si abbrutisce nella solitudine e nella povertà fisica e mentale. Occorre dare corso alla speranza dei detenuti di potere ricostruire la loro esistenza, sapendo anche che qualcuno, fuori, avrà meno paura di accoglierli e che la vita è vita se hai un sogno e una libertà da desiderare e da raggiungere. Sicilia: Falcone (Pdl) contro soppressione Ufficio garante per i diritti dei detenuti Ansa, 19 aprile 2011 “È veramente grave la volontà del Governo regionale di voler cancellare l’Ufficio del Garante per i Diritti dei Detenuti”. Lo ha dichiarato il Parlamentare regionale del Popolo della Libertà, On. Marco Falcone. “Non mi pare cosa opportuna la soppressione di una delle istituzioni della Regione Sicilia che, in tutti questi anni, sotto la guida responsabile, intelligente e competente del Sen. Salvo Fleres, ha dimostrato e costituito un argine ed un sicuro punto di riferimento per un mondo che, seppur in errore, merita comunque adeguata attenzione”. “Ho già presentato un emendamento soppressivo - ha concluso l’On. Falcone - che eviti una norma che, forse, ha il sapore di una ritorsione politica” . Aversa (Ce): la Cgil invoca la chiusura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario Il Mattino, 19 aprile 2011 La Cgil Caserta invoca la chiusura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario “Saporito” di Aversa, balzato di recente alla cronaca per i suicidi e le condizioni precarie in cui versano i detenuti. “Nei giorni scorsi siamo stati costretti, ancora una volta, ad assistere alla morte di un cittadino, a causa della superficiale gestione dei percorsi dei pazienti internati negli Opg. Non sappiamo se per la carenza di strutture territoriali adatte ad accogliere un paziente ormai non più socialmente pericoloso, o se per le lungaggini burocratiche, certo è che nessuno di questi motivi deve essere sembrato sufficiente all’ assistito per accettare di restare senza alcuna motivazione un solo giorno in più nell’inferno dell’Opg di Aversa. E così muore un altro uomo. Riteniamo comunque questa giunta regionale responsabile dell’inerzia burocratica, che si traduce in ergastoli bianchi, e del degrado materiale e organizzativo che continua ad affliggere i nostri Opg, offendendo la dignità delle persone e la civiltà dello Stato. Ribadiamo la ferma richiesta alla Regione Campania di favorire quantomeno il ripristino di condizioni di vita dignitose per chi è internato in Opg, e di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle Asl di accelerare i percorsi di accoglienza in strutture territoriali alternative, per evitare lo sconcio di proroghe a tempo indeterminato, anche quando non più minimamente giustificate dalle condizioni cliniche delle persone. Per questo ribadiamo la necessità di chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari: un vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese per le condizioni aberranti in cui versano 1300 nostri concittadini, 300 dei quali potrebbero uscirne fin da ora”. Con quest’obiettivo anche la Fp Cgil Caserta sarà in prima linea nel “Comitato Stop Opg” nella campagna nazionale contro gli ospedali psichiatrici giudiziari, che parte il 19 aprile. Sassari: una strana morte in carcere, che riporta alle vicende di tre rapiti L’Unione Sarda, 19 aprile 2011 Marco Erittu, 40 anni di Sassari, muore in circostanze misteriose la sera di una domenica. È il 18 novembre 2007, sta scontando una condanna per reati di droga. Un suicidio strano, secondo le prime valutazioni: il detenuto aveva a disposizione due coperte, nessun altro elemento che potesse utilizzare per farsi del male. Quando viene soccorso ha un lembo di una delle coperte attorcigliato attorno al collo e la bocca piena di pezzi dello stesso tessuto. Le indagini non hanno mai chiarito se qualcuno è riuscito a entrare nella cella e se, quindi, l’ipotesi rilanciata oggi dell’omicidio - con l’inchiesta della Dda - potesse avere un fondamento. Fin dal primo momento non è apparsa per niente fantasiosa l’ipotesi che qualcuno possa avere pianificato e ordinato l’eliminazione di Marco Erittu. Il detenuto sassarese era venuto a conoscenza di informazioni importanti sulla scomparsa di Giuseppe Sechi: non si sa se ciò avvenne nell’ambiente carcerario o durante il periodo di libertà. E la storia del muratore di Ossi, scomparso il 22 marzo del 1994 (dopo essere partito in auto con due persone da Sorso, diretto a Porto Torres e Sassari) si intreccia con quella di Paoletto Ruiu: un lembo dell’orecchio di Sechi venne inviata ai familiari del farmacista di Orune per chiedere il pagamento del riscatto. E tracce del Dna di Ruiu sono state rilevate su una garza trovata nella grotta sul Monte Corrasi da dove riuscì a scappare un altro sequestrato, Vincenzino Marras di Ozieri. L’unico a tornare a casa. Droga e sequestri, i segreti di un omicidio I segreti del carcere che a volte diventano troppo pesanti e pericolosi. E le storie di droga che si intrecciano con quelle di sequestri di persona, di ostaggi mai tornati a casa. A quanto pare voleva parlare di queste cose Marco Erittu quando ha chiesto di incontrare il capo della Procura sassarese Giuseppe Porqueddu, al quale ha poi indirizzato una lettera. Così quello scritto assume una rilevanza significativa nell’inchiesta appena riaperta. A quattro anni di distanza dalla morte del detenuto, un “suicidio imperfetto” al quale quasi nessuno aveva creduto, la riapertura dell’inchiesta ha avuto l’effetto di una bomba. Non solo perché ora si indaga per omicidio, ma perché - anche dentro il carcere di San Sebastiano - potrebbero intrecciarsi altre vicende strane. A cominciare da quella emersa proprio nei giorni scorsi, dopo la rivelazione in aula di un ufficiale dei carabinieri, durante un altro procedimento, che ha fatto riferimento a una indagine su alcuni agenti della polizia penitenziaria (poi trasferiti) per un traffico di droga dall’esterno all’interno del penitenziario. E siccome a quella cella dove Marco Erittu è stato trovato agonizzante (il detenuto era morto poco dopo) potevano accedere determinate persone, ecco che la complessità della vicenda induce a non escludere niente. Non a caso, tra i primi accertamenti disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Cagliari c’è proprio una ispezione del Servizio investigazioni scientifiche dei carabinieri. La delega è stata affidata al sostituto procuratore di Sassari Giovanni Porcheddu, e la visita degli investigatori non è passata inosservata negli ambienti carcerari. Una attività meticolosa, quella del Sis, che sembrerebbe rivolta ad acquisire riscontri precisi rispetto a informazioni di cui la Dda sarebbe in possesso da tempo. E l’elemento nuovo che ha portato alla riapertura dell’inchiesta sulla morte di Marco Erittu, e a indagare per omicidio, deve essere piuttosto forte se nell’ultimo periodo c’è stata una brusca accelerazione. Marco Erittu potrebbe essere stato considerato un testimone scomodo da parte di personaggi di grosso calibro, capaci di impartire ordini - dentro e fuori dal carcere - e se davvero, come si ipotizza nella nuova inchiesta, è stato ucciso, allora vuol dire che qualcuno voleva impedire che trasferisse quei segreti ai magistrati. Resta però la lettera lasciata in eredità: gli investigatori inviati dalla Dda, in questi giorni, sono andati a cercarla negli uffici della Procura di Sassari. A questo punto, non è escluso neppure un riesame della perizia medico-legale eseguita sul corpo di Marco Erittu. Droga e sequestri di persona, quindi. Percorsi che si sono intrecciati e che potrebbero avere messo insieme esponenti di spicco della criminalità: a Sassari ma anche nell’area del Nuorese, dove sono stati pianificati e gestiti due sequestri di persona di giovani mai tornati a casa, come il farmacista di Orune Paoletto Ruiu e il muratore di Ossi Giuseppe Sechi. E dove sono accaduti altri episodi strani. Soprattutto di Sechi voleva parlare Marco Erittu, ma aveva paura. Anzi terrore che potesse capitargli qualcosa, per questo aveva sollecitato un incontro urgente e voleva conferire con il procuratore capo Giuseppe Porqueddu. In quel periodo il magistrato era in ferie e l’incarico venne affidato al sostituto Giancarlo Cirielli. Di quel colloquio si sa pochissimo, e non è escluso che il detenuto abbia scelto di scrivere nella lettera, inviata successivamente, ciò che voleva riferire a voce. Il furgone bianco. La moto di Giuseppe Sechi era stata rubata il primo dicembre 1993: il 4 marzo 1994 era ricomparsa più o meno nello stesso luogo da dove era sparita, in uno spazio vicino alla ferrovia Sorso-Sassari. In quella zona alcuni testimoni notarono la presenza di un Ducato bianco. Avevano parlato con il conducente (si era espresso con una evidente inflessione barbaricina): per giustificare la sua presenza, disse di essere rimasto senz’acqua nel radiatore. Ricevette un bidone di plastica pieno d’acqua che più tardi venne ritrovato ancora pieno. Il furgone era sparito. La moto di Sechi. Il Ducato bianco è stato incendiato la sera del 12 maggio 1994, a Scala di Giocca, dopo una strana telefonata arrivata ai genitori di Giuseppe Sechi. Gli investigatori ritengono che il furgone arrivò appositamente per trasportare la Laverda 125 del muratore di Ossi. Il conducente del furgone - tra l’altro - sarebbe stato riconosciuto anche in un’altra zona, a Sorso, vicino a un frantoio, mentre parlava con alcune persone. La moto era stata riconsegnata a Giuseppe Sechi che, però, non l’aveva mai ritirata perché inutilizzabile. I genitori hanno saputo del ritrovamento della Laverda 125 solo due mesi dopo che il figlio era sparito. Paoletto Ruiu. Gli investigatori sono certi che esista un collegamento preciso tra i due rapimenti. Esponenti sospettati di fare parte della banda che aveva sequestrato il farmacista di Orune erano stati segnalati spesso a Sassari. E da una cabina telefonica di via Rockefeller, a poca distanza dal comando provinciale dei carabinieri, il 9 marzo 1994 partì la telefonata arrivata alla famiglia Ruiu per sollecitare il pagamento del riscatto. L’Alfa 75. Sempre a Sassari, il 4 febbraio del 1994, viene rubata un’Alfa 75 rossa, di proprietà di uno studente. L’auto viene utilizzata, quattro giorni più tardi, per sequestrare il notaio Lucio Mazzarella a San Teodoro. Il rapimento si risovi in un paio d’ore: i banditi mollano auto e ostaggio poco prima di un posto di blocco dei carabinieri. Tracce del Dna di Paoletto Ruiu vengono trovate nella grotta sul Monte Corrasi dalla quale era riuscito a scappare, dopo soli due giorni, Vincenzino Marras di Ozieri. Un filo porta alla stessa banda per i tre sequestri. Cosenza: sottraevano cibi destinati al vitto dei detenuti, 4 indagati di Giovanni Pastore Gazzetta del Sud, 19 aprile 2011 Si tratta d’un assistente della polizia penitenziaria, del titolare della ditta fornitrice e di due suoi dipendenti. Quel giorno anche i detenuti protestarono. Il cibo servito alla mensa del penitenziario cittadino non li aveva soddisfatti come al solito. Ai tavoli erano state servite porzioni minime e poco condite. Un trattamento che finì per alimentare il malcontento nelle celle. E così il caso venne segnalato alla direzione della casa circondariale “Sergio Cosmai” che dispose una indagine interna. Era il 21 settembre dello scorso anno e a distanza di sei mesi sarebbe stata accertata l’ipotetica verità. Le dispense della cucina del carcere erano rimaste semivuote nonostante un contratto di fornitura di alimenti molto dettagliato e ben assortito. Secondo i detective della polizia penitenziaria, guidati dal commissario Vincenzo Paccione, nelle cucine non era arrivata tutta la merce prevista dall’accordo commerciale sottoscritto dall’Amministrazione penitenziaria con una azienda pugliese. Contratto che prevedeva la periodica consegna di quantitativi prestabiliti di alimenti. Approfondendo gli accertamenti, le “divise azzurre” avrebbero scoperto che in realtà, dalla lista della spesa mancava del burro, erano spariti 33 chili di pasta, 15 chili di riso e 5 di sale. E così l’inchiesta si spostò sul responsabile pro tempore della mensa che non avrebbe saputo fornire spiegazioni sull’accaduto. E dalle verifiche sarebbe emerso che non era stata segnalata alcuna anomalia nelle forniture da parte dell’addetto al servizio mensa della casa circondariale. Dunque, se non ci fosse stata la protesta dei detenuti l’ipotetica inadempienza contrattuale non sarebbe stata scoperta. Completate le indagini interne, i poliziotti penitenziari hanno inviato una dettagliata informativa al procuratore capo Dario Granieri che ha assegnato il fascicolo al pm Adriano Del Bene. Il magistrato dopo aver valutato attentamente l’esito delle investigazioni, ha iscritto nel registro degl’indagati quattro persone. Si tratta del titolare dell’azienda fornitrice, che ha sede in Puglia, Giuseppe Guarnieri, di due dipendenti della ditta, Angelo Di Dio, addetto al controllo dei magazzini, e Pasquale Coscarella, responsabile dello smistamento merci. Inoltre, è finito sott’inchiesta anche l’assistente di polizia penitenziaria, Fabio Buono, che quel giorno era responsabile dei controlli alla mensa. Una indagine che è stata definita proprio nei giorni scorsi con la notifica del relativo avviso. Il magistrato inquirente ha ipotizzato nei confronti dei quattro l’ipotetico reato di inadempimento in forniture alimentari. Gl’indagati, adesso, avranno venti giorni di tempo per produrre memorie difensive o chiedere interrogatorio prima che il magistrato si determini. I detective della polizia penitenziaria non sono a operazioni di questo genere. Già un annetto fa scoprirono che, attraverso alcuni dipendenti d’una ditta esterna, i detenuti avrebbero pasteggiato con aragoste, gamberi e champagne e nutrivano il loro corpo con creme di bellezza. Le investigazioni degli agenti puntarono verso tre impiegati di quell’azienda esterna che avrebbero avuto il ruolo d’approvvigionare i reclusi. Anche in quel caso, la Procura avviò una inchiesta e il fascicolo venne affidato al pm Antonio Cestone che indagò per frode nelle pubbliche forniture. Più recentemente, i detective del commissario Paccione hanno smascherato un loro collega che avrebbe consentito ad alcuni detenuti di usare dei telefonini cellulari per chiamate private. Anche quell’inchiesta sta per essere conclusa dopo la riapertura delle indagini preliminari decisa dal pm Giuseppe Casciaro per valutare elementi di prova acquisiti successivamente nei confronti di un assistente capo di polizia penitenziaria e i detenuti che avrebbero beneficiato dei telefonini messi a disposizione dall’agente. Corruzione è l’ipotetico reato che viene contestato all’assistente capo Salvatore Gabriele, 44 anni. Il reato contestato di inadempienza in pubbliche forniture prevede si applica nei confronti di chi non adempiendo gli obblighi che gli derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, o con un altro ente pubblico, ovvero con un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, fa mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a cento tre euro. La pena è aumentata se la fornitura concerne: sostanze alimentari o medicinali, ovvero cose od opere destinate alle comunicazioni per terra, per acqua o per aria, o alle comunicazioni telegrafiche o telefoniche; cose od opere destinate all’armamento o all’equipaggiamento delle forze armate dello Stato; cose od opere destinate ad ovviare a un comune pericolo o ad un pubblico infortunio. Le stesse disposizioni si applicano ai subfornitori, ai mediatori e ai rappresentanti dei fornitori, quando essi, violando i loro obblighi contrattuali, hanno fatto mancare la fornitura. Cagliari: Caligaris (Sdr); il “Centro clinico” è sovraffollato, malati cronici a rischio Adnkronos, 19 aprile 2011 “Il centro diagnostico terapeutico del carcere di Buoncammino a Cagliari è sovraffollato e sta diventando sempre di più un grave problema socio-sanitario. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria infatti lo utilizza come luogo privilegiato per malati cronici ad alto rischio di vita costringendo i sanitari a un super lavoro e gli agenti di Polizia Penitenziaria a continui piantonamenti. In questo modo non si possono garantire né la salute né la sicurezza”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione ‘Socialismo Diritti Riformè avendo appreso che “attualmente si trovano nel Cdt 37 detenuti-pazienti - ma i posti letto sono solo 30 - tra cui uno schizotipico, un portatore sano di meningite, persone affette da tumori, aneurismi, epilessia e perfino un uomo di 80 anni praticamente ingestibile”. “La situazione - sostiene ancora Caligaris - risulta paradossale anche perché i fondi destinati alla sanità penitenziaria sono agli sgoccioli e gli operatori prestano servizio senza avere garantito costantemente lo stipendio. Il continuo ricorso ai piantonamenti per eventi che richiedono ricoveri in ospedale e/o visite provocano, in una condizione di carenza di organici (mancano almeno 60 Agenti rispetto alle necessità), uno stato di debolezza per la sicurezza. Se continueranno ad arrivare detenuti ammalati il clima diverrà insostenibile”. “Non sono più procrastinabili - conclude la presidente di Socialismo Diritti Riforme - almeno due principali interventi. Innanzitutto il passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Asl in modo da creare parità di trattamento terapeutico per i cittadini privati della libertà e per i Medici penitenziari. L’altro elemento ineludibile -conclude- è l’assunzione di nuovi Agenti o almeno il trasferimento dalle carceri della Penisola delle centinaia di sardi che da decenni chiedono di ritornare nell’isola anche perché lontani dalla famiglia vivono condizioni di oggettiva difficoltà”. Siracusa: detenuto non può fare dialisi perché manca carburante per portarlo in ospedale Ansa, 19 aprile 2011 “Continuano i problemi nelle carceri siciliane: oggi un detenuto a Augusta non ha potuto effettuare la dialisi perché il mezzo a disposizione era sprovvisto di carburante”. Lo rende noto Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. “A Augusta - ricorda Nicotra - il mese scorso è evaso un detenuto e nonostante le proteste dei sindacati nulla è cambiato. A tutt’oggi l’amministrazione penitenziaria non è in grado di garantire le cure per mancanza di carburante, chissà quando qualcuno “risponderà all’opinione pubblica dei fatti che accadono nelle carceri”. “A nulla sono valsi gli appelli che abbiamo fatti in questi mesi al ministro Alfano - conclude Nicotra - il quale probabilmente è troppo impegnato per occuparsi di ciò che accade nelle carceri”. Iglesias: detenuto rumeno rifiuta il cibo per un mese, perché vuole essere rimpatriato La Nuova Sardegna, 19 aprile 2011 Per 29 giorni Ali Asan Denis, un detenuto rumeno che chiede di essere estradato nel suo Paese, ha rifiutato il vitto distribuito dall’amministrazione del carcere di Iglesias. “È stato convinto a cessare la protesta, pur non avendo avuto risposta, per non compromettere lo stato di salute”, afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti riforme”, che in un comunicato stampa parla esplicitamente di sciopero della fame. Di diverso avviso Gianfranco Pala, direttore della casa circondariale di Sa Stoia: “Il detenuto è stato costantemente tenuto sotto controllo medico e ha perso pochissimo peso. I detenuti hanno il fornelletto nelle celle e possono acquistare alimentari col sopravvitto”. Ali Asan Denis, sposato e padre di due bimbe di 6 e 4 anni, deve scontare un residuo di pena di sette mesi: “Nell’ottobre scorso - scrive - le autorità rumene hanno dato il consenso al mio trasferimento riconoscendo la sentenza della magistratura italiana. Il 27 gennaio scorso il mio caso è stato esaminato in camera di consiglio dalla Corte d’appello di Roma. Purtroppo non ho avuto alcuna risposta nonostante i miei solleciti”. Firenze: il Garante; tre progetti per Sollicciano approvati dalla Cassa Ammende Apcom, 19 aprile 2011 “Il consiglio comunale straordinario del 14 marzo scorso ha prodotto alcuni risultati positivi. Infatti ho avuto conferma dal sottosegretario Giacomo Caliendo dell’approvazione da parte della Cassa ammende di tre progetti per Sollicciano”. Lo annuncia il Garante per i detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, in una nota diffusa per la convocazione di una conferenza stampa sulla situazione del penitenziario per il 20 prossimo aprile. I Progetti che, ha specificato Corleone, “interessano l’allargamento dei passeggi dell’ora d’aria, la ristrutturazione dei servizi igienici alla sezione femminile e l’attivazione di una seconda cucina al maschile”. “A questi fondi straordinari vanno aggiunti i 100.000 euro già annunciati e che potranno servire per la manutenzione dell’istituto e per attivare la tessera telefonica per i detenuti”. Secondo Corleone, inoltre, “occorre costituire immediatamente un tavolo di confronto tra amministrazione penitenziaria, Regione Toscana, Comune e Provincia di Firenze per precisare i progetti e garantirne la rapidità di esecuzione”. “È un risultato eccezionale - prosegue - che premia l’impegno del consiglio comunale di Firenze, del presidente Giani e della Giunta Comunale testimoniato dal lavoro degli assessori Saccardi e Di Giorgi e dall’iniziativa dei consiglieri Di Puccio, Cruccolini e Sguanci, che nei mesi scorsi organizzarono l’incontro con il sottosegretario Caliendo, presentando le richieste che oggi sono state accolte”. “Purtroppo assieme a questa buona notizia vi è la conferma della tendenza all’esplosione del carcere di Firenze, infatti le presenze continuano ad aumentare nonostante la legge svuota carceri”. Per Corleone ad oggi ci sono 993 detenuti nel carcere, più sei bambini. Quota mille si avvicina e temo che nell’uovo di Pasqua si troverà un bel digiuno. Teramo: reinserimento lavorativo detenuti, al via la seconda fase del progetto Il Centro, 19 aprile 2011 È partita questa mattina la seconda fase del progetto di reinserimento lavorativo a favore dei detenuti del carcere di Castrogno, promosso dall’assessore provinciale alle politiche sociali, Renato Rasicci, in collaborazione con la direzione del carcere, l’assessorato alla Viabilità retto dall’assessore Elicio Romandini e l’associazione “Uniti contro la droga” che funge da struttura logistica e di supporto. A sottoscrivere la convenzione con il Centro per l’Impiego sono state altre tre persone, che da martedì prossimo inizieranno a lavorare, un giorno a settimana, in Provincia. Il progetto è partito sei mesi fa e già tre detenuti hanno acquisito, dopo il periodo di tirocinio, la qualifica di “stradino”. I detenuti, selezionati sulla base di un percorso individuato e monitorato dalla responsabile dell’apposito servizio sociale, Teresa Di Bernardo, usciranno dal carcere per lavorare accanto ai cantonieri della Provincia, seguiti da un dipendente che farà loro da tutor. Al termine sarà rilasciato l’attestato di qualifica. Ad accompagnare i detenuti questa mattina c’era anche il presidente dell’associazione, Pasquale Di Mattia, che da anni collabora con i servizi sociali del carcere e che, fra le altre cose, ha costituito gruppi di auto aiuto sia per i detenuti che per i familiari. I detenuti saranno accompagnati al lavoro dai dipendenti dell’ente senza la sorveglianza della polizia penitenziaria: le figure coinvolte nel progetto, infatti, vengono individuate dalla Casa circondariale fra quelle che hanno intrapreso un percorso di recupero sociale. Lecce: emergenza al carcere di Borgo San Nicola, interrogazione ad Alfano Gazzetta del Sud, 19 aprile 2011 La senatrice Poli Bortone si rivolge al ministro della Giustizia. “Non rispettate appieno la dignità dei detenuti e la funzione rieducativa della pena”. Mancano 40 agenti rispetto alle previsioni. “È necessario istituire un tavolo tecnico permanente per la gestione della emergenza sanitaria nel carcere di Lecce”. Lo chiede con un’interrogazione al Ministro della Giustizia la senatrice Adriana Poli Bortone, presidente nazionale di Io sud che ha evidenziato i “gravissimi disagi” in cui versa la casa circondariale di Lecce: “Il sovraffollamento della struttura - si legge in una nota - non permette a pieno il rispetto della dignità dei detenuti e l’applicazione della essenziale funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere. Nel carcere di Lecce sono rinchiusi 1. 455 detenuti a fronte di una capienza ottimale di 659 unità. Le attuali risorse umane a disposizione sono insufficienti: l’organico del personale di Polizia Penitenziaria è carente di circa 40 unità rispetto alla pianta organica stabilita dal D.M 236/2001. Inoltre il Dap ha confermato l’indisponibilità di ulteriori risorse umane e finanziarie. A fronte di questa gravissima situazione, sarebbe doveroso operare, specifica senatrice, affinché venga attivato un tavolo tecnico permanente in particolar modo per l’emergenza sanitaria”. Imperia: Sappe; carceri sovraffollate a e polizia penitenziaria carente di organico Comunicato stampa, 19 aprile 2011 Sentiamo il forte dovere sindacale di comunicare ai media della carta stampata e quelli informativi on-line, che il ritorno del pienone di detenuti nelle due carceri della provincia di Imperia desta non poche preoccupazioni. Al carcere di Sanremo non ci sono più posti liberi per ospitare nuovi “clienti” separati dalla società. Il rischio è veramente grosso per tutti, compresa la cittadinanza sanremese per le minatorie condizioni in cui versa attualmente l’istituto penitenziario di valle Armea stracolmo di persone ristrette. A fronte dei 209 posti letto siamo oramai al superamento dei 370 detenuti stipati in quel di Sanremo, la problematica ulteriore e quella di maggiore rilievo, risulta essere la esponenziale promiscuità di etnie: tunisini algerini, albanesi, romeni, libici, e uno sparuto numero di italiani fanno si che la gestione è diventata problematica e di totale caos, dove ottemperare alle regole è pura utopia, e questo accade di solito quando il carcere diventa centro di accoglienza immigrati clandestini perdendo la sua legittimazione giuridica. Questi numeri forniti, cozzano non poco con la gravissima carenza di personale di polizia penitenziaria: mancherebbero all’appello oltre 80 unita che all’atto dell’apertura del nuovo complesso risultavano presenti, tra distaccati, trasferiti e pre-pensionati la polizia penitenziaria sanremese ci ha rimesso proprio tanto assottigliandosi notevolmente. Diversi servizi ex-attivi hanno subito una soppressione ed un annullamento, proprio per quella assenza fisica di uomini e donne del corpo, mentre altri servizi purtroppo accorpati sulle spalle di unici operatori creano in questo momento il tipico sbandamento dove si tenta di fare tutto ma poi alla fine si conclude nel nulla. Per elencarne alcune delle sole attività accorpate indichiamo quelle maggiormente sentite: le telefonate tra detenuti e familiari sono rimesse al controllo di un solo operatore il quale deve seguire il lavoro dal mattino fino alle 21/22 di sera. Di notte dalle 13-14 unità destinate alla copertura della sorveglianza notturna, spesso capita che solo 7-8 unità fronteggiano questo orario. di giorno in una sezione detentiva ordinaria con una portata di 70-80 detenuti e con le attività sportive ,ricreative e giudiziarie in continua fermentazione resta un solo operatore a far fronte a quella che dovrebbe essere ipoteticamente il controllo e l’osservazione sui ristretti, fatto davvero paradossale da qualunque punto di vista, il quadro personale è pietoso e non può durare a lungo questo stato di cose, chiediamo da subito, come Sappe, primo sindacato di categoria con circa 11.000 iscritti sul territorio nazionale, che avvenga con urgenza uno sfollamento verso altri istituti meno congestionati , ciò per dare respiro all’intero sistema ormai in alto mare da almeno un anno e mezzo. Il Sappe Liguria vuole auspicare che si facciano urgenti interventi per mantenere la situazione nell’ordine e nella disciplina che per regolamento dovrebbe vigere nel penitenziario, chiediamo il rispetto soprattutto delle minime condizioni di igiene e salubrità degli ambienti dove decine e decine di baschi azzurri operano con serietà e professionalità , senza mai venir meno sotto l’aspetto umano attesa infatti la cronica promiscuità etnica presente, dimostrando imparzialità di trattamento veramente encomiabile. il sovraffollamento della casa circondariale di Sanremo, e non meno quello di Imperia, fa pensare di essere su una bomba ad orologeria , i vertici locali e regionali devono prendersi onori ma anche oneri, bisogna mettere mano al decongestionamento dell’istituto che oltre alle diverse razze umane ingloba al suo interno anche una sezione separata di detenuti malati e di una per ristretti reo di essersi macchiati di reati a sfondo sessuale , per poi passare da un braccio destinato per coloro cosiddetti collaboratori di giustizia alta sicurezza, non si può pensare continuare a pretendere dal personale sempre e a lungo la stessa resa e la stessa concentrazione ancora per molto. l’auspicio del Sappe e che prima del periodo caldo si faccia qualcosa di importante per alleviare sia la problematica sovraffollamento e sia quella della carenza di personale al momento in deficit numerico e in affanno lavorativo. Per queste ragioni a breve si chiederà un incontro con il personale e con la direzione onde cercare di trovare miglioramenti lavorativi che mai pensiamo di trascurare essendo da sempre attenti a queste questioni. Sappe Liguria Sindacato autonomo polizia penitenziaria Bollate: riunioni di culto stabili della Chiesa cristiana evangelica “Semplicemente Amore” Il Giorno, 19 aprile 2011 Dopo un anno di attività assistenziale nelle carceri di Bollate e Monza la chiesa cristiana evangelica Semplicemente Amore segnala l’inizio di riunioni di culto stabili, concordate con le direzioni delle due case circondariali. Da sei settimane a Monza si è iniziato il culto nella sezione carceraria con cadenza settimanale. A Bollate, invece, il culto si terrà ogni quindici giorni. Sull’esperienza che la chiesa Semplicemente Amore ha avviato nelle carceri, abbiamo chiesto l’opinione del responsabile di questa comunità evangelica, Riccardo Tocco, “ministro di culto munito di decreto ministeriale”, che sta svolgendo direttamente l’attività. “La realtà carceraria rimane un pianeta staccato dalla società in cui regole, ritmi di vita, relazioni umane, il vissuto del reato e della pena, s’infrangono quotidianamente con la personalità di ogni uomo o donna reclusi. Solo il sostegno della Parola di Dio e del Suo Spirito permette a chi aiuta i detenuti di poter entrare in una confidenza vera e non formale con loro. In quest’anno si sono creati rapporti di stima e di fiducia sul piano umano, ma soprattutto si è costituito un terreno di confronto e di ascolto intorno ai valori cristiani che fondano la relazione con Dio. Si è iniziato ad avere un primo colloquio con un detenuto presso il carcere di Monza nel 2009, e ora, solo in quel carcere, si stanno seguendo nove detenuti uomini e due donne. Bollate è altrettanto stimolante. Qui i detenuti che seguiamo ormai sono quasi venti, tanto che si fanno due riunioni di gruppo, una il mattino e una il pomeriggio, in relazione alle molteplici attività interne alla sezione, oltre a colloqui individuali”. “In entrambe le strutture - prosegue Riccardo Tocco - gli interventi del ministro di culto si appuntano su tre filoni principali di attività: assistenza spirituale, insegnamento della Parola, e ora, culti. In previsione vi sarà la possibilità di assicurare ai detenuti la consulenza spirituale e, per chi lo vorrà, corsi battesimali e battesimi “nelle acque”. Infine abbiamo iniziato anche a usufruire dei percorsi riabilitativi del Progetto Figli del Padre, patrocinato dal Comune e Provincia di Milano, Regione Lombardia, Sunia e Coeli - la neonata Conferenza evangelica Lombardia - che vede insieme la chiesa Semplicemente Amore, chiesa Corpo di Cristo, Remar, Semplicemente Amore onlus e la cooperativa sociale Naturalia, per il reinserimento dei detenuti ai domiciliari o dopo la pena”. “Speriamo davvero - conclude Riccardo Tocco - che la collaborazione tra i ministri di culto evangelici e le organizzazioni del volontariato evangeliche possano creare una rete spirituale e sociale, ognuno con il proprio ruolo, per aiutare a rialzare chi è caduto”. Gorgona (Li): grazie alla Regione riprendono i collegamenti via traghetto con la costa Il Tirreno, 19 aprile 2011 Riprendono i collegamenti tra l’isola di Gorgona e la terraferma: un traghetto di una compagnia armatrice incaricata dalla Toremar da domani tornerà a fare la spola tra Livorno e l’isola carceraria, con la soddisfazione dei familiari dei detenuti, di chi lavora nel penitenziario ma anche dei pur pochi residenti, non più di alcune decine. “La Regione - spiega l’assessore ai trasporti della Toscana, Luca Ceccobao - si è impegnata da subito per garantire il diritto alla mobilità dei parenti dei detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e dei residenti. Grazie al contributo di Toremar è stata trovata una soluzione che supera le difficoltà pratiche dell’assenza a Gorgona di un approdo e che garantisce un servizio appropriato, in piena sicurezza per i passeggeri”. Televisione: questa mattina il “caso Saturno” su “I Fatti Vostri” di Rai2 Ansa, 19 aprile 2011 La trasmissione di Rai2, “I fatti vostri”, ha affrontato questa mattina il problema del presunto suicidio del manduriano Carlo Saturno, il ventitreenne trovato in fin di vita appeso alla sbarra del letto a castello di una cella del carcere di Bari dove era rinchiuso. A discutere la questione nella piazza virtuale ricostruita nello Studio 1 di Via Teulada a Roma, Giancarlo Magalli, Adriana Volpe, Marcello Cirillo, Paolo Fox e Anna Saturno, sorella di Carlo. Sulla morte del manduriano la Procura della Repubblica di Bari ha aperto un’inchiesta per induzione al suicidio. Un altro esposto è stato invece presentato dalla famiglia Saturno con l’ipotesi di omicidio colposo. L’esame sommario sul corpo avrebbe escluso la presenza di lesioni sul corpo del giovane che il giorno prima il presunto suicidio aveva avuto una colluttazione con alcune guardie penitenziarie. Saturno, inoltre, si era costituito parte civile nel processo contro 9 agenti di polizia giudiziaria dell’ex carcere minorile di Lecce accusate di aver esercitato violenze e soprusi sui minorenni detenuti tra cui lo stesso Saturno. L’ultima udienza del processo che si è tenuta quando Saturno era in coma, ha rinviato tutto a giugno del 2012 a prescrizione già avvenuta. Il ventitreenne manduriano era uno dei tre coraggiosi testimoni che avevano accettato di testimoniare contro le guardie imputate. Stati Uniti: iniezione letale, troppo doloroso il nuovo protocollo di Giovanna Dall’Ongaro www.galileonet.it, 19 aprile 2011 Cleve Foster, un ex militare di 47 anni condannato a morte per omicidio in Texas, a quest’ora sarebbe dovuto essere già morto. La sua esecuzione era prevista per il 5 aprile scorso. Ma il boia, già pronto a somministrare i tre farmaci dell’iniezione letale, è stato fermato da un provvidenziale intervento della Corte Suprema che ha imposto quella che gli americani chiamano “la sospensione dell’undicesima ora”. Qualche giorno prima la stessa sorte favorevole era toccata a Daniel Cook, detenuto dal 1987 nel braccio della morte in un penitenziario dell’Arizona. La decisione che ha, almeno per ora, salvato la vita ai due detenuti è stata presa perché in entrambi i casi nell’iniezione letale sarebbe entrato in azione un nuovo anestetico, il pentobarbital, chiamato a sostituire l’oramai introvabile pentotal. Ecco il dubbio della Corte Suprema: è capace la nuova sostanza di evitare inutili sofferenze? Sembrerebbe di no. Almeno secondo quanto sostiene un documento della American Civil Liberties Union (Aclu), la potente organizzazione per la difesa dei diritti dei cittadini statunitensi, firmato insieme alla NorthWestern School of Law: il nuovo farmaco provoca un dolore talmente acuto che l’American Veterinary Medical Association lo ha addirittura escluso dalle procedure di eutanasia per cani e gatti. A fare da cassa di risonanza oltre oceano alla denuncia dell’Aclu ci ha pensato il British Medical Journal che, seguendo una consolidata tradizione abolizionista (vedi Galileo), riassume le critiche mosse all’amministrazione penitenziaria del Texas che, trovandosi a corto di pentotal, ha deciso di adottare il nuovo protocollo. Innanzitutto, dice la Aclu attraverso il Bmj, la decisione di sostituire il pentotal con il pentobarbital, è stata presa da personale inesperto. Un Master in Business Administration, qualifica di cui può vantarsi il direttore del Correctional Institutions Division, l’organismo competente delle modifiche del protocollo delle esecuzioni, non garantisce certo un’approfondita analisi sui rischi del farmaco. Gli animali sono più tutelati: le linee guida per l’eutanasia sono, giustamente, redatte da equipe di scienziati. Nel caso del Texas, invece, le scelte sono prese da burocrati e impiegati senza competenze mediche, incuranti delle perplessità sollevate dagli anestesisti. Inoltre, prosegue il documento, non si sa nulla sulla formazione del personale incaricato di somministrare l’iniezione. Chi lo istruirà? E come? Ma, entrando in macabri dettagli, il vero nocciolo della questione riguarda le scadenti prestazioni del farmaco, che non promette proprio ciò che dovrebbe fare: annullare il dolore mentre il corpo viene paralizzato dal secondo farmaco (pancuronio) e il cuore smette di battere sotto l’effetto del terzo letale ingrediente (cloruro di potassio). Tutto ciò somiglia troppo alla tortura per venire accettato persino da uno Stato forcaiolo come il Texas, che nel codice per le esecuzioni capitali vieta esplicitamente trattamenti dolorosi e sofferenze inutili. Iran: sei anni di carcere alla attivista e reporter Khosrovani Aki, 19 aprile 2011 È stata condannata a sei anni di reclusione la giornalista iraniana attiva nell’ambito dei diritti umani Nazanin Khosrovani. Lo riferisce il sito web d’opposizione “Iranpressnews”, spiegando che la Khosrovani è stata riconosciuta colpevole dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran per aver attentato alla sicurezza nazionale, facendo propaganda contro la Repubblica Islamica e per aver organizzato raduni e manifestazioni anti-governative. Farideh Qeirat, il legale della Khosrovani, ha contestato la condanna, annunciando le intenzioni della difesa di ricorrere in appello. La Khosrovani ha collaborato con diversi giornali riformisti quali Noruz, Bahar e Kargozarane Sarmayeh. Tutti e tre i quotidiani, negli ultimi anni, sono stati chiusi su ordine delle autorità competenti della Repubblica Islamica. La Khosrovani, arrestata a novembre 2010 a Teheran, è stata rilasciata su cauzione lo scorso marzo, dopo aver trascorso 132 giorni di reclusione nel carcere di Evin. La giornalista iraniana si occupa principalmente di tematiche inerenti i diritti umani.