Giustizia: processi e pene per ricchi… processi e pene per poveri di Patrizio Gonnella MicroMega, 18 aprile 2011 La giustizia penale italiana è fortemente selettiva. Una selezione fondata su condizioni di censo, di status, di origine etnica, geografica e sociale. È una giustizia a due velocità: inesorabile, dura e in taluni casi eccessiva per chi non ha mezzi finanziari e culturali per sostenere una adeguata difesa tecnica; inefficace, lenta se non addirittura svuotata di potere per chi si può pagare un buon avvocato. Le garanzie processuali - spesso ridotte ad alchimie procedurali e a tecniche dilatorie - sono nelle disponibilità soltanto di chi può permettersi uno studio legale rinomato. La fotografia delle carceri italiane è specchio di questo doppio binario della giustizia. La legge ex Cirielli fu il manifesto di questa giustizia selettiva e iniqua: tempi brevi di prescrizione per i reati dei ricchi; più pene e meno benefici penitenziari per i reati dei recidivi e quindi dei poveri. La prescrizione breve di cui si parla oggi vale per gli incensurati. Ma chi è l’incensurato nella quotidianità dei tribunali e delle prigioni italiane? Il suo identikit è quello dell’omicida passionale, del terrorista, del capo-clan mafioso, del corruttore, del concussore, del pedofilo. Chi è invece il recidivo? È il consumatore-spacciatore di sostanze stupefacenti, l’immigrato che non ottempera all’obbligo di espulsione, colui che vive di piccoli espedienti. Il Totò Riina o il Cesare Previti di turno, una volta scoperti, processati e condannati, non hanno tempo o chance di ricadere nello stesso crimine, o perché (questo è il caso di Totò Rina) condannati a pene lunghissime o perché (questo è il caso di Cesare Previti) sanno o capiscono che non devono farsi beccare di nuovo una volta scontata la pena (che nel suo caso è durata pochi istanti). Le sovraffollate galere italiane sono strapiene di recidivi e hanno ben pochi detenuti al primo reato della loro vita. Con il nuovo processo breve, di recente approvazione alla Camera, il Pdl è ulteriormente andato avanti nella direzione di una giustizia inclemente per i poveri e indulgente per i benestanti. La differenziazione dei tempi, e quindi dei destini processuali, a seconda se una persona è incensurata o recidiva, rende diseguale non solo la fase esecutiva della pena ma anche quella dell’accertamento della verità. Sarà la Corte Costituzionale a dire se è violato l’articolo 3 della nostra Carta fondamentale. Sappiamo di sicuro che grazie ai buoni uffici dell’onorevole Paniz la giustizia penale sarà trasformata definitivamente per legge in una giustizia di classe. Giustizia: al via una campagna per abolire gli Opg, oggi ci vivono 1.300 persone Dire, 18 aprile 2011 “Chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari: un vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese per le condizioni aberranti in cui versano 1.300 nostri concittadini, 300 dei quali potrebbero uscirne fin da ora”. È il tema della conferenza stampa in programma per domani presso la sede della Regione Toscana in Via Parigi 11 alle 11. A promuoverla è il comitato Stop Opg, costituito da diverse associazioni, tra queste anche la Cgil e la Fp Cgil, che per l’occasione presenterà la campagna nazionale contro gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Queste le associazioni promotrici del comitato Stop Opg: Forum Salute Mentale, Forum per il diritto alla Salute in Carcere, Cgil nazionale, Fp Cgil nazionale, Antigone, Centro Basaglia (Ar), Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia, Associazione “A buon diritto”, Fondazione Franco e Franca Basaglia, Forum Droghe, Psichiatria Democratica, Unasam, Società della Ragione, Sos Sanità, Coordinamento Garanti territoriali dei detenuti, Cittadinanzattiva, Gruppo Abele, Grusol, Cnca. Giustizia: D’Antoni (Ugl); siamo in prima linea contro dramma suicidi in carcere Italpress, 18 aprile 2011 “È del 15 aprile il più recente intervento della polizia penitenziaria, ormai giornalmente impegnata in prima linea contro questo fenomeno che da gennaio 2011 ad oggi nelle carceri italiane ha visto circa 250 tentativi di suicidio”. Ad affermarlo in una nota è Francesco D’Antoni, segretario regionale in Sicilia dell’Ugl Polizia Penitenziaria, che si dice preoccupato per questo “dramma delle carceri”. “I detenuti sottratti a morte certa dagli agenti della polizia penitenziaria, nello stesso periodo, sono stati - aggiunge - circa 60, mentre sono stati 18 i suicidi di detenuti in cella e due i suicidi di agenti penitenziari. Sono dati - conclude D’Antoni - che danno il senso reale della gravità di tutto quel che sta accadendo sotto gli occhi di tutti nel mondo delle carceri italiane, motivo per cui la nostra organizzazione denuncerà senza mezzi termini il dramma delle carceri nazionali su tutti i livelli di interlocuzione sindacale sia regionale che nazionale”. Giustizia: Sarno (Uil); poco personale e pochi soldi, nelle carceri una Pasqua di passione Ansa, 18 aprile 2011 “Per chi lavora ed opera nelle frontiere penitenziarie italiane è ben evidente che la prossima Pasqua sarà sempre più sinonimo di passione e dolore e non già di gioia e resurrezione. A confermare questa tesi ci soccorrono i numeri, nella loro spietata esattezza”. Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, fa il punto di quanto accaduto nelle ultime settimane nelle carceri italiane “Ancora una volta la polizia penitenziaria ha rischiato di pagare un salatissimo dazio alla macchina del fango. La morte suicida del giovane Marco Saturno, nel carcere di Bari, ha fatto riemergere, e non solo nella stampa, quei pregiudizi, evidentemente mai sopiti, nei confronti dei poliziotti penitenziari considerati spietati aguzzini invece che ultimi baluardi a difesa della dignità e della vita umana nelle degradate galere italiane. A riprova di ciò il salvataggio operato dai poliziotti in servizio nel carcere di Parma che, venerdì scorso, hanno salvato da morte certa un detenuto sottoposto al 41-bis che aveva tentato il suicidio. Un detenuto che solo pochi giorni prima, in due distinte occasioni, aveva aggredito e ferito un medico, il Vice Comandante, il Direttore e sei agenti penitenziari. Solo in questo mese di aprile - ricorda Sarno - la polizia penitenziaria ha salvato la vita ad altri sei detenuti ad Avellino, Venezia, Frosinone, Viterbo, Bari, Vicenza che avevano tentato di evadere dalle proprie vite. Di contro, nello stesso periodo, la polizia penitenziaria annovera tra le sue fila ben 18 agenti aggrediti e feriti da detenuti (82 dall’inizio del 2011) con prognosi superiori ai sette giorni. Ma di questo nei rendiconti giornalistici non c’è traccia”. L’analisi della Uil Pa Penitenziari non lascia adito a dubbi sulla reale situazione carceraria italiana. “Il numero di detenuti ristretti continua ad essere incompatibile con la ricettività possibile della strutture penitenziarie (67.800 detenuti a fronte di circa 43mila posti disponibili). Nonostante la dichiarazione di emergenza del sistema penitenziario decretata dal Governo Berlusconi per due anni di seguito, i fondi stanziati si riducono considerevolmente. Tra qualche settimana, infatti, le direzioni degli istituti penitenziari non saranno più in grado di far fronte al pagamento delle spese fisse (acqua, luce, gas, telefono), non potranno più garantire l’acquisto di carburante per i mezzi di trasporto (servizio traduzioni) e dovranno fare miracoli per garantire il vitto giornaliero (colazione, pranzo e cena) con una quota pro capite di circa 3,40 € per ciascun detenuto. Il personale di polizia penitenziaria, già sovraccaricato di turni e carichi di lavoro insostenibili, dovrà continuare a lavorare e garantire sicurezza senza percepire le spettanze economiche derivanti dall’espletamento di servizi straordinari e dai servizi di missione”. Per la Uil Pa Penitenziari il quadro, allarmante e grave, delle criticità che avvolgono l’universo penitenziario meriterebbe maggiore attenzione da parte del Governo e del Parlamento. “Prima che sia troppo tardi vogliamo auspicare che il Ministro Alfano, ma l’intero Governo, recuperino attenzione verso quanto accade nei nostri istituti di pena e per chi vi ci lavora. La questione penitenziaria non è solo una grave questione sociale. Essa è anche una questione sanitaria, umanitaria e di ordine pubblico. Dopo il tour de force messo in campo su alcune questioni di giustizia - conclude Eugenio Sarno - ci piace pensare che il Governo ed il Parlamento vogliano calendarizzare una sessione davvero propedeutica all’analisi ed alle soluzioni di quelle criticità che affogano il sistema penitenziario nell’inciviltà, nel degrado e nell’inefficienza. Semmai anche con sedute notturne. Oltre a recuperare i fondi per pagare le spettanze al personale e stornare dall’alveo delle disponibilità economiche per il piano carceri (fantasma) gli stanziamenti per gli interventi di manutenzione straordinaria verso le tante strutture che rischiano seriamente di crollare, occorre accelerare sulle assunzioni ma , soprattutto, definire una vera politica penitenziaria. Misure e pene alternative alla detenzione e circuiti penitenziari omogenei e definiti sono le soluzioni immediate e imprescindibili alle attuali emergenze”. Giustizia: “Via le Br dalle procure”… o via le “Politiche dell’Emergenza” dall’Italia? di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 18 aprile 2011 Dalla fine degli anni 70 molti governi e parecchie forze parlamentari hanno delegato alla magistratura la patata bollente costituita da una serie di problemi come la lotta armata, la corruzione della classe politica, la violenza omicida della mafia prefinanziaria, la tossicodipendenza e l’immigrazione. Su questa base, e non perché alcuni magistrati avrebbero formato una sorta di avanguardia rivoluzionaria, è cresciuto il peso dell’ordine della magistratura, un ordine - si badi bene - che secondo la Costituzione a non può essere un terzo potere oltre il potere esecutivo (del governo) e il potere legislativo (del parlamento). La carta costituzionale non prevede un eccessivo peso alla magistratura ma tutte le “Politiche dell’Emergenza” hanno stravolto quel principio e reso antiegualitarie e “meritocratiche” le leggi speciali, cioè le misure legislative a favore di “pentiti” e “dissociati” - tutti rei confessi - e a danno dei loro coimputati. Solo a partire da Tangentopoli, cioè oltre un decennio dopo la nascita della moda emergenzialistica, le principali forze politiche di centro-destra e di centro-sinistra si sono divise nettamente in relazione al ruolo della magistratura. Al tempo stesso hanno però continuato a promuovere sempre nuove “Politiche dell’Emergenza” e quest’ultime, col passar del tempo e sia pur in piccolissime dosi, sono diventate una specie di boomerang lanciato dalla classe dirigente e dominante e poi tornato indietro, con maggior forza, allorché proprio in tale classe si è dischiusa una specie di guerra tra le sue maggiori fazioni, una lotta aspra tra berlusconismo e antiberlusconismo. I tifosi della prima fazione ritengono che certi magistrati svolgano un ruolo giacobino, brigatista o, in genere, rivoluzionario. Altri, all’opposto, difendono la magistratura nel quadro dello status quo. Proprio negli ultimi giorni, ad esempio, sono apparsi dei manifesti con il demenziale slogan “via le Br dalle procure”. Il ministro della Giustizia Alfano, per buona fortuna, ha condannato fermamente la loro affissione in maniera molto precisa e senza neppure mezzo commento antistorico. Il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati ha invece diffuso un comunicato per precisare “che a Milano le Br in Procura ci sono state davvero: per assassinare magistrati”. Il procuratore voleva ricordare i magistrati Emilio Alessandrini e Guido Galli, uccisi rispettivamente il 29 gennaio 1979 e il 19 marzo 1980, ma ha dimenticato un fatto storico e giuridico di carattere fondamentale: quei due omicidi furono rivendicati e commessi da persone (poi diventate per lo più “pentite” o “dissociate”) appartenenti all’organizzazione di estrema sinistra chiamata Prima Linea. La tesi secondo cui le Br avrebbero ucciso Alessandrini e Galli è quindi falsa quanto quella relativa al presunto carattere rivoluzionario di alcuni magistrati di Milano. La storia, ben più che la legge, non ammette l’esistenza di tesi così opposte e così unite nell’essere prive di fondamento. Anzi, se proprio la vogliamo dire tutta, il presupposto di ogni progresso effettivo, in qualsiasi ambito della vita sociale, è la ricerca e l’acquisizione della verità e non certo la diffusione di messaggi dal contenuto falso. Per discutere in termini costruttivi sulla causa fondamentale della malagiustizia in Italia bisogna ragionare con estrema saggezza e senza puntare il dito contro Tizio o Sempronio. Da questo punto di vista, non sembra inutile precisare che la giustizia, cioè una giustizia degna del suo nome, non ha nulla in comune col giustizialismo e con le gogne mediatiche e nemmeno con gli attacchi calunniosi verso questo o quel magistrato. La giustizia è, assieme al rispetto della dignità altrui a partire da quella dei soggetti più svantaggiati, lo studio per la libertà dalle “Politiche dell’Emergenza” vecchie e nuove, fattori che in Italia, sovraffollandola, hanno mandato in corto circuito la macchina carceraria dello Stato. Tre decenni di penalistiche e carcerarie “Politiche dell’Emergenza” dimostrano che spendere più denaro per le carceri significa, contemporaneamente, investire di meno nella prevenzione dei reati, nell’istruzione, nelle attività educative, nella ricerca scientifica e nel campo dell’equità sociale. Significa di fatto ridurre le spese indispensabili alla riproduzione allargata delle forze produttive sociali e quindi aumentare l’insicurezza di tale riproduzione. Più carcere non significa più sicurezza ma esattamente il contrario. Questa è la verità. Giustizia: il fallimento delle ronde; solo dieci registrate, tra Varese, Milano e Treviso di Antonello Cherchi Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2011 Nel registro delle prefetture iscritte sette associazioni in provincia di Varese due a Milano e una a Oderzo (Treviso). La voglia di ronde è rimasta solo a Varese e dintorni. Lì le cosiddette associazioni di osservatori volontari iscritte nel registro della prefettura sono ben sette: una in città e il resto sparso sul territorio. Alcune ronde servono più comuni, che in nome della sicurezza si sono consorziati. Usciti, però, dalla provincia di Varese, di volontari dell’ordine pubblico si trova traccia solo a Milano (due associazioni di poliziotti) e in provincia di Treviso (una a Oderzo). Per il resto, niente. Le pagine di tutte le altre prefetture del Nord - dove la Lega ha il proprio cuore pulsante - sono rimaste bianche. Immacolate. Nessun iscritto a Torino, Asti, Cuneo. Zero associazioni a Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Novara, Pavia, Sondrio, Verbania. Il vuoto assoluto a Venezia, Vercelli, Vicenza, Bolzano, Trento, Udine, Pordenone. Neanche a parlarne, poi, a Bologna e Reggio Emilia. È il quadro che risulta dalle risposte delle singole prefetture. Inutile, infatti, cercare un monitoraggio sistematico presso il ministero dell’Interno, dove sostengono che la loro rilevazione per ora è parziale. Insomma, all’appello voluto dal partito di Umberto Bossi che per avere le ronde ha fatto un forsennato pressing anche di fronte ai mal di pancia della stessa maggioranza, tanto da inserirle nella primavera 2009 nel decreto legge sulla sicurezza, salvo poi dirottarle in un disegno di legge - non ha risposto praticamente nessuno. Sarà anche per questo che di recente la Lega ha proposto un disegno di legge sugli eserciti regionali, poi ritirato. Eppure all’epoca sembrava che gran parte del Nord non aspettasse altro: scendere in strada per garantire ordine e sicurezza. E ormai è trascorso quasi un biennio da allora, perché è nell’agosto 2009 che il regolamento ha dato piena attuazione alla norma sulle ronde. O, come si è deciso di ribattezzarle, degli “osservatori volontari”. Il decreto ha fissato rigidi paletti: le associazioni devono essere iscritte nel registro tenuto dalla prefettura, non devono essere riconducibili a movimenti politici o a tifoserie, devono svolgere la loro attività senza fini di lucro. I gruppi, poi, che vanno per strada devono essere formati al massimo da tre persone (di cui una con più di 25 anni di età), non devono avere con sé armi o altri oggetti, né cani, ma solo la ricetrasmittente o il telefonino con i quali mettersi in contatto con le forze di polizia. E devono essere riconoscibili mediante un giubbotto senza maniche di cui il decreto ha fissato le caratteristiche. Regole che hanno spento gli entusiasmi di chi non vedeva l’ora di trasformarsi in un guardiano della sicurezza assai più operativo. Da qui il fallimento. Che non si può certo imputare allo stop della Consulta, intervenuto, tra l’altro, l’estate scorsa. La Corte ha, infatti, censurato solo la parte che riconosceva agli osservatori la possibilità di segnalare anche situazioni di disagio sociale, settore che non può essere disciplinato dallo Stato, ma dalle regioni. È rimasto, dunque, intatto tutto il fronte della sicurezza pubblica. Ma le ronde continuano a latitare. Lombardia: Sappe; emergenza affollamento, situazione drammatica nelle carceri Ansa, 18 aprile 2011 “La Lombardia è la Regione d’Italia nella quale sono stabilmente e complessivamente quasi 10 mila le persone detenute (erano 9.494 il 31 marzo scorso, 633 donne e 8.861 uomini) mentre la capienza regolamentare nei 19 penitenziari regionali è di circa 5.600 posti letto. Drammatiche le carenze di organico nella Polizia Penitenziaria: complessivamente in Lombardia mancano ben 1.300 unità! Questo costante e pesante sovraffollamento fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. La mia presenza qui vuole essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi dei colleghi della Lombardia e la scelta di celebrare il nostro Consiglio regionale del Sappe nel carcere di Milano San Vittore vuole proprio testimoniare la nostra gratitudine a tutti i Baschi Azzurri del Corpo per quello che fanno ogni giorno nelle carceri milanesi e lombarde”. Lo afferma Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il che questa mattina a Milano, nel carcere di San Vittore, presiede il Consiglio regionale del subdacato al quale partecipano, oltre al Segretario nazionale Sappe per la Lombardia Franco Di Dio, i rappresentanti ed i delegati delle 19 carceri della Regione. “In Lombardia ogni giorno si fa sentire concretamente l’emergenza sovraffollamento, con i disagi che questa comporto. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria, Corpo di Polizia dello Stato che lamenta in Lombardia gravissime carenze di organico quantificate in 1.300 unità. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena lombardi per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari talvolta nemmeno pagati, salvando la vita ai detenuti che tentano ogni giorno di suicidarsi in carcere o che reagiscono con l’aggressività nei confronti dei Baschi Azzurri del Corpo al crescente sovraffollamento?”. Campania: Lisiapp; situazione drammatica per la polizia penitenziaria Il Velino, 18 aprile 2011 Gli agenti in agitazione nella regione per chiedere la risoluzione delle numerose problematiche che affliggono il corpo. Una situazione ormai senza via di uscita è ciò che contraddistingue le condizioni, l’organizzazione e la vivibilità lavorative del Personale di Polizia Penitenziaria nei reparti dell’intero territorio nazionale e in particolare della regione Campania. Esordisce cosi una nota delle OO.SS. del corpo della polizia penitenziaria tra cui il Li.Si.A.P.P. (Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria) per voce del suo Segretario Generale il Dott. Mirko Manna, di cui aggiunge che a fronte di un sovraffollamento che ha raggiunto punte estreme in ogni luogo di detenzione, alla carenza di mezzi, di fondi e di supporti, alle numerose aggressioni quotidiane e alle preesistenti carenze di organico del corpo, il personale vive in uno stato di sfiducia nella sicurezza personale e nella sua operatività. A questo sottolinea Manna si aggiungono difetti ed insufficienze negli Organi dell’Amministrazione penitenziaria centrale e periferica deputati alla programmazione ed alla equa distribuzione delle risorse rispetto alle esigenze, al controllo delle molteplici situazioni di disagio persino per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti minimi lavorativi e sindacali, ed alla assunzione di immediati correttivi. Tali condizioni, fanno notare dal Li.Si.A.P.P., prendono aspetti rilevanti e gravi, benché generali e diffuse, assumendo tinte ancora più oscure nelle regioni quali la Campania in cui, risulta una gravissima carenza di personale di Polizia penitenziaria ,una gravissima situazione di sovraffollamento dei penitenziari, e in ultimo una gravissima carenza di automezzi del Corpo per lo spostamento dei detenuti e la mancanza di fondi per la manutenzione dei veicoli disponibili. E ancora: straordinari arretrati e non liquidati, e mancata di distribuzione del vestiario. In tale prospettiva, infine continua il Segretario Generale Li.Si.A.P.P. stante anche l’assoluto stallo dal punto di vista politico, nelle scelte essenziali e per la sopravvivenza del Corpo di Polizia Penitenziaria e dell’intera Istituzione, la Polizia Penitenziaria dei reparti della regione Campania ha estrema necessità di portare alla luce le problematiche del corpo e rendere edotti i cittadini che la sicurezza passa anche attraverso un Sistema Penitenziario efficiente ed efficace, che, rendendone impossibile l’azione quotidiana, ne opprime e svaluta la professionalità ed il ruolo di salvaguardia della legalità all’interno delle strutture penitenziarie e dei vari servizi d’istituto assunti in questi anni. Marche: Ombudsman; in crescita pratiche per i detenuti, 136 avviate nel 2010 Ansa, 18 aprile 2011 Nel 2010 crescono del 5,7%, rispetto all’anno precedente, i casi trattati dall’Ombudsman delle Marche e riguardano soprattutto i detenuti. Su 890 casi trattati, 589 riguardano la difesa civica, 165 i diritti dei minori e 136 quelli dei detenuti, con l’apertura di circa 10 nuovi casi al mese a partire dal gennaio 2011. Altro settore critico è quello degli abusi sull’infanzia. A questo proposito è stata avviata una mappatura che ha coinvolto gli insegnanti attraverso un corso di formazione. Il percorso prevede il collegamento degli insegnanti, ‘sensori’ primari del malessere dei minori, con tutte le strutture che ruotano intorno a bambini e adolescenti. Padova: detenuti di 38 anni muore in cella, aperta un’inchiesta Il Mattino di Padova, 18 aprile 2011 Stava male. Stava sempre peggio di ora in ora. Ieri mattina Fabrizio Rigolon, vicentino di 38 anni rinchiuso nella casa di reclusione Due Palazzi ha chiesto aiuto e gli agenti di polizia penitenziaria lo hanno accompagnato in infermeria dov’è stato visitato dalla guardia medica. Poi il trasferimento in cella: evidentemente il medico (una dottoressa) ha ritenuto che l’uomo, di cui per ora non sono state fornite le generalità, non avesse nulla (o nulla di grave) oppure non ha forse del tutto creduto alle sue lamentele. Poche ore più tardi è morto: a scoprire il suo corpo senza vita, intorno alle 17 di ieri, sono stati i compagni di cella che si sono accorti che il compagno non si muovesse più dalla branda sulla quale si era steso appena rientrato dalla visita. Che cosa ha ucciso il detenuto? All’interrogativo dovrà rispondere l’autorità giudiziaria. Immediatamente è stata avvertito il pm Orietta Canova che ha aperto un’inchiesta e oggi ordinerà l’autopsia. Il trentottenne è stato condannato per truffa e altri reati per i quali avrebbe finito di scontare la pena nel 2016. Quella di ieri è l’ennesima morte dentro il carcere padovano. Il problema è garantire tutela alla vita umana e rispetto al diritto alla salute dei detenuti. Giampietro Pegoraro, coordinatore padovano della Cgil Fp Polizia penitenziaria, dice:” È una morte che, anche se non si tratta di suicidio, denota scarsa assistenza sanitaria verso i detenuti. Non si può morire a 38 anni, all’improvviso, in cella. In carcere la sanità deve funzionare come all’esterno. Chiediamo chiarezza su quest’altra morte”. Viterbo: detenuto di 30 anni trovato morto in cella, la Procura ha disposto l’autopsia Ansa, 18 aprile 2011 Si è sentito male nella sua cella la sera di sabato scorso. Il medico, allertato dal compagno di detenzione, è intervenuto immediatamente provando anche la rianimazione, ma tutto è stato vano. E’ morto così, nel carcere di Viterbo, un senegalese di 30 anni, Dioune Sergigme Shoiibou. Il decesso è stato reso noto dal Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L’uomo sarebbe morto per decesso cardio-circolatorio, ma l’ufficialità è legata all’esito dell’autopsia che è stata disposta dal magistrato. Secondo le informazioni a disposizione dei collaboratori del Garante, il senegalese era stato arrestato il 4 febbraio e condannato a sei mesi di carcere, con fine pena fissato al prossimo 2 agosto. Era arrivato a Viterbo il 27 marzo, proveniente dal carcere di Regina Coeli, dove era recluso nella III sezione. Prima di essere arrestato l’uomo era stato operato alla testa in un ospedale romano per asportare un ematoma dal cervello che gli causava frequenti crisi epilettiche. Per questi motivi l’uomo era privo di parte della calotta cranica ed era sottoposto a cure continue. Appena arrivato nel carcere di Viterbo era stato sottoposto ad una Tac ed alcune visite di controllo e la direzione sanitaria del carcere aveva provveduto a prendere contatti con l’ospedale dove era stato operato. "Quale che sia il responso dell’autopsia, resta il dato di un’ennesima giovane vita finita in un carcere - ha detto il Garante Angiolo Marroni - Quello che mi chiedo è se una persona in quelle condizioni di salute dovesse stare in un carcere, considerando anche la lieve pena che gli era stata inflitta. Inoltre mi chiedo come mai un uomo così malato non sia stato ricoverato e trattenuto nel Centro Clinico di Regina Coeli, dove avrebbe avuto sicuramente le cure più adeguate alle sua condizione". Mantova: inaugurata Comunità residenziale per detenuti con problemi psichiatrici Ansa, 18 aprile 2011 Ritornare alla vita di tutti giorni - dopo aver commesso un crimine, scontato la pena ed essere stati riabilitati - è possibile. È in quest’ottica di ritorno alla normalità che è nato il centro psichiatrico forense Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, la comunità protetta per pazienti psichiatrici di entrambi i sessi autori di reati voluta da Regione Lombardia e inaugurata questa mattina dal presidente Roberto Formigoni assieme all’assessore regionale alla Semplificazione e Digitalizzazione, Carlo Maccari: in questa struttura, parte integrante dell’azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, dal 21 marzo sono ospitate le prime 13 persone, 8 uomini e 5 donne, in libertà vigilata che, a conclusione del percorso riabilitativo, potranno fare ritorno in famiglia. Meno ospedale e più integrazione - Significativo l’impegno finanziario di Regione in questo progetto sperimentale, battezzato “Meno ospedale psichiatrico giudiziario, più integrazione”: un milione di euro per la ristrutturazione edilizia della palazzina di proprietà della Carlo Poma adibita a comunità protetta e un tempo occupata dalla Croce Rossa italiana, a cui si aggiungono 800.000 euro per l’assunzione del personale sociosanitario composto da 18 operatori socio-sanitari, 8 infermieri, 2 psichiatri, 2 due educatori professionali, un medico dirigente, un assistente sociale e uno psicologo. Una comunità modello - Studiata nei minimi particolari la comunità è composta da due moduli, immersi nel verde della collina della Ghisiola di Castiglione delle Stiviere: 40 posti letti (20 per uomini e 20 per donne come previsto dalla normativa regionale sulla residenzialità psichiatrica), camere dotate di bagno, aria condizionata e presa per la televisione. Recintato come un’abitazione civile, il centro offre percorsi riabilitativi e di risocializzazione nel rispetto della tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro: i locali sono attrezzati per lo svolgimento delle attività scolastiche (licenza elementare e media), educativa (sono presenti un atelier di pittura e una biblioteca) e ricreative (una palestra coperta, un’area per la pratica sportiva e un bar). La particolarità, unica in Italia, è rappresentata dal fatto che all’interno della struttura - così come nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere - non sono presenti agenti di polizia penitenziaria ma solo operatori sociosanitari. Nuovi percorsi per i carcerati - “Abbiamo voluto creare una struttura innovativa e alternativa rispetto a quella fornita nel resto d’Italia - spiega Formigoni, intermedia tra il ricovero ospedaliero e il rientro nel territorio di appartenenza. Alla Ghisiola sperimenteremo nuovi percorsi finalizzati al recupero della salute, dei diritti e delle opportunità dei pazienti psichiatrici che si sono macchiati di reati”. Ancora una volta, dunque, la sanità lombarda mette al centro la persona individuando nuove risposte nei percorsi di cura e riabilitazione per i malati di mente dopo la loro permanenza presso un ospedale psichiatrico. Lo sviluppo della rete territoriale - “Questa comunità - ha concluso Formigoni prima di visitare l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere - s’inserisce in una strategia generale della sanità lombarda, tesa a sviluppare una rete territoriale di opportunità di cura e riabilitazione, in grado di monitorare in sicurezza il percorso di neutralizzazione della pericolosità sociale del malato mentale autore di reati, secondo le linee guida già sperimentate nel resto d’Europa”. Milano: non c’è il processo Ruby… gli imputati tornano ad essere rinchiusi nelle gabbie Ansa, 18 aprile 2011 Per la prima udienza del processo sul caso Ruby, a carico di Silvio Berlusconi, le gabbie della maxi-aula della prima Corte d’Assise d’appello di Milano erano state coperte con dei grandi teli bianchi. Oggi per l’udienza preliminare a carico di un gruppo di romeni accusati di sfruttamento della prostituzione la situazione è tornata alla normalità e gli imputati sono seduti dentro le gabbie, come succede sempre per i detenuti, e le “coperture” sono state tolte. L’udienza preliminare davanti al gup di Milano Simone Luerti vede accusati di sfruttamento della prostituzione alcuni romeni che avrebbero fatto prostituire decine di ragazze portandole dalla Romania a Milano. Per la prima udienza del processo Ruby, ma anche per quella di lunedì scorso del processo sui diritti tv Mediaset, che vede imputato, tra gli altri, Berlusconi, le gabbie erano state “oscurate” su decisione della presidenza del Tribunale di Milano. Negli ambienti giudiziari era stato spiegato che i teli bianchi erano stati messi perché nelle aule dei vari tribunali d’Europa non ci sono più le gabbie “stile carcere” e il processo al premier per il caso Ruby sarebbe stato seguito da numerosi cronisti da tutto il mondo. Gli avvocati penalisti milanesi avevano protestato per la decisione di “nascondere” agli occhi del mondo quello che succede quotidianamente in Tribunale. Oggi, infatti, i detenuti romeni si sono seduti, in vista, dentro le gabbie, come sempre accaduto. Chieti: agenti penitenziari in “sciopero della mensa” contro turni di super-lavoro Il Centro, 18 aprile 2011 Non toccheranno cibo fino a che le loro richieste non saranno ascoltate. È la protesta drammatica degli agenti di polizia penitenziaria a Torre Sinello. “Siamo allo stremo” denunciano “il carcere è sovraffollato, non si può andare avanti così”. La segnalazione della protesta arriva da Osapp, Cisl-Fns, Sinappe e Ugl che puntano il dito contro il provveditore regionale, Salvatore Acerra. La denuncia dei sindacati di polizia penitenziaria riguarda le condizioni lavorative non più tollerabili : “turni di straordinario senza che sia stato pagato lo straordinario effettuato nei mesi scorsi. Numerose assenze per candidature con conseguente disposizione della dirigenza a coprire i turni, aumentando per ogni lavoratore, quelli notturni e serali. Non è giusto che l’aumento dei carichi di lavoro sia stato disposto senza alcun contradditorio”. L’elemento di rottura è stato l’alto numero di candidature alle elezioni comunali: oltre venti agenti, 18 solo a Lentella. Così chi resta compre anche i turni degli altri, in condizioni non condivise con i sindacati. Sono meno di ottanta agenti dovranno occuparsi per almeno un mese di quasi trecento detenuti “È il più alto indice di sovraffollamento che la storia di questo istituto ricordi”, protestano i sindacati di categoria in agitazione dal 23 marzo scorso. L’appello degli agenti arriva fino al vescovo della diocesi Chieti-Vasto Bruno Forte. Il vescovo sarà a Torre Sinello dopodomani per celebrare la messa del precetto pasquale dei detenuti e inaugurare la nuova palestra destinata alle attività dei detenuti e realizzata con parte del ricavato della “Partita del cuore” disputata il 20 luglio 2010 fra la Nazionale italiana famosi e il personale della Casa circondariale. “Si darà un’immagine positiva di ciò che avviene fra queste mura. Ma c’è anche altro”, fanno notare gli agenti, decisi ad astenersi dalla mensa sino a quando il provveditore non prenderà in considerazione le loro richieste. Forlì: l’Associazione “Con…tatto” presenta il Rapporto di Antigone sulla detenzione Asca, 18 aprile 2011 Perché nelle carceri italiane ci sono più di 68mila detenuti? Con un tasso di sovraffollamento che si avvicina al 50%, quali condizioni di vita e di rieducazione è possibile realizzare? È possibile uscire oggi dal carcere migliorati e in grado di contribuire alla comunità? Problemi drammatici e attuali anche per l’Istituto di Forlì, su cui pesano le medesime logiche e le stesse urgenti domande di cambiamento, in vista di una possibile nuova sede da anni in corso di costruzione. L’associazione “Con...tatto organizza” la presentazione del VII Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione curato da Antigone, martedì 19 aprile ore 17 presso Casa del Volontariato viale Roma 124. L’Osservatorio Antigone, in accordo con il Ministero della Giustizia, dal 1998 visita e documenta le condizioni di detenzione negli Istituti di Pena italiani. Il rapporto presenta i numeri dei reclusi, le tipologie di reati, la nazionalità dei detenuti: per capire le motivazioni per cui cresce la popolazione nelle carceri, anche se i tassi di criminalità non aumentano. L’incontro presenterà il ruolo e le iniziative del volontariato carcerario a Forlì e le attività formative per i volontari. Intervengono rappresentanti dell’associazione Antigone, Rosa Alba Casella già direttrice del carcere di Forlì, Viviana Neri presidente dell’associazione “Con...tatto”, Lisa Di Paolo, collaboratrice dell’associazione, presentando il prossimo Percorso di Formazione per volontari. Parma: in carcere da 32 anni: la storia di un ergastolano che esce per insegnare Gazzetta di Parma, 18 aprile 2011 Docente ed ergastolano. La storia di Francesco (il nome è di fantasia), detenuto da trentadue anni nel carcere di via Burla, è quella di un uomo, prima che di un carcerato. Di una persona che sorride alla vita nonostante sia condannato a trascorrere gran parte dei suoi giorni dietro le sbarre. Seduto alla grande tavola imbandita dai volontari della Caritas carcere per il “Pranzo amico” - il pranzo tra volontari e carcerati svoltosi ieri nella parrocchia del Beato Cardinal Ferrari di via Paradigna, racconta la sua toccante testimonianza di vita, lanciando alcune proposte per migliorare l’esistenza di chi è costretto ad “abitare” nel quattordicesimo “quartiere” della città. “Partecipo al pranzo amico dal 1996 - racconta - perché ritengo che sia, oltre che un piacere, un dovere per mostrare la propria riconoscenza al gruppo di assistenti, volontari e parrocchiani che assistono il popolo delle prigioni”. Francesco sta scontando la propria pena da 32 anni, ma grazie alla buona condotta gli viene permesso di uscire di tanto in tanto. “Tra licenze e permessi - sottolinea - sono uscito 1.600 volte. Mi è stato consentito di tenere lezioni universitarie e 82 conferenze. Per tre volte sono uscito per insegnare come docente”. Significativa anche l’opportunità di avere un lavoro. “Sono quindici anni che lavoro e mantengo la mia famiglia - spiega. Sono grato alla società civile perché mi accoglie”. Il male compiuto pesa però come un macigno sulla coscienza di questo detenuto. “Mi domando: questa è giustizia? Il male che ho compiuto è irrimediabile e - afferma - col passare del tempo vi è una sorta di aumento della crudeltà della pena. Perché quando mi alzo ogni mattina, mi confronto con il fatto che sono stato malvagio. Mi auguro un giorno di poter tornare a essere felice all’interno della società civile”. Francesco, nonostante i propri errori e dolori, è una persona sensibile, che si emoziona quando racconta il mondo del carcere e le sue crudeltà. “Ci sono situazioni di sofferenza che lo Stato non può dimenticare - afferma con la voce rotta dal pianto. Ci sono asili nido indegni, in cui i bimbi vengono lasciati alle madri in carcere fino al terzo anno e poi, se non hanno parenti a cui affidarli, glieli portano via. È drammatico entrare in queste sezioni”. Importante inoltre pensare alla detenzione in vista di un reinserimento nella società. “Finalizziamo la detenzione a comprendere in che modo poter ricostruire la vita di chi si è astratto dalla comunità civile - dichiara -, diamo la possibilità di poter studiare e lavorare ai detenuti, altrimenti una volta scontata la pena ci si trova in mezzo a una strada”. Messina: ancora un’aggressione all’Opg; detenuto colpisce un sovrintendente di Polizia La Sicilia, 18 aprile 2011 È l’ennesimo episodio di violenza che si registra negli ultimi mesi al “Madia”. La Procura di Barcellona indaga sulla gestione dell’Opg. Ancora problemi all’Opgdi Barcellona, oggetto in questi giorni di un’inchiesta giudiziaria per le condizioni in cui vengono trattati i detenuti-pazienti ma anche per le difficili condizioni di lavoro degli operatori di Polizia Penitenziaria. “Alle 11 circa di oggi mentre un Sovrintendente della Polizia Penitenziaria in servizio all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto accompagnava un detenuto “malato” a fare la doccia, questo improvvisamente si scagliava contro il predetto sott’ufficiale colpendolo ripetutamente con calci, pugni e anche qualche testata. Quest’ultimo è stato accompagnato urgentemente in ospedale per le cure considerato che si notava lo zigomo spaccato.” A darne notizia e Mimmo Nicotra Vice Segretario Generale dell’OSAPP il Sindacato della Polizia Penitenziaria. “Solo ieri a Barcellona - continua Nicotra - sono giunti 23 detenuti malati provenienti dall’Opg di Aversa e nei giorni che verranno si prevedono altri arrivi.” “Intanto a Barcellona - conclude Nicotra sono arrivati a 380 circa i detenuti presenti. Continua l’inferno tra inchieste e parole, ma di fatti non se ne vedono”. Nei giorni scorsi il Procuratore capo di Barcellona, Salvatore De Luca aveva sentito il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del servizio sanitario nazionale. Marino nel luglio dell’anno scorso fece un sopralluogo al “Madia” restando sconcertato dal modo di gestire la struttura, dalla fatiscenza dei locali e dal trattamento disumano rivolto ai degenti. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi di aggressione ai danni di agenti della Polizia Penitenziaria. Un atteggiamento aggressivo, secondo i sindacati, dovuto alle tremende condizioni in cui sono costretti detenuti ed operatori. Verona: progetto carcere-scuola; la direzione taglia le visite di volontari e studenti L’Arena, 18 aprile 2011 Montorio, porte aperte solo per due incontri. Il responsabile del progetto: “Ci dispiace dover escludere alcune scolaresche, ma continueremo nell’opera di sensibilizzazione”. Si riduce l’attività nella casa circondariale di Montorio di “Progetto Carcere 663 Acta non Verba”, l’associazione veronese nata nel 1993 con il proposito di sensibilizzare i giovani sui problemi dati dalla detenzione e indurli a seguire un educazione legale, rivolta a formare adulti futuri consapevoli e giusti. A distanza di decenni quindi nel carcere veronese gli studenti di tante scuole superiori non avranno più l’opportunità di potere trascorrere una giornata intera giocando a pallone o pallavolo con i detenuti e le detenute. O meglio, potranno farlo davvero in pochi. Infatti la direzione del carcere ha disposto solo due entrate per volontari e studenti del progetto, e non cinque, come è sempre stato. Ventitré anni di “Carcere& Scuola”, non sono uno scherzo per quanti programmano l’attività e che per questa edizione vede ben 54 scuole superiori, per altro ce ne sono anche di vicentine, con 706 studenti e 523 studentesse e 240 insegnanti, pronti a mettersi a confronto con quanti vivono al di là delle sbarre. Non solo, i volontari dell’associazione sono impegnati in corsi di educazione alla legalità che consiste in interventi di minimo tre ore nelle scuole che aderiscono all’iniziativa. Insomma, il taglio inferto dalla direzione del carcere per Maurizio Ruzzenenti, presidente da sempre dell’associazione che porta il nome della legge Gozzini che permise per l’appunto di avviare “sistemi di recupero” al fine di “dare valore rieducativo alla pena”, è come un pugno nello stomaco. “Questa edizione 2011 è iniziata il 15 febbraio con due incontri settimanali all’interno della casa circondariale al posto di cinque”, spiega Ruzzenenti. “Dal canto nostro abbiamo coinvolto oltre 1.469 persone e questo ridimensionamento offertoci dalla direzione non ha portato a maggiore qualità, tutt’altro. Grazie all’abilità del nostro Achille Coltro abbiamo potuto procedere nell’iniziativa che quest’anno compie ben 23 anni. Sono state accoppiate due scuole nello stesso giorno ma dimezzati gli studenti che hanno fatto richiesta di poter partecipare agli incontri. Si crea quindi un vuoto educativo da una parte e dall’altro obbligando i detenuti ad un coinvolgimento minore”. C’è amarezza dunque sia ai vertici dell’associazione che nei volontari che assicurano di aver accettato la soluzione decisa dalla direzione del carcere in quanto “rifiutare non sarebbe servito a nulla, solo a creare ancora di più solitudine e non offrire più aiuto a chi è detenuto”. “Ci fa soffrire avere lavorato tanto per vedere un’iniziativa così unanimemente apprezzata ridotta a poca cosa per i nostri studenti. Abbiamo pertanto messo da parte l’orgoglio e cercato di realizzare nel migliore dei modi possibile quanto ci veniva offerto”“, assicurano. Ma Ruzzenenti è preoccupato sin d’ora per la prossima edizione di “Carcere & Scuola” che coinciderà con il quarto concorso e la ristesura del libro legato alle attività dell’associazione. “Siamo dispiaciuti per essere stati costretti ad escludere tanti studenti ma non abbiamo potuto fare altrimenti. Continueremo nella nostra opera di sensibilizzazione nelle scuole ma le parole senza esempio non portano lontano”, assicura Ruzzenenti che ringrazia il Csi (centro servizi volontariato), le massime cariche locali delle forze dell’ordine e della polizia penitenziaria, i giudici di sorveglianza ed i magistrati che hanno sempre appoggiato il progetto di legare lo sport alla legalità e alla buona informazione. Gran Bretagna: le carceri? uno spreco; la punizione è lavorare otto ore al giorno Il Giornale, 18 aprile 2011 “La galera è uno spreco di denaro, molto meglio mandare i detenuti a lavorare otto ore al giorno”. A sostenerlo ieri è stato il ministro della Giustizia britannico Kenneth Clarke. In un’intervista provocatoria al quotidiano The Times Clarke ha esposto le sue idee rivoluzionarie sul modo di trattare i carcerati che a parer suo sarebbero molto più utili fuori dalle sovraffollate e inutili istituzioni carcerarie attuali. Autore di una proposta di riforma che verrà pubblicata il mese prossimo e che si propone di ridurre in maniera sostanziale l’attuale popolazione carceraria attraverso una serie di nuove procedure, Clarke ha sottolineato come il sistema utilizzato oggi e in passato sia divenuto in questo momento “finanziariamente insostenibile oltre che totalmente inutile”. “Non sono affatto favorevole ai metodi soft per trattare chi ha un debito con la società - ha precisato il segretario del governo di coalizione guidato da David Cameron - anzi sono convinto che le sanzioni debbano essere più severe, maggiormente efficaci e organizzate. Ritengo però che per i detenuti sia molto più rieducativo spendere otto ore della giornata lavorando piuttosto che rimanere a far nulla rinchiusi in spazi ristretti e sovraffollati”. Basta dunque con la nullafacenza coatta, molto meglio rieducare il detenuto facendogli provare l’inferno quotidiano di un lavoratore normale da cui ha sempre tentato di sfuggire. Perché dopotutto, chi di noi non ha pensato, almeno una volta nella vita, che sarebbe molto meglio starsene rintanato in una cella anonima dotata di televisore a leggere un libro e a piangersi addosso piuttosto che trascorrere l’intera giornata a stressarsi, alle prese con un conto in banca sempre in rosso, destreggiandosi tra il capo rompiscatole e i colloqui con l’insegnante dei figli, tutto per racimolare uno stipendio che spesso basta a malapena a coprire le spese di gestione familiari? Probabilmente, soprattutto ora con la recessione economica che incombe, molti inglesi si sono augurati di potersene stare in pace, rinchiusi tra quattro mura, senza preoccupazioni materiali. Ecco che allora arriva Kenneth Clarke con la sua riforma a rassicurare il cittadino promettendo che le prigioni non devono essere quell’oasi di pace che l’opinione pubblica s’immagina. “Le carceri non sono alberghi- ha spiegato al Times e ai critici che nei giorni scorsi l’hanno accusato di aver un approccio troppo soft nei confronti dei criminali - ma sono sicuro che soprattutto per giovani e per coloro che si sono macchiati di reati poco gravi, per quelli che fanno uso di alcool o di droghe, la permanenza in carcere non sia affatto la soluzione migliore. Sarebbe invece più utile abituarli ad una routine lavorativa intensa non remunerata, ore al servizio della comunità che insegnino a seguire le regole della società civile, regole severe e senza sconti”. Il ministro della Giustizia ha anche aggiunto di avere il pieno sostegno del Governo sulla riforma che prevede, tra le altre cose, la riduzione di almeno 3mila unità nell’ attuale popolazione carceraria, la chiusura degli edifici più vecchi e malandati la cui gestione appesantisce il bilancio di spesa, lo sconto di pena per i casi minori e il trasferimento dei detenuti malati di mente nelle apposite strutture di degenza. Russia: rivolta dei detenuti e incendio nell’ex carcere di Khodorkovski Ansa, 18 aprile 2011 Rivolta con incendio durante il weekend nel carcere siberiano di Krasnokmensk, nella regione di Cità, dove è stato a lungo detenuto l’ex patron di Yukos Mikhail Khodorkovski, ora a Mosca in attesa dell’appello del processo bis: il penitenziario è stato in gran parte danneggiato ed ora è sostanzialmente inutilizzabile per ospitare i suoi oltre mille prigionieri, che dovranno essere trasferiti in altre sedi. Lo riferiscono le agenzie. Nel frattempo sono state allestite numerose tende all’interno del carcere. Le forze di sicurezza sono riuscite ad evitare che la protesta causasse vittime o agevolasse evasioni. Le autorità hanno individuato 25 presunti responsabili della rivolta, pare scatenata dall’irrigidimento della disciplina. Iran: impiccati in pubblico quattro condannati Ansa, 18 aprile 2011 In Iran sono stati impiccati oggi quattro detenuti, tre dei quali condannati per aver ucciso due poliziotti, rapina a mano armata e sequestro di persona, un quarto per omicidi seriali. Lo riferisce l’agenzia di stampa semi-ufficiale Mehr citando Banshi Jaber, procuratore capo della città meridionale di Shiraz. Sono stati impiccati in pubblico, in una strada, gli occhi coperti con maschere nere e le mani legate dietro la schiena. Soldati armati di mitra vestiti di nero e col volto nascosto da passamontagna hanno accompagnati gli uomini alla corda che scendeva da una gru. Il serial killer, accusato di aver ucciso otto persone, è stato impiccato in un quartiere vicino. Omicidio, stupro, rapina a mano armata, sequestro di persona e traffico di droga sono reati punibili con la condanna a morte in Iran. Gruppi internazionali per i diritti umani hanno criticato il Paese per il numero crescente di impiccagioni, che sono spesso eseguite in pubblico. Marocco: graziato Abou Elkassim Britel, vittima di “extraodinary renditions” Comunicato stampa, 18 aprile 2011 “Apprendiamo che dopo lunga detenzione, violenze e torture varie Abou Elkassim Britel, vittima di una extraodinary renditions operata illegalmente dalla Cia nel 2002, è stato finalmente rilasciato dal carcere ove era detenuto in Marocco”. “Il provvedimento di grazia, di cui più volte nella precedente legislatura mi sono fatto promotore unitamente a cento parlamentari italiani ed europei, è stato firmato dal sovrano del Marocco Mohammed VI. Ricordiamo che Kassim Britel, cittadino italiano di origine marocchina, residente a Bergamo, rapito illegalmente e poi sottoposto a un processo farsa in Marocco, è risultato del tutto estraneo a qualsiasi ipotesi di associazione sovversiva come stabilito a suo tempo dall’inchiesta svolta dalla Magistratura italiana”. “Nel 2007 e 2008, nella mia qualità di parlamentare a capo di due successive delegazioni parlamentari, ho potuto incontrare Elkassim Britel nel carcere di Casablanca raccogliendo direttamente la testimonianza dei soprusi e delle violenze subite a seguito del rapimento operato dai servizi segreti statunitensi”. “Il mio auspicio è che dopo una esperienza allucinante patita al di fuori da qualsiasi parvenza di legalità e di rispetto dei diritti umani Elkassim Britel possa tornare al più presto agli affetti familiari e a riprendere il corso di una vita normale”. Ezio Locatelli Rifondazione Comunista - Federazione della Sinistra Egitto: rinvio giudizio per l’ex premier e per due ex ministri Ansa, 18 aprile 2011 L’ex premier egiziano Ahmad Nazif e due suoi ministri all’epoca, quello dell’Interno Habib el Adly e delle Finanze Yussef Boutros Ghali sono stati rinviati a giudizio davanti alla corte penale del Cairo per il reato di corruzione e malversazione di fondi pubblici per la fornitura di targhe automobilistiche da una ditta tedesca. Lo riferiscono fonti giudiziarie spiegando che i tre sono accusati di avere generato un giro di corruzione di circa 92 milioni di lire egiziane, pari a circa dieci milioni di euro. Nazif è già in carcere per altre accuse di corruzione così come lo è el Adly, che deve rispondere anche in un procedimento per le violenze commesse sui manifestanti durante la rivoluzione del 25 gennaio. L’ex ministro delle finanze è invece riuscito a lasciare l’Egitto, subito dopo la deposizione di Hosni Mubarak, l’11 febbraio. Israele: le misure alternative si ottengono se il giudice è riposato… e rifocillato Ansa, 18 aprile 2011 Per ottenere una misura alternativa al carcere serve un buon avvocato? Oppure bisogna aver tenuto un comportamento ineccepibile durante la detenzione? O, ancora, è indispensabile un supporto sul territorio, cioè avere un lavoro, un’abitazione, etc.? Niente di tutto questo, la cosa più importante è che il giudice non abbia un carico eccessivo di lavoro e abbia il tempo di esaminare ogni singola richiesta con la dovuta attenzione. Questo è il risultato della ricerca di Shai Danziger e Liora Avnaim-Pesso dell’università Ben Gurion, in Israele, e Jonathan Levav della Columbia University, a New York, che hanno osservato per 50 giorni, nell’arco di 10 mesi, otto magistrati che esaminavano 1.112 richieste fatte da detenuti per ottenere la libertà provvisoria, gli arresti domiciliari o altre condizioni di detenzione. Hanno poi distribuito cronologicamente le decisioni prese in tre sessioni quotidiane, separate da una pausa-caffè e da un’altra per il pranzo. La percentuale delle decisioni favorevoli ai detenuti calava dal 65% a zero prima delle pause, per risalire al 65% subito dopo ogni intervallo e poi calare di nuovo. L’esito non cambiava nel caso dei recidivi potenziali e dei condannati che non seguivano un programma di riabilitazione, né variava con l’etnia e il sesso, le ore passate in aula a deliberare, la difficoltà dei singoli casi. L’unico fattore era il numero di casi che ogni giudice prendeva in considerazione durante la sessione: aumentavano di pari passo con la sua severità. Gli autori hanno anche cronometrato il tempo necessario per ogni decisione: in media era di 5,2 minuti se la richiesta veniva respinta e di 7,4 minuti se era accolta. Inoltre le sentenze favorevoli erano di 90 parole, in media, e quelle sfavorevoli di 47 soltanto. L’ipotesi è che prendere decisioni richiede uno sforzo mentale e che per stanchezza i magistrati scegliessero il mantenimento dello status quo, più rapido da spiegare che i motivi per cambiarlo. Come gli assistenti sociali e i criminologi che partecipavano alle delibere, i magistrati erano inconsapevoli dell’effetto “pausa-ristoro”: prima di vedere i risultati della ricerca nessuno di loro l’aveva previsto. Concludono gli autori: “I nostri dati indicano che le sentenze giudiziarie possono essere sviate da variabili che non dovrebbero influire su decisioni legali”. Il suggerimento di Jonathan Levav è che i magistrati, come i chirurgi e i piloti di aerei, facciano più pause e si dotino di un elenco delle variabili da controllare, che ricordi loro la propria fallibilità. Serbia: 750 detenuti in sciopero della fame per protesta contro lentezza giustizia Ansa, 18 aprile 2011 Circa 750 detenuti, la metà di tutti quelli ospitati nel carcere principale di Belgrado, attuano da tre giorni uno sciopero della fame per protestare contro la lentezza della giustizia e dei processi. Come ha detto Zorana Vucicevic, uno dei responsabili dell’amministrazione penitenziaria, la situazione nel carcere è relativamente tranquilla e finora non si sono registrati incidenti di rilievo. Si attende la visita del presidente della Corte suprema, che intende rendersi conto di persona della situazione e sentire le richieste dei detenuti.