Giustizia: tribunali efficienti? la riforma più urgente è quella delle carceri, ce la chiede l’Europa! Corriere della Sera, 17 aprile 2011 Qualunque sia la loro parte in giudizio quando hanno la ventura di sperimentare tempi imprevedibili e procedure farraginose dei tribunali, cittadini e imprese conoscono bene quanto costi loro, e alla collettività, il non poter contare con certezza e uniformità sugli strumenti ordinari di risoluzione delle controversie. Sconfinata, dunque, sarebbe la prateria del consenso per legislatori che ponessero mano a una seria “manutenzione” di risorse, regole e contrappesi del sistema giudiziario. Peccato che la dichiarata intenzione meno di un mese fa della maggioranza di legiferare “per i cittadini” una “epocale” riforma della giustizia sembri sinora assumere curiose traduzioni. Infilano un emendamento che allarga in maniera generica la responsabilità civile dei magistrati, proprio nelle settimane in cui tre giudici d’appello del lodo Mondadori sono in camera di consiglio a decidere se l’azienda del “cittadino” Berlusconi deve o no pagare 750 milioni di euro per risarcire De Benedetti dei danni di una sentenza che la Cassazione ha stabilito comprata 20 anni fa da un avvocato dell’odierno premier nel suo interesse. Investono la Consulta del tentativo di dirottare il processo Ruby del “cittadino” Berlusconi sul Tribunale dei Ministri, alla cui eventuale richiesta di giudizio si sa già che 314 parlamentari negherebbero l’autorizzazione a procedere con la stessa nonchalance con la quale hanno trangugiato la storiella di Ruby nipote di Mubarak. Votano domani alla Camera un’altra chirurgica limatura di 8 mesi alla prescrizione degli incensurati, in modo che, combinata al taglio già di 5 anni propiziato dalla legge Cirielli nel 2005, incenerisca subito a maggio il processo Mills del “cittadino” Berlusconi e lo liberi dalle ambasce di dover convivere fino all’anno prossimo con l’incubo di una condanna in primo grado per corruzione giudiziaria. E poi piazzano al Senato una norma che impedisca ai Tribunali di sfoltire le liste di testi da elenco telefonico, in modo che il “cittadino” Berlusconi, nel processo sui diritti tv Mediaset dove oggi ascolterà discutere proprio della superfluità o meno della moltitudine di testimoni citati dalle difese, possa contare sul fatto che le eccezioni dei suoi avvocati-legislatori trovino comunque accoglienza in Parlamento nella legge caldeggiata dai suoi legislatori-avvocati. “Dal produttore al consumatore” può essere insegna confortante per i prodotti in salumeria, dove le leccornie di uno fanno l’utilità gastronomica di tutti, ma per le leggi sulla giustizia è deprimente in Parlamento, dove l’impunità per uno è ottenuta sacrificando i diritti di molti, le aspettative delle parti lese, gli interessi degli imputati. Chi in passato aveva patteggiato sulla base delle regole vigenti, in futuro con la prescrizione breve vedrà salvarsi i coimputati che a non patteggiare erano sembrati matti, e che ora invece le ultime estrazioni della “ruota della fortuna” legislativa agganceranno al “trenino” degli interessi processuali del premier. E chi ieri vittima di un reato nutriva qualche affidamento su un ristoro in giudizio, domani andrà a ingrossare la fila delle parti lese con un pugno di mosche in mano nei 170 mila fascicoli che ogni anno vanno in prescrizione già con le regole attuali. Prima e più ancora dell’impatto quantitativo sui processi, a dover dunque essere temute sono la strage qualitativa dei principi, l’iniqua disparità di trattamento goccia dopo goccia di norme estemporanee, la (incertezza del diritto prodotta dal caotico stratificarsi di norme irrazionali e contraddittorie, appunto come la prescrizione breve agli incensurati, che va nella direzione opposta del “pacchetto sicurezza” di appena il 2008, e che nel solco della Cirielli fa discendere da qualità soggettive, come l’essere incensurati o recidivi, l’interesse oggettivo dello Stato a perseguire due autori ad esempio della medesima truffa per addirittura 3 anni di tempo in meno o in più. Visto che lo contrabbandano “processo europeo”, di europeo in tema di giustizia potrebbero prima fare qualcos’altro. Magari allinearsi alla direttiva per i pagamenti delle imprese da parte della Pubblica amministrazione in 30 giorni, anziché nei 128 di media che strozzano la dovuta liquidazione alle aziende di 37 miliardi di euro (il 2,4% del Pil) ma stranamente per l’approvazione definitiva dello Statuto delle imprese licenziato sinora in un ramo del Parlamento, un po’ come per la desaparecida nuova legge sulla corruzione annunciata più di un anno fa, non sembrano essere convocate sedute-fiume di ministri e peones, precettati invece per votare la prescrizione breve del processo Mills. Neppure farebbe male un approccio “europeo” ai numeri veri della giustizia, ad esempio per abbandonare il ritornello stantio dei 5 milioni di cause civili pendenti, quando ben 1 milione (cifra che da sola libererebbe nei tribunali più sprint di qualsiasi piano di “rottamazione” di cause fatte smaltire a cottimo da giudici non di professione) dipende già solo dal contenzioso previdenziale dell’Inps, scaricato sugli uffici giudiziari da ambiguità normative e furbizie elettorali. “All’europea” andrebbero benedetti sia un meno barocco sistema di notifiche, capace di finirla con la farsa di sentenze che “saltano” per una notifica fatta anni prima bene a un avvocato ma male al domicilio del codifensore, e di azzerare i vizi formali che ogni giorno fanno rinviare 12 processi su 100; sia lo stop ai processi agli imputati irreperibili, per sgravare i tribunali dall’ingolfamento di questi processi ai “fantasmi” che l’Europa ritiene appunto tutti nulli, e che allo Stato costano però decine di milioni di euro di inutile “gratuito patrocinio”. E più di tutto è forse il carcere che il legislatore dovrebbe rendere “europeo”, tanto più che nel 2009 dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo arrivò la prima condanna dell’Italia per aver detenuto una persona in meno di 3 metri quadrati a testa: eppure oggi i detenuti in più rispetto alla capienza delle celle sono 22.280 persone, cioè 2.500 più di quanti fossero quando 15 mesi fa quando il governo dichiarò lo stato di emergenza e un pluri-annunciato piano-carceri. Segno che solo sugli spot non cala mai la prescrizione. Giustizia: da “Stop Opg” una piattaforma per l’abolizione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Comunicato stampa, 17 aprile 2011 Gli Opg rappresentano un vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese, per le condizioni aberranti in cui versano 1.500 nostri concittadini, 350 dei quali potrebbero uscirne fin da ora. L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario è istituto inaccettabile per la sua natura, per il suo mandato, per la l’incongrua legislazione che lo sostiene, per le sue modalità di funzionamento, le sue regole organizzative, la sua gestione. La sua persistenza è frutto di obsolete concezioni della malattia mentale e del sapere psichiatrico, ma soprattutto di una catena di pratiche omissive, mancate assunzioni di responsabilità e inappropriati comportamenti a differenti livelli. Al VI Forum salute mentale (Aversa gennaio 2011) abbiamo denunciato le omissioni e la mancata assunzione di responsabilità da parte dei decisori politici (Governo e Regioni) delle Aziende Sanitarie Locali e di molti Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm). Ciò è ancor più grave dopo le sentenze delia Corte Costituzionale del 2003 e 2004, che hanno spalancato possibilità di trattamenti alternativi all’Opg in ogni fase. È stato rilevato il grande divario tra le Regioni rispetto al numero di internati negli Opg. In una media nazionale di internamento (per centomila abitanti) pan al 2,3, si va dal 0,7 di cittadini internati del Friuli Venezia Giulia a cifre intorno al 4 per centomila abitanti per la Liguria, l’Abruzzo e la Puglia. Peraltro ci sono Dipartimenti “virtuosi” che non hanno attualmente alcun cittadino internato in Opg, Grave è il ritardo nell’applicazione del Dpcm del 1 aprile 2008 sul trasferimento delle competenze sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse sanitarie e delle attrezzature dalla sanità penitenziaria al sevizio sanitario nazionale, in particolare in riferimento agli interventi attuati dalle Regioni per il superamento degli Opg. I tagli decisi dal Governo per sanità e sociale rendono sempre più difficile operare, mentre i modelli e le risorse regionali messe in campo sono differenti, come deriva dalla titolarità delle Regioni in materia sanitaria. Il passaggio formale degli Opg al Dsm è avvenuto in tutte le Regioni nelle quali questi insistono, tranne che per l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (la Sicilia non ha ancora recepito il Dpcm e questo rischia di determinare un aumento del già preoccupante sovraffollamento in questo istituto). Riteniamo sia improcrastinabile porre fine allo scandalo degli Opg e che sia possibile farlo all’interno dell’attuale normativa. Le azioni da mettere in campo: - il Governo deve rispettare gli impegni per il passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale e assicurare il finanziamento previsto dal Patto per la Salute; - le Regioni devono assumere l’onere dei trattamenti, delle cure, del reinserimento, attribuendo ai Dsm le necessarie risorse se carenti; - la presa in carico degli Internati da parte dei Dsm deve avvenire attraverso progetti individualizzati di cura e reinclusione, ma altresì i dipartimenti devono attuare interventi preventivi e di assistenza adeguata negli istituti - va previsto un meccanismo di incentivazione o di sanzione - da definire al tavolo Stato Regioni - per favorire la piena applicazione del Dpcm 2008. Devono essere messe a punto iniziative incentivanti nei confronti delle Regioni con il relativo monitoraggio degli effetti da parte dello Stato e meccanismi di incentivi nei confronti dei Dsm con il monitoraggio rigoroso degli effetti da parte delle Regioni; - la magistratura di sorveglianza deve cessare, nel riesame della pericolosità sociale al termine della misura di sicurezza, di valutare in maniera prevalente le condizioni socio economiche della persona. Se l’intervento sulle stesse è dovuto e va ricercato il loro miglioramento - la carenza non può in alcun modo giustificare la continuazione dell’internamento. Cosa accadrebbe se analoga prassi venisse seguita per il carcere?; - la magistratura deve cessare di utilizzare l’Opg per interventi diversi da quelli previsti per le misure di sicurezza per rei prosciolti (gli interventi cioè di cui agli articoli 212 c.p.p. e 312 c.p.p., 148 c.p. 219 c.p.). Si sono sollevati inoltre molti dubbi sulla costituzionalità di un sistema che consente misure repressive assolutamente sproporzionate al reato, come esemplificato da innumerevoli episodi di internamento infinito, a seguito di reati di scarso rilievo; - la magistratura di sorveglianza non può confermare la pericolosità sociale di un internato perché manca il consenso da parte del Dsm di competenza di farsi carico dello stesso; - da ultimo, come richiesto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta dal sen. Ignazio Marino, è necessario che con immediatezza il Governo finanzi i 350 budget di salute/progetti terapeutico riabilitativi individualizzati per la dimissioni degli internati riconosciuti come dimissibili, impegnando attivamente le Regioni a farsene carico. Le misure sopradescritte devono essere messe in atto da subito, contrastando con l’ipotesi che il superamento degli Opg venga immaginato come frutto di una improbabile nuova legislazione. Al contrario proprio la attuazione delle misure sopra descritte potrà dare stimolo reale a una nuova legislazione, da considerare assolutamente auspicabile perché solo essa può porre definitivamente fine all’Opg. Quest’ultima dovrebbe fondarsi sulla consapevolezza sempre più diffusa tra gli psichiatri e gli operatori del diritto che la incapacità totale di Intendere e volere è evento talmente eccezionale da non giustificare affatto la esistenza di una Istituzione da essa fattispecie motivata, essendo di norma il disturbo mentale, anche grave e gravissimo, non in grado di spegnere completamente la capacità della persona di aver coscienza di star commettendo un reato. Riduzione della pena commisurata alla gravità del disturbo mentale, misure sanitarie di accompagnamento, fine dell’istituzione deputata, dovrebbero essere i cardini di una nuova legislazione che vada a completare il percorso che auspichiamo e siamo impegnati a promuovere. Il Comitato Promotore “Stop Opg” Forum Salute Mentale, Fondazione Franco e Franca Basaglia, Forum per il diritto alla Salute in Carcere, Forum Droghe, Cgil nazionale, Psichiatria Democratica, Fp-Cgil nazionale, Unasam, Antigone, Società della Ragione, Centro Basaglia (Ar), Sos Sanità, Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia, Coordinamento Garanti territoriali dei detenuti, Associazione “A buon diritto”, Cittadinanzattiva, Gruppo Abele, Grusol, Cnca, Fondazione Zancan. Giustizia: l'Associazione "Il Carcere Possibile" presenta esposto su spreco dei "braccialetti elettronici" Comunicato stampa, 17 aprile 2011 L'Associazione "Il Carcere Possibile Onlus" ha presentato un esposto alla Corte dei Conti sui milioni di euro sprecati per i braccialetti elettronici. Sono circa 10 quelli usati, con un costo di un milione di euro, per ognuno, all'anno. Nel 2001 il Governo, per diminuire il sovraffollamento nelle carceri, decise d'incrementare l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari attraverso l'utilizzo dei c.d. braccialetti elettronici, già molto diffusi in altri Paesi, che permettono di garantire la sicurezza ed il rispetto della detenzione domiciliare da parte dei detenuti, con il controllo a distanza. Fu sottoscritto un contratto con la Telecom Italia Spa per la fornitura in esclusiva dei predetti braccialetti e di tutti gli apparati necessari al relativo controllo. Il costo della fornitura risulterebbe essere stato di 11 milioni di euro all'anno, regolarmente erogati, per una durata minima di 10 anni. Il numero di braccialetti utilizzati dal 2001 al 2011 sarebbe stato di poche unità all'anno, per i dubbi connessi al loro funzionamento. In pratica ciascun braccialetto ha un costo di circa un milione di euro all'anno. Uno spreco di denaro pubblico enorme, in un settore come quello della Giustizia che è privo delle risorse essenziali, dalla carta per stampare gli atti a una reale informatizzazione degli uffici. Dove l'Amministrazione Penitenziaria non è più in grado di assicurare ai detenuti il diritto alla salute, mentre ha del tutto rinunciato alla rieducazione, pur prevista dalla nostra carta costituzionale. Giustizia: processo Thyssen; le morti sul lavoro sono “omicidi volontari”, prima sentenza in Italia Corriere della Sera, 17 aprile 2011 Il rogo del 6 dicembre 2007 provocò la morte di 7 operai. La Corte d’Assise di Torino ha condannato a 16 anni e mezzo di carcere l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn. La Corte d’Assise di Torino ha condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario l’amministratore delegato della ThyssenKrupp Harald Espenhahn. Dopo 94 udienze per i familiari dei sette operai morti la notte del sei dicembre 2007 a causa di un incendio sulla linea cinque delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino è stato il giorno della giustizia. “È una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda del lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale” ha dichiarato il pm Raffaele Guariniello, al termine della lettura della sentenza del processo ThyssenKrupp, tra le lacrime e gli applausi dell’aula 1 del Tribunale di Torino, gremita da parenti ed ex dipendenti della multinazionale. “Diciamo che una condanna non è mai una vittoria - ha proseguito Guariniello - né una festa, però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza dei lavoratori”. Il pm ha poi concluso: “Credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza”. Accanto ai pm Guariniello e Traverso, ad attendere la sentenza era seduto anche il procuratore capo, Giancarlo Caselli. Al banco degli imputati, oltre all’amministratore delegato Harald Espenhahn, 45 anni di Essen, condannato per omicidio, c’erano anche Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento torinese, Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell’azienda, assieme a Marco Pucci, e un altro dirigente Daniele Moroni, accusati a vario titolo di omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) oltre che di omissione delle cautele antinfortunistiche. Per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, confermate le richieste dell’accusa: sono stati condannati a 13 anni e 6 mesi. Solo per Daniele Moroni la Corte ha aumentato la pena a 10 anni e 10 mesi, i pm avevano infatti chiesto 9 anni. È la prima volta che in un processo per morti sul lavoro gli imputati sono stati condannati a pene così alte. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, è stata inoltre condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, all’esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali “La Stampa”, “La Repubblica” e il “Corriere della Sera”. “Siamo totalmente insoddisfatti. Ha influito tutto questo pressing mediatico” ha detto invece Cesare Zaccone, uno dei legali della difesa, indicando i numerosi giornalisti presenti in aula, appena pronunciata la sentenza. “Siamo insoddisfatti - ha ribadito - in particolare per la dichiarazione della subvalenza delle attenuanti rispetto al risarcimento del danno questa è una cosa mai vista prima. Andremo in appello ma non credo otterremo molto di più”. È stata anche la prima volta in cui a costituirsi parte civile è stato un numero così alto di lavoratori, 48, alcuni ricollocati in altre aziende o enti, altri in cerca di lavoro. Anche Comune e Provincia di Torino, Regione Piemonte, Cgil e gli altri sindacati e varie associazioni come Medicina democratica si sono costituite parte civile. A tre anni dalla strage in cui hanno perso la vita Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone, una sentenza della magistratura italiana ha stabilito che Espenhahn, come sosteneva l’accusa, aveva deciso di posticipare i lavori per la messa in sicurezza dello stabilimento di Torino a una data successiva a quella della prevista chiusura e del trasferimento a Terni. E aveva deciso quindi, in modo consapevole, di tralasciare i gravi rischi a cui avrebbe sottoposto i lavoratori. Un lungo applauso si è levato dall’aula del tribunale di Torino al termine delle lettura della sentenza per il rogo della Thyssen. I parenti delle vittime hanno urlato: “Bravo Guariniello” rivolgendo parole di solidarietà al pm a capo del team dell’accusa. “Adesso gli avvocati non ridono più” ha commentato uno dei parenti presenti. “Sono soddisfatta” ha detto una delle madri piangendo “mio figlio non me lo ridaranno più, ma almeno in tribunale è stata fatta giustizia. I ragazzi se lo meritavano”. La condanna dell’ad Espenhahn in primo grado per “omicidio con dolo eventuale” è per la ThyssenKrupp “incomprensibile e inspiegabile”, secondo una nota della società dopo la sentenza. La ThyssenKrupp “esprime ai familiari delle vittime il suo più profondo cordoglio e rinnova il suo grande rammarico per il tragico infortunio avvenuto in uno dei suoi stabilimenti. Nelle sue linee guida, il Gruppo conferma che la sicurezza sul posto di lavoro è un obiettivo aziendale di assoluta importanza, pari alla redditività e alla qualità dei prodotti, e che si deve provvedere con ogni mezzo a garantire la stessa. Una tragedia simile non si dovrà ripetere mai più”. “La sentenza ha accolto il solido impianto accusatorio e costituisce un rilevante precedente. Essa dimostra peraltro che l’assetto sanzionatorio disponibile è adeguato anche nel caso delle violazioni più gravi”. Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha commentato la sentenza. “Questa tragedia impone soprattutto una più diffusa ed efficace azione preventiva perché anche la sentenza più rigorosa non può compensare la perdita di vite umane e il grande dolore che ha prodotto - ha aggiunto Sacconi in una nota - la via maestra rimane la collaborazione bilaterale paritetica tra aziende e organizzazioni dei lavoratori accompagnata da una idonea attività di vigilanza”. “I piemontesi sentono ancora il dolore di quella tragedia - ha dichiarato il Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota - e in questo giorno sono vicini alle famiglie delle vittime. È importante che sia arrivata una sentenza in un tempo ragionevole pur in un processo così complesso”. Lettere: il benessere fisico e mentale in carcere di Enrico Magni (Medico nel carcere di Lecco) La Provincia, 17 aprile 2011 C’è stata una piccola ma significativa riforma, che è poco conosciuta, ma è importante sul piano civico e civile. È la presenza di operatori sanitari pubblici all’interno delle carceri. In sostanza l’attività sanitaria, dal giugno 2010 all’interno del carcere, è a carico della sanità pubblica e non più della Giustizia. È stato possibile per le Linee di Indirizzo Regionale per la Sanità Penitenziaria in attuazione della Dgr n. 8120 dell’1 ottobre 2008, che riprende una legislazione nazionale risalente agli anni novanta e duemila. Si spera che le strutture Sanitarie locali si organizzino e si preparino anche per affrontare il reinserimento degli ospiti che stanno ammassati all’interno dei famigerati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Le carceri sono un luogo interessante per chi si occupa di salute mentale e di criminologia, perché è possibile raccogliere una serie di storie individuali che raccontano la dimensione della marginalità oltre che del delinquere comune. È possibile individuare tre aree di criticità. La prima è l’area della marginalità. È composta da tossicodipendenti, da migranti con un livello socioeconomico basso o medio basso e un livello socioculturale medio-basso; gli immigrati sono più scolarizzati dei locali e sono più strutturati a livello psicologico. La seconda area è del disagio sociale. Riguarda chi delinque e commette dei reati che interessano il patrimonio di basso livello, sono persone che sono sempre poste al bordo del sociale. La terza area riguarda il delinquere. Costoro delinquono con finalità maggiori, sono quelli che necessitano, in modo specifico, di essere trattenuti e rieducati. Il carcere è anche un luogo di cura e di tutela dell’individuo. È utile evidenziare l’importanza della presenza di operatori sanitari pubblici all’interno della struttura. È un lavoro silenzioso, nuovo e poco conosciuto ma di alta qualità. Per questo motivo è opportuno offrire, in modo succinto, alcuni dati raccolti dal lavoro che si sta compiendo all’interno di un carcere a basso livello di pericolosità. Attualmente prestano servizio quattro medici, due infermieri, uno psicologo per 20 ore al mese e uno psichiatra per 10 ore, oltre l’intervento del Sert. Nell’anno 2010 sono entrati 176 persone, ne sono stati presi in cura il 71%, il 29% non è stato preso in cura perché privo di problematiche sanitarie. Le patologie maggiormente riscontrate sono le tossicodipendenze per 47%, le epatiti C e B pari al 14%, le disfunzioni dismetaboliche pari al 8% e il disagio psichico per il 12 %. Il totale delle patologie riscontrate riguarda 94 persone, pari al 53% della popolazione carceraria transitata dal giugno a dicembre del 2010. Si sono effettuate 1.335 prestazioni: 86% di visite mediche; 6% di visite psicologiche; 6% di visite specialistiche esterne; 2% di visite psichiatriche. I tossicodipendenti sono: 13% stranieri e 30% italiani. Si sono monitorizzati cardiopatici, gastropatici, broncopneumopatici, epatopatici, affetti da sindrome Hiv, alcoldipendenti, tossicodipendenti e disturbi psichici. Si è predisposto per ogni disturbo una protocollo di prestazioni specifiche per curare e favorire il benessere fisico e psichico dell’ospite. È un segno di civiltà che va ulteriormente sviluppato e garantito. È inevitabile osservare che il carcere sta svolgendo una funzione di sussidiarietà alla marginalità sociale, culturale ed economica. Tutto ciò dovrebbe porre delle domande e delle riflessioni per chi sta fuori: la qualità del vivere e del benessere non può e non va suddivisa in chi sta dentro e in chi sta fuori. Sbagliare è possibile. Puglia: Sappe; queste le condizioni in cui è maturato il suicidio di Carlo Saturno Quotidiano di Puglia, 17 aprile 2011 Sarà molto lunga e dettagliata la relazione che il Segretario Generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria presenterà al Capo del Dipartimento tonta sulla gravissima situazione che si vive nelle carceri pugliesi. Nel “tour de force” che ha portato il segretario Capece nei più grandi penitenziari della Regione (Lecce, Brindisi, Taranto, Foggia, Trani, Turi, Bari) è stato ancora una volta preso atto che il problema carceri non può essere più essere nascosto. Ormai la situazione di malessere, di diritti violati, di disagio attraversano tutti i penitenziari pugliesi e potrebbero esplodere con effetti devastanti per tutti, da un giorno all’altro. Primo tra tutti bisogna risolvere il problema del sovraffollamento dei detenuti che ormai supera le 4.500 presenze a fronte di circa 2.300 posti disponibili, ove si supera il 100% della capienza regolamentare. Chi è entrato nelle case circondariali della Puglia ha visto celle chiuse poiché ci piove dentro, detenuti stipati in quattro dove si è no c’è ne possono essere due, letti a castello che arrivano a quattro uno sull’altro. A ciò come più volte denunciato fa da contraltare, la fatiscenza delle strutture che contribuisce a rendere ancora più pietosa la condizione igienico sanitaria in cui vivono i detenuti e chi li controlla. Sempre più grave si fa la situazione degli organici della Polizia Penitenziaria che si riducono a causa dei pensionamenti e delle malattie che aumentano sempre di più, senza che nessuno pensa di reintegrarli. In Puglia per portare la situazione a livelli accettabili di vivibilità e lavoro necessitano almeno 500 poliziotti penitenziari. In questo contesto, ricorda il segretario regionale del Sappe Filippo Pilagatti, la Costituzione Italiana viene calpestata poiché non si riscontrano segni di rieducazione dei detenuti, senza parlare della negazione del diritto alla salute. Le carceri pugliesi sono piene di gente che in carcere non dovrebbe starci; tossicodipendenti, malati psichiatrici, detenuti affettati da gravi patologie, in una situazione infernale che fa comodo a tutti politici, mentre gli amministratori chiudono gli occhi per far finta che il problema non esiste. Ormai il carcere non è più privazione della libertà, ma è anche negazione del diritto ad avere una propria dignità. I dati che i sindacalisti autonomi riferiranno al Capo del Dap parlano di un 35% di tossicodipendenti rinchiusi nelle carceri pugliesi e di Istituti come Foggia, Lecce e Taranto che hanno superato il 100% dei posti, arrivando a Bari che ha superato il 150% dei posti disponibili (200 posti e 500 detenuti). Ritornando poi al caso del detenuto Carlo Saturno, deceduto al Policlinico di Bari dopo essere stato rinchiuso nel carcere di Bari, si vorrebbe contestare alla Polizia Penitenziaria l’istigazione al suicidio, dimenticando che nei fatti, con questa organizzazione delle carceri e con questa vita infernale in cui sono costretti i detenuti, l’istigazione al suicidio è una realtà concreta ed i colpevoli sono gli amministratori regionali che negano il diritto alla salute, i politici nazionali, il governo, il presidente della Repubblica, poiché oltre alle belle parole, nessuno fa niente. Tutto ciò, chiosano ancora i responsabili Sappe, mentre la gente in carcere, tantissimi innocenti, muore spiritualmente ed in qualche caso anche fisicamente. “Fortunatamente gli accertamenti compiuti dalla Magistratura stanno facendo giustizia di una serie di cattiverie e diffamazioni poste in essere da chi molto probabilmente, alla fine della vicenda, potrebbe rendere conto delle proprie affermazioni”, si sfoga ancora Pilagatti, dopo che l’altro ieri il capo dell’Ufficio ispettivo del Dap si è potuto rendere conto di persona di cosa sia avvenuto nella giornata del 30 marzo, quando avvennero i fatti che condussero alla tragica vicenda Saturno nel carcere di Bari. Il Sappe, infine, si augura che si apra una nuova fase in cui la politica pensi in maniera seria e coraggiosa a riforme che possano ridare al carcere la sua funzione. E cioè far scontare in maniera anche dura la pena per chi sbaglia, ma consentire a chi per sbaglio o per altro ha commesso un reato di ritornare a far parte della società. Se una Nazione si vede anche dalle condizioni in cui sono le carceri, sicuramente l’Italia è un paese da Terzo Mondo. Sassari: non fu un suicidio, Marco Erittu fu ucciso in cella; indagini della Dda La Nuova Sardegna, 17 aprile 2011 Si riapre dopo quattro anni l’inchiesta sulla misteriosa morte di un 40enne, trovato senza vita in una cella di San Sebastiano. Si parlò di suicidio, ma la Direzione distrettuale antimafia ipotizza oggi che l’uomo sia stato assassinato. A meno di quattro anni dalla scomparsa di Marco Erittu, 40 anni di Sassari, trovato morto in una cella del carcere di San Sebastiano in circostanze mai definitivamente chiarite, si riapre l'inchiesta. La Direzione distrettuale antimafia ipotizza che l'uomo sia stato ucciso. Elementi nuovi avrebbero fatto scattare le indagini dei carabinieri del Reparto operativo di Nuoro e Sassari. Omicidio, dunque. E non suicidio, quella fine strana che non aveva convinto quasi nessuno. Il medico legale parlò di «impiccagione incompleta» con un lembo di coperta, ma l'uomo aveva la bocca piena di pezzi dello stesso tessuto, come se qualcuno glieli avesse infilati a forza. Nei giorni scorsi gli specialisti del Servizio investigazioni scientifiche dei carabinieri hanno effettuato un sopralluogo nella cella dove Marco Erittu venne trovato agonizzante dagli agenti della polizia penitenziaria la sera del 18 novembre 2007. Accertamenti disposti, da ciò che si intuisce, alla ricerca di riscontri specifici. L'inchiesta è coperta dal massimo riserbo, ma il rinnovamento delle indagini va nella direzione delle convinzioni dei familiari della vittima che non si erano mai rassegnati all'ipotesi del suicidio. E quella del detenuto sassarese è una storia «pesante». Perchè la sua tragica fine si intreccia con le vicende di due persone sequestrate e mai tornate a casa: Paoletto Ruiu, il farmacista di Orune prelevato da un commando il 22 ottobre del 1993 mentre torna a Nuoro, e Giuseppe Sechi, il muratore di Ossi sparito nel nulla la sera del 22 marzo del 1994 a Sorso. In mezzo si inserisce la vicenda di un altro sequestrato, Vincenzino Marras, figlio di un possidente di Ozieri, rapito il 23 maggio 1994 e sfuggito ai banditi (nella grotta in cui fu tenuto progioniero, su alcune tracce venne rilevato il Dna di Paoletto Ruiu). Marco Erittu stava scontando una pena residua per reati di droga nel carcere di San Sebastiano. A un certo punto il suo comportamento era cambiato: aveva scritto una lettera per chiedere un incontro con il procuratore capo Giuseppe Porqueddu. Temeva per la sua incolumità, aveva confidato di essere a conoscenza di cose scottanti relative alla scomparsa di Giuseppe Sechi. L'incontro venne autorizzato, ma la sensazione è che non andò come Erittu si aspettava. Per una coincidenza non presentò il procuratore capo, assente per un periodo di ferie, ma il sostituto Giancarlo Cirielli. Di quel colloquio in carcere non si conoscono particolari, ma il detenuto - trovandosi di fronte a una persona diversa rispetto a quella che aveva chiesto di vedere - non si sbilanciò più di tanto. Tornò in cella, ma il suo stato d'animo cambiò: umore pessimo, difficoltà nei rapporti con i compagni di cella. In quella fase così difficile, Marco Erittu inviò una lettera al procuratore Giuseppe Porqueddu: mise per iscritto gran parte delle cose che avrebbe voluto raccontare a voce. E quella missiva torna d'attualità ora che la Direzione distrettuale antimafia - con una serie di elementi nuovi a disposizione - ha deciso di approfondire gli aspetti poco chiari sulla fine di Marco Erittu. Oggi come ieri, ci si chiede che cosa il detenuto sassarese volesse riferire sulla scomparsa di Giuseppe Sechi, da chi avesse avuto le informazioni e perchè improvvisamente sollecitò l'incontro con il capo della Procura sassarese. L'ipotesi è che fosse stato minacciato, che la situazione fosse precipitata al punto da temere di essere ucciso. E se questo è accaduto, ora la Dda lo vuole scoprire, specie dopo novità recenti che avrebbero convinto i magistrati a riaprire l'inchiesta. La morte di Marco Erittu porta, come primo collegamento, alla scomparsa di Giuseppe Sechi. Un lembo dell'orecchio del muratore di Ossi venne inviato alla famiglia di Paoletto Ruiu per tentare di riaprire la trattativa e ottenere il pagamento del riscatto, proprio nel momento in cui era forte la convinzione che il giovane farmacista (anche lui mai tornato a casa) fosse stato ucciso. La scoperta che quel pezzo di cartilagine apparteneva a Giuseppe Sechi venne fatta solo successivamente, con il test del Dna. E così gli inquirenti arrivarono alla conclusione che fu la stessa banda a rapire Paoletto Ruiu, Giuseppe Sechi e Vincenzino Marras. Tre vicende irrisolte che pesano sulla storia della Sardegna e tengono aperti scenari inquietanti sull'evoluzione della criminalità isolana. Vallo della Lucania (Sa): raccolta firme contro progetto di reinserimento lavorativo dei detenuti La Città di Salerno, 17 aprile 2011 La sala è affollata di gente, la tensione è tanta, si percepisce entrando nel centro congressi di Casal Velino Scalo, luogo scelto per l’atteso incontro tra il sindaco Eros Lamaida e la comunità di Castelnuovo Cilento. Il primo cittadino è pronto ad ascoltare le tante domande dei suoi concittadini che chiedono spiegazioni sull’arrivo in paese di alcuni detenuti del carcere di Vallo della Lucania che saranno impegnati in un progetto di manutenzione del verde pubblico. Ad affiancare il sindaco Lamaida la direttrice della struttura penitenziaria Maria Rosaria Casaburo. In prima fila i firmatari della petizione popolare che hanno raccolto oltre 500 firme per dire no alla realizzazione del progetto. A sostenere la loro causa il presidente dell’associazione “Caramella buona”, Roberto Mirabile, che da anni si occupa di casi di abusi sessuali e alla quale si sono rivolti i promotori della protesta. A suscitare la preoccupazione dei cittadini la natura dei crimini commessi dai detenuti rinchiusi nel carcere di Vallo della Lucania per lo più condannati per reati a sfondo sessuale. Così mercoledì sera nel corso dell’affollata assemblea durante la quale non sono mancati i momenti di tensione, i cittadini hanno avuto modo di esprimere tutte le loro perplessità. “Vogliamo che il nostro sindaco ci ripensi - ha sottolineato Tonia Morinelli, promotrice della raccolta firme- non ci fermeremo a questa serata, valuteremo altre iniziative di protesta e se sarà necessario non manderemo i nostri figli a scuola”. “Come genitori - ha aggiunto Luca De Feo - siamo tenuti a tutelare i nostri figli e fino ad ora abbiamo ricevuto solo risposte evasive sul genere di detenuti che dovrebbero arrivare a Castelnuovo”. Perplessità sono state espresse dal presidente dell’associazione “Caramella buona”: “Nonostante i toni accesi e le incomprensioni tra i presenti - ha sottolineato Roberto Mirabile - la serata è stata utile per capire di che genere di detenuti stiamo parlando. Ci sono cinquecento genitori in allarme su una popolazione di 2.500 persone, un dato che il sindaco dovrà tenere presente”. Da parte sua il sindaco assistito ha fornito ai presenti tutte le spiegazioni sul progetto che intende portare avanti. “Non c’è alcun pericolo per la comunità locale - ha detto- Parliamo di detenuti a fine pena selezionati per conto del ministero della Giustizia. Il progetto si svolgerà in piena sicurezza, i detenuti saranno accompagnati a Castelnuovo dove svolgeranno il loro lavoro monitorati dagli agenti della polizia penitenziaria”. A sostegno del sindaco anche il sostituto procuratore Alfredo Greco, che sarà presente a Castelnuovo Cilento quando i detenuti inizieranno il progetto, “perché - ha detto - considero l’iniziativa eccezionale al fine di far comprendere che solo un percorso di rieducazione sociale e la socializzazione concreta può salvare i detenuti e far comprendere ancora che la società. Non si deve liberare di loro ma deve creare le condizioni per accoglierli. Sì, ci sarò anche io per affermare che il castigo della pena non deve avere le sembianze della vendetta”. Livorno: la madre di Marcello Lonzi; questo è il mio ultimo presidio, sono delusa dalle istituzioni Ansa, 17 aprile 2011 “Questa è l’ultima volta che vengo davanti al carcere di Livorno. Non ce l’ho con i livornesi, ma con le istituzioni livornesi ho chiuso, non ci voglio più avere a che fare”. Durante un presidio organizzato davanti al penitenziario della città toscana lo ha detto oggi Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nel carcere delle Sughere l’11 luglio 2003. “Sono sempre stata lasciata sola dalle istituzioni livornesi - ha dichiarato la Ciuffi - Vedo che negli altri casi le mamme hanno avuto al loro fianco i sindaci: a Viareggio, a Roma, a Ferrara nel caso Aldrovandi. Io invece ho chiesto più volte un incontro al sindaco Cosimi e non mi ha mai ricevuto”. La manifestazione di oggi è stata organizzata dopo che anche la Cassazione alcuni giorni fa ha respinto il ricorso dei legali della Ciuffi contro l’archiviazione del caso della morte del figlio da parte del tribunale di Livorno. Insieme a Maria Ciuffi una cinquantina di persone e tra queste il consigliere comunale dell’Italia dei Valori Lorenzo Del Lucchese e soprattutto Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, il giovane viareggino morto in un carcere francese la scorsa estate: “Sono qui perché il dolore che prova lei è lo stesso che provo io”. Maria Ciuffi ha ribadito la sua volontà di rivolgersi alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. L’avvocato Matteo Dinelli sta già preparando il ricorso per presentarlo entro il tempo limite di 6 mesi. Durante il presidio è stato affisso uno striscione con scritto “Verità e giustizia per Marcello Lonzi” e sono stati deposti all’ingresso del carcere tre mazzi di fiori, uno dei quali spedito da “Gli amici di Rovereto”, cioè parenti e conoscenti di Stefano Frapporti, morto nel carcere trentino nel 2009. Agrigento: D’Antoni (Ugl); poco personale e pochi soldi, penitenziario al collasso La Sicilia, 17 aprile 2011 “Sovraffollamento nella Casa circondariale di Agrigento, carenza di fondi e conseguente ridimensionamento delle indennità, mezzi di trasporto non idonei, assenza di pari opportunità tra il personale, scarsa attenzione allo sviluppo professionale, mancanza di tranquillità sui luoghi di lavoro e non rispetto degli accordi raggiunti tra le organizzazioni sindacali e la direzione”, sono queste le principali motivazioni che hanno indotto i sindacati Ugl Pp, Sappe, Osapp, Uil Pa, Cisl Fns, Cnpp ad organizzare una manifestazione di protesta che si é tenuta oggi nella citta della valle dei Templi. Per Francesco D’Antoni, segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria “le condizioni di estremo disagio che il personale vive presso la struttura agrigentina sono giunte al limite, da tempo i sindacati chiedono con forza alle istituzioni di prestare attenzione al clima di invivibilità che caratterizza le carceri siciliane e le consequenziali difficoltà con le quali la Polizia Penitenziaria opera quotidianamente”. Per l’esponente dell’Ugl “garantire ordine e sicurezza in queste condizioni limite, porta gli agenti a rischiare quotidianamente la vita, nell’indifferenza generale, l’Ugl chiede una rivalutazione del lavoro della Polizia Penitenziaria e una riforma che, partendo dalla risoluzione del drammatico problema della carenza di personale e dal sovraffollamento delle carceri, garantisca migliori condizioni al personale e ai detenuti e, dunque, maggiore sicurezza per la collettività”. “In un momento così drammatico - conclude il segretario - non ci resta che invitare l’Amministrazione penitenziaria ad avviare una seria riflessione, cominciando dalla valutazione in chiave meritocratica dell’operato degli agenti”. Corteo e sit-in degli agenti Giornata di mobilitazione per gli agenti della Polizia penitenziaria in servizio al carcere di Agrigento. Poco più di cento agenti hanno percorso a piedi la via Imera, per giungere al palazzo della Prefettura, dove hanno dato vita ad un sit-in di protesta. “Armati” di fischietti, cartelli e bandiere, hanno fatto sentire la loro protesta con slogan e cori contro il Governo e i vertici della casa circondariale di contrada Petrusa, bersagliati per tutto il corteo. Decine i cartelli con su scritto “rivendichiamo la nostra dignità”, “con queste direttive non ci sentiamo più sicuri di operare in situazioni di sicurezza”, “Alfano basta promesse, aiutaci”. Insomma una combattiva giornata di lotta, di grande unità degli agenti della Penitenziaria, conclusa con un incontro tra le sigle sindacali, una delegazione delle guardie carcerarie e il prefetto Francesca Ferrandino, alla quale è stato chiesto un aiuto per risolvere le tante problematiche presenti all’interno del carcere. “Sono tantissimi i problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno - ha dichiarato Salvatore Gallo Cassarino, agente iscritto alla Cisl - mancano i soldi nei relativi capitoli, il personale di polizia penitenziaria é costretto a percepire le indennità straordinarie, incentivi, missioni, con notevole ritardo. Siamo costretti ad operare in ambienti carenti sotto il profilo igienico sanitario, con il rischio di essere contagiati da malattie tipo la scabbia e l’epatite. Diciamo basta, non si può continuare ad andare avanti in questo modo - continua Mimmo Nicotra, del sindacato Osapp - con la politica attuata sulle carceri il Governo ha fallito, ancora di più ad Agrigento, dovei vertici dell’istituto di pena, incuranti del fatto che dentro le garitte dove gli agenti vigilano in servizio di sentinella 24 su 24, piove d’inverno e il caldo d’estate diviene insopportabile, il direttore e il comandante impongono ai propri uomini di indossare capi di vestiario tutt’altro che confortevoli, pena il rapporto disciplinare. Il personale di Polizia penitenziaria della casa circondariale di Agrigento ha perso la serenità nel posto di lavoro. Sono molteplici i motivi che ci hanno spinto a scendere in piazza e a gridare le nostre ragioni - aggiunge Calogero Spinelli, del sindacato Cnpp - gli agenti sono in stato di agitazione allo solo scopo di informare tutti, che la sicurezza passa anche attraverso un sistema penitenziario efficiente ed efficace, cosa che non avviene nel carcere agrigentino”. Alessandria: presto sarà ripristinato il “repartino detenuti” all’Ospedale Civile La Stampa, 17 aprile 2011 “La informo che, in merito alla problematica del repartino detenuti presso l’Ospedale Civile di Alessandria, lo stesso è in fase di riapertura”: è quanto ha risposto l’Assessore Comunale alle Politiche della Salute, Gabrio Secco, al Consigliere Comunale Mario Bocchio, presentatore di un’interrogazione. “Ringrazio l’Assessore ed il Sindaco Piercarlo Fabbio - dichiara il Consigliere Bocchio - che, insieme alle Autorità del Ministero della Giustizia e della Polizia Penitenziaria hanno accelerato la risoluzione di un disagio che ogni giorno grava sugli agenti incaricati di piantonare i detenuti costretti al ricovero nel nosocomio, gli stessi carcerati ed anche i normali degenti, in quanto la promiscuità in una normale stanza genera mancanza di privacy e di sicurezza”. “Mi è stata inoltrata la comunicazione, a firma del Dott. Nicola Giorgione, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera “SS. Antonio Biagio e Cesare Arrigo” - risponde l’Assessore Secco - che ufficializza precise scadenze. I lavori sono in corso, sulla base di un progetto approvato dal Servizio Tecnico del Provveditorato Regionale del Ministero della Giustizia con nota in data 29 gennaio 2009. Trattasi della realizzazione di due locali con annessi servizi igienici situati al settimo piano del monoblocco, di cui uno destinato a degenza per un posto letto detenuto e l’altro ad un locale sorveglianza. All’inizio dell’anno in corso si è proceduto alla consegna parziale dei locali ed i lavori sono appunto iniziati nel mese di febbraio 2011 con l’approntamento del cantiere (interventi all’impianto elettrico), con lo spostamento del vetusto quadro elettrico del reparto del settimo piano situato all’interno della camera di degenza e con la realizzazione di un nuovo quadro elettrico a norma installato nel corridoio e conseguente ribaltamento di tutte le linee elettriche. I lavori relativi all’impianto elettrico sono terminati alla fine dello scorso mese di febbraio”. “Contestualmente si sono fatti i necessari sopralluoghi con la ditta edile di manutenzione per la programmazione dei lavori, sono state richieste le specifiche tecniche relative a particolari forniture al referente del Servizio Tecnico Regionale della Giustizia (tipologia inferriate e porta di sicurezza) e proprio lo scorso 11 marzo si è dato corso ad un sopralluogo con il Direttore dell’Istituto Penitenziario di San Michele all’interno del vecchio repartino per verificare il possibile riutilizzo della porta di sicurezza esistente (la porta in oggetto deve essere provvista di apposita serratura in dotazione solo alla Polizia Penitenziaria) - ha aggiunto Secco - Infine in questi giorni verrà consegnato il secondo locale destinato a sorveglianza, attualmente occupato da personale della Rianimazione. Il completamento dei lavori in oggetto è previsto entro la fine del mese di aprile, o, al massimo, entro gli inizi di maggio”. Belluno: i Sindacati di Polizia penitenziaria incontrano il Prefetto Il Gazzettino, 17 aprile 2011 Per il carcere di Baldenich, che ospita 140 detenuti, le organizzazioni sindacali chiedono rinforzo del personale, ristrutturazione dei locali e chiusura della sezione trans. Istanze, queste, che venerdì sono state illustrate al prefetto Maria Laura Simonetti che, da parte sua, ha garantito che le riporterà ai competenti uffici del Ministero della Giustizia. “L’organico ufficiale - hanno spiegato i rappresentanti sindacali di tutte le sigle - è di 122 unità. Sulla carta siamo invece 89 anche se in realtà, tolti 9 distacchi in missioni fuori sede e le quotidiane assenze per malattia, ferie o permessi, siamo ancora meno”. E proprio a causa di queste carenze risulta difficile gestire la delicata sezione che ospita 24 trans (oltre a questa sono solo due nel resto d’Italia). “Prima di tutto - è stato detto - perché questi detenuti richiedono particolari percorsi che prevedono personale numeroso e competente. E poi perché essi, provenienti da aree anche molto lontane dal Bellunese, rappresentano un costo notevole in occasione degli spostamenti verso i tribunali”. Infine i lavori di manutenzione: “Chiediamo fondi - hanno concluso i sindacati alla presenza anche della direttrice del carcere Immacolata Mannarella - per la ristrutturazione complessiva delle sezioni detenuti comuni ed osservazione e per il muro di cinta. Ma anche per la creazione di sistemi di sicurezza anti-evasione e anti-intrusione”. Padova: sequestrati un telefono cellulare e una busta di droga nel carcere Due Palazzi Il Mattino, 17 aprile 2011 La scoperta di ieri mattina ora sta facendo tremare tutti i vertici della Casa di reclusione del Due Palazzi. In una cella al primo piano del carcere infatti è stato trovato un telefono cellulare con scheda sim attiva e una busta con una dose di droga. Subito è stato lanciato l’allarme e sono scattati gli accertamenti. Ovviamente il materiale è stato sequestrato e ora si cercherà di capire come è stato possibile introdurre in un carcere di massima sicurezza sia la droga che un mezzo per comunicare con il telefonino. Tanto per fare un esempio, anche i singoli decoder del digitale terrestre sono considerati un apparecchio per comunicare e per questo motivo è stato acquistato un sistema centralizzato. La voce del ritrovamento si è sparsa in un attimo tra le guardie carcerarie, che lamentano alcune mancanze tra cui gli apparecchi che dovrebbero schermare tutta l’area delle celle per rendere impossibili le comunicazioni. Ora resta da capire quale dei detenuti avesse in uso il telefono e soprattutto a chi appartenesse la droga trovata. Sul fatto, per ora, c’è il massimo riserbo. La bustina è stata sequestrata e si sta cercando di capire che sostanza fosse contenuta all’interno. Del fatto è stato informato in tempo reale anche il direttore Salvatore Pirruccio. Parma: detenuto in regime di 41-bis tenta il suicidio, aveva aggredito il direttore del carcere Parma Sera, 17 aprile 2011 Il detenuto sottoposto al 41-bis che tempo fa aveva prima aggredito in carcere a Parma sei agenti e il medico di guardia e poi, pochi giorni or sono, anche il direttore dell’istituto, ieri ha tentato il suicidio all’interno della propria cella, utilizzando un asciugamano. Lo ha fatto sapere Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria). L’uomo, dopo aver legato l’asciugamano alle grate della finestra, se lo è stretto al collo e ha tentato di soffocarsi. Se ne è accorto l’agente in servizio nella sezione, che è entrato nella cella, lo ha sollevato e ha chiesto aiuto a un altro agente: insieme hanno salvato il detenuto mentre stava già perdendo i sensi. Per loro, Durante chiede che “vengano adeguatamente ricompensati dall’amministrazione penitenziaria”. “Sarebbe inoltre opportuno - conclude Durante - che il Dipartimento inviasse a Parma almeno 50 agenti per rinforzare l’organico carente di 170 unità”. Ieri, sul caso, sono intervenute anche le organizzazioni sindacali Osapp, Sinappe, Cgil e Cnpp. In una nota congiunta i sindacati sottolineano la professionalità degli agenti di polizia penitenziaria che operano in via Burla. Grazie a coloro che sono intervenuti, si legge nel testo, “e che hanno alle spalle un bagaglio di esperienza altamente professionale e di gestione del 41 bis, si sono potuti evitare rischi certamente più gravi e maggiori”. Quindi, le organizzazione sindacali chiedono risolvere una serie di problemi che vanno dalla carenza di personale, di risorse economiche e di mezzi, alla mancanza di strutture sanitarie interne all’istituto. La Spezia: carcere preventivo; “no” dal convegno degli avvocati penalisti La Nazione, 17 aprile 2011 Ci hanno provato ieri a Sarzana gli avvocati penalisti a fare fronte comune con i magistrati nella “battaglia” che da tempo hanno intrapreso per la revisione delle carceri e soprattutto contro l’uso della carcerazione preventiva. L’idea di un documento congiunto l’ha lanciata il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Valerio Spigarelli al termine della due giorni di confronto su carcere e costituzione, che ha richiamato nella Fortezza Firmafede penalisti di tutta Italia, magistrati di sorveglianza, procuratori, “addetti ai lavori” delle Case di reclusione, direttori, educatori, sindacalisti delle guardie carcerarie, volontari. Se qualche “apertura” è arrivata su molti punti, le posizioni restano distanti fra magistratura e avvocatura. E allora il convegno che voleva arrivare a “proposte concrete e non propaganda per la sicurezza della società e per la tutela dei diritti” si è chiuso con l’annuncio dello stesso Spigarelli che l’Unione Camere Penali partirà per la sua “crociata” e vedrà poi sul campo quanti saranno i “magistrati coraggiosi” pronti a firmare la sua richiesta di un diverso sistema carcerario capace di recuperare il detto costituzionale per cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In quella che i penalisti considerano una “battaglia di civiltà” la custodia cautelare in carcere è uno dei punti centrali da abbattere. “Oggi in Italia è applicata in maniera contraria alla Costituzione”. Cagliari: ricotta e musica per i detenuti; iniziativa della Coldiretti e concerto degli Istentales L’Unione Sarda, 17 aprile 2011 Allo spettacolo degli artisti nuoresi, organizzato insieme alla Coldiretti, hanno assistito 140 detenuti del carcere di Buoncammino. Vedi le foto “Erano anni che non vedevo fare il formaggio e mi ha fatto piacere assistere alla preparazione di un prodotto che conosco bene, dato che prima di finire dentro conducevo un’azienda agricola a Fonni, il mio paese”. Raffaele Nonne, 30 anni, è rinchiuso a Buoncammino da 4 anni e dovrà restare qui ancora a lungo perché la pena che deve scontare è di 20 anni. Ieri si è emozionato mentre assisteva alla preparazione della ricotta all’interno del carcere per iniziativa della Coldiretti e del gruppo barbaricino degli Istentales. “Una splendida giornata”, ha detto, “che mi ha fatto ritornare alla mente tante cose, distraendomi almeno per un pò dai brutti pensieri”. Felice anche Aurelio, altro giovane detenuto nato a Oliena. “Sì, provengo dal paese di Zola, all’ombra del Monte Corrasi”, si è presentato, “ben vengano iniziative come questa, perché per gente come noi che sta rinchiusa 24 ore su 24 i momenti di svago sono fondamentali”. Il leader degli Istentales, Gigi Sanna, ha suonato dal vivo per due ore nel campo da calcetto del braccio sinistro del penitenziario. Ad assistere allo spettacolo, 140 detenuti sistemati in una platea di sedie di plastica allestita per l’occasione. Numerosi gli ogliastrini, mescolati a decine di nordafricani. Altri detenuti hanno invece assistito allo spettacolo dall’alto, aggrappandosi dall’interno alle grate delle celle. Sul palco la band di pop neomelodico in limba (Gigi Sanna, Luca Floris, Tattino Canova, Daniele Barbato, Giampaolo Carta, Luca Chessa) ma anche il coro dei detenuti specializzato in canti a tenore. Soddisfatto il direttore dell’istituto di pena, Gianfranco Pala. “L’idea di un concerto a Buoncammino è merito di Gigi Sanna e noi abbiamo accettato di buon grado. Il nostro coro è nato un anno fa, ha 15 elementi ed è diretto dal maestro Gigi Oliva”. Felice il presidente di Coldiretti, Marco Scalas. “Abbiamo provato a regalare un momento di libertà a chi sta in carcere”, ha detto, “testimoniando la nostra vicinanza ai detenuti. A Buoncammino ho rincontrato amici che non vedevo da tanto tempo e che non mi aspettavo proprio di ritrovare qui”. “Oltre a suonare”, ha detto Gigi Sanna, “abbiamo voluto far riassaporare a questi amici i sapori della nostra terra”. L’iniziativa di ieri, battezzata “Campagna Amica”, ha consentito di realizzare all’interno del penitenziario ben 7 chili di formaggio utilizzando il latte della fattoria didattica che lo stesso Sanna gestisce a Badde Manna (Nuoro). Ragusa: i detenuti-pasticceri preparano dolci per gli “ospiti” del carcere di Modica La Sicilia, 17 aprile 2011 Biscotti e cioccolatini per i detenuti del carcere di Modica, giunti direttamente dagli ospiti dell’istituto detentivo di Ragusa. Un legame dolce, per un momento di spensieratezza, ma soprattutto di formazione professionale, che potrà tornare utile dopo avere scontato la pena. Lo scambio di dolci è avvenuto nell’ambito del progetto “Rompete le righe” che è passato alla fase della work experience e che sta riscuotendo il plauso unanime da parte degli stessi corsisti. “Ringraziamo tutti i nostri docenti - hanno spiegato - perché grazie a loro abbiamo uno spiraglio dal quale guardare verso l’esterno ed il futuro”. “È bello vedere tutto questo entusiasmo - ha sottolineato Rosario Cavallo, vice presidente delegato Enaip di Ragusa - perché testimonia un lavoro condiviso che sta portando ad ottimi risultati. Siamo noi che ringraziamo gli ospiti della casa circondariale e tutti gli operatori del carcere”. “Anche attraverso simili momenti di condivisione e di festa - spiega Aurelio Guccione, coordinatore dell’area formativa del progetto - dimostriamo come i soldi pubblici del Fondo sociale europeo possano essere spesi bene”. Soddisfatta la direttrice dell’istituto di Modica, Giovanna Maltese. “Il progetto Rompete le righe - spiega - si sta manifestando di notevole rilevanza ed efficacia poiché, non solo sta dotando i detenuti di una competenza e di una qualifica che gli possa consentire di trovare lavoro all’esterno, ma sta dando dignità al tempo trascorso in carcere, sottraendoli all’ozio e facendoli sentire responsabili, protagonisti dei risultati dei lavori svolti nell’ambito del progetto. È un progetto che contiene davvero in sé tutti gli elementi per il recupero e la rieducazione del detenuto: orientamento e istruzione professionale nonché inserimento lavorativo nella società”. Forlì: Radio Maria questa mattina è tornata in diretta dal carcere Romagna Oggi, 17 aprile 2011 Ritorna la diretta di Radio Maria dal carcere di Forlì per la “Santa Messa delle Palme”. Ma persiste, anche, l’encomiabile impegno di 17 ristoranti forlivesi, che pure quest’anno garantiranno una pizza per il pranzo a tutte le persone detenute in via della Rocca. Martino Chieffo eseguirà alcune canzoni del padre Claudio, prima della messa. Né mancheranno le tradizionali colombe pasquali. Oggi, domenica 17 aprile, il network internazionale cattolico “Radio Maria”, presente in 40 paesi al mondo, trasmetterà per il 14° anno consecutivo la “Santa Messa delle Palme” dalla Casa Circondariale di Forlì. La diretta consentirà a gran parte dei 204 residenti dell’istituto di pena, fra cui 24 donne, di “evadere” per un’ora dalle restrizioni della prigione. La funzione, rievocazione dell’ingresso festante di Gesù Cristo a Gerusalemme e avvio formale della Settimana Santa, sarà presieduta dal cappellano del penitenziario don Dario Ciani. Nell’omelia, il noto sacerdote, fondatore della comunità di recupero di Sadurano, illustrerà brevemente la realtà carceraria forlivese. Durante la messa, i detenuti presenti riceveranno il tradizionale rametto d’ulivo in segno di riappacificazione con la società civile. Alcuni leggeranno le sacre letture della “Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”, mentre una giovane carcerata divulgherà l’augurio pasquale inviato dalle Sorelle Povere di santa Chiara, meglio conosciute come Clarisse di San Biagio, a tutti gli ospiti della Casa Circondariale. Il collegamento sarà condotto, sulle canoniche frequenze 103.600 e 106.500 in modulazione di frequenza, dal cesenate Daniele Siroli, responsabile di Radio Maria per la Romagna e pioniere dei pellegrinaggi al santuario mariano di Medjugorje. Al termine, alcuni volontari porteranno in via della Rocca, ancora calde e rigorosamente tagliate a spicchi, pizze per il pranzo offerte da 17 ristoranti forlivesi, in ordine rigorosamente alfabetico: “Da Gusto”, “Da Scarpina”, “Del Corso”, “Fofò”, “L’Aquilone”, “L’insonnia”, “Lady Pizza”, “Le Macine”, “Le Querce”, “Le Terrazze”, “Lo Spizzico”, “Los Locos”, “Molino Novo”, “Muffaffè”, “Peter Pan”, “Vecchia Forlì” e “Vecchio Lampione”. Anche quest’anno, aderendo alla richiesta dei numerosi carcerati di religione islamica, alcuni pizzaioli hanno acconsentito di escludere dai loro prodotti la carne di maiale. Non potranno, infine, mancare le tradizionali colombe pasquali donate dai dipendenti della Banca di Forlì Credito Cooperativo di Forlì. La stessa emittente cattolica farà avere una radiolina transistor a tutti i residenti della Casa Circondariale. Immigrazione: Servizi segreti; 15mila profughi, liberati da Gheddafi, partiranno per l’Italia di Dina Galano Terra, 17 aprile 2011 Non fa in tempo il ministro Maroni a celebrare il trionfo per il funzionamento del trattato con la Tunisia che fonti del Copasir riferiscono della preoccupazione dei Servizi segreti per “l’ondata in arrivo dalla Libia”. “Non ci saranno nuove tendopoli perché la fase acuta dell’emergenza è finita”, ha sostenuto ieri il ministro dell’Interno, ribadendo l’ordine di immediato rimpatrio di tutti i tunisini arrivati dopo il 5 aprile. Ma è uno stesso membro di quel Comitato per la sicurezza nazionale che ieri ha ascoltato la relazione dei Servizi, il democratico Ettore Rosato, a sottolineare “la mancanza assoluta di un piano per l’immigrazione”. Secondo il deputato del Pd, “c’è contraddizione palese tra quello che il ministro ha detto mercoledì sera e quello che dice oggi (ieri). La verità è che l’allarme che è stato lanciato è sovradimensionato al punto da aver creato irritazione nei nostri partner europei”. Alla luce delle indiscrezioni sull’audizione di ieri al Copasir del direttore dell’Aisi, Giorgio Piccirillo, preoccupano le notizie sulla liberazione di detenuti libici dai carceri-lager; all’incirca 15mila persone che Gheddafi sta liberando per agevolarne la fuga verso l’Italia, in maggioranza provenienti dal Corno d’Africa, dal Ciad e dall’Africa subsahariana. Dalle informazioni fornite dal generale Piccirillo, inoltre, emergerebbe l’intenzione del Colonnello di utilizzare il flusso massiccio di profughi come arma pressante sull’Occidente, anche se finora è stato escluso l’infiltrazione di frange terroristiche. Certo è che per la massiccia entità dell’esodo previsto, la relazione al Copasir desta molta inquietudine: sul fronte isolano dove, dopo le tragedie dei due naufragi a Lampedusa prima e Pantelleria poi la situazione è tornata soltanto ieri a una precaria normalità; ma anche su quello dell’organizzazione della macchina dell’accoglienza sul territorio. Oggi dovrebbe partire il piano per la dislocazione - proporzionale al numero di residenti - dei primi 2.000 migranti tra le diverse Regioni, ma già si alzano i menti affinché lo sforzo sia limitato a richiedenti asilo e nordafricani in possesso del permesso temporaneo accordato dal governo. Con la puntualizzazione che “le risorse finanziarie anticipate della Regioni per fronteggiare l’emergenza umanitaria devono considerarsi a carico del bilancio dello Stato, anche ai fini dell’applicazione del Patto di stabilità”. Il piano, d’altronde è stato rimodulato e la bozza dell’ordinanza della Presidenza del Consiglio parla di “una prima assegnazione” di 110 milioni di euro al Fondo della Protezione civile; Franco Gabrielli, capo del dipartimento, viene nominato commissario delegato per la realizzazione di tutti gli interventi necessari a fronteggiare lo stato di emergenza. E chi tradizionalmente ha curato l’accoglienza in Italia, di fronte alla commessa alla Protezione civile, inizia a protestare. “Il nostro servizio è stato ignorato e scavalcato”, ha denunciato la direttrice del Servizio di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, Daniela Di Capua. “Ora abbiamo dei sistemi che viaggiano in parallelo: il nostro e quello “appaltato” alla Protezione civile. Con costi più alti”. Immigrazione: Palma; siamo indignati e perplessi per la gestione approssimativa degli arrivi di Marco Incagnola Terra, 17 aprile 2011 Abbiamo intervistato Mauro Palma, Presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e responsabile immigrazione di Sel in occasione del convegno di ieri promosso da Linkontro.info, Associazione Antigone e Progetto diritti, dal titolo “Profughi: Clandestini? Esseri umani!”. Di fronte al diniego dell’Europa viene spontaneo domandarsi se sono stati commessi errori, da parte del Governo nazionale, nella gestione dei profughi e nelle soluzioni adottate. Non vi è dubbio - e nessuno lo ha mai negato - che il tema dell’immigrazione irregolare in Europa richieda interventi coordinati e richieda grande consapevolezza del fatto che non si tratta di problemi di singoli stati, in particolare quelli di confine, ma di un tema europeo. E che la capacità di coesione dell’Europa nel garantire a tutti i diritti fondamentali nel proprio è un indicatore del suo tessuto democratico. Tuttavia la gestione approssimativa degli arrivi recenti lascia perplessi e anche indignati. Perché pur essendo una situazione annunciata da settimane dallo stesso governo, anche in numeri maggiori, si presenta oggi senza una strutturazione in grado di distinguere casi e situazioni, di offrire pienamente le garanzie giuridiche soprattutto ai soggetti più vulnerabili, di ospitare in modo meno approssimativo delle tendopoli e soprattutto con piena trasparenza. Inoltre, perché il governo non è riuscito a mostrare una capacità di coinvolgimento concreto di tutte le regioni ed enti locali; ed è ben difficile chiedere all’Europa di distribuire il carico su tutto il suo territorio se non si dimostra di essere in grado di distribuirlo su quello del proprio paese. Infine, perché non si sono viste reazioni ad affermazioni gravi di singoli che pur hanno responsabilità di governo. A suo avviso il Trattato di Schengen è stato interpretato in senso restrittivo o fedelmente? Purtroppo le interpretazioni restrittive dei trattati non possono mai essere evitate, soprattutto quando un tema assume una valenza elettorale: quello che molti paesi stanno inviando è un messaggio al proprio elettorato e in tale direzione spingono le interpretazioni, legittime, ma restrittive, della lettera dei trattati. Il trattato di Schengen voleva e vuole essere un trattato verso un’apertura - la libera circolazione - anche se ha aspetti di chiusura; la capacità politica, etica e di speranza delle nostre realtà dovrebbe spingere sulle prime piuttosto che richiudersi nelle seconde. Il tema dei profughi sembra essere diventato una pedina centrale nello scacchiere politico europeo. I Governi nazionali temono un effetto negativo in termine di consensi. Si rischia forse uno sgretolamento del progetto Europa? Non uno sgretolamento, però certamente un arretramento di quel processo che l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali all’interno del Trattato dell’Unione aveva lasciato intravedere. Un arretramento della stessa idea di Europa e delle culture che cementano le nostre società. Non si vede il paradosso tra il proclamare la libertà e non essere pronti a dare risposte ai problemi che i difficili e spesso tortuosi processi di liberazione pongono? Perché il Governo non consente visite all’interno delle tendopoli? Non le sembra una preoccupante sospensione dei diritti? È una domanda che pongo anche io al governo. Perché a un parlamentare è permesso di visitare un luogo di detenzione, quale un carcere, e non è permesso l’ingresso in uno di questi luoghi che - tutti sottolineano - non sono detentivi? Le organizzazioni della società civile potrebbero dare un aiuto considerevole all’effettivo accesso alla garanzie: accesso all’asilo, individuazione e tutela dei minori, assistenza legale, prevenzione di ogni abuso. Servirebbe anche a chi nelle tendopoli deve operare. Immigrazione: chi la lasciato morire 63 persone su un gommone? di Don Mussie Zerai (presidente Agenzia Habeshia) Europa, 17 aprile 2011 Sono stupito: il diritto internazionale marittimo che obbliga di salvare chi si trova in pericolo di vita, che valore ha oggi? Perché il 90 per cento della stampa ha scelto il silenzio di fronte ad un atto cosi grave, crudele e disumano? Più volte abbiamo segnalato la scomparsa del gommone partito da Tripoli il 25 marzo con 72 persone a bordo, e di cui si sono perse le tracce dal 26 marzo tardo pomeriggio. Sono stati localizzati per l’ultima volta a circa 60 miglia da Tripoli e poi il nulla, ci è stato detto che non sono stati trovati. In questi giorni siamo stati contattati da 9 persone sopravvissute alla tragedia, dopo due settimane in mare sono tornati a Tripoli, raccontano di essere sopravvissuti in 11 persone, due donne 9 uomini: la corrente del mare li ha portati a Zelatien dove i militari di Gheddafi li hanno presi e messi in carcere dove sono morti un ragazzo e una ragazza. Dopo qualche giorno 7 dei sopravvissuti sono stati trasferiti nel carcere di Tuweshia a Tripoli, mentre due sono stati portati in ospedale a Zelatien. Raccontano che sono stati abbandonati da “diversi navi militari, una di queste era italiana, addirittura un elicottero si è avvicinato fornendo loro da bere” ma lasciando morire 63 persone donne e bambini. Un atto disumano. Queste nove persone sono testimoni della tragedia, ho parlato con uno che ha perso la moglie dalla fame e sete. Chiediamo che la Nato faccia piena luce su questa vicenda: di chi era l’elicottero che si è limitato a fornire acqua ai profughi senza poi mandare i soccorsi? Quali sono le navi militari che hanno avvistato questo gommone nei giorni tra il 25 e il 30 marzo? Svizzera: in meno di 24 ore nel carcere di Friburgo due detenuti si sono tolti la vita Apcom, 17 aprile 2011 Due detenuti si sono tolti la vita nelle ultime 24 ore nel carcere centrale di Friburgo. I due decessi sono avvenuti in circostanze diverse e fra le due vittime - un 30enne cileno e un 35enne brasiliano - non vi era un legame particolare, ha indicato la polizia cantonale. Il cileno è stato trovato esanime stamane nella sua cella. Incarcerato in gennaio per furti in banda, l’uomo si è impiccato con una stringa. L’intervento di terzi è escluso e secondo il personale di sorveglianza nessun segno lasciava presagire un suicidio. Il brasiliano si è dato la morte con un paio di forbici. La tragedia è avvenuta intorno alle 16 nell’infermeria del penitenziario: il sudamericano si è inferto diversi colpi al torace e malgrado il ricovero in ospedale è spirato per le gravi ferite riportate. Si trovava dietro le sbarre da una settimana dopo aver aggredito con un coltello una persona che si trovava al domicilio della moglie, da cui viveva separato. Gran Bretagna: il ministro della Giustizia dichiara “le prigioni sono uno spreco di denaro” Ansa, 17 aprile 2011 I detenuti e le carceri costano troppo alle tasche dello stato, anzi sono un vero e proprio “spreco di soldi”. Lo sostiene Kenneth Clarke, ministro della giustizia britannico, secondo il quale il numero di condanne a pene detentive è “insostenibile da un punto di vista finanziario”. Questo naturalmente non vuol dire, spiega il guardasigilli in un’intervista al Times, che bisogna essere “tolleranti con i criminali”. Piuttosto, le pene sono spesso troppo lievi e il ministro le inasprirebbe volentieri obbligando i detenuti a otto ore al giorno di lavoro gratuito. “Vorrei che le carceri risultassero più punitive, efficaci e organizzate. I condannati dovrebbero lavorare gratuitamente in un ambiente pulito e in modo disciplinato piuttosto che ciondolare senza fare nulla in luoghi trascurati”. Clark dovrebbe varare la prossima settimana un disegno di legge volto da un lato a ridurre il numero dei criminali rinchiusi nelle prigioni e dall’altro a reprimere in modo estremamente severo i recidivi. Nelle sue proposte sono previsti sconti di pena sostanziosi per gli incensurati, limiti alle condanne a pene detentive, invio delle persone con problemi mentali in strutture diverse dalle carceri. Nei piani del governo conservatore, la popolazione carceraria dovrebbe diminuire entro il 2015 di 3.500 unità. Attualmente nelle prigioni britanniche vi sono 85.361 persone. Il risparmio annuale sarebbe di 3,7 miliardi di sterline. Turchia: almeno 57 i giornalisti in carcere; un “record mondiale”… peggio di Cina e Iran Il Foglio, 17 aprile 2011 La Turchia è oggi il paese al mondo con il più alto numero di giornalisti in carcere. Ankara ha superato persino Cina e Iran, storici e assidui regimi persecutori dell’informazione. A rivelarlo è un rapporto dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa con sede a Vienna. Secondo il rapporto redatto da Dunja Mijatovic, sarebbero “almeno 57” attualmente i giornalisti in carcere in Turchia. Di fronte a questi dati, il mensile americano Commentary dice che ad Ankara oggi vige il “reato di pensiero”. I dati sono ancora più gravi perché la Turchia è un membro della Nato, ambisce a entrare in Europa ed è considerata un modello di democrazia nel medio oriente. Il 9 marzo, migliaia di giornalisti, assieme ad avvocati e politici dell’opposizione kemalista, si sono radunati a Istanbul per protestare contro il clima repressivo. Una settimana dopo, la manifestazione è stata replicata ad Ankara. Le incarcerazioni sono iniziate nel 2005, dopo la promulgazione della legge 301 da parte del governo islamico di Erdogan. Nata per avvicinare la Turchia all’ingresso nell’Unione europea, la legge è diventata uno strumento di repressione. Fra gli arrestati spicca Nedim Sener, collaboratore dei quotidiani Milliyet e Posta, ma soprattutto autore di un libro sull’omicidio di Hrant Dink, un’indagine sulle responsabilità della polizia nell’omicidio del giornalista e per il quale Sener ha ricevuto dall’International Press Institate il titolo di “World Press Freedom Hero”. In carcere c’è anche Ahmet Sik, docente alla Università Bilgi di Istanbul e giornalista investigativo, legato a un libro sull’influenza islamista nelle forze di polizia. L’autore è in carcere e il libro sequestrato. Quasi tutti i giornalisti incriminati sono trattenuti nel carcere di Silivri, vicino Istanbul. Tra di loro, da quasi due anni, c’è Mustafa Balbay del quotidiano Cumhuriyet: “Il governo ha arrestato tutti quelli che si oppongono al potere islamico”. La situazione è talmente preoccupante che anche il celebre pianista Fazil Say ha dichiarato che “in Turchia vige un fascismo pesante. La gente ha paura. Le persone su Facebook si autocensurano”. Un altro caso riguarda Ismail Saymaz del quotidiano Radikal, nei cui confronti il procuratore Osman Sanai ha appena avviato una procedura giudiziaria. Il reporter in un suo libro si era riferito proprio al procuratore Sanai come “vicino al jihad”. Sarebbero un migliaio i procedimenti giudiziari attualmente a carico di giornalisti. Quando nel 2005 il premier Recep Tayyip Erdogan riformò il codice penale turco, pochi compresero le conseguenze delle misure draconiane contenute nel testo giuridico. I consensi degli ambienti europeisti, favorevoli all’ingresso di Ankara nell’Unione europea, si concentrarono sulle positive riforme che inasprirono le pene per le violazioni di diritti umani. Ma accanto ai consensi vi furono le critiche degli ambienti laici che sostennero che il premier Erdogan avesse volutamente introdotto per la prima volta nella legislazione penale turca (che dal 1926 era basata sul codice italiano Zanardelli in vigore per decenni fino alla successiva riforma Rocco in epoca fascista) la possibilità del carcere per i giornalisti. Fra le accuse di Erdogan ai giornalisti che hanno osato “offuscare l’immagine della Turchia” c’è stata la diffusione della violenta repressione della manifestazione delle donne laiche avvenuta il 6 marzo del 2005. Poi il processo contro il giornalista Fikret Otyam. Il celebre pittore, ultraottantenne, aveva pubblicato un articolo sarcastico che si beffava così del premier turco sull’adulterio: “Erdogan ha abbassato con successo il dibattito al livello del cavallo dei pantaloni”. Cina: messo agli arresti l’avvocato che denunciò otto funzionari pubblici per corruzione La Stampa, 17 aprile 2011 Ancora una volta è stato arrestato un avvocato che difende i diritti, riferisce Asia News. Un altro avvocato “scompare”, costretto in casa chi chiede di cacciare i funzionari pubblici corrotti. La popolazione è preoccupata, ma anche esasperata: a Shanghai i passanti si scontrano con la polizia dopo un sopruso contro un migrante. Detenuto per “avere creato disordini” l’avvocato Ni Yulan, noto difensore dei diritti umani, informa Asia News. “Scomparso” un altro avvocato Liu Xiaoyuan. Agli arresti domiciliari Shen Pelian che ha presentato petizioni denunciando la corruzione di importanti funzionari di Shanghai. Riferisce l’agenzia di stampa del Pime: “Prosegue senza soste la persecuzione delle autorità contro chi difende i diritti umani e la democrazia, per prevenire una Rivoluzione dei gelsomini stile-cinese. Ma il Paese, colpito anche dall’inflazione, è sempre più una polveriera: ieri a Shanghai un sopruso di alcuni funzionari pubblici innesca una vera guerriglia urbana tra passanti e polizia. Ni da anni difende i diritti umani. Nel 2002, mentre stava filmando la demolizione coatta della casa di un cliente, fu pestata a sangue dalla polizia che l’ha resa invalida e fu anche arrestata. Nel 2008 è stata di nuovo pestata e arrestata dalla polizia per avere difeso chi a Pechino è stato cacciato di casa per realizzare le grandiose strutture per le Olimpiadi. Chi la conosce dice che Ni non ha mai parlato delle proteste che si sono propagate nel Medio Oriente e che molti auspicano avvengano anche in Cina. Nemmeno i parenti conoscono l’esatta accusa. Ma molti commentano che l’arresto conferma la volontà del Partito Comunista cinese di stroncare qualsiasi voce indipendente e democratica. È invece scomparso da ieri l’avvocato Liu Xiaoyuan a Pechino, difensore dei diritti umani. Poco prima aveva scritto sul suo blog che qualcuno lo seguiva.Da febbraio sono stati arrestati o sono scomparsi almeno altri 6 legali, tra cui Teng Biao e Jiang Tianyong. La polizia ha messo Shen Peilan agli arresti domiciliari di fatto, sorvegliando la sua casa a Maqiao 24 ore su 24. Shen ha presentato petizioni e lanciato una campagna per denunciare per corruzione e chiederne la rimozione di 8 alti funzionari municipali di Shanghai tra cui il procuratore distrettuale, il capo dell’ufficio indagini presso la Corte Suprema del Popolo e il presidente dell’Assemblea nazionale del popolo di Shanghai. La donna è stata arrestata circa 100 volte da quando, nel 2000, ha cominciato a presentare petizioni per difendere circa 3mila famiglie di Shanghai cacciate da casa per realizzare la grandiosa Expò mondiale del 2010. La Cina da anni afferma tolleranza zero verso i funzionari corrotti, ma non accetta che i cittadini denuncino fatti di corruzione. Questa ondata di arresti sta però anche facendo crescere il malcontento e la protesta, come dimostra lo scontro esploso il 13 aprile nella città di Jiuting, municipalità di Shanghai, dopo che un gruppo di funzionari pubblici ha pestato e lasciato a terra ferito un migrante, dopo una banale lite per ragioni di traffico. Pare che il migrante, rialzatosi, si sia messo a urlare in strada, chiedendo giustizia. In breve tempo si sono radunati circa duemila passanti che per protesta hanno bloccato il traffico. Per 8 ore ci sono stati blocchi e scontri con la polizia, con danni a numerosi veicoli della polizia, feriti e l’arresto di almeno 10 dimostranti”.