Giustizia: le pene aggiuntive… di Antonio Cappelli Terra, 15 aprile 2011 La privazione della libertà è di per sé una punizione estremamente dura. Aggiungere nel carcere altre modalità di pena arbitrariamente inflitte rappresenta un atto di barbarie che può giungere a configurarsi come vera e propria forma di tortura. Eppure - nonostante che tutti formalmente concordino su questi elementari principi di civiltà giuridica - la vita dei detenuti è spesso costellata da episodi di accanimento afflittivo che sono insieme arbitrari nella forma, crudeli nella sostanza e inutili ai fini della sicurezza. Gli esempi al riguardo possono essere innumerevoli. Prendiamo qui in esame il caso troppo spesso trascurato dell’informazione, la cui mancanza determina - in alcune importanti circostanze esistenziali - rilevanti gradi di sofferenza psicologica. Il percorso carcerario è disseminato di eventi nei confronti dei quali al detenuto è negata ogni possibilità di accedere a informazioni esaurienti e tempestive. I trasferimenti possono essere disposti senza preavviso e con motivazioni comunicate all’ultimo momento; le richieste di relazione con i familiari sono spesso inghiottite da procedure burocratiche sulla cui durata non è dato ottenere indicazione alcuna; le istanze per ottenere permessi o misure alternative hanno tempi di risposta assolutamente imprevedibili; lo svolgimento stesso dell’iter giudiziario si dipana secondo logiche e tempi per l’interessato indecifrabili. In materia sanitaria questa mancanza di informazione assume contorni di particolare gravità. Al riguardo basta ricordare che l’accesso alle cartelle cliniche è disposto in termini discrezionali dalla direzione del carcere; i farmaci si somministrano spesso con modalità che non consentono al detenuto di conoscere né il significato terapeutico del trattamento né la sua effettiva corrispondenza alle prescrizioni mediche; la conoscenza dei tempi occorrenti per ottenere prestazioni specialistiche o ospedaliere è sistematicamente sottratta agli interessati; l’evoluzione infine dei percorsi assistenziali avviene con modalità nei confronti delle quali al detenuto non viene data nessuna informazione preventiva. È del tutto evidente che la sofferenza derivante da questa sistematica carenza di informazione è una pena arbitrariamente aggiunta alla detenzione perché attiene non già alla natura della punizione legalmente inflitta bensì all’incuria o alla disorganizzazione dell’istituzione carceraria. Bisogna allora decidersi. Se si rifiuta una concezione del carcere come contenitore dei drop out della società e si ritiene invece davvero che la detenzione possa avere anche una funzione educativa, si può cominciare ad affrontare in tutti i suoi aspetti il problema del diritto all’informazione da parte dei detenuti. Il rispetto di questo diritto non comporta né costi aggiuntivi né grandi impegni organizzativi; richiede solo intelligenza e buona volontà. Forse è davvero il caso di provare. Giustizia: il girone infernale delle carceri italiane di Pablo Castellani Radio Città Aperta, 15 aprile 2011 I legali hanno sciolto le riserve: Carlo Saturno, il giovane detenuto che aveva testimoniato contro nove guardie carcerarie, si è suicidato: si è impiccato in cella con un lenzuolo, ed ha deciso di farla finita. I risultati dell’autopsia effettuata sul corpo del ventiduenne nell’istituto di medicina legale del policlinico di Bari hanno confermato la morte per soffocamento. La dinamica lasciava aperti troppi dubbi per gli inquirenti, i quali avevano aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio, in realtà sospettando fin da subito un pestaggio male insabbiato stile Cucchi. Secondo la ricostruzione delle ultime ore di vita di Carlo Saturno, una violenta colluttazione aveva coinvolto Carlo e il sovrintendente di polizia, riservando a quest’ultimo una prognosi di 35 giorni per fratture al polso e un trauma cranico. Curiosamente, sul corpo del ragazzo non sarebbero stati rinvenuti segni di percosse, stando a quanto riferiscono i medici legali, ma la famiglia di Carlo non crede alla versione ufficiale, e tramite l’avv. Tania Rizzo, ha depositato in Procura a Bari una denuncia a carico di ignoti per omicidio colposo, oltre alla già citata istigazione al suicidio. Saturno soffriva da tempo di gravi problemi psicologici, necessitava di psicofarmaci, e la famiglia vuole accertarsi che al giovane sia stata sempre garantita tutta l’assistenza sanitaria necessaria. Carlo Saturno era stato vittima di episodi di violenza nel carcere minorile di Lecce: fu picchiato dalle guardie che poi lui stesso denunciò, e sulle quali grava ben più di un sospetto. Saturno aveva anche già tentato il suicidio il 17 novembre scorso tagliandosi le vene, e prima ancora aveva tentato di ingerire lamette, ma in entrambi i casi si era trattato della “campanella di allarme”: i tentativi erano goffi e malriusciti. Ora l’ultimo tentativo è stato fatale, ma i dubbi degli inquirenti non si placano, anche dopo l’autopsia. Pare infatti che, in seguito ad un sopralluogo nella cella di Carlo, gli inquirenti abbiano realizzato che il punto in cui Saturno si è impiccato sia davanti alla finestrella della cella. In poche parole quella da dove si viene costantemente osservati. Dalle guardie. Se Saturno avesse voluto veramente farla finita, forse avrebbe potuto trovare un punto meno in vista della sua cella, invece, stando così le cose, in teoria le guardie avrebbero dovuto vedere praticamente in diretta il fatto. Ma quello di Carlo Saturno non è il solo caso di suicidio, o presunto tale, che avviene nelle carceri italiane. In Italia i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere. La maggior parte dei suicidi avviene nelle strutture più fatiscenti, dove l’assistenza al detenuto è minima, e il volontariato pressoché assente. Spesso i detenuti suicidi sono quelli allocati in un determinato reparto, o braccio, come il “G14” di Rebibbia (l’infermeria), il Reparto Malattie infettive di Marassi, o il C.O.C. di San Vittore. Secondo alcuni, il fatto di raggruppare i detenuti nelle stesso condizioni di salute, o di disagio, contribuisce al senso di “perdita della speranza” che porta poi al gesto estremo. Un altro aspetto da tenere in conto è il sovraffollamento delle nostre carceri, e la relativa relazione con i suicidi. Secondo il rapporto dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, “esiste una relazione tra sovraffollamento e frequenza dei suicidi”. Lo studio ha preso in esame quegli istituti dove siano avvenuti almeno due suicidi nel 2010, e raggruppando le nove carceri risultanti, ne emerge che il tasso di sovraffollamento in quegli istituti è del 176%, a fronte di una media nazionale del 154%, e la frequenza dei suicidi è di 1 caso ogni 415 detenuti, mentre la media è di 1 su 1090. In poche parole, dove il carcere risulta essere ancora più affollato del solito, si registra un drammatico aumentare dei suicidi. Capolista di questa macabra classifica e inquietante è il carcere di Catania Bicocca, dove si suicida un detenuto ogni 117, seguito da quelli di Sulmona e Siracusa. Altro dato da approfondire è l’allarmante aumentare dei suicidi anche nelle stesse guardie carcerarie. Negli ultimi giorni sono ben due le guardie suicide in Italia, e il Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, fa sapere di avere da tempo denunciato le difficili condizioni di lavoro in cui operano le guardie carcerarie. Una cosa appare certa, quella degli istituti penitenziari italiani è una situazione che non si può più far finta di ignorare. Sia per le guardie che per i ladri. Giustizia: 18 mesi di carcere per un sospetto… ecco la storia di Massimo Papini di Valentina Ascione Gli Altri, 15 aprile 2011 È proprio vero che la vita può cambiare in un momento. Un attimo prima, ad esempio, sei un professionista di successo sulla piazza nazionale. Un attimo dopo un aspirante terrorista, stella nascente della lotta armata. Basta un istante. Un istante, per sconvolgere un’esistenza serena, normale. E appena ventisette secondi per leggere una sentenza dove si afferma che non è vero niente, che con il terrorismo non c’entri nulla e che le accuse che ti vengono mosse sono del lutto infondate. In mezzo, però, tra quell’istante e quei ventisette secondi, c’è un anno e mezzo di galera, per lo più in isolamento. Diciotto mesi dietro le sbarre che pesano come macigni, anche da uomo nuovamente libero. Perché non basterà il resto della vita a dimenticarli. Lo sa bene Massimo Papini, scenografo apprezzato e stimato, che, da un giorno all’altro, a ottobre del 2009, si è visto sbattere in prigione con l’accusa di essere un novello brigatista. Criminale in pectore, pronto a imbracciare le armi sotto le insegne della stella a cinque punte. A suo carico indizi pesantissimi, tracce indelebili. Ovvero, i suoi sentimenti. Quelli nei riguardi di Diana Blefari Melazzi, che aveva amato e alla quale era ormai legato da una tenera e profonda amicizia. Un legane che non si è spezzato neanche davanti ai gravi sintomi di disturbi psichici che la donna, membro delle nuove Br e reclusa in regime di 41-bis, ha iniziato a manifestare in carcere. Lui ha continuato a starle accanto, nelle lettere e nelle poche ore di colloquio. Quando Diana Blefari Melazzi si impicca nella sua cella a Rebibbia, poco dopo aver ricevuto la notifica della condanna all’ergastolo, Massimo è in galera già da un mese. Vittima di quella sorta di pratica medievale che è la custodia cautelare, spesso usata come strumento per mettere sotto pressione gli imputati affinché confessino i crimini dei quali sono accusati. Massimo però non ha proprio nulla da confessare. Non li ha mai nascosti né rinnegati, del resto, i suoi sentimenti. E sono proprio i sentimenti a finire sotto processo, insieme ad alcune frequentazioni e percorsi politici intrapresi in gioventù. Frattaglie del passato, suggestioni prive di significato eppure, sufficienti, in un clima da caccia alle streghe e in base a quel residuato degli anni di piombo che è l’articolo 270 bis, a costituire per l’accusa un impianto probatorio. E a sottoporre l’uomo, presunto colpevole fino a prova contraria, a un regime detentivo per certi versi più pesante del carcere duro imposto a mafiosi e camorristi. Un trattamento simile quasi a un’istigazione al suicidio. Massimo, però, non ha ceduto. Con la sua forza, grazie al sostegno di chi, come Rita Bernardini, è andato a trovarlo in carcere e all’affetto degli amici del Comitato che porta il suo nome, costituito all’indomani dell’arresto per sostenerne l’innocenza, ha superato l’ingiusta detenzione, con grande dignità. Oggi, dunque, è di nuovo un nomo libero, anche se quei diciotto mesi di vita non glieli restituirà nessuno. Neanche le scuse, semmai arriveranno, del ministro dell’Interno che il giorno del suo fermo si affrettò a congratularsi con il capo della Polizia e il prefetto per il successo dell’operazione. Giustizia: appello di Psichiatria Democratica; chiudere tutti gli Opg e al più presto Redattore Sociale, 15 aprile 2011 La richiesta viene reiterata dopo l’ultimo suicidio avvenuto ad Aversa: “Cosa si aspetta ancora?”. Evidenziata la necessità di un termine improrogabile con la previsione di penalità per le regioni inadempienti. Tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari del nostro paese vanno chiusi e va posto un argine alla “lentezza esasperata” e alla “timidezza” nel porre mano ad adeguati programmi di dismissione volti a garantire, ai cittadini reclusi, il diritto alla tutela ed alla cura sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana. A chiederlo è Psichiatria Democratica, dopo l’ultimo suicidio avvenuto all’Opg di Aversa, dove un cittadino romeno di 58 anni si è tolto la vita. Il segretario nazionale Emilio Lupo e il responsabile per le carceri Cesare Bondioli ricordano il lavoro della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale che ha messo a nudo le “disumane condizioni di vita delle persone recluse nei manicomi giudiziari italiani” e chiedono di concretizzare quegli atti “promuovendo, in tempi strettissimi, un raccordo operativo tra tutti gli attori interessati a chiudere, definitivamente questa brutta pagina della nostra storia”. Psichiatria Democratica chiede “risposte individualizzate per i singoli detenuti” e precisa che “va subito attivato un percorso” che in via prioritari affidi al ‘residente della Conferenza Stato - Regioni il coordinamento dei programmi di graduale e progressivo svuotamento degli Opg, “cosa che garantirebbe, tra l’altro, una omogeneità nella realizzazione dei programmi affinché nessuna regione resti indietro”. Subito dopo, viene messa in evidenza la necessità di una legge che definisca la tempistica della chiusura di tutti gli Opg in modo improrogabile, “anche imponendo penalità di tipo economiche nei confronti degli enti inadempienti e la nomina di Commissari ad acta laddove si evidenziassero palesi ritardi nei programmi di dismissione personalizzati”. Ancora, viene sottolineata da Psichiatria democratica l’esigenza di “individuare risorse adeguate e certe, indispensabili alla realizzazione di idonee risposte individuali e territorializzate”, frutto della collaborazione tra servizio pubblico supportato da un privato sociale altamente qualificato. Il tutto mantenendo al Servizio sanitario pubblico la supervisione e la verifica costante dei programmi”. Infine, la richiesta di costituire degli appositi Uffici di dismissione e delle equipe di dismissioni, per ciascun Opg, quali bracci operativi di regioni ed Asl e strumento di collegamento tra il dentro e il fuori”. Giustizia: dopo l’ultimo suicidio l’Opg di Aversa trasferisce 35 internati Il Mattino, 15 aprile 2011 Opg di Aversa tra resistenze e tentativi di cambiamento: 35 internati tra oggi e domani saranno spostati negli ospedali psichiatrici della loro zona di provenienza: alcuni saranno trasferiti a Barcellona Pozzo di Gotto, altri a Castiglione delle Stiviere. Questo prevedono le linee di indirizzo per gli interventi negli Opg e nelle case di cura e custodia che per favorire rapporti di collaborazione con i servizi sociali e sanitari delle aree geografiche di provenienza degli internati, si ispirano ad un principio di territorialità, in nome del quale agli Opg campani dovrebbero essere assegnati solo gli internati di Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata e Puglia. Una norma che con difficoltà si sta cercando di applicare e che rappresenta una valvola di sfogo: oggi nell’Opg di Aversa sono presenti 277 internati a fronte di una capienza di 180.Un sovraffollamento che non facilita i percorsi di riabilitazione, tanto che tra quelle mura si continua a morire: l’ultimo suicidio, il secondo dall’inizio dell’anno, quattro giorni fa. Un rumeno di 58 anni, arrivato al Saporito per tentato omicidio si è tolto la vita utilizzando come cappio le lenzuola del suo letto, dopo che gli era stata notificata la terza proroga della misura di sorveglianza, nonostante fosse considerato non più socialmente pericoloso. “È l’ennesimo episodio che dimostra quanto siamo lontani da reali cambiamenti nell’Opg - sostiene lo storico direttore sanitario della struttura, Adolfo Ferraro, che oggi, dopo aver chiesto a febbraio l’esonero temporaneo dalla direzione è in servizio presso l’unità operativa di Spdc dell’ospedale di Aversa - e di come ci sia un atteggiamento gattopardesco per cui tutto sembra che cambi per non cambiare. Ci sono 230 mila euro stanziati per i piani terapeutici riabilitativi individuali degli internati che dovrebbero uscire, come predisposto dall’Asl per essere accolti in case famiglia o Sir, ma che in sostanza si configurano come pratiche assistenzialistiche, mortificanti per la psichiatria”. Secondo Ferraro la strada praticabile per un vero recupero potrebbe essere quella delle cooperative di internati, che coinvolgano anche quanti restano in Opg. “Ma non c’è interesse verso questi percorsi e le stesse pratiche trattamentali come il teatro vengono percepite come intrattenimento”. Sul suicidio del rumeno Ferraro, fa rilevare, tra l’altro, il mancato utilizzo di lenzuola di carta comprate nel 2008 dalla Ministero della Giustizia e mai prese in carico dall’Asl. “Da un paio di mesi le stiamo usando per gli internati incontinenti - replica la direttrice penitenziaria Giaquinto - tutto quello che era del Ministero della Giustizia lo sto trasferendo al personale sanitario. Del resto non credo che in questo modo si sarebbe evitato il suicidio tenendo anche conto che l’internato rumeno così come quello laziale toltosi la vita a gennaio, non essendo considerati pericolosi avevano a disposizione anche dei fornellini”. Dura la posizione del Tribunale dei diritti del malato: “È necessario trovare misure alternative all’ingresso in Opg - afferma la responsabile del Tdm per la salute mentale, Annagioia Trasacco - e che la stessa magistratura intervenga per sollecitare le Asl di provenienza degli internati per la loro presa in carica, altrimenti assisteremo ad altri episodi inaccettabili”. Una interrogazione al presidente della Giunta regionale Caldoro è stata presentata dal consigliere del Pse Gennaro Oliviero. “Per quanto altro tempo bisogna sopportare questo assordante silenzio che circonda il lager di contenzione di Aversa?” si chiede Oliviero. Psichiatria Democratica, alla luce dell’ultimo suicidio di Aversa “chiede nuovamente e con forza, che tutti gli Opg vengano chiusi”. L’associazione “denuncia la lentezza esasperata e la timidezza nel porre mano ad adeguati programmi di dismissione - si legge in una nota - volti a garantire, ai cittadini reclusi, il diritto alla tutela ed alla cura sanciti dalla nostra Costituzione”. Lombardia: apre comunità protetta per detenuti psichiatrici, attivata con i fondi regionali Asca, 15 aprile 2011 È stato inaugurato oggi il Centro psichiatrico forense Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, la “comunità protetta” per pazienti psichiatrici di entrambi i sessi autori di reati. Come spiega una nota di Regione Lombardia, la comunità, voluta dalla stessa Regione - che ha stanziato un milione di euro per la ristrutturazione edilizia della palazzina e 800.000 euro per l’assunzione del personale -, è stata inaugurata questa mattina dal Governatore, Roberto Formigoni, assieme all’assessore regionale alla Semplificazione e Digitalizzazione, Carlo Maccari. “Ritornare alla vita di tutti i giorni dopo aver commesso un crimine, scontato la pena ed essere stati riabilitati, è possibile”: in quest’ottica nasce quella che il presidente Formigoni definisce una “struttura innovativa”, parte integrante dell’azienda ospedaliera “Carlo Poma” di Mantova dove, dal 21 marzo, sono ospitate le prime 13 persone, 8 uomini e 5 donne, in libertà vigilata che, a conclusione del percorso riabilitativo, potranno fare ritorno in famiglia. Sardegna: della regione l’ok alla produzione di “contenuti digitali” nelle carceri Adnkronos, 15 aprile 2011 La Giunta regionale della Sardegna, su proposta dell’assessore degli Affari generali, Mario Floris, ha approvato le direttive per la realizzazione di centri di produzione di contenuti digitali nei penitenziari della Sardegna, con l’obiettivo di accrescere le competenze informatiche dei detenuti per favorire processi di inclusione sociale. L’intervento, da perfezionare attraverso un’intesa con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, prevede, infatti, la frequenza di corsi di alfabetizzazione informatica rivolti, in particolare, alla digitalizzazione del patrimonio archivistico custodito nelle carceri dell’isola. “L’obiettivo dell’iniziativa, che risponde a un disegno istituzionale di un sempre maggiore collegamento tra enti e cittadini, anche attraverso l’abbattimento del divario digitale infrastrutturale - ha spiegato l’assessore Floris - è quello di creare e rendere disponibili a tutti sia l’accesso a Internet che le potenzialità dello strumento informatico, cosicché anche i soggetti sottoposti a provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, possano realmente fruire dei diritti civili e sociali e delle opportunità offerte dalle politiche di e-inclusion portate avanti dalla Regione”. Una prima applicazione pratica delle competenze acquisite dai detenuti, che potranno spendere utilmente la loro preparazione informatica anche in termini di reinserimento lavorativo, riguarderà proprio la dematerializzazione dei documenti presenti nelle tre ex colonie penali di Asinara, Tramaglio e Castiadas che, per la loro importanza e per l’interesse storico e sociale, consentono di ricostruire la vita negli istituti tra la fine dell’ottocento e la metà del secolo scorso. I detenuti, che saranno affiancati da personale esperto, dovranno inoltre realizzare ricostruzioni virtuali tridimensionali delle ex-colonie, visite guidate e panorami virtuali dei tre siti, che ne valorizzino il patrimonio architettonico e naturalistico, così da rendere possibile la fruizione dei contenuti realizzati all’intera collettività tramite i portali tematici della Regione, e in particolare all’interno della digital library, e l’inserimento all’interno dei portali dell’Ente parco nazionale dell’Asinara, dell’Ente parco naturale regionale Porto Conte e del comune di Castiadas. Voghera (Pv): detenuti della sezione di “massima sicurezza” in sciopero della fame La Provincia Pavese, 15 aprile 2011 Oggi è il terzo giorno di sciopero della fame da parte dei detenuti della sezione di “massima sicurezza” al carcere di Voghera. Si tratta - secondo quanto è stato possibile apprendere - di una sorta di protesta decisa soprattutto dopo che è stato messo in atto un “giro di vite” nella sezione, a seguito dell’evasione dal carcere di Medassino dei tre detenuti albanesi, avvenuta alcune settimane fa. Sono aumentate le misure di sicurezza ed i controlli a carico dei detenuti nella sezione, fino a provocare la reazione di una parte di loro. Il tutto è culminato appunto nello sciopero della fame, iniziato oltre 48 ore fa. Oggi - se non avverranno fatti nuovi, al momento difficili da ipotizzare - sarà il terzo giorno di astensione forzata, appunto per protesta, dal cibo. Le condizioni dei detenuti sono comunque tenute costantemente sotto controllo dal personale di sorveglianza. I detenuti continuerebbero peraltro ad assumere liquidi per mantenere un livello accettabile di mantenimento fisico. Intanto proseguono le ricerche dei tre detenuti albanesi che erano riusciti a fuggire dalla struttura di Medassino circa un mese fa. Uno è stato visto in Liguria, nella zona di Sestri Levante, un altro è stato segnalato a Perugia, il terzo pare sparito nel nulla. Finora gli elementi in mano agli agenti di custodia sono pochi. L’evasione risale al 17 marzo: l’ipotesi era che gli albanesi avessero appuntamento con dei complici in qualche località dell’hinterland torinese. Padova: suicidio in carcere, morte evitabile? inchiesta sul caso di Santino Mantice Il Mattino di Padova, 15 aprile 2011 Il pm Sergio Dini ha aperto un’inchiesta sul decesso di Santino Mantice. Si impiccò in cella dopo innumerevoli atti di autolesionismo. Ancora due mesi e avrebbe finito di scontare la pena definitiva nella casa di reclusione Due Palazzi, tornando libero. Eppure per Santino Mantice, 25 anni non ancora compiuti, originario di Milano e un bimbo piccolo, la vita dietro le sbarre era diventata insopportabile. Anche per poche settimane. Così dopo innumerevoli e sempre più gravi atti di autolesionismo che gli avevano pesantemente rigato il corpo, si era tolto la vita, impiccandosi. Era l’alba dell’I luglio 2010. Sulla sua morte il pm Sergio Dini apri subito un fascicolo. Un atto dovuto, che ha preso consistenza: oggi su quella prematura morte c’è un’inchiesta, sia pure al momento senza indagati. Ma c’è un interrogativo al quale il magistrato vuole rispondere: si poteva evitare quel decesso? Si poteva curare Santino e salvarlo da una disperazione che, per lui, è stata senza via d’uscita di fronte a segnali tanto espliciti, come decine e decine di ferite con le quali aveva “firmato” la sua stessa carne? Nei prossimi giorni sarà affidata una consulenza tecnica. Intanto la procura ha acquisito una notevole quantità di documentazione dal carcere Due Palazzi, la struttura per i condannati in via definitiva con circa 850 presenze effettive contro una capienza dì orca 430 unità. L’obiettivo è verificare se Santino, che aveva un passato da tossicodipendente, una condanna a un paio d’anni per piccoli furti ed era sottoposto a terapie con antidepressivi, sia stato adeguatamente trattato nonostante l’escalation di tentativi di autolesionismo. Negli ultimi mesi gli era stata respinta la richiesta di detenzione domiciliare sulla base di quella frequente gestualità autolesiva in quanto era considerato più protetto in carcere. Resta da capire, da parte della magistratura, se ci sono responsabilità per la sua morte nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria o sanitaria. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. All’indomani del suo suicidio, un compagno aveva scritto al Mattino: “Per Santino tagliarsi era diventata una pratica abituale, si stava lasciando andare...”. Fu trasferito all’ospedale psichiatrico giudiziario e “quando tornò indietro, non era più lui... Non lo riconoscevo più perché prendeva tanti psicofarmaci”. Avellino: la polizia penitenziaria sventa il suicidio di un detenuto 32enne Asca, 15 aprile 2011 Un detenuto ristretto nel carcere di Bellizzi Irpino (Avellino), nel pomeriggio di ieri, ha tentato il suicidio cercando di impiccarsi alle grate della cella con la propria maglietta. L’uomo, C.I., di 32 anni, è stato salvato grazie al tempestivo e provvidenziale intervento dell’agente penitenziario in servizio nella sezione del detenuto. A darne notizia è il Segretario Generale della Uil-Pa, Eugenio Sarno. Dopo il salvataggio l’uomo è stato portato al pronto soccorso del nosocomio avellinese e dimesso nella stessa giornata di ieri e dichiarato fuori pericolo di vita. Attualmente si trova in stato di vigilanza a vista in cella liscia. “Nel formulare i più vivi apprezzamenti alla Polizia Penitenziari Casa Circondariale di Avellino per aver salvato una vita umana, - aggiunge Sarno - non può sottacersi come il fenomeno dei tentati suicidi appartenga, oramai, alla quotidianità dell’operatività degli agenti che lavorano nelle prime linee penitenziarie. Sono, circa 250 dal 1 gennaio 2011 ad oggi i tentati suicidi nelle celle delle carceri italiane. I detenuti sottratti a morte certa da parte della Polizia Penitenziaria, nello stesso periodo, sono circa 60; 18 i suicidi di detenuti in cella; 2 i suicidi di agenti penitenziari; 78 i baschi blu aggrediti e feriti da parte dei detenuti a cui occorre aggiungere 3 infermieri, 2 medici e 2 insegnanti”. Firenze: a Sollicciano finanziamenti straordinari, ma quota mille è vicina! di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze) Comunicato stampa, 15 aprile 2011 Il Consiglio Comunale straordinario del 14 marzo ha prodotto alcuni risultati positivi. Infatti ho avuto conferma ieri dal Sottosegretario Giacomo Caliendo, dell’approvazione da parte della Cassa Ammende di tre progetti per Sollicciano che interessano l’allargamento dei passeggi dell’ora d’aria, la ristrutturazione dei servizi igienici alla sezione femminile e l’attivazione di una seconda cucina al maschile. A questi fondi straordinari vanno aggiunti i centomila euro già annunciati e che potranno servire per la manutenzione dell’istituto e per attivare la tessera telefonica per i detenuti. Occorre costituire immediatamente un tavolo di confronto tra Amministrazione Penitenziaria, Regione, Comune e Provincia per precisare i progetti e garantirne la rapidità di esecuzione. È un risultato eccezionale che premia l’impegno del Consiglio Comunale di Firenze, del Presidente Giani e della Giunta Comunale, testimoniato dal lavoro degli Assessori Saccardi e Di Giorgi e dall’iniziativa dei Consiglieri Di Puccio, Cruccolini e Sguanci, che nei mesi scorsi organizzarono l’incontro con il Sottosegretario Caliendo, presentando le richieste che oggi sono state accolte. Purtroppo assieme a questa buona notizia vi è la conferma della tendenza all’esplosione del carcere di Firenze, infatti le presenze sono arrivate a 988 più 6 bambini. Quota mille si avvicina e temo che nell’uovo di Pasqua si troverà un bel digiuno. Messina: il carcere di Gazzi è ormai al collasso, interpellato Alfano Gazzetta del Sud, 15 aprile 2011 “Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha contezza dell’allarmante situazione in cui versa il sistema carcerario siciliano ed in particolare nel messinese? Quali misure e investimenti intende adottare per ovviare alle degradanti condizioni strutturali del penitenziario di Gazzi?”. Sono questi gli interrogativi che il presidente del senatori dell’Udc, il messinese Gianpiero D’Alia, pone in un’interrogazione urgente inviata ieri al Guardasigilli. “La situazione delle carceri - prosegue la nota di D’Alia- è drammatica a livello nazionale. Il Piano carceri stenta a decollare e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della stessa convenzione, poiché l’esiguo spazio in cui sono costretti a vivere i detenuti nel nostro Paese è considerato trattamento disumano e degradante. Dall’inizio di aprile otto persone sono morte nei penitenziari italiani, sei per suicidio, due per condizioni ancora da accertare. Quattro erano detenute, due internate e due poliziotti penitenziari, di cui uno in Sicilia”. “Proprio nell’Isola - spiega il senatore Udc - i numeri fotografano una situazione al collasso: 8.017 detenuti, dislocati nei 26 istituti di pena per adulti, che rappresentano il 10 per cento della popolazione carceraria in Italia, pongono la Sicilia tra le regioni con il maggior sovraffollamento carcerario. A Gazzi, poi, le carenze riguardano il personale, il sovraffollamento nelle celle, il rischio sanitario, il degrado strutturale e le condizioni di scarsa sicurezza”. “A Messina - conclude - attualmente operano 198 unità di polizia penitenziaria (147 ai servizi interni e 51 addetti alle traduzioni anche per Barcellona Pozzo di Gotto), a fronte di un organico previsto di 293 unità, con turni per il personale che vanno dalle 12 alle 20 ore consecutive. Sempre a Gazzi, a fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi, sono presenti 393 detenuti”. Udine: detenuti-archeologi? Uepe favorevole, ma servono finanziamenti Corriere Veneto, 15 aprile 2011 Anche da Udine i detenuti-archeologi sugli scavi di Aquileia? “Un’idea bellissima, ma serve un ente che finanzi il progetto”. La direttrice dell’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) della casa circondariale di Udine, Antonina Toscano Monorchio, non esclude che possa essere la Regione il soggetto ideale a sostenere il progetto per impiegare i detenuti di via Spalato sulle aree archeologiche di Aquileia. Se così fosse, sarebbe il secondo programma di questo tipo, dopo quello che la soprintendenza regionale dei Beni archeologici sta mettendo a punto con il Coroneo di Trieste. L’idea è sempre la stessa: permettere ai detenuti “scelti” di partecipare a una serie di lavori socialmente utili, di modo da riscattarsi dal debito morale con la collettività. Un alternativa alla detenzione, dunque, che da più parti viene giudicata in linea con il compito rieducativo cui il carcere dovrebbe adempiere. E a progetti di questo tipo l’Uepe pensa da tempo. L’ufficio ha infatti il compito di organizzare le attività per i detenuti fuori dal carcere, per rendere il periodo di detenzione utile a loro stessi e alla società. Lo conferma la direttrice Monorchio: “L’Ufficio da sempre sollecita questo tipo di collaborazioni. Ben venga se ci venisse proposta l’idea di mettere a punto un programma sulle aree archeologiche di Aquileia, magari sotto forma di borse lavoro. Diamo massima disponibilità, anche se il nodo critico riguarda i possibili finanziatori. Una volta individuato l’ente in grado di sostenere economicamente l’iniziativa e le modalità per metterle in pratica, siamo pronti a parlarne”. Da capire, se il progetto potrebbe essere avviato solo con i detenuti, o piuttosto con coloro che sono già soggetti a una pena alternativa al carcere, se per esempio affidati ai servizi sociali, ai domiciliari o in semi libertà. L’idea calzerebbe a pennello anche perché alcuni detenuti nella casa circondariale di Udine provengono proprio da Grado e dalla Bassa friulana, in particolare da Cervignano ed Aquileia. Prima però occorre aprire il dialogo su un tavolo di discussione. “Bisogna sederci tutti intorno a un tavolo - prosegue Toscano Monorchio - e capire bene quali sono i spiragli di concretizzazione”. Roma: penalisti a convegno sui diritti e le garanzie in carcere Redattore Sociale, 15 aprile 2011 Carcere e Costituzione. Il tema sarà al centro di due giornate di studio che iniziano oggi, organizzate dall’Unione delle camere penali e dall’Osservatorio carcere Ucpi, con la collaborazione della Camera penale della Spezia. Sede del convegno nazionale, la fortezza di Sarzana. Al centro dei lavori, temi come il sistema sanzionatorio, la carcerazione preventiva e le misure alternative alla detenzione. Ma soprattutto, l’articolo 27 della Costituzione che punta alla funzione rieducativa della pena. Un articolo, fanno notare gli organizzatori, “molto spesso dimenticato e di cui nessuno sembra parlare più”. E invece, “un carcere umano e una pena rieducativa sono le uniche vere garanzie per la società”. La giornata di oggi, a partire dalle 14, vedrà alternarsi nel dibattito importanti ‘addetti ai lavorì: direttori di carceri, avvocati, magistrati, educatori, rappresentanti della polizia penitenziaria, garanti delle persone private della libertà personale. Da Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, a Donato Capece, segretario del Sappe, fino a Patrizio Gonella, presidente di Antigone. Domani, invece, confronto a tutto campo tra avvocatura, magistratura e amministrazione sul tema della tutela dei diritti dei detenuti. Interverranno il presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli, il responsabile dell’Osservatorio carceri Ucpi Alessandro De Federicis, il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, il vice capo del Dap Santi Consolo e Giovanna Di Rosa, componente del Csm. Bologna: Sappe; trovata marijuana in magazzino del carcere della Dozza Dire, 15 aprile 2011 Un pacco con 50 grammi di marijuana è stato trovato questa mattina nel carcere della Dozza di Bologna, durante una perquisizione. Ne dà notizia il sindacato del Sappe, spiegando che la droga era nascosta in un magazzino che si trova vicino al campo da calcio; si tratta di un locale, spiega il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante, a cui hanno accesso i detenuti che lavorano. Durante spiega anche come sia potuto succedere un fatto del genere: “In base alle prime ipotesi investigative, la sostanza potrebbe essere stata lanciata dall’esterno del muro di cinta e recuperata poi da qualche detenuto”. I 50 grammi di marijuana, però, non sono l’unica sostanza stupefacente trovata ieri alla Dozza. In una cella del reparto giudiziario, infatti, “è stata trovata una piccola quantità di cannabis, occultata all’interno di un pennarello”, dice ancora Durante. Questi ritrovamenti provano, spiega il segretario del Sappe, quanto sia “diffuso il fenomeno dell’uso e dello spaccio di droga all’interno delle carceri italiane dove, addirittura, la Polizia penitenziaria non dispone neanche delle unità cinofile”. Durante, complimentandosi con le guardie carcerarie che “tra mille difficoltà operative riescono anche a contrastare ed a prevenire fenomeni di illegalità all’interno delle carceri”, torna a puntare il dito contro il sovraffollamento: “Bologna continua ad essere uno degli istituti più affollati d’Italia, con circa 1.800 detenuti, a fronte di una capienza di 450 posti”. Quanto al personale, sotto le Due torri “mancano circa 200 agenti di polizia penitenziaria”. Padova: la Polisportiva San Precario e i detenuti; sfida di calcio al Due Palazzi Il Mattino di Padova, 15 aprile 2011 Domani mattina si giocherà una partita di calcio speciale in uno “stadio” particolare: a sfidarsi, nel campo del carcere penale Due Palazzi di Padova, sarà una rappresentativa dei detenuti contro la squadra della Polisportiva San Precario, iscritta al campionato di Terza Categoria. L’iniziativa, organizzata dall’associazione Nairi Onlus e dalla Polisportiva San Precario, con la collaborazione dell’Istituto Gramsci - sezione carceraria, rappresenta un’occasione di confronto per dare ai carcerati un’opportunità di relazione con l’esterno, nell’attesa di un futuro reinserimento dopo lo sconto della pena. La partita offre inoltre la possibilità di accendere i riflettori sulle difficili condizioni dei detenuti ma anche di chi, a vario titolo, vive e lavora negli istituti di pena italiani. L’iniziativa ha come riferimento l’articolo 27 della Costituzione che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. A sostegno di questa impostazione gli organizzatori della partita di sabato citano i dati: la media della recidiva, in Italia, per chi sconta in carcere tutta la pena è del 67%; per chi usufruisce di misure alternative crolla al 19%. Livorno: storie d’Italia e teatro danza con i detenuti Il Tirreno, 15 aprile 2011 Al Goldoni omaggio alla Liberazione con il teatro danza e con una compagnia formata da detenuti. Va infatti in scena domani “Italia. Breve storia illustrata a puntate”, ideato e messo in scena da Alessio Traversi, in collaborazione con Marco Bruciati, proposto dalla compagnia dei detenuti della Casa Circondariale di Livorno. In scena, a partire dalle ore 21, ci saranno Gasmi Aymen, Ghozzi Arbi, Cesare Bruno, Emanuele D’Alessandro, Francesco Nauta, Luisella Pullara, Hachana Saber, Fatri Sheshi, Shkelzen Shira, Giuseppe Stagno, organizzazione interna di Marcella Gori, partecipano le scuole cittadine di danza Arabesque, Arte Danza, Atelier delle Arti, Koine Danza, Laboratorio di Danza e Movimento. Lo spettacolo, a cura di Anpi, Anppia Coordinamento Femminile in collaborazione con Arci, è a ingresso gratuito (ma è necessario farsi consegnare il biglietto al botteghino). Trieste: lo spettacolo “Caracreatura” entra nelle carceri Il Gazzettino, 15 aprile 2011 “Caracreatura” lo spettacolo della Contrada tratto dall’omonimo romanzo di Pino Roveredo entra nelle Carceri del Friuli Venezia Giulia. Si incomincia, giovedì 21 aprile, alle 16.30, al Coroneo di Trieste per proseguire il 28 al Carcere di Tolmezzo e il 29 alla Casa Circondariale di Udine. Rappresentata più volte nel capoluogo giuliano, in diverse piazze della regione ma anche in Veneto e a Roma, “Caracreatura” si trova ora al centro di un progetto finanziato dalla Regione e sostenuto dalle Commissioni consiliari per i servizi sociali e le attività culturali. Destinatari dello spettacolo, i detenuti delle tre Carceri regionali proprio per la forte valenza sociale del testo di Pino Roveredo che affronta il dramma di una madre alle prese con l’improvvisa scoperta che il suo unico figlio è caduto nel vortice della droga. L’obiettivo del progetto, infatti, è quello di contrastare i fenomeni delinquenziali legati alla tossicodipendenza per prevenirne la reiterazione divulgando tra i detenuti la conoscenza dei danni fisici, sociali e familiari derivanti, appunto, dalla tossicodipendenza. A presentare l’iniziativa sono stati il direttore del Carcere di Trieste Enrico Sbriglia, i consiglieri regionali Piero Camber e Sergio Lupieri, la presidente della Contrada Livia Amabilino e l’attrice friulana Maria Grazia Plos. L’obiettivo, è stato detto nel corso della presentazione del progetto, è quello di estendere il progetto a livello nazionale, portando “Caracreatura” in tutte le carceri italiane. Immigrazione: pronti i ricorsi per l’appalto del Cie e del Cara di Gradisca d’Isonzo Il Piccolo, 15 aprile 2011 Ricorsi in vista in merito alla gestione del Cie e del Cara di Gradisca. Secondo indiscrezioni per ora non confermate dalla Prefettura di Gorizia, più di un’impresa uscita battuta nella recente gara d’appalto impugnerà l’affidamento dei servizi interni alla struttura per migranti. La gestione è temporaneamente assegnata alla costituenda associazione temporanea d’impresa guidata dalla francese Gepsa (in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma). L’appalto avrà una durata di tre anni. Il colosso francese ha presentato un’offerta che prevede un impegno economico giornaliero a immigrato inferiore di 8 euro rispetto alla gestione attuale: appena 34 euro contro i 42 oggi richiesti dalla Connecting People di Trapani. La prima gestione dell’allora Cpt, a cura della goriziana Minerva, forniva servizi alla persona per circa 70 euro pro die e pro capite. Cinque anni dopo sono la metà. La nuova gestione di Cie e Cara diventerà esecutiva a partire dal 1° maggio. Nel frattempo la Prefettura sta completando tutte le necessarie verifiche sulle autocertificazioni (in particolare quelle antimafia) presentate dalle ditte. Si tratta dell’ultimo passo, ricorsi permettendo, verso il definitivo cambio della guardia con l’attuale ente gestore, il consorzio siciliano Connecting People in sella dal 2009. La decisione della Prefettura ha dunque confermato quella che era stata la graduatoria provvisoria comunicata nelle scorse settimane. Il consorzio d’impresa fra il colosso transalpino Gepsa, la Cofely e le due associazioni italiane Acuarinto e Synergasia occupava già allora il primo posto nella graduatoria. Gepsa e Cofely sono partner sul mercato: la prima in particolare collabora col ministero dell’Interno francese nella gestione delle carceri. La seconda è una società di servizi. Le due coop italiane che fanno parte della cordata, invece, si occupano di assistenza alla persona e inserimento sociale degli stranieri. Niente riconferma dunque per Connecting people, secondo. Nella graduatoria provvisoria era invece giunta terza la goriziana Minerva (primo gestore nel 2006) e quarta la cooperativa sociale La Ghirlandina di Modena. Seguivano Sovrano Ordine di Malta e Albatros di Caltanissetta, apparse da subito più staccate La miglior valutazione tecnica era inizialmente risultata quella dell’attuale gestore (60 punti, il massimo), seguita da Minerva (57) e Gepsa (56.5). Al contrario, la cordata francese aveva presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa con circa 14.6 milioni di euro per tre anni (34.6 euro al giorno per ogni ospite). Siria: Human Rights Watch; torturati molti manifestanti arrestati Ansa, 15 aprile 2011 L’organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) accusa i servizi di sicurezza e di informazione siriani di aver torturato numerosi manifestanti fra le centinaia di arrestati dall’inizio del movimento di contestazione, un mese fa. L’organizzazione indica che le accuse sono basate sulle testimonianze di 19 persone arrestate dal servizio segreto Mukhabarat a Damasco, Daraa, Duma, Al-Tal, Homs e Banias. Fra i prigionieri ci sono due donne e tre adolescenti. L’ong afferma di aver visionato un video sul quale prigionieri rilasciati a Daraa “portano segni di torture sul corpo... Tutti i detenuti arrestati durante le manifestazioni, a eccezione di due, hanno riferito ad Human Rights Watch che ufficiali del Mukhabarat li hanno picchiati durante l’arresto e la detenzione, e che hanno visto decine di altri detenuti picchiati o hanno sentito grida di persone che venivano picchiate”. Detenuti hanno detto di essere stati torturati “con apparecchi da elettrochoc, cavi e fruste”. I prigionieri erano rinchiusi in celle sovraffollate e molti di loro sono stati privati del sonno, del cibo e dell’acqua. Usa: in carcere della Sud Carolina ammessa solo la bibbia come libro, sceriffo sotto inchiesta Ansa, 15 aprile 2011 Il ministero della Giustizia ha aperto un procedimento giudiziario contro uno sceriffo del Sud Carolina accusato di permettere ai detenuti di una prigione dello stato di leggere solo la Bibbia. Secondo la denuncia del ministero, depositata davanti al tribunale di Charleston (sud-est), l’ufficio dello sceriffo Wayne DeWitt non consente ai prigionieri di leggere giornali, riviste e di ricevere la corrispondenza. “L’unico testo, tra libri, settimanali, giornali o pubblicazioni religiose” che il centro di detenzione della contea di Berkeley autorizza “è la Bibbia” che viene consegnata gratuitamente, si legge sulla denuncia. Altri testi sacri, come la Torah e il Corano, sono ammessi se consegnati dai familiari dei detenuti.