Giustizia: dal “pacchetto sicurezza” alla Cirielli, così è peggiorata situazione dei detenuti di Carmelo Palma Il Secolo d’Italia, 14 aprile 2011 Tra gli effetti collaterali del “garantismo” berlusconiano, ci sono le vittime civili dei “bombardamenti mirati”, a cui la maggioranza Pdl-Lega ha sottoposto la legislazione penale per strappare il principale e i suoi collaboratori dalle grinfie delle Procure. Tra le vittime non stanno solo le parti offese che non ottengono giustizia e risarcimento, ma soprattutto i colpevoli di serie B, discriminati dalle liberalità garantiste a cui, per un decennio, Berlusconi ha abituato gli imputati “perbene”. Il garantismo per colletti bianchi del Pdl si è così sempre accompagnato, per contraccambio, a un giustizialismo disinibito, che ha differenziato le tutele e le garanzie, riservando ai “cattivi” l’inferno della giustizia cattiva e ai “buoni” le mollezze di una giustizia cedevole alle digressioni degli imputati e degli avvocati eccellenti. In questo modo il Cav ha pervertito e infine prostituito il garantismo agli interessi della casa, tanto quanto l’ex pm Tonino ha prostituito la giustizia alle ragioni della sua personale avventura politica, stretta a filo doppio con quella dell’imputato che - quando era pm - aveva promesso di “sfasciare”. La prima giustizia che il Berlusconi garantista avrebbe dovuto assicurare era uguale e contraria a quella che si è infine potuto concedere. Cioè quella dei processi lunghi per gli imputati dal portafoglio largo e delle prescrizioni brevi per gli incensurati, come se l’assenza di censura - per molti professionisti delle attività border line - dipendesse da altro che dalla possibilità di sgusciare fuori dai molteplici buchi che le norme processuali lasciano disponibili, a chi sappia vederle e usarle, con abbondanza di mezzi e di risorse. Accanto al processo breve e alla prescrizione lunga, l’altra faccia di questa giustizia, che i radicali definiscono giustamente “di classe”, è rappresentata dalle carceri, su cui si sono scaricate, le irragionevolezze del cattivismo legislativo made in Berlusconi. Chi voglia conoscere la realtà del carcere può documentarsi sulla rivista Ristretti Orizzonti o sul sito www.ristretti.it, curati dal Centro di documentazione Due Palazzi: un osservatorio sul carcere e dal carcere - per la precisione: dalla Casa di reclusione di Padova e dall’Istituto di pena femminile della Giudecca - realizzato con il contributo di oltre sessanta persone, tra detenuti e volontari esterni. Ne esce un quadro non solo, come è ovvio, doloroso, ma impressionante. Cosa si scopre? Ad esempio che la legge Cirielli, tra il 2005, quando venne approvata, e il 2007, comportò il crollo delle cosiddette misure alternative (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare): da quasi 50mila a poco più di 10mila. Eppure negli anni precedenti, come pure in quelli successivi, l’esito di questi programmi appariva decisamente favorevole. Le revoche dei benefici per “andamento negativo” o per “commissione di reati durante la misura” erano state dal 2001 al 2005 inferiori al 5,5 per cento dei casi e non sono diminuite sensibilmente negli anni successivi, malgrado la stessa stretta imposta sui requisiti d’accesso ai benefici. Nella sostanza, la famosa “legge Cirielli”, ha deflazionato, in modo molto parziale e particolaristico, l’arretrato processuale della giustizia italiana e ha gonfiato la bolla delle carcerazioni, mangiandosi, in poco più di tre anni, l’effetto deflattivo dell’indulto del 2006. Il numero delle presenze per anno è infatti passato dalle 58.817 del 2005 alle 63.993 del 2009. Perché tutto questo è stato fatto se non è servito a ridurre la recidiva dei beneficiati, ma a incanaglire la situazione delle carceri? “Sette condannati su dieci tra quelli scarcerati nel 1998 hanno fatto rientro in carcere una o più volte contro i due recidivi su dieci che hanno espiato la pena in misura alternativa alla detenzione”. Così si legge nella ricerca di Fabrizio Leonardi pubblicata nel 2007 sulla Rassegna penitenziaria e criminologica del ministero della Giustizia. Anche volendo considerare il fatto che le misure alternative sono riservate a detenuti migliori rispetto alla media generale, si tratta di un risultato eloquente che viene invece retoricamente trattato e convertito nel suo contrario. Anche questo equivoco coltivato e inverato dai parrucconi dello “Stato forte” va addebitato sul conto del forza-leghismo berlusconiano, o no! Mentre il Parlamento è paralizzato dalla discussione sui processi lunghi e le prescrizioni brevi, che servono le emergenze giudiziarie del Cav, è quindi opportuno che sia tornato a sollevarsi un tema, quello del rapporto tra carcere e diritto, che incrocia l’altra faccia del garantismo, quella sacrificata alla giustizia della piazza “di destra”. E non è casuale che a sollevarlo - presentando una mozione alla Camera che ha iniziato a discutersi lunedì scorso e che sarà votata oggi - sia stato il partito, Fli, che proprio sulla legalità ha consumato una delle rotture più gravi e irreparabili con la narrazione berlusconiana. Infatti il problema del carcere è soprattutto un problema di legalità, vista la sproporzione esistente tra i mezzi, non solo economici, ma anche normativi, di cui l’amministrazione penitenziaria dispone e i fini che la Costituzione le imporrebbe di perseguire. Più di quattro detenuti su dieci sono in attesa di giudizio e quindi sono, non solo tecnicamente, innocenti. La galera non è loro imposta da una cultura della giurisdizione, che affratella accusatori e giudici e rende i primi troppo sensibili alle richieste dei secondi, ma in primo luogo da una legislazione penale che consente un ricorso troppo largo alla custodia cautelare in carcere. Su questo nodo - quello della carcerazione preventiva - partì la battaglia di Enzo Tortora. Su questo meccanismo estorsivo di confessioni e di chiamate di correo molte Procure istruirono il cosiddetto “processo al Palazzo” di Mani Pulite, meritando giustamente le censure garantiste. E oggi? Se - come le cronache dimostrano - la magistratura sembra essersi parzialmente emendata da questo vizio (con ragguardevoli eccezioni, la più clamorosa delle quali è stata di recente quella dell’ex patron di Fastweb Silvio Scaglia), abbiamo assistito, su questo fronte, a una riforma legislativa di qualche interesse da parte del centrodestra? No. Anzi, abbiamo sentito invocare e, in alcuni casi imporre, proprio dal centrodestra la carcerazione preventiva come risposta obbligata ai reati di maggiore allarme sociale. Vogliamo un altro esempio del carattere classista e discriminatorio della legislazione penale? Con una delle norme del cosiddetto pacchetto sicurezza, nel 2009 si è aumentato 0 parametro di conversione delle pene detentive in pene pecuniarie da 38 a 250 euro per giorno, di fatto pregiudicando la possibilità per i meno abbienti di accedere a questo beneficio. E quale sarebbe la ratio di una siffatta norma? Quella, puramente propagandistica, di mostrare la faccia feroce in favore della telecamera. E di scambiare, di fatto, un’entrata di 38 euro con un’uscita di tre volte superiore, visto che la spesa per detenuto è stata nel 2010 di 113 euro giornaliere. Anche sulle risorse si gioca una partita che il sovraffollamento rende difficile. Mentre, infatti, negli ultimi tre anni la popolazione detenuta è quasi raddoppiata, passando dalle 39.005 unità del primo gennaio 2007 alle 67.961 del 31 dicembre 2010, la spesa media giornaliera procapite è scesa del 43 per cento: nel 2007 era di 198,4 euro. Se si vuole riequilibrare la dinamica della spesa, i cui tagli appaiono ictu oculi punitivi, e migliorare un’edilizia penitenziaria degradata, che costringe al degrado quanti vi risiedono stipati, occorre ancora muovere la fantasia per la predisposizione di un piano carceri realistico. E da questo punto di vista, può soccorrere una logica di mercato intelligente. Nella mozione di Futuro e libertà si chiede al governo di favorire “forme di partecipazione privata ai programmi di edilizia penitenziaria, utilizzando quegli strumenti di mercato che possono incentivare gli investitori privati”. Perché non si dovrebbe scambiare un carcere nuovo, costruito e consegnato chiavi in mano all’amministrazione penitenziaria, con un carcere vecchio e difficilmente convertibile, ma interessante e profittevole per un privato che volesse destinare quell’edificio o quella cubatura a un uso diverso? Ma per fare questo e quant’altro serva per civilizzare le carceri italiani occorrerebbe, forse, che il Cav fosse abbastanza libero e forte da pensare non solo ai propri processi, ma anche alla galera degli altri. Giustizia: il Comitato “Stop Opg” presenta la campagna per abolizione Asca, 14 aprile 2011 “Chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari: un vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese per le condizioni aberranti in cui versano 1.300 nostri concittadini, 300 dei quali potrebbero uscirne fin da ora”. Sarà questo il tema della conferenza stampa in programma martedì 19 aprile, a Roma presso la sede della Regione Toscana in via Parigi 11, alle ore 11. A promuoverla è il comitato “Stop Opg”‘, costituito da diverse associazioni, tra queste anche la Cgil e la Fp Cgil, che per l’occasione presenterà la campagna nazionale contro gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Queste le associazioni promotrici del comitato “Stop Opg”: Forum Salute Mentale, Forum per il diritto alla Salute in Carcere, Cgil nazionale, Fp Cgil nazionale, Antigone, Centro Basaglia (AR), Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia, Associazione “A buon diritto”, Fondazione Franco e Franca Basaglia, Forum Droghe, Psichiatria Democratica, Unasam, Società della Ragione, Sos Sanità, Coordinamento Garanti territoriali dei detenuti, Cittadinanzattiva, Gruppo Abele, Grusol, Cnca. Giustizia: Psichiatria Democratica; tutti gli Opg vanno chiusi Asca, 14 aprile 2011 Psichiatria Democratica, alla luce della notizia dell’ultimo suicidio avvenuto nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, “che ha visto come vittima un cittadino romeno di 58 anni, chiede nuovamente e con forza, che tutti gli Opg vengano chiusi. Pd denuncia la lentezza esasperata e la timidezza nel porre mano ad adeguati programmi di dismissione - si legge in una nota - volti a garantire, ai cittadini reclusi, il diritto alla tutela ed alla cura sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana”. Secondo Emilio Lupo e Cesare Bondioli, rispettivamente segretario nazionale e Responsabile Nazionale per le carceri e gli Opg di Psichiatria Democratica, “l’intenso lavoro svolto dall’intera commissione di inchiesta presieduta dal senatore Ignazio Marino (alla quale, peraltro, Pd ha chiesto una audizione urgente) e che ha messo a nudo le disumane condizioni di vita delle persone recluse nei manicomi giudiziari italiani, ora deve concretizzare i propri atti promuovendo - in tempi strettissimi - un raccordo operativo tra tutti gli attori interessati a chiudere, definitivamente questa brutta pagina della nostra storia”. Giustizia: Favi (Pd); sul “piano carceri” Vitali ha dato i numeri Agenparl, 14 aprile 2011 Dichiarazione di Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del Pd commentando le dichiarazioni di Franco Vitali responsabile penitenziario del Pdl. “Da quando il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza (gennaio 2010) ci sono 2000 detenuti in più, 1600 agenti di polizia penitenziaria in meno e per il piano carceri sono stati resi disponibili solamente 175 milioni di euro: 75 milioni tratti dal bilancio dell’amministrazione penitenziaria e 100 dalla Cassa delle Ammende. Nel solo 2011 sono morti 45 detenuti e 2 agenti”. “I 500 milioni di euro previsti dalla Finanziaria 2010 non sono ancora stati messi a disposizione del Commissario straordinario Ionta. I progetti di costruzione, dei nuovi padiglioni e dei nuovi istituti, sono in alto mare e siamo ancora lontani dalla definizione di un piano operativo idoneo ad affrontare la drammatica situazione in cui versano le nostre carceri. Nel frattempo, le risorse finanziarie a disposizione, del comparto penitenziario, sono state diminuite e ormai quasi il 90 per cento del bilancio è costituito da stipendi e altre spese per il personale. Se questo è il progetto del Governo per ricondurre il sistema penitenziario ad un minimo di legalità, funzionalità ed umanità c’è da essere assai preoccupati sulla reale percezione del Governo e della sua maggioranza sulla portata della crisi del sistema penitenziario italiano”. Giustizia: caso Aldrovandi; la madre sotto processo per diffamazione a un pm di Luciano Ferraro Corriere della Sera, 14 aprile 2011 C’è una madre a Ferrara che ha fatto condannare i quattro poliziotti che hanno picchiato il figlio fino alla morte, il 25 settembre 2005: il ragazzo si chiamava Federico Aldrovandi, aveva 18 anni. C’è un giudice, a Mantova, che ha rinviato a giudizio quella madre, Patrizia Moretti. Il giudice ha deciso che va tutelato l’onore del pubblico ministero che si occupò del caso, Maria Emanuela Guerra. La pm si è sentita diffamata. Patrizia Moretti disse che il fascicolo sulla morte del figlio era ancora vuoto e che la pm era stata già oggetto di un procedimento disciplinare, concluso con una assoluzione davanti al Csm. Nel caso Aldrovandi le lacune delle indagini e i tentativi di depistaggio vennero alla luce quando la madre del ragazzo apri un blog su Internet, chiedendo verità. Lo fece con tale forza da ottenere attenzione da tutta Italia, intervenne anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Una lunga battaglia, fino al 6 luglio 2009, quando i quattro poliziotti del pestaggio sono stati condannati per eccesso colposo di legittima difesa. E il pm? Ecco le domande che la madre le ha rivolto: “Perché il corpo di mio figlio è rimasto per ore sulla strada e lei non è andata sul posto? Perché, se dice di essere stata ingannata da chi fece indagini a sua insaputa, non sequestrò l’auto della polizia contro la quale, per la versione ufficiale, si fece male mio figlio? Perché non ha sequestrato i manganelli rotti dalla violenza sul corpo di mio figlio? Perché non ha interrogato i poliziotti?”. Il giudice di Mantova che ha rinviato a giudizio questa madre ha sicuramente agito nel rispetto del codice. Eppure il futuro processo contro Patrizia Moretti (che inizierà il primo marzo dell’anno prossimo) appare come un’azione di autotutela di categoria, una difesa dell’onorabilità della toga come valore superiore all’onorabilità del cittadino che denuncia. La giustizia che bussa alla porta di casa e identifica e trascina sul banco degli imputati questa madre che ha perso il figlio per le botte di rappresentanti dello Stato sembra una giustizia chiusa in se stessa. Sicilia: D’Alia (Udc); carceri al collasso, cosa intende fare il Governo? ImgPress, 14 aprile 2011 “Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha contezza dell’allarmante situazione in cui versa il sistema carcerario siciliano e in particolare nel messinese? Quali misure e investimenti intende adottare per ovviare alle degradanti condizioni strutturali del penitenziario di Gazzi (Messina), per far fronte alla drammatica carenza di organico che affligge il personale carcerario di questa struttura, evitare le conseguenze drammatiche del sovraffollamento, mantenere la sicurezza, scongiurando il rischio sanitario e garantendo il rispetto della dignità umana?” Sono questi gli interrogativi, che il presidente del senatori dell’Udc Gianpiero D’Alia, pone, in un’interrogazione urgente, al Guardasigilli. “La situazione delle carceri è drammatica a livello nazionale, prosegue l’interrogazione. Il Piano carceri stenta a decollare e la Corte europea dei Diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della stessa Convenzione, poiché l’esiguo spazio in cui sono costretti a vivere i detenuti nel nostro Paese è considerato trattamento disumano e degradante. Dall’inizio di aprile otto persone sono morte nei penitenziari italiani, sei per suicidio, due per condizioni ancora da accertare. Quattro erano detenute, due internate e due poliziotti penitenziari, di cui uno in Sicilia”. “Proprio nell’Isola - spiega D’Alia - i numeri fotografano una situazione al collasso: 8.017 detenuti, dislocati nei 26 istituti di pena per adulti, che rappresentano il 10% della popolazione carceraria in Italia, pongono la Sicilia tra le regioni con il maggior sovraffollamento carcerario. A Gazzi, poi, le carenze riguardano il personale, il sovraffollamento nelle celle, il rischio sanitario, il degrado strutturale e le condizioni di scarsa sicurezza”. A Messina - conclude l’interrogazione - attualmente operano 198 unità di Polizia penitenziaria (147 ai servizi interni e 51 addetti alle traduzioni anche per l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto) a fronte di un organico previsto di 293 unità, con turni per il personale che vanno dalle 12 alle 20 ore consecutive (al Nucleo Provinciale Traduzione e Piantonamenti). Sempre a Gazzi, a fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi, sono presenti 393 detenuti. I degenti sono ristretti insieme ai detenuti comuni, che sono allocati negli ambienti di ospedalizzazione per mancanza di posti. Infine, la moderna sala operatoria è momentaneamente inattiva per il mancato rinnovo della convenzione con il Policlinico di Messina”. D’Antoni (Ugl): le carceri siciliane sono delle polveriere “Lo diciamo con fermezza e grande preoccupazione, il fenomeno carceri in Sicilia sta implodendo”. É l’allarme lanciato dal segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Francesco D’Antoni, secondo cui “le carceri siciliane sono delle polveriere”. “Purtroppo - aggiunge il sindacalista - il grido d’allarme sulla carenza d’organico, il sovraffollamento e l’obsolescenza delle strutture carcerarie, piú volte da noi denunciato, anche al cospetto del Prefetto di Palermo, durante la recente manifestazione regionale di protesta, é caduto nel vuoto”. Secondo Giovanni Condorelli, segretario generale dell’Ugl Sicilia, “urge un serio confronto con il Governo nazionale, cosí come fortemente richiesto e auspicato dalla nostra segreteria generale”. Puglia: la catastrofe umanitaria nelle carceri di Sergio D’Elia (Segretario di Nessuno Tocchi Caino) Notizie Radicali, 14 aprile 2011 Alcuni giorni fa, oltre un milione di galline ovaiole “prigioniere” in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge sono state sequestrate dai Nas durante una serie di controlli in allevamenti del centro nord, effettuati in vista delle festività pasquali. Gabbie sovrapposte, con animali costretti a subire le deiezioni di quelli posti in cima, con poca aria e scarso accesso al cibo, soggetti a malattie e quindi imbottiti di antibiotici con rischi anche per la salute umana. I carabinieri hanno operato nei due casi più gravi il sequestro penale delle strutture, ravvisando il reato di maltrattamento di animali. I controlli hanno interessato complessivamente 13 allevamenti, ma sono due quelli in cui sono state accertate le violazioni più gravi, con la presenza nelle gabbie fino al 50 per cento in più del numero di animali consentito dalle attuali normative europee. Se passiamo dalle galline ai cani, le norme europee non sono meno garantiste, considerano maltrattamento grave il caso in cui in un canile non sono previsti almeno 2,7 metri quadri di spazio minimo vitale per ogni animale. Nel carcere di Lecce, un’altra specie animale è vittima del sovraffollamento, ma nessuno interviene per sequestrare le strutture e “liberare” i prigionieri. Oltre 1.600 persone sono ammassate in spazi che a norma di regolamento possono ospitarne al massimo 600: il 60 per cento in più! Nei locali destinati al pernottamento, di neanche 12 metri quadrati, originariamente previsti per un solo detenuto, ne hanno sistemati tre su letti a castello fino al terzo piano dove il materasso più in alto è a 50 centimetri dal soffitto. Tolto lo spazio occupato da servizi igienici, letto e suppellettili, a ogni detenuto resta una superficie media di appena 1,75 metri quadrati di spazio calpestabile. Può muoversi per la cella solo quando gli altri due sono stesi sul letto. I servizi igienici, privi di acqua calda e di doccia, sono collocati in un piccolo vano cieco annesso alla cella che funge anche da cucinino dove preparare o riscaldare il cibo. Carta igienica, shampoo, bagno schiuma e detersivi sono effettivamente disponibili solo per chi può comprarli nello spaccio interno, mentre quelli necessari alla pulizia della cella sono insufficienti. L’acqua va e viene, soprattutto d’estate. Di notte salta, per molte ore, l’energia elettrica. Il riscaldamento funziona d’inverno un’ora al giorno. Sulle terrazze dei padiglioni e sulle reti di protezione dei passeggi sono depositati abbondante spazzatura e uno strato di guano rilasciato da piccioni, gabbiani e altre specie di volatili, comprese le loro carcasse. Da animalista convinto, plaudo all’operazione dei Nas che ha liberato le galline ovaiole vittime del sovraffollamento dei pollai. Nessun magistrato di sorveglianza, nessun nucleo dei Nas si è mai affacciato nel carcere di Borgo San Nicola per valutare il trattamento riservato a quell’altra specie animale, detta umana, ristretta in gabbie dove lo spazio vitale è al di sotto del minimo consentito dalle norme europee sui diritti umani delle persone detenute, e anche al disotto delle stesse norme europee sui doveri umani nei confronti degli animali in gabbia. Nella triste classifica nazionale del “sovraffollamento carcerario”, la Puglia è ai primi posti. Alla fine di marzo, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.449, quasi 2.000 oltre la “capienza regolamentare” e 600 in più anche di quella “tollerabile”… Tollerabile per chi non si sa: forse per il ministero, non certo per gli operatori penitenziari e tantomeno per i detenuti, come quei dodici che nell’ultimo anno (dal 2010 al 7 aprile 2011) si sono tolti la vita o sono morti per “cause naturali” o “per cause da accertare”. Se nel carcere di Lecce i detenuti stanno letteralmente come “mancu li cani” (detto alla salentina), in quello di Bari muoiono come cani. Il 31 gennaio, dopo una lunga malattia, Cosimo Manca si è spento in una cella all’età di 54 anni e quando mancavano esattamente due anni alla fine di una pena di dieci anni. I parenti del detenuto hanno denunciato il fatto che, “nonostante l’evidenza delle patologie che lo avevano reso, tra l’altro, quasi completamente cieco e incapace a deambulare autonomamente”, al loro caro era stata negata la sospensione della pena per motivi di salute e anche la detenzione domiciliare. È rimasto fino alla morte nel carcere di Bari “senza alcuna cura effettiva, e senza che gli venissero forniti i mezzi minimi per una dignitosa terapia medica che, se tempestiva, avrebbe potuto salvargli la vita”. Il 7 aprile scorso, sempre a Bari, Carlo Saturno è morto nel reparto di rianimazione del policlinico. Una settimana prima, era stato trovato appeso a un lenzuolo nella sua cella del carcere. Il ragazzo di 22 anni era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al Tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, accusati di aver compiuto violenze sui detenuti tra il 2003 e il 2005. Carlo, che all’epoca aveva 16 anni, sarebbe stato vittima, assieme ad altri ragazzi, di vere e proprie sevizie. Non c’è mai nulla di “naturale” nelle morti in carcere. Esse sono il frutto della malagiustizia e della malaprigione che connotano l’Italia, per questo pluricondannata ogni anno dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in base alla Convenzione sui diritti umani che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti. Le condizioni di detenzione nel nostro Paese costituiscono un dato strutturale di tortura… ragion per cui, forse, non è ancora stato introdotto nel nostro codice penale il relativo reato. Suicidi o presunti tali, omicidi veri e propri, malattie “curate” in carcere fino allo stadio terminale, descrivono una realtà di pena di morte di fatto vigente in Italia, con buona pace dell’impegno italiano contro la pena capitale che sta nei nostri pensieri ormai solo come un fatto esotico. Per non dire poi delle pene fino alla morte, quali tecnicamente sono l’ergastolo ostativo inflitto ai detenuti del 41 bis e l’ergastolo bianco a cui sono condannati gli “internati” sottoposti alle misure di sicurezza, su cui sono tutti allineati e coperti, a destra come a sinistra. Eccezion fatta per noi Radicali e pochissimi altri, non v’è nessuno che si occupi di istituire nel nostro Paese il Commissario Nazionale per i diritti umani. Nessuno che si preoccupi del fatto che in Italia si contano sulle dita di una mano i Garanti regionali delle persone private della libertà. Neanche la Puglia di Nichi Vendola, con il suo infelice primato di sovraffollamento e morti in carcere, ha il suo Garante, nonostante siano passati ormai cinque anni dalla legge istitutiva. Non sarà la soluzione a tutti i problemi del carcere, ma un possibile argine agli abusi del potere e un punto di riferimento per gli abbandonati, di soccorso per gli smarriti, di tutela per i non garantiti e di speranza per i disperati, il Garante potrebbe esserlo, al servizio non solo dei detenuti ma, secondo la nostra impostazione, anche di tutti gli altri componenti la comunità penitenziaria, vittime - tutti e ciascuno - della stessa catastrofe umanitaria e della ordinaria illegalità, carceraria e non, che vige nel nostro Paese. Emilia Romagna: allarme per il personale delle carceri, interrogazione leghista ad Alfano La Padania, 14 aprile 2011 Proseguono le proteste del Sappe, il sindacato degli agenti di Polizia penitenziaria. Tra le ultime iniziative quella di un sit-in e un volantinaggio davanti alle carceri di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Piacenza, Ravenna, Forlì e Rimini. Secondo i rappresentanti del sindacato vi è, soprattutto in Emilia Romagna, una forte carenza di organico a livello di personale e addetti alla sicurezza, oltre che problemi di strutture. In ascolto come sempre vi è la Lega Nord e il deputato leghista Angelo Alessandri, segretario nazionale dell’Emilia, che dopo aver accolto le istanze del Sappe ha presentato, una interrogazione al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. “Ogni giorno, come riportato dagli stessi agenti di polizia penitenziaria, a Reggio - sottolinea Alessandri - questi operatori della sicurezza, si trovano a fare i conti con gravi carenze di personale, di automezzi, mancanza di fondi per comprarne di nuovi, riduzione del budget sugli straordinari e mancanza di uniformi. È per questo - sottolinea Alessandri - che ho chiesto al ministro Alfano se sia a conoscenza delle carenze che affliggono gli istituti penitenziari di Reggio Emilia e più in generale delle criticità in essere presso le sedi penitenziarie della regione Emilia Romagna e quali siano le iniziative che intende porre in essere facendo proprie se possibile anche le risoluzioni avanzate dal Sappe stesso”. Secondo i dati forniti, vi sarebbe nell’istituto penitenziario di Reggio un deficit di organico di 44 unità cui si aggiunge la mancanza di altre 45 unità nell’organico del reparto di polizia penitenziaria presso il relativo ospedale psichiatrico giudiziario, oltre ad altri problemi come la situazione di sovraffollamento dei penitenziari e la carenza di automezzi del Corpo per l’esecuzione delle traduzioni dei detenuti. “Il personale di polizia penitenziaria che lavora nei reparti detentivi - aggiunge Alessandri - è spesso sottoposto a forti e stressanti carichi di lavoro, dovendo coprire anche due o tre posti di servizio contemporaneamente. Credo sia giunto il momento che qualcuno intervenga, per permettere al personale di polizia penitenziaria di svolgere al meglio il proprio lavoro in condizioni dignitose e assicurare così ai nostri cittadini quella certezza e sicurezza che da tempo ci chiedono, soprattutto qui nella nostra Emilia, dove ormai siamo rimasti solo noi della Lega in ascolto della gente e dei lavoratori onesti che chiedono oltre ai doveri, a cui il popolo emiliano ha sempre dimostrato di saper adempiere, anche dei diritti, in primis quello della sicurezza”. Calabria: via libera dalla I Commissione al Garante dei diritti dei detenuti Ansa, 14 aprile 2011 Reggio Calabria. Via libera dalla prima Commissione “Affari Istituzionali e Affari Generali” all’Ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. L’organismo consiliare, presieduto da Giuseppe Caputo, ha approvato all’unanimità la proposta di iniziativa della Giunta regionale che prevede l’istituzione di un’Autorità super partes a tutela dell’imparzialità a tutela del buon andamento della Pubblica Amministrazione anche in ambito carcerario. Un clima costruttivo ha caratterizzato l’esame degli undici articoli di cui consta la proposta che è stata corredata, nel corso dei lavori, da alcuni emendamenti. Soddisfazione è stata espressa dal presidente Caputo, secondo il quale “si conclude, finalmente, un percorso che ci ha visti impegnati in più momenti. Si tratta di un provvedimento dal forte impatto sociale che amplia la garanzia del diritto di cittadinanza anche nella complessa realtà carceraria con l’obiettivo di facilitare il reinserimento dei detenuti. Con l’istituzione di questa figura di mediatore, chiamato a intervenire per migliorare una serie di interventi posti in essere dagli Istituti di pena- rilancia il presidente Caputo - si offre uno strumento fondamentale che investe tutte le componenti sociali e istituzionali per la tutela della persona e la lotta alla criminalità. Con questa iniziativa, che qualifica l’attività dell’intero Consiglio regionale, viene data piena attuazione all’articolo 27 della Costituzione, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma ciò che in particolare mi preme sottolineare - conclude Caputo- è il fatto che la funzione del Garante non si esaurisca all’interno delle strutture di reclusione, per la verifica e la garanzia dell’applicazione dei diritti delle persone, ma si realizzi anche attraverso un’azione di promozione culturale, di analisi e riflessione su dati statistici e ricerche sociali e di formulazione di proposte”. Nicolò (Pdl): il Garante dei detenuti favorirà l’umanizzazione della pena “L’approvazione da parte della prima Commissione Affari Istituzionali e affari Generali dell’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale rappresenta indubbiamente uno dei momenti più qualificanti, impregnati di alto valore sociale, del Consiglio”. È quanto afferma il vicepresidente dell’Assemblea regionale Alessandro Nicolò a conclusione della seduta dell’organismo consiliare. “In attesa del voto finale dell’Aula, intanto, prende corpo un sistema di tutela e di garanzia dei diritti di cittadinanza anche nella realtà carceraria, favorendo, attraverso la presenza del Garante, il contatto con le persone private della libertà e quindi una politica di ascolto dei loro bisogni. Altrettanto significativo - conclude Nicolò - il messaggio culturale che si trasmette, assegnando al Garante un compito di sensibilizzazione sui temi dei diritti umani e l’umanizzazione della pena. Aspetti, questi, fondamentali per la costruzione di una comunità più solidale. Rivolgo un plauso alla Commissione, in particolare al presidente Caputo per l’attività svolta su più fronti, consentendo il funzionamento efficiente dell’organismo che insieme agli altri rappresenta il vero polmone dell’attività legislativa”. Messina: Opg di Barcellona; il senatore Marino sentito dal Procuratore capo De Luca La Sicilia, 14 aprile 2011 Ad una svolta l’inchiesta della Procura. Marino nel luglio scorso visitò l’Opg “Madia” restando sconcertato, fra l’altro, per il modo di trattare i detenuti-degenti. Clamorosa svolta nell’inchiesta della Procura di Barcellona sull’Ospedale Psichiatrico Giudiziario “Madia”. Nel pomeriggio il Procuratore capo Salvatore De Luca ha ascoltato, nella sede del Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo, il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del servizio sanitario nazionale. Marino nel luglio dell’anno scorso fece un sopralluogo al “Madia” restando sconcertato dal modo di gestire la struttura, dalla fatiscenza dei locali e dal trattamento disumano rivolto ai degenti: “Il Procuratore Capo di Barcellona mi ha chiamato - ha dichiarato il senatore del Pd al termine dell’audizione - perché risultano delle discrepanze tra la documentazione che abbiamo prodotto nel giugno 2010 dopo un sopralluogo effettuato all’ospedale psichiatrico e la documentazione clinica acquisita mesi dopo dalla Procura”. Marino ha spiegato inoltre: “nel giugno 2010 trovammo un uomo legato nudo su un letto con le garze usate come corde. Abbiamo chiesto la cartella clinica per capire perché era ‘contenutò, cioè legato. Ma non risultava alcun ordine medico perché fosse legato. Il procuratore, mesi dopo, ha acquisito la documentazione clinica dove è invece comparsa all’improvviso l’indicazione clinica alla contenzione. Insomma, era diventato necessario legare quell’uomo al letto”. Ancona: inserimenti socio-lavorativi per ex detenuti grazie alla Fondazione Cariverona Il Messaggero, 14 aprile 2011 Grazie al generoso contributo offerto dalla Fondazione Cariverona, pari a complessivi € 68.000,00, il Comune di Ancona ha avviato una serie di attività dirette a realizzare degli inserimenti socio-lavorativi a favore di persone sottoposte a provvedimenti da parte dell’Autorità giudiziaria e di ex detenuti, potenziando e qualificando il programma degli interventi predisposti nel settore penitenziario e post-penitenziario. Il progetto destinato alla realizzazione di n. 8 inserimenti socio-lavorativi sarà attivo presumibilmente dal mese di Maggio ed è riservato a soggetti conosciuti dai Servizi Sociali del Comune di Ancona e dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia di Ancona. Le Aziende e/o cooperative disponibili ad attivare gli inserimenti socio-lavorativi possono manifestare la loro disponibilità presentando la domanda di partecipazione per la formazione di un “Elenco Speciale di Operatori economici” secondo le modalità indicate nell’Avviso pubblico affisso all’Albo Pretorio on line del Comune di Ancona e pubblicato sul sito ufficiale dell’Amministrazione. Gli operatori economici disponibili a garantire il contesto lavorativo per avviare un percorso personalizzato di inserimento socio-lavorativo dei soggetti sottoposti a provvedimenti da parte dell’Autorità giudiziaria o di ex detenuti, potranno ricevere un contributo per le attività svolte. L’Amministrazione comunale - da parte sua- mette a disposizione del progetto un operatore che ha funzioni di monitoraggio del percorso di inserimento socio-lavorativo e garantisce supporto ed indicazioni all’azienda. In linea con le finalità rieducative sancite dalla Costituzione e con la normativa regionale in materia, il Settore Servizi per la Persona e la Famiglia, U.O. Disagio-Immigrazione dell’Amministrazione comunale , opera per garantire alle persone detenute opportunità dirette a promuovere interessi umani, culturali e professionali validi ai fini del percorso di inserimento sociale. Ed è pertanto da anni, in funzione dei contributi garantiti dalla Regione Marche per iniziative da realizzare nello specifico settore di intervento, che sostiene una serie di iniziative e progetti realizzati in sinergia con altre istituzioni pubbliche e private presenti nel territorio comunale. Treviso: protocollo tra carcere e Usl per far fronte agli scioperi della fame dei detenuti La Tribuna, 14 aprile 2011 Vertice in Procura ieri tra il procuratore Antonio Fojadelli, il direttore del carcere Francesco Massimo e i responsabili dell’Usl 9. Oggetto dell’incontro: studiare un protocollo di intervento in caso di sciopero della fame e della sete da parte dei detenuti. Un’iniziativa di prevenzione, ha sottolineato Fojadelli. “In caso di sciopero della fame e della sete dei detenuti ci sono due posizioni diverse - ha spiegato - Da una parte il carcere che ha l’obbligo di custodire e “restituire” integra la persona. Dall’altra i medici che considerano un trattamento l’alimentazione della persona in sciopero della fame e della sete. E, come tutti i trattamenti, richiede il consenso del paziente”. Due posizioni contrastanti, dunque, che hanno indotto il procuratore a convocare le parti per decidere un protocollo da seguire nell’ipotesi in cui si verifichino casi simili. “Un’iniziativa di prevenzione”, ha precisato il procuratore capo ricordando comunque il caso di Said che a luglio decise di sospendere l’assunzione di cibo e di bevande. Intanto il carcere di Treviso continua a soffrire del problema del sovraffollamento. Il mini-indulto (scarcerazioni per chi ha meno di 1 anno di pena da scontare e un domicilio certo), non ha portato ai risultati sperati dal ministro Alfano: da dicembre ad oggi i detenuti usciti sono 10, molti di meno rispetto alle attese. Sassari: droga a San Sebastiano, agenti penitenziari indagati La Nuova Sardegna, 14 aprile 2011 Come una matrioska giudiziaria. Il processo al presunto carabiniere infedele, accusato di essersi inventato falsi blitz antidroga per farsi bello con i superiori, ieri ha svelato l’esistenza di una inchiesta supersegreta su alcuni poliziotti penitenziari che a San Sebastiano avrebbero passato per mesi la droga ai detenuti. Le indagini sono ancora in corso ma il segreto è stato rotto. È successo ieri pomeriggio nell’aula della corte d’assise, presa in prestito dai giudici del tribunale per processare l’appuntato Francesco Silanos e il maresciallo Leonardo Riu. Silanos è quello con le accuse più gravi: detenzione di eroina in quantità industriali, calunnia, abuso d’ufficio. Riu, che all’epoca dei fatti era il diretto superiore dell’appuntato, si deve difendere “solo” dall’accusa di avere controfirmato una relazione di servizio sapendola falsa. In mezzo ci sono le esistenze rovinate, o fortemente turbate, di sette persone finite in galera tra il 2007 e il 2008 con l’accusa di avere nascosto in casa pacchi di eroina. A raccontare l’incredibile retroscena delle “brillanti operazioni” dei carabinieri è stato, alla fine, proprio l’uomo che le ha rese possibili con le sue confidenze. Francesco Marongiu, pregiudicato di Sennori, ufficialmente confidente di Silanos, nell’estate del 2008 si è stufato di fare la parte del cattivo e ha raccontato ai pm Gianni Caria e Maria Grazia Genoese una verità semplice e sconcertante: “La droga la nascondevo io per fare un favore al mio amico appuntato”. Il graduato dell’Arma (sospeso dal servizio) però non ci sta e si sta battendo in tribunale per dimostrare di non avere disonorato la divisa. Dopo le persone offese, alcune delle quali ancora incredule per la disavventura vissuta tra manette e false accuse, stanno sfilando molti carabinieri. Ieri, ed era la terza volta, è arrivato a testimoniare il capitano Marco Keten. L’ufficiale, che all’epoca dei fatti comandava la squadra di cui faceva parte anche Silanos, doveva rispondere alle domande degli avvocati difensori Maurizio Serra e Pietro Piras. Marco Keten, che durante le indagini preliminari era stato iscritto nel registro degli indagati, è stato sentito con l’assistenza del suo avvocato difensore Pasqualino Federici. L’ufficiale non si è avvalso della facoltà di non rispondere. È stato l’avvocato Maurizio Serra, durante il controesame del teste, a introdurre la storia della inchiesta sul giro di eroina a San Sebastiano. Inchiesta che è stata condotta in gran segreto per anni dai carabinieri, con telecamere e intercettazioni, e che solo di recente sarebbe arrivata a una svolta con l’iscrizione nel registro degli indagati di alcuni poliziotti penitenziari. “Tra le persone indagate ci sono almeno quattro agenti” ha rivelato ieri il capitano Keten, costretto alla scelta obbligata tra il naturale riserbo investigativo e il giuramento di “non nascondere nulla di quando a conoscenza”. I protagonisti della inchiesta sono stati tutti trasferiti e decine di persone, ex detenuti e loro amici e familiari, sono stati denunciati. Saranno i giudici del collegio presieduto da Plinia Azzena (a latere Marina Capitta e Giuseppe Grotteria) a valutare la rilevanza delle domande sull’inchiesta sulla polizia penitenziaria nel processo a Francesco Silanos. Certo è che l’appuntato, considerato un brillante investigatore dai suoi superiori fino al giorno dell’arresto, nel 2008 stava lavorando alle indagini sul giro di droga a San Sebastiano. Lo ha detto ieri Marco Keten, in risposta a una precisa domanda della difesa. Eppure Francesco Marongiu dice che, dopo averlo arrestato per la detenzione di due chili di eroina, nel luglio del 2008 Francesco Silanos gli regalò un etto di eroina perché se lo portasse in carcere. Cosa che il pentito di Sennori fece, dopo essersi infilato la droga nel retto. Ravenna: il prefetto in visita al carcere e incontra gli operatori penitenziari Agi, 14 aprile 2011 Nella mattinata odierna il prefetto di Ravenna, dottor Bruno Corda, si è recato in visita alla casa circondariale di Ravenna. Dopo un colloquio intrattenuto con il direttore, la dottoressa Carmela De Lorenzo, incentrato sui vari aspetti organizzativi ed alla struttura inerenti all’istituto, il prefetto ha visitato gli ambienti, intrattenendosi sia coi detenuti che con il personale di polizia penitenziaria. Ad accompagnarlo durante la visita, oltre al direttore c’era il comandante del reparto, l’ispettore capo Carlo Storace. Il direttore a nome di tutto il personale ha espresso un vivo ringraziamento al signor prefetto per la sua disponibilità e cortesia e per la sua sensibilità dimostrata nel corso dell’incontro. Reggio Emilia: Sappe; ancora aggressioni ad agenti penitenziari Agi, 14 aprile 2011 Ancora un’aggressione nelle carceri italiane, ancora una volta in Emilia Romagna: a denunciarlo, il segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante, il quale fa sapere che oggi, nella casa circondariale di Reggio Emilia, un detenuto tunisino, condannato per reati riguardanti lo spaccio di sostanze stupefacenti, ha aggredito tre agenti della polizia penitenziaria ed un medico. L’uomo, che deve scontare ancora 8 mesi di reclusione, si è procurato delle lesioni - fa sapere il Sappe - con delle lamette da barba che deteneva legittimamente. Gli agenti, seppur pochi, sono intervenuti immediatamente e lo hanno condotto nel reparto infermeria, dove il medico stava per praticargli dei punti di sutura, quando il detenuto li ha aggrediti, insieme allo stesso medico, brandendo una lametta che aveva in mano. Gli agenti sono poi riusciti ad immobilizzarlo e gli hanno trovato un’altra lametta in bocca. Gli agenti sono stati portati in ospedale per le cure richieste. Non si conosce al momento la prognosi”. Durante ribadisce che “la situazione è ormai insostenibile. Non è più possibile che per 1200 euro al mese il personale di polizia penitenziaria è costretto a subire tutti i giorni aggressioni in carcere. Chiediamo al governo di introdurre un’aggravante nel reato, per coloro che, detenuti, si rendono responsabili di aggressioni nei confronti del personale penitenziario. Como: nuova aggressione al Bassone, calci e pugni a due agenti Ansa, 14 aprile 2011 Ancora una aggressione all’interno del carcere del Bassone. Nella giornata di lunedì, un egiziano di 23 anni, in attesa di essere processato per direttissima e detenuto in una cella dell’infermeria, ha colpito con calci e pugni due agenti della polizia penitenziaria della struttura di Albate. La prima vittima ha dovuto fare ricorso alle cure del pronto soccorso dell’ospedale, dove gli sono state riscontrate lesioni guaribili in dieci giorni. Il secondo agente ha invece preferito non recarsi al pronto soccorso. All’egiziano sono state contestate le accuse di resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale, oltre alle lesioni. Ieri è comparso in aula per il processo che è tuttavia stato rinviato a settembre. Vasto (Ch): nel carcere palestra nuova con fondi della “partita del cuore” Agi, 14 aprile 2011 Una palestra tutta nuova per il carcere di Torre Sinello a Vasto (Chieti). L’impianto, realizzato con parte del ricavato della partita del cuore, giocata il 20 luglio scorso all’Aragona di Vasto tra reclusi e la nazionale italiana Famosi, sarà inaugurato mercoledì prossimo, 20 aprile alle 9,30, dall’arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte. La partita fu organizzata nell’ambito del progetto “Oltre il muro” dal Lions Club “Vittoria Colonna” e dall’associazione San Basilide, con il patrocinio di Comune di Vasto e Provincia di Chieti, del Ministero della Giustizia e del Centro Sportivo Italiano. “È doveroso segnalare -sottolinea il direttore del carcere, Carlo Brunetti - che il progetto ha consentito finora non solo di realizzare la nuova palestra, ma anche di assicurare importanti interventi di ripristino di zone comuni destinate ad attività del carcere, dimostrando quanto importante sia abbattere i muri dell’indifferenza, con la conoscenza, la partecipazione e la disponibilità di una comunità attenta e pronta ad esserci per l’altro”. Genova: 24 ore d’aria… arte e carcere, domani una giornata di risultati e riflessioni La Riviera, 14 aprile 2011 Molte e importanti sono le attività che si svolgono nelle carceri di Genova, ma non esiste ancora in città né un momento unico né un luogo deputato per farle conoscere alla cittadinanza. Attraverso una maratona concentrata nella giornata di venerdì 15 aprile (a partire dalle 17.30 e fino alle 23.30), dal titolo 24 d’aria/ arte e carcere si vuole rafforzare quel ponte che già da anni le singole associazioni stanno creando tra il carcere e la città - un appuntamento che mira a costituire un primo passo per futuri collegamenti con manifestazioni simili in Liguria e in Italia, in riferimento anche alla recente costituzione del Coordinamento nazionale di teatro in carcere e al Festival Europeo di Teatro e Carcere Edge di Milano. Un giorno di incontri, videoproiezioni, presentazione di libri, per valorizzare e far conoscere i progetti teatrali realizzati nelle carceri. Grazie alla disponibilità delle curatrici della mostra Uomini Dentro, realizzata nelle celle della Torre Grimaldina di Palazzo Ducale, dai detenuti allievi del Vittorio Emanuele II-Ruffini e Istituto Comprensivo Marassi Alta, verranno proiettati materiali video e sonorizzazioni spaziali, che animeranno lo spazio del Teatro Hops. La giornata, a cui partecipano l’assessora alle Carceri della Provincia di Genova Milò Bertolotto, Teatro Necessario Onlus, Teatro dell’Ortica, Annalisa Vio, Festival Internazionale di Poesia e Biblioteca Civica Berio, Livio Ferrari, Alessandra Ballerini, è ideata e organizzata da Luigi Marangoni, attore e regista, che ha lavorato nelle carceri di Venezia e Rovigo per tre anni, e attuale responsabile progetti del Teatro Hops. L’iniziativa ha il Patrocinio della Provincia di Genova, e si svolge con la collaborazione della Biblioteca Civica Berio e dell’Associazione Dinamici Teatri. Ore 17.00-20.15 - Presentazioni con visione di video. I progetti teatrali e artistici nelle carceri genovesi di Marassi e Pontedecimo. Intervengono l’assessora alle Carceri della Provincia di Genova Milò Bertolotto, Sandro Baldacci e Mirella Cannata (Teatro Necessario Onlus), Mirco Bonomi e Anna Solaro (Teatro dell’Ortica), Annalisa Vio (progetto/tesi cortometraggio Pontedecimo), Claudio Pozzani e Emanuele Canepa (Festival Internazionale di Poesia e Biblioteca Berio Poeti dentro). 20.30-21.15 - Buffet biologico popolare a cura di Spillus (10 Eu) 21.30 - 22.45 - Presentazione del libro “Di giustizia e non di vendetta”, di Livio Ferrari (attuale Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo), Edizioni Gruppo Abele. Interventi: dell’autore, dell’Alessandra Ballerini e di Emanuele Canepa (Responsabile Progetto Carceri, Biblioteca Berio, Comune di Genova). 23.00-23.30 - Visione della videoinstallazione. Autoritratti dal carcere (Rovigo, 2010, 26’). Ideazione Luigi Marangoni e Vito Alfarano Roma: il docu-film “Dalle sbarre al palcoscenico” sarà sostenuto anche dalla Regione Il Velino, 14 aprile 2011 La Regione Lazio sarà al fianco dei Fratelli Taviani nella realizzazione del docu-film “Dalle sbarre al palcoscenico” che verrà girato per quattro settimane all’interno del carcere di Rebibbia a partire dal prossimo 9 maggio. Ad annunciarlo l’assessore alla Cultura, Arte e Sport della Regione Lazio Fabiana Santini che questa mattina ha incontrato Paolo e Vittorio Taviani nella sede della Regione Lazio. “Ci hanno presentato un progetto bellissimo ed emozionante che, al di là dell’innegabile valore artistico, presenta una forte rilevanza sociale. Nel film dei Fratelli Taviani, infatti, reciteranno detenuti condannati a pene di diversa entità e le riprese si svolgeranno fra le celle e i corridoi all’interno del carcere romano. Un progetto importante che con la presidente Polverini abbiamo con entusiasmo deciso di condividere assicurando il contributo economico della Regione Lazio”. Siria: manifestanti liberati denunciano torture subite in carcere Ansa, 14 aprile 2011 Un centinaio di siriani, arrestati nei giorni scorsi nella regione nord-occidentale di Banias perché scesi in strada in manifestazioni anti-regime, sono stati rilasciati tra la notte scorsa e stamani dalle autorità. Molti di loro denunciano di aver subito torture e maltrattamenti. In un comunicato, l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) afferma che alcune delle persone liberate hanno raccontato di esser state torturate violentemente durante la loro detenzione, mentre altri hanno detto di non aver mai partecipato a manifestazioni o di esser coinvolti in politica. Da domenica a martedì centinaia di residenti di Banias e di due località vicine erano stati arrestati. Le loro madri, sorelle e mogli avevano ieri bloccato l’autostrada costiera, chiedendo il rilascio dei loro congiunti e parenti. “Circa 100 sono stati liberati ma altre centinaia rimangono in carcere”, afferma l’Ondus, che in precedenza aveva rivelato i dettagli dell’accordo, raggiunto tra residenti di Banias e il regime, per consentire l’ingresso nella cittadina costiera dei carri armati dell’esercito in cambio del ritiro dal centro abitato delle forze di sicurezza e della liberazione delle persone arrestate. Banias è abitata da sunniti, ma anche da cristiani e alawiti, branca dello sciismo a cui appartiene anche la famiglia presidenziale degli al Asad, al potere da 40 anni. Marocco: concesso l’indulto a 190 detenuti, tra cui islamici e politici Ansa, 14 aprile 2011 Il re Mohammed VI del Marocco ha concesso la grazia a 190 detenuti tra cui islamici e politici, in risposta a un memorandum che gli stato sottoposto dal Consiglio nazionale dei diritti dell'uomo, recentemante istituito. Lo riferiscono fonti ufficiali precisando che la grazia rigurarda sei islamici moderatli, tra cui Mustapha Moatassim, capo del partito di Al Badil Al Hadari (Alternativa civile) disciolto con un decreto governativo nel febbraio 2008. Sono stati condannati nel quadro del dossier del belga-marocchino Abdelkader Belliraj, accusato di avere diretto una rete terroristica e condannato all'ergastolo nel luglio 2010. Solo 96 dei 190 detenuti che hanno ottenuto la grazia reale saranno rilasciati nell'immediato. Gli altri, per la maggior parte prigionieri comuni, si sono visti diminuire considerevolmente la pena", secondo una fonte del ministero della Giustizia.