In “gita scolastica”, questa volta al Due Palazzi Il Mattino di Padova, 12 aprile 2011 Chi passa in questi giorni nei paraggi della Casa di reclusione Due Palazzi, vede ogni giorno schiere di ragazzi che scendono dagli autobus, che si intruppano all’ingresso, che vengono accolti da agenti gentili e disponibili: sono gli studenti delle scuole, di Padova ma anche di altre città venete, che su iniziativa del Comune di Padova e di Ristretti Orizzonti entrano in carcere a confrontarsi con i detenuti. Studenti che ti fanno pensare che i giovani sono molto migliori di quello che tante volte ci mostrano certe trasmissioni televisive. Ma anche i detenuti, in questi incontri, sono “diversi” dai soliti stereotipi: non pongono al centro il disagio della loro condizione in tempi di sovraffollamento, ma accettano piuttosto la fatica di mettere a disposizione la loro esperienza negativa, perché almeno possa servire a qualcuno. Lo scambio di riflessioni tra un detenuto, Altin, e una studentessa, Federica, è un po’ il segno di questo incontro e confronto, che forse torna utile a tutti: agli studenti che possono vedere da vicino le conseguenze di certi comportamenti a rischio, ai detenuti che possono, nel raccontarsi, ritrovare la loro umanità. Anche un omicida può sperare e meritare di uscire di cella Dedico tempo ed energie da anni al progetto “Carcere e Scuola”, anche oggi ho partecipato a un incontro con alcune classi e, tra le domande che i ragazzi ci hanno rivolto, una mi ha colpito in modo particolare: “Come si fa ad affrontare una lunga carcerazione con il pensiero che hai perso tutto?”. È una domanda che pure io mi facevo subito dopo il mio arresto. Avevo 20 anni e mi hanno condannato a più degli anni che avevo vissuto fino a quel momento. Mi sono trovato definitivo dopo i tre gradi di giudizio con una condanna di ventisei anni. Certo sapevo di essere dentro per un reato gravissimo, omicidio in una rissa, ed ero consapevole di ciò che avevo commesso, ma con l’ingenuità di allora pensavo che l’avvocato mi avrebbe fatto uscire. Ricordo che quando mi chiamarono in ufficio matricola per comunicarmi la condanna definitiva e mi chiesero di firmare la comunicazione, mi rifiutai, anche se ovviamente questo non cambiava niente, non potevo comunque sottrarmi alla pena. Se provo a guardare indietro ai diciassette anni passati qui dentro, mi viene male. Non è facile ricordare tutti i Natali e i compleanni trascorsi lontano da casa, la morte di mio padre, i matrimoni di mio fratello e di mia sorella, e tutti i desideri repressi nella solitudine della cella. Adesso che rifletto con me stesso dico che dietro tanti reati ci sono scelte che ti trasportano senza che tu ti renda conto di quello a cui puoi andare incontro. Nel mio caso il carattere e l’orgoglio sono stati alla fine autodistruttivi, e poi conta anche l’ambiente dove cresci, la mentalità inculcata magari da modelli sbagliati, che mi aveva fatto credere che per apparire un duro bisognava tenere un coltello, a tal punto che farlo era diventata una normalità. Dovevo essere forte, mai arretrare di un millimetro, se no temevo di essere considerato un debole. Fin quanto un giorno in una rissa il coltello l’ho usato e ho commesso un omicidio. Ora mi ritrovo con questa condanna, lontano dal mio Paese e lontano dai famigliari. E ho distrutto così la vita altrui e la mia. In diversi incontri con gli studenti ho sentito che, per il reato di omicidio, la pena non sembra mai abbastanza. Da persona che ha ucciso vorrei però capire quant’è la pena giusta. In realtà non saprei come convincere le persone che anche per me è giusto uscire un giorno, e avere un’altra possibilità. Io però posso dire che in ogni reato di omicidio c’è una persona e c’è una storia. Caino non è del tutto diverso da Abele, spesso è animato dalla stessa sensibilità e appartiene alla stessa specie umana, nonostante un momento, o un periodo di devastante offuscamento di quella sensibilità lo abbia portato, un giorno, a calpestare quei valori nel modo più atroce. Giusto che paghi, ma giusto anche riconoscergli comunque di essere un uomo. Io non mi sarei mai trovato dalla parte di Caino se il lato razionale del mio carattere non fosse stato oscurato da quel progressivo, ubriacante distacco dalla vita regolare e dalle sue convenzioni. Un uomo che uccide non è più lo stesso agli occhi degli altri, ma non può esserlo più anche nel chiuso della propria coscienza. Io vivo con la consapevolezza di quel che ho fatto che mi pesa ogni giorno addosso, e so che non me ne libererò neppure nel momento in cui tornerò libero. Quando si è dolorosamente consapevoli delle gravità del proprio reato, uscire dalle mura del carcere spaventa, per certi versi ti senti più libero in carcere che fuori, in quanto qui nessuno ti giudica diversamente da quello che sei. Là fuori devi muoverti in punta di piedi per non urtare la sensibilità della gente, e ogni volta in silenzio, e le uniche persone che ti sono vicine sono coloro che ti conoscono e comprendono come uomo e che credono in un tuo cambiamento. Ma il passato spesso ti sta addosso e ti impedisce di vivere il presente. Altin Demiri Confrontarsi è il migliore dei modi per fare prevenzione Ciao Altin, ci siamo conosciuti il giorno in cui sono venuta con la mia classe a visitare il carcere. Non so da dove cominciare, sono tante le cose che vorrei dirti. Ricordo le tue parole, e quelle degli altri detenuti, come se le avessi appena ascoltate, mi hanno colpito molto e soprattutto mi hanno dato l’occasione di riflettere profondamente. Questa è la prima motivazione per cui sento il desiderio di ringraziarti. Ho ascoltato la tua testimonianza con attenzione, ma forse la cosa più significativa per me è stata il poter osservare la tua comunicazione non verbale. Le tue parole erano importanti, così anche le tue mani, che tremavano come la tua voce. Vedevo come alle volte fissavi un punto, pensando (o meglio cercando) le parole migliori per poter raccontare la tua storia. Mi è piaciuta la semplicità con cui hai avuto il coraggio di esporti ai nostri giudizi. Credo che difficilmente dimenticherò le parole di uno di voi: “Preferiamo avere dei giudizi, anche duri, non dei pregiudizi”. Penso che questo valga per tutti, ma soprattutto per voi. Credo di aver fatto una cosa molto importante quel giorno: ho lasciato i pregiudizi che avevo nei vostri confronti all’interno delle vostre mura, portando fuori la convinzione di dover conoscere le persone e i fatti prima di esprimere i miei giudizi. Ho visto nei tuoi occhi la speranza e allo stesso tempo la paura, per un futuro davvero incerto. Io quest’anno sto frequentando la quinta superiore, quindi a giugno il mio percorso scolastico terminerà. Si aprirà un’altra fase della mia vita e inizio a sentire la speranza di un futuro pieno di soddisfazioni, ma allo stesso tempo provo molta paura che i miei desideri non si realizzino e io possa fare scelte sbagliate. Ho questo timore per quello che sarà il mio futuro, anche se non è nemmeno paragonabile al tuo. Sono convinta che queste iniziative di collaborazione con le scuole vi diano la possibilità di confrontarvi con persone sempre diverse, ma allo stesso tempo anche l’opportunità di far uscire dal carcere un’informazione che purtroppo i giornali e i mass-media non riescono a trasmettere in maniera completamente veritiera, favorendo così lo sviluppo di inutili stereotipi. Saremmo potuti stare delle intere giornate sui libri a studiare cos’è un carcere e tutte le sue leggi, ma credo che non sarebbe state altrettanto efficace quanto voi. Sono convinta che la prevenzione migliore che si possa realizzare su noi giovani sia proprio questa, sicuramente più efficace di mille divieti. Penso che questi incontri siano utilissimi per voi ma soprattutto per noi, che prendiamo consapevolezza che le proprie scelte non riguardano solo noi stessi ma anche gli altri. Ciò che ho più apprezzato di te sono la sincerità e il coraggio nel cercare di non presentarti per quello che non sei. Penso che tu sia riuscito a trovare la forza di cambiare e di maturare in un ambiente non sempre favorevole a questo. Tengo a sottolineare che tutto ciò che ti ho scritto non vuole affatto essere un giudizio, ma una serie di pensieri che volevo condividere con voi. Ti ringrazio per quello che sei stato in grado, insieme agli altri detenuti, di trasmettermi con grande semplicità e umiltà. L’augurio più sincero che mi sento ora di farti è quello di non smettere di trovare la forza e il coraggio di affrontare le situazioni che incontrerai nel tuo percorso, superando tutti gli ostacoli e cercando la serenità che dovrebbe appartenere a tutti noi uomini. Federica Giustizia: mozioni sul sovraffollamento delle carceri oggi in discussione alla Camera Agenparl, 12 aprile 2011 È ancora emergenza nelle carceri italiane ed oggi, la Camera dei deputati, si appresta ad esaminare un pacchetto di mozioni, rispettivamente dell’Udc, del Pd e dei deputati Fli, che chiedono l’impegno del Governo affinché l’Italia possa veramente uscire da questo stato d’allarme. Il sistema penitenziario italiano versa in uno stato di sovraffollamento definito “non tollerabile”. Le 206 strutture detentive presenti sul territorio nazionale ospitano circa 68 mila detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 45 mila, con un tasso di sovraffollamento del 151 per cento che posiziona, secondo questo specifico indice, il nostro Paese tra quelli meno civili d’Europa. Della cosiddetta legge “svuota carceri”, che consente la detenzione domiciliare per i condannati a pena pari o inferiore ai dodici mesi, hanno beneficiato, secondo i dati del Ministero della giustizia, circa 1.788 detenuti, a fronte di una platea di potenziali destinatari stimata in 7.992 beneficiari. Stando a quanto si legge nelle mozioni, , inoltre, alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d’Italia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori, che sono il numero dei detenuti presenti, i metri quadri a disposizione per carcerato, le condizioni igieniche ed ambientali, il numero di ore trascorse al di fuori della cella, normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento. Il discorso si sposta, poi, alla polizia penitenziaria. A gennaio dello scorso anno il Ministro della giustizia Alfano ha promesso l’imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio dello stesso anno ha ribadito l’impegno assunto, ma, ad oggi, ancora si attende l’ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari. E la situazione è di un poliziotto ogni due detenuti. Giustizia: Granata (Fli); nelle carceri un dramma, mozione domani al voto Dire, 12 aprile 2011 “Questo governo dovrebbe vergognarsi perché non è stato in grado di mettere in campo delle proposte valide per superare l’emergenza carceri, che vede l’Italia agli ultimi posti in Europa grazie a un sovraffollamento che si attesta intorno al 151 per cento e a un rapporto inversamente proporzionale tra numero di detenuti e personale penitenziario. Come Futuro e Libertà, insieme con il capigruppo Della Vedova e alla collega Flavia Perina, abbiamo presentato una mozione, che sarà votata in Aula domani, relativa alla drammatica situazione delle carceri italiane”. Lo dichiara in una nota il deputato Fli Fabio Granata. “Noi vogliamo che il governo esca da questo insopportabile silenzio e che si impegni ad adeguare la spesa in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, a predisporre un complesso di riforme volte ad ottenere un effetto deflattivo e a migliorare le condizioni di detenzione, nonché implementare il piano carceri, anche attraverso il ricorso a investitori privati per la riconversione dei modelli di detenzione e per la riqualificazione delle case circondariali. Il gruppo di Futuro e Libertà ha altresì annunciato una richiesta di stralcio del 20 per cento delle somme previste dal piano carceri, per far partire subito un programma di manutenzione straordinaria delle strutture carcerarie esistenti”, conclude Granata. Giustizia: lettera dal carcere di una psicologa “chi entra in cella non sa se esce vivo” di Caterina Pasolini La Repubblica, 12 aprile 2011 I suicidi - che dall’inizio dell’anno sono stati 16 - rappresentano l’unico mezzo per sfuggire alla desolazione e alla inattività diffusa negli istituti di pena. Stanziati dal governo 670 milioni per costruire nuove carceri, ma alcune sono vuote per mancanza di personale. Tagli ai fondi per il sostegno psicologico e per il lavoro. “Chi entra in carcere non sa se ne uscirà vivo. La pena di morte è stata reintrodotta nelle prigioni italiane senza neppure il bisogno di legiferare”, scrive Ada Palmonella, psicologa penitenziaria su Ristretti Orizzonti raccontando la realtà quotidiana dietro le sbarre: un inferno che ha visto sedici detenuti uccidersi dall’inizio dell’anno e decine cercare di farla finita. Stanchi, esasperati di vivere rinchiusi in strutture dove “il valore rieducativo della pena” è un’illusione, dove si spende per costruire nuovi penitenziari mentre si tagliano i fondi per i detenuti che lavorano e viene cancellato ogni supporto psicologico. In cella oggi... “Chi entra in carcere oggi non sa se ne uscirò vivo,... Non sa se sceglierà il suicidio per sfuggire alla desolazione di lunghe giornate spese a guardare il muro della cella. Senza più supporti psicologici per esternare ed alleviare la sofferenza, il dolore di chi, oltre aver perso la libertà, è sottoposto al completo abbandono e all’ozio coatto”. Il programma di governo (oltre che la stessa Costituzione) dice di puntare alla rieducazione dei carcerati, rispettando il diritto alla salute. “Per attuare questo programma, il governo ha tagliato quasi tutti i fondi destinati al sostegno psicologico, ormai ridicolo ed avvilente per gli operatori, per gli psicologi e per gli stessi detenuti, che implorano un colloquio. E che è negato. Ha tagliato tutto quello che serve per il reinserimento del detenuto il quale, lasciato solo, diventerà sempre più cattivo e violento. Sempre che riesca a sopravvivere”. Pochi e stanchi anche gli agenti. “Sono ormai stremati, aspettano i promessi “rinforzi” che ancora non arrivano. E quando e se arriveranno, saranno costretti, dopo un breve corso, anche a svolgere colloqui di inserimento e sostegno psicologico. Come se il detenuto possa riuscire ad “aprirsi” davanti ad una divisa da poliziotto, anche se preparato. Si prepara un carcere “duro” che priva della dignità e del possibile recupero di chi ha sbagliato. Anche se solo una volta. Un carcere dove si giocherà a “guardie e ladri”. E il lavoro delle “guardie” diventerà ancora più pesante di quello che è già. Nuovi tagli in arrivo per la rieducazione. “Cosa faranno i detenuti per imparare nuovi lavori, se tutti i soldi saranno spesi solo per costruire nuove carceri? Non potranno imparare nulla. Non potranno neanche lavorare all’interno degli istituti di pena perché sono stati tagliati i fondi destinati ai lavoranti. Uno stanziamento megagalattico di 670 milioni di euro. Quest’assoluta disparità - scrive ancora la psicologa penitenziaria - tra la spesa per i nuovi istituti e i tagli per tutto ciò che servirebbe alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti, mi ricorda una frase detta pochi giorni fa da un detenuto che guardava il magnifico, brillante pavimento di marmo nel carcere di Regina Coeli: ‘Dottore, a me piace stare in cella. Mi piacerebbe ci fosse anche lì il pavimento di marmo, perché così mi alleno a stare nella tomba. Le lapidi al cimitero sono di marmo, no?’. La strada per trovare alternative al reato non nasce nelle celle comode. È dentro ogni uomo, che va cercata quella strada. Basta cercarla assieme.” Nuove carceri e vuote. Prosegue, dunque l’intervento di Ada Palmonella: “Il nuovo padiglione allestito a Velletri e il carcere di Oristano sono vuoti per mancanza di personale. Dunque, al momento, vediamo solo una misura messa in atto per sfoltire il carcere: i suicidi dei detenuti, ognuno dei quali, quando si toglie la vita, di fatto lascia un posto vuoto in cella”. Di persone che non ce l’hanno fatta a sopportare il carcere (così com’è oggi) dall’inizio di quest’anno sono 16. Tutti suicidi. A questi vanno aggiunti coloro i quali - sempre dall’inizio dell’anno - sono morti per diversi motivi dietro le sbarre, che sono 40. I suicidi complessivi, dal 2000 ad oggi, nelle carceri italiane sono 672. Giustizia: carceri sovraffollate, servono urgentissimi provvedimenti Comunicato stampa, 12 aprile 2011 Siamo arrivati ad oltre 67.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 42.000 posti letto, è necessario adottare misure urgenti atte a deflazionare le carceri. Una misura importante allo scopo è l’incremento della liberazione anticipata dagli attuali 45 gg. ogni semestre a 60 gg con effetto retroattivo come avvenuto per la legge Gozzini (L. 10 ottobre 1986, n° 663) e per la legge 277 del 19 dicembre 2002. Con la liberazione anticipata moltissimi detenuti, meritevoli della concessione della riduzione pena, conseguente alla loro buona condotta in carcere, alla loro partecipazione alle attività di trattamento in istituto, previamente valutati dai Tribunali di Sorveglianza, sono anticipatamente dimessi dagli Istituti Penitenziari, giacché la liberazione anticipata concessa viene considerata come pena espiata. Quindi, un ulteriore incremento della liberazione anticipata, eventualmente limitato agli anni di emergenza 2010, 2011 e 2012, avrebbe l’effetto di selezionare un numero consistente di detenuti che potrebbero fruire, per effetto della retroattività della concessione, di una immediata scarcerazione anticipata di quattro o cinque mesi o della preventiva ammissione alle misure alternative alla carcerazione, senza andare a favorire i tanti detenuti, che hanno reati ostativi alla concessione delle misure o che, già sperimentati in ambiente esterno, hanno serbato un comportamento immeritevole, tale da subire la revoca della misura alternativa. Roberto Coppotelli Segretario Generale Sialpe - Asia Polizia Penitenziaria Lettere: gli interessi economici sul progetto di un nuovo carcere a Venezia di Gianni Trevisan (presidente Coop. Soc. Il Cerchio) Il Gazzettino, 12 aprile 2011 Da 15 anni frequento le carceri di Venezia come volontario; l’ordine degli avvocati e degli architetti affermano che il carcere di Santa Maria Maggiore deve essere chiuso, i primi hanno delle ragioni legittime, i secondi ritengo per motivi non sociali. Un architetto della maggioranza del consiglio comunale di Venezia in una assemblea consigliare, che dibatteva la situazione del carcere di Santa Maria Maggiore, affermava tra l’altro, che gli appartamenti accanto al carcere chiuso sarebbero aumentati di 1.000 euro al metro quadro, senza pensare allo sviluppo edilizio per l’aera lasciata libera in un posto vicino a Piazzale Roma. Era chiara la sua sensibilità per lo stato di disagio dei detenuti di Santa Maria Maggiore che, avendo superato le 380 presenze rispetto le 160 ottimali e le 240 sopportabili, vivevano in modo incivile. Il carcere è appena stato ristrutturato ed è accanto alla nuova futura città della giustizia, questo prevede un abbattimento dei costi per i trasferimenti dei detenuti dal carcere al Tribunale. Oggi il problema non è carcere nuovo sì o no, il problema è l’emergenza affollamento. I detenuti dormono in 8, in celle adeguate per 4 persone, contro qualsiasi norma europea; in alcuni casi dormono con un materasso per terra. È urgente la risoluzione del problema, prima che arrivi l’estate e la situazione diventi ancora più grave. Bisogna dire grazie a tutti gli operatori del carcere, dal Direttore al Comandante, a tutti gli addetti di ogni ordine e grado che operano in una situazione di grave disagio. Nel turno di notte ci sono sette agenti per 380 ristretti, viene sospesa l’ora d’aria, mancano 40 agenti da organico previsto, unico motivo della chiusura della Sat della Giudecca (l’ex carcere circondariale per pene attenuate). Il Vice Sindaco del comune di Venezia prof. Sandro Simionato con delega per le politiche sociali, sensibile ai problemi del carcere, cerca in piena sintonia con la Regione e la Provincia, di convocare una tavola rotonda, assieme alla camera penale, alle organizzazione dei lavoratori del Ministero della Giustizia e soprattutto della Direzione del carcere, e con la partecipazione delle cooperative sociali e delle associazione del volontariato, per ottenere l’aggiornamento dell’organico e per riaprire la Sat della Giudecca che ha spazi per 100 detenuti, che potrebbero lavorare sia all’esterno che all’interno visto che vi sono spazi enormi per attività produttive. La nostra cooperativa è certa che il lavoro sia l’unica, grande terapia per recuperare socialmente chi ha sbagliato e che giustamente deve scontare la pena, ma in un carcere adeguato. Infatti è provato che le pene alternative producano solo il 20 % della recidiva, mentre altre soluzioni comportano il ritorno in carcere nell’80 % dei casi. Questo è il vero problema da affrontare: il sovraffollamento del carcere di Santa Maria Maggiore, solo in seguito si potrà discutere di un nuovo carcere. Se vi deve essere un nuovo carcere, esso deve essere in terraferma, ma all’interno del tessuto urbano, poiché il carcere è una realtà cittadina. Aversa (Ce): internato romeno di 58 anni muore suicida all’Opg Ansa, 12 aprile 2011 È il secondo suicidio da inizio anno nella struttura. Si tratta di un romeno di 58 anni, internato da 8 anni nell’ospedale psichiatrico giudiziario. Si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della cella. Antigone Campania: “Situazione di una gravità irreversibile”. La lunga lista delle morti in cella si allunga ancora: Antigone Campania, rende noto, infatti, che la scorsa notte un romeno di 58 anni, internato da otto anni nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della cella. Così sale a due, in quattro mesi, il numero dei suicidi avvenuti all’interno della struttura campana. Un dato che fa dire a Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Campania e componente dell’Osservatorio nazionale sulla detenzione, che “a fronte di una pubblica evidenza delle condizioni inumane e degradanti dei manicomi giudiziari e dei primi programmi di intervento, la situazione si mostra di una gravità irreversibile”. Il referente di Antigone incalza: “Registriamo nell’Opg di Aversa, tra malattia e suicidi, un’impressionante sequenza di morti che è indispensabile arrestare”. Ancora una volta il problema principale risulta la piaga del sovraffollamento: a fronte di una capacità ufficiale di circa 180 posti, al momento sono presenti circa 300 internati. Per cercare di gestire nell’immediato la situazione, Antigone Campania chiede “all’amministrazione penitenziaria e all’Asl, con urgenza, l’attivazione di risorse, nell’attesa che si realizzi un rapido percorso di chiusura e dimissione, così come definito dalla Commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Ignazio Marino”. In Italia ad oggi sono presenti sei opg: a Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Castiglione delle Siviere, che dipendono dal ministero della Giustizia per la parte sulla sicurezza e dalle Asl per quanto attiene all’aspetto sanitario. “Si tratta di persone incapaci di intendere e di volere - ricorda Dell’Aquila -, autori di reato, che sono condannati ad una misura di sicurezza detentiva, prorogabile”. Marino (Pd), suicidio Aversa vittima ergastolo bianco “Un’altra vittima dell’ergastolo bianco. I primi riscontri effettuati dai Nas in servizio presso la Commissione d’inchiesta tracciano un quadro avvilente. Quest’uomo ha preso la decisione di uccidersi subito dopo aver ricevuto la notizia di un’altra proroga della pena, nonostante fosse stato riconosciuto non più socialmente pericoloso”. È quanto ha dichiarato Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, dopo il suicidio di un internato rumeno all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. “Dai primi accertamenti - continua Marino - risulta che non c’era spazio nella Regione di provenienza, poiché l’Asl non lo poteva o non lo voleva assistere. Tutti noi, a partire dal mondo politico, dobbiamo sentire il peso di quanto accade negli Opg: chi sbaglia ha il diritto di sperare nella cura, nella riabilitazione e in un futuro migliore. Purtroppo, invece, il degrado, le condizioni di vita incompatibili con il più elementare rispetto della dignità, il rischio di non uscire mai più, compromettono questa speranza”. Caltagirone (Ct): assistente capo Polizia penitenziaria si suicida impiccandosi a un albero Agi, 12 aprile 2011 Un assistente capo della Polizia penitenziaria, Antonio Parisi, 40 anni, effettivo in servizio nella casa circondariale di Caltanissetta, era attualmente distacco alla casa circondariale di Caltagirone. L’uomo ha accostato la macchina al ciglio della strada e si è impiccato a un albero. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che manifesta solidarietà alla famiglia e ai colleghi. Due giorni fa si era ucciso un altro agente della polizia penitenziaria del carcere sardo di Mamone Lodè. “Due suicidi in pochi giorni - dice Capece - sono sconvolgenti. Bisogna comprendere e accertare quanto ha eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative dei colleghi suicidi nel tragico gesto estremo posto in essere”. Il sindacalista ricorda che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva assicurato una verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. “Ma a tutt’oggi - afferma il sindacalista - non abbiamo ancora avuto assicurazioni circa su quanti sono e dove sono stati attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in pochi giorni 2 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita”. Sarno (Uil): ancora suicidi, chiediamoci il perché “Per quanto è nostra ferma intenzione non strumentalizzare queste morti, non possiamo esimerci dal dichiarare che due suicidi di agenti penitenziari in poco più di 72 ore debbono obbligare a riflessioni profonde sui perché di queste tragedie”. Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, commenta così la notizia del suicidio dell’assistente capo Antonio Parisi, in servizio alla casa circondariale di Caltagirone, che si è tolto la vita questa mattina mentre si recava al lavoro. Sabato scorso a Sardala (Ca) un altro assistente capo della polizia penitenziaria si era suicidato con un colpo della pistola d’ordinanza. “Ancora una volta siamo necessitati ad inviare dolorosissimi messaggi di cordoglio ai familiari di colleghi che hanno deciso di porre fine alla loro esistenza - continua. È agghiacciante doverlo fare per due volte in poche ore. Evidentemente quando, da tempo, abbiamo parlato della deriva di morte del sistema penitenziario avevamo le nostre buone ragioni. Ci riferiscono che Parisi non aveva dato alcun segnale che facesse presagire l’imminente tragedia. Alla Cgil Polizia Penitenziaria di cui era un quadro provinciale va tutta la nostra solidarietà e vicinanza”. La Uil Pa Penitenziari ricorda i mancati impegni da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: “Diciotto suicidi di agenti penitenziari negli ultimi cinque anni sono un allarme che non si può non cogliere. Il Dap più volte ha fatto riferimento alla volontà di istituire centri di ascolto per il personale, salvo non mantenere mai fede alle promesse ed agli impegni. Benché sia ancora tutto da dimostrare il nesso tra suicidi e condizioni di lavoro non è secondario prendere atto come tra i baschi blu della polizia penitenziaria l’incidenza dei suicidi sia ben più alta che nelle altre forze di polizia. Questo significherà pur qualcosa”. Intanto dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa giunge la notizia di un altro internato che si è tolto la vita, nella nottata. “Con questo siamo a diciotto suicidi in cella dall’inizio dell’anno, cui vanno sommati i circa duecentotrenta tentati suicidi dal 1 gennaio del 2011. Molti di questi tentati suicidi sono gesti dimostrativi (circa il 55%), ma è pur vero che tantissimi gesti di auto soppressione non sono arrivati alle estreme conseguenze solo grazie agli interventi, provvidenziali e tempestivi, di quegli agenti penitenziari che rappresentano l’ultimo baluardo a difesa della vita e della dignità delle persone detenute - aggiunge Sarno. Ma di questo non si parla. Si preferisce, generalmente, ignorare la drammatica realtà quotidiana dei nostri penitenziari, comprese le ignobili condizioni di lavoro del personale. È chiaro che la questione penitenziaria è una delle questioni sociali più urgenti e dequalificanti che toccano il nostro Paese che, purtroppo, rivolge al sua attenzione a ben altre, e più misere, cose”. Capece (Sappe): siamo sgomenti e sconvolti A pochi giorni dal suicidio di un Assistente Capo in servizio nel penitenziario sardo di Mamone Lodè, abbiamo appreso in questi minuti di un nuovo suicidio di un Basco Azzurro. Un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria di 39 anni, in servizio al carcere di Caltagirone ma effettivo a quello di Caltanissetta, si è tolto la vita mentre raggiungeva la struttura per iniziare il turno di lavoro. Ha accostato la macchina al ciglio della strada e si è impiccato ad un albero. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia immane. Ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile dei familiari, degli amici, dei colleghi.” È il commosso commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando il suicidio di un Assistente Capo della Polizia penitenziaria. Capece aggiunge: “Due suicidi in pochi giorni sono sconvolgenti. Bisogna comprendere e accertare quanto ha eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative dei colleghi suicidi nel tragico gesto estremo posto in essere. L’Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni - nell’ordine di 10 casi in pochi mesi! -, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono, in taluni casi, le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt’oggi non abbiamo ancora avuto assicurazioni circa su quanti sono e dove sono stati attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in pochi giorni 2 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. E su queste tragedie non possono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni!” Beneduci (Osapp): troppe le morti nel e per il carcere “L’ennesimo suicidio di un poliziotto penitenziario ieri e Caltanissetta a due giorni dall’altro suicidio a Mamone Lodè e, sempre ieri, il 17esimo suicidio nel 2011 di un detenuto presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, rendono il problema delle morti nel e per il carcere, in quanto a emergenza, di attualità pari se non più grave di quello del sovraffollamento e delle carenze alloggiative negli istituti di pena.” è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Gli sforzi e le risorse dell’amministrazione penitenziaria degli ultimi due anni, mentre la politica si è limitata ad osservare - prosegue il sindacalista - sono stati rivolti, pressoché esclusivamente, sotto il coordinamento del Capo del Dap e Commissario delegato per l’edilizia Franco Ionta ad un piano di interventi straordinari per la costruzione di 20 padiglioni e 11 nuovi istituti, per 670 mln di euro di spesa e per 9.900 posti aggiuntivi, che però vedranno la luce non prima del 2013”. “Quanto ciò risulti insufficiente e parziale lo si rileva dalle cifre della popolazione detenuta che, nonostante i 2.000 soggetti ammessi alla detenzione domiciliare a seguito della c.d. legge svuota-carceri annovera una presenza di 67.720 soggetti, mentre in ragione dei dissapori nella Comunità Europea, si attendono anche sul carcere gli effetti dei 26.000 arrivi dal Nord Africa dall’inizio dell’anno”. “Per questo, in un’amministrazione che, tra dipendenti e utenti, gestisce 120mila soggetti, si deve necessariamente lavorare meglio e di più in altri settori, oltre che per l’edilizia - indica ancora il leader dell’Osapp - tenuto conto di come la disfunzione e il disagio penitenziari influiscono pesantemente sulla sicurezza della Collettività”. “Visto che il Ministro Alfano, soprattutto adesso, è affaccendato altrove, ci aspettiamo che su impulso del Capo del Dap Ionta, siano finalmente avviati i gruppi di ascolto nel personale, in particolare di polizia penitenziaria, già istituti negli anni scorsi sul problema suicidi e mai attuati - conclude Beneduci - così come attendiamo, vista la carenza di presidi psicologici in carcere, al pari di quanto avvenuto per l’edilizia, la stipula di convenzioni con le Regioni per consentire la frequenza al personale di appositi corsi di studio di livello universitaria propedeutici all’istituzione di apposite specializzazioni interne al Corpo”. Bari: caso Saturno; messinscena finita in tragedia? le indagini seguono una nuova pista di Francesca Russi La Repubblica, 12 aprile 2011 Carlo Saturno non voleva suicidarsi, ma soltanto richiamare l’attenzione su di lui. Si è impiccato davanti al finestrino sperando di essere visto e soccorso. Carlo Saturno non voleva suicidarsi, ma soltanto richiamare l’attenzione su di lui. Spunta una nuova ipotesi nelle indagini sulla morte del detenuto 22enne avvenuta nel carcere di Bari. Dai primi accertamenti compiuti dagli investigatori sembrerebbe infatti che il giovane non volesse farla finita davvero. Gli inquirenti hanno effettuato un sopralluogo nella cella in cui Saturno è stato trovato impiccato con un lenzuolo al letto a castello lo scorso 30 marzo e hanno notato che il corpo del giovane era proprio davanti al finestrino della cella. Il 22enne probabilmente voleva farsi vedere. Voleva che qualcuno si accorgesse del gesto che stava facendo e lo fermasse. Altrimenti, riflettono gli investigatori, si sarebbe nascosto nella cella e dall’altro lato del letto. Voleva forse compiere l’ennesimo atto di autolesionismo ma non per morire. Solo per ricevere maggiori attenzioni. Come era già accaduto altre volte. Il 17 novembre Saturno provò a suicidarsi tagliandosi le vene, ma infilò la lametta nella parte superiore delle braccia e non nei polsi. Proprio perché non aveva davvero intenzione di uccidersi. In quel caso infatti le lesioni che riuscì a procurarsi furono lievi e gli agenti di polizia penitenziaria lo bloccarono in tempo. Il 30 marzo però le cose sono andate diversamente. Quando Saturno è stato tirato giù dal letto, era già troppo tardi. I soccorsi da parte dei medici del carcere sono stati immediati, ma i minuti in cui il detenuto è rimasto senza respirare sono stati comunque fatali. Non ce l’ha fatta a rianimarlo il personale del 118, arrivato in carcere quando Saturno non respirava più già da mezz’ora. I sanitari hanno dovuto intubarlo e trasportarlo al Policlinico di Bari nel reparto di Rianimazione. L’agonia di Saturno è durata sette giorni. Il suo cuore ha cessato di battere il 7 aprile. L’autopsia disposta dalla Procura di Bari e affidata al medico legale dell’Università di Bari, il professor Francesco Introna, ha confermato le cause del decesso: il 22enne è morto per asfissia a seguito del suicidio. Sul cadavere del ragazzo non sono stati trovati segni di lesioni recenti. All’esame autoptico sabato hanno partecipato anche i due consulenti di parte nominati dal legale della famiglia Saturno, l’avvocato Tania Rizzo. Si tratta del medico legale dell’Università di Foggia Margherita Neri e dello psichiatra salentino Elio Serra. Le indagini affidate al sostituto procuratore Isabella Ginefra vanno avanti, ma al momento non ci sono indagati perché mancano “elementi di reità”. Il reato ipotizzato, quello di istigazione al suicidio, rimane dunque contro ignoti. Sono stati già sentiti gli agenti di polizia penitenziaria e i medici del carcere come persone informate dei fatti. La dottoressa dell’infermeria, la prima a soccorrere Saturno dopo il litigio con le guardie avvenuto poche ore prima del suicidio, avrebbe spiegato al pm che il ragazzo non aveva subito alcuna lesione a seguito della colluttazione con il sovrintendente di polizia penitenziaria a cui aveva invece fratturato il polso. Intanto i sindacati di polizia penitenziaria continuano a far sentire la loro voce. “Siamo certi che di suicidio si tratta. La magistratura sta indagando - spiega Eugenio Sarno della Uil - e la verità emergerà. Da questa storia si dovrà trarre insegnamento sulla necessità di aprire le porte delle galere alla libera informazione. Sollecitiamo il presidente Ionta a ritirare la circolare-bavaglio. Per abbattere le mura dei misteri, occorre abbattere i misteri di quelle mura”. Tempio Pausania: nuovo carcere; dopo i tagli per 1 miln € spariti i giardini, l'orto e la serra L'Unione Sarda, 12 aprile 2011 A Nuchis è tutto pronto per il taglio del nastro, il nuovo carcere della Gallura (voluto e finanziato dal ministro leghista Roberto Castelli) in teoria potrebbe aprire i battenti anche subito. Lo hanno spiegato ai colleghi i capi area della polizia penitenziaria e i dirigenti del personale amministrativo che nei giorni scorsi sono entrati nell'edificio costruito dall'impresa Giafi. C'è proprio tutto in questo istituto di pena civile e moderno, anche un teatro e il campo di calcio. Ma il progetto originario prevedeva un giardino per gli incontri tra i detenuti e le famiglie, una serra e un orto botanico. Dentro i cinque ettari recintati e già off limits, non ci sono aree verdi. Sacrificate per ragioni di bilancio. Rispetto alla previsione iniziale di spesa, è stato risparmiato un milione di euro. La struttura, costata circa 30 milioni di euro, è stata ultimata rispettando i tempi indicati nel capitolato d'appalto. Il collaudo è previsto per il mese di maggio e subito dopo la Giafi consegnerà il carcere al Ministero delle Infrastrutture. La commissione entrata nel penitenziario per un importante sopralluogo preliminare (devono essere acquistati attrezzature e arredi) ha visto tutto: celle, uffici, spazi per le attività ricreative e i servizi. I numeri del carcere sono quelli ben noti. Si parla di 150 detenuti e circa 300 agenti della polizia penitenziaria. Ma considerando tutte le figure che a vario titolo opereranno a Nuchis, si arriva a quasi 800 persone. In teoria il carcere potrebbe aprire anche subito, verrà infatti consegnato dalla Giafi entro la fine dell'estate. Il problema è quello della polizia penitenziaria. Si prospetta un'apertura sotto organico e saranno dolori. Lo spazio grigio nel cuore dell'istituto di pena è stato notato subito durante il sopralluogo. La fredda piattaforma di cemento, rinchiusa dentro mura insormontabili, nel progetto originario era un giardino. Un posto destinato agli incontri tra i detenuti e le loro famiglie. Per ora niente verde, se ne riparlerà tra qualche anno. Stesso discorso per la serra e un orto botanico. Visto che sarebbe stata un anomalia, è stato eliminato anche il manto erboso del campo di calcio. Che infatti sarà in terra battuta. Forse, una volta aperto il carcere, saranno gli stessi detenuti a togliere qualche pezzo di grigio piantando gli alberi e l'erba che adesso non ci sono. I detenuti invece avranno sicuramente un ambulatorio decente (sembra un reparto ospedaliero in miniatura) un piccolo teatro, una palestra, la biblioteca, la chiesa e il campo di calcio, seppure di dimensione ridotte. Nelle celle, a quanto pare, sono previsti due posti letto. Ma c'è sempre tempo per cambiare, in peggio, questi numeri. Anche la polizia penitenziaria dovrebbe avere un trattamento diverso e migliore rispetto al vecchio carcere di Tempio, ma anche se si considera la situazione degli altri istituti sardi. Per gli agenti infatti ci sono tutti i servizi e una palestra. Inoltre sono stati realizzati quattro appartamenti, ospiteranno il direttore, il comandante della polizia penitenziaria e i loro vice. Nell'istituto non c'è un settore di grandi dimensioni per i detenuti sottoposti a regimi speciali. La sezione delle polemiche, quella riservata ai condannati per reati di terrorismo e criminalità organizzata, non esiste. I detenuti in regime di 41 bis potrebbero comunque arrivare a Tempio. Ma il problema vero per il nuovo istituto non è questo. Gli agenti della polizia penitenziaria temono di dover lavorare sotto organico, come succede da sempre nella vecchia e impresentabile Rotonda. Teramo: medicina penitenziaria; siglato l’accordo tra Asl e carcere di Castrogno Il Centro, 12 aprile 2011 Garantire la tutela della salute dei detenuti e le esigenze di sicurezza all’interno dell’istituto di pena. Questa la principale finalità del protocollo d’intesa firmato questa mattina, nella sede della Asl di Teramo, dal direttore generale Giustino Varrassi e dal direttore dell’istituto penitenziario di Teramo Celeste D’Orazio. Ventidue articoli che mettono nero su bianco le regole alla base di un rapporto già esistente dal 2008 e che aprono la strada alla istituzione di un osservatorio aziendale sulla sanità penitenziaria, coordinata dal responsabile dell’unità operativa di medicina penitenziaria Massimo Forlini, per monitorare l’efficacia e l’efficienza degli interventi sanitari in favore della popolazione detenuta. I principi contenuti nel protocollo riguardano la tutela del diritto alla salute del detenuto, la gestione e l’organizzazione del presidio sanitario penitenziario, le visite specialistiche, le modalità di ricovero in luoghi esterni, l’autonomia professionale e il rispetto delle norme dell’ordinamento penitenziario, la condivisione dei dati sanitari, il diario clinico, il trasferimento dei dati giudiziari al personale sanitario. Ma anche i locali destinati ad uso sanitario, le visite mediche eseguite dal medico di fiducia del detenuto, le dipendenze patologiche, la salute mentale, l’approvvigionamento di farmaci e materiale sanitario, la formazione di quei detenuti che si occupano della manipolazione degli alimenti, i corsi di formazione, l’educazione alla salute, i sopralluoghi. E, infine, le prestazioni medico-legali per la polizia penitenziaria, le stanze di degenza protetta nei presidi ospedalieri ed il monitoraggio degli interventi. “È un passo ulteriore che si compie all’interno del carcere di Castrogno” spiega D’Orazio “ed è un modo per garantire l’assistenza sanitaria ai detenuti, che in questo caso hanno gli stessi diritti dei cittadini liberi”. Un diritto alla salute che deve essere garantito, anche in considerazione del fatto, aggiunge Varrassi, che “la Casa Circondariale di Castrogno rappresenta un paese in più nella provincia teramana, nel quale vi è una diversa concentrazione di problematiche diverse e particolari, soprattutto sotto il profilo psichico. Sentiamo la necessità di intervenire e per questo abbiamo bandito un concorso per quattro infermieri da collocare, appunto, nel carcere di Castrogno”. Attualmente, infatti, all’interno dell’istituto penitenziario teramano sono presenti sei medici generali, un medico responsabile del presidio sanitario, 19 consulenti specialistici, un tecnico di radiologia ed una decina di infermieri. Eboli (Sa): la pulizia del Centro Antico affidata ai detenuti dell’Icatt Asca, 12 aprile 2011 Comunicato stampa: Sono iniziati stamane i lavori relativi al Protocollo d’intesa stipulato tra il Comune di Eboli, la Casa di Reclusione Icatt di Eboli e l’Associazione Sophis di Battipaglia, approvato con delibera della Giunta Comunale del 18.11.2010. “Il protocollo - precisa l’Assessore ai lavori Pubblici, arch. Vincenzo Consalvo - prevede l’impiego volontario di alcuni detenuti in attività lavorative di pubblica utilità allo scopo del loro recupero e reinserimento sociale. L’Associazione Sophis, diretta dal Dr. Marco Botta, nonché rappresentante del Comitato di Quartiere Centro Antico, è stato il promotore dell’iniziativa proposta all’Assessore Vincenzo Consalvo che l’ha fatta propria, di ripulire e bonificare l’area del Centro Antico della città, per migliorarne la vivibilità e per renderlo più accogliente per i visitatori che sempre più numerosi vi affluiscono. Il programma dei lavori, prevede l’utilizzo di quattro persone per tre ore al giorno in un’attività di taglio e pulizia delle erbacce, con relativa raccolta e spazzamento delle stradine e dei vicoli. L’Amministrazione Comunale, esprime il proprio ringraziamento all’Icatt che è sempre disponibile a collaborare con il Comune per le proprie attività di recupero sociale dei detenuti, nonché a tutte le altre componenti che hanno contribuito alla realizzazione del protocollo, sottolineando che è necessario valorizzare tutte le energie positive della città per far crescere l’intera comunità cittadina”. “Un sentito ringraziamento - interviene il Sindaco, avv. Martino Melchionda - va alla Direttrice dell’Icatt, dott.ssa Rita Romano, per il prezioso lavoro di inclusione sociale dei detenuti portato tenacemente avanti, e ai ragazzi stessi che partecipano con numerose iniziative alla vita attiva della città”. Rieti: carcere semivuoto a causa della scarsa presenza di agenti Il Tempo, 12 aprile 2011 La denuncia durante un convegno sulla giustizia al quale ha preso parte anche Mirko Manna, segretario generale del Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria il quale ha sottolineato che “Il carcere di Rieti ha 450 posti ma solo 150 detenuti per mancanza di agenti di polizia penitenziaria”. Determinata anche la presa di posizione del sottosegretario alla Giustizia, la senatrice Maria Elisabetta Casellati che ha focalizzato l’attenzione sull’importanza del ruolo degli agenti: “Il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all’interno degli istituti di pena”. Brescia: Garante dei detenuti; “fumata nera” per Fappani e Quaranta Brescia Oggi, 12 aprile 2011 Fumata nera per il garante delle carcere, la cui nomina è stata discussa e votata lunedì nel corso del Consiglio comunale in Loggia. Il garante uscente Mario Fappani ha ottenuto, nel primo scrutinio segreto, 16 voti contro i 21 di Emilio Quaranta, ex magistrato della procura dei minori. Nella seconda tornata elettorale Fappani ha ottenuto 15 preferenze (tutto il centrosinistra), mentre Quaranta 22. Nulla di fatto, quindi, la decisione è stata rimandata alla prossima seduta del consiglio, quando a determinare l’esito del ballottaggio sarà la maggioranza semplice (e non qualificata). La vittoria potrebbe quindi arridere all’ex magistrato, sostenuto sia dalla Lega Nord che dal resto della maggioranza, contro Fappani, il cui operato è stato valutato positivamente dalla Giunta che, tuttavia, ritiene la figura e l’apporto di Quaranta utili per far ottenere a Brescia quelle risorse indispensabili per migliorare la situazione carceraria attuale. Per l’opposizione è invece indispensabile “ascoltare” il territorio e le associazioni di volontariato che sostengono la candidatura di Fappani, da anni impegnato nel settore. Tutto rimandato alla prossima votazione. Ragusa: “Rompete le righe”, al via progetto di formazione professionale per i detenuti La Sicilia, 12 aprile 2011 La pena carceraria, diventa periodo di formazione professionale. Hanno preso il via ieri a Modica le work experience per i protagonisti di “Rompete le righe”, il percorso di inclusione sociale dei detenuti delle case circondariali di Ragusa e Modica e dell’ufficio di esecuzione penale esterna di Ragusa (Uepe). Diversi i percorsi formativi che sono stati predisposti, che vanno dalle 250 alle 300 ore. Il progetto, che rientra nella programmazione 2007/2013 del Fondo Sociale Europeo e che coinvolge tra i vari partner a livello territoriale il Consorzio “La Città solidale”, l’En.A.I.P., il consorzio “Mestieri”, la Provincia di Ragusa, il Comune di Vittoria, la Multifidi, Cna, Coldiretti, Alter ego Consulting e Euro Development, entra dunque nel vivo. “È proprio così - spiega Filippo Spadola, direttore del progetto - poiché la finalità principale è quella di far acquisire le competenze lavorative ai corsisti. Nelle work experience ci sarà un tutor aziendale o un maestro d’arte che guiderà gli studenti secondo la filosofia dell’imparare facendo. L’importanza di trasferire competenze professionali è duplice: da un lato rafforza le competenze lavorative e dall’altro contribuisce alla riabilitazione della persona che si trova a scontare una pena detentiva”. Tre diversi percorsi di work experience sono stati avviati ieri a Modica, ognuno per sei detenuti. A seguire ne partiranno altri cinque riguardanti otto detenuti ciascuno nella casa circondariale di Ragusa, mentre due interesseranno dieci persone che si trovano in carico all’Ufficio di esecuzione penale esterna. I corsi prevedono una indennità di frequenza e, al termine, rilasciano un attestato di partecipazione ed una certificazione delle competenze acquisite. “Lavorare nelle carceri - sottolinea Rosario Cavallo, vice presidente En.A.I.P. provinciale - vuol dire superare molti luoghi comuni. L’intervento formativo è utile perché permette di fornire strumenti ai detenuti che si confrontano con temi come la legalità, il diritto dei lavoratori ed il diritto alla cittadinanza”. Roma: Caritas; il 14 aprile una Via Crucis con i detenuti di Rebibbia Il Velino, 12 aprile 2011 “Si svolgerà giovedì 14 aprile la Via Crucis organizzata dai “Volontari in carcere” della Caritas di Roma insieme ai detenuti dei quattro istituti penitenziari di Rebibbia. La liturgia è uno degli appuntamenti tradizionali della Chiesa di Roma che, nel periodo di Quaresima, incontra il mondo carcerario. Oltre 400 partecipanti tra reclusi, agenti della polizia penitenziaria, personale amministrativo e volontari della Caritas, parteciperanno alla celebrazione che avrà luogo nella Cappella della Casa circondariale ‘Nuovo Complessò e si snoderà nel piazzale antistante la Chiesa. Insieme alle rituali “letture e riflessioni” proposte dal calendario liturgico per il tempo di Quaresima, i detenuti proporranno alcune loro testimonianze. La liturgia sarà presieduta da monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare per il Settore Nord della Diocesi, e guidata dal direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci”. Lo rende noto l’ufficio stampa della Caritas di Roma. Trieste: dall’Asl manuale di prevenzione dei suicidi… prossimamente anche per il carcere Il Piccolo, 12 aprile 2011 In 20 anni a Trieste il tasso di suicidi si è dimezzato. Da una media di 25,49 rinunce alla vita per ogni 100 mila abitanti si è passati negli ultimi sette anni ad avere 13,08 suicidi ogni 100 mila abitanti. Sono dati che segnano una costante diminuzione del fenomeno anche grazie alle campagne di comunicazione e la rete di servizi creata dall’Azienda sanitaria triestina. Nel 2010 sono state 32 le persone che si sono tolte la vita, 18 uomini e 14 donne, rispetto al 2009 quando le donne sono state solo 9, per un totale invece di 23 uomini. Le fasce più a rischio sono gli anziani sopra i 66 anni, nel 2010 le persone che si sono date la morte che superavano i 66 anni sono state 11 di cui 5 donne e 6 uomini. Dopo sette anni dalla sua prima pubblicazione ritrova di nuovo spazio il manuale “Prevenire il suicidio” dedicato ai medici e agli operatori sanitari e sociali. Non è un semplice manuale, ma come ha scritto il direttore del Dipartimento di salute mentale Peppe Dell’Acqua nella prefazione, “un modo per allargare la rete di comunicazione, di coinvolgere il più possibile gli attori sanitari e sociali.” È difficile e doloroso interrogarsi sui motivi che spingono una persona a rinunciare alla vita. Il suicidio è una parola che fa paura, è sinonimo di fallimento, è una questione di mancanza di speranza come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ma prevenire il suicidio si può. A Trieste, da sempre laboratorio di nuove e positive esperienze, il tasso di suicidi in 20 anni si è dimezzato. Dal picco massimo raggiunto nel 1992 con 70 persone che hanno rinunciato alla vita si è arrivati nel 2005 a 26 suicidi. Tutto questo non è accaduto per caso, perché la macchina della speranza e della prevenzione corre ormai da tempo. L’Azienda per i servizi sanitari triestina assieme al Dipartimento di salute mentale, da più di 20 anni, infatti, ha messo in campo progetti di prevenzione con la collaborazione di diversi partner. Nascono così nel 1997, con la società di teleassistenza Televita Spa, Amalia e Telefono speciale per attivare percorsi di socializzazione con le persone anziane e prevenire le morti solitarie e il suicidi. Ma anche campagne di comunicazione con l’intervento della Provincia e la pubblicazione di diversi manuali rivolti ad insegnanti ed educatori, agli operatori dell’informazione, per i medici di medicina generale. Ed oggi la nuova edizione del manuale per i medici di famiglia e gli operatori sociali curato dalla psichiatra Alessandra Oretti e dalla giornalista Kenka Lekovich. Un volume che si inserisce nel progetto dell’Oms di prevenzione del suicidio, che raccoglie non solo le linee guida con dati e statistiche utili per gli operatori sanitari per prevenire il suicidio, ma anche le storie di un “fallimento” raccontate in prima persona dai medici e una bella lettera dedicata alla vita scritta da una giovane studentessa. “È una tematica spinosa e dolorosa - ha indicato il direttore dell’Azienda sanitaria Fabio Samani. Questo manuale è uno strumento di riflessione e di confronto su quello che ancora ci resta da fare”. Il volume sarà distribuito per la prima volta anche agli operatori sanitari dell’Area vasta che comprende la provincia di Gorizia. “Trieste aveva il primato dei suicidi - ha spiegato Peppe Dell’Acqua - ma 14 anni dopo non lo ha più. Abbiamo preso atto del problema e cercato di costruire servizi di prossimità e una rete territoriale. Sono state messe in campo campagne di comunicazione contro la superficializzazione o banalizzazione del suicidio, perché una cosa è parlare del fenomeno un’altra è parlare della persona. Si è passati ad una pratica della comprensione, della valorizzazione dell’ascolto, dell’incontro.” L’ipotesi è quella di allargare il più possibile la rete ad altri attori per questo è in programma la pubblicazione di un volume destinato alla Polizia penitenziaria e agli operatori del carcere. Su questo versante i tassi suicidari sono in aumento, 66 morti solo nel 2010 su una popolazione di 66 mila detenuti. “Se i numeri di Trieste sono confortanti - ha indicato la psichiatra Alessandra Oretti - esistono degli ambiti particolari come il carcere dove dobbiamo intervenire spesso”. Libri: “L’universo della detenzione”, di L. Bologna, F. Colcerasa, D. De Rossi e S. Renzulli L’Opinione, 12 aprile 2011 La comunità penitenziaria non è composta soltanto dai detenuti. Ci sono anche gli agenti, i direttori, i medici, gli psicologi e tante altre figure professionali che vivono sulla loro pelle, quotidianamente, la realtà carceraria del nostro Paese. Ma non basta: la comunità penitenziaria è anche il luogo, lo spazio, il perimetro, l’ambiente, l’edificio dove si è reclusi. E lo spazio vitale è un elemento che agisce concretamente sulla persona. Ne influenza l’esistenza stessa, i rapporti con gli altri, la socialità. Non dimentichiamoci che, come affermavano gli antichi Greci, “l’uomo è un animale socievole”. A tal proposito, è da poco uscito nelle librerie italiane un volume che affronta il tema delle carceri indagandolo negli aspetti storici, culturali, sociali, umani e architettonici. Ma non soltanto. Il libro è molto ambizioso e si arricchisce di riferimenti bibliografici, approfondimenti urbanistici, note, fotografie, disegni, illustrazioni. “L’universo della detenzione” (Mursia, 360 pagine, 26 €), scritto da Luciano Bologna, Fabrizio Colcerasa, Domenico Alessandro De Rossi e Stefania Renzulli, è un libro che arriva a colmare un vuoto. È un saggio importante, che mette al centro del discorso l’individuo. Il rapporto tra individuo e spazio vitale. E si sofferma sui diritti umani e civili del detenuto, sulle possibilità di recupero, sulla “rieducazione” del condannato, sulle opportunità di studio, di lavoro, di cure mediche. Purtroppo, però, l’universo della detenzione, da anni ormai, ha raggiunto in Italia livelli di inefficienza assolutamente intollerabili e illegali. Come dimostrano le numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato a più riprese dal Consiglio d’Europa. Il problema non soltanto è urgente, ma impone l’intervento immediato dello Stato per interrompere questa infame tortura umana. Nel libro, edito da Mursia, si può ritrovare quella filosofia per la Giustizia giusta senza la quale non si può trovare, in nessun caso, la strada del cambiamento né delle riforme. A cominciare proprio dalla riforma della giustizia. “L’universo della detenzione”, curato in particolar modo dall’architetto Domenico Alessandro De Rossi, spiega come e perché le nostre carceri siano diventate, ormai, soltanto l’epifenomeno della ben più ampia e grave situazione in cui versa il nostro apparato giudiziario. Se non siete mai entrati in un istituto penitenziario, provate - almeno - a leggere questo libro. Vi aiuterà a capire l’importanza di trovare soluzioni al problema e vi troverete anche alcune proposte concrete. A cominciare dalla necessità di attuare delle misure alternative alla detenzione. Inoltre, il libro vi darà le informazioni che vi servono per comprendere la realtà dei penitenziari e, nelle dense pagine, vi aiuterà a capire il fenomeno del sovraffollamento guardandolo con gli occhi di una persona in carne ed ossa, non in modo astratto o semplicemente tecnico. A tal proposito, lo scorso mese, proprio per meglio e ancor di più responsabilizzare la nostra classe politica, su sollecitazione di Irene Testa, segretaria dell’Associazione “Detenuto Ignoto”, la deputata radicale Rita Bernardini ha presentato in Parlamento una Proposta del legge per estendere la visita ispettiva nelle carceri anche ai Sindaci e ai Presidenti di provincia. Inoltre, tanto per dare qualche cifra, da una ricerca compiuta dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti, in base ai dati ufficiali forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, dalla Corte dei Conti e dal Ministero della Giustizia, la spesa per la “rieducazione” del detenuto risulta a livelli irrisori: nel “trattamento della personalità ed assistenza psicologica” vengono investiti 2,6 € al mese, pari a 8 centesimi al giorno! Appena maggiore il costo sostenuto per le “attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive”: 3,5 € al mese, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto. Iran: impiccato per traffico stupefacenti; 93 le persone messe a morte da inizio anno Ansa, 12 aprile 2011 Un uomo è stato impiccato in Iran con l’accusa di traffico di droga. L’esecuzione, di cui dà oggi notizia l’agenzia Fars, porta ad almeno 93 il numero delle persone messe a morte nel Paese dall’inizio dell’anno, secondo la stampa locale. L’ultima impiccagione è avvenuta sabato mattina nel carcere di Ahwaz, nel sud-ovest dell’Iran. Il condannato, identificato come Karim Kh., era stato riconosciuto colpevole di possesso e spaccio di circa 200 grammi di eroina. Nel 2010 sono state 179, sempre secondo notizie ufficiali, le esecuzioni capitali in Iran. Ma Human Rights Watch le ha stimate in non meno di 388. Palestina: oltre 420 prigionieri politici restano nelle carceri dell’Anp InfoPal, 12 aprile 2011 Il Comitato dei familiari dei prigionieri politici nelle carceri in Cisgiordania si è unito al raduno dei ragazzi palestinesi a piazza al-Manarah, a Ramallah, per chiedere la loro liberazione. Alla stampa il Comitato ha ribadito di voler continuare lo sciopero della fame finché i diritti dei propri cari detenuti non verranno rispettati attraverso il loro rilascio. “Il presidente ‘Abbas non sta rispettando i tempi per la loro liberazione come precedentemente accordato. Ignorando gli ordini di rilascio già emessi dall’Alta corte, gli apparati di sicurezza dell’Autorità palestinese (Anp) stanno violando la legge”. Il Comitato ha inoltre reso noto il dato sui quanti restano ancora nelle prigioni dell’Anp: 420. Di questi, 100 hanno subito una condanna, mentre 300 sono stati arrestati a più riprese. I membri del Comitato dei familiari dei prigionieri hanno ricordato il tentativo di arresto dalla moschea al-Ansar, ad al-Khalil (Hebron), di Màmun an-Natshath, padre di Mùtasem, deceduto sei mesi ad Ariha (Gerico). L’arresto avrebbe dovuto rappresentare una punizione per aver parlato della dura condizione in cui era vissuto il figlio, quando si trovava in stato di detenzione. Egitto: arrestato ex presidente Senato e capo partito Mubarak Ansa, 12 aprile 2011 Si stringe la maglia della giustizia intorno ai vertici dell’ex regime di Hosni Mubarak. Safwat al-Sherif, capo del partito dell’ex rais Hosni Mubarak nonché presidente del Consiglio di Shura (la Camera alta egiziana), è stato fermato con l’accusa di corruzione e appropriazione indebita. Vero e proprio pilastro del sistema di potere dell’ex rais, al-Sherif è stato fermato ieri e la tv di stato lo ha mostrato mentre, con il capo coperto da una giacca, veniva scortato dentro un veicolo della polizia. Attualmente è detenuto nella prigione Torah nel sud del Cairo e resterà in custodia preventiva per 15 giorni, su decisione del pubblico procuratore. Su di lui già pendeva il divieto di espatrio e i suoi asset erano stati congelati. Convocato anche Fathi Sorour, ex speaker della Camera bassa del Parlamento, che dovrà rispondere delle accuse di aver accumulato danaro illegalmente. Giovedì scorso anche l’ex capo dello staff di Mubarak, Zakariah Azmi, era stato arrestato mentre sabato il procuratore aveva disposto la convocazione di Mubarak e dei suoi figli che dovranno rispondere delle accuse di corruzione e violenza sui civili. Il governo transitorio egiziano ha istituito una speciale commissione d’inchiesta per indagare sui crimini dell’ex regime presieduta dal ministro della Giustizia, Essam el-Gawahri. Portogallo: nuovo regolamento penitenziario; ora sesso in prigione una volta al mese Ansa, 12 aprile 2011 Buone notizie per i detenuti nelle carceri portoghesi: il nuovo regolamento penitenziario in vigore dal primo giugno autorizza infatti il sesso dietro le sbarre una volta al mese, riferisce oggi Correio da Manhà. Tutti le persone detenute da almeno un semestre potranno beneficiare di una “visita intima” al mese, prevede il regolamento pubblicato ieri nel Diario da Republica, la Gazzetta Ufficiale dello stato lusitano. Gli incontri, che potranno durare al massimo tre ore, si svolgeranno nelle celle coniugali delle carceri portoghesi. Con il regolamento precedente erano possibili solo ogni due mesi, e solo in alcune prigioni. Degli “incontri intimi” potranno beneficiare non solo i detenuti eterosessuali ma anche quelli omosessuali, precisa Correio da Manhà. L’amministrazione penitenziaria dovrà fornire dei preservativi e una nota sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.