Giustizia: detenuti stretti come galline... ma nelle carceri i Nas non intervengono mai? di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2011 Dove è finito il Piano di Alfano? Risse tra reclusi, proteste violente. Quest’anno già 40 morti, 16 i decessi per suicidio, 17 per “cause naturali” e 7 da accertare. Scene da far west, di là dal muro che divide le persone libere da quelle recluse. Otto detenuti si fronteggiano con l’uso di lamette, alcune delle quali applicate a piccole aste, in modo da formare rudimentali rasoi. Alcuni di loro rimangono feriti. A dividerli i troppo pochi agenti penitenziari. Accade il 10 marzo, nel carcere di Reggio Emilia, in cui vivono 322 persone, 150 in più rispetto al numero previsto. Due giorni dopo parte la protesta nella casa circondariale di Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba: a orari stabiliti i detenuti percuotono i cancelli delle celle con pentole e ogni oggetto reperibile. Sono rinchiuse qui 310 persone contro una capienza di 238. Il 21 marzo il teatro della rivolta è il Marassi di Genova: due risse nell’arco di una sola giornata, tunisini contro albanesi, anche in questo caso tutti armati di lamette. Uno di loro rimane sfigurato al volto. Lo scorso fine settimana, a Novara, un detenuto aggredisce due sovrintendenti della polizia penitenziaria. Nello stesso giorno, a Sollicciano, un agente si è ritrovato con la frattura del setto nasale. Proteste pacifiche invece a Venezia, dove il vicesindaco ha chiesto l’intervento del ministero della Giustizia e l’Ordine degli Avvocati la chiusura della struttura. Il motivo delle rivolte è, ovunque, lo stesso: in cella non si vive, costretti a stare anche in otto persone, in letti a castello a tre piani, senza neanche la possibilità di stare tutti in piedi contemporaneamente. Con i cessi accanto alla branda, con gli spazi comuni che diventano formicai per poche decine di minuti al giorno. Senza attività ricreative, senza rieducazione, senz’aria. Rispetto a una capienza media di 45 mila, quasi 68 mila persone (67.648 secondo i dati dell’associazione “A buon diritto”) vivono così, anzi, non vivono così. Ecco perché sono quotidiane le risse, così come i suicidi. Mehdi Kadi era un 39enne algerino, arrestato nell’ottobre del 2008 in seguito a una rapina. Il 3 aprile si è tolto la vita impiccandosi nel carcere “Due Palazzi” di Padova. Mario Germani, 29 anni, è ricoverato in condizioni gravissime dopo aver tentato di suicidarsi nella sua cella del penitenziario di Viterbo il 2 aprile. Era stato arrestato nei giorni precedenti per essere evaso dai domiciliari. Nello stesso giorno è morto a Novara un suo omonimo, Mario Coldesina, 42 anni. Secondo i primi accertamenti, il decesso è avvenuto per soffocamento. Giovedì scorso a non farcela è stato Carlo Saturno, il ragazzo barese di 22 anni per la morte del quale la Procura sta procedendo con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Dall’inizio dell’anno sono già 40 le persone morte nelle carceri italiane. La loro età media era di 37 anni. Ieri i carabinieri del Nas hanno salvato oltre un milione e centomila galline “prigioniere” in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge. Nessuno, invece, salva i detenuti. “Vige una cappa censoria - spiega Irene Testa, segretaria radicale de “Il detenuto ignoto”. Nessuno ne parla. Non lo fanno i parlamentari, non lo fa il governo, non lo fanno gli enti locali, non lo fa la tv. Gli italiani non sanno cosa accade oltre i muri”. La deputata radicale Rita Bernardini qualche mese fa ha depositato un disegno di legge per estendere anche ai sindaci e ai presidenti delle Province la prerogativa di sindacato ispettivo. “Se anche i primi cittadini potessero entrare in carcere come i parlamentari - prosegue Testa - forse si renderebbero conto dell’emergenza”. Finora alla proposta hanno aderito 62 sindaci e 21 presidenti di Provincia. Nel gennaio 2010, il ministro Alfano decise lo stato d’emergenza. Sarebbe dovuto cambiare tutto e invece, 15 mesi dopo, la situazione è peggiorata. Il Piano straordinario è morto nei cassetti del Guardasigilli e del commissario Franco Ionta. È stato inaugurato qualche padiglione che poi è rimasto vuoto per mancanza di poliziotti. Ionta ha dichiarato a Rai News che i 700 milioni di euro necessari al Piano carceri sono depositati su un conto presso la Banca d’Italia. Non si comprende dunque perché non vengano subito spesi. E il famoso ddl “svuota carceri” tanto sbandierato? Ne sono usciti 1.700. Vergogna nella vergogna: per far “non vivere” 68 mila persone, lo Stato ha speso - tra il 2001 e il 2010 - oltre 28 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i fondi stanziati per il Piano e la spesa per l’assistenza sanitaria, 90 milioni annui. Il 79 per cento dei costi dipendono dal personale, solo il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti, il 4 per cento dalla manutenzione delle carceri. Giustizia: prevenzione dei suicidi; la Circolare Dap di un anno fa è totalmente disattesa Redattore Sociale, 11 aprile 2011 La presa di posizione avviene a più di un anno dalla divulgazione della Circolare del Dap, che prevedeva la formazione di alcuni agenti per prevenire i suicidi in carcere. Capece: “Gli psicologi? Poche risorse. Chi fa domanda oggi viene ascoltato tra 4 mesi. A più di un anno dalla divulgazione della circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che prevedeva la formazione di alcuni agenti penitenziari per prevenire i suicidi in carcere, nulla si è mosso. Lo affermano i sindacati di polizia penitenziaria: “Non è partito nessun progetto - commenta Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osaap). Ed era stato l’unico tentativo, per quanto comunque insufficiente, di arginare l’emergenza suicidi”. La finalità della circolare era quella di avviare la formazione di 4-5 agenti in ciascun istituto, per dotarli delle conoscenze necessarie a valutare l’eventualità e il grado del rischio che i detenuti possano tentare il suicidio, oltre che a sostenerli nelle situazioni più critiche, quando lo psicologo non può intervenire immediatamente, per esempio nelle ore serali e notturne. Un’iniziativa resa necessaria dalla scarsità di risorse destinate al supporto psicologico nelle carceri: “Abbiamo calcolato che nel corso di un anno, dati i fondi disponibili, il numero degli psicologi e quello dei carcerati, ciascun detenuto avrebbe 30 minuti di ascolto” spiega Beneduci. Una mancanza di mezzi sottolineata anche da Donato Capece, segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe): “Chi fa domanda oggi, viene ascoltato fra quattro mesi, a meno che non sia già stato individuato come soggetto a rischio”. Il problema come sempre sono le risorse: “La circolare è rimasta lettera morta perché mancano le strutture e il personale” spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari. “Le circolari di questo tipo servono a tamponare il malcontento, ma è impossibile metterle in pratica se non sono accompagnate da finanziamenti” aggiunge Capece. Nel 2010 i suicidi di detenuti sono stati 66, nel 2011 se ne contano già 16. Giustizia: gli Usa criticano la situazione italiana dei diritti umani di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 11 aprile 2011 Secondo il Bureau of Democracy, Human Rights and Labor (Drl), l’istituzione governativa statunitense che annualmente pubblica dei Country Reports on Human Rights Practices, cioè dei rapporti sulle pratiche dei diritti umani nei diversi paesi del mondo, la situazione italiana nel 2010 ha presentato non solo dei tratti positivi ma anche diversi aspetti di segno praticamente opposto. Nel nostro paese le forze dell’ordine sono state coinvolte nell’uccisione di Aziz Amir, avvenuta a Bergamo il 6 febbraio, ed hanno ricevuto delle condanne per gli omicidi di Federico Aldovrandi, Cheikh Diouf, Gabriele Sandri e Giuseppe Turriti. In alcune circostanze, come dimostrano le incriminazioni del 19 ottobre di due poliziotti a Milano, il processo iniziato a Parma contro otto agenti per l’aggressione ad Emmanuel Bonsu Foster e la condanna emessa il 5 marzo dalla corte d’appello nei confronti di sette agenti di polizia per il “trattamento inumano o degradante” su alcuni manifestanti arrestati durante il G8 di Genova del 2001, “la polizia ha fatto un uso eccessivo della forza contro persone, in particolare Rom e immigrati, detenute per reati penali comuni o nel corso di controlli di identità.” A tale proposito il Bureau of Democracy, Human Rights and Labor ricorda che il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura (Cpt) “ha ricevuto numerose denunce di maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza da polizia e carabinieri e, in misura minore, da agenti della guardia di finanza e ufficiali. I maltrattamenti consisterebbero soprattutto in pugni, calci, colpi con i bastoni al momento dell’arresto e, a volte, durante la custodia in un istituto. La maggior parte delle contestazioni riguardano polizia e carabinieri nella zona di Brescia. In un certo numero di casi, il Cpt ha trovato prove mediche coerenti con le accuse”. Non meglio vanno le cose per quanto riguarda il tema dell’immigrazione. In base a quanto è riportato nel report, le autorità italiane sono state infatti criticate dal Cpt perché attuano una politica di respingimento dei migranti in mare contraddistinta da “un uso sproporzionato della forza”. Inoltre sono state bacchettate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa poiché autorizzano e fanno effettuare espulsioni non rispettose delle ordinanze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), come è successo nei casi di Toumi Ali Ben Sassi nel 2009 e di Ben Khemais nel 2008, persone a rischio di maltrattamenti e torture nel proprio paese d’origine. Che dire poi sulle condizioni di vita nelle prigioni e negli altri centri di detenzione? Il Bureau of Democracy, Human Rights and Labor è scandalizzato a proposito della morte di Stefano Cucchi: “Il 15 luglio, un pubblico ministero di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di 13 medici, infermieri, e agenti accusati di violenza, falsa testimonianza, abuso di potere, e complicità nella morte di Stefano Cucchi, in arresto per possesso di droga. Mentre era trattenuto, la polizia lo ha trasferito al carcere di Rebibbia e poi in ospedale, dove è morto nel mese di ottobre 2009. Il provvedimento del giudice è poi stato sospeso alla fine dell’anno”. L’istituzione governativa statunitense si meraviglia che, al 30 novembre 2010 e secondo il Ministero della Giustizia italiano, “i detenuti erano 69.155 in un sistema carcerario progettato per contenerne 44.066”. Si stupisce che “nel mese di settembre circa il 54 per cento dei detenuti erano definitivi e il 43 per cento in attesa di giudizio”. Considera veritieri i dati forniti da un centro di ricerca indipendente, che poi sarebbe Ristretti Orizzonti, secondo cui “tra gennaio e novembre, 160 detenuti sono morti in carcere, 61 dei quali per suicidio” e ritiene che almeno “un piccolo numero di queste morti sarebbe dovuto ad abusi o negligenze da parte dei funzionari del carcere”. L’organismo a stelle e strisce prosegue riportando le osservazioni del Cpt: “nella relazione del 4 aprile il Cpt ha osservato che le condizioni sono generalmente accettabili nelle carceri italiane, ma molte strutture risultano gravemente sovraffollate, e in alcuni casi mancavano articoli per l’igiene di base per i detenuti. Il Cpt ha inoltre osservato che, in alcuni casi, gli agenti di polizia penitenziari hanno usato una forza eccessiva o sproporzionata per trattenere i detenuti, provocando a volte delle lesioni. Il Cpt ha rilevato che in alcune carceri, i detenuti condannati a lunghi periodi non hanno sufficiente accesso alle visite familiari o telefonate”. Per quanto riguarda i Centri di identificazione ed espulsione (Cie), oltre a ricordare che “nel mese di dicembre un ufficiale del Cie di via Corelli a Milano è stato condannato a sette anni e due mesi di carcere per lo stupro nel 2009 di un detenuto transessuale brasiliano”, riporta la critica di alcuni gruppi, tra i quali l’Ong Medici senza Frontiere, secondo cui all’interno dei CIE le condizioni sono carenti e vi è un chiaro stato di sovraffollamento. L’istituzione governativa statunitense considera in modo positivo il fatto che “diversi comuni e l’organizzazione Antigone si sono dotati di difensori civici e garanti per tutelare i diritti dei detenuti e facilitare l’accesso alle cure sanitarie e altri servizi”, così come la circostanza per cui “il governo ha consentito l’accesso ai Cie ai rappresentanti dell’Ufficio del Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), e queste visite sono avvenute secondo le modalità standard dell’Unhcr”. Prende atto di alcune misure decise dal governo italiano (il “piano carceri” e il decreto che consente a cittadini di altri paesi dell’Unione europea di scontare la pena nei paesi di origine) e non le commenta. Afferma che non ci sono notizie di impunità delle forze dell’ordine ma poi punta il dito rispetto ad un problema di attualità politica: “i ritardi da parte dei pubblici ministeri e di altre autorità nel portare a termine alcune indagini riducono l’efficacia degli strumenti di indagine e punizione degli abusi della polizia.” Per quanto riguarda le procedure di arresto e il trattamento durante la detenzione, riprende ancora le osservazioni del Cpt: “nella sua relazione del 4 aprile, il Cpt ha rilevato che in alcuni casi, la polizia ha di fatto negato a persone detenute il diritto a un avvocato. Le lunghe detenzioni di persone in attesa di giudizio e i ritardi nei processi sono problemi significativi. Durante la prima metà dell’anno, il 43 per cento di tutti i detenuti era in attesa di giudizio o di condanna definitiva”. Il Bureau of Democracy, Human Rights and Labor conclude il proprio rapporto sulla situazione italiana con un dato, in apparenza positivo, fornito nel 2009 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Lo Stato italiano avrebbe ridotto il numero delle violazioni rispetto alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo passando dagli 83 casi del 2008 ai 69 del 2009. L’istituzione governativa statunitense, oltre a non conoscere molti episodi di malagiustizia determinatisi nel nostro paese lo scorso anno (ad esempio il caso Scaglia), non sa che dalla fine del 2008 ad oggi migliaia di ricorsi sono stati presentati a Strasburgo, attendono di essere calendarizzati e riguardano soprattutto l’esistenza del fine pena mai, con l’ergastolo ostativo ad ogni beneficio della legge Gozzini (permessi premio, lavoro esterno, semilibertà e libertà condizionale), e le disumane condizioni di vita all’interno delle sovraffollate celle italiane. D’altra parte, anche solo leggendo il rapporto del Bureau of Democracy, Human Rights and Labor rispetto allo stato dei diritti umani nella realtà italiana, emerge una circostanza davvero preoccupante. Se certe critiche provengono da un paese nel quale vige tuttora la pena capitale e c’è una popolazione carceraria molto numerosa, significa che agli occhi degli Usa, e fatte le debite proporzioni, l’Italia è messa peggio. In realtà, come ha scritto di recente la psicologa penitenziaria Ada Palmonella in una lettera pubblicata nel notiziario di Ristretti Orizzonti del 10 aprile, il sovraffollamento carcerario e le riduzioni delle spese per la risocializzazione delle persone detenute sono un oggettivo invito al suicidio e reintroducono in Italia la “pena di morte”…senza bisogno di legiferare. Qualcuno vuole continuare a far finta di nulla? Giustizia: Uil-Pa; nelle carceri mancano poliziotti e fondi per la sicurezza di Erminia della Frattina Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2011 Negli ultimi venti giorni ci sono stati due episodi in cui dei poliziotti sono stati aggrediti in carcere da detenuti. Nel primo il collega è finito in ospedale, il secondo è stato sventato da altri detenuti”. Raccontano una situazione al limite del collasso i sindacalisti della Uil pubblica amministrazione Paolo Giordano e Giuseppe Cristino; siamo al carcere Due Palazzi di Padova sezione penale, ma la situazione si replica tale e quale, o anche peggio, in molte altre strutture penitenziarie italiane da nord a sud. Due poliziotti sono stati aggrediti da alcuni detenuti mentre svolgevano le abituali mansioni di routine al reparto, uno preso a padellate e l’altro a calci, salvato solo dal pronto intervento di altri detenuti. Certo a guardare i numeri i motivi diventano più chiari. “La struttura - dice Giordano - è stata progettata per ospitare 400 detenuti al massimo, mentre attualmente ci sono 850-900 reclusi, quasi tutti in tre in celle di due metri per due, con un bagnetto con fornello come cucina”. Un’emergenza che dura da due anni e rischia di peggiorare, a cui la polizia penitenziaria fa fronte come può con i suoi 200 agenti in tutto impiegati al Due Palazzi, dei quali una cinquantina in realtà sono distaccati altrove. “Siamo sotto organico di almeno 100 unità” dicono i sindacalisti “abbiamo chiesto mille volte di mandare altro personale anche direttamente alla Casellati che è venuta in visita ma non è mai arrivato”. Gli agenti del carcere padovano sono talmente pochi da essere a volte uno per ogni reparto, significa uno ogni 100-150 reclusi, mentre secondo il regolamento carcerario il rapporto dovrebbe essere un agente ogni tre reclusi. “Dobbiamo essere psicologi, educatori ma anche impiegati per chiamare gli uffici - raccontano - perché i detenuti hanno esigenze che vanno dalla medicina alle telefonate alla lite alla crisi depressiva. Ognuno di loro ha un reato e una lingua diversa dall’altro; ormai sono talmente tanti che non li vede più nemmeno la telecamera della videosorveglianza”. Un lavoro complicato che i poliziotti svolgono a turni di otto ore e “a mani nude” perché non possono avere armi e nemmeno telefono personale: c’è un unico telefono per dare l’allarme o chiamare la sorveglianza o la guardia medica; le chiavi delle celle vengono consegnate alle otto di sera. Nonostante questo il quinto reparto, quello dei detenuti lavoranti è stato dipinto dai reclusi con bellissimi murales (il materiale lo hanno comprato con i loro soldi) su iniziativa degli agenti. “Abbiamo fatto avere a tutti una lode scritta dal direttore” raccontano i due, che snocciolano veloci le richieste. “È necessario che questo governo, che tanto si è speso a parole per la sicurezza, investa fondi sul serio mandando almeno un centinaio di agenti a Padova e attuando finalmente quegli aumenti di stipendio che ci promettono da due anni”. Un agente penitenziario prende in media da 1.400 a 1.600 euro di stipendio base, la metà dei colleghi francesi e tedeschi. “La domenica o i festivi lavorati ci vengono pagati aggiungendo al solito fìsso per le otto ore una maggiorazione lorda di 12 euro in tutto, lo straordinario gli altri giorni è pagato 11 euro lordi, che con la tassazione diventa una miseria”. Proprio sugli straordinari gli agenti di Padova, che dormono in una palazzina all’interno del carcere, hanno fatto un lavoro supplementare riorganizzando i turni per abbattere il monte ore e creare un risparmio notevole alle casse dello Stato. “Abbiamo mandato una lettera a Brunetta sostenuti dalla Uil nazionale perché ci riconoscesse il 50% dei risparmi effettivi sugli straordinari”. Una richiesta lecita, fatta a un ministro che alla meritocrazia dice di tenere molto. “Sappiamo per certo che la lettera gli è arrivata, ma non ci ha mai risposto”. Giustizia: caso Saturno; la Polizia penitenziaria denuncia di aver subito diffamazioni Agenparl, 11 aprile 2011 I sindacati di Polizia Penitenziaria, in maniera unitaria, sono costretti scendere in campo per fermare le gravissime, infondate e diffamanti notizie che imperversano (ormai giornalmente) su taluni giornali quotidiani e durante servizi televisivi su reti nazionali nei confronti dei colleghi poliziotti in servizio presso il Carcere di Bari, che colpiscono e denigrano, oltre ai singoli poliziotti baresi, l’intero Corpo di Polizia Penitenziaria. Il fatto scatenante è il tentativo di suicidio in “cella” di un detenuto, poi morto in Ospedale dopo otto giorni di coma e le successive insistenti, insensate e diffamanti affermazioni fatte da incauti giornalisti. Il caso su cui sta scrupolosamente indagando la Magistratura con l’ausilio di un pool di investigatori dell’Arma dei Carabinieri, pur nella sua drammaticità, è semplice e lineare, tuttavia la spasmodica ricerca di scoop giornalistici e televisivi ha probabilmente contribuito al superamento del limite tra il legittimo dovere d’informazione e vere e proprie diffamazioni. A ciò, immancabilmente, si è aggiunta la smania di apparire di noti politici della Regione, i quali, senza prestare alcuna - doverosa - cautela e rispetto nei confronti dei poliziotti baresi e delle istituzioni che loro stessi rappresentano, hanno contribuito a dare maggiore visibilità e risalto alla triste vicenda, oltreché alimentare i dubbi e le incertezze. Come innanzi accennato il “Caso Saturno” è semplice e lineare, senza responsabilità alcuna nella morte del giovane da parte di poliziotti e/o del Personale Civile in servizio nel carcere del Capoluogo di Regione, attribuibile unicamente alla drammatica decisione del Saturno di togliersi la vita, così come chiarito dall’autopsia appena eseguita sul corpo del Saturno, che parrebbe attribuire il suo decesso inequivocabilmente ed esclusivamente al soffocamento da impiccagione. Ciò posto, i Sindacato di Polizia penitenziaria dicono basta alle speculazioni medianiche in atto e preannunciano di aver - separatamente - conferito mandato ai loro legali di fiducia di valutare estremi di reità nelle illazioni e diffamazioni contenute in taluni articoli giornalistici e servizi televisivi, con avvertimento che in caso di esito positivo provvederanno a garantire tutela legale a quanti riterranno opportuno querelare i suddetti giornalisti e le rispettive testate editoriali per essersi sentiti parte lesa, nonché si costituiranno in tali giudizi parte civile. Campania: bloccata da un anno la formazione professionale per i detenuti Ristretti Orizzonti, 11 aprile 2011 Da un anno gli Istituti penali per minorenni e per adulti della Campania senza attività di formazione professionale, e la regione continua a restare in silenzio. Da un anno i circa 8.000 detenuti ristretti negli Istituti Penali Minorili (Nisida ed Airola) e Penitenziari per adulti (n. 17 strutture) della Campania continuano a restare senza le attività di formazione professionale che la Giunta Regionale e l’Assessorato alle Attività Produttive sarebbero tenute ad assicurare, anche sulla base di un piano formativo ampiamente concordato con questa Direzione e con il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, deliberato (Dgr n. 365/2010) e finanziato (con fondi europei Por 2007/2013 Misura 3.4), ed in dispregio di ogni normativa in materia (art. 27 Costituzione, art. 19 L. 354/75 cd Legge Gozzini, art. 42 Dpr 230/2000 che attribuisce la titolarità di funzione e l’obbligo di attuazione per dette attività alle Amministrazioni locali, Legge Costituzionale n.3/01 di modifica del Titolo V della Costituzione, le “linee guida in materia di formazione professionale e lavoro per le persone soggette a provvedimenti restrittivi della libertà personale” della Commissione nazionale Consultiva e di Coordinamento per i rapporti con le Regioni, gli Enti Locali ed il Volontariato del Ministero della Giustizia). L’unica scarna comunicazione preventiva pervenuta, a firma del Coordinatore d’area dell’Assessorato dr. Luciano Califano, rappresentava che la Giunta Regionale Campania ,con deliberazione n.533 del 2.7.2010, aveva avviato “il procedimento amministrativo teso all’esercizio del potere di autotutela in merito alla deliberazione n. 365 del 23.3.2010 “Por Campania Fse 2007/2013 - Asse III - Inclusione sociale-Obiettivo Operativo g11-Favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti minori ed adulti e degli ex detenuti per ridurne il rischio di rientro nel circuito dell’illegalità. Attività formative Istituti penitenziari. incremento risorse per le attività dell’annualità 2010”,con la quale in effetti si sospendeva con decorrenza immediata l’efficacia della deliberazione predetta. Si fa presente che nella precedente annualità 2009 (corsi che sono stati completati poi nei primi quattro mesi del 2010) erano stati attivati e realizzati n.7 corsi per gli istituti penali minorili di Nisida ed Airola (con costi di euro 239.400) e n. 25 corsi per carceri per adulti (con costi di euro 667.800).Per l’annualità 2010 erano stati deliberati già n.11 corsi per gli Ipm (con costi di euro 369.600),corsi che a tutt’oggi non sono stati mai avviati. Eppure, in una seduta consiliare del 13 gennaio 2011, l’Assessore Vetrella, ad un’interrogazione del consigliere regionale Barbirotti (Idv), rispondeva che “era stato predi-sposto l’atto deliberativo di cessazione della sospensione” e quindi non vi erano più ostacoli alla ripresa delle attività formative. Di quell’atto deliberativo non v’è più traccia: da gennaio continua il silenzio della Regione e soprattutto continua lo stallo di ogni iniziativa in merito. È da ricordare che questa Direzione, insieme al Prap da anni è componente stabile del Comitato di Pilotaggio finalizzato al monitoraggio, all’accompagnamento e alla va-lutazione degli interventi per la realizzazione delle attività formative destinate a detenuti minori ed adulti, istituito con Decreto Regionale della precedente Giunta; Comitato che, dopo questa improvvisa sospensione delle attività, senza alcuna formale comunicazione, non è stato più convocato né revocato con altra deliberazione. Il Comitato aveva attentamente programmato, con le deliberazioni regionali che ne fissavano contenuti e copertura finanziaria, l’avvio delle nuove attività corsuali per settembre/ottobre 2010, evento che - come sopra più volte riferito - non è mai avvenuto. Le numerose sollecitazioni formali che lo stesso Ministero della Giustizia-Dipartimento Giustizia Minorile di Roma, questa Direzione Regionale ed il Prap della Campania hanno ripetutamente rivolto al Presidente della Giunta Regionale Caldoro, all’Assessore alle Attività Produttive Sergio Vetrella ed ai suoi Funzionari, richiedendo interventi risolutori ed incontri di chiarificazione, sono rimasti inevasi e caratterizzati da un “silenzio assordante” da parte di Istituzioni che dovrebbero rappresentare territorialmente tutti i cittadini, compresi i “reietti” che il Card.Sepe ha di recente definito “lebbrosi o pietre di scarto”. I minori ed adulti ristretti di questa Regione, salvo qualche episodico, ma significativo intervento di volontari e del privato sociale, continuano a permanere in uno stato di “ozio forzato”; in questo modo, per quello che ci riguarda, non è possibile attuare in pieno i provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria Minorile, che prevedono, insieme a misure cautelari, “di non interrompere i processi educativi in atto” (art. 19 Dpr 448/88 sul processo penale minorile). Evidentemente, non solo il “welfare è diventato un lusso”, ma anche il rispetto delle Istituzioni Statuali e dei cittadini, compresi quelli privati delle libertà personali; diritti costituzionalmente riconosciuti ed in Campania nell’ultimo anno sostanzialmente negati. Centro per la Giustizia Minorile della Campania Il Dirigente, Dr. Sandro Forlani Sardegna: Sdr; subito audizione in Commissioni per sanità penitenziaria Adnkronos, 11 aprile 2011 L’Associazione Socialismo Diritti Riforme ha chiesto un’audizione alle Commissioni Sanità e Diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna per un intervento urgente nei confronti del Presidente della Regione Ugo Cappellacci affinché chieda la convocazione del Consiglio dei Ministri con all’ordine del giorno il decreto di attuazione della norma statutaria sul trasferimento alla Regione delle funzioni e delle competenze in materia di sanità penitenziaria. Lo ha annunciato la Presidente di Sdr Maria Grazia Caligaris intervento. “Le Commissioni Sanità e Diritti Civili dell’assemblea sarda - ha detto Caligaris - hanno il potere con apposite risoluzioni, non solo di sollecitare l’intervento del Presidente della Regione Ugo Cappellacci per ottenere in tempi brevi l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Decreto attuativo della norma dello Statuto Speciale ma anche di chiedere all’assessore Antonello Liori di predisporre lo schema tecnico-organizzativo per il trasferimento delle competenze in materia di sanità penitenziaria dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria alle Aziende Sanitarie Locali. Un atto determinante per garantire, in maniera uniforme e omogenea nel territorio regionale, ai cittadini privati della libertà le prestazioni sanitarie e per salvaguardare le competenze specifiche dei medici e degli operatori acquisite in anni di lavoro”. “È però necessario - ha sottolineato la presidente di Sdr - che siano eliminate le attuali gravi carenze e disfunzioni, causate dalla insufficienza degli organici e di operatori medici e paramedici a tempo pieno, che mettono a rischio l’esercizio del diritto alla salute dei detenuti, sancito dalla Costituzione”. Calabria: Nucera (Pdl) domani terrà conferenza stampa sullo stato delle carceri Agi, 11 aprile 2011 Martedì 12 aprile 2011 alle ore 10.30 presso la sede della Casa Circondariale di Palmi (Rc), il segretario questore del Consiglio Regionale della Calabria Giovanni Nucera ed i rappresentanti del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), presente il personale della Polizia penitenziaria dell’Istituto, terranno una conferenza stampa. Nel corso dei lavori si affronteranno tematiche di estrema rilevanza con l’intento di promuovere un’ampia partecipazione ed un confronto proficuo e costruttivo sullo stato delle carceri in Calabria ed in particolare verrà evidenziato lo stato di assoluto degrado e insicurezza in cui versa l’Istituto Penitenziario di Palmi (Rc). Verrà illustrato inoltre, il contenuto dell’interrogazione a risposta scritta presentata dal deputato Emerenzio Barbieri del Gruppo Popolari Liberali nel Pdl al Ministro della Giustizia, avente come oggetto la situazione complessiva della Casa Circondariale di Palmi. Messina: l’emergenza penitenziaria arriva nell’agenda del prefetto Alecci La Sicilia, 11 aprile 2011 Il vicepresidente dell’Osapp Nicotra ha incontrato il rappresentante del Governo in città: “Siamo a livelli non più tollerabili” Una vera e propria emergenza, che ha raggiunto livelli di guardia. L’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, da anni denuncia le condizioni al limite in cui operano i penitenziari di Messina e provincia. Adesso della questione è stato investito ufficialmente il rappresentante del Governo nel nostro territorio. Oggi a mezzogiorno, infatti, il vice segretario generale dell’Osapp Domenico Nicotra, unitamente ad una delegazione dei segretari provinciali della provincia di Messina, ha incontrato il prefetto Francesco Alecci, al quale è stato rappresentato preliminarmente come le carenze degli istituti della provincia di Messina sono tali da poter serenamente affermare che la questione penitenziaria nel peloritano ha raggiunto ormai livelli non più tollerabili. “Infatti - si legge in una nota dell’Osapp - a fronte dei circa 500 detenuti ristretti nella casa circondariale e oltre 300 internati ristretti nell’Opg di Barcellona, il personale operante è abbondantemente sottodimensionato con evidenti ripercussioni dei carichi di lavoro ricadenti sul personale operante, con turni che vanno dalle 8 alle 10 ore e che possono arrivare anche a 16-18 ore giornaliere”. L’attenzione è stata posta anche sul fatto che, al contrario di altre realtà della Sicilia occidentale in cui si registrano anche delle carenze di personale e di fondi, nella provincia di Messina così come in tutta la Sicilia orientale la situazione ha superato ogni limite di tollerabilità. Nicotra ha dunque chiesto al prefetto un intervento incisivo nei confronti della Regione Siciliana “al fine di dare all’applicazione della normativa sulla sanitizzazione dell’Opg di Barcellona, risalente al 2008 ed in Sicilia non ancora recepita ed applicata, che di fatto consentirebbe una sostanziale diminuzione dei carichi di lavoro esorbitanti a cui sono sottoposti il personale del corpo di Polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto del centro tirrenico”. Ad Alecci, infine, è stato anche chiesto di voler porre rimedio alla questione legata all’assenza di idonei stalli adibiti al parcheggio delle autovetture di tutto il personale del Corpo che espleta attività lavorativa presso l’Istituto di Gazzi. Il prefetto ha garantito il proprio interessamento, per quanto di sua competenza, per la risoluzione delle problematiche segnalate. Basterà? Gorizia: colpa nostra se perderemo il carcere di Francesco Fain Il Piccolo, 11 aprile 2011 La ormai sicura chiusura della casa circondariale di Gorizia è la diretta conseguenza del nostro rifiuto di individuare il luogo per un carcere nuovo. La cosa più triste è che c’era la volontà del Governo e c’erano i soldi a disposizione per un carcere moderno, ma non si è voluto affrontare il problema (risolvibile) di scegliere il posto più adatto. Ci sono due motivi per cui non si poteva prendere in considerazione la sistemazione dell’attuale struttura, motivi che ho cercato di portare all’attenzione dei nostri amministratori. Il primo era proprio economico: il costo al mq dei lavori nel vecchio e fatiscente edificio di via Barzellini sarebbe più del doppio del costo al mq di costruzione di una prigione nuova. Il secondo, fondamentale, è la totale inadeguatezza dei locali del nostro carcere a svolgere la sua funzione. Concepito troppi anni fa, nessun miglioramento dell’attuale struttura potrà arrivare a garantire ciò che oggi come minimo viene richiesto ad un carcere: un ambiente adeguato alla permanenza del recluso ed al lavoro degli agenti carcerari, la possibilità di rieducazione del detenuto attraverso il lavoro, i costi di gestione contenuti. Credo che la mia conoscenza sia di via Barzellini sia della vita carceraria sia maggiore di quella di molti dei nostri amministratori. Ho frequentato per circa 4 anni ogni giovedì pomeriggio il nostro carcere come assistente volontario con il patentino del Ministero di Giustizia, ma già negli anni 90, come presidente dell’Unicef, avevo avuto il permesso dal direttore Attinà di far cucire ai detenuti le nostre bambole, le Pigotte. Inoltre la mia esperienza con le carceri non è limitata a quelle italiane, per motivi di studio ne ho visitate in Honduras, Brasile, Paraguay e Cuba. Proprio a L’Avana, questo Natale, ho avuto un attimo di tristezza: la prigione cubana che stavo visitando era migliore della nostra di via Barzellini. Bari: protesta sindacati polizia penitenziaria per carenza organici Ansa, 11 aprile 2011 Una cinquantina di rappresentanti di varie sigle sindacali della polizia penitenziaria sta manifestando a Bari dinanzi alla sede del provveditorato per l’amministrazione penitenziaria, nei pressi del carcere. I manifestanti chiedono di incontrare il provveditore regionale, Salvatore Acerra, per chiedergli interventi urgenti per rafforzare l’organico della polizia penitenziaria particolarmente carente nel carcere di Trani dove nelle ultime ore sono stati trasferiti circa 150 detenuti che erano ospitati in un’ala del carcere di Bari che è ora in ristrutturazione. I sindacati (Osapp, Cisl Fns, Cigl Pp, Ugl Pp, Sinappe, Fsa Cnpp) chiedono che nel carcere di Trani, vengano almeno reintegrate le 50 unità che sono al momento distaccate. In Puglia è da tempo che i sindacati di polizia denunciano il sovraffollamento delle strutture carcerarie e l’inadeguatezza numerica degli organici di polizia penitenziaria. Secondo l’Osapp, su una capienza di 2.550 posti nelle carceri regionali, sono 4.550 i detenuti rinchiusi. Verbania: la scuola incontra il carcere www.piemontepress.it, 11 aprile 2011 La scuola incontra il carcere. Prosegue il lungo progetto che il Comune di Verbania ha iniziato l’anno scorso per avvicinare il mondo dei giovani alla realtà della casa circondariale di Verbania e, più in generale, sull’educazione alla legalità. Nei prossimi dieci giorni si terranno le visite delle delegazioni scolastiche alla struttura di via Castelli, che completano un percorso iniziato in classe attraverso gli incontri con i rappresentanti delle forze dell’ordine, con la direzione del carcere e con i suoi consulenti. Suddivisi in tre giorni, 75 studenti degli istituti superiori “Cobianchi”, “Ferrini” e del liceo “Cavalieri”, sosterranno una visita di due ore nella casa circondariale. Ad accompagnarli ci sarà anche l’assessore all’Istruzione, Lidia Carazzoni. “I ragazzi sono stati preparati per incontrare questa realtà - spiega. una volta all’interno prenderanno visione dei luoghi e degli spazi a disposizione dei detenuti e ascolteranno alcune loro testimonianze dirette”. L’iniziativa, che faceva parte del programma elettorale del sindaco Marco Zacchera, si era sviluppata l’anno scorso come parte integrante di “Te-Cu Teatrocultura”, ricevendo per questo anche i patrocini dei Ministeri della Giustizia e della Gioventù. Nello scorso ottobre proprio nel quadro di Te-Cu, per la “Settimana della Legalità” vi fu la presenza a Verbania dei magistrati Ayala e Piscitiello e degli onorevoli Mantovano e Contento che, oltre al recital “Chi ha paura muore ogni giorno”, parteciparono al Palazzetto dello sport a un dibattito con la partecipazione di oltre 1.200 studenti. La “Settimana della legalità” s’era conclusa con il concerto speciale in carcere del chitarrista Massimo Luca. Lo scopo delle visite della prossima settimana non è tanto quello di utilizzare la visita in carcere come deterrente per comportamenti scorretti, quanto quello di far capire ai giovani che cosa significa essere reclusi e avvicinarsi a un processo di reinserimento, una volta scontata la pena, nella società. Milano: a Opera i detenuti danno spettacolo (educativo) per i figli Il Giorno, 11 aprile 2011 Si è aperta eccezionalmente il 9 aprile a figli di detenuti e invitati, per uno spettacolo dove i padri detenuti hanno letto e interagito con racconti e filastrocche scritti da loro stessi tra cui: Pinocchio, La rivolta degli elettrodomestici ed altre. Grazie al laboratorio “Leggere Libera-mente ai Bambini” Per la prima volta papà detenuti e figli si sono seduti accanto nel teatro del Carcere di Milano-opera. Anche i detenuti senza figli presenti hanno sentito quelli, come figli loro e hanno vissuto l’emozione di vedere dei bambini dopo molti anni. Una persona detenuta, a fine spettacolo, ha sottolineato che l’emozione più forte per lui è stato vedere i compagni di detenzione abbracciarsi con i loro figli e i loro familiari e sentire le risate e gli interventi spontanei dei bambini di fronte alle gag proposte dai laboratori Il commento di tutti è stato “per tre ore abbiamo ritrovato tutti il nostro bambino interiore che sa ridere, giocare, commuoversi e partecipare”. Ciò è stato possibile grazie al lavoro sinergico di molti attori: laboratori, personale di polizia penitenziaria, educatori, volontari, psicologi e la direzione del Carcere. All’evento hanno partecipato inoltre i laboratori di Scrittura creativa, Lettura libera, Genitori sempre e Opera liquida è stato inoltre proposto lo spettacolo “La cucina magica”, di Pandemonium Teatro dove improvvisamente, in una moderna cucina, appare uno gnomo. Spaesato e spaventato da un ambiente a lui sconosciuto, cerca di capire che cosa gli sia successo e soprattutto dove sia finita la fiaba in cui lui è da sempre vissuto e nella quale ha un ruolo fondamentale. Lo spaesamento vissuto dal protagonista è un’efficace metafora del vissuto di chi viene incarcerato, di chi cambia il proprio mondo come l’emigrante, e di chi vede cambiato il proprio mondo come il bambino a cui è sottratto un genitore. Spaesamento e difficoltà ci sono sicuramente anche da parte di chi accoglie e si prende cura di queste persone in difficoltà. Nella fiaba gli elettrodomestici diventano validi aiutanti per un reinserimento nel mondo. Con il Direttore del Carcere nel teatro erano presenti una decina di figli di detenuti che per la prima volta hanno potuto seguire assieme ad altri ragazzi ( figli di giornalisti) lo spettacolo denso di emozioni. Caltagirone (Ct): un “calcio” al disagio per ottanta detenuti La Sicilia, 11 aprile 2011 Un “calcio” al disagio, anche quello che, inevitabilmente, si vive in carcere. È la “ratio” di “Momenti di sport”, il torneo di calcio a nove che, organizzato nella casa circondariale di Caltagirone dal Csi (Centro sportivo italiano), ha come protagonisti - dal 7 aprile, data della prima partita fra Sporting 50 e Real 25 - un’ottantina di detenuti. Già nella cerimonia per la consegna delle maglie (con gli interventi del direttore Valerio Pappalardo, del comandante della polizia penitenziaria, Pino Digiovanni, e, per il Csi, dei vertici locali Angelo Sciuto e Giovanni Russo), i detenuti-calciatori si sono detti felici di essere protagonisti dell’iniziativa. Sei le squadre, con la vincitrice che, il 30 giugno, affronterà una rappresentanza di operatori del Csi e di poliziotti penitenziari. Previsti anche allenamenti e corsi per formare, fra gli stessi detenuti, arbitri e allenatori. Il 2 luglio un convegno. Droghe: Pd; rivedere impianto normativo, valorizzare volontariato e privato sociale Redattore Sociale, 11 aprile 2011 Il partito auspica che la questione sia trattata con urgenza e propone alcune soluzioni: valorizzare volontariato e privato sociale, investire sui servizi di bassa soglia e intervenire sulla "drammatica situazione carceraria". "Una complessiva revisione di tutto l'impianto legislativo in materia di droga e tossicodipendenze". E' quanto auspica il Pd durante un seminario in corso a Roma in via delle Fratte sul tema delle droghe e delle dipendenze. Un momento di riflessione a cui partecipano diversi attori del panorama nazionale impegnati sul fronte delle dipendenze e che vede come oggetto di discussione prima di tutto l'ambito italiano, senza dimenticare il panorama europeo e internazionale.A livello nazionale le idee avanzate dal Pd riguardano in primo luogo il sistema dei servizi dedicati per i quali Beppe Vaccari, della Consulta sanita' del Pd, chiede "stabilita', adeguatezza del personale, una forma chiara e immediata di pagamento delle rette alle strutture accreditate adeguandole ai costi reali di gestione". Tra le urgenze indicate dal Pd anche quella di porre "la tutela della salute dei tossicodipendenti come intervento ordinario di politica sanitaria", tema che riguarda anche la questione della riduzione del danno. Tra le necessita' per il nostro paese anche un "grande patto tra famiglie, agenzie educative, enti locali, associazionismo e gestori di luoghi di divertimento per strategie di prevenzione", ma soprattutto dare "valore aggiunto alle strategie regionali e locali". Tra le proposte anche la valorizzazione del volontariato e del privato sociale, investire sui servizi di soglia piu' bassa ed infine intervenire nella "drammatica situazione carceraria - ha spiegato Vaccari - che vede ogni giorno consumatori e dipendenti ristretti senza che siano attivate le diverse forme di alternativa al carcere, tanto sbandierate dal sottosegretario Giovanardi, ma di fatto applicate in modo risibile". A livello europeo e internazionale, in primo piano l'impegno per la lotta al narcotraffico. Su questo tema non mancano le critiche agli organismi internazionali. "Bisogna prendere atto del fallimento del programma decennale dell'Onu sulla riconversione delle coltivazioni di papavero da oppio e sulla eradicazione delle piantagioni di canapa indiana e coca - ha spiegato Vaccari -. Occorre portare avanti nei diversi organismi internazionali un radicale cambiamento di strategia, che punti a una diretta responsabilizzazione dei paesi produttori". Per Vaccari, inoltre, occorre "portare avanti con forza la proposta di inserire tra gli obiettivi dell'agenzia dell'Onu politiche di riduzione dei rischi sulla salute derivanti dall'abuso di droghe, nella consapevolezza che la criminalizzazione nel consumo non ha sortito alcun risultato, mentre crescono interessanti esperienze positive negli stati che hanno fatto del consumo di droghe prima di tutto un problema di salute pubblica". Sempre a livello internazionale, occorre poi portare avanti "la lotta alle mafie e individuazione dei santuari del riciclaggio come grande emergenza nazionale". Bahrein: due manifestanti contro il regime sono morti in carcere, 86 liberati Ansa, 11 aprile 2011 Due attivisti sciiti del Bahrein, arrestati nell’ambito della repressione delle proteste contro la monarchia sunnita esplose a metà febbraio, sono morti in carcere. Lo riferisce la Bbc. Stando al ministero dell’Interno di Manama, il 31enne Ali Issa Saqer, arrestato il 13 marzo con l’accusa di aver tentato di uccidere un agente di polizia, è morto mentre gli agenti lo bloccavano per impedirgli di ‘provocare il caos’. Il 40enne Zakaraya Rashed Hassan, secondo la versione del dicastero, era malato di anemia mediterranea ed è stato trovato morto nella sua cella. Hassan era stato arrestato il 2 aprile con l’accusa di “aver pubblicato notizie false, promuovere le divisioni settarie e voler rovesciare il regime”. Per gli attivisti per la difesa dei diritti umani, sia Hassan che Saqer hanno subito torture in carcere, anche psicologiche. “Riteniamo che li abbiano uccisi in prigione”, ha commentato alla Bbc Nabeel Rajad del Centro per i diritti umani del Bahrain. Le sue parole arrivano mentre si moltiplicano le denunce di torture subite da attivisti in carcere. Le autorità respingono simili accuse, ma hanno anche promesso che faranno luce sulle denunce. In Bahrain è in vigore dal mese scorso lo stato d’emergenza e le autorità sono spesso ricorse all’uso della forza per bloccare le numerose proteste contro la monarchia, che hanno provocato, dal 14 febbraio, oltre 25 morti. A sostegno delle forze di sicurezza del Bahrain sono giunti nel Paesi militari degli Emirati e dell’Arabia Saudita. Secondo i gruppi per la difesa dei diritti umani, da allora sono state arrestate oltre 400 persone, tra attivisti, medici, blogger e sostenitori dell’opposizione. Le autorità del Bahrein hanno annunciato la liberazione di 86 detenuti tra coloro arrestati durante le manifestazioni di protesta che da metà febbraio a metà marzo hanno scosso il piccolo regno del Golfo. "Le autorità competenti hanno liberato 86 detenuti dopo il completamento delle procedure regolamentari', ha annunciato il ministero dell'Interno del Bahrein con un comunicato, senza tuttavia fornire altri dettagli. Alcuni ambienti dell'opposizione ritengono che siano state circa 400 le persone arrestate nel corso delle manifestazioni alimentate dalla maggioranza sciita contro la dinastia sunnita degli al-Khalifa. Secondo Manama sono 24 le persone morte nei disordini, tra cui quattro poliziotti. Altri tre manifestanti sarebbero morti in prigione, secondo le stesse autorità. Iran: imppicato trafficante di droga in carcere del sudovest Ansa, 11 aprile 2011 Un uomo, identificato come Karim Kh., è stato impiccato per il reato di narcotraffico nel carcere di Ahvaz, nel sudovest dell’Iran. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Isna, precisando che la condanna a morte è stata eseguita sabato. L’ Isnà non ha fornito ulteriori dettagli a riguardo. Secondo i dati forniti da alcune ong per i diritti umani, sarebbero almeno 90 le impiccagioni eseguite nella Repubblica Islamica da inizio anno. Gran parte delle sentenze riguardano trafficanti di droga. Nel 2010 le condanne eseguite in Iran, secondo dati ufficiali, sono state 179, mentre nel 2009 sono state 388. La Repubblica Islamica è il secondo paese al mondo per numero di condanne a morte eseguite dopo la Cina.