Giustizia: processo penale a due velocità; galera per i poveri, prescrizione per i ricchi di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2011 Sarà perché, come scriveva Salvatore Satta, il processo è un "mistero". Fatto sia che la giustizia penale non riesce a decollare, nonostante le attenzioni della politica. Nell'89 entrò nelle aule giudiziarie il "processo alla Perry Mason", nel 2000 il "processo giusto", ora si parla di "processo breve" o "europeo": cambiano le etichette, le norme (83 leggi dall'89), ma non la realtà: ogni anno la prescrizione fulmina circa 150mila processi. Anche di più, quando arrivano tagli improvvisi dei termini. Con buona pace della certezza del diritto, della certezza della pena, della tutela delle vittime. E delle casse dello Stato. La giustizia è un servizio, ma è anche un potere. E secondo una regola ferrea della politica, ha scritto di recente Luciano Violante, "nessun potere è disposto a riconoscere a un altro i mezzi per funzionare meglio se non sono chiari i presupposti e i confini della sua azione". Se è così, la politica non sarà mai disposta a far funzionare la giustizia nell'interesse dei cittadini se prima non avrà definito i poteri della magistratura e messo se stessa in sicurezza. Ma il fisiologico conflitto tra politica e giustizia è ormai diventato patologico. E a farne le spese è il processo penale. C'è sempre qualcosa di nuovo, anzi, di antico nella politica giudiziaria. Che individua le cause, sfiora le soluzioni, ma poi imbocca strade diverse. Le cause: ogni anno oltre 3 milioni di nuovi fascicoli piombano sulle scrivanie di 2.103 pm e 2.481 giudici (più altri 828 occupati anche nel civile) che hanno di fronte un esercito di 230mila avvocati (record in Europa). I magistrati italiani sono tra i più produttivi del continente e smaltiscono circa 1.200 processi ciascuno, per un totale di 3 milioni 318.246, di poco inferiore ai nuovi arrivi. Andrebbe bene se la quantità non andasse a scapito della qualità, ma soprattutto se non ci fosse la zavorra dell'arretrato, che resta attestato su 3,29 milioni di procedimenti. La procedura è farraginosa, lunga, spesso inutilmente formalistica e contraddittoria, costellata da tempi morti e terreno fertile per tattiche dilatorie. C'è moltissimo da arare, semplificando, informatizzando, trovando forme alternative e rapide di definizione, che in altri Paesi chiudono dal 20 al 50% dei processi. Ma il vizio d'origine è la pretesa della politica di trasformare in reato ogni fatto che abbia disvalore sociale, allestire un processo e punirlo con il carcere. Sulla repressione penale si scarica la risposta ad ogni problema sociale (disagio mentale, immigrazione, droga), ingolfando il processo e il carcere. Le soluzioni: non si investe più nella giustizia e i fondi hanno toccato il minimo storico dal 2000 (1,35% del bilancio dello Stato). A risorse invariate, tutti concordano sulla necessità di depenalizzare i reati minori, sottraendoli alla macchina del processo da riservare ai casi più gravi. Condivisa è anche la necessità di un diritto penale minimo, con pene alternative al carcere, efficaci quanto e forse più della galera. Sul fronte organizzativo, l'imperativo è razionalizzare le risorse esistenti, tagliando i Tribunali minori con meno di 20 magistrati (sono 88 su 165). Le strade imboccate: leggi settoriali, contingenti, contraddittorie, approvate senza valutazioni d'impatto. Norme manifesto come il "processo breve". O leggi come la ex Cirielli, che ha tagliato la prescrizione, o come il "processo breve", che ci riprova. Risultato: una giustizia a due velocità. La descrive bene, con un'immagine efficace, il pm Paolo Ielo: "Al piano terra del Tribunale di Milano si trattano gli arresti in flagranza, i "reati di strada", droga, rapine, violazione della Bossi-Fini: il processo è rapido, ogni giorno vengono comminati svariati anni di galera, la prescrizione non esiste anche perché gli imputati sono poveri e non possono permettersi un avvocato di fiducia. Al terzo piano si trattano i reati di aggiotaggio, corruzione, falso in bilancio, per i quali non è previsto l'arresto in flagranza, gli imputati non sono i "meno abbienti" del piano terra, gli anni di galera comminati ogni giorno sono di gran lunga inferiori, il processo è più garantito e molti reati vanno in prescrizione perché la ex Cirielli ne ha ulteriormente diminuito i tempi". Insomma, giustizia rapida ai piani bassi, lenta ai piani alti. Depenalizzazione, revisione della geografia giudiziaria, eliminazione dei formalismi inutili del processo sono proposte presenti nei programmi elettorali delle forze politiche. Che vinte le elezioni, però, le lasciano nel cassetto. Giorni fa, il ministro della Giustizia Angelino Alfano se ne è ricordato e le ha "offerte" all'opposizione in cambio della disponibilità sulla riforma costituzionale della giustizia che dovrà "riequilibrare i poteri". Mancano meno di due anni alla fine della legislatura. Ne sono già trascorsi tre, segnati da un conflitto esasperato tra politica e giustizia. La maggioranza ormai teorizza apertamente che la "priorità" da risolvere è "l'anomalia giudiziaria" della "persecuzione" di alcuni magistrati nei confronti del premier. E così, finora il Parlamento è stato costretto a discutere ben 9 iniziative legislative dirette ad arginare le pendenze giudiziarie di Silvio Berlusconi. Alcune devastanti per il processo penale, fermate anche grazie alla moral suasion del Quirinale. La prima risale a maggio 2008: il governo tenta di inserire la norma "blocca-processi" nel decreto sicurezza, poi stralciata e riproposta nel ddl di conversione. La norma non passa per il veto del Colle. A giugno 2008 il governo vara il ddl intercettazioni, un duro colpo alle indagini e alla libertà di stampa. Finisce su un binario morto, anche qui con l'intervento del Quirinale. A seguire il Lodo Alfano, che sospende i processi alle più alte cariche dello Stato. Quelli a Berlusconi riprendono solo dopo che la Consulta boccia il Lodo. A febbraio 2009 è la volta del ddl Alfano sul processo penale: 34 articoli, molti destinati ad allungare i tempi processuali perché vietano di usare sentenze definitive come prova dei fatti in esse accertati e ampliano i poteri della difesa. Il ddl è fermo al Senato. A novembre 2009, il Pdl presenta il "processo breve", la ghigliottina ai processi che superano 2 anni in primo grado, in appello, in Cassazione. Per fermarlo, l'Udc propone con il Pdl il "legittimo impedimento", che garantisce al premier uno stop di 18 mesi nei suoi processi, fino al varo del Lodo Alfano bis. Che arriva a settembre 2010, ma si arena al Senato. Intanto la Consulta boccia il "legittimo impedimento" e la maggioranza ripesca il "processo breve". Ma il Colle fa muro. Il ddl cambia (niente più ghigliottina dei processi) e viene ribattezzato "processo europeo" ma imbarca, a sorpresa, la "prescrizione breve" per gli incensurati. Il resto è storia recentissima: al Senato il Pdl vota una norma che amplia i poteri della difesa e allunga i tempi del dibattimento (perciò chiamata "processo lungo"), persino nei casi di rito abbreviato. Giustizia: per le carceri spesi 29 miliardi in 10 anni, ma rimangono alveari sovraffollati di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 10 aprile 2011 Mohamed, figlio di un tunisino arrivato in Italia negli anni 70, raggiunge il padre con la madre e i fratellini nell'89. Dopo la scuola dell'obbligo, decide di lavorare e di fermarsi con il padre a Siracusa, mentre il resto della famiglia torna in Tunisia. A 18 anni ottiene un permesso di lavoro, fa il cameriere e vive con la fidanzata italiana. Per cinque anni va tutto liscio, poi perde il lavoro e si ritrova clandestino. Dovrebbe tornare in Tunisia, in un Paese che non conosce e in cui si sente "straniero". Resta in Italia e comincia a lavorare in nero, dando anche lezioni di italiano agli arabi che vogliono impararlo. Poi arriva l'accusa di molestie e il carcere. Ne esce quattro mesi dopo, in attesa di giudizio. Intanto la Questura gli notifica il decreto di espulsione. E lui ora deve scegliere: o sprofondare nella clandestinità - sfuggendo al processo e all'espulsione, ma rischiando un altro processo per mancata ottemperanza all'ordine di espulsione e con la prospettiva del carcere - oppure attraversare il Mediterraneo in senso contrario a quanto stanno facendo i suoi connazionali e a quanto fece lui stesso 20 anni fa. Gli stranieri detenuti sono 24.829 e 1.301 stanno "dentro" solo per non avere eseguito l'ordine di espulsione. Sono un terzo della popolazione carceraria (67.615); un altro terzo (26.277) è rappresentato dai tossicodipendenti. Gli uni e gli altri, insieme agli "psichiatrici" e agli autori di "reati di strada", costituiscono la clientela abituale delle patrie galere: entrano ed escono senza che il carcere abbia per loro alcun senso, né rieducativo né di reinserimento sociale. Le leggi sulla droga e sugli immigrati, complice la stretta sui recidivi e sulle aggravanti varata con la ex Cirielli e con i pacchetti-sicurezza, ha aperto le porte della galera a tanti che non dovrebbero starci. Molti anche gli imputati, 28.220, di cui oltre la metà in attesa della prima sentenza. I tempi lunghi del processo hanno trasformato la custodia cautelare in una pena anticipata. Le misure alternative (destinate non a "sfollare" ma a "reinserire") sono precipitate dopo la stretta della ex Cirielli: nel 2003 in misura alternativa c'erano 48.195 detenuti, 50.228 nel 2004 e 49.943 nel 2005; oggi ce ne sono appena 16.018. A gennaio 2010 il sovraffollamento delle carceri è diventato "emergenza nazionale"; sei mesi prima la Corte di Strasburgo aveva condannato l'Italia per trattamenti inumani e degradanti... Dall'inizio della legislatura, la politica della carcerizzazione ha portato "dentro" 10mila persone (nel 2008 i detenuti erano 58.127). La "svuota carceri", approvata nel 2010, si è rivelata un flop perché ha fatto uscire (in detenzione domiciliare) solo 1.788 detenuti. Di riforma delle misure alternative non si parla più. Si attende il miracolo del "piano carceri", che finora ha prodotto 1.265 nuovi posti, ma i detenuti sono aumentati del doppio (2.533). Il sistema gira a vuoto. E costa: 29 miliardi di euro nell'ultimo decennio. Ma la manutenzione delle carceri e l'attività di rieducazione hanno avuto il 31% in meno dei fondi. Malgrado la leggera flessione degli ingressi, il sovraffollamento resta una piaga - condizioni invivibili, record di suicidi, scioperi dei poliziotti, proteste dei carcerati - e blocca ogni tentativo di risocializzazione dei detenuti. Anzi, il carcere, così com'è, produce il 70% dei recidivi. Un fallimento per la giustizia penale. Un boomerang per la sicurezza collettiva. Giustizia: meno misure alternative, più affollamento; il rapporto di Ristretti Orizzonti di Paolo Persichetti Liberazione, 10 aprile 2011 Oltre un milione e centomila galline ovaiole "prigioniere" in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge sono state sequestrate dai Nas durante una serie di controlli in allevamenti del centro nord, effettuati in vista delle festività pasquali. La presenza nelle gabbie era del 50% superiore al numero di animali consentito dalle attuali normative europee. Una situazione analoga alla condizione di vera e propria calca che si vive nelle celle delle carceri italiane, dove le persone sono stipate l'una sull'altra. 67.615 presenze registrate alla data del 28 febbraio 2011 per una capienza che sulla carta raggiunge i 45.320 ma in realtà è inferiore. Molti sono posti fantasma. Intere sezioni, pur disponibili, restano vuote con la conseguenza che la statistica diluisce l'affollamento reale. Il dato medio falsa le condizioni ben più drammatiche che si vivono nei maggiori istituti metropolitani e nelle prigioni del Sud, dove la presenza nelle "stanze di pernottamento" (ma dove si soggiorna 20-22 ore al giorno) raggiunge tranquillamente il doppio della capienza prevista. Insomma si sta peggio delle galline ovaiole tutelate dai Nas. Se gli stessi criteri utilizzati per i pennuti dalle uova d'oro venissero applicati agli umani, le nostre carceri chiuderebbero. Questo è il primo dato che emerge dalla elaborazione delle ultime stime, rese note dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, realizzato da Ristretti orizzonti, la piattaforma multimediale di cultura e informazione dal carcere promossa da detenuti ed ex detenuti della casa di reclusione Due palazzi di Padova e sostenuta dall'associazione di volontariato "Granello di Senape Padova". Si esce di meno e si entra di più Altra conseguenza significativa registrata dalle cifre ufficiali è il fatto che una volta entrati in carcere non si esce, o meglio, si esce il più tardi possibile. Gli ergastolani, per esempio, restano in carcere ben oltre i 30 anni reali, che sommati ai giorni di liberazione anticipata (la buona condotta) spesso avvicinano i tetti di pena maturata a cifre da capogiro. La pena si sconta chiusi in cella fino all'ultimo giorno e chi quell'ultimo giorno non ce l'ha rischia di uscirne solo con i piedi in avanti. Il raffronto proposto tra il numero delle misure alternative applicate al 28 febbraio 2011 e quelle concesse prima che entrasse in vigore la cosiddetta legge Cirielli (251/2005 ), normativa che pone molte limitazioni alla loro applicazione nei confronti di condannati recidivi, non consente repliche. Oggi sono in misura alternativa 16.018 persone, dei quali 8.604 in affidamento ai servizi sociali, 858 in semilibertà (tra loro gli stranieri sono soltanto 85), 6.556 in detenzione domiciliare (non quella speciale entrata a regime recentemente e utilizzabile da poche decine di persone), a cui vanno sommati i condannati a lavori di pubblica utilità (41 in tutta Italia), ammessi al lavoro esterno (423 persone). Altre 2.023 sono le persone sottoposte alla libertà vigilata e 104 alla libertà controllata. Prima della Cirielli erano in misura alternativa: 48.195 persone nel 2003, 50.228 nel 2004 e 49.943 nel 2005. Le restrizioni della Cirielli hanno prodotto una riduzione di quasi 2/3 a fronte di un incremento della popolazione reclusa. A causa degli inasprimenti sulla recidiva e di altre norme in materia di sicurezza (tra cui l'estensione della fascia di reati ostativi o che vedono ritardata l'applicazione della Gozzini e delle misure alternative), l'esecuzione penale esterna è tornata ad essere quella dei primi anni 90, quando c'erano 20 mila detenuti in meno. 13mila persone in misura alternativa nel 1994, 15 mila l'anno successivo. L'industria della punizione gira a pieno regime. Giustizia: rapporto Usa sui diritti umani; in Italia eccessivo uso del carcere preventivo Il Manifesto, 10 aprile 2011 Nel rapporto sulla tutela dei diritti umani, anche la violenza sulle donne e i maltrattamenti ai danni dei gay, le lesbiche i rom e le altre minoranze. In primo piano i tempi troppo lenti della giustizia italiana e l'eccessivo ricorso al carcere preventivo. Poi la violenza sulle donne e i maltrattamenti ai danni dei gay, le lesbiche i rom e le altre minoranze. Sono questi i principali problemi del nostro Paese, secondo gli Stati Uniti, sul fronte della tutela dei diritti umani. È quanto emerge dalla parte dedicata al nostro Paese del rapporto annuale sui diritti umani in tutto il mondo, redatto dal Dipartimento di Stato Usa, appena diffuso a Washington. Oltre 29 cartelle fitte fitte in cui la diplomazia americana segnala le mancanze maggiori che il nostro Paese ha fatto registrare nel corso del 2011 nella ricerca di una piena tutela dei diritti dell'individuo. Sul banco degli imputati, prima di tutto la giustizia. Poi la situazione nelle carceri e le continue violenze sulle donne, i gay, i rom e le minoranze in genere. La premessa del lungo rapporto, sintetizza così, in poche righe, i risultati dell'analisi che si è avvalso del contributo di molte organizzazioni indipendenti non governative, italiane e internazionali. "I principali problemi dell'Italia, sul fronte della tutela dei diritti umani - esordisce il rapporto - sono la lunghezza dei tempi della detenzione preventiva, prima del processo, l'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, le violenze contro le donne, il traffico di esseri umani e rapporti di atteggiamenti negativi e molestie e maltrattamenti nei confronti dei gay, delle lesbiche, dei rom e di altre minoranze". In grande rilievo il primo punto, quello dei problemi legati alle disfunzioni del sistema giudiziario italiano. "Secondo osservatori indipendenti, analisti e magistrati - si legge nel rapporto - i ritardi accumulati sono dovuti al grande numero dei processi, alla mancanza di rimedi extra-giudiziari, all'insufficiente e inadeguata distribuzione degli uffici e delle risorse economiche, inclusi i giudici e gli impiegati di cancelleria". Strettamente legato al tema della giustizia, le difficoltà del nostro sistema penitenziario: "Molti centri di detenzione italiani - si legge nel rapporto - rispondono agli standard internazionali, sebbene alcune carceri siano gravemente sovraffollate e antiquate". Citando i dati forniti il 30 novembre dal ministero della Giustizia italiano, il rapporto ricorda che sono 69.155 i detenuti in Italia che vivono in un sistema penitenziario adeguato a ospitarne 44.066. Inoltre, sottolinea il rapporto, "alcune prigioni, soprattutto le più vecchie, mancano di spazi all'aperto o dove fare esercizio fisico e di un'adeguata assistenza medica". Infine il dato che allarma più di tutti il Dipartimento di stato Usa, è quello della carcerazione preventiva: "A settembre circa il 54% della popolazione carceraria stava scontando la sua pena, mentre il 43% era in attesa di processo". Citando una ricerca indipendente, il rapporto ricorda che tra gennaio e novembre 2010, sono morti 160 detenuti, di cui 61 suicidi. "Secondo le denunce - osserva il Dipartimento di Stato - solo un piccolo numero di queste morti sono state il risultato di abusi o negligenze da parte di agenti di custodia carceraria". Il rapporto cita infine l'opera di Antigone, l'organizzazione non governativa che si batte a favore dei diritti dei detenuti. Lettere: reintrodotta "pena di morte" nelle carceri italiane, senza bisogno di legiferare… di Ada Palmonella (psicologa penitenziaria) Ristretti Orizzonti, 10 aprile 2011 Il Governo ha nella sostanza reintrodotto la "pena di morte", senza la necessità di legiferare. Fino ad oggi, da inizio 2011, nelle carceri italiane, 40 detenuti sono stati "giustiziati"! 16 si sono suicidati. Modalità più comune: impiccagione. Non sono conteggiati i tentativi di suicidio. Troppi per conteggiarli. Gli ultimi due in questi giorni. Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria definisce "eventi critici" questi decessi, compresi gli atti di autolesionismo. Chi entra in carcere oggi non sa se uscirà vivo. Non sa se sceglierà il suicidio per sfuggire alla desolazione di lunghe giornate spese a guardare il muro della cella. Senza più un supporto psicologico per esternare ed alleviare la sofferenza, il dolore di chi, oltre e giustamente avere perso la libertà, è sottoposto al completo abbandono e all'ozio coatto. Ricordo con nostalgia la telefonata dell'allora neo ministro della Giustizia Piero Fassino, in una tarda sera di luglio, che, mi convocava in qualità di psicologo penitenziario, per conoscere il carcere. Per capire come vivevano i detenuti e creare delle soluzioni alle varie problematiche, in particolare quelle psicologiche. Due giorni dopo ero nel suo studio, al Ministero, per spiegare a lui e a allora capo del Dap Caselli, quello che si poteva fare per soluzionare varie problematiche e come i detenuti potevano essere psicologicamente trattati per il loro reinserimento nella società. Qualche cosa è stato fatto, ma è mancato il tempo all'onorevole Fassino per terminare i progetti. Il Ministro Alfano e il dott. Ionta non sembra sappiano che, oltre alle cose materiali, l'essere umano è dotato anche di psiche. Di anima. Dice il Ministro Alfano che le carceri sono sovraffollate. E con ragione. Detenuti che aspettano il giudizio per mesi, ragazzi buttati dentro per 2 o 3 giorni per uno spinello e poi rilasciati per dare il posto ad altri ragazzi con un altro spinello. Stranieri che vogliono essere rimpatriati ma che restano in Italia, ad occupare altri posti. Ad imparare come si ruba, come si spaccia, come si uccide. O come ci si impicca. Il programma di governo punta alla rieducazione dei carcerati, senza privare la dignità e la salute. Per attuare questo programma, il governo ha tagliato quasi tutti i fondi destinati al sostegno psicologico, ormai ridicolo ed avvilente per gli operatori, per gli psicologi e per gli stessi detenuti che implorano un colloquio. Che è negato. Ha tagliato tutto quello che serve per il reinserimento del detenuto che, lasciato solo, diventerà sempre più cattivo e violento. Sempre che riesca a sopravvivere. Gli Agenti della Polizia Penitenziaria, ormai stremati, aspettano i promessi "rinforzi" che ancora non arrivano. E quando e se arriveranno, saranno costretti, dopo un breve corso, anche a svolgere colloqui di inserimento e sostegno psicologico. Come se il detenuto possa riuscire ad "aprirsi" davanti ad una divisa da poliziotto, anche se preparato. Si prepara un carcere "duro" che priva della dignità e del possibile recupero di chi ha sbagliato. Anche se solo una volta. Un carcere dove si giocherà a "guardie e ladri". E il lavoro delle "guardie" diventerà ancora più pesante di quello che è già. La pubblica opinione scrolla le spalle e non vuole condividere il dolore di quelle famiglie che hanno avuto un parente in cella in carcere e lo hanno rivisto in una cella frigorifera della camera mortuaria. Ma la pubblica opinione che condanna a priori e senza alcuna clemenza chi ha sbagliato, non si rende conto che se oggi in carcere entra un borseggiatore, in queste condizioni domani dovrà mettere le sbarre alle finestre per evitare i furti in casa. Ma sbarre pesanti! Il Governo ripete sempre e solo che "il recupero dei detenuti può avvenire solo se questi vivono no in sovraffollamento, in carceri dove possano apprendere un'attività, dove possano essere indirizzati ad un recupero nella società. L'articolo 27 della Costituzione dice che non solo la pena deve avere una funzione rieducativa ma non può essere contraria al senso di umanità". All'unanimità approviamo il Governo ma… ci chiediamo, perché il nuovo padiglione del carcere di Velletri che può ospitare 150 detenuti è vuoto per mancanza di personale? Perché poco tempo fa un detenuto si è ucciso, proprio nel carcere di Velletri? Perché il carcere di Oristano forse resterà chiuso per mancanza di personale? Perché non si sono recuperati i tanti Istituti costruiti ed abbandonati? Il capo del Dap ribadisce che dopo l'immobilismo durato 25 anni i poteri straordinari stanno dando ottimi risultai. Francamente, nel caos creato dai tagli alla giustizia, vediamo solo poteri straordinari nella creazione del caos più totale. Ad ora, comprese le carceri nuove e vuote e quelle ed abbandonate da anni, vediamo solo un risultato "ottimo" realizzato per sfoltire il carcere: ogni detenuto che si uccide lascia un posto vuoto in cella! Dimentichiamo pure che i suicidi sono dettati dalla disperazione. Dalla depressione dovuta ad un modo di vivere che solo un "esperto" può curare, aiutare, risolvere. Un dottore dell'anima. Uno psicologo che tutti, per comodo, per paura o distrazione dimenticano che esiste. Tutti i nuovi istituti di pena, quando saranno terminati rimarranno vuoti perché non ci saranno più operatori, psicologi, educatori e polizia penitenziaria? E se ci sarà la polizia penitenziaria, torneremo alle vecchie modalità detentive? Cosa faranno i detenuti per imparare nuovi lavori se tutti i soldi (tanti, tanti) saranno spesi solo per nuove costruzioni?! Non potranno imparare un lavoro. Non potranno neanche lavorare all'interno perché sono stati tagliati i fondi per i detenuti "lavoranti". Un megagalattico stanziamento di ben 670 milioni di euro. Poteva pensare il Governo di decurtare dall'iperbolica cifra qualche milione di euro per offrire ai detenuti anche dei "servizi" per aiutarli a sopravvivere, a pensare che la vita non è solo reato ma che in ogni essere umano c'è un'anima che, se aiutata a trovarla, può essere una bellissima anima. Anche in un detenuto! Ma non la troveranno girando, certamente più comodi, in una cella più larga, anche con l'acqua calda e la doccia per lavarsi senza aspettare i turni settimanali. Questi sono diritti elementari che ha ogni essere umano. Anche se detenuto. Ma non basta. Il potere di trovare alternative al reato non nasce da comode celle. È dentro ogni uomo. Basta cercarlo. Ma non solo dentro una gabbia anche d'oro. Perché è sempre una gabbia senza una luce, come ha scritto un detenuto scrivendo al ministro di giustizia e, come lo ha definito lui, ministro di morte. Quest'assoluta disparità tra la spesa per i nuovi istituti e i tagli per tutto ciò che porta alla rieducazione ed all'inserimento dei detenuti, mi ricorda una frase detta pochi giorni fa da un detenuto che guardava il magnifico, brillante pavimento di marmo nel carcere di Regina Coeli: "Dottorè… a me piace stare in cella. Mi piacerebbe ci fosse anche lì il pavimento di marmo, perché mi alleno a stare nella tomba. E le lapidi al cimitero sono di marmo." Auguri Ministro Angelino Alfano. Ricordiamoci che gli angeli, quelli veri, ci guardano. E ci giudicano. Lettere: assistenza sanitaria, carcere e diseguaglianze di Antonio Cappelli Terra, 10 aprile 2011 La recente assunzione da parte delle aziende sanitarie locali delle competenze relative all'assistenza sanitaria ai detenuti è stata accolta dall'opinione pubblica come una rilevante conquista sociale. Si realizza infatti così, è stato detto, il fondamentale principio dell'eguaglianza dei cittadini nel campo della protezione della salute. Purtroppo questo ottimistico traguardo nella pratica è ben lontano dall'essere stato raggiunto perché la diseguaglianza rimane la caratteristica distintiva della medicina praticata nelle carceri. Per convincersi di questo è sufficiente qualche esempio. A differenza di tutti i cittadini, il detenuto non può scegliere né il medico di base ne l'ospedale a cui rivolgersi in caso di bisogno ma è invece costretto a fruire dei professionisti e dei servizi che l'organizzazione penitenziaria gli consente. L'eventuale richiesta di rivolgersi, a pagamento, ad un medico di fiducia deve essere approvata dal direttore del carcere. Per ottenere accertamenti diagnostici o visite specialistiche il detenuto nella pratica non può accedere, come accade per i comuni cittadini, alle prestazioni a pagamento "intra moenia" ma deve attendere i tempi, spesso lunghissimi, previsti dalle liste di attesa. L'accesso a prestazioni sanitarie che richiedono interventi fuori dal carcere è inoltre spesso ostacolato dalla carenza dei mezzi di trasporto. La pratica del consenso informato trova importanti limiti nella quotidianità. È frequente infatti, ad esempio, che i farmaci vengano somministrati ai detenuti senza che questi abbiano modo né di conoscerne le finalità terapeutiche ne di controllarne la corrispondenza con le prescrizioni mediche. I settori dell'odontoiatria di prima istanza e delle cure fisiatriche sono infine particolarmente critici nelle carceri perché le carenze organizzative unite alle problematiche della sicurezza impediscono frequentemente di raggiungere al riguardo livelli operativi anche appena accettabili. Individuare questo insieme di carenze e diseguaglianze non significa rimpiangere il vecchio sistema della sanità penitenziaria che è stato senza dubbio bene superare; significa invece riconoscere lucidamente che le asl si sono trovate nella maggioranza dei casi impreparate ad assolvere i nuovi compiti e che è necessario dunque elaborare al loro interno modelli organizzativi adeguati per garantire ai detenuti il diritto alla salute in condizioni di uguaglianza con tutti gli altri cittadini. Calabria: Stillitani (Regione); avviati progetti per reintegro sociale dei detenuti Asca, 10 aprile 2011 Risolvere alcuni dei problemi relativi al reinserimento sociale e lavorativo degli ex detenuti. Questo l'obiettivo dell'assessore al Lavoro e alla Formazione professionale della Regione Calabria, Francescantonio Stillitani, che è intervenuto al convegno "Vite in-grata", sulla situazione delle carceri calabresi. L'incontro, riferisce una nota regionale, si è tenuto a Vibo Valentia, organizzato dalla Conferenza regionale volontariato e giustizia. La Regione Calabria - ha detto in premessa Stillitani - ha solo competenze marginali in materia penitenziaria. Il nostro contributo riguarda principalmente tutto il mondo che ruota al di fuori delle carceri. Sotto quest'ultimo aspetto, infatti, la Regione ha avviato una serie di progetti tesi al reintegro sociale e lavorativo degli ex detenuti, aiutandoli a ricostruirsi un futuro. Da quello per favorire l'accesso al micro credito da parte degli ex detenuti, che potranno usufruire di risorse finanziarie e di un consulente personale per avviare attività imprenditoriali in proprio, a quello riguardante la formazione professionale tramite uno stage da svolgersi presso una azienda della durata di dodici mesi. Attualmente - ha dichiarato ancora Stillitani - sono stati presentanti e finanziati 24 progetti ad altrettante associazioni di volontariato e cooperative. Le risorse messe a disposizione dalla Regione ammontano a quasi cinque milioni di euro. Particolare rilevanza, nell'azione dell'assessorato, riveste anche l'istituzione della figura del Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Lo stesso Stillitani, nel corso del convegno, ha assicurato il suo impegno a sollecitare l'istituzione della nuova figura, che rappresenta il primo passo verso una riforma di tutto il settore penitenziario. Una riforma - ha precisato Stillitani - da attuare in maniera organica con il contributo di tutte le istituzioni. L'apporto fondamentale degli enti locali si è concretizzato con un altro progetto, portato avanti dall'assessorato al Lavoro e alla Formazione, che vede coinvolti quattro Comuni della locride, all'interno dei quali è stata data la possibilità ai famigliari di altrettanti detenuti di lavorare per sei mesi. Altro tassello importante, riguarda la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra Regione Calabria e Conferenza regionale volontariato e giustizia, mirato - ha spiegato Stillitani - a coordinare tutte le azioni regionali in materia penitenziaria. La situazione delle carceri calabresi resta comunque critica. Dai dati diffusi dal Sappe, la Calabria risulta al primo posto per il sovraffollamento degli istituti penitenziari. Bari: caso Saturno; Carlo morto per soffocamento, l'autopsia conferma il suicidio di Francesca Russi La Repubblica, 10 aprile 2011 Non trovati sul corpo segni di lesioni recenti. Resta comunque aperto il fascicolo per istigazione al suicidio contro ignoti. Ascoltate dal magistrato le guardie carcerarie e il sovrintendente rimasto ferito durante il litigio poche ore prima del litigio. Il legale dei parenti ha depositato un'istanza in cui chiede di indagare anche per omicidio colposo. Carlo Saturno è morto per suicidio da soffocamento. È questo l'esito dell'autopsia eseguita ieri pomeriggio nell'istituto di medicina legale del Policlinico di Bari. All'esame autoptico hanno partecipato, insieme con il professore Francesco Introna incaricato dalla Procura di Bari, anche due periti di parte nominati dai familiari di Saturno. Si tratta del medico legale dell'Università di Foggia Margherita Neri e dello psichiatra Elio Serra. Secondo quanto emerso, non ci sarebbero lesioni recenti sul corpo del giovane detenuto né segni che potrebbero provare un omicidio. Tuttavia i medici attendono l'esito degli esami tossicologici e istologici per poter escludere qualsiasi altra ipotesi. Resta comunque aperto in Procura il fascicolo di istigazione al suicidio. Un reato ipotizzato al momento contro ignoti. Gli agenti di polizia penitenziaria che erano in servizio in carcere il 30 marzo scorso, il giorno del suicidio, sono stati convocati nell'ufficio del pm titolare dell'inchiesta, Isabella Ginefra, e ascoltati dal magistrato. È stato sentito anche il sovrintendente di polizia che è rimasto ferito al polso nel violento litigio con il detenuto, avvenuto poche ore prima del suicidio. L'uomo ha riportato una frattura al polso con una prognosi di 35 giorni, un trauma cranico, escoriazioni e lesioni al basso ventre. Ascoltato anche il medico di guardia nell'infermeria del carcere, il primo a visitare Saturno dopo il litigio con gli agenti. La dottoressa avrebbe riferito al pm di non aver riscontrato sul corpo del giovane alcuna lesione dopo la colluttazione con i poliziotti. Il sostituto procuratore non ha iscritto ancora nessuno nel registro degli indagati perché al momento non ci sarebbero "elementi di reità". Le indagini dunque proseguono contro ignoti. Ma i fratelli e le sorelle di Carlo Saturno non credono alla tesi degli agenti di polizia penitenziaria e ci vogliono vedere chiaro. Per questo ieri il legale della famiglia, l'avvocato Tania Rizzo del foro di Lecce, ha depositato in Procura a Bari una denuncia, sempre a carico di ignoti, in cui si chiede di indagare non solo per istigazione al suicidio, ma anche per omicidio colposo. La denuncia porta la firma della sorella Anna e vuole accertare che al giovane sia stata garantita in carcere tutta l'assistenza sanitaria necessaria. Saturno soffriva infatti di problemi psicologici e aveva bisogno di essere supportato dagli psicofarmaci. Problemi che aveva da quando nel 2004 era stato vittima di episodi di violenza nel carcere minorile di Lecce. Fu picchiato per due volte dalle guardie che ebbe poi il coraggio di denunciare. Il 17 novembre scorso Saturno aveva già tentato il suicidio tagliandosi le braccia. Ma non era stato l'unico gesto di autolesionismo. Nei mesi precedenti, spiegano gli agenti di polizia penitenziaria, aveva tentato di ingerire delle lamette. L'avvocato Rizzo ha fatto dunque richiesta al carcere di Bari di avere copia della cartella clinica del ragazzo. "Si tratta di investigazioni difensive - spiega il legale - abbiamo chiesto di acquisire tutti i documenti di Carlo Saturno, dalla cartella clinica al verbale di arresto a seguito della colluttazione avvenuta in carcere il giorno del suicidio". I familiari sono decisi ad andare fino in fondo. "Vogliamo capire cosa è successo - spiega la sorella Anna - non siamo convinti del suo suicidio, vogliamo sapere se è stato assistito adeguatamente dai sanitari in carcere, vogliamo sapere la verità". Favi (Pd): intollerabile la disattenzione di Alfano "L'ennesima tragica morte avvenuta nel carcere di Bari rappresenta emblematicamente la drammatica situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano. È necessario al più presto fare chiarezza sulla morte del giovane Carlo Saturno ed è necessario che il ministro della Giustizia riferisca in Parlamento sull'accaduto. La disattenzione del ministro Alfano nei confronti dell'istituzione carceraria non può continuare. Occorre onorare gli impegni presi nei mesi passati per quanto riguarda gli aumenti di organico degli agenti della polizia penitenziaria e delle altre figure professionali come gli educatori e gli psicologi. Ed è altresì indispensabile ripristinare le risorse economiche assegnate al carcere, che sono state di recente ulteriormente ridotte e che non consentono di garantire i diritti dei detenuti e del personale". Lo afferma Sandro Favi, responsabile carceri del Pd. Dario Ginefra e Alberto Losacco (Pd) visitano Casa Circondariale Bari I parlamentari del Pd Dario Ginefra e Alberto Losacco, al termine della visita alla Casa Circondariale di Bari svoltasi all'indomani della morte del detenuto Carlo Saturno, hanno dichiarato di essere " fiduciosi sulle risultanze degli approfondimenti che la Magistratura sta svolgendo in queste ore" e di augurarsi che "possano essere chiarite tutte le circostanze dell'impiccagione del giovane Saturno. Confermiamo - hanno proseguito i due parlamentari - dopo il sopralluogo di questa mattina, il nostro giudizio critico sulla situazione in cui versa il nostro sistema carcerario e il carcere di Bari in particolare che ad oggi conta una popolazione carceraria doppia rispetto a quella prevista. Riteniamo che il Governo debba dare risposte alle richieste di soluzione dei problemi con i quali quotidianamente il personale penitenziario deve fare i conti. Sicuramente - ha detto ancora - l'istituzione carceraria non è messa nelle condizioni di poter operare con serenità ed efficienza. Nel caso di specie, fatte salve eventuali responsabilità soggettive peraltro tutte da accertare, emerge l'incapacità del sistema carcerario nel suo complesso di svolgere quella funzione prevista dalla nostra Costituzione all'art. 27 laddove si afferma che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". È emerso - hanno ancora precisato Ginefra e Losacco - che il giovane Saturno si era reso protagonista di svariati atti di autolesionismo negli scorsi mesi e che il 17 novembre scorso aveva tentato il suicidio. La sua condizione psicologica era minata da una serie di eventi che avrebbero richiesto, probabilmente, un'attenzione maggiore, una maggiore vigilanza. Chiederemo al Ministro Alfano, ancora una volta, - hanno concluso - di impegnarsi con la stessa abnegazione impiegata per la risoluzione delle questioni giudiziarie del Premier, alla popolazione carceraria, ai diritti dei detenuti, nonché a quelli del personale impegnato nelle nostre carceri che, ogni giorno, con abnegazione, svolge il proprio dovere. È quanto mai urgente, anche a tutela del personale penitenziario, una rapida e puntuale indagine amministrativa". Prato: detenuto muore dopo un intervento di ernia inguinale, forse per "problemi cardici" Il Tirreno, 10 aprile 2011 Un detenuto di 60 anni, che stava scontando una pena di nove anni alla Dogaia, è morto mercoledì scorso, 36 ore dopo essere stato sottoposto a un intervento per un'ernia inguinale. L'Azienda sanitaria ha disposto un esame autoptico indipendentemente dalle decisioni che vorrà prendere la magistratura. Secondo quanto è stato riferito dall'Asl, l'intervento chirurgico era perfettamente riuscito e il paziente, controllato dalla polizia penitenziaria, era stato riportato nel reparto. Apparentemente il detenuto stava bene e non avrebbe mostrato alcun sintomo di altri disturbi. Poi la morte improvvisa, forse dovuta a un problema cardiaco. Mamone (Nu): muore suicida un Assistente capo della Polizia penitenziaria Agi, 10 aprile 2011 Un assistente capo della polizia penitenziaria, Ruggero Porta, 42enne, in servizio alla Casa Reclusione di Mamone Lodè (Nuoro) si è suicidato con la pistola di ordinanza. Ne dà notizia la segreteria nazionale della Uil Penitenziari. L'agente penitenziario era effettivo presso la Casa Circondariale di Brescia Canton Mombello ma da circa dieci anni era stato distaccato presso la struttura penitenziaria di Mamone. Il suicidio è avvenuto in un appezzamento agricolo di proprietà sito in Sardala (Ca). "Siamo molto scossi da questa tragica notizia - afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari - Il nostro pensiero corre ai familiari cui inviamo i sentimenti del nostro vivo cordoglio. Siamo vicini alla famiglia ed ai nostri colleghi di Mamone. Non sappiamo i motivi che hanno indotto Ruggero a questo gesto estremo. Ci riferiscono che da tre giorni si era assentato dal servizio per malattia, ma nulla faceva presagire alla tragedia. Intendiamo osservare un rispettoso ed ossequioso silenzio, ma questa ennesima tragedia non aiuta il personale penitenziario a trovare la necessaria serenità". Lo sgomento del Sappe alla notizia del suicidio "Ancora una volta il Corpo di Polizia Penitenziaria piange l'ennesimo collega che ha tragicamente deciso di togliersi la vita. Un Assistente Capo in servizio nel sardo penitenziario di Mamone Lodè, ma effettivo al carcere di Brescia, si è suicidato con la pistola d'ordinanza: una tragedia immane, che ci lascia ancora una volta impietriti. Ci stringiamo con tutto l'affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile dei familiari, degli amici, dei colleghi." È il commosso commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando il suicidio di un Assistente Capo della Polizia penitenziaria. Capece aggiunge: "Assume certamente aspetti estremamente preoccupanti il fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti alle Forze di Polizia ed a quelli della Polizia penitenziaria in particolare. Bisogna comprendere e accertare quanto ha eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative dei colleghi suicidi nel tragico gesto estremo posto in essere. L'Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni - nell'ordine di 10 casi in pochi mesi! -, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono, in taluni casi, le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l'eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt'oggi non abbiamo ancora avuto assicurazioni circa su quanti sono e dove sono stati attivati questi importanti Centri di ascolto. E non è escluso che il Sappe torni in piazza a Roma, davanti alla sede dell'Amministrazione penitenziaria, per contestare l'questa indifferenza dei notabili e dei burocratici del Dap, che da vent'anni siedono nelle stanze del potere romano". "È davvero un luogo comune pensare che lo stress lavorativo riguardi solamente le persone fragili" aggiunge Capece. "Al contrario, il fenomeno colpisce, inevitabilmente, tutti i lavoratori, e in modo particolare coloro che operano nei servizi di sicurezza e tutela pubblica, che non solo vivono sovente in una costante situazione di rischio, ma spesso vengono a contatto con situazioni di dolore, angoscia, paura, violenza, distruzione e morte non escluse anche le conflittualità interprofessionali in una struttura fortemente gerarchizzata quale è quella della Polizia penitenziaria. Il Sappe sottolinea infine "l'effetto burn-out tra i poliziotti penitenziari, una forma di disagio professionale protratto nel tempo e derivato dalla discrepanza tra gli ideali del soggetto e la realtà della vita lavorativa. Per questo riteniamo - e lo ribadiamo oggi con forza, dopo la tragedia di Mamone - che l'istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia -garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - possa essere un'occasione per aumentare l'autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all'interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l'aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria". Messina: il direttore dell'Opg di Barcellona P.G; non voglio essere il kapo di un lager… di Domenico Calabrò Gazzetta del Sud, 10 aprile 2011 Senza personale, senza medici e senza farmaci: altro che struttura di cura, questa è una pattumiera umana! Li chiamano Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari), tutti li definiscono manicomi criminali, ma in realtà sono ignobili lager per internati condannati a volte a scontare pene che nessun giudice ha loro inferto. Sono luoghi di discarica umana, una pattumiera per scarti della società, vergognosamente tollerata perché spesso si preferisce non vedere tutto ciò che accade a un palmo di distanza. Sbaglia chi pensa che siano "carceri". Dovrebbero essere strutture di cura e di riabilitazione: ma chi vi entra mezzo sano, nel giro di poco non ha più speranza. Nessuno lo cura, nessuno lo assiste e diventa un calvario. La drammaticità della situazione era stata denunciata dalla Commissione parlamentare presieduta dal sen. Ignazio Marino, che ha documentato con filmati e fotografie ciò che nessuno avrebbe potuto immaginare e che ha la raffigurazione terrena di un inferno nel quale non tutti gli internati sono Luciferi. C'è pure qualche povero diavolo finito lì dentro per qualcosa di poco conto (emblematico il caso di un giovane catanese ristretto da 25 anni a seguito di una rapina che fruttò settemila lire!). Ma c'è anche chi è lì da anni perché era stato fermato soltanto per un oltraggio a pubblico ufficiale! Mentre una volta c'era la "corsa" per tanti detenuti ordinari a farsi riconoscere qualche infermità mentale per ottenere il trasferimento in uno dei sei ospedali psichiatrici giudiziari, oggi quella "corsa" si è un può frenata anche perché all'esterno si sa che, forse è meglio l'ospitalità in un istituto di pena più confortevole, che non in quei lager all'interno dei quali chi entra perde la dignità. Una volta farsi dichiarare "pazzo" era privilegio di boss di rango che trovavano compiacenze istituzionali: oggi non è più così perché l'ospedale psichiatrico non è più "l'hotel Maria". A Barcellona Pozzo di Gotto c'è una delle sei discariche per umani (le altre sono Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere), dislocate sul territorio, definito ospedale psichiatrico, ma che ospedale non è. Il dott. Nunziante Rosania è il direttore della struttura, ma è anche il vice direttore è anche direttore sanitario e pure direttore amministrativo e anche direttore di reparto. Insomma, si dirige e si trasforma e interloquisce con sé stesso ogni qualvolta deve assumere iniziative. I medici non ci sono? E qual è il problema? È medico. "Mi ferisce come uomo di Stato una situazione del genere", dice sconfortato il dott. Rosania che aggiunge: "questi ospedali giudiziari andavano chiusi già da venti anni, creando strutture protette regionalizzate per curare gli internati che hanno comunque diritto alla dignità e alla cittadinanza". Chi dovrebbe aiutare i 170 deportati, il medico che ha un contratto di 35 ore mensili di impiego o gli psicologi il cui servizio è appena di 7-8 ore al mese? Cosa c'è di serio in tutto ciò? "Di fronte ad una realtà così - dice il dott. Rosania - appaio come il kapo di un lager. Ma credetemi, ho tutt'altra aspirazione e certamente il mio impegno è per alleviare sofferenze e non per accrescerle. Malgrado tutto". A rendere ancor più ignobile la situazione è la restrizione di quattrocento internati in tutta Italia che potrebbero uscire ed essere affidati alla sanità territoriale che, però, non li accoglie. Sessanta potrebbero godere della licenza finale di esperimento, ma preferiscono restare lì non sapendo dove andare. Ci sono anche situazioni limite di chi viene fatto uscire, ma torna e chiede di essere accolto nuovamente nella struttura che ormai considera "casa propria" visto la situazione di ulteriore disagio in cui potrà trovarsi tornando ad una vita cui non era più abituato. A fronte di cotanto degrado, qual è fortuna di questo manicomio? Non abbiamo suicidi, dice il dott. Rosania. (La mente di chi scrive, con tutta la carità cristiana è attraversata per un attimo da un pensiero: ma è una fortuna?). "Questo ospedale - aggiunge il direttore tuttofare - ha svolto nei decenni passati la sua funzione: adesso con la crisi e l'abbandono in cui è stato lasciato, andrebbe chiuso se non altro perché non ha più funzione terapeutica I sopralluoghi effettuati dalla delegazione della Commissione d'inchiesta del Senato sull'efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale hanno riscontrato gravi carenze un po' ovunque e le condizioni di disagio sono inenarrabili. Dalle omesse cure ai degenti; ai letti di costrizione con le reti arrugginite a causa dei rifiuti organici; latrine senza un minimo di privacy, olezzo, lenzuola - quando esistono - sporche da settimane; medicinali inesistenti; vitto carente e comunque non rispondente ad una dieta equilibrata. Gli operatori degli Ospedali psichiatrici giudiziari - dice il dott. Nunziante Rosania - stanno cercando in tutti i modi di compiutamente informare gli organi politico-istituzionali sulla situazione delle realtà psichiatrico-giudiziarie italiane. Realtà penitenziarie da sempre abbandonate a se stesse, prive di ogni attenzione da parte della società civile, iper-affollate da una popolazione ricoverata variegatissima per posizioni giuridiche e per espressività psicopatologica, senza risorse economiche, con un personale in parallela (rispetto al vertiginoso incremento degli internati) drammatica decrescita, nell'impossibilità di dimettere i pazienti per la tenace resistenza all'accoglienza degli stessi da parte dei servizi psichiatrici territoriali, nel pervicace rifiuto della Regione Sicilia di farsi carico (come impone il Decreto del 1 aprile 2008) della gestione sanitaria dell'Opg di Barcellona (il quale rimane in toto all'interno del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che, come noto, versa in una condizione di assoluta carenza di risorse). Come di tutta evidenza gli aspetti della questione inerente gli Opg - aggiunge il dott. Rosania - sono molteplici e complessi e quelli sopra cennati sono solo alcuni di una vicenda che i dirigenti ed il personale di questi istituti da decenni stanno tentando di segnalare al livello politico ed alla pubblica opinione al fine di pervenire ad una radicale, urgente riforma che superi le "istituzioni totali" (con funzione, di fatto, di conclamate discariche sociali) e concepisca progetti individualizzati di cura e un sistema di presidi psichiatrici regionalizzati, sanitarizzati, affidati a personale specificamente formato per promuovere semplificazione gestionale umanizzazione, efficacia terapeutico-assistenziale, reinserimento sociale, e possibilmente lavorativo, che prevenga la recidiva di reato". Insomma un sogno irrealizzabile. La speranza svanisce e lo sconforto aumenta mentre il degrado è condiviso da una responsabilità istituzionale centrale e periferica che ha tollerato (e tollera) ad esempio, la mancanza di farmaci per curare e quella mafia (che spesso non è Cosa Nostra) con l'orticello da gestire anche sulla pelle di poveri disgraziati che hanno trovato l'inferno a volte senza pene da espiare. Inaugurato un reparto esterno per dodici ricoverati Da ieri per 12 internati dell'ospedale psichiatrico "Vittorio Madia" di Barcellona si è aperta una nuova fase finalizzata al compimento, mai raggiunto prima, della riabilitazione e del futuro superamento delle attuali strutture detentive per i malati di mente che commettono reati. L'Ospedale psichiatrico giudiziario ha infatti inaugurato, alla presenza del prefetto Francesco Alecci, il reparto esterno nel quartiere Oreto, realizzato in un moderno edificio concesso in comodato d'uso dal Comune di Barcellona, intitolato alla psichiatra Carmen Salpietro (già vice direttrice dell'Opg) e che ospiterà in una struttura innovativa priva di agenti penitenziari e col supporto scientifico del Dipartimento di salute mentale e degli stessi operatori sanitari dell'Istituto, i primi 12 ricoverati. Un segno di "grande civiltà", così come ha definito il nuovo reparto attenuato nel messaggio augurale inviato ieri, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, letto dalla comandante della polizia penitenziaria, Michela Morello. Le immagini raccapriccianti trasmesse in televisione che hanno svelato al grande pubblico la drammatica condizione dei malati di mente internati nei cinque ospedali psichiatrici giudiziari italiani, non sono state dimenticate negli interventi che si sono succeduti, a cominciare da quello della senatrice Donatella Porretti, componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino. La senatrice ha anche detto che era "necessario che tutti vedessero in quali condizioni e sofferenze sono costretti a vivere i malati di mente che hanno commesso reati e ciò in maniera che si prenda coscienza del problema che spesso viene rimosso". L'on. Porretti ha anche annunciato che la Commissione sta elaborando, con i relatori Busoni del Pdl e Saccomanno del Pd, "conclusioni e proposte positive" per il superamento degli attuali Opg. Una dura critica alla politica che non si è mai occupata della condizione dei malati di mente, è stata invece mossa nel suo intervento, dal magistrato Sebastiano Ardita, dirigente dell'ufficio centrale penitenziario detenuti e trattamento, il quale ha anche ribadito che fino adesso si è preteso dagli Opg quello che "non potevano mai dare". A porgere il benvenuto agli ospiti, il sindaco di Barcellona Candeloro Nania, il cui Comune il 16 maggio del 2000 ha sottoscritto un protocollo d'intesa con l'Opg e l'Asp, grazie al quale è stato anche possibile realizzare la struttura di Oreto, costruita dal Comune e concessa gratuitamente. La struttura è stata inaugurata con il taglio del nastro affidato dalla figlia della defunta psichiatra Carmen Salpietro a cui la struttura è intitolata, Tiziana Piccione e dal marito Paolo. A fare gli onori di casa, il direttore dell'Opg Nunziante Rosania che da 14 anni dirige l'Istituto di Barcellona e lo psichiatra che coordinerà la struttura di Oreto, Ignazio Capizzi, i quali hanno ringraziato tutti i presenti, oltre al sindaco, il prefetto Francesco Alecci, i parlamentari, senatori Donatella Porretti e Beppe Lumia, il provveditore regionale per la Sicilia degli Istituti di pena, Orazio Faramo, il procuratore generale Franco Cassata, lil direttore dell'Asp di Messina Salvatore Giuffrida, il direttore del Comitato scientifico del progetto "Luce e libertà" Angelo Righetti, il vicario foraneo, don Tindaro Iannello che ha impartito la benedizione ai presenti. All'interno del reparto saranno ospitati 12 ricoverati che già dal prossimo anno lavoreranno nel progetto "Luce e libertà" che prevede l'impiego dei dimessi dagli Opg nel settore degli impianti fotovoltaici. Nel corso degli interventi sono state illustrate le difficoltà a dimettere i ricoverati che possono lasciare gli Opg perché nessuno è disposto ad assisterli nei luoghi di provenienza. Reggio Calabria: si ristruttura il vecchio carcere, mentre quello nuovo rimane inutilizzato di Eleonora Delfino Gazzetta del Sud, 10 aprile 2011 Una struttura che porta i segni del tempo. La Casa circondariale di via San Pietro avvia la fase di ristrutturazione. Un operazione attesa da tempo come spiega la direttrice, Maria Carmela Longo. "La struttura è messa male, la situazione dei reparti detentivi è inaccettabile, da tempo sollecitiamo un intervento". Dopo tante richieste finalmente la situazione si sblocca e arrivano le risorse necessarie per avviare i lavori: "Sono stati stanziati circa 300 mila euro, per la ristrutturazione di un reparto, l'impegno di spesa è già stato sottoscritto e i lavori dovrebbero cominciare entro la prossima settimana". Un operazione necessaria che però ha causato qualche malumore. "Dobbiamo procedere metà sezione alla volta, questo comporta il trasferimento di un consistente numero di detenuti. Siamo consapevoli che così si crea qualche disagio alle famiglie, ma purtroppo non ci sono diverse soluzioni praticabili. Nella fase del trasferimento c'è stato qualche momento di tensione, ma non si poteva fare diversamente - ribadisce la direttrice - e poi l'obiettivo è quello di creare condizioni di vita migliori". Ma il deciso restyling del reparto detentivo è solo uno dei diversi interventi in cantiere alla casa circondariale. "Abbiamo già avviato i lavori per l'ampliamento dei locali dei colloqui con gli avvocati. Locali piccoli rispetto alle esigenze tanto da generare file". Una serie di problemi logistici avvertiti in maniera ancora più pesante a causa dell'alto numero di detenuti. "Il sovraffollamento determina anche problemi legati ai servizi, non è un mero dato numerico ma si trasferisce sulla qualità della vita e dei servizi". E i dati non lasciano spazio a dubbi. La capienza massima prevista per la casa circondariale reggina è di 260 persone, ma ad oggi ospita 410 detenuti. E a soffrirne sono i detenuti e anche le famiglie costretti a lunghe attese per i colloqui. "Sono quasi ultimati i lavori per la realizzazione della terza sala per i colloqui detenuti familiari". Insomma un cantiere in continua evoluzione per rendere decorosa e dignitosa la struttura "perché alcuni diritti sono imprescindibili". In questa direzione un passaggio importante è costituito dall'apertura della biblioteca. "La questione si trascinava da tempo, abbiamo dovuto smantellare quella esistente e ricominciare. In questo - sostiene la direttrice - ci ha aiutato tanto il garante dei diritti dei detenuti, Giuseppe Tuccio, grazie al suo intervento abbiamo ricevuto consistenti donazioni da parte di case editrici. Ma anche i privati hanno dato prova di generosità. Speriamo a breve di poter garantire questo servizio". Un impegno su più fronti non solo sul versante strettamente strutturale. "Di più non sappiamo cosa fare, cos'altro ampliare, questa struttura per un contesto come quello reggino è insufficiente". E mentre la casa circondariale di via San Pietro è satura con tutti i problemi che comporta, quella di Arghillà continua a rimanere una chimera: "Siamo alla disperata ricerca di nuovi spazi, c'è un interesse da parte dell'Amministrazione affinché i lavori del nuovo carcere di Arghillà vengano completati, ma bisognerebbe anche capire quanto sia compatibile". La struttura è stata pensata, progettata da anni i lavori sono stati rifinanziati più volte, ma Arghillà è ancora lontana dal diventare un nuova valvola di sfogo per un sistema che in tutte le realtà nazionali è al collasso. "Proprio la scorsa settimana - spiega la direttrice - c'è stato un sopralluogo dei dirigenti del ministero della Giustizia e del provveditorato alle opere pubbliche, proprio per verificare la fattibilità". Intanto la casa circondariale di San Pietro coltiva un altro progetto che incarna lo spirito rieducativo della pena, quello del laboratorio del marmo. Un percorso purtroppo arenato. "Gli strumenti ci sono, certo non è facile trovare un imprenditore che si assume l'onere della gestione del laboratorio, noi dopo aver tanto cercato (le imprese del settore sono solitamente di piccole dimensioni e a conduzione familiare) lo avremmo trovato". Ma è sorto un nuovo ostacolo: "Abbiamo chiesto all'Azienda sanitaria provinciale di procedere con le verifiche e ci sono state segnalate alcune prescrizioni che noi abbiamo prontamente realizzato. Ma il tutto deve passare al vaglio di un organo tecnico. Ed è lì che tutto si è fermato". Venezia: proteste contro il sovraffollamento; intervengono Ordine Avvocati e Vicesindaco La Nuova Venezia, 10 aprile 2011 Comincia il caldo e la vita a Santa Maria Maggiore diventa insopportabile a causa del sovraffollamento (in questi giorni i detenuti sono circa 360). Anche le condizioni igieniche sono disastrose, così i detenuti nel tardo pomeriggio di mercoledì hanno inscenato una protesta pacifica: per mezz'ora hanno battuto contro i cancelli e le sbarre delle celle i loro tegamini, i coperchi, i cucchiai, insomma tutto quello che poteva fare rumore. Ma non si sono limitati a questo: dalle celle hanno lanciato negli ampi corridoi tutto quello che non serviva più: carta, stracci ed altro materiale dando fuoco a tutto e producendo fumo. Gli agenti della polizia penitenziaria sono stati costretti ad intervenire per spegnere i principi d'incendio che sono scoppiati un po' ovunque. Da mesi ormai il numero dei detenuti non scende sotto i 350, quasi il doppio di quello che il carcere lagunare potrebbe contenere e così la direttrice Irene Iannucci ha più volte denunciato la situazione, una delle cause che porta i detenuti a compiere atti di autolesionismo e a suicidarsi (nei primi tre mesi di quest'anno i primi sono già stati dieci e si è registrato un suicidio). "Nel Veneto funzionano carceri che sarebbero da chiudere, dove la dignità della persona non esiste". "Le condizioni di vivibilità all'interno di Santa Maria Maggiore sono discutibili, ma i detenuti sono bravi, nonostante le condizioni difficili in cui vivono hanno ancora speranza, ho visto tanta solidarietà e dignità tra loro". Questo aveva sostenuto appena tre mesi fa la dirigente e aveva fornito alcuni dati: ci sono attualmente 350 detenuti e - aveva aggiunto - "spesso devo fare aggiungere materassi per terra per far dormire chi arriva perché nei primi undici mesi del 2010 ci sono state 1.020 entrate e ben 770 degli arrestati sono rimasti a Santa Maria Maggiore solo tre giorni". Inoltre, non ci sono finanziamenti dal ministero della Giustizia, in seguito ai tagli del governo, e quindi arrivano pochi soldi. Questo significa, ad esempio, che la direzione può pagare soltanto due "scopini", così si chiamano nelle carceri i detenuti che lavorano e svolgono le pulizie, che sono davvero pochi per una casa di reclusione come Santa Maria Maggiore. Questo significa che le pulizie non vengono fatte ovunque ogni giorno e con il caldo le condizioni igienico-sanitarie peggiorano. Neppure gli agenti sono trattati bene: l'organico e sotto dimensionato e sono decine i posto vuoti, tanto che molti sono costretti a saltare i turni di riposo e ad allungare le giornate di lavoro con le ore di straordinario, che vengono pagate pochi euro. Anche tra gli agenti lo stress è tanto: spesso capita che a controllare l'intero carcere, soprattutto nelle ore notturne, sono appena tre o quattro agenti. Spesso, tra l'altro, devono anche tener d'occhio particolarmente detenuti segnalati perché hanno già compiuto gesti di autolesionismo e sono a rischio suicidio. E se le cose vanno male finiscono anche sotto inchiesta giudiziaria. L'Ordine degli avvocati: "Chiudete Santa Maria Maggiore" Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia va immediatamente chiuso, poiché le condizioni di vita dei detenuti sono oramai divenute insopportabili: è la posizione dell'Ordine degli Avvocati di Venezia, dopo la recente protesta messa in atto dai detenuti del penitenziario lagunare per contestare il sovraffollamento e le condizioni igieniche ritenute disastrose. "L'opinione dell'Ordine su questo tema - ha sottolineato l'avvocato Daniele Grasso, presidente dell'Ordine lagunare - è che si debba costruire un carcere nuovo. Non è importante dove, ma che si faccia al più presto. È necessaria - prosegue Grasso - una nuova struttura che consenta al detenuto di condurre una vita dignitosa e che porti, attraverso percorsi riabilitativi e l'apporto di assistenti e psicologi, ad un pieno recupero del condannato". Sul carcere è intervenuto ancora il vicesindaco Sandro Simionato. Ha chiesto che il ministero della Giustizia "si faccia carico della situazione esplosiva di Santa Maria Maggiore e intervenga per garantire fin da subito un miglioramento delle condizioni di vita sia delle persone detenute, sia degli agenti di polizia penitenziaria, che in questa situazione gravissima, stanno dando prova di grande abnegazione e di senso di responsabilità". "L'assoluto silenzio - ha aggiunto Simionato - che viene opposto ai continui segnali di allarme che provengono dal carcere veneziano appare incredibile e in nessun modo giustificabile. L'ipotesi del nuovo carcere non deve essere utilizzata come un alibi ai mancati interventi che fin da ora appaiono inderogabili. Si decida per esempio, e in fretta, l'assegnazione di nuove risorse per integrare il numero degli agenti penitenziari, oggi pesantemente sotto organico, e si forniscano nuove risorse ad integrazione delle pochissime borse lavoro attualmente a disposizione dei detenuti. Oggi, al di là di ogni valutazione generale sulla riforma del sistema penitenziario, c'è l'assoluto bisogno di intervenire sulla quotidianità in modo rapido e concreto". Cagliari: sanità penitenziaria in crisi; il mistero dei fondi erogati dalla Regione L'Unione Sarda, 10 aprile 2011 Sanità in carcere: è di nuovo emergenza. Tra due mesi a Buoncammino verrà tagliata l'assistenza medica ai detenuti. Un dramma, anche perché a ridosso dell'estate i problemi di chi tra le sbarre ci lavora o è costretto a viverci aumentano in modo esponenziale. Come per l'elisoccorso, la Sardegna ha un primato poco invidiabile: è l'unica in Italia a non aver ancora completato il passaggio della Sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia alla Regione. Un procedimento inspiegabilmente arenato nelle sabbie mobili del Consiglio dei ministri. Per tappare il buco l'assessore regionale alla Sanità aveva stanziato 500 mila euro per lo scorso anno e un milione di euro per il 2011. Quei soldi, però, ci sono solo sulla carta: i direttori degli istituti di pena non hanno ancora visto un centesimo. Anche questo, purtroppo, è un film già visto. Nel carcere cagliaritano (ieri i detenuti erano 520), la situazione è sotto controllo, ma non per molto. "Il finanziamento del ministero di Giustizia di 650 mila euro ci consentirà di andare avanti ancora per un paio di mesi, speriamo sino a giugno", afferma Gianfranco Pala, direttore dell'istituto di pena. "Se non arrivano fondi, sarò costretto a ridurre le prestazioni e l'assistenza medica ai detenuti". Cosa manca all'appello? "Sino a oggi non abbiamo visto un centesimo dei finanziamenti garantiti dalla Regione. Andiamo avanti sulla fiducia, ma se non vediamo traccia dei 500 mila euro stanziati l'anno scorso e del milione di euro per il 2011 il taglio sarà obbligatorio". I vertici dell'assessorato regionale alla Sanità giurano che quel finanziamento è stato stanziato. "Il procedimento è molto complicato. La Regione assegna quei soldi al ministero della Giustizia che a sua volta lo gira al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria che lo distribuisce ai vari penitenziari". Dove siano quei soldi è un mistero. L'importante è che arrivino a destinazione in fretta, prima che sia troppo tardi. La Commissione paritetica Stato-Regione per il passaggio delle competenze sostiene di aver svolto il lavoro a regola d'arte. Ma allora, come mai l'iter è bloccato alla firma del Consiglio dei ministri? Chi sta insabbiando la procedura e perché? Misteri che vanno a pesare sulle spalle dei direttori degli istituti di pena e sui carcerati. I nostri parlamentari, di qualsiasi colore politico, hanno un peso specifico basso. Mauro Pili ci aveva provato con Alfano. "Il ministro prenderà in mano l'emergenza", aveva dichiarato il deputato al nostro giornale il 13 ottobre dell'anno scorso. E gli altri? Latitanti. Serve, come si dice in politichese , più coesione. Salerno: detenuti sex-offenders al lavoro come giardinieri; il progetto scatena la polemica Corriere del Mezzogiorno, 10 aprile 2011 Parte un'opportunità di integrazione sociale per i detenuti del carcere di Vallo della Lucania (Sa), con un progetto pilota per il Sud. Qui, infatti, da tutta Italia, arriva chi si macchiato di reati di natura sessuale, giovani e meno giovani, e per loro adesso, per la prima volta in assoluto, sarà possibile una nuova forma di recupero. Il primo cittadino di Castelnuovo Cilento, Eros Lamaida, ha presentato il progetto al ministero della Giustizia: la disponibilità per alcuni detenuti di prestare servizio nell'arredo del verde urbano, tra giardini e siepi pubbliche. Reintegrare i detenuti nella società dandogli la possibilità di lavorare come giardinieri nelle aree del verde pubblico? No, se stanno scontando una pena per pedofilia o reati di violenza sessuale. La pensa così un nutrito gruppo di cittadini di Castelnuovo Cilento, appoggiato dall'associazione nazionale contro la pedofilia "Caramella Buona", che si è mobilitato dopo aver appreso la notizia, riportata anche in un articolo del Corriere del Mezzogiorno, che il sindaco del loro paese aveva stretto un accordo con il carcere di Vallo della Lucania, rendendosi disponibile a fare lavorare una quarantina di detenuti per la pulizia di strade e giardini. Ma nel penitenziario di Vallo si trovano soprattutto persone condannate per reati sessuali e dunque, sottolinea "Caramella buona", "non possiamo e non vogliamo accettare iniziative simili che possano favorire anche solo un leggero contatto tra un pedofilo e un bambino o tra un maniaco e una donna. Come tutti i detenuti avranno il loro reinserimento, ma che avvenga lontano dai nostri bambini!". I genitori di Castelnuovo Cilento, spiega in loro rappresentanza Pierluigi Leoni, hanno già "raccolto in poche ore già 100 firme contro questa iniziativa e contiamo entro pochi giorni di aumentare il numero delle firme". Genitori e Associazione anti-pedofilia contro il Sindaco Reintegrare i detenuti nella società dandogli la possibilità di lavorare come giardinieri nelle aree del verde pubblico? No, se stanno scontando una pena per pedofilia o reati di violenza sessuale. La pensa così un nutrito gruppo di cittadini di Castelnuovo Cilento, appoggiato dall'associazione nazionale contro la pedofilia "Caramella Buona", che si è mobilitato dopo aver appreso la notizia, riportata anche in un articolo del Corriere del Mezzogiorno, che il sindaco del loro paese aveva stretto un accordo con il carcere di Vallo della Lucania, rendendosi disponibile a fare lavorare una quarantina di detenuti per la pulizia di strade e giardini. Ma nel penitenziario di Vallo si trovano soprattutto persone condannate per reati sessuali e dunque, sottolinea "Caramella buona", "non possiamo e non vogliamo accettare iniziative simili che possano favorire anche solo un leggero contatto tra un pedofilo e un bambino o tra un maniaco e una donna. Come tutti i detenuti avranno il loro reinserimento, ma che avvenga lontano dai nostri bambini!". I genitori di Castelnuovo Cilento, spiega in loro rappresentanza Pierluigi Leoni, hanno già "raccolto in poche ore già 100 firme contro questa iniziativa e contiamo entro pochi giorni di aumentare il numero delle firme". Il Comune, denunciano ancora, avrebbe assunto "l'iniziativa in solitaria", senza aver "coinvolto a nessun livello i cittadini". L'associazione anti-pedofilia aggiunge che "per crimini di questo genere esiste l'interdizione perpetua dai luoghi di lavoro frequentati dai minori e progetti simili oltre a rappresentare un controsenso risuonano come una sorta di beffa in quanto non solo la possibilità del reintegro lascia perplessi ma anche la destinazione pensata: spazi verdi, giardini, strade… ci ritroveremo pedofili e stupratori anche nelle scuole a fare i bidelli?". Aquileia (Ud): proposta dalla Regione; detenuti di Trieste a scavare le aree archeologiche Il Piccolo, 10 aprile 2011 L'idea di impegnare i carcerati nelle attività di scavo della città romana è venuta di recente al soprintendente regionale per i Beni archeologici, Luigi Fozzati. E in men che non si dica è stata sposata da Enrico Sbriglia, che a Trieste, oltre ad assessore comunale alla polizia locale, è anche direttore della casa circondariale del Coroneo. La proposta è uscita in treno. Fozzati e Sbriglia si sono casualmente trovati compagni di viaggio e, come succede spesso in queste situazioni, ben presto si sono messi a parlare di lavoro. Al punto che ora i due stanno mettendo a punto il nuovo progetto, che dovrebbe partire entro giugno, o comunque prima dell'estate. I lavori socialmente utili "alternativi", d'altronde, potrebbero avere una doppia valenza: da una parte accelerare la valorizzazione delle aree archeologiche aquileiesi, che spesso giacciono nell'incuria. Dall'altra contribuire al riscatto morale dei detenuti, che potrebbero risarcire il reato commesso a vantaggio della collettività. E che trovare un'alternativa all'ozio della detenzione sia uno dei metodi migliori per svoltare la propria esistenza, ne è da sempre un convinto sostenitore pure lo scrittore Pino Roveredo, che plaude all'iniziativa, "a patto che i detenuti non diventino un fenomeno da baraccone". In sostanza, tra i carcerati del Coroneo si tratterebbe di scegliere 4 o 5 persone che dimostrano un quadro criminale affievolito e la propensione a voler cambiare il percorso della propria esistenza. "Un'operazione possibile - spiega Sbriglia - perché all'interno dell'istituto esistono psicologi, assistenti sociali ed educatori che tengono sotto osservazione le personalità degli ospiti". A quel punto gli "archeologi" ingaggiati useranno i mezzi pubblici per andare ogni giorno ad Aquileia dove trascorrere la propria giornata lavorativa. Orari fissati in partenza, con obbligo di rientro nella casa circondariale. Praticamente in questi casi i lavoratori son liberi, ancorché sottoposti al controllo della magistratura di sorveglianza. Percorsi simili sono già stati sperimentati proprio a Trieste. Il direttore del Coroneo lo conferma, quando dice che c'è un lungo elenco di lavori pubblici, comunali e provinciali, che vedono impiegati i detenuti e che finora hanno sempre dato esiti positivi. "Non abbiamo ancora definito il programma nei dettagli - interviene il soprintendente - perché in questa fase bisogna sbrigare le faccende burocratiche connesse. La manodopera fornita dall'istituto carcerario di Trieste verrà utilizzata sulle aree archeologiche all'aperto, con un grande risvolto sociale, perché si favorisce il recupero delle persone, che altrimenti restano rinchiuse da sole in una cella". "La migliore forma di conciliazione immaginabile - riprende Sbriglia - tra coloro che hanno commesso un reato e la società. In questo modo, infatti, si permette loro di riparare una parte del debito che hanno con la collettività. Sono convinto che ai detenuti bisogna riuscire a offrire delle serie possibilità di recupero. E poi, meno persone teniamo in carcere, più facciamo sicurezza. Rimanendo ad oziare in carcere, gli ospiti assorbono le spese pubbliche senza peraltro trovare la possibilità di cambiare. Spesso aumentando il loro grado di criminalità. Bisogna allora cambiare le politiche, cominciando a investire nella sicurezza in modo alternativo. Ad Aquileia le persone coinvolte potranno anche avere modo di sviluppare una propria professionalità". Anche per Roveredo "far avvicinare i detenuti all'arte e alla cultura significa far trovare loro una strada, di modo che possano accedere a un benessere che li consenta di sentirsi importanti. Considerando che oggi come oggi il 75% dei detenuti torna in carcere una volta uscito, l'attività sugli scavi di Aquileia è una soluzione che deve trovare applicazione nell'istituto di riabilitazione". Cuneo: detenuto in 41-bis colpisce due agenti del Gom, che finiscono al pronto soccorso Ansa, 10 aprile 2011 Stamattina, durante le normali operazioni di controllo messe in atto dagli uomini del Reparto Speciale (Gom) un detenuto sottoposto a regime restrittivo del 41-bis Op ha reagito violentemente colpendo al volto con più pugni due Agenti della Polizia Penitenziaria Gom che sono stati trasportati al Pronto Soccorso di Cuneo. Il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe ha denunciato il fatto evidenziando che non si tratta di un problema ristretto a Cuneo ma di tutte le carceri italiane. Il carcerato, che deve scontare 4 ergastoli, avrebbe colpito gli agenti apparentemente senza un motivo particolare. Altro dato da registrare il fatto che sempre più spesso sono i detenuti semplici a compiere questo tipo di reato e non quelli sottoposti a regime di carcere duro. Belluno: agente aggredito da un detenuto è finito all'ospedale Corriere delle Alpi, 10 aprile 2011 Un agente della polizia penitenziaria del carcere di Belluno è finito all'ospedale, giovedì sera, dopo essere stato aggredito in cella da un detenuto. Per il carcerato, un pontalpino di 45 anni, R.B., si tratta del terzo episodio criminoso in una settimana. Per le guardie in servizio a Baldenich è l'ennesimo episodio di violenza subìto negli ultimi mesi. Ed ora sono sul piede di guerra in attesa di un incontro col Prefetto. Si respira aria sempre più pesante tra i corridoi del carcere di Belluno. Gli episodi di violenza, ai danni degli agenti, si stanno moltiplicando. Soprattutto negli ultimi due mesi, la situazione nella struttura penitenziaria di Baldenich sembra essersi complicata. Almeno per quanto riguarda gli episodi di violenza. L'ultimo, in ordine cronologico, è avvenuto giovedì sera, quando un sovrintendente è rimasto ferito, dopo essere stato colpito con violenza alla testa dalla spalliera di un letto. A scagliargliela è stato lo stesso detenuto che, negli ultimi giorni, è stato arrestato dai carabinieri due volte nell'arco di cinque giorni: prima per resistenza e violenza a pubblico ufficiale e poi per evasione dai domiciliari. Stando a quanto s'è appreso, nelle strette maglie della riservatezza imposta all'interno della struttura carceraria, il detenuto, nella giornata di giovedì, avrebbe inscenato una sorta di protesta, barricandosi all'interno della propria cella. Non si sa il motivo. Ciò che è certo è che un agente, un quarantenne bellunese, mentre usciva dalla cella del detenuto, si è beccato la spalliera del letto in testa. Soccorso dai colleghi, il sovrintendente è stato trasportato al pronto soccorso del "San Martino" ed è stato successivamente dimesso con 15 giorni di prognosi per un trauma cranico. L'aria, all'interno della casa circondariale, si sta facendo sempre più pesante tra gli operatori. Negli ultimi anni hanno fatto notizia i suicidi o i tentativi di farla finita da parte dei detenuti. Ma nessuno si è occupato del disagio delle guardie carcerarie. Che ora, sono sul piede di guerra. Un mese fa erano pronte a chiedere lo stato di agitazione ed ora hanno richiesto un incontro urgente col prefetto di Belluno. Motivo: illustrare la situazione interna al carcere, soprattutto in virtù della preoccupante escalation di violenza nei loro confronti da parte dei detenuti. Non più di due mesi fa, un detenuto, affetto da Hiv, recluso nell'ala destinata ai transessuali, si è tagliato le vene ed ha aspettato che un agente delle polizia penitenziaria intervenisse per gettargli negli occhi il sangue infetto. Ma nei giorni scorsi i verbali di aggressioni a carico dei reclusi, in particolare con le lamette, si sarebbero moltiplicati. Bologna: detenuto evade durante le prove di uno spettacolo teatrale, scontava 30 anni Corriere della Sera, 10 aprile 2011 È fuggito in pieno giorno mentre partecipava alle prove di uno spettacolo teatrale: all'ora di pranzo ha chiesto ai volontari di andare in bagno e si è dileguato. È un'evasione clamorosa quella riuscita a un detenuto della Dozza condannato a trent'anni in via definitiva per duplice omicidio che ieri pomeriggio alle 15.30 si trovava in via Azzo Gardino, al laboratorio "La Soffitta" del Dams dove, insieme ad altri tre reclusi, stava partecipando alle prove di una rappresentazione teatrale. Giulio Santoro, 39enne calabrese di Cirò Marina, in carcere per l'omicidio commesso nel 1994 in Calabria di due fratelli che riteneva responsabili d'aver ucciso il suo di fratello, non si è fatto sfuggire l'occasione della vita e si è guadagnato la libertà che avrebbe riacquistato solo tra quattordici anni. Da ieri sera, trascorse le dodici ore previste dalla legge, è ricercato per evasione. La polizia penitenziaria è alle prese con un caso che solleverà polemiche. Santoro e gli altri tre detenuti erano usciti ieri mattina dal carcere di via del Gomito grazie all'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, che permette ai detenuti di lavorare fuori dal carcere su disposizione dal magistrato di sorveglianza. Santoro usufruiva di permessi dal 2007. A Bologna era arrivato anni fa dal carcere di Agrigento dove si trovava dal 1998 dopo la condanna a trent'anni rimediata in primo grado e in città si era trovato pure una fidanzata. Ad accompagnarlo ieri mattina c'erano i "volontari del Gruppo Elettrogeno", l'associazione che ha ideato e gestito i progetti teatro-carcere rivolti ai detenuti. Sarebbero dovuti rientrare in serata, alle 22, come previsto dal magistrato. Tutto è filato liscio fino alle 15.30 quando Santoro, controllato solo dai volontari visto che lo speciale permesso non prevedeva la presenza degli agenti penitenziari, ha chiesto di andare in bagno. Dopo qualche minuto sono andati a cercarlo ma si era ormai volatilizzato. "Quella di cui ha usufruito il detenuto è una misura sicuramente positiva, così come positive sono tutte le misure diverse dalla detenzione in carcere, quando contribuiscono al recupero del condannato - ha detto Giovanni Battista Durante, segretario del sindacato autonomo Sappe. Purtroppo, in questo caso, il soggetto non si è dimostrato meritevole di tale beneficio e ne ha approfittato per dileguarsi e far perdere le proprie tracce". In passato Santoro aveva già partecipato a spettacoli teatrali organizzati dalle associazioni impegnate nel reinserimento dei detenuti ma non c'erano mai stati problemi. Benevento: Osapp; carenze strutturali e di organico, passaggio al Ministero degli Interni Il Mattino, 10 aprile 2011 La polizia penitenziaria, un corpo che ha una duplice funzione: trattamento e rieducazione del detenuto, e sicurezza ma che vive una forte situazione di disagio a causa delle carenze strutturali e di organico. È la denuncia dell'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria) di Benevento, che ha promosso un incontro-dibattito per discutere delle problematiche della categoria. Nella struttura penitenziaria di Capodimonte - ha spiegato il segretario locale Isacco Luongo - i problemi si trascinano da diverso tempo: dalle carenze infrastrutturali, con camere detentive da sei metri quadrati che ospitano anche due-tre detenuti, ai sistemi di videosorveglianza, ormai obsoleti, alla mancanza di personale. "Le problematiche maggiormente avvertite dagli agenti penitenziari sono la carenza di personale - ha dichiarato Luongo - che ci costringe a lavorare male e a non poter offrire tutte quelle peculiarità della rieducazione e del reinserimento del detenuto nella società". La risposta delle istituzioni alle difficoltà manifestate è stata, secondo Luongo, insufficiente: "In sostanza abbiamo avuto 25 agenti di polizia penitenziaria che sono stati richiamati nelle loro sedi ed in loro sostituzione ne sono arrivati 12, quindi gli altri 13sono dovuti comunque uscire dal reparto giudiziario e sono comunque venuti a mancare nell'organico", La situazione della struttura detentiva di Capodimonte riflette peraltro la generale difficoltà che si registra a livello nazionale: la polizia penitenziaria, secondo il segretario nazionale dell'Osapp, Pasquale Montesano, opera in situazione di grande difficoltà, "gravissima. Il personale sta operando in situazione di chiaro organico ridotto ed inoltre esiste una palese disattenzione verso la categoria da parte del ministro della Giustizia Alfano. Quanto agli obiettivi che ci poniamo, tra essi il primario è il passaggio al Ministero degli Interni". Bologna: all'Ipm del Pratello i lavori di ristrutturazione finiranno entro novembre Dire, 10 aprile 2011 I lavori di ristrutturazione del carcere del Pratello, a Bologna, finiranno entro novembre. Lo assicura Bruno Brattoli, capo del dipartimento Giustizia minorile, che oggi ha visitato la struttura insieme a Filippo Berselli, parlamentare Pdl e presidente della commissione Giustizia del Senato. Brattoli, inoltre, annuncia "provvedimenti" per risolvere la situazione di "difficoltà ambientale" esistente tra la direttrice Paola Zincone e Giuseppe Centomani, dirigente del Centro giustizia minorile di Emilia-Romagna e Toscana. In una conferenza stampa in Prefettura, Brattoli ammette che "con i cantieri aperti il delicatissimo compito della Polizia penitenziaria è oggettivamente più difficile". Per questo "cercheremo di rispettare questa scadenza per eliminare una delle possibili concause di evasione". Allo stesso tempo, dopo gli "intoppi" che hanno prolungato i tempi, si completerà "un recupero che è motivo di orgoglio per il sistema carcerario italiano", sottolinea Berselli dopo la visita dei locali destinati ad attività teatrali, laboratori informatici e di cucina (inoltre, "in tempi relativamente brevi si potrà giungere anche al completamento della palestra"). Così chi esce dal Pratello, "fiore all'occhiello" del sistema detentivo italiano, "viene messo nelle condizioni di poter intraprendere un'attività lavorativa", sottolinea il senatore, annunciando che per l'inaugurazione dei nuovi locali cercherà di far venire il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, "sia perché la struttura lo merita sia perché Bologna è la mia città". E poi potranno esserci "ulteriori miglioramenti - aggiunge Brattoli - ed attendiamo segnalazioni da tutti", anche i sindacati. Per il momento, però, il dipartimento di Giustizia minorile non ha intenzione di aumentare il numero di ragazzi detenuti al Pratello (la capienza massima è 59 unità). "Mi riservo di aprire gli altri due padiglioni quando il numero di agenti e di operatori civili sarà congruo" ad un numero maggiore di detenuti, spiega Brattoli. Oggi nell'istituto ci sono 20 ragazzi (18 stranieri), per lo più dentro a causa di misure cautelari. Gli agenti sono 31. La capienza della struttura è "autolimitata" da un accordo sindacale, ricorda Brattoli, così i detenuti in più vengono spediti altrove: operazione che però comporta "costi enormi" e disagi per le famiglie, oltre che non essere "in perfetta sintonia" con il principio della territorialità della pena. "La situazione è obiettivamente accettabile - assicura Berselli - al di là delle legittime richieste di chi vorrebbe più agenti". Quello che oggi si registra al Pratello "è un rapporto che in tante altre carceri italiane si augurerebbero di avere". Insomma, "con un po' di buona volontà da parte di tutti è un problema che si può risolvere", aggiunge il presidente della commissione Giustizia, bollando come "fantasiosa e non giudicabile" la proposta di trasferire i detenuti minorenni nel carcere per adulti della Dozza. In fondo negli ultimi 10 anni c'è stata una sola evasione ed un tentativo, anzi "molto tentativo": poche settimane fa: due detenuti hanno provato a fuggire segando le sbarre di una finestra. "Una cosa di poco conto enfatizzato dalla stampa", afferma Berselli, aggiungendo che "con qualche controllo in più" si poteva evitare. Roma: il 19 aprile presentazione del volume "Te lo leggo negli occhi", di Ugo De Vita Ristretti Orizzonti, 10 aprile 2011 Martedì 19 aprile alle ore 17.30 presso la Biblioteca Vallicelliana in Piazza della Chiesa nuova, 18 a Roma si terrà la presentazione del volume "Te lo leggo negli occhi" (Il guaritore e la ferita) di Ugo De Vita (Edizioni Universitarie, Roma). Interverranno docenti, scrittori, personalità della politica, della cultura e dell'arte. Il volume che pure tratta materia specialistica, è dedicato a Rudra Bianzino, il ragazzo che ha perduto il padre nella casa Circondariale di Perugia, su cui De Vita ha girato recentemente un documentario. (Mibac-Ministero dei beni culturali. Amici delle Biblioteche. Manifestazioni nell'ambito del 150° dell'Unità d'Italia 1861-2011). De Vita, intellettuale tra i più raffinati in Italia, studioso dell'opera di Carl Gustav Jung, laurea e specializzazione americana in Psicologia Clinica. Autore di oltre quattrocento allestimenti di prosa in Italia e all'estero, ha scritto questo compendio ad uso degli studenti sui nuovi percorsi della Psicoterapia, raccogliendo testimonianze e riflessioni anche nell'ambito del suo lavoro di teatro civile. Benevento: presentato il libro "P.Q.M. - Giustizia è fatta", di Gaetano Eboli Il Sannio, 10 aprile 2011 Presentato ieri presso la Biblioteca Provinciale di Benevento il romanzo "P.Q.M. - Giustizia è fatta" (Graus editore) del giudice Gaetano Eboli. L'evento rientrava nell'ambito della rassegna "Nonsololibri", promossa dall'associazione Sanniopress Onlus con il patrocinio dell'assessorato alla Cultura della Provincia di Benevento, il sostegno di Eurogronde, Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio, Aesse Stampa e Piscina Solaria e la partnership del settimanale Messaggio d'Oggi, L'autore è stato giudice per le indagini preliminari in Calabria fino al 1993, poi sostituto procuratore a Napoli. Dal 1998 è giudice di sorveglianza e si è occupato a lungo del carcere femminile circondariale, maturando un'approfondita esperienza sulla condizione della donna all'interno di un istituto di pena. Esperienza che ha deciso di "trasferire" nell'opera "P.Q.M. - Giustizia è fatta". "Il libro di Eboli - ha spiegato nel suo intervento Nazzareno Orlando - offre notevoli spunti di riflessione su una serie di temi scottanti ed estremamente attuali quali la condizione della donna e dello straniero, il pianeta carcere, il rapporto tra detenuto e magistrato, il meccanismo processuale. In particolare, la sua lettura ci consente di soffermarci sul problema della giusta pena e sul rapporto che intercorre tra carcerato e magistrato. Credo che oggi occorra battersi affinché si possa assicurare un processo più giusto per tutti in modo che il cittadino possa sentirsi maggiormente tutelato". Secondo il direttore della Casa Circondariale di Poggioreale, Cosimo Giordano, "l'autore ha ben compreso la difficoltà del detenuto e, leggendo le pagine del suo libro, ho riconosciuto un sacco di personaggi e di situazioni che ho vissuto in prima persona e che, del resto, continuo a vivere ogni giorno". A chiudere la serata è stato lo stesso autore, Gaetano Eboli: "Ognuno di noi può trasferire agli altri la propria storia e le esperienze vissute. Il romanzo è stata un'occasione per mettermi in gioco e per raccontare una storia. Le mie riflessioni partono da una conoscenza diretta della realtà carceraria. Sentivo l'esigenza di parlarne. Se, come è stato affermato questa sera, sono riuscito a suscitare emozioni, vuol dire che ho raggiunto l'obiettivo che mi ero prefisso quando ho deciso di scrivere il libro". L'incontro è stato moderato dal giornalista Billy Nuzzolillo e le letture sono state curate dalla professoressa Maria Cristina Donnarumma. Usa: in isolamento da 40 anni, due detenuti accusati di aver ucciso una guardia carceraria www.amnesty.it, 10 aprile 2011 Herman Wallace e Albert Woodfox, due uomini sulla sessantina, sono detenuti in isolamento da quasi 40 anni in un carcere della Louisiana. Amnesty International non è a conoscenza di altri casi di durata così lunga di una condizione così disumana e degradante. I due detenuti trascorrono 23 ore su 24 in una cella d'isolamento di due metri per tre. Possono uscire per sette ore alla settimana per fare attività fisica in una gabbia all'esterno, per lavarsi o camminare da soli lungo il corridoio. I decenni sin qui passati in isolamento sono stati privi di stimoli mentali e sociali: nessuna istruzione, nessuna possibilità di lavorare, mancanza della televisione. Uniche concessioni: l'accesso limitato ai libri, le telefonate e le visite in carcere. Wallace e Woodfox sono stati posti in isolamento dopo essere stati accusati di aver ucciso una guardia penitenziaria nel 1972, durante una rivolta carceraria. A distanza di tanti anni, continuano a negare ogni addebito sostenendo di essere stati implicati nell'omicidio a causa della loro militanza politica in prigione nel Partito delle pantere nere. Dal loro fascicolo si evince che il loro attivismo è stato un fattore determinante nella decisione di porli in isolamento. Da 11 anni, i due detenuti tentano di avere una sentenza favorevole, che ponga fine all'isolamento. Nel 2007 un giudice federale ha affermato che il loro trattamento costituisce una violazione dell'VIII Emendamento della Costituzione Usa, che vieta le pene crudeli e inusuali. Tra vari ricorsi, l'appello è attualmente all'esame presso le corti federali. Quattro decenni di isolamento hanno avuto un impatto sulla salute mentale e fisica dei due detenuti, anziani e infermi. Le loro cartelle sanitarie testimoniano che essi non costituiscono una minaccia verso se stessi o altre persone. Il comitato interno di revisione, che per oltre 150 volte ha esaminato la loro situazione, non ha mai affermato che i due detenuti siano pericolosi o rischino di evadere. L'unica ragione per continuare a tenerli in isolamento è "la natura della decisione originaria". Nel 1996 i regolamenti delle prigioni della Louisiana sono stati emendati per rimuovere "la natura della decisione originaria" tra i motivi da prendere in considerazione per giudicare se tenere o meno un detenuto in isolamento. Questa modifica, tuttavia, non è stata applicata nei confronti di Wallace e Woodfox tanto che sui documenti che negano la riclassificazione dello status dei due detenuti continua a leggersi "la natura della decisione originaria". Amnesty International ritiene che l'isolamento di Wallace e Woodfox non rivesta alcun interesse di natura penitenziaria e violi gli standard internazionali sul trattamento umano. Il fatto che il comitato interno di revisione abbia, in tutti questi decenni, meramente messo il visto sulla decisione originaria del 1972 rende il senso della revisione praticamente nullo. Amnesty International ritiene che l'insieme di questa situazione costituisca un trattamento o pena crudele, disumana o degradante, in violazione dei trattati internazionali sui diritti umani di cui gli Usa sono stato parte. Per questo, l'organizzazione per i diritti umani chiede alle autorità della Louisiana di porre immediatamente fine all'isolamento di Wallace e Woodfox e ai decenni di trattamento crudele, disumano e degradante cui i due detenuti sono sottoposti. In assenza di un'azione da parte delle autorità statali, Amnesty International sollecita le autorità federali a garantire che i due detenuti ricevano un trattamento in linea con gli standard internazionali e con la Costituzione degli Usa. Svizzera: "fare sesso in carcere è un diritto"; petizione dei detenuti di Crêtelongue Apcom, 10 aprile 2011 Bernard Rappaz è diventato famoso in Svizzera e anche all'estero per i suoi scioperi della fame, che hanno messo a rischio la sua vita. Il coltivatore elvetico di marijuana è così diventato un simbolo delle lotte per i diritti dei detenuti, ed insieme ai suoi compagni di cella ha ora lanciato una nuova battaglia. Se uno può scioperare dalla fame per scelta, l'astensione al sesso, alle carezze e all'intimità con chi si vuole bene è invece coatta. Ecco perché il 58enne vallesano, insieme ad altri 29 prigionieri, hanno chiesto una stanza coniugale per poter incontrare le proprie compagne. Il documento chiede alle autorità del carcere e ai responsabili cantonali di tenere in considerazione la vita affettiva dei detenuti, che non può essere repressa in modo totale come pena accessoria alla prigione. La petizione, che ha raccolto le firme dei detenuti di Crêtelongue, è stata inviata a Esther Waeber-Kalbermatten, Consigliera di Stato del Canton Vallese per il partito socialista. La rappresentante del governo cantonale ne ha preso conoscenza, anche se non si èspressa sulla richiesta dei detenuti. "È in corso una verifica sulle prigioni cantonali, e una relazione finale sarà pubblicata a settembre". È quindi probabile che anche questo problema sia integrato all'interno dell'analisi sulla condizione delle carceri vallesani. In precedenza una petizione di Rappaz sulla qualità del cibo del carcere aveva già portato ad un miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. Nella nuova lettera i prigionieri firmatari dichiarano di soffrire inutilmente di deserto affettivo che vivono dietro le sbarre. Nel post scriptum, citano come possibile modello si stabilimento penitenziario altri carceri svizzeri dove i detenuti possono accoppiarsi con le compagne durante le ore di visita. Tutte le strutture penitenziarie ad alta sicurezza sono dotate di luoghi dove chi è dietro le sbarre può passare ore di svago e di intimità. La prova, secondo Rappaz, "che fare l'amore in prigione abbassa le tensioni, diminuisce il numero di evasioni ed evita i casi di violenza sessuale che spesso capitano in carcere". "Parleremo di questa nuova petizione il 22 aprile, anche se non è direttamente di nostra competenza", ha rimarcato la presidente della commissione di giustizia del parlamento vallesano. La presidente ha rimarcato come la decisioni spetti al dipartimento cantonale responsabile. "Io comunque non comprendo questa rivendicazione, a Crêtelongue si infliggono misure di pena. In questo senso, chi vi si ritrova dentro e mostra buona condotta ha diritto a facilitazioni come l'uscita dal carcere che può permettere ciò che chiedono i carcerati nella loro petizione". "Sono lì in una struttura detentiva, non in vacanza", ha concluso l'esponente liberal radicale. Il direttore del servizio penitenziario vallesano non ha invece voluto prendere posizione. Libano: progetto italiano di cooperazione, per carceri più vivibili Agi, 10 aprile 2011 Aggressioni, tensioni, episodi di autolesionismo sono all'ordine del giorno nelle carceri libanesi. Migliorarne la vivibilità e garantire il rispetto dei diritti umani dei detenuti è un obiettivo fondamentale della Cooperazione italiana a Beirut, che da alcuni mesi ha attivato un progetto per la riqualificazione dei penitenziari di Roumieh e Zahle, troppo spesso al centro di drammatici episodi di cronaca. L'iniziativa nasce su impulso del ministero degli Interni di Beirut, che ha dato inizio a una vasta riforma per trasformare gradualmente gli istituti di detenzione in centri di riabilitazione e reintegrazione sociale. Grazie al contributo dell'Italia, che partecipa con un finanziamento di 400mila euro, verranno presto attivati numerosi interventi per migliorare le condizioni materiali dei detenuti, che nel solo carcere di Roumieh sono circa 4.000, a fronte dei 1.500 per cui la struttura è abilitata. Secondo le stime del Centro libanese dei diritti dell'uomo in Libano, ci sono 159 detenuti ogni 100mila abitanti, una percentuale inferiore solo a quelle di Israele e degli Emirati Arabi Uniti. A Roumieh, pochi chilometri a nord est di Beirut, si trovano reclusi fino a 300 detenuti in celle di 20 metri quadrati. Bahrein: arrestato noto attivista per i diritti umani Aki, 10 aprile 2011 Le forze di sicurezza del Bahrein hanno arrestato e picchiato uno dei più noti attivisti per i diritti umani del paese, Abdulhadi al-Khawaja. È quanto ha riferito la figlia dell'attivista, Maryam. Citata dalla Bbc, la giovane ha spiegato che l'uomo è stato prelevato dalla sua abitazione all'alba. Circa 20 agenti armati e a volto coperto hanno fatto irruzione nella casa sfondando la porta e hanno picchiato al-Khawaja prima di trascinarlo via. La famiglia dell'attivista non ha idea del luogo in cui sia detenuto e di quali siano le accuse che gli sono rivolte. Lo sciita Al-Khawaja è da tempo inviso al governo per le sue idee repubblicane. Nei giorni scorsi, è stato tra i promotori delle proteste contro la casa reale, di fede sunnita.