Giustizia: inferno carceri, l’emergenza che non può aspettare di Sandro Favi (Parlamentare Partito Democratico) L’Unità, 9 agosto 2011 Ho aderito con convinzione all’appello promosso da Rita Bernardini e da diverse associazioni per la convocazione straordinaria del Parlamento di fronte alla drammatica situazione delle nostre carceri, anche se è doveroso ricordarlo, Camera e Senato hanno per ben due volte discusso e approvato mozioni, di maggioranza e di opposizione, con impegni diretti e concreti ai quali, però, l’allora ministro Alfano non ha dato concretezza. Lo stesso Parlamento che ha già impegnato il governo a dare priorità alla ristrutturazione e alla messa a norma degli istituti penitenziari esistenti, a redigere la “black-list” di imprese e consorzi a rischio di inquinamento mafioso alle quali non potranno essere concessi appalti e subappalti, a considerare vincolanti le intese con i comuni per la localizzazione di nuove carceri. Sarebbe opportuno che il ministro Nitto Palma informi le istituzioni e il Paese su cosa è stato fatto. Dai dati che conosciamo veramente poco. Ci sono voluti quasi tre anni per mettere in campo un Piano Carceri fatto di norme in successione, poteri commissariali sempre più estesi e reiterate ordinanze per uno stato di emergenza che dura da 20 mesi. Nulla di più di quello che l’ordinaria amministrazione non avesse già da anni avviato, in qualche caso anche in tempi più celeri. Solo che molti padiglioni detentivi costruiti sono rimasti vuoti, i nuovi istituti vengono aperti a porzioni o peggio ne vengono ritardati i tempi di consegna perché non si è in grado di redistribuire il personale o decidere quale livello di sicurezza dovranno assicurare. E una volta aperti i cantieri, anche il ministro Nitto Palma immagina di poter far passare sotto silenzio le condizioni disumane del sovraffollamento, il degrado delle strutture, le difficoltà e la frustrazione degli operatori? Il governo vanta, dal fronte delle carceri, l’efficacia di una politica della sicurezza e della giustizia che avrebbe migliorato le nostre città e contrastato la diffusione dei poteri delle organizzazioni criminali. Le carceri sovraffollate del governo Berlusconi si sono piuttosto riempite delle povertà dei migranti e delle marginalità umane che popolano il degrado urbano, dell’abbandono dei tossicodipendenti e dei sofferenti psichiatrici, con i meccanismi di una giustizia implacabile con i poveri, quanto indulgente con i garantiti. Un Piano Carceri serio andrebbe concepito non solo come aumento di celle, di vite isolate, segregate, quasi perdute ma come una nuova architettura umana e sociale. Le carceri del 2011 sono luoghi in cui si esercita la potestà di uno Stato di diritto o si realizza violenza al senso di umanità e alla piena legalità della pena? Il Pd non si è mai sottratto al confronto nonostante il tema del carcere sia stato solo affrontato con la “politica degli annunci”. Se il governo accetterà di venire in Parlamento per discutere e individuare soluzioni praticabili per risolvere i problemi che affliggono il carcere noi saremo attenti alle proposte che ci verranno avanzate e metteremo a disposizione di tutti le nostre proposte e le nostre idee. Giustizia: quelle notizie sulle carceri che non si vogliono vedere di Valter Vecellio Europa, 9 agosto 2011 Ha annunciato, per le prossime ore, la ripresa del Satyagraha sotto forma di sciopero della fame e della sete, Marco Pannella; e il chiodo su cui batte è quello di sempre: la giustizia, la necessità di trovare una soluzione allo sfacelo che si consuma nelle aule dei tribunali e nelle carceri. La necessità di un’amnistia per poter ripartire da zero, che tanto l’amnistia c’è ogni giorno se è vero che ogni anno, da anni, circa duecentomila processi vanno in fumo per prescrizione. Proposta che può non piacere e non essere condivisa, ma è una proposta, a fronte del nulla che viene opposto. Ma preliminarmente, una domanda: che cos’è una notizia? Un evento di pubblico interesse, un qualcosa che riguarda più persone, e che può suscitare dibattito, riflessione. Un fatto, insomma. Se è così, al recente convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal Partito radicale, sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica e con il patrocinio del senato, le notizie non sono certo mancate. Vediamo. Prima notizia: Giorgio Napolitano pronuncia un discorso pesante, un discorso importante; un discorso scritto di suo pugno, soppesando parole, punti e virgole, con l’attenzione e la precisione del farmacista che dosa un farmaco. A parte il lusinghiero ritratto di Marco Pannella, il presidente sillaba che la questione giustizia è giunta a “un punto critico insostenibile... sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia”. Non solo. Poi il capo dello stato pone l’accento sul “peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative. Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva”. Una realtà che “ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile”. Napolitano definisce questa situazione “abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita...”. Un’emergenza “assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Scelte, invoca, “che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano... Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”. Come si vede, un discorso pieno di cose; un discorso che giustificherebbe appieno una autoconvocazione delle camere, per discutere sul che fare; e che dovrebbe/potrebbe costituire materia per la riflessione di editorialisti e commentatori. Silenzio, invece. Sono già tutti in vacanza? Oppure è scattata quella fabbrica ben più micidiale di quella del fango: la fabbrica che certe questioni semplicemente le ignora, le silenzia, le minimizza? Accade tutti i giorni che il presidente della Repubblica si esprima in questo modo, con questa precisione, con questa accurata scelta delle parole, dei toni, delle pause? E se si tratta di un momento non ordinario, come mai non lo si coglie? Possibile che in nessuna redazione, nessun direttore, caporedattore, editorialista, abbia percepito senso e significato dell’intervento del presidente? E siamo alla seconda notizia. Ernesto Lupo è il primo presidente della corte di cassazione. Anche lui parla, dice cose importanti, cose pesanti. Dice, il presidente Lupo, che sono “indispensabili interventi legislativi idonei a non incrementare e anzi a ridurre progressivamente la popolazione carceraria”. Non solo. Aggiunge che è “indispensabile un progetto che punti alla riduzione della pena carceraria e che punti anche all’area della penalità”. Rivolge poi un appello ai colleghi perché facciano “un uso sempre più prudente e misurato della misura cautelare restrittiva: si tratta di uno strumento da mantenere nell’eccezionalità quando un altro strumento non può essere usato”. Perché “è urgente un ponderato e selettivo programma di depenalizzazione e di attribuzione al diritto amministrativo di molti dei reati puramente formali, accompagnato dall’introduzione di formule estintive del reato nell’ambito di condotte non gravi”. Quello che serve, quello che urge sono “indispensabili interventi legislativi idonei a non incrementare e anzi a ridurre progressivamente la popolazione carceraria”. Parla chiaro, il presidente Lupo, e anche lui dice cose precise. Ma anche l’intervento del presidente Lupo non fa notizia. Eppure di notizie, nel suo intervento, se ne trovano, eccome. Anzi: la notizia è proprio quell’intervento. E allora: qualcuno sa spiegare perché non viene considerata tale? Giustizia: nessun dorma… di Luigi Manconi Il Foglio, 9 agosto 2011 1. Con ‘sto caldo, un pizzico di demagogia “ci può stare” (come dicono i cronisti sportivi). Francesco Nitto Palma: “Non sono né il ministro dell’Economia, né il ministro dell’Interno. Non capisco perché sia tanto indispensabile che io rimanga qua, a Roma, durante l’estate” (Corriere della Sera, 6 Agosto). Vedi mai che sia proprio vero ciò che racconta in giro Donato Bruno, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera? Ovvero che al “povero Nitto Palma”, per prenderlo in giro, hanno sussurrato fino all’ultimo secondo che Berlusconi intendeva nominarlo ministro per le Politiche europee: e che tale è stato lo shock che non si è più ripreso? Insomma, qualcuno glielo deve pur dire che è proprio titolare del dicastero della Giustizia. 2. “Una questione di prepotente urgenza sul piano e “costituzionale e civile”. Intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Convegno, “Giustizia. In nome della Legge e del Popolo sovrano”, promosso dai Radicali italiani (28-29 luglio 2011): “Quel che ci si vuole e ci si può proporre nel Convegno che si apre oggi non è una ricognizione o ricapitolazione esaustiva di infiniti confronti e scontri su tutti gli aspetti della questione giustizia. Si intende piuttosto mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia. I più clamorosi fenomeni degenerativi che si sono prodotti - in primo luogo quello delle condizioni delle carceri e dei detenuti - e anche le cause di un vero e proprio imbarbarimento di quella già pesante e penosa realtà, e anche le indicazioni circa possibili vie d’uscita, hanno formato oggetto di interventi di alto livello come quelli degli oratori che mi hanno preceduto”. Il capo dello stato evidenzia, poi, il “crescente ricorso alla custodia cautelare e l’abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva, Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - strutture pseudo ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bipartisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora. Evidente in generale è l’abisso che separa, come si è detto, la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all’obiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari - specie in carenza di risorse finanziarie adeguate, come ha spiegato il presidente Giampaolino - per l’apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee. C’è un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, come ha ricordato il, sottosegretario Caliendo, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Ho apprezzato il richiamo del presidente Lupo allo sforzo cui l’emergenza carceraria chiama anche i giudici, ma è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non foss’altro per istinto di sopravvivenza nazionale? Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte”. 3. Con ‘sto caldo un ulteriore pizzico di demagogia non guasta. Vada, vada pure in Polinesia il ministro Nitto Palma, ché non può fargli che bene. E sia sereno. Ma porti con se il discorso del presidente e “ci rifletta seriamente e presto”. (Potenza della libera informazione. Appena, ieri pomeriggio, le agenzie hanno anticipato il contenuto di questo articolo, il ministro ha comunicato di aver disdetto la vacanza in Polinesia. Mi permetto di suggerire, in alternativa, un resort mica male, il “Nessun dorma” di Ladispoli. Giustizia: Nitto Palma; meno custodia cautelare e più misure alternative Ansa, 9 agosto 2011 Dopo aver annullato il viaggio in Polinesia organizzato lo scorso gennaio per le “assurde polemiche” sollevate, il neo ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma è al lavoro al dicastero di Via Arenula. E - riferisce in un colloquio con l’Ansa - si prepara ad un Ferragosto che trascorrerà partecipando, prima, al tradizionale comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, assieme al ministro dell’Interno Roberto Maroni e, poi, recandosi in visita al carcere romano di Regina Coeli. “Il problema delle carceri - osserva il Guardasigilli - non può essere affrontato in termini settoriali o emergenziali”. Per questo motivo, Nitto Palma ha fatto il punto della situazione, la settimana scorsa, con il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, in particolare sul piano straordinario di edilizia carceraria (20 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti da realizzare entro il 2013). E stamani ha contattato telefonicamente il leader del Radicali, Marco Pannella, che per il 14 agosto ha indetto una giornata di sciopero della fame e della sete per denunciare la disumanità del sovraffollamento penitenziario: “avrei voluto recarmi presso la sede dei Radicali: sarebbe per me un grande piacere e onore incontrare Pannella, come atto di riconoscimento della tenacia con cui ha portato avanti le sue battaglie. Purtroppo - aggiunge - precedenti impegni mi impediscono di andare. Mi auguro che Pannella possa trovare il tempo per venire da me”. La complessità d’approccio sull’emergenza carceraria (66.942 detenuti al 31 luglio scorso, di cui 27.572 imputati, per una capienza regolamentare di 45.61 posti), secondo il Guardasigilli passa attraverso una forte depenalizzazione dei reati minori e la costruzione di nuove strutture carcerarie che assicurino la dignità logistica ai detenuti. E ancora: “il riscorso alla custodia cautelare - osserva il ministro - va ricondotto a ciò che prevede il codice, e ciò è stato fatto notare anche dal presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, in occasione del recente convegno su giustizia e carceri nel corso del quale è intervenuto il Capo dello Stato. Se il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio qualcosa non va”. Senza dimenticare - aggiunge - l’eccessiva prudenza o inelasticità di alcuni magistrati di sorveglianza nel concedere misure alternative al carcere. A tale proposito Nitto Palma plaude all’effetto assolutamente positivo ottenuto grazie alla legge 199 del 2010 (la cosiddetta “svuota carceri”) che consente la detenzione domiciliare ai condannati con un anno di pena residua da scontare. Ad oggi, secondo i dati del Dap, lo “svuota-carceri” ha fatto uscire 2.942 condannati e - osserva il ministro - “non c’è stato un solo caso di evasione dalla detenzione domiciliare”, a dimostrazione che “questo è un capitolo degno di approfondimento”. Giustizia: Nitto Palma; sul “processo lungo” il ministero dirà la sua alla Camera Ansa, 9 agosto 2011 “Se da parte di tutti ci fosse un abbassamento dei toni e se dalla guerra si passasse al confronto, sarebbe un bene per tutti”. Dopo le polemiche seguite al via libera del Senato al “processo lungo” rispetto al quale l’Associazione nazionale ha preannunciato “effetti devastanti”, il ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, preannuncia che il suo dicastero si esprimerà in proposito quando il ddl passerà all’esame della Camera. “Sul processo lungo - fa notare il ministro in un colloquio con l’Ansa - è stata posta la fiducia al Senato e c’è stato un posizionamento politico. Dal momento che il provvedimento è in itinere, quando arriverà alla Camera il ministero della Giustizia esprimerà, come è doveroso che sia, il suo pensiero. Ci sono norme - aggiunge Palma - che possono piacere o non piacere ai cittadini, ma se vi fosse da parte di tutti un abbassamento dei toni sarebbe meglio”. In vista del suo primo incontro con l’Anm e di una sua partecipazione al plenum del Csm, il Guardasigilli ha sul tavolo una serie di dossier che affronterà in questi giorni e che saranno oggetto di approfondimento dopo l’estate: oltre al processo penale, ci sono le carceri, la semplificazione dei riti del processo civile e la creazione del Tribunale della famiglia, temi sui quali si era già speso l’ex Guardasigilli Angelino Alfano. Un elemento di discontinuità rispetto al passato sarà forse rappresentato dalla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, sollecitata sia dall’Anm che dal Csm che a più riprese hanno chiesto l’accorpamento dei piccoli tribunali. La rivisitazione della geografia giudiziaria - annuncia Nitto Palma - sarà avviata con un ddl delega probabilmente tra il prossimo settembre-ottobre. Giustizia: Gonnella (Antigone); su emergenza carceri serve seduta straordinaria Camere Ansa, 9 agosto 2011 “Non basta che il Governo sia consapevole dell’emergenza carceri, come dimostrano le parole del neo ministro Nitto Palma, serve che il Parlamento si riunisca in seduta straordinaria per contenere il sovraffollamento e tutelare i diritti umani dei detenuti”. Lo afferma Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, secondo cui si deve “fare in modo che negli istituti di pena non ci sia una persona in più dei posti letto disponibili. Fino ad ora aver preso coscienza della situazione inumana in cui vivono i detenuti nelle carceri italiane - dice Gonnella - non ha portato a nessun iniziativa di politica penitenziaria. In una democrazia avanzata come la nostra non si può tollerare che la gente sia ammassata nelle galere con condizioni di vita intollerabili”. Secondo Gonnella servono, dunque, “provvedimenti di legge di iniziativa governativa, che finora non ci sono mai stati, per cambiare la legge sulla droga e la ex Cirielli sulla recidività. È necessario inoltre - prosegue Gonnella - istituire un’autorità indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione e introdurre il reato di tortura nel codice penale”. Infine è indispensabile, per la sicurezza interna al carcere - dice ancora - trovare i fondi per i finanziamenti alle piccole imprese e cooperative che impiegano detenuti. Questa - conclude Gonnella - è la svolta che ci aspettiamo dal nuovo ministro”. Giustizia: “braccialetto elettronico”, un flop da 110 milioni di Carlo Mercuri Il Messaggero, 9 agosto 2011 Dal 2001 lo Stato paga un canone da 11 milioni l’anno. Attivo da 10 anni, ma pochissimi detenuti lo accettano. L’uomo che ha inferto il più formidabile colpo degli ultimi anni al sistema carcerario italiano si chiama Augusto Cesar Tena Albirena, peruviano, presumibilmente 44enne. Dieci anni fa, il 21 aprile 2001, dopo una condanna a 5 anni per traffico di droga, Albirena fu invitato a usare il braccialetto elettronico, cosa che fece di buon grado. Il braccialetto elettronico era stato appena adottato dal sistema giudiziario italiano e il giovane pusher peruviano fu il primo detenuto ad indossarlo. Due mesi dopo Albirena semplicemente disattivò il braccialetto, fuggì e a tutt’oggi nessuno sa più che fine abbia fatto. Primo braccialetto prima cilecca e prima fuga, poteva esservi esordio più disastroso di questo? LA STORIA. Il braccialetto elettronico in Italia fu introdotto nel 2001 sotto il Governo Amato, ministro dell’Interno era Enzo Bianco e ministro della Giustizia Piero Fassino. Allora si riteneva che il braccialetto fosse il più efficace marchingegno svuota-carceri. Perciò vennero acquistati 400 braccialetti (un primo stock) e si stipulò un contratto con la Telecom per la loro gestione. Il costo: 110 milioni di euro per dieci anni. IL FLOP. Qualche mese dopo l’evasione di Albirena anche l’ergastolano Antonino De Luca, boss mafioso, se la dette a gambe dall’ospedale dove era stato ricoverato. E pure lui aveva il braccialetto. “I magistrati cominciarono a non fidarsi più”, racconta Donato Capece, leader del Sappe, sindacato degli agenti penitenziari. Sicché dopo solo due anni dalla sua entrata in vigore l’uso del braccialetto venne praticamente sospeso. Nessuno pensò mai però di interrompere il contratto di utilizzo, così i costi di gestione hanno continuato a correre. Ricordiamoli: 110 milioni di euro per dieci anni (il contratto scadrà tra quattro mesi), 11 milioni all’anno. Nel momento in cui stiamo scrivendo risulta che ci sono in funzione tre braccialetti elettronici indossati da altrettanti detenuti: ogni braccialetto sta costando quindi oltre tre milioni di euro, perfino Bulgari è più a buon mercato. I COSTI. D’altronde la Telecom ha dovuto apparecchiare una struttura super sofisticata per far funzionare i braccialetti. C’è una centrale operativa a Roma, con tanto di personale addetto. Se poi i magistrati non si fidano e preferiscono le vecchie manette di metallo ai braccialetti elettronici, non è colpa della Telecom. Semmai ci sarebbe da chiedersi perché, in un momento in cui la Polizia non ha i soldi nemmeno per pagare la benzina delle Volanti, nessuno abbia trovato il coraggio di interrompere l’esborso di denaro per un servizio inutile. Non lo ha fatto a suo tempo l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli pur avendo ritenuto fallimentare l’esperimento del braccialetto; non lo ha fatto il successivo Guardasigilli Clemente Mastella e non lo ha fatto neppure Angelino Alfano, pur avendo pensato di sospendere la convenzione con la Telecom. E quanto al ministro dell’Interno Roberto Maroni, lui aveva promesso, all’inizio del suo mandato, che avrebbe adottato il braccialetto “solo se sicuro”; poi ha evidentemente deciso che il braccialetto non era sicuro, lo ha di fatto sfiduciato ma ha continuato a pagarne il canone. MANCATI RISPARMI. E dire che gli agenti penitenziari, che nel carcere ci vivono, continuano invece a pensare ogni bene del braccialetto elettronico, soprattutto della sua ultima versione. Dice Capece: “È uno dei più validi strumenti alternativi al carcere. Se fosse utilizzato svuoterebbe un po’ i penitenziari, contribuirebbe a renderli più umani e riequilibrerebbe la carenza di personale (l’altro ieri nel carcere di Catanzaro si è suicidato un detenuto; nel penitenziario c’era un solo agente di custodia, uno solo). E poi farebbe risparmiare l’Amministrazione. Abbiamo calcolato che un detenuto in Istituto costa infatti 200 euro al giorno mentre un detenuto ai domiciliari con il braccialetto costa solo 30 euro”. All’estero. Ma perché solo in Italia il braccialetto non ha trovato consensi mentre all’estero sì? In Inghilterra attualmente c’è una media di 13.000 detenuti al giorno sottoposti al controllo. Lo strumento è stato adottato con successo negli Stati Uniti, in Australia, in Canada, in Svezia, in Svizzera, in Germania, in Francia e in Spagna. Negli Usa Dominique Strauss-Kahn è stato fatto uscire di cella a patto che mettesse il braccialetto elettronico. In Italia, invece, possiamo far indossare il braccialetto a un detenuto solo con il suo permesso. Forse è proprio qui che risiede l’inghippo. Mantovano: la legge lo impone, ci vuole l’assenso di chi lo indossa Sostiene il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano che “questa vicenda dei braccialetti è iniziata male e proseguita peggio. All’inizio, infatti, e fino al 2007 i braccialetti non avevano la copertura di tutto il territorio nazionale”. Ora invece sì, ma i magistrati continuano ad essere scettici sul loro uso. Perché, secondo lei? “Non lo so. Forse è una questione di impostazione culturale”. Basta questo a spiegare perché il braccialetto non ha sfondato in Italia? “No. È che la legge italiana ha un limite: da noi per mettere il braccialetto a un detenuto serve il suo consenso. E quasi nessun detenuto, ovviamente, lo dà. La norma è stata scritta così perché allora si temeva che le onde magnetiche potessero nuocere alla salute, ma oggi che anche i bambini usano il cellulare quella norma non ha più senso”. Quindi? “Quindi ci vuole una modifica legislativa. Sul braccialetto va rivisto tutto”. Letizia: con tutti quei soldi avremmo assunto 300 agenti Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale Funzionari di Polizia, va dritto al dunque e afferma: “Con i 110 milioni di euro spesi per i braccialetti avremmo potuto assumere 300 agenti penitenziari e stipendiarli per dieci anni. Pensi quante carceri nuove e mai utilizzate per carenza di personale avrebbero potuto funzionare con quei soldi”. Pare di capire che lei non sia favorevole all’utilizzo del braccialetto. “Già, ho più di qualche dubbio. Per esempio sulla gestione dell’allarme”. Cioè? “Se un detenuto fa scattare un falso allarme, chi lo verifica? È la Volante più vicina che deve andare a controllare ma per farlo lascia scoperto il territorio almeno per mezz’ora. E in mezz’ora si possono commettere furti, rapine, passaggi di droga...”. Altri dubbi? “Il braccialetto impedisce la libertà di movimento ma non della comunicazione. Molti boss continuerebbero lo stesso a fare i boss. Allora sarebbe meglio la videosorveglianza...”. Giustizia: 45mila € l’anno per pulire Rebibbia… 8 milioni € per pulire sede Regione Lazio di Massimo Bordin Il Riformista, 9 agosto 2011 La giornata di ieri è stata tutta concentrata sui conti, sulle percentuali in più o in meno dei listini di borsa. Calcoli rarefatti su denaro virtuale ma politicamente decisivo per la vita di noi tutti, che pure il mondo della finanza internazionale lo vediamo solo in televisione. Forse, per reazione, vale la pena di occuparsi di soldi e bilanci più vicini a noi. Per esempio, tutto preso dalla crisi internazionale, il lettore che non sia lombardo non può accorgersi che la nuova giunta di Milano sta lavorando con grande attenzione su quel che ha trovato. Fanno notizia i soldi mancanti all’appello, ma ci sono anche quelli che dovevano mancare e invece ci sono. Per esempio i 7 milioni su 9 non spesi per l’aiuto alle coppie bisognose sulle quali la giunta Moratti ha realizzato sostanziosi risparmi. Sulle consulenze è stata più generosa. Il conto più interessante viene dal Lazio dove i consiglieri della “lista Bonino-Pannella” hanno reso pubblico che nel bilancio della giunta Polverini sono stanziati 8 milioni all’anno per le pulizie del palazzo della Regione. Il palazzo della Pisana è grande ma il sospetto che qualcuno faccia la cresta sul detersivo resta forte. In ogni caso l’implacabile Rita Bernardini, deputata radicale, mette a confronto questa cifra con quella stanziata dal ministero per le pulizie del carcere romano di Rebibbia, che pure non è piccolo: 45 mila euro. Ho diligentemente copiato le cifre con attenzione. Non ci sono refusi. Qualcosa non va e lo capisce anche chi non è esperto di finanza. Il ministro Nitto Palma se ne potrebbe occupare, visto che ha annullato le vacanze in Polinesia. E se i soldi per Rebibbia sono sufficienti, allora forse sarà la Procura di Roma che dovrà occuparsi della Regione. Giustizia: dopo attacco hacker di nuovo visibile il portale internet del Sappe Adnkronos, 9 agosto 2011 Dopo l’attacco hacker che nella giornata di sabato aveva bloccato il portale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), il sito è tornato di nuovo fruibile normalmente. “Siamo di nuovo qui!”, rileva il Sappe in un messaggio ospitato sulla homepage del sito. “Siamo stati vittime di un attacco informatico. Sabato scorso, 6 agosto, verso le 13, il nostro sito internet www.sappe.it ed il blog della Rivista www.poliziapenitenziaria.it sono stati visitati da una serie di hacker che li hanno, di fatto, resi inagibili. Al posto della tradizionale home page, gli anonimi hacker hanno postato un messaggio di solidarietà verso i detenuti considerata anche l’attuale situazione penitenziaria”. “È significativo constatare, anche in questo, come si sia scelto di attaccare il sito del primo Sindacato del Corpo di Polizia Penitenziaria piuttosto che altri siti, istituzionali e sindacali… Ora -viene rilevato- riprendiamo da dove c’eravamo lasciati, nella consapevolezza che nulla fermerà il nostro impegno di denuncia delle criticità penitenziarie, delle condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria e di tutela e di valorizzazione della professionalità e della valorizzazione sociale dei Baschi Azzurri italiani”. “La legge Non è uguale per tutti”. Era questo il messaggio che gli hacker avevano lanciato sabato dalla homepage del sito del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Gli autori dell’attacco esprimevano ‘la vicinanza a tutti i detenuti in Italia, troppo spesso vittime delle ormai arcinote lungaggini burocratiche e processuali, fenomeno tutto italiano e che fa si che vi siano nelle nostre carceri persone non ancora giudicate neanche in 1° grado e da ritenersi quindi innocenti”. “Constatiamo con amarezza - si leggeva nella rivendicazione visibile nei giorni scorsi sul sito- come le condizioni di vita carceraria siano insostenibili ed una vera ignominia per uno stato che si reputa non solo civile ma facente parte dei paesi firmatari di numerosi trattati contro la tortura; ebbene a nostro avviso le condizioni degradanti e svilenti della dignità umana in cui la stragrande maggioranza dei detenuti sono costretti a scontare la propria pena sono equiparabili a tortura”. Catanzaro: Ugl; suicidio di Franco Cino, c’era un solo agente in servizio La Gazzetta del Sud, 9 agosto 2011 Si sono svolti ieri pomeriggio alle 17 nella chiesa dell’Immacolata, al Villaggio di Montalto Scalo, i funerali di Francesco Beniamino Cino, il sessantaseienne che si è suicidato nel carcere di Siano, a Catanzaro. “Se il chicco di frumento non cade nella terra e non muore, non dà frutto”: così, nell’omelia, Padre Gerardo Naranjo, riportando la frase del Vangelo, ha invitato a considerare il gesto di Cino, come un elemento che porti pace e riconciliazione nelle famiglie colpite dai gravi fatti. L’uomo, venditore ambulante, residente a Settimo di Montalto, lo scorso 29 giugno, aveva brutalmente ucciso i consuoceri Anna Greco (55 anni) e Francesco Cariati (61 anni), a San Vincenzo la Costa, dopo aver ferito a colpi di pistola la nuora Teresa Cariati (37 anni), mentre era in macchina con i suoi due bambini. Braccato dalle forze dell’ordine, dopo circa otto ore di fuga, Cino si era consegnato ai carabinieri di Rogliano confessando il duplice omicidio e il ferimento. Domenica, l’uomo si è tolto la vita nella sua cella, forse in preda al rimorso per la scia di sangue e di terrore che aveva seminato. I suoi difensori, Ubaldo e Marlon Lepera, hanno già preannunciato un esposto alla Procura per chiarire le circostanze della morte del loro assistito. Cosa è successo in quel carcere? Perché nessuno ha visto cosa stava facendo il detenuto Cino? Nonostante l’intervento dell’agente di polizia penitenziaria, vano. Secondo la segreteria regionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, “il suicidio di Cino pone ancora una volta il problema della carenza di personale di polizia penitenziaria. Il gesto disperato è stato scoperto proprio dall’unico agente in servizio nella sezione detentiva dove, nonostante il tempestivo intervento, per l’uomo non c’è stato nulla da fare”. Palermo: il carcere senza legge.. e adesso ci arrabbiamo? www.livesicilia.it, 9 agosto 2011 Le galere siciliane sono luoghi senza legge. Il carcere “Ucciardone” a Palermo è l’inferno, anche se non è colpa del suo direttore e dei suoi agenti. Rita Barbera, che ha preso il timone del vecchio edificio borbonico, è un ottimo funzionario (come lo era Maurizio Veneziano) che ha svolto un egregio lavoro al Malaspina. Una figura silenziosa e preziosa di servitore dello Stato. Siamo ad agosto, col caldo l’Ucciardone, da invivibile che è diventa insopportabile. Ecco un comunicato-racconto. “Pino Apprendi, deputato all’Ars, ieri ha visitato il carcere dell’Ucciardone di Palermo, insieme a Giuseppe Bruno, componente dell’esecutivo nazionale dei giuristi democratici e Vincenzo Scalia, componente del direttivo nazionale dell’Associazione Antigone. “Per prima cosa intendiamo denunciare il Comune di Palermo che da oltre due anni non risponde ad una nostra richiesta mirata ad offrire un minimo di decenza all’attesa fuori dal carcere, dove donne, bambini ed anziani, familiari dei detenuti, sia in estate che in inverno per intere ore sono esposti a tutte le intemperie, caldo, freddo ecc.. Il sindaco con poca spesa potrebbe intervenire per alleviare le lunghe attese dei parenti” , dice Pino Apprendi. “Bisogna impegnare il Governo Nazionale, continua il deputato, affinché, rapidamente, vengano ristrutturate tutte le sezioni dell’edificio borbonico, la cui costruzione risale al 1834 con una visione detentiva adatta a quei tempi. La ristrutturazione e l’adeguamento a nuove normative effettuate nell’ ottava sezione aprono uno spiraglio di speranza”. “Al momento solo la 4^ e l’8^ sezione danno la possibilità ai detenuti di fare la doccia quotidianamente, il resto la doccia riescono a farla 3 volte a settimana. In maniera superficiale si trascura l’apporto del servizio di psicologia che ha a disposizione soltanto 20 ore al mese da dedicare alle 545 persone recluse a tutt’oggi, a fronte di una previsione regolamentare prevista di 292 unità, con un solo medico disponibile dal pomeriggio fino alle 8 dell’indomani mattina. Il sovraffollamento è ormai diventato cronico e nello stesso tempo tollerato. Al capitolo servizi sociali per un anno sono disponibili 11.860 euro che comprendono anche l’attività ricreativa. Abbiamo richiesto un prezziario dello spaccio alla dr.ssa Rita Barbera, direttore della casa circondariale, per fare delle verifiche e potere dare risposte alla protesta dei giorni scorsi. Ma se i detenuti stanno male, gli agenti penitenziari non ridono. Abbiamo visitato la vecchia caserma che ospita gli agenti che altro non è che una vecchia sezione dove morì avvelenato Pisciotta, cugino del bandito Giuliano. Entrando nella suddetta caserma, si prova la stessa sensazione che si prova entrando nelle celle della casa circondariale, perché questo non erano altro che queste stanzette, e le docce sono in comune con scarsa privacy. Le unità di agenti previste per il servizio sono 530, ma in realtà vi è una disponibilità di 399 divise in 4 turni, che a causa dei numerosi compiti di cui sono gravati, quasi sempre dal pomeriggio alla mattina successiva, la forza presente si riduce a 20 unità complessive. Lo stress e la fatica sono di casa. Bisogna fare qualcosa e subito; non è pensabile che si possano creare le condizioni per rieducare e redimere chi sta in carcere con l’attuale stato delle cose. Chiedo al Presidente della Regione Raffaele Lombardo un intervento energico nei confronti del Governo Nazionale, che ne ha competenza assoluta, affinché destini nuove risorse alle carceri siciliane, per il reinserimento e per le attività sociali e ricreative dei detenuti; inoltre mi preme chiedere al Presidente della Regione Siciliana di intervenire, al di là di ogni polemica, perché le competenze sanitarie delle carceri passino immediatamente alla regione, essendo la nostra l’unica a statuto speciale che, ancora, non ha provveduto”. Pino Apprendi è uomo sensibile al tema, ma non basta. Serve una mobilitazione generale. Serve che vi svegliate voi, cari lettori e che cominciate a sbattere le vostre metaforiche scodelle su quelle sbarre, da fuori. Non sono coinvolte, nel nostro ragionamento, la certezza della pena, l’indulgenza, la debolezza. Non cerchiamo sconti, né favori per nessuno. Solo non capiamo come si possa tollerare una situazione così lampante nella sua atrocità. Non comprendiamo come i cittadini accettino uno scempio conclamato, un mostro che viola le garanzie costituzionali ed elementari, nel territorio della repubblica. Non sappiamo come si possa essere così sordi e ciechi, tanto da tralasciare il grido che arriva dall’Ucciardone. Non immaginiamo da dove derivi una tale indifferenza, mentre ci sono persone che cuociono al sole, in cella. Arrabbiamoci, per cortesia. Anzi, di più, e scusate la licenza… incazziamoci. Roma: a ferragosto Nitto Palma e Ionta in visita a Regina Coeli Ansa, 9 agosto 2011 L’emergenza carceraria in primo piano nell’agenda del Guardasigilli, Francesco Nitto Palma. A Ferragosto, riferiscono fonti del Dap, il ministro della Giustizia, accompagnato dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, si recherà in visita al carcere romano di Regina Coeli. L’attuale situazione carceraria era stata al centro del colloquio della scorsa settimana tra il ministro della Giustizia e il Capo dell’amministrazione penitenziaria, uno dei primi incontri istituzionali per Nitto Palma dopo la nomina al dicastero di via Arenula. Bari: Sappe; protestano i 28 immigrati arrestati per la rivolta del Cara Ansa, 9 agosto 2011 I 20 immigrati detenuti nel carcere di Bari e facenti parte del gruppo dei 28 migranti del Cara arrestati per la protesta violenta del primo agosto scorso, si sono rifiutati ieri di rientrare nelle loro celle dopo l’ora d’aria. Ci sono volute circa due ore di trattativa per convincere gli immigrati a desistere dalla protesta. A riferire l’episodio è il segretario nazionale del Sindacato nazione polizia penitenziaria (Sappe), Federico Pilagatti. “La protesta - sostiene Pilagatti in una nota - verteva principalmente sul loro stato di profughi, che nonostante le promesse non è stato ancora riconosciuto, e le condizioni di vita all’interno del carcere”. A questo proposito, il Sappe sottolinea che nel carcere di Bari, a fronte di 200 posti circa disponibili, sono ospitati 530 detenuti. “Ci sono stanze al primo piano della terza Sezione - afferma Pilagatti - con detenuti che dormono per terra, senza che possano nemmeno stare in piedi tutti insieme”. Secondo il Sappe, se fino ad oggi non è accaduto nulla di drammatico nel carcere di Bari, lo si deve “al coraggio e alla professionalità” della polizia penitenziaria. Giustizia: Osapp; a Torino manca l’acqua calda per gli agenti Adnkronos, 9 agosto 2011 “Una vicenda assurda, che non trova alcuna giustificazione, quella della mancanza di acqua calda per le esigenze del personale di Polizia Penitenziaria in servizio nella casa circondariale Lo Russo Cutugno di Torino”. Lo denuncia Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) riguardo alla mancata erogazione del servizio negli alloggi del personale del Corpo interni all’istituto penitenziario. “In base alle informazioni in nostro possesso - spiega - vi sarebbe l’esigenza di lavori di ripristino di non eccessiva difficoltà e persino gratuiti ma per il problema dell’acqua calda del personale, è proprio il caso di dirlo, la direzione non fa un tubo”. “Dopo il ripetersi di troppe e ripetute aggressioni - prosegue il sindacalista - purtroppo analoghe per modalità ed esecutori, quella dell’acqua calda al carcere di Torino più che una scoperta risulta essere l’ennesima ingiustizia perpetrata nei confronti di un personale che, in assoluta povertà di mezzi e di considerazione, continua a svolgere con abnegazione e sacrificio il proprio difficile lavoro in favore della collettività” conclude Beneduci annunciando a breve azioni di protesta nell’istituto torinese. Aosta: detenuto marocchino prende a pugni un agente Adnkronos, 9 agosto 2011 Ieri pomeriggio il tentativo di far rispettare una disposizione di servizio è costato un pugno in faccia a un assistente della Polizia Penitenziaria in servizio alla Casa Circondariale di Aosta da parte di un detenuto trentenne di origine marocchina. Lo rende noto l’Osapp, il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria. L’aggressione si è verificata intorno alle 18.30 nella Sezione B al secondo piano dell’istituto. L’agente è stato medicato al pronto soccorso di Aosta e, riferisce il sindacato, ha una prognosi di cinque giorni per trauma facciale. “Siamo stati facili profeti anche se questo non ci rende assolutamente contenti - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - Ribadiamo a gran voce la richiesta di miglioramenti nella conduzione e nell’organizzazione dei servizi dell’istituto di Aosta. Auspichiamo, nella perdurante assenza di correttivi - conclude il sindacalista - che le colleghe e i colleghi in servizio a Brissogne, sappiano mantenere fermi lucidità, professionalità e la fiducia nelle Istituzioni di cui hanno dato fino ad oggi ampia prova”.