L’Europa apprezza l’impegno del Comune di Padova per il carcere Il Mattino di Padova, 8 agosto 2011 Quello che si fa a Padova per coinvolgere il carcere in percorsi di reinserimento delle persone detenute, ma anche di educazione alla legalità per le scuole, è stato apprezzato e premiato dall’Unione Europea. Un apprezzamento che è nato dopo una visita di una delegazione europea, che ha seguito molte delle attività che si svolgono in carcere, e che vedono da anni l’impegno del Comune di Padova, e in particolare il progetto di confronto tra scuole e carcere. E ne ha colto l’alto valore, sia per gli studenti, che vedono così le conseguenze di certi comportamenti a rischio, di quelle trasgressioni che sembrano solo un gioco o una leggerezza, che per i detenuti, che negli studenti spesso vedono i loro figli e sentono di doversi assumere le loro responsabilità fino in fondo. Abbiamo chiesto a un funzionario del Comune, che ha seguito questo importante confronto con l’Europa, di raccontarci perché e come Padova è stata scelta per un importante progetto europeo, e poi a un detenuto di raccontare che cosa ha significato per lui mettere a disposizione degli studenti delle scuole la sua difficile esperienza, raccontando pezzi della sua vita. Perché il comune crede nell’educazione alla legalità L’Unione Europea ha definito il progetto “La vita dietro le sbarre” al quale sono chiamati a partecipare Enti e/o Agenzie della Romania, della Spagna e dell’Italia; per il nostro Paese è stato individuato il Comune di Padova/Settore Servizi Sociali, grazie alla valutazione favorevole che una delegazione europea - in visita in Città - ha espresso sulle azioni del progetto. Il progetto prevede che il Settore Servizi Sociali proponga le buone prassi attualmente in essere con riguardo all’insieme delle attività aventi per oggetto: “inclusione sociale degli ex detenuti e/o dei detenuti in regime di semilibertà; inserimenti lavorativi degli ex detenuti; lavori di pubblica utilità sostitutivi del carcere; interventi formativi e di prevenzione rivolti agli studenti e loro insegnanti nei percorsi di legalità e stili di vita positivi”. La partecipazione al progetto rappresenta per il Comune di Padova/Settore Servizi Sociali una importante occasione per presentare alla Romania e alla Spagna il know-how in tema di politiche sociali sviluppate da questa Amministrazione con riguardo alla prevenzione dei comportamenti devianti e alle misure per contrastare la recidiva delle persone che escono dal carcere per fine pena, la cui applicazione rappresenta un importante contributo ai fini di migliorare la sicurezza cittadina; al Comune di Padova viene richiesto di accogliere le delegazioni straniere e di partecipare con proprio personale e/o con esperti alle varie attività/iniziative anche in Romania e in Spagna. Il progetto avrà durata triennale ed è interamente finanziato dalla Unione europea. Le azioni del progetto saranno da noi proposte in incontri dedicati ed alla presenza di esperti ed operatori dei Paesi partner e riguarderanno per esempio i protocolli in materia di inserimenti lavorativi di persone in condizioni di svantaggio; la convenzione stipulata con il Tribunale per far effettuare al condannato lavori di pubblica utilità in sostituzione della pena detentiva e pecuniaria; le azioni di inclusione sociale per gli ex detenuti. Inoltre agli insegnanti di quei Paesi si proporranno le campagne rivolte agli studenti di Padova di prevenzione dell’abuso di alcol e di coinvolgimento sui temi della legalità e per stili di vita positivi, che fanno parte del collaudato progetto “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere”. Il Settore coinvolgerà nelle azioni del progetto in particolare i soggetti che da sempre lo accompagnano in questa progettualità, ossia la Casa di reclusione di Padova, l’Istituto penale per minorenni di Treviso e l’Associazione Granello di Senape. L’individuazione del Comune di Padova all’interno del progetto europeo rappresenta senz’altro un importante riconoscimento del lavoro svolto da anni da un gruppo di operatori appassionati ed esperti. Lorenzo Panizzolo Dirigente Settore Servizi Sociali - Comune di Padova Non è per niente facile raccontare i propri reati Parlare con gli studenti è per me troppo importante, perché mi fa vivere in maniera diversa il carcere e in carcere: dialogare con gli altri, soprattutto con giovani che hanno l’età di mia figlia, mi fa capire i miei sbagli meglio di qualsiasi altro esempio o ragionamento. Parlando sono costretto a riflettere sul passato, ma anche sul presente e perfino sul futuro: la mia mente è occupata e sono “obbligato” a rimanere attaccato alla realtà della vita, perché uno dei rischi del carcere, almeno quando il periodo trascorso dietro le sbarre è lungo come nel mio caso, è quello di farsi assorbire dalle abitudini e dai modi di pensare di questo luogo, che difficilmente portano a qualcosa di buono. Se dovessi dare un “valore” al progetto con le scuole, la prima osservazione che mi viene da fare è che si tratta di un’attività molto “faticosa” (non è mai facile raccontare i propri reati, e non ci si abitua mai all’idea del male che si è fatto), ma credo che sia stata proprio tutta questa fatica a farmi trovare la direzione giusta per dare una svolta alla mia vita. Sono cinque anni che partecipo a questo progetto, e ogni volta che entrano gli studenti sono emozionato come le prime volte: ci siamo infatti resi conto che negli incontri non c’è mai nulla di ripetitivo; gli atteggiamenti dei ragazzi non sono mai gli stessi, non sai mai quali domande faranno, i loro pensieri, i giudizi e a volte anche i pregiudizi nei nostri confronti sono sempre un’incognita. I ragazzi hanno la grande capacità di guardarti dritto negli occhi e di dirti e di chiederti tutto quello che un adulto magari ti risparmia. Ogni volta che entrano le classi e mi metto a sedere mi viene spontaneo pensare a come mi comporterei e cosa risponderei se lì davanti, a farmi le domande, ci fosse mia figlia, coetanea di quegli studenti, con la differenza che, mentre a loro che in fin dei conti sono degli sconosciuti potrei forse anche rifiutarmi di rispondere, a qualsiasi domanda di mia figlia - non foss’altro per il fatto che l’ho lasciata da sola quando era ancora piccolissima, aveva da poco imparato a camminare, e ora ha più di diciotto anni - non potrei proprio in alcun modo sottrarmi. Io dunque, che non sono riuscito a dare consigli nemmeno a mia figlia, come posso darne ai ragazzi delle scuole? Io mi limito a raccontare la mia storia, spiego cosa mi ha portato a sbagliare e descrivo anche le difficoltà famigliari, ma i ragazzi hanno la capacità di metterti spalle al muro con le domande più inaspettate. Un giorno una ragazza, dopo aver sentito che ero in carcere per un omicidio per vendetta, e che cercavo di spiegare quanto sia distruttivo coltivare l’odio e pensare di potersi fare giustizia da sé, mi ha voluto mettere alla prova chiedendomi: “Ma se qualcuno facesse del male a tua figlia, tu come reagiresti?”. Non sapevo cosa rispondere. Nonostante stessi cercando di ragionare non riuscivo a mettere a fuoco quale comportamento avrei avuto in una situazione così drammatica, e alla fine ho risposto che non lo sapevo. Sono stato sincero, perché avrei potuto trovare una risposta di comodo, invece davvero non so come reagirei in una circostanza del genere. Non lo so veramente, però una cosa l’ho imparata, e anche di questo devo essere grato al progetto con le scuole: mentre prima pensavo poco e agivo d’istinto, da ora in avanti, e questo varrà per ogni questione della mia vita, prima di fare qualsiasi gesto penserò e ragionerò non una ma 100-1000 volte. I ragazzi, con le loro domande, riescono a metterti a nudo, ti costringono a pensare e a ragionare facendoti sentire prima di tutto una persona normale. Dritan Iberisha Giustizia: Pd al ministro Nitto Palma; in carceri situazione drammatica, governo immobile L’Unità, 8 agosto 2011 Con una lettera aperta i responsabili Giustizia e Carceri del Partito Democratico, Andrea Orlando e Sandro Favi, vogliono richiamare l’attenzione del ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma sulla drammatica situazione degli Istituti penitenziari italiani dovuta al sovraffollamento dei detenuti e alle difficoltà e precarie condizioni di lavoro in cui opera tutto il personale penitenziario, in primis gli agenti della polizia penitenziaria. Nonostante il Parlamento abbia per ben due volte discusso delle mozioni sul carcere con impegni diretti dell’allora ministro Alfano e che proprio pochi giorni fa il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia richiamato le istituzioni e le forze politiche ad affrontare in modo urgente i problemi che affliggono le carceri, ad oggi il governo in carica continua ad essere immobile e a non fare nulla. Il testo integrale della lettera aperta Illustre Ministro, la drammaticità della situazione negli istituti penitenziari italiani, prima ancora che dalle fredde cifre del sovraffollamento e delle statistiche, è testimoniata dalle storie di vita quotidiana, di sofferenza e spesso di morte che a fatica filtrano dal carcere. Oggi, però, non sono solo i detenuti e le loro famiglie a chiedere interventi contro le condizioni disumane degli istituti penitenziari. Accanto a loro ci sono gli agenti della Polizia penitenziaria costretti a turni massacranti e i direttori che da ben 5 anni sono privi di un contratto di lavoro. Senza dimenticare che altri operatori, quali gli assistenti sociali, gli educatori, gli psicologi e l’intero mondo del volontariato si trova nelle stesse condizioni di abbandono e disinteresse da parte di chi oggi ha responsabilità di governo. Ma se vogliamo parlare di numeri eccone alcuni assai eloquenti della crisi: 2.000 detenuti in più da gennaio 2010, 1.600 agenti di polizia penitenziaria in meno, nel solo 2011 sono morti suicidi 40 detenuti e 2 agenti, i 500 milioni di euro per l’edilizia penitenziaria previsti dalla Finanziaria 2010 non sono ancora stati messi a disposizione;, il 90 per cento del bilancio del comparto penitenziario è costituito da stipendi e altre spese per il personale, i fondi per acqua, luce, gas e riscaldamento sono un terzo di quelli necessari, l’Amministrazione penitenziaria ha oltre 150 milioni di euro di debiti presso i propri fornitori. Per ben due volte il Governo ha assunto precisi impegni in Parlamento ai quali, a tutt’oggi, non ha dato seguito. L’intera politica penitenziaria è contraddistinta dal fallimento completo: quasi tre anni per mettere in campo un Piano Carceri inefficace e sbagliato. Non c’è traccia di alcun piano di assunzioni di personale, di ampliamento e potenziamento delle misure alternative, di maggior favore agli interventi di cura e riabilitazione dei tossicodipendenti in comunità, di facilitazioni per l’ammissione delle detenute madri e dei loro bambini in ambienti esterni al carcere, di miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e dell’organizzazione del lavoro degli operatori. Il Partito Democratico ha da tempo presentato le proprie proposte che prevedono: la revisione dei meccanismi della custodia cautelare che determinano l’elevata presenza di detenuti per periodi brevi; un’efficace depenalizzazione dei reati minori e la contestuale revisione del codice penale; l’abrogazione delle norme della legge ex-Cirielli per i detenuti recidivi; il rilancio delle pene alternative; la modifica della legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti e l’aumento delle risorse per l’affidamento ai Sert ed alle Comunità terapeutiche dei tossicodipendenti autori di reato; l’assunzione di 1000 operatori professionali (educatori, assistenti sociali e psicologi) e l’adeguamento degli organici della Polizia penitenziaria; l’estensione agli adulti dell’istituto della messa alla prova; la predisposizione delle condizioni per l’accesso a misure alternative per gli immigrati condannati, da eseguirsi anche nei paesi di provenienza; il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari; la revisione delle altre misure di sicurezza divenute pressoché indistinguibili dalla pena carceraria. Occorre intervenire subito perché è assai concreto il rischio di una regressione civile e democratica che vuole far tornare il carcere agli anni bui dell’abbandono e della violenza, del reclutamento criminale, del marchio al degrado urbano dei balordi, delle prostitute di strada, dei folli, dello stigma verso gli stranieri, gli indesiderabili ai quali è negata ogni opportunità. Di sovraffollamento forse non si muore, ma di abbandono, di incuria, di indifferenza, di disperazione si può morire in carcere in ogni momento e in ogni condizione. Giustizia: tra sovraffollamento e lavoro per i detenuti, le ricette delle direttrici di Ilaria Sesana Avvenire, 8 agosto 2011 Nell’immaginario collettivo è “un mestiere per uomini”, ma realtà è ben diversa: sono 104 su circa 200 gli istituti “in rosa” e spesso le responsabili delle carceri promuovono innovazioni. Sono sempre più numerose le donne alla guida di un penitenziario. Farsi accettare non è un problema, gli stereotipi vengono dall’esterno. Nell’immaginario collettivo è “un lavoro con i pantaloni”. Dirigere un istituto penitenziario è, forse, la professione “al maschile” per eccellenza. Uno stereotipo, uno dei tanti in cui si inciampa quando si parla di carcere: perché le donne, anche in questo settore, sono sempre più numerose. “Abbiamo 248 donne dirigenti. Di queste 104 sono direttore di un istituto penitenziario o di un Ufficio di esecuzione penale esterna”, spiega Luigia Culla, oggi direttore generale dell’Esecuzione penale esterna del Dap. Una carriera nell’amministrazione penitenziaria iniziata nel 1975 e che l’ha vista prima alla guida del carcere romano di Rebibbia e, successivamente, una delle prime donne a ricoprire il ruolo di provveditore regionale. “Ho fatto il concorso nel 1973, le donne erano circa il 30% delle partecipanti”, ricorda. La sfida più ardua, in quegli anni, era quella di farsi accettare nel ruolo di direttore all’interno di un contesto esclusivamente maschile. “Bisognava lavorare tre volte tanto rispetto a un uomo. Col tempo le cose si sono sistemate: seppure con qualche difficoltà, ci siamo fatte strada”, spiega Luigia Culla. Per le pioniere di questa professione è stato difficile farsi accettare, sia dai colleghi, sia dai detenuti. “Una ventina d’anni fa, all’inizio della mia carriera, mi è capitato di andare a colloquio con un detenuto, che non mi parlava - ricorda Rosalba Casella, direttore del carcere di Modena. Quando l’ho interpellato mi ha risposto: “Sto aspettando il direttore”. Era il 1991. Oggi invece la presenza femminile alla direzione degli istituti di pena è un fatto consolidato. “Per una donna, oggi, farsi accettare dai colleghi non è un problema”, spiega Gloria Manzelli, direttore della casa circondariale “San Vittore” di Milano. Gli stereotipi, semmai, vengono dal mondo esterno: “Quando spiego che lavoro faccio, la prima domanda che mi viene posta è: “Ma allora dirige un carcere femminile?”. “Il rispetto si conquista con l’onestà, con la serietà e assumendoti le responsabilità in prima persona - aggiunge Rosaria Marino, direttore di Novara. Ad Alessandria avevo a che fare con 850 detenuti e 400 agenti uomini e nessuno mi ha mai mancato di rispetto. È questione di carattere, non di sesso”. Novara: far incontrare studenti e detenuti C’è chi sceglie di puntare sulla sicurezza e chi sul trattamento. La sfida vera è riuscire a contemperare le due cose”. Rosalia Marino dirige il carcere di Novara dal gennaio 2011, una struttura piccola ma complicata (ci sono 250 detenuti di cui 70 al 41 bis). La dottoressa Marino ama mettersi in gioco e proporre iniziative, che in un mondo rigido come quello del carcere, sembrano impossibili. Ad esempio portare gruppi di ragazzi delle scuole superiori all’interno del penitenziario e organizzare momenti d’incontro con i detenuti. Convinta che da questi incontri possano nascere li preziose occasioni di riflessione. “I ragazzi non immaginano nemmeno che, nella maggior parte dei casi, i de-tenuti sono giovani poco più grandi di loro - spiega. E che spesso si trovano in carcere per reati connessi alla droga: sentirsi dire da un detenuto “State attenti!” può aiutarli a cambiare atteggiamento e comportamenti”. Mandare avanti un carcere è un lavoro complesso, “che non ti permette di staccare”. Ma che soprattutto scarica sulle spalle di chi lo dirige una grande responsabilità. “In quanto direttore sono chiamata a esprimere continuamente dei pareri sulle persone detenute: se concedere o meno i domiciliari, se dare la possibilità di lavorare o meno - spiega Rosalia Marino. Si tratta di scelte importanti per la vita di una persona e io questa responsabilità me la sento tutta”. Massa Carrara: la mia scelta anticipò la riforma Nel carcere di Massa Carrara, oltre al direttore, anche il comandante delle guardie è di sesso femminile. “E gli uomini ci dicono sorridendo: “Siamo in mano alle donne”, spiega Alessandra Beccaro, 57 anni, da 33 nell’amministrazione penitenziaria. Ha maturato la sua scelta professionale sin dall’università a Genova nel 1975 segue uno dei primi corsi di diritto penitenziario, istituiti mentre era ancora in corso l’approvazione della riforma. “Non c’erano ancora i libri di testo - ricorda - perché la legge fu approvata in dicembre mentre le lezioni iniziavano in ottobre. Studiammo su testi ed articoli di giuristi e poi sul testo della legge”. A suo avviso la presenza delle donne ha contribuito tantissimo al mutamento del carcere: “Hanno portato una di versa sensibilità, un pensiero più elastico, una maggior attenzione ai problemi dei detenuti e del personale”. Le difficoltà sono state tante, spiega, “ma non ricordo di averne avuto in quanto donna”. I problemi sono sempre stati connessi “all’enorme sproporzione tra il numero dei detenuti e quello delle persone che se ne devono occupare”. E poi il sovraffollamento e la mancanza di risorse. “A volte ci sono possibilità di cambiamento insperate: tanti hanno bisogno di essere aiutati nel riuscire a individuare la via giusta - conclude. Non tutti hanno fatto dell’illegalità una precisa scelta di vita”. Milano: il nostro obiettivo è la tutela delle persone recluse È un lavoro che assorbe tantissimo, è impossibile lasciarlo in ufficio alle sei di sera”. Gloria Manzelli, direttore della casa circondariale di Milano, tiene il cellulare acceso 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. “Quando torno dopo un paio di giorni di ferie, mi sembra di rientrare in un istituto diverso”, aggiunge. A San Vittore transitano ogni anno circa 12mila detenuti, con una presenza giornaliera che oscilla tra i 1.700 e i 1.800. “Il nostro obiettivo è la tutela dell’integrità della persona detenuta. Prestando attenzione a tutte le sue sfaccettature”, spiega. Ad esempio con uno sguardo particolare per i bambini: non solo San Vittore è l’unico carcere dove non ci sono bimbi detenuti ma i figli dei reclusi possono incontrare i genitori in locali adatti a loro. Un compito arduo in una realtà così complessa: malattia mentale, patologie fisiche, tossicodipendenza e povertà sono condizioni sempre più diffuse. Senza contare il sovraffollamento ormai cronico. “Abbiamo tre reparti chiusi per ristrutturazione e altri due avrebbero bisogno di importanti interventi per garantire condizioni di vita più dignitose. Capitano delle sere in cui mi dico che vorrei mollare tutto - conclude Gloria Manzelli. Ma ogni volta arrivano piccoli segnali (ad esempio la lettera di un detenuto) che mi fanno dimenticare anche le giornate più difficili. Don Alberto, il nostro cappellano, direbbe che è un segno della Provvidenza”. Modena: i vecchi schemi non vanno più, bisogna agire in modo nuovo Essere donne, talvolta aiuta. “Siamo più allenate a trovare soluzioni, a mediare, cerchiamo di ragionare in modo nuovo. I vecchi schemi non funzionano più - spiega Rosalba Casella, direttore del carcere di Modena -. Siamo senza soldi e senza personale, con strutture vecchie e sovraffollate. Bisogna saper pensare in modo nuovo”. Quella di Modena è una piccola struttura (410 reclusi circa) alla periferia della città. Il prossimo obiettivo della direttrice, è investire per creare “posti di lavoro vero” per i detenuti. “Il problema è trovare aziende che vogliano investire - spiega. I pregiudizi sul carcere, purtroppo, sono tanti. Dobbiamo trovare il modo di far capire alle imprese del territorio che lavorare in carcere è possibile”. Mandare avanti un istituto di pena è un mestiere pesante ma dinamico, precisa Rosalba Casella: “Abbiamo addosso delle responsabilità schiaccianti, teniamo in mano la vita delle persone. Anche una sola notte in cella può segnarla - riflette -. Se l’uomo della strada sapesse cos’è un iati tuto di pena, sicuramente chiederebbe meno carcere”. La direzione di un penitenziario, però, è una professione che si coniuga malissimo con la vita privata: gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Vallo della Lucania: la sfida del reinserimento sociale, anche per i sex offender Il carcere deve lavorare per restituire alla società persone migliori. E la pena deve tendere alla rieducazione. Questi i principi che guidano ogni giorno le azioni di Maria Rosaria Casaburo, 40 anni e due figli, direttore del carcere di Vallo della Lucania (Salerno). Un piccolo istituto di pena in cui sono ristretti esclusivamente sex offenders. “Ho chiesto io di essere assegnata alla direzione di questo istituto - spiega. L’ho scelto perché ha una vocazione particolare ed è possibile portare avanti progetti nuovi. Sperimentare”. La direttrice però non nasconde le difficoltà di questo compito: “C’è una forte stigmatizzazione di queste persone che posso comprendere come donna. Ma che come direttore non posso sottoscrivere”. La sfida consiste soprattutto nel far passare l’importanza della risocializzazione di questi detenuti, “passare dalla contenzione fisica alla contenzione degli impulsi”, spiega. E per trasformare la teoria in pratica, lo scorso aprile Casaburo ha lanciato una coraggiosa sfida: affidare a un gruppo ristretto e selezionato di carcerati la manutenzione del verde pubblico nel comune di Castelnuovo Cilento. “Ci sono state forti proteste e titoli di fuoco sui giornali locali contro “I giardinieri pedofili” - ricorda. C’è stata anche una raccolta firme per cercare di fermare questo progetto. Noi invece eravamo forti solo del nostro mandato costituzionale”. E invece, tutto è andato per il meglio, al punto che anche altri sindaci del circondario si sono fatti avanti per chiedere di partecipare all’iniziativa: “Abbiamo sfondato un muro”, commenta con un sorriso. Maria Rosaria Casaburo riesce comunque a coniugare vita privata e lavoro, nonostante “il cellulare di servizio che squilla spesso” e gli orari di lavoro non sempre canonici. “Il mio è un bel lavoro, che non cambierei con nessun altro - ripete soddisfatta. E poi, mio figlio di 13 anni è fierissimo di me”. Giustizia: Uil-Pa; sono 515 i minorenni detenuti, a Ferragosto visita all’Ipm di Casal del Marmo 9Colonne, 8 agosto 2011 “Da molti anni, nel giorno simbolicamente dedicato alle ferie ed alle vacanze, vado in visita negli istituti penitenziari per manifestare vicinanza al personale e per alimentare la memoria di un mondo che non conosce ne ferie ne vacanze. Quest’anno sarò in visita ad un Istituto per Minori perché ritengo, purtroppo, che si parli poco della Giustizia Minorile e della devianza minorile, che pure è un fenomeno sempre più complesso ed in mutamento”. Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, che a Ferragosto visiterà l’Istituto Penale per Minori di Casal del Marmo. Sarno rende noto che “al 5 agosto scorso, nelle 19 strutture penitenziarie minorili erano ristretti 515 ragazzi: 483 maschi (337 italiani, 144 non italiani), 32 femmine (11 italiane, 21 non italiane). A tale dato vanno sommati i 13 i minori presenti nei Centri di Prima Accoglienza e i 53 ospitati in comunità. I reati che determinano la maggiore detenzione sono reati contro il patrimonio, contro la persona e violazione leggi stupefacenti. Il 26% (136) dei minori reclusi è in attesa del primo giudizio, il 7% (34) è appellante, il 3% è ricorrente e il 20% è condannato in via definitiva”. Inoltre “circa il 24% (124) dei minori detenuti è composto da ragazzi di origine napoletana, che hanno contiguità con la camorra” e sono “piuttosto attivi i minori equadoregni a Genova e Milano, i cinesi in Lombardia e Toscana, i maghrebini in Piemonte. Queste sono le punte di un iceberg che andrebbe più a fondo investigato, anche dal punto di vista dell’ordine pubblico”. Giustizia: Osapp; ministero incapace su aggressioni, a settembre nuove manifestazioni nazionali Ansa, 8 agosto 2011 “È probabile che nell’amministrazione penitenziaria centrale qualcuno non sappia che pesci prendere sul problema delle aggressioni di poliziotti penitenziari in carcere”. È la dura presa di posizione di Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) dopo le aggressioni degli ultimi giorni. “A Torino come a Civitavecchia sono sempre gli stessi detenuti - aggiunge - che aggrediscono gli agenti e, spesso, negli istituti penitenziari non si agisce in alcun modo dal punto di vista disciplinare”. Gli appelli al ministero e al Dap “non sono valsi a nulla”, sostiene il segretario nazionale dell’Osapp, che li accusa di assenza di progettualità”. Per questo motivo, il sindacato annuncia da settembre “una serie di manifestazioni nazionali di protesta per rivendicare la dignità e il ruolo - conclude Beneduci - delle donne e degli uomini del Corpo tra le forze di polizia dello Stato”. Giustizia: il sito internet del Sappe attaccato dagli hacker, solidarietà da Ionta Adnkronos, 8 agosto 2011 “La legge non è uguale per tutti”. È questo il messaggio che gli hacker hanno lanciato dalla homepage del sito del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), dopo la violazione del sito avvenuta la scorsa notte. Su www.pastebin.com gli autori dell’attacco esprimono “la vicinanza a tutti i detenuti in Italia, troppo spesso vittime delle ormai arcinote lungaggini burocratiche e processuali, fenomeno tutto italiano e che fa si che vi siano nelle nostre carceri persone non ancora giudicate neanche in I° grado e da ritenersi quindi innocenti”. “Constatiamo con amarezza - si legge nella rivendicazione - come le condizioni di vita carceraria siano insostenibili ed una vera ignominia per uno stato che si reputa non solo civile ma facente parte dei paesi firmatari di numerosi trattati contro la tortura; ebbene a nostro avviso le condizioni degradanti e svilenti della dignità umana in cui la stragrande maggioranza dei detenuti sono costretti a scontare la propria pena sono equiparabili a tortura”. Gli hacker, che sottolineano di non avere “intenzioni eversive o terroristiche ma vogliamo semplicemente dare voce ai deboli ed agli oppressi” denunciano come “certe figure politiche che dispongono dei soldi o del potere necessari possono compiere pressoché qualsiasi reato restando impuniti mentre l’immigrato accusato di spaccio difficilmente riuscirà ad aver un trattamento equo”. L’attacco, rilevano gli autori dell’iniziativa, ha riguardato proprio il sito del Sappe in quanto spazio d’espressione delle critiche del sindacato per la situazioni interna alle carceri. Spazio che, ad avviso degli hacker non avrebbero i detenuti “che francamente patiscono ben di peggio che il vostro stress e logorio da penitenziario”. Ionta (Dap): solidarietà al Sappe per l’attacco hacker Il capo dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, esprime “solidarietà al Sappe per l’attacco subìto da un hacker che ha defacciato il sito dell’organizzazione sindacale” e in un messaggio che compare sul sito dell’amministrazione penitenziaria si dice “certo che l’azione sindacale non ne verrà turbata”. Lettere: la politica va in vacanza… e le carceri attendono di Massimo Bordin Il Riformista, 8 agosto 2011 “Se vogliono pregare possono benissimo andare a S. Pietro”. Così l’Economist liquida la grottesca vicenda del “pellegrinaggio” in Terra Santa dei nostri parlamentari. Quest’anno è logico che le vacanze di quelli che non si possono più nemmeno definire eletti dal popolo quanto piuttosto nominati dai vertici dei partiti, attirino più che mai una attenzione non benevola. La crisi finanziaria incombe. Ma non solo essa. Se le parole hanno un senso, quelle del presidente della Repubblica sullo stato delle carceri, pronunciate ormai una decina di giorni fa, possono essere definite ultimative. Non è che occorra intervenire subito, occorreva intervenire prima. Intervenire oggi vuol dire fermare una sequenza di morti che, essendo perfettamente edotto della situazione dai suoi massimi vertici, lo Stato non può negare di aver direttamente causato. Una situazione che giuridicamente evoca lo sterminio di una precisa categoria di persone, nel caso specifico i carcerati. Il paragone con la “shoà”, proposto da Pannello e dal suo sciopero di fame e sete, è forte ma non del tutto improprio. Dunque, oltre lo spread e il default, c’è dell’altro. E oltre ai ministri economici anche quello della Giustizia avrebbe un motivo per attivarsi subito, tanto più che è di fresca nomina. Anche il Pd con un appello dei responsabili giustizia e carceri del partito lo invita, da ieri, ad attivarsi. E proprio ieri il neo ministro Nitto Palma ha risposto con una intervista al Giornale. È falso che passerà un mese in Polinesia, come qualche detrattore prevenuto aveva scritto. Saranno solo sedici giorni e, del resto, aveva prenotato a maggio. Aloha. Lettere: carceri sovraffollate… aspettando le riforme è urgente un’amnistia di Milo Bertolotto (assessore al Personale, Sistemi Informativi, Carceri della Provincia di Genova) Secolo XIX, 8 agosto 2011 La drammaticità attuale della situazione carceraria, sotto gli occhi di chi la vuol vedere, mette a rischio le condizioni di lavoro e di sicurezza del personale e la qualità della vita dei detenuti, ai quali in queste condizioni non è garantito il diritto sancito dall’articolo 27 della Costituzione che prevede che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato e mai svolgersi in condizioni lesive della dignità della persona. Era il 29 luglio 2006. Il Parlamento con un’ampia maggioranza trasversale approvò la legge 241, l’indulto. Una misura chiesta a gran voce da quanti, ben conoscendo lo stato delle strutture carcerarie del nostro Paese, pensavano fosse ineludibile un alleggerimento di quella situazione esplosiva. Approvato, come prescrive la norma, dai due terzi del Parlamento, è stato in poco tempo misconosciuto dalla gran parte di coloro che lo votarono, ma solo il 33,92% dei detenuti beneficiati dal provvedimento è rientrato in cella, nonostante il provvedimento non sia stato accompagnato da adeguate misure di accoglienza e di integrazione delle persone scarcerate. Di questo però non si parla, anzi in nome della sicurezza - cavallo di battaglia del governo Berlusconi - l’indulto è stato demonizzato e si fa un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Sono passati cinque anni, siamo ancora in estate e la situazione delle carceri è immutata, anzi è peggiorata. Siamo a circa 68.000 persone ristrette in spazi angusti, una situazione in cui i più elementari diritti sono negati. D’estate vengono quasi del tutto sospese le attività trattamentali, il personale di polizia penitenziaria, costantemente sotto organico, così come il personale civile va in ferie (un sacrosanto diritto); le presenze degli operatori penitenziari sono dunque ridotte all’osso. Anche il volontariato - una risorsa preziosa che spesso sostituisce nelle piccole incombenze quotidiane il personale ministeriale - è in vacanza. Le carceri scompaiono, salvo aggiudicarsi l’onore delle prime pagine quando, attorno a ferragosto, qualche parlamentare compie l’ormai tradizionale e inutile visita alle carceri con relativi comunicati, stampa oppure quando accadono tentativi di suicidio o episodi di violenza che suscitano le legittime rimostranze della polizia penitenziaria gravata da responsabilità sempre più difficili. Tutto sembra sopito dal caldo, dal clima di ferie, dall’indifferenza colpevole. Eppure in quelle strutture le persone detenute e gli operatori penitenziari vivono d’estate una condizione ancora più drammatica che nel resto dell’anno. In una sua intervista il nuovo ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, ha sostenuto la necessità di un programma di depenalizzazione dei reati minori e si è detto contrario alla eccessiva criminalizzazione: insomma, secondo il ministro urge una riforma del codice penale innanzi tutto. Peccato che il governo di cui Nitto Palma è entrato a far parte sia andato fin qui nella direzione opposta: ad esempio violazioni che andrebbero punite con sanzioni civili o amministrative sono oggi regolate da leggi che prevedono sanzioni penali con relativa detenzione. Anche il Presidente Giorgio Napolitano ha recentemente dichiarato che “le prigioni del nostro Paese sono una realtà che ci umilia. Una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita, dalla quale non si può distogliere Io sguardo”. Oggi da molti - e io sono fra questi - e dai Radicali in primo luogo si chiede un provvedimento di amnistia che dovrebbe essere accompagnato da una riforma strutturale e da una revisione complessiva del sistema sanzionatorio, a partire dalle leggi affolla carceri e da un utilizzo più ampio delle misure alternative. Sarebbe un atto di civiltà. Nel frattempo, mentre i circa 68.000 detenuti che affollano le carceri e il personale penitenziario trascorreranno un’altra estate in condizioni insostenibili, il Parlamento chiude i battenti per un mese. Ora la priorità è un’altra: tutti in ferie. Lettere: affollamento carceri… l’America insegna il Correctional Business di Massimo Guerrini La Gazzetta di Modena, 8 agosto 2011 In Italia la popolazione carceraria conta circa 68mila individui, mentre i posti letto sarebbero 43mila. Il 45% non ha una condanna passata in giudicato, il 67% è costituito da extracomunitari e tossicodipendenti. Molti di questi ultimi sono sieropositivi: una miscela di forzosa promiscuità che genera pericolo. Un disagio che ben conoscono anche i detenuti nel carcere modenese di Sant’Anna, dove sono stipati in condizioni da terzo mondo in 430, contro i 221 posti previsti, mentre d’altro canto l’organico della Polizia Penitenziaria è carente di sessanta unità. La detenzione in Italia ha per lo Stato costi altissimi. Ogni giorno di detenzione costa pro-capite come un albergo a 5 stelle: 450 euro, in totale in Italia fanno 29milioni al dì, più di dieci miliardi all’anno. Anche in America il numero dei detenuti è in continua crescita, ma grazie al “Correctional Business” o industria delle carceri, nel corso dell’ultimo decennio sono state costruite oltre 500 nuove carceri ad alto livello di sorveglianza, carceri dove si lavora e si produce. Lo sfruttamento delle attività carcerarie è diventato negli Usa il terzo datore di lavoro, con più di 600mila “addetti”, un solo gradino sotto al giro di affari di un colosso come la General Motors. I detenuti-lavoratori vengono retribuiti con un salario inferiore del 20% allo stipendio medio dei “liberi” dipendenti : il Dipartimento Penitenziario ne trattiene infine l’80% a copertura parziale delle spese di vitto e alloggio. Il business delle carceri private è diffuso anche in Russia, Cina, Inghilterra e Australia. Il lavoro, si sa, nobilita l’uomo e lo rende indipendente: perché non unire il fattore rieducativo insito nel lavoro all’indubbio risparmio che ne deriva da una gestione privata? In Italia non se ne parla nemmeno, giace, ancora insabbiata, l’inerente proposta di legge presentata in Parlamento dal leghista Pagliarini. E le numerose carceri abbandonate o mai inaugurate per mancanza di personale? L’indulto? Un ripiego che non soddisfa nessuno. Lo Stato faccia un passo indietro laddove si è dimostrato troppo a lungo inefficiente, e non abbia vergogna di dover copiare il sistema delle democrazie più avanzate, ne va del bene di tutti. Lettere: il Garante dei detenuti in Abruzzo, un passo avanti sulla difesa dei diritti di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 8 agosto 2011 Un passo avanti sul garantismo e sulla difesa dei diritti è stato fatto dal consiglio regionale abruzzese che nell’ultima seduta ha approvato l’istituzione del garante dei detenuti. La proposta avanzata dal consigliere regionale di Rifondazione Maurizio Acerbo è passata quasi all’unanimità. È questo certamente un primo passo, per una maggiore riflessione verso i diritti delle persone recluse e le problematiche della detenzione. Nella nostra regione i problemi su questo settore sono complessi e meritano un’attenzione particolare anche da parte delle istituzioni. Speriamo che questo tassello voluto con tenacia dal consigliere Acerbo possa rappresentare un momento di attenzione verso i problemi degli invisibili, degli esclusi e degli emarginati, che hanno diritto di cittadinanza come tutte le persone. Questa considerazione nasce anche da dati statistici che vedono una detenzione legata alla criminalità organizzata, non superiore al dieci per cento e invece quasi interamente connessa al disagio sociale: immigrazione clandestina, consumo di droghe leggere, piccoli furti ecc. Il garante è un primo momento, ma va sviluppata anche una riflessione più ampia su quali pene e sulle alternative al carcere. Catanzaro: detenuto di 67 anni s’impicca in cella, era in carcere da poco più di un mese Gazzetta del Sud, 8 agosto 2011 Schiacciato dal peso del rimorso, s’è stretto la vergogna attorno al collo e ha chiuso definitivamente gli occhi. Francesco Beniamino Cino se n’è andato in silenzio, all’alba d’un giorno di festa. S’è ucciso nella solitudine della sua cella dopo una notte insonne, passata a ripensare all’ultimo spicchio della sua vita che gli era sembrato improvvisamente irrecuperabile. Cino era rinchiuso nel penitenziario di Catanzaro da martedì sera, dopo l’intervento chirurgico per l’asportazione d’un carcinoma, al quale era stato sottoposto il 28 luglio, nel policlinico di Germaneto. Soffriva parecchio il sessantasettenne di Montalto Uffugo, nel Cosentino, soffriva dal 29 giugno, il giorno della follia. Quella mattina, nel giro d’un quarto d’ora, uccise i consuoceri, Franco Cariati e sua moglie Anna Greco, e ferì la nuora Teresa. Crimini documentati dalle investigazioni dei carabinieri del capitano Adolfo Angelosanto e dalle stesse ammissioni del commerciante reo confesso. Cino interpretò il rifiuto dell’ex moglie del figlio ad abbandonare la “sua” casa come una congiura ordita nei suoi confronti dalla donna e dai suoi genitori. Nella sua mente, probabilmente, non c’era più spazio per altro di più razionale. E così s’armò e fece strage dei consuoceri. Dopo la mattanza, Cino fuggì, tentando di spararsi con la pistola nel parcheggio d’un centro commerciale di Cosenza. Ma l’arma s’inceppò e non poté completare quel suo disegno che ha, invece, definito, ieri mattina, lasciandosi soffocare da un lenzuolo che s’è stretto al collo nel chiuso della sua cella. Negli ultimi tempi parlava tanto di quel suo desiderio che era diventato una ossessione. Cercava la morte, si sentiva finito. S’era rivolto al medico che lo aveva operato: “Dottore, la prego, mi faccia morire...”. Ne parlava spesso durante i colloqui in carcere con la moglie e il figlio e, pure, con i suoi legali, gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera. L’ultima volta era stato in ospedale. Francesco Beniamino Cino confessò d’essersi bevuto una intera bottiglietta di colla vinilica senza tuttavia aver subito alcuna conseguenza. Intenzioni suicida che avevano spinto i difensori a vergare in fretta una richiesta al gip di Cosenza per sottoporre Cino a una perizia psichiatrica. Lo scopo era quello di valutare le condizioni psichiche dell’uomo e la sua compatibilità col regime carcerario. Il giudice aveva autorizzato la visita specialistica che, probabilmente, avrebbe dovuto svolgersi stamattina nell’infermeria del carcere catanzarese. Ma il sessantasettenne detenuto è stato più lesto. Gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera hanno già preannunciato un esposto per fare piena luce sulla vicenda. L’iniziativa dei legali è finalizzata a verificare se c’è stata una flessione nel livello di sorveglianza dal momento che Cino aveva più volte esternato quella sua insana voglia d’ammazzarsi. Sospetti che rischiano d’avvelenare il metabolismo delle indagini sul decesso in cella. Uno dei tanti che si consumano nell’inferno delle prigioni italiane, quando la disperazione stritola la speranza. Francesco Beniamino Cino s’è ucciso a 40 giorni esatti dalla strage. La sua discesa negli inferi era cominciata sotto casa, a Settimo di Montalto, quando affrontò Teresa Cariati, la nuora per “definire” la questione dell’appartamento. Un quartino che il giudice della separazione aveva assegnato alla donna: “Se non vuoi più abitare qui da noi, bene, allora vattene e restituiscimi le chiavi”. L’incontro fatale rappresentò l’innesco che fece detonare la diga della ragione. La donna già in auto non avrebbe assecondato quella richiesta provocando la reazione del commerciante. L’uomo avrebbe aperto lo sportello dell’auto e avrebbe cominciato a percuotere la nuora. Avvisaglie che lasciarono i segni di un conflitto familiare ormai fuori controllo, nutrito da rancori e interessi. Quel pensiero fisso per la casa aveva finito per assorbire la mente del sessantasettenne. La rabbia urlata in faccia alla nuora e la successiva aggressione fisica sarebbero stati i prodromi della strage, i sintomi di quella ossessione che finì per trasformare un tranquillo commerciante in un freddo assassino. Cino, ormai prigioniero della follia, sarebbe corso in auto a prendere quella vecchia pistola ereditata dal padre scatenando l’inferno. In quindici minuti ferì la nuora, sotto gli occhi dei due nipotini, e uccise i consuoceri. Poi, fuggì, raggiunse Cosenza, dove tentò di togliersi con quella stessa pistola con cui aveva seminato la morte. Una rivoltella che, però, s’inceppò e lui andò via, con l’autostop, fino a raggiungere il Savuto, prima di decidere di consegnarsi ai carabinieri, confessando tutto. Per tre settimane è rimasto rinchiuso nel carcere di Cosenza. Poi, la necessità del trasferimento a Catanzaro per l’intervento chirurgico per il quale era già in lista da tempo. E dopo l’operazione, il ritorno dietro le sbarre dov’è rimasto per quattro giorni prima di togliersi la vita. Ugl Calabria: ennesimo suicidio in carcere L’ennesimo suicidio avvenuto ieri presso il carcere di Catanzaro pone, ancora una volta, il problema della carenza di personale di polizia penitenziaria. Infatti, il gesto disperato è stato scoperto proprio dall’unico agente in servizio nella sezione detentiva dove, nonostante il tempestivo intervento, per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Tale circostanza si verifica a pochi mesi dalla visita in Calabria di alcuni parlamentari i quali hanno potuto constare come la situazione del carcere di Catanzaro ha raggiunto ormai livelli esplosivi, tanto da non poter più accogliere nuovi detenuti. Lo stesso problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari della Calabria, unitamente ai problemi operativi del personale, denunziate a più riprese dall’Ugl Polizia penitenziaria, era stato sollevato esattamente un mese fa dall’on. Angela Napoli attraverso una interrogazione parlamentare alla camera. Massa Carrara: 28enne arrestato per il sequestro della moglie si impicca in cella di sicurezza Ansa, 8 agosto 2011 Si è impiccato nella cella di sicurezza il romeno di 28 anni che oggi si è tolto la vita nella caserma dei carabinieri di Pontremoli (Massa Carrara). L’uomo, Ioan Tomoroga, operaio, era stato arrestato per il sequestro della giovane moglie avvenuto in mattinata. I carabinieri, chiamati da alcuni vicini, era intervenuti dopo che l’uomo si era recato nell’abitazione di Pontremoli dove la donna vive sola da una ventina di giorni dopo essersi separata dal marito con cui era sposata da 5 anni. Il romeno è stato così arrestato per sequestro di persona e rinchiuso nella cella di sicurezza della caserma di Pontremoli in attesa del trasferimento al carcere di Massa. Proprio per evitare gesti estremi, era stato privato di oggetti come lacci delle scarpe, la cintura e persino i jeans. L’uomo si è però sfilato la maglietta, l’ha legata alla griglia dello spioncino sulla porta e se l’è legata al collo. Quindi si è seduto su una sedia lasciandosi cadere. La morte è avvenuta per asfissia. Cagliari: troppi detenuti a Buoncammino, per il carcere è allarme sovraffollamento L’Unione Sarda, 8 agosto 2011 Nel carcere Buoncammino a Cagliari sono 520 i detenuti, 140 in più della capienza. “Un sovraffollamento costante”, ha sottolineato il direttore dell’istituto, Gianfranco Pala. Il dato è stato evidenziato durante la conferenza stampa per l’iniziativa dei kit-scuola che verranno donati ai figli dei detenuti. In particolare 180 sono extracomunitari, mentre 27 sono le donne. Inoltre sono 80 gli inserimenti lavorativi interni, a cui si aggiungono i dieci che lavorano all’esterno del carcere. Una quindicina di associazioni di volontari si impegnano per cercare di rendere meno drammatica la vita dietro le sbarre. “Da due anni i suicidi sono ridotti a zero - ha rimarcato il direttore Pala - forse si deve al Centro di ascolto istituito dentro il carcere dalla Caritas, in funzione tutte le sere. Una sorta di telefono amico senza fili, ma a diretto contatto con i volontari che raccolgono sfoghi, drammi, speranze e disperazione”. In merito al trasferimento del carcere a Uta per Maria Grazia Caligaris, presidente di Socialismo, diritti e riforme: “L’area individuata per la struttura penitenziaria non è adatta. Dall’Agrolip arrivano i miasmi delle aziende, e l’aria è irrespirabile per detenuti e operatori. Inoltre allontanare i detenuti a Uta significa anche frenare il lavoro dei volontari”. Perugia: Cgil; ripristinare condizioni di dignità negli istituti penitenziari di Vanda Scarpelli (Fp Cgil Umbria) Asca, 8 agosto 2011 L’emergenza vissuta all’interno degli istituti penitenziari umbri è ormai diventata dramma quotidiano, un dramma vissuto con grande professionalità da tutti gli operatori penitenziari spesso sottoposti non solo a eccessivi carichi di lavoro e a sacrificare gran parte del loro tempo libero, ma sottoposti a condizioni di lavoro spesso insicure proprio per le condizioni strutturali in cui si trovano ad operare (sovraffollamento, promiscuità eccessiva, carenza di lavoro per i detenuti etc.). Da tempo come organizzazione sindacale abbiamo evidenziato questa problematica e chiesto aiuto a tutte le istituzioni locali a partire dall’amministrazione penitenziaria fino a coinvolgere i comuni, le Asl e la giunta regionale. Una richiesta che non è caduta nel vuoto e che è stata raccolta dalla presidente della Giunta Regionale e dall’assessore competente che hanno convocato apposito tavolo nel luglio scorso per analizzare la questione: è necessario ora che a fronte delle problematiche che continuano ad emergere e della drammaticità delle condizioni si definisca con univocità una richiesta immediata al Ministero della Giustizia di uno sfollamento degli istituti penitenziari che ripristini almeno quei livelli minimi di dignità per la espiazione della pena previsti dalla nostra costituzione e si renda poi operativo quel tavolo composito e assolutamente efficace convocato nel mese scorso. Bari: Osapp; lettera aperta al Sindaco Emiliano, il carcere in una drammatica situazione www.barilive.it, 8 agosto 2011 Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta indirizzata nei confronti del Sindaco di Bari, Michele Emiliano. Il sindacato della Polizia Penitenziaria denuncia le drammatiche condizioni esistenti all’interno del carcere di Bari e chiede un incontro chiarificatore con il Sindaco. “Gentilissimo dottor Michele Emiliano, preliminarmente Vorrei parteciparle tutta la mia personale stima ed amicizia in ricordo degli anni trascorsi, Lei da Magistrato in prima Linea sul Territorio di Bari, io da semplice Ispettore della Polizia Penitenziaria in servizio presso gli istituti Penitenziari di Trani prima da Capo matricola e poi da Comandante Crf a combattere, è il caso di ricordarlo, ognuno per la propria parte, ognuno nelle sue competenze, criminalità organizzata e delinquenza comune di un certo calibro di efferatezza ed organizzazione criminale. Indiscussa, almeno per quanto mi riguarda, la reciproca onesta partecipata sincera collaborazione come la stima nella Magistratura che mi onoro di servire da oltre 34 anni di servizio verso lo Stato per giuramento verso il nostro tricolore. Ma vengo al dunque, e sono riferito alla “drammatica situazione del Penitenziario di Via Carrassi” nella Sua Città dove vivono circa 350 poliziotti; 550 detenuti ed oltre un consistente numero anche elevato di dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, della sanità, della scuola e del sociale. Non Le starò certamente qui a dire come vivono e se veramente “vivono” in quel tugurio dove la civiltà segna l’ora zero per condizioni strutturali e vivibilità del Penitenziario oltre che per irriguardosa capienza della medesima realtà. Dagli Organi di Informazione, ho appreso della Sua cordiale visita istituzionale al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dell’incontro con il nostro Presidente dottor Ionta. Gradirei che all’Osapp venisse accordato un incontro al fine di condividere e parteciparLe le partecipate, concrete e quotidiane necessità per qualità della vita, dei miei fratelli e sorelle appartenenti ai Baschi Azzurri del Penitenziario di Via Carrassi come Forza di Polizia dello Stato ai sensi della 121/80. Renderò pubblica la presente richiesta affinché i canali d’informazione possano giungere alla Sua cordialissima sensibilità che nuovamente qui ricordo esistere tra di noi. Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Pisa: in carcere manca anche la carta igienica, interviene in Comune Il Tirreno, 8 agosto 2011 “La situazione di sovraffollamento, carenze di personale e risorse nelle carceri italiane è grave e Pisa non fa eccezione: nei giorni scorsi abbiamo consegnato due pancali di carta igienica, 150 confezioni in tutto, su indicazione del direttore, perché le scorte stavano per finire e c’era la concreta possibilità di rimanere senza”. Lo ha detto il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, dopo avere visitato, insieme all’assessore alle politiche sociali Maria Paola Ciccone, il carcere Don Bosco. “Nei prossimi giorni - ha aggiunto il primo cittadino - ci attiveremo per far arrivare tre frigoriferi e un condizionatore: piccoli interventi che facciamo volentieri per quanto non direttamente di nostra competenza, ma assolutamente insufficienti rispetto alle reali necessità. Il grande impegno di chi lavora all’interno delle carceri non basta, occorrono interventi di tipo strutturale da parte del governo”. Nelle scorse settimane i consiglieri del Pdl avevano donato ai detenuti pisani alcuni palloni per giocare a calcetto. Ma è il sovraffollamento forse il problema maggiore: il Don Bosco ospita attualmente 354 detenuti, a fronte di una capienza di 280 posti, e lo scorso anno le presenze erano addirittura superiori alle 400 unità. A questo si aggiunge una situazione strutturale difficile. “Entro ottobre - aggiunge Filippeschi - partirà un intervento di manutenzione straordinaria nel reparto giudiziario, ma tutta la struttura, nata circa 70 anni fa, avrebbe bisogno di sostanziali interventi di riqualificazione. Continueremo a monitorare la situazione e a chiedere al governo provvedimenti e risorse necessari per riqualificare le carceri”. Sassari: l’omicidio di Marco Erittu nel carcere di San Sebastiano; prime contromosse della difesa La Nuova Sardegna, 8 agosto 2011 La competenza per le indagini, per cominciare, ma anche l’attendibilità del testimone chiave e reo confesso di un omicidio da brivido. Infine, le palesi incongruenze di un racconto che secondo la difesa fa acqua da tutte le parti. Semplicemente perché sarebbe pura invenzione. Giocano su tre fronti gli avvocati difensori di Pino Vandi e di Mario Sanna, il detenuto sassarese e l’assistente della polizia penitenziaria finiti in carcere a metà luglio con la gravissima accusa di avere rispettivamente commissionato e favorito l’omicidio di Marco Erittu in una cella del carcere di San Sebastiano. Reo confesso del delitto, e grande accusatore di Vandi e Sanna, è Giuseppe Bigella. Venerdì mattina a Cagliari, per quasi quattro ore, gli avvocati difensori Agostinangelo Marras (Mario Sanna), Pasqualino Federici ed Elias Vacca (Pino Vandi) hanno argomentato i loro ricorsi al tribunale del Riesame di Cagliari. I legali chiedono l’annullamento della ordinanza del gip che ha aperto uno squarcio nella inchiesta sul delitto Erittu (inizialmente archiviato come suicidio) e sulla scomparsa, nel 1993, del giovane di Ossi Giuseppe Sechi. Un delitto, quello Sechi, collegato al sequestro e all’omicidio del farmacista di Orune Paoletto Ruiu. Secondo i legali dei due indagati (Bigella non ha presentato ricorso) la Procura competente per indagare sulla morte di Marco Erittu non è la Dda, ma quella sassarese. Ma è soprattutto sulla presunta inattendibilità di Giuseppe Bigella che ieri hanno battuto gli avvocati difensori. Il collegio presieduto dal giudice Massimo Poddighe (a latere Badas e Sanna) deciderà nelle prossime ore. Roma: agente aggredito nel carcere di Civitavecchia Ansa, 8 agosto 2011 Sempre ed ancora violenze ai danni degli appartenenti alla polizia penitenziaria. Questa volte è toccato ad un agente in servizio nella struttura di Civitavecchia dove è stato aggredito da un detenuto. Il detenuto, come riferito dall’Lisiapp (Libero sindacato Appartenenti polizia penitenziaria) ha riportato ferite con una prognosi di una ventina di giorni. “L’aggressore - ha precisato il Dr. Mirko Manna Segretario Generale del Lisiapp - è lo stesso detenuto che, nei giorni scorsi, si era reso responsabile di un episodio analogo nel carcere di Viterbo, dal quale era stato poi allontanato con urgenza”. “Il clima - sottolinea Manna - è insostenibile. Ormai, viste gli innumerevoli episodi di violenza dall’inizio dell’anno su scala nazionale, crediamo che la situazione sia fuori controllo e a pagare siano gli agenti chiamati in prima linea senza nessuna protezione. In conclusione - afferma il Segretario Generale Manna - speriamo che il cambiamento al dicastero della Giustizia porti almeno una nuova coscienza di apprendimento verso la problematica del sistema penitenziario in particolare le situazioni critiche che affliggono il corpo di polizia penitenziaria e i suoi operatori”. Aosta: Osapp; tensioni tra Direzione del carcere e sindacato di Polizia Penitenziaria Ansa, 8 agosto 2011 “Agire e correggere le condizioni puntualmente indicate consentirebbe anche di restituire alla struttura più idonei requisiti di serenità lavorativa e sicurezza. Il direttore invece polemizza con il sindacato come se la conduzione di un bene pubblico qual è il carcere, necessariamente da condividersi tra le parti, possa acquisire in qualche modo natura personalistica”. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp replica così (“affinché un evento grave non si trasformi in mera e sterile polemica”) alle dichiarazioni del direttore della casa circondariale di Brissogne, Domenico Minervini, che aveva accusato l’Osapp di “cavalcare la polemica” in merito dell’aggressione di una sovrintendente da parte di un detenuto. “Tensioni, malumori e stanchezza, insieme alla progressiva diminuzione degli addetti ai servizi a turno e a diretto contatto con la popolazione detenuta, indicano una cattiva gestione e una non corretta organizzazione delle infrastrutture penitenziarie, con ricadute che possono sminuire la funzionalità penitenziaria persino a discapito della sicurezza della collettività esterna agli istituti” aggiunge Beneduci, che in conclusione sottolinea: “Non possiamo esimerci dal manifestare la nostra profonda delusione nei confronti di un funzionario dello stato la cui capacità di direzione e coordinamento di numerosi dipendenti penitenziari ritenevamo si fossero maggiormente accresciute dopo la non positiva esperienza presso il carcere di Asti”. Palermo: Apprendi (Pd) visita il carcere dell’Ucciardone; 545 detenuti, sovraffollamento cronico Ristretti Orizzonti, 8 agosto 2011 Pino Apprendi, deputato all’Ars, oggi ha visitato il carcere dell’Ucciardone di Palermo, insieme a Giuseppe Bruno, componente dell’esecutivo nazionale dei giuristi democratici e Vincenzo Scalia, componente del direttivo nazionale dell’Associazione Antigone. “Per prima cosa intendiamo denunciare il Comune di Palermo che da oltre due anni non risponde ad una nostra richiesta mirata ad offrire un minimo di decenza all’attesa fuori dal carcere, dove donne, bambini ed anziani, familiari dei detenuti, sia in estate che in inverno per intere ore sono esposti a tutte le intemperie, caldo, freddo ecc.. Il Sindaco con poca spesa potrebbe intervenire per alleviare le lunghe attese dei parenti”, dice Pino Apprendi. “Bisogna impegnare il Governo Nazionale, continua il deputato, affinché, rapidamente, vengano ristrutturate tutte le sezioni dell’edificio borbonico, la cui costruzione risale al 1834 con una visione detentiva adatta a quei tempi. La ristrutturazione e l’adeguamento a nuove normative effettuate nell’ ottava sezione aprono uno spiraglio di speranza”. “Al momento solo la 4^ e l’8^ sezione danno la possibilità ai detenuti di fare la doccia quotidianamente, il resto la doccia riescono a farla 3 volte a settimana. In maniera superficiale si trascura l’apporto del servizio di psicologia che ha a disposizione soltanto 20 ore al mese da dedicare alle 545 persone recluse a tutt’oggi, a fronte di una previsione regolamentare prevista di 292 unità, con un solo medico disponibile dal pomeriggio fino alle 8 dell’indomani mattina. Il Sovraffollamento è ormai diventato cronico e nello stesso tempo tollerato. Al capitolo servizi sociali per un anno sono disponibili 11.860 euro che comprendono anche l’attività ricreativa. Abbiamo richiesto un prezziario dello spaccio alla dr.ssa Rita Barbera, direttore della casa circondariale, per fare delle verifiche e potere dare risposte alla protesta dei giorni scorsi. Ma se i detenuti stanno male, gli agenti penitenziari non ridono. Abbiamo visitato la vecchia caserma che ospita gli agenti che altro non è che una vecchia sezione dove morì avvelenato Pisciotta, cugino del bandito Giuliano. Entrando nella suddetta caserma, si prova la stessa sensazione che si prova entrando nelle celle della casa circondariale, perché questo non erano altro che queste stanzette, e le docce sono in comune con scarsa privacy. Le unità di agenti previste per il servizio sono 530, ma in realtà vi è una disponibilità di 399 divise in 4 turni, che a causa dei numerosi compiti di cui sono gravati, quasi sempre dal pomeriggio alla mattina successiva, la forza presente si riduce a 20 unità complessive. Lo stress e la fatica sono di casa. Bisogna fare qualcosa e subito; non è pensabile che si possano creare le condizioni per rieducare e redimere chi sta in carcere con l’attuale stato delle cose. Chiedo al Presidente della Regione Raffaele Lombardo un intervento energico nei confronti del Governo Nazionale, che ne ha competenza assoluta, affinché destini nuove risorse alle carceri siciliane, per il reinserimento e per le attività sociali e ricreative dei detenuti; inoltre mi preme chiedere al Presidente della Regione Siciliana di intervenire, al di là di ogni polemica, perché le competenze sanitarie delle carceri passino immediatamente alla regione, essendo la nostra l’unica a statuto speciale che, ancora, non ha provveduto. Nella qualità di parlamentare dell’Ars, sensibile ed attento da sempre ai diritti umani, chiedo un grande sforzo da parte dello Stato per ridare dignità all’uomo a cui è stata tolta la libertà per non avere obbedito alle leggi dello Stato. Verona: direttore autorizza il “colloquio”; cani depressi fanno visita ai padroni dietro le sbarre L’Arena, 8 agosto 2011 Il direttore di Montorio ha permesso l’ingresso dei quadrupedi afflitti per la lontananza. L’esperto: “Ansia da separazione dovuta a un rapporto morboso e troppo umanizzato”. Negli Usa 98 strutture sono dog friendly. Porte aperte al carcere di Montorio per due amici a quattro zampe depressi per la lontananza dai padroni. Due cani soffrono di depressione per la lontananza dai padroni e in città si aprono le porte del carcere per permettere agli animali di avere un colloquio, e qualche carezza, dai loro padroni in cella, ne più ne meno come se fossero dei familiari a colloquio. È accaduto nel carcere di Montorio, grazie alla decisione del direttore dell’istituto di pena Antonio Fullone, che ha accolto le richieste dei padroni di Briciola e Shony, due detenuti per reati contro il patrimonio. “Ogni volta che mi venivano a chiedere se potevano vedere i loro cani - racconta il direttore - si commuovevano, avevano le lacrime agli occhi ogni volta che ne parlavano”. Il padrone di Shony era depresso perché non poteva vedere il suo pastore tedesco da due anni, mentre nell’altra “coppia” a soffrire indicibilmente di solitudine era Briciola, a tal punto che il suo veterinario aveva stilato un certificato medico in cui raccontava la tristezza di quella meticcia di pochi anni in attesa di riabbracciare il suo padrone. “Non è perché uno sta in carcere gli si deve negare l’affettività - sottolinea Fullone - perché è importante”. Chi ha assistito al “colloquio” ammette di essersi emozionato: Briciola saltava e girava attorno al suo padrone, mentre Shony, seduto a terra più composto, continuava a dimenare la coda e abbaiare felice. Anche i cani vivono emozioni e “se da un giorno all’altro si trovano senza il proprio padrone possono sentirsi persi. Invece devono essere pronti a stare in tutte le situazioni” per evitare “un’ansia da separazione” dovuta a un “rapporto un po’ morboso e troppo umanizzato”. Lo afferma l’addestratore Massimo Perla, conosciuto nel mondo del cinema e della tv. L’addestratore, però, gira il punto di vista e pensa ai detenuti per il quale il cane “fa moltissimo e riesce a distogliere e sdrammatizzare le sofferenze della detenzione”. Massimo Perla ricorda quindi il progetto realizzato nella sezione femminile del carcere romano di Rebibbia dal 2003 al 2005 di educazione dei cani che venivano dai canili per poi essere affidati. “Una sensibilità da parte dell’amministrazione penitenziaria - sottolinea Perla - che potrebbe ripetersi presto su scala nazionale. In America sono 98 le carceri con una struttura idonea ad ospitare cani e i progetti - conclude Perla - nascono già prevedendo la presenza di questi animali”. Sottosegretario Martini: da direttore penitenziario Montorio atto di umanità “Esprimo tutto il mio plauso e la mia soddisfazione per la lungimiranza del direttore Antonio Fullone, della Casa Circondariale di Montorio, nella mia città di Verona, che sabato scorso ha concesso a due detenuti di incontrare i propri cani, un pastore tedesco e una meticcia, in un apposita area verde protetta all’interno del carcere”. È quanto afferma Francesca Martini, sottosegretario alla Salute con delega alla medicina veterinaria e al benessere degli animali. “Questo - rimarca Martini - rappresenta un atto di grande umanità e civiltà nei confronti dei detenuti e la comprensione del segnale ormai tangibile che i nostri cani rappresentano un affetto concreto e durevole per le persone tanto da venire a far parte del nucleo familiare”. “In tal senso - annuncia il sottosegretario alla Salute - scriverò una lettera al collega Francesco Nitto Palma, neo ministro della Giustizia, affinché promuova la diffusione di queste buone prassi nelle carceri italiane”. Osapp: no ai cani in cella con i loro padroni detenuti “Come poliziotti e operatori della sicurezza e del reinserimento sociale, non possiamo che dirci contrari ai provvedimenti che vorrebbero ‘sic et simpliciter’ i cani in cella con i padroni per evitare le ansie da abbandono degli animali”. Con queste parole il segretario generale dell’Osapp, organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, Leo Beneduci commenta il provvedimento che nel carcere di Verona Montorio ha visto l’ingresso nell’istituto penitenziario di due cani. Per Beneduci, “l’esiguità degli spazi, le gravissime carenze del personale e la inigienicità degli ambienti depongono a sfavore di simili iniziative che andrebbero ad amplificare i già consistenti disagi della detenzione nelle attuali carceri italiane. Ben altra cosa è riprendere ed estendere quei progetti, come quello affidato a Massimo Perla a Roma Rebibbia femminile fino al 2005, che mediante il lavoro e la responsabilizzazione, previa adeguata preparazione professionale della popolazione detenuta, vedano il carcere quale luogo in cui allestire iniziative rivolte all’affidamento alle famiglie di cani abbandonati nei canili municipali”. Immigrazione: Garante detenuti Lazio; con permanenza fino a 18 mesi Cie trasformati in carceri Asca, 8 agosto 2011 “Con la conversione in legge del decreto che prevede l’aumento dei tempi di permanenza nei Cie fino a 18 mesi, il Parlamento Italiano ha trasformato queste strutture da Centri di accoglienza per disperati in vere e proprie carceri. Una decisione che determina il fallimento delle politiche di integrazione di un paese tradizionalmente ospitale come l’Italia”. È quanto dichiara il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la conversione in legge del Decreto 89 del 2011. Gli scontri e le rivolte accaduti degli ultimi giorni nei Cie e nei Cara di tutta Italia sono il segno di “un clima di esasperazione che diventa sempre più ingovernabile e che genera situazioni di intolleranza e di violenza sempre più acute così come accaduto a Ponte Galeria laddove, a fronte di un tentativo di fuga da parte di 5 immigrati, si sono verificati atti di violenza tra le forze dell’ordine e gli ospiti. Sono segnali, questi, dell’alta tensione determinata da un senso di profonda ingiustizia motivata dalla consapevolezza di essere detenuti senza aver commesso alcun reato”. “Dopo le urgenti misure varate a giugno - ha aggiunto il Garante - il Parlamento ha avallato una linea politica molto dura in tema di immigrazione, mentre sulle nostre coste giungono persone che tentano di sfuggire da condizioni di fame e di guerra nei loro paesi di origine. Questa nuova normativa farà diventare le condizioni di vita nei Cie sempre più pesanti e la possibilità di trattenimento degli ospiti fino a 18 mesi è un ulteriore passo verso un imbarbarimento inaccettabile nel modo di affrontare le problematiche legate ai flussi migratori del Mediterraneo. Tutto ciò è incoerente con i principi di convivenza civile, di tolleranza e di solidarietà che hanno storicamente caratterizzato le istituzioni ed il popolo italiano”. Venezuela: per sedare le rivolte sospeso l’ingresso di nuovi detenuti nelle carceri del paese Apcom, 8 agosto 2011 “La sospensione dell’ingresso di detenuti nelle carceri si manterrà per il minor tempo possibile”, afferma il nuovo ministro Iris Varela, “noi tutti dobbiamo capire che è prioritario ottenere un minimo di ordine nelle prigioni del paese”. Mentre il presidente venezuelano in questo momento si trova a Cuba per sottoporsi al secondo trattamento chemioterapico atto a curare il cancro che gli è stato diagnosticato tempo fa, il sistema penitenziario venezuelano, non nuovo a crimini ed omicidi come nel recente caso della rivolta nel carcere di rodeo II , ha visto il giuramento questo sabato, del ministro Iris Varela nel nuovo Ministero del Poder Popular per il Sistema Penitenziario. La cerimonia svoltasi nel salone Simón Bolívar all’interno del Palacio de Miraflores, avviene in un momento di profonda crisi per il sistema carcerario del paese, dove nelle stesse, i detenuti versano in condizioni estreme e dove la violenza sembrerebbe essere la sola legge possibile. Il presidente Chavez nonostante il periodo difficile che sta attraversando e che lo vedrà per tutta la settimana prossima nell’isola cubana, ha appoggiato la recente misura voluta dal nuovo ministro, ossia di sospendere l’ingresso di nuovi detenuti nei centri penitenziari venezuelani, ad eccezione di quelli ad alto pericolo. Il presidente venezuelano ha offerto il suo aiuto incondizionato a tale misura, atta a combattere la “mafia carceraria” come lui stesso l’ha definita, proponendo anche di mantenere in essere tale sospensione fino a settembre. “La sospensione dell’ingresso di detenuti nelle carceri si manterrà per il minor tempo possibile”, afferma il nuovo ministro nella dichiarazione rilasciata su El Nacional, “noi tutti dobbiamo capire che è prioritario ottenere un minimo di ordine nelle prigioni del paese”. Attualmente nella patria di Bolivar si trovano reclusi 50.000 persone, e l’alta congestione che investe le carceri ha portato il nuovo ministro a proporre recentemente di liberare il 40% dei detenuti, che fra i tanti vi sono casi dove la burocrazia, ostacola e rallenta i processi incrementando non di poco il problema. Dati che lasciano trasparire la profonda crisi che perlomeno in questo ambito versa il paese, in forte contraddizione con i propositi di “rivoluzione umanista” tanto auspicata dal presidente Chavez e che rimarca spesso nei suoi discorsi al popolo. Secondo la fonte non governativa, Observatorio Venezolano de Prisiones (OVP), nel 2010 sono morti 476 e feriti 958 detenuti nelle carceri del paese centroamericano. Francia: era detenuto da 48 anni, si suicida in cella dopo aver perso ogni speranza di libertà Adnkronos, 8 agosto 2011 È stato ritrovato morto nella sua cella del carcere di Ducos, in Martinica, dove si sarebbe impiccato con un lenzuolo, Pierre-Just Marny, un 68enne che era considerato il detenuto più anziano di Francia, per aver trascorso 48 anni della sua vita quasi ininterrottamente dietro le sbarre. Già nel 1963, poco più che ventenne, ricordano i media francesi, Marny era stato condannato a due anni per una serie di furti d’auto. Uscito dal carcere due anni dopo, il giovane si era armato per un regolamento di conti e aveva ucciso tre persone, tra le quali un bimbo di due anni, l’unica vittima per la quale aveva mostrato segni di rimorso. Il corpo senza vita dell’uomo è stato ritrovato verso le 4:30 del mattino di ieri legato allo stipite del letto con una corda ritagliata nelle lenzuola. A dare l’allarme è stato il detenuto di una cella vicina. Soprannominato la Pantera Nera, Marny era stato condannato al carcere a vita per omicidio nel 1969 dal tribunale di Parigi. Secondo uno dei suoi avvocati, l’uomo, che soffriva di disturbi psichiatrici, si sarebbe ucciso dopo aver perso ogni speranza di essere liberato. Suicida dopo 48 anni di carcere senza una risposta al senso della vita, di Claudio Perlini (IlSussidiario.net) Pierre-Just Marny, condannato all’ergastolo per un omicidio avvenuto nel 1969, si è tolto la vita nel carcere di Ducos, sull’isola della Martinica, dopo 48 anni di carcere. Secondo uno dei suoi avvocati, l’uomo, che soffriva di disturbi psichiatrici, si sarebbe tolto la vita per aver perso ogni speranza di riottenere la libertà. IlSussidiario.net ha intervistato Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus, che da oltre vent’anni si pone come obiettivo il recupero e la valorizzazione delle persone detenute in carcere. «Il fatto che si sia suicidato dopo 48 anni è emblematico. Nella tragedia di questo fatto, bisogna capire che anche in Italia, con le condizioni in cui si trovano le carceri e i detenuti, i suicidi dovrebbero essere molto più numerosi. Fortunatamente non è così perché c’è nell’uomo qualcosa che spinge a non autodistruggersi». Cosa in particolare? Dopo vent’anni di attività e essermi imbattuto in centinaia di situazioni simili, ho visto che alla fine una persona o si abitua, o ne fa una battaglia estenuante per i propri diritti, oppure si chiede veramente in che modo può offrire una speranza anche dentro tutto ciò, dove sembra che non ce ne sia neanche una. Cosa significa quando assistiamo ad un suicidio in carcere? Un episodio come questo e come tutti gli altri che accadono anche in Italia, di suicidio o di malasanità carceraria, testimonia una sconfitta e un fallimento dello Stato, che non è riuscito a venire incontro a queste delicate situazioni. Se non verrà fatto niente, resterà solo l’incremento di queste sconfitte, accompagnato da un aumento di spese e costi e a una perdita progressiva di dignità, non solo delle persone all’interno di quelle strutture, ma anche di chi opera in nome del bene, che è ancora più grave. Cosa spinge una persona a suicidarsi dopo 48 anni trascorsi in un carcere? Come in tutte le cose, bisognerebbe conoscere il caso specifico, per evitare di giungere a conclusioni affrettate. In generale, arrivare intorno ai 70 anni senza vedere in lontananza neanche una possibilità, può portare alla totale disperazione. Però quest’uomo aveva problemi psichiatrici... Quindi? Bisogna capire se aveva questi problemi anche prima di commettere il reato, e in questo caso sarebbe dovuto essere stato affidato a strutture di un certo tipo. Se invece è entrato in condizioni normali e ha accusato disturbi all’interno del carcere, significa che lo stato francese ha partecipato a distruggere quest’uomo. In entrambi i casi, resta comunque il fallimento dello Stato di cui parlavo prima. Cosa può dare a un ergastolano la forza di non togliersi la vita? È una cosa misteriosa, che ogni uomo ha dentro di sé. In molti i casi il suicidio è considerato un’opzione inconcepibile, fuori natura. Infatti assistiamo spesso a casi di autolesionismo, i momenti in cui la persona chiede di avere un po’ di attenzione, di essere aiutata. È un gesto per dire: “Io esisto, ci sono e ho bisogno”. Ho conosciuto centinaia di detenuti con ergastoli o pene elevatissime e quasi tutti hanno pensato almeno una volta di suicidarsi ma, chiaramente, un conto è pensarlo e un conto è farlo davvero. E, a distanza di anni, quando incontrano una prospettiva, una possibilità, o semplicemente qualcuno che li guarda per quello che sono, sono felicissimi di non aver deciso di non farlo. Cosa si fa per andare avanti? Ci si attacca a qualsiasi cosa, innanzitutto i rapporti personali, con una famiglia, con una moglie o dei figli, tutto ciò che può dare uno scopo. Poi ci può essere il lavoro, i volontari e le persone che si conoscono durante questo percorso. Ma queste sono cose che possono far tirare avanti, e ancora non esiste una risposta univoca alla domanda che mi ha posto perché, per esempio, in molti non riescono a entrare in carcere avendo un figlio di due anni, e vederlo trentenne quando ne escono. Ho visto invece ergastolani che hanno trovato una risposta al loro senso di vivere anche restando dentro un carcere, e che hanno iniziato a essere presenti nella loro famiglia e con i figli in una maniera incredibile, quasi più di una persona libera. Può farci un esempio? Ricordo un ergastolano che, dopo diciassette anni aveva due figlie di 20 e 22 anni. La più piccola aveva un fidanzato e lui si era perso tutti quei momenti importanti, il primo innamoramento, quelle sensazioni particolari. Dopo neanche un anno, quel giovane ragazzo muore in un incidente stradale e, dopo averlo riferito all’uomo in carcere, ricordo il suo dolore lancinante e il senso di impotenza totale, che lo portava a chiedersi perché, ancora una volta, il padre non fosse stato presente per i bisogni della figlia. Eppure, grazie anche al rapporto che si era instaurato tra di noi e parlandone, abbiamo capito che, oltre a mettere una mano sulla spalla, non avrebbe potuto fare niente per cambiare le cose. E questo ci ha fatto capire che ci sono modi che, pur non fisicamente, permettono di essere presente anche di più. Usa: scarcerato uno dei responsabili delle torture ad Abu Ghraib sui detenuti irakeni Ansa, 8 agosto 2011 Charles Graner, il primo dei militari Usa ad essere stato condannato per le umiliazioni inflitte ai detenuti nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, è stato oggi rilasciato dal carcere militare di Fort Leavenworth, in Kansas, dove ha scontato parte della condanna a 10 anni di reclusione che gli è stata inflitta sei anni fa. Secondo quanto ha reso noto una portavoce, Graner rimarrà fino al 25 dicembre 2014 sotto la supervisione di un addetto alla sua sorveglianza, in un luogo segreto. La triste vicenda degli abusi nel carcere di Abu Ghraib è esplosa nel 2004, quando vennero diffuse foto di abusi sui prigionieri compiuti da soldati Usa nel 2003 in quel carcere: le immagini mostravano detenuti coperti di sangue e feci, umiliati sessualmente, minacciati dai cani e attaccati ad elettrodi, nonché militari americani che si accanivano su cadaveri. Una delle foto che fecero maggiore impressione, fu quella della soldatessa Lynndie England con un prigioniero nudo con al collo una sorta di guinzaglio. Lynndie è stata poi processata e condannata a tre anni di carcere. Bahrain: rilasciati 147 manifestanti, ma nelle carceri restano oltre 1.000 detenuti politici Adnkronos, 8 agosto 2011 Tornano in libertà diversi detenuti che erano stati arrestati dalle forze di sicurezza del Bahrain per aver partecipato alle manifestazioni anti-governative contro la dinastia sunnita che governa il Paese. Maryam al-Khawaja, attivista del Centro del Bahrain per i diritti umani (Bchr), ha precisato all’emittente iraniana Press Tv che sono circa 147 i prigionieri rilasciati dal regime degli Al Khalifa. Tra questi vi sono anche Jawad Fairouz e Matar Matar, due ex deputati dell’opposizione. Ai media hanno dichiarato di essere stati picchiati diverse volte in carcere. I due sono stati arrestati a maggio dopo essersi dimessi dal parlamento in protesta con i metodi brutali usati da Manama nel reprimere la rivolta popolare. Anche l’avvocato per i diritti umani Mohammed al-Tajer, arrestato ad aprile, è tra le persone rilasciate. Al-Khawaja ha dichiarato a Press Tv che tra i manifestanti tornati liberi c’è anche un ragazzo di 14 anni. Secondo Bchr, attualmente ci sono oltre mille detenuti politici nelle prigioni del Paese.