Giustizia: appesi al Colle… di Valentina Ascione Gli Altri, 6 agosto 2011 “Quel che mi preme riprendere e sottolineare è un dato molto significativo [...]: e cioè il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative. Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell’estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile [...]. Evidente in generale è l’abisso che separa, come si è detto, la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all’obbiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari[...] per l’apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee. C’è un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto [...] ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Non è Marco Pannella a parlare, né Rita Bernardini. Non sono, queste, parole di un avvocato, di un dirigente penitenziario, di un educatore o di un qualsiasi altro operatore che vive dall’interno la realtà carceraria. Quelli riportati sono solo alcuni passaggi dell’intervento tenuto in occasione del convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano” dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Massimo garante di quella Costituzione che in tanti s’affrettano a difendere ogni volta che qualcuno manifesta l’intenzione di modificarla, senza tuttavia batter ciglio se i dettami della Carta vengono quotidianamente, costantemente, violati e calpestati nelle nostre prigioni. Le parole del Capo dello Stato tracciano un segno nel drammatico corso della crisi del sistema penitenziario. Lasciarle cadere sarebbe troppo perfino in un Paese come il nostro, dove la soglia dell’inaccettabile è così alta da sembrare quasi irraggiungibile. Il tempo di agire è scaduto. È giunto il momento di correre. Giustizia: carcere killer; in tre giorni un morto e tre tentati suicidi Liberazione, 6 agosto 2011 È come al solito un bollettino di guerra, in estate come e più di sempre, la cronaca dalle carceri italiane. Solo negli ultimi tre giorni si segnalano un morto e tre tentativi di suicidio. Due gli istituti penitenziari in questo caso sotto i riflettori: il carcere di Campobasso e quello di Perugia. A Campobasso un detenuto italiano di 50 anni ha tentato di impiccarsi attorno alle 13 di mercoledì, mentre nella serata dello stesso giorno un giovane di 30 anni ha ingerito alcune lamette. Soccorsi in tempo dalla Polizia penitenziaria non risultano in pericolo di vita. “Siamo di fronte a fatti che confermano il malessere che si registra nelle carceri italiane” ha commentato Aldo Di Giacomo del Sappe: “Oggi siamo riusciti a salvare due vite, domani non si sa”. Il sindacalista ha anche denunciato l’imminente trasferimento di 12 colleghi, su un organico già esiguo. Più grave il bilancio a Perugia dove, sempre mercoledì sera, un detenuto tunisino di 24 anni è finito in ospedale dopo aver a sua volta ingerito lamette, poche ore dopo il decesso nella notte tra martedì e mercoledì di un compagno di prigionia. L’uomo, trentaseienne, originario di Rieti, è morto inalando gas da una bomboletta nella sua cella: forse la disperata manifestazione di una tossicodipendenza che il carcere non fa nulla per alleviare, o forse un tentativo di suicido perpetrato con successo. In ogni caso un evento che sottolinea la condizione che si vive nel carcere di Capanne, testimoniata dai deputati Pd Bocci e Verini che l’hanno visitato ieri mattina: in 22 celle altrettanti detenuti dormono su materassi di gommapiuma appoggiati a terra. Nel braccio maschile ci sono 50 reclusi in più (455 detenuti contro i 406 previsti), al femminile le detenute sono 83 quando il limite è di 59 (in due celle convivono 6 donne). La metà dei detenuti a Perugia sono ancora in attesa di giudizio, “il 65 per cento”, denunciano i due parlamentari, “è extracomunitario e soffre di problemi di tossicodipendenza”. Più in generale le piante organiche degli istituti di pena di Perugia, Terni, Orvieto e Spoleto, parlano di 700 detenuti, ma ce ne sono 1.751, di cui 675 residenti in Umbria. “Il sovraffollamento”, evidenziano Liliana Chiaramello e Andrea Maori, dei Radicali di Perugia, “determina conseguentemente difficoltà di organizzazione e gestione delle strutture detentive in cui i reclusi sono quotidianamente sottoposti a torture ancor più aspre in un mese, come questo in corso, in cui caldo e umidità in spazi limitati soffocano il respiro e costringono a uno stato a dir poco disumano”. Una situazione limite che, dichiarano i due esponenti radicali, pone il problema di fondo di una “radicale e urgente riforma della giustizia e della sua appendice penitenziaria, quella che noi come Radicali proponiamo da anni, quella che chiediamo diventi una priorità rispetto ad ogni altra urgenza della politica del nostro Paese”. Ma il tema non “buca” un’agenda orientata a tutt’altro. Al punto che Marco Pannella ha annunciato la ripresa a breve dello sciopero della fame e della sete interrotto a giugno dopo gli impegnativi segnali di attenzione da parte dei presidenti della Repubblica, della Camera e del Senato. Segnali di attenzione tradotti poi in un nulla di fatto, nonostante all’appello per l’amnistia lanciato da Pannella avessero aderito in data primo agosto 671 personalità, tra cui 371 parlamentari (il 39 per cento, bipartisan, del totale di deputati e senatori). Probabilmente il vecchio leone radicale riprenderà a digiunare alla fine di questa settimana: l’ennesima, estrema iniziativa di protesta “tesa”, spiega, “a riportare le carceri italiane in condizioni di legalità”. Anche a costo di riconvocare le Camere “entro, e non oltre, l’estate”. Intanto in carcere si continua a soffrire e a morire: solo nell’ultimo anno, secondo il dossier di “Ristretti orizzonti” (aggiornato però, attenzione, allo scorso 24 luglio) 113 morti, di cui 38 suicidi. Dal 2000 a oggi, sono dati che ripetiamo come una litania, più di 1800 vittime (più di un terzo suicidi). È sufficiente come strage? Giustizia: Pannella; sulle carceri lo Stato ignora parole del Presidente Napolitano Adnkronos, 6 agosto 2011 “Noi abbiamo una priorità molto precisa, indicata dalle massime autorità dello Stato, a partire dal Capo dello Stato, che ci dice che quello del rientro nella legalità del nostro Stato è un tema di urgente attualità. Lo dico a partire dalla condizione delle carceri. Quelle parole chiare e precise, di fatto vengono ignorate dal regime”. Lo ha detto Marco Pannella, questa mattina in diretta a radio Radicale. “Un Presidente della Repubblica in modo esemplare esercita la sua funzione di garante dei diritti degli ultimi. E non se ne ha notizia. Ho tentato di dare voce alla parola di Napolitano, e non riesco a farla conoscere. C’è un mutismo clamoroso - ha concluso Pannella - che fa paura”. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); ha ragione Pannella, serve agire subito Italpress, 6 agosto 2011 “È vero, le istituzioni ignorano l’appello del presidente Napolitano per rendere le carceri più vivibili. Ma alcune cose potrebbero essere fatte subito: garantire l’accesso all’acqua potabile, maggiore cura dell’alimentazione anche per evitare le malattie, miglior utilizzo degli spazi aperti”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Assieme al collega Fleres ho iniziato una serie di visite nelle carceri. La Commissione Diritti Umani del Senato è impegnata a verificare le condizioni di vita nei penitenziari - continua Di Giovan Paolo. Il sovraffollamento si sente soprattutto d’estate, quando peggiorano le già precarie condizioni di vita”. Giustizia: Forestan (Garante Verona); prima di tutto bisogna far rispettare leggi esistenti di Matteo Lo Presti Il Riformista, 6 agosto 2011 “Mi chiedo sempre perché i cittadini italiani non capiscano che dietro le sbarre del carcere vivono persone di grande umanità, che piangono e ridono e soffrono, che hanno le stesse aspirazioni alla felicità che abbiamo noi che viviamo fuori dal carcere”. Parla a vele spiegate Margherita Forestan, nominata dal 2009 dal consiglio comunale di Verona garante per i diritti dei detenuti il cui compito primario è la tutela delle persone private o limitate nella libertà personale. Una lunga esperienza ai vertici della casa editrice Mondadori, responsabile dell’editoria per ragazzi, si trova oggi protagonista di impegno sociale nel quale le doti di manager concreta e fantasiosa si espandono all’interno delle mura del carcere. “Il garante, una volta si chiamava difensore civico, costruisce - spiega con fervore la Forestan - in ambito penitenziario funzioni di tutela delle persone. Avevo già rapporti con le carceri: con la Mondadori avevamo istituito un piccolo premio letterario. Conoscevo lo strazio di queste esperienze. Uscito il bando ho partecipato e sono stata designata nella città di cui è sindaco leghista Flavio Tosi”. In Italia non esiste una figura di un garante nazionale (il primo fu istituito in Svezia nel 1809), ma forse è meglio così: esistono garanti regionali, provinciali e comunali le cui funzioni sono definite dai relativi atti istitutivi. Come denuncia quotidianamente Marco Pannella con i suoi digiuni, per agevolare lo sfoltimento delle carceri, la situazione è pesante. Ma con forza e durezza di argomentazioni la garante veronese fugge retorica e protagonismi. “Prima di tutto è necessario fare rispettare le leggi esistenti - sottolinea - applicare quelle norme che favoriscono il ritorno a casa dei detenuti che abbiano espiato parte della pena, sia quelli che hanno possibilità di risarcire i reati compiuti, sia i detenuti per reati di microcriminalità. Migliaia di giovani in carcere con motivazioni assai scarse. E poi aiutare la magistratura a sveltire le pratiche per rimpatriare tutti gli immigrati che chiedono di tornare a casa. Un detenuto costa alla comunità 160/200 euro al giorno. E battersi perché siano rispettate le norme che impongono pene alternative alla detenzione. Con una settimana di detenzione possiamo pagare biglietti aerei per trasferimenti anche alle Maldive. Il secondo aspetto è quello di impegnarsi perché i reclusi trovino possibilità di lavoro e dentro le carceri e a fine pena anche all’esterno”. Tutti sanno che il carcere è anche scuola che sviluppa potenzialità criminali che fanno tuonare contro indulti e amnistie che dopo pochi mesi riportano in carcere le stesse persone. Margherita Forestan ha progetti diversi: “Nel carcere di Verona su 900 ospiti abbiamo solo 100 perone alle quali possiamo fornire una piccola retribuzione per il loro lavoro di cuochi, di portavitto, di addetti alle lavanderie e alle pulizie. Ho introdotto anche il lavoro volontario. In pratica, il detenuto firma una carta nella quale si impegna a svolgere lavoro non retribuito, ma intanto viene inserito in una lista di attesa per migliore impiego. Però con l’aiuto di una banca questo mese riuscirò a portare un piccolo salario anche ai volontari. Apriremo una panetteria per insegnare un mestiere”. Non dice la Forestan che il suo emolumento di cinque mila euro è stato devoluto per fornire suppellettili agli ospiti del carcere: 50 specchi di plexiglass, 200 sedie di plastica, cappelli, grembiuli, stivali per chi lavora nelle cucine. C’è da osservare che il garante è stato istituito a Verona, ma non a Padova, né a Venezia dover esistono carceri e amministrazioni di sinistra. Come mai? Su questo la Forestan non polemizza e racconta: “Abbiamo 70 donne che confezionano manufatti che vengono venduti sulle porte delle chiese e casi drammatici di cui si deve sapere. Un ragazzo afgano è in carcere da quattro anni per le accuse false di avere tentato di uccidere una zia. Gli stessi cugini l’hanno scagionato”. Infine commenta con parole chiare: “Mi piacerebbe cha anche gli avvocati d’ufficio si impegnassero meglio nella difesa dei loro assistiti. Il poco e il minimo non servono. Il sentimento di riconoscenza di cui ogni uomo è capace è premio che ringiovanisce e ci riempie di allegra gratificazione”. La Forestan scrive anche spesso al ministro di Giustizia e al Presidente della Repubblica Napolitano. “Mi guardano alcuni come se fossi un’aliena, una pazza - conclude - lo sento proprio che la pensano così. Ma il vedere che molte persone con il tuo impegno trovano la forza di sorridere, è tonificante ed energetico”. Giustizia: il Sottosegretario Casellati; Napolitano ha ragione, servono scelte coraggiose di Ivan Mazzoletti La Discussione, 6 agosto 2011 Ad agosto parlare di sovraffollamento può subito far venire in mente la distesa di persone che invadono le spiagge italiane determinate a godersi le meritate vacanze estive. E invece, assieme a una maggiore umanità nel trattamento, il tema devia sulla delicata questione dell’emergenza carceri. Se n’è parlato tanto negli ultimi giorni grazie a un’importante iniziativa curata dai radicali di Marco Pannella a Palazzo Madama con la partecipazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Come priorità, poi, l’ha messa in agenda anche il neo Guardasigilli Francesco Nitro Palma che per settembre ha promesso un “pacchetto” di interventi. Il ministro della Giustizia nei giorni scorsi ha dato atto al partito di Pannella di indicare “alla responsabilità della politica un problema vero e importante”. Il degrado delle strutture penitenziarie del nostro Paese troppo spesso guadagna la ribalta della cronaca. Anche in seguito a episodi drammatici. Sono 1.840 i detenuti morti dal 2000 a oggi, 658 dei quali per suicidio. La popolazione carceraria, secondo uno studio prodotto dall’associazione per l’iniziativa radicale fiorentina “Andrea Tamburi” illustrata dal vicesegretario Maurizio Buzzegoli, in Italia “è oltre quota 68 mila, un terzo in più di quella consentita, il che fa evidenziare una forte carenza d’organico della polizia penitenziaria”. A Palazzo Madama il presidente Napolitano aveva detto a chiare lettere che la questione del sovraffollamento nelle carceri è un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile. La situazione dei detenuti nelle carceri italiane, sempre secondo il capo dello Stato, è spesso “una realtà che ci umilia in Europa e che ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani in condizioni che definire disumane è un eufemismo”. Inoltre, ha osservato che “c’è un abisso tra questa realtà e il dettato della Costituzione”. Al ministero di via Arenula la “delegata” del Guardasigilli Palma è il sottosegretario Elisabetta Alberti Casellati che con la Discussione ha fatto il punto sulla situazione nelle carceri italiane soprattutto dopo le riflessioni del presidente Napolitano. “Non c’è dubbio che la situazione nelle carceri italiane non sia più sostenibile a causa del sovraffollamento che ci ha indotto a dichiarare lo stato d’emergenza”. Sottosegretario Casellati, quali sono i numeri in possesso del ministero? Siamo di fronte a una situazione inaccettabile per la presenza di 68mila detenuti. In che modo si è deciso di intervenire? Abbiamo scelto di procedere con misure strutturali evitando di ricorrere a provvedimenti come l’indulto, che non solo non è socialmente accettato ma, come dimostra il recente passato, non è nemmeno risolutivo. Un’emergenza che investe soprattutto gli organici... La situazione negli istituti di pena è difficile per gli agenti di Polizia Penitenziaria che si trovano ad affrontare ogni giorno problemi delicati. Nonostante ciò, lo spirito di servizio evidenziato dal Corpo è un patrimonio di saldezza repubblicana di cui la collettività è giustamente fiera. Che cosa è stato fatto in questi tre anni di Berlusconi-quater? Molto più che in passato e attraverso scelte concrete: abbiamo realizzato 2200 posti detentivi, pari a quelli creati nell’ultimo decennio; sono stati firmati i protocolli d’intesa con le Regioni per costruire nuove strutture penitenziarie e nuovi padiglioni nelle carceri già esistenti, così da avere 2 Inula nuovi posti; abbiamo stipulato convenzioni in ambito europeo per cui ciascun detenuto sconta la pena nel proprio paese d’origine; infine abbiamo varato alcune misure per consentire di espiare l’ultimo anno di pena, per reati minori, agli arresti domiciliari. Va anche detto che gli ingressi in carcere sono in diminuzione; il che non vuol dire che bisogna rilassarsi, ma è un dato di fatto che registra una significativa inversione di tendenza. Ed è anche doveroso ricordare che, nonostante i pesanti tagli in molti settori cui ci ha costretto la crisi economica, abbiamo immesso in ruolo 2000 agenti di Polizia penitenziaria. Non è poco in tempi così difficili. Che cosa si farà dopo l’investitura di Nitto Palma? Il Ministro ha subito dimostrato di avere contezza del problema e idee chiare, affermando di voler dare continuità all’azione di governo già intrapresa e ritenendo utile avviare un programma di depenalizzazione dei reati minori quale ulteriore strumento di soluzione all’emergenza sovraffollamento. Il ministro Nitto Palma, infatti, ha perfettamente ragione quando dice che le nostre leggi prevedono il carcere anche per reati che negli altri Paesi sono puniti con sanzioni amministrative e civili. Una decisione in questa direzione ci consentirà, da un lato, di diminuire il numero di detenuti ristretti per reati “bagatellari”, anche a causa di un sistema giudiziario troppo lento, dall’altro, permetterà di liberare risorse così da consentire processi più celeri e quindi assicurare la certezza della pena. La riflessione del capo dello Stato è esagerata o condivisibile? Le parole di Napolitano sono più che condivisibili, là dove sostiene che il problema delle nostre carceri va affrontato con scelte coraggiose, ed è quello che stiamo facendo dall’inizio della legislatura. Da condividere è anche la riflessione del Capo dello Stato sull’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, che non solo è concausa del sovraffollamento carcerario, ma che priva della libertà anche persone che, non bisogna mai dimenticarlo, fino a sentenza definitiva sono innocenti. Così si è mosso fin da subito anche il Ministro Palma, sostenendo che è necessario un uso moderato della carcerazione preventiva. Giustizia: processo lungo, una legge contro il diritto di Domenico Gallo Il Manifesto, 6 agosto 2011 Dopo l’ennesima fiducia sull’ennesima riforma della procedura penale confezionata nell’interesse di un imputato eccellente, molti si sbracceranno a denunciare il ricorso di un’altra legge ad personam. Però tale denunzia rischia di non cogliere nel segno e di non turbare più un’opinione pubblica, ormai tanto assuefatta alla legislazione ad personam, da non considerarla più inaccettabile. In effetti non bisogna sottovalutare il messaggio con cui i media del regime fanno trangugiare all’opinione pubblica le leggi “ad personam”. Cioè che tali normative, anche se favoriscono l’imputato Berlusconi e gli uomini della sua Corte, perseguitati da ingiusti accanimenti giudiziari, rispondono ad un interesse pubblico, in quanto introducono elementi di razionalizzazione delle regole e di tutela degli interessi della generalità dei cittadini. È questa la menzogna, essenziale per la tenuta della favola del Paese dei balocchi nell’immaginario collettivo, contro la quale bisogna fare chiarezza. Generalmente in qualunque paese civile, i governi, si sforzano di rendere più efficiente l’operato delle amministrazioni pubbliche ed i servizi che il settore pubblico deve garantire ai cittadini. Tuttavia quando è in gioco il diritto alla libertà dei cittadini, allora l’esigenza di efficienza dell’azione repressiva della polizia e della magistratura si scontra con l’esigenza di tutelare i diritti inviolabili del cittadino che ha il diritto di preservare la sua libertà ed i suoi beni anche a fronte dell’interesse punitivo dello Stato. Il punto di equilibrio fra il doveroso intervento dello Stato per reprimere i comportamenti antisociali ed i diritti del cittadino coinvolto in fatti di rilievo penale è rappresentato dal giusto processo. Nessuno può essere punito (e quindi subire delle limitazioni alla sua libertà) se la sua responsabilità non viene accertata, nel rispetto di procedure rigorose, da un giudice imparziale ed indipendente da ogni altro potere. La questione che la legge sul processo lungo pone, come tutte le altre norme ad personam approvate od in gestazione in Parlamento, attiene proprio al funzionamento delle procedure. Vale a dire se la macchina giudiziaria che produce il processo penale debba funzionare per pervenire al suo sbocco naturale (l’accertamento della verità di un fatto reato e l’irrogazione delle pene di giustizia ai responsabili), ovvero se debba essere intralciata nel suo funzionamento, in modo da rendere vana l’azione dei pubblici poteri che mira a contrastare la criminalità. Quella approvata dal Senato con il voto di fiducia, non è una disciplina che mira a rendere più “giusto” il processo, né mira a rafforzare le garanzie dell’imputato nel processo. È una normativa che non ha altro significato e scopo se non quello di ingolfare il funzionamento della macchina del processo penale per impedire che il processo arrivi al suo sbocco naturale: la giustizia. Ciò vale soprattutto per i reati dei colletti bianchi (che dopo mafia e terrorismo sono quelli più dannosi per la società) che usufruiscono di ridotti termini di prescrizione. Cancellando il potere del giudice di escludere le prove che sono manifestamente superflue o irrilevanti, il dibattimento penale diventerà un inutile spreco di tempo e di denaro e potrà essere allungato all’infinito, fin quando la prescrizione porrà fine alla farsa. Inoltre, se alla fine, dopo un travagliato percorso giudiziario dei fatti di rilevanza penale saranno accertati con sentenza passata in giudicato, la sentenza non potrà essere utilizzata da altri giudici per accertare i medesimi fatti con riferimento ad altro imputato e bisognerà ricominciare tutto d’accapo. Il processo penale è una risorsa delicata e costosa, ma nello Stato di diritto non c’è un altro sistema per il contrasto alla criminalità, funzione essenziale per garantire la convivenza pacifica fra tutti i consociati. È mai possibile che nel Paese dei balocchi in cui ci hanno ridotto, governo e maggioranza, si sbraccino a buttare della sabbia negli ingranaggi del processo penale per bloccarne il funzionamento? Altro che leggi ad personam, questa è la legge di Mackie Messer! Giustizia: il Tribunale del Riesame dice no, Alfonso Papa resta in carcere Corriere della Sera, 6 agosto 2011 Respinta l’istanza di scarcerazione avanzata dai suoi legali. Il deputato del Pdl ha appreso a Poggioreale del coinvolgimento della moglie. Soddisfatto il pm Lepore: “Avevamo visto giusto”. Il tribunale del riesame di Napoli ha respinto l’istanza di scarcerazione - e anche gli arresti domiciliari che erano stati chiesti in subordine - per il deputato del Pdl, Alfonso Papa. La richiesta era stata avanzata dai legali del deputato, Carlo Di Casola e Giuseppe D’Alise che avevano chiamato in causa anche un vizio di forma nelle modalità di notifica della convocazione all’udienza del 3 agosto di uno dei due difensori. L’esponente pidiellino, dunque, rimane a Poggioreale, dove è detenuto a seguito dell’autorizzazione della Camera al suo arresto nell’ambito della inchiesta sulla cosiddetta P4. Il Riesame, però, avrebbe fatto cadere due capi di imputazione per concussione contestati a Papa. Soddisfatto il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore: “È una ulteriore conferma che avevamo visto nel giusto, che l’impianto accusatorio rimane saldo e che non avevamo creato polveroni”. “Umanamente può dispiacere - ha detto ancora il magistrato - , ma dal punto dei vista professionale per noi è un passo in avanti”. In mattinata lo stesso Papa si era detto “sereno” e aveva ribadito di “aver fiducia nella magistratura”. Il parlamentare ha appreso dai giornali che nell’inchiesta cosiddetta P4 fosse coinvolta anche la moglie, Tiziana Rodà, con l’accusa di concussione. In merito si è detto “dispiaciuto” e ha aggiunto che “non se l’aspettava”. Lettere: né infermieri né medici in servizio; detenuta 30enne muore nel carcere di Trani www.iltaccoditalia.info, 6 agosto 2011 Alla cortese attenzione della Redazione del giornale “Il Tacco d’Italia”. Gent. ma Dott.ssa Mastrogiovanni, siamo le detenute del carcere di Trani e le scriviamo per poter far uscire fuori da queste mura tutto il nostro dolore e l’indignazione. Lunedì 11.07.2011, alle ore 9.00 viene comunicato ad una compagna detenuta la notizia della morte di sua madre avvenuta a Palagiano (Ta) e le viene promesso da parte delle agenti di polizia penitenziaria l’interessamento per poterla far partecipare al funerale. Per tutto il giorno e la sera la povera Elena (è questo il suo nome) aspettava di ricevere il fax da parte del Magistrato di sorveglianza per l’autorizzazione e veniva alle ore 20.00, rinchiusa normalmente nella sua cella, con le sue compagne per la notte, senza che ancora sapesse se il giorno successivo le avessero permesso di presenziare al funerale. Martedì 12.07.2011, alle ore 8.00 del mattino, la ragazza, Elena (30 anni), ha svegliato le sue compagne di cella con problemi di salute, aveva dei colpi di tosse fortissimi, che non si fermavano, dopodiché, un rantolo finale, non dava più segni di vita, le agenti di custodia, prontamente allarmate dalle detenute, sono accorse a rianimarla, cosa impossibile visto che non è il loro mestiere. La cosa più assurda e tragica è che non c’era né un infermiere né un medico, e tantomeno un defibrillatore. Quando sono intervenuti gli operatori del 118, non hanno potuto altro fare che constatare il decesso. Ironia della sorte, il fax che autorizzava la ragazza a partecipare al funerale della madre previsto per quel pomeriggio è arrivato alle ore 10.00, ma ormai era troppo tardi, la nostra amica e compagna di sventura, Elena, non c’era più, era morta, senza un come né un perché. La salma è rimasta fino alle ore 17.00 sul pavimento di quella misera cella, in attesa del carro funebre che venisse a prenderla. Il Magistrato di sorveglianza, della sezione femminile. Dott.ssa Maffei, non è intervenuto nella struttura carceraria, neanche per rendersi conto di ciò che era successo alla nostra povera compagna, che oltretutto era anche madre di due bambini. Il Giudice Maffei, ha inviato solo il nullaosta per la rimozione del cadavere, attraverso il fax. È morta una ragazza di 30 anni, non una bestia! Per questo Le abbiamo inviato questa lettera, per rappresentare il menefreghismo e la assoluta mancanza di umanità negli istituti penitenziari e soprattutto da parte di questo Giudice di sorveglianza, che pensa solo di applicare la legge alla lettera, senza curarsi minimamente di eventuali fattori umani; in questo Istituto di pena non esistono permessi premio, né agevolazioni neanche alle più meritevoli, da questo luogo si esce solo a “fine pena”. L’ultima legge varata dall’attuale Governo, secondo cui, chi ha un residuo di pena di un anno può uscire in detenzione domiciliare, qui non esiste, non è proprio conosciuta, eppure siamo in Italia, ma a Trani questa legge è un tabù. Ritornando a quanto avvenuto alla nostra compagna, vogliamo far presente che siamo abbandonate a noi stesse, non ci sono medici, né infermieri, almeno non a coprire le 24 ore giornaliere. Se qualcuno di noi si sente male, dobbiamo aspettare il 118, sempre se arriva in tempo, cosa che purtroppo non è successo in data 12.07.2011. Ci sentiamo sole, fuori dal mondo, abbandonate dalla società che ci vede solo come mostri da tenere rinchiusi in gabbia, abbandonate da dio ed in stato di sequestro. Vorremmo solo avere la sicurezza di essere seguite e considerate “esseri umani” e non bestie da macello. È vero nella vita abbiamo sbagliato e stiamo pagando il nostro debito con la giustizia, ma vorremmo farlo con dignità, in un ambiente idoneo, civile e degno di uno Stato democratico, qual è il nostro, non in condizioni di massima inciviltà. Se ci sono le leggi vanno applicate e non ignorate come fa il nostro Magistrato che ignora del tutto di essere una cittadina italiana sottoposta alle leggi dello Stato e non a quelle personali, secondo la libera interpretazione e il proprio convincimento. L’era degli imperatori romani è finita da un pezzo. Questo scritto è dedicato alla nostra compagna Elena, moglie e madre che purtroppo ha cessato di viere in queste squallide mura, affinché ciò non accada più. Tutte le detenute del carcere di Trani, sezione femminile Abruzzo: approvata dal Consiglio regionale la legge istitutiva del Garante dei detenuti Il Centro, 6 agosto 2011 Approvata dal Consiglio regionale la legge istitutiva del garante dei detenuti, importante figura tutelante per i diritti dei reclusi negli 8 istituti carcerari abruzzesi, spesso sotto accusa per il sovraffollamento e sotto i riflettori per i numerosi suicidi avvenuti negli ultimi anni. A vincere la battaglia è stato il consigliere regionale Maurizio Acerbo, che per Rifondazione comunista aveva depositato la proposta di legge già nel 2005; passò il governo Pace, venne quello di Del Turco, e allora le commissioni approvarono la proposta, ma poi il Consiglio la bocciò prima dell’inchieste che interruppero quella legislatura. “Nel frattempo, per colpa della politica, l’Abruzzo è rimasto senza una figura che molte altre regioni hanno adottato”, ha commentato questa mattina in conferenza stampa Maurizio Acerbo. Una lamentela prodotta, negli anni, anche dall’Onorevole Rita Benaiuti, che con i Radicali italiani si batte da sempre per la difesa di quelli che non hanno voce e vivono il disagio nell’ombra delle galere. Attraverso l’ostruzionismo, presentando ben 500 emendamenti alla Finanziaria in discussione nell’Assise regionale, Acerbo ha ottenuto l’approvazione della legge che, dopo la pubblicazione sul Bura e sulla Gazzetta Ufficiale, dovrebbe portare all’istituzione entro il 2012 dell’ufficio del Garante, uno più due coadiuvanti che troveranno assistenza presso i già presenti uffici carcerari. Ad essi spetterà il compito di ispezionare i carceri e raccogliere le istanze di quei detenuti che lamentano inadempienze giuridiche, sanitarie, sociali e amministrative, oltre che interfacciare il sistema carcerario con gli enti e le amministrazioni locali. Rigidi i requisiti progettati nella legge per la nomina, che ha bisogno dell’approvazione dei 2/3 del Consiglio regionale, in primis la navigata esperienza tra i problemi del settore; potranno essere nominati avvocati, ex magistrati, professori specializzati, ma in ogni modo professionisti che abbiano già affrontato le criticità del sistema detentivo. Ad essi, che non potranno essere in possesso di cariche pubbliche, spetterà una retribuzione pari al 25% dell’indennità che spetta ad un Consigliere regionale, circa 1200 euro. “La versione originale della legge prevedeva il 40% dell’indennità ma l’incompatibilità con la propria professione privata”, spiega Acerbo, “per garantire la totale dedizione al ruolo di Garante; il centrodestra ha preferito ridurre la retribuzione e lasciare la libertà professionale, un errore demagogico: non sono questi i costi da tagliare. Ma l’importante è che la legge sia stata approvata e che anche l’Abruzzo abbia il suo garante”. Chiara l’imposizione dei 2/3 di maggioranza per l’elezione: “Una norma bipartisan evita l’istituzione di un altro ruolo da spartizione politica”, conclude Acerbo. Campobasso: nelle celle condizioni di vita disumane, due detenuti tentano il suicidio www.altromolise.it, 6 agosto 2011 Negli ultimi tempi nel carcere di via Cavour di Campobasso si vive male. Gli spazi sono angusti e le condizioni di vita sono a dir poco brutte. La denuncia è stata presentata dal sindacato Sappe. Per mano del segretario regionale Aldo Di Giacomo. L’allarme è scattato quando nella struttura carceraria di via Cavour si sono verificati due atti autolesionistici nella stessa giornata. Studiando il fenomeno è venuto fuori che negli ultimi giorni lo scontento si è moltiplicato a vista d’occhio. Questo soprattutto per le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere. I tempi dell’indulto, che avevano quantomeno svuotato le carceri, sono lontani. Ora l’istituto di pena si è nuovamente riempito portando a galla le vecchie questioni. Nonostante un’ala del vecchio carcere femminile sia stata definitivamente destinata agli uomini. Il segretario Aldo Di Giacomo chiede per questo motivo interventi urgenti. Per evitare che la situazione degeneri e che qualche atto autolesionistico si possa trasformare in morte vera. Suicidi in cella, emergenza nelle carceri, di Italo di Sabato (Osservatorio sulla Repressione) La notizia ribalza sulle agenzie e nei media, una delle tante notizie drammatiche che quotidianamente provengono dagli istituti di pena del nostro paese. Non si ha memoria, nella storia repubblicana, di un periodo più nero per il sistema penitenziario. Gli ultimi anni hanno oscurato persino il travagliato scorcio del dopoguerra, quando almeno gli episodi critici e cruenti erano accompagnati da una forte volontà di rinascita. Cosa non funziona nelle carceri italiane? Dietro le storie di disperazione individuali che hanno fatto contare già 39 suicidi nel 2011 c’è senz’altro qualcosa che non dipende dalle individualità bensì dalla sciatteria del sistema, per non dire di peggio. Il sovraffollamento carcerario, la violenza istituzionale, la carcerazione di massa del disagio sociale non sono eventi naturali. Sono il frutto di politiche pubbliche scellerate decise per ottenere consenso. La tragedia attuale sconta una evidente schizofrenia: alla criticità della situazione fanno da controcanto le dichiarazioni dei responsabili dell’Amministrazione, a partire dal nuovo Ministro della Giustizia, che descrivono una ripresa delle iniziative che nessuno degli addetti ai lavori riesce seriamente ad intravedere. E così si susseguono le dichiarazioni sullo stato di emergenza che lasciano il tempo che trovano, le enunciazioni di buoni propositi conseguenti agli annunci sugli effetti miracolistici che avrebbe dovuto avere la legge sulla detenzione domiciliare per l’ultimo anno di pena. La realtà è molto diversa: la legge 199/2010 ha fino ad ora prodotto la scarcerazione di appena qualche centinaio di detenuti e non è servita a frenare il crescente sovraffollamento, siamo infatti alla soglia dei 73.000 detenuti; la stessa norma vincola l’assunzione dei promessi duemila agenti, che nel frattempo sono diventati 1800. Il provvedimento inoltre grava sul lavoro degli educatori e degli assistenti sociali la cui carenza di organico è nota, e per i quali non è previsto alcun incremento. Il blocco del turnover stabilito dalla finanziaria non potrà che aggravare questa situazione. Negli istituti sono stati preannunciati ulteriori tagli sui capitoli che garantivano, con il lavoro domestico dei detenuti, le condizioni igieniche e di decoro. I parlamentari e consiglieri regionali di destra e sinistra che hanno visitato le carceri un anno fa a ferragosto non hanno prodotto una che sia una proposta di soluzione del problema. Il tanto strombazzato piano - carceri, che essenzialmente si fondava sulla creazione di nuovi posti detentivi con l’ampliamento dei reparti di alcuni istituti, non si sa che fine abbia fatto. Si sa della ristrutturazione solo di alcuni reparti, mentre proseguono le inchieste giudiziarie sulla legittimità di appalti affidati con procedure anomale alle cricche di vario genere. Occorre tornare al dettato costituzionale: la detenzione carceraria va ritenuta pena di “ultima istanza”. L’area della cosiddetta “detenzione sociale” (tossicodipendenti, migranti, poveri) incide per i 2/3 della popolazione detenuta. Più del 50 per cento è in stato di carcerazione preventiva. Bisognerà agire, allora, anche sul piano normativo: abrogando la Bossi - Fini e gli inasprimenti successivi dei vari pacchetti sicurezza; abrogando la Fini - Giovanardi contro i tossicodipendenti, costruendo percorsi di comunità, di auto - aiuto, di socialità; abrogando la norma sulla recidiva, che ha contenuti assolutamente classisti. Per molti casi possono essere previste sanzioni non carcerarie o pene non detentive. È necessario, quindi, invertire la tendenza politica che dagli anni Novanta in poi ha operato sotto l’insegna dell’ipertrofia legislativa e della bulimia carceraria, se non torniamo a pensare che il vero senso dello Stato è la prevenzione del crimine e del disagio, è la promozione delle politiche sociali per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione), non risolveremo mai il dramma del carcere e del disagio sociale. Perugia: disposta l’autopsia sul corpo del detenuto ritrovato morto in cella La Nazione, 6 agosto 2011 È difficile stabilire se quello del giovane detenuto era un gesto di disperazione o un tentativo finito male di “sballarsi” col gas, pratica nota ai tossicodipendenti reclusi. Ieri pomeriggio il medico legale Luca Pistolesi ha ricevuto l’incarico formale dalla procura di effettuare l’esame autoptico. Sul corpo del giovane, a una prima visita, non sono stati notati segni di violenza. Un episodio simile a quello accaduto al detenuto di Rieti, 36 anni, è avvenuto nel gennaio scorso quando il ventitreenne tarantino perse la vita inalando gas. Detenuto ingoia una lametta, salvo Prima il suicidio di un detenuto con la bomboletta del gas, qualche ora dopo un altro episodio di autolesionismo con un tunisino di 24 anni che ha ingoiato le lamette. Problemi nel carcere di Capanne dove i deputati Gianpiero Bocci e Walter Verini sono andati in visita istituzionale. “Ci sono grossi problemi strutturali - hanno detto - le condizioni igieniche sono accettabili ma i reclusi sono troppi e gli agenti troppo pochi”. Gli onorevoli, dopo la lettera della Giunta regionale al ministero della Giustizia, hanno sottoposto la spinosa questione anche al guardasigilli Nitto Palma “per rappresentare l’emergenza e chiedere risposte immediate”. Lo straniero che mercoledì sera ha ingerito le lamette per la barba sta meglio: per lui è stato necessaria una medicazione in gastroenterologia ma è stato subito dimesso. Ad evitare conseguenze più negative per lo stomaco del giovane è stata la cena che aveva consumato in carcere poco prima di ingerire i pezzi di lametta. I medici dell’ospedale hanno appurato che i corpi estranei non avevano leso parti delicate dell’apparato digerente del giovane maghrebino che, una volta medicato, è stato rimandato in carcere. Bocci ha riferito che recentemente un altro detenuto ha tentato di darsi fuoco. “Spesso le carceri diventano polveriere in città - ha spiegato Verini - ma si deve lavorare per il recupero delle persone, evitando fenomeni di solitudine e di abbandono”. Verini ha aggiunto di aver firmato un disegno di legge per far entrare, oltre ai parlamentari, anche i sindaci. Non per passerelle ma per un rapporto migliore con l’esterno”. “Nel carcere di Perugia - è il pensiero di Bocci - la situazione è drammatica, mancano trattamenti rieducativi per i detenuti che soffrono un forte disagio sociale. Talvolta ci troviamo di fronte a discariche sociali”. Nel corso della conferenza stampa i deputati hanno fornito numeri relativi alla situazione del carcere di Capanne, dove in 22 celle altrettanti detenuti dormono su un materasso di gommapiuma appoggiato a terra. Nel braccio maschile ci sono 50 reclusi in più (le piante organiche prevedono 406 detenuti, ce ne sono 455), al femminile sono in 83 quando il limite previsto è di 59 (in due celle convivono sei donne). La metà dei detenuti a Perugia sono ancora in attesa di giudizio, “il 65 per cento sono extracomunitari e soffrono problemi di tossicodipendenza”. Inoltre gli agenti (“la direttrice Bernardina Di Mario è uno dei dirigenti più qualificati nel nostro Paese”) sono 241 ma dovrebbero essere 3.790. Più in generale le piante organiche degli istituti di pena di Perugia, Terni, Orvieto e Spoleto, parlano di 700 detenuti - è stato detto - ma ce ne sono 1.751, di cui 675 residenti in Umbria. “Chiediamo alle istituzioni locali e innanzitutto alla presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini di unirsi alla nostra battaglia sulle carceri e in particolare di aderire all’appello sull’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella - hanno detto gli esponenti radicali di Perugia Liliana Charamello e Andrea Maori, commentando il suicidio di Capanne - perché i problemi vengano risolti e non rinviati e perché l’Italia possa in qualche misura essere considerata una democrazia. Il sovraffollamento determina conseguentemente difficoltà di organizzazione e gestione delle strutture detentive in cui i reclusi sono quotidianamente sottoposti a torture ancor più aspre in un mese, come questo in corso, in cui caldo e umidità in spazi limitati soffocano il respiro e costringono a uno stato a dir poco disumano”. Da qui la sollecitazione dei due esponenti radicali per una riforma della giustizia, preceduta da un’amnistia. Salerno: i detenuti di Fuorni protestano; “battitura” degli oggetti contro le sbarre La Città di Salerno, 6 agosto 2011 L’ondata di proteste, partita qualche giorno fa in alcune carceri italiane, è arrivata anche a Salerno. Per tutta la giornata ieri i detenuti della casa circondariale di Fuorni hanno protestato con la classica “battitura” degli oggetti contro le sbarre delle loro celle per comunicare i propri disagi all’interno della struttura. A quanto si è appreso la dimostrazione dei detenuti era già cominciata da qualche giorno. Ma, ieri, è esplosa in tutta la violenza. Fortissimo il rumore che hanno generato, accompagnato da urla, arrivate fin fuori dal carcere distinguibili anche a distanza di diverse decine di metri. Un nutrito numero di detenuti, sicuramente oltre la meta ha aderito alla protesta “pacifica” dovuta al problema drammatico del sovraffollamento della struttura penitenziaria, diretta da Alfredo Stendardo. Secondo i dati forniti dalla Uil Penitenziari, nel primo semestre del 2011 l’indice di sovraffollamento nella casa circondariale di Fuorni era del 35 per cento. La struttura a est della città ha una capienza di 320 detenuti che, però, viene ampiamente superata. Secondo i dati del sindacato, ad oggi all’interno ce ne sono circa 430. Un dato allarmante che ha portato i detenuti anche a gesti estremi. Due, dall’inizio dell’anno, i tentati suicidi. Altrettanti gli episodi di autolesionismo e ben nove le manifestazioni di proteste individuali. Quella di ieri, dunque, sarebbe la prima grande protesta collettiva dell’anno. Secondo Lorenzo Longobardi, della Uil Penitenziari, il progetto per la costruzione di un nuovo padiglione - proposto dal commissario di governo per l’edilizia penitenziaria - non basta da solo a risolvere il problema. “Non si possono realizzare nuovi padiglioni nelle carceri italiane senza indire i concorsi per nuove assunzioni. Il governo - ha detto Longobardi - prima delle elezioni aveva promesso cinquemila assunzioni per la polizia penitenziaria, ma non ne ha fatta nemmeno una”. La situazione, dunque, resta critica. A denunciarlo erano stati, qualche giorno fa, anche i Radicali salernitani, in occasione della presentazione degli “Stati generali delle carceri italiane”. Nei mesi scorsi circa 900 salernitani - tra attivisti politici, familiari e detenuti - avevano risposto all’appello di Marco Pannella, che aveva cominciato lo sciopero della fame per chiedere l’amnistia nelle carceri. • Donato Salzano, leader cittadino del partito di Pannella, aveva anche inoltrato una lunga lettera al sindaco di Salerno Vincenzo De Luca. Anche lui, come Longobardi, aveva espresso tutta la sua contrarietà alla costruzione di un nuovo padiglione. “Il consiglio comunale - aveva scritto Salzano - dovrebbe, come atto politico forte, ritirare la delibera per non luogo a procedere”. Ieri, ha commentato così la notizia della protesta: “Stanno salutando l’arrivo di Rita Bernardini”, riferendosi alla partecipazione del deputato e segretario nazionale dei Radicali Italiani, alla manifestazione, a Vallo della Lucania, del comitato “Giustizia e Verità per Franco Mastrogiovanni” ad un anno dalla morte del maestro di Castelnuovo Cilento, deceduto nel reparto di igiene mentale del “San Luca” di Vallo della Lucania. Raggiunta a telefono, la Bernardini ha detto: “Conosco la situazione di Salerno: è drammatica. Ci batteremo”. Voghera: protesta in carcere, stoviglie sbattute contro le grate delle celle La Provincia Pavese, 6 agosto 2011 I detenuti vogliono esprimere il loro sostegno all’iniziativa di Marco Pannella, esponente dei Radicali Italiani, che ha annunciato un nuovo sciopero della fame e della sete in nome di una riforma strutturale della giustizia Voghera, 5 agosto 2011 - I detenuti del carcere di Voghera sono in protesta. Dalle abitazioni vicine alla casa circondariale si sente un gran baccano: a provocarlo sono i prigionieri, che battono stoviglie e altri oggetti contro le sbarre delle loro celle. Il motivo? Esprimere il loro sostegno all’iniziativa di Marco Pannella, esponente dei Radicali Italiani, che ha annunciato un nuovo sciopero della fame e della sete (probabilmente inizierà entro la fine della settimana) in nome di una riforma strutturale della giustizia. “In carcere ci sono problemi di sovraffollamento, con tutte le tensioni che ne seguono - spiega il segretario regionale della Uilpa comparto sicurezza, Gianluigi Madonia. C’è anche l’emergenza della carenza di personale”. I carcerati suonano la loro protesta pacifica al mattino, a mezzogiorno e alla sera, dopo cena. Hanno iniziato l’altro giorno. Non si sa quando finiranno. Genova: nel carcere di Marassi 3 agenti feriti e il tentato suicidio di un detenuto Adnkronos, 6 agosto 2011 Tre agenti feriti da un detenuto e un tentato suicidio sventato per un soffio. Questo il bilancio delle ultime 24 ore nel penitenziario genovese di Marassi, una struttura che la Uil-Pa definisce un vero e proprio inferno. “L’ondata di violenza che la sta attraversando - sottolinea in una nota il segretario generale del sindacato Eugenio Sarno - va indagata immediatamente, perché ormai il fenomeno sta assumendo dimensioni molto più che preoccupanti. A questo punto l’amministrazione penitenziaria non può più restare inerme e ha il dovere di mettere in piedi una efficace strategia di contrasto”. “Le nostre condizioni di lavoro - rileva - rappresentano un dramma nel dramma. Auspichiamo che il ministro Palma quanto prima decida per una audizione delle organizzazioni sindacali. Anche a lui, come ai suoi predecessori, spiegheremo che le 8 mila unità di polizia penitenziaria che rappresentano l’attuale disavanzo organico del Corpo sono un lusso che non ci si può permettere. Spiegheremo anche a Palma che non è possibile garantire ordine, sicurezza e trattamento nelle sezioni se per la sorveglianza a centinaia di detenuti viene impiegata una sola unità”. “Proveremo a fargli comprendere che non si può rischiare la vita, oltreché anticipare fondi personali, per garantire trasferimenti su mezzi obsoleti e pericolosi. Tenteremo - aggiunge Sarno - di far comprendere, come accade anche a Marassi, quali sono gli effetti del mancato godimento delle ferie e dei riposi. Illustreremo come si raddoppino per i poliziotti penitenziari turni e carichi di lavoro senza che vengano nemmeno corrisposte le competenze per straordinari e missioni. Insomma gli delineeremo la dura realtà del poliziotto penitenziario moderno: lavoratori a cui si negano i diritti, ma a cui si chiede, gratis, sempre di più”. Dall’inizio dell’anno, sul territorio nazionale, la polizia penitenziaria conta circa 250 feriti, per aggressioni subite da parte di detenuti. È un fenomeno dilagante di cui non si parla mai, denuncia il sindacato. “Riteniamo - aggiunge il segretario generale della Uil-Pa - che sia necessario prevedere nei confronti dei violenti misure sanzionatorie adeguate e certe. Non sempre, infatti, vengono comminate sanzioni disciplinari. È pur vero - riconosce - che se, come accade a Marassi, la quasi totalità dei detenuti è costretta all’ozio per 22 ore su 24 si creano le condizioni per alimentare pulsioni e tensioni. Il sovraffollamento, in strutture degradate e degradanti, completa il quadro dell’ inciviltà, della disumanità e dell’illegalità”. “Questo spiega anche in parte il fenomeno dei suicidi, 40 dall’inizio del 2011, e dei tentati suicidi, circa 620 dal 1 gennaio 2011. Nonostante tutto ciò la politica continua ad ignorare il pressante appello del presidente Napolitano”, conclude. Firenze: allarme sovraffollamento a Sollicciano, una doccia ogni 60 detenuti La Nazione, 6 agosto 2011 Ancora allarme sovraffollamento nel carcere. La denuncia su Sollicciano parte dal Lisiapp: “Una struttura dove ci sono quattro docce ogni 60 detenuti”. Per tenere alta l’attenzione sulle criticità imperversanti nelle carceri toscane, si deve alzare la voce. Dopo il sequestro di due padiglioni dell’Opg di Montelupo, voluto dalla commissione d’inchiesta parlamentare, si torna sul caso Sollicciano. La situazione è al collasso per voce di coloro, che dentro non sono incarcerati, bensì rappresentano chi ci lavora. All’inizio dello scorso mese si registravano sul territorio regionale circa 4292 detenuti, mille in più del consentito, e la situazione non sembra essere migliorata. Esemplificativo, forse il fardello più pesante dell’intero sistema, è il carcere di Sollicciano alla periferia di Firenze, di fatto a Scandicci. “È una situazione ai limiti quella della struttura fiorentina afferma in una nota il segretario generale del Lisiapp Dott. Mirko Manna” non va meglio in altri istituti: “il resto delle strutture presenti in regione, da Pisa a Montelupo, Prato, Pistoia fino ad arrivare a Livorno non sono da meno”. Il Libero Sindacato della Polizia Penitenziaria ricorda il problema del sovraffollamento, e lo fa con i numeri. I detenuti sono 956, tra cui 100 donne, a fronte di una capienza prevista di 460 persone. Celle studiate per una persona che ne accolgo tre con spazi al limite della vivibilità e servizi fatiscenti. Per rendere meglio l’idea, il sindacato comunica che Sollicciano è “una struttura dove ci sono quattro docce ogni 60 detenuti”. Sul caso interviene anche il Segretario Nazionale Lisiapp presente in regione Daniele Giacomaniello incentrando la sua dichiarazione sulla carenza di personale: “Delle 695 unità di polizia penitenziaria previste dal Dap per la struttura, ve ne sono effettivamente in servizio meno di 400” poi rincara Manna “È una situazione al limite della tollerabilità, che genera un numero elevato di ore di lavoro straordinario e un’incidenza elevatissima di malattie legate allo stress psicofisico”. Bari: Osapp; proposte per le carceri di Trani e Spinazzola www.traninews.it, 6 agosto 2011 Si è chiusa la giornata dedicata dal Sindacato di polizia all’Osapp Day che si è tenuta il 4 agosto 2011 e dove ha visto anche la partecipazione dell’assessore alle Politiche sulla Sicurezza della Città di Trani Avv. Paolillo in rappresentanza del Sindaco dottor Giuseppe Tarantini. Condivisione ed impegno tra Mastrulli e Paolillo sulla necessità, oramai indifferibile ed indispensabile del trasferimento dal centro cittadino del carcere Femminile di piazza plebiscito presso una nuova Ala detentiva all’interno della Casa Circondariale maschile di Via Andria, vuoi per questioni legate alla viabilità ed alla sicurezza stradale cittadina, vuoi per ovvi motivi di opportunità, seguita da una politica della Sicurezza che riguardi il rifacimento totale del manto stradale di Via Andria partendo dalla zona ex passaggio livello di Via Andria lato città e fino alle uscite 16Bis con autostrada per migliorare e facilitare l’impiego costante, giornaliero e pressante dei mezzi blindati ed auto di stato della Polizia Penitenziaria. Mastrulli ha poi chiesto al Rappresentante della Sicurezza Cittadina interlocutore istituzionale del Sindaco una migliore segnaletica stradale che indichi il distaccamento della Polizia Penitenziaria e la Casa Circondariale, oltre ad un adeguato impianto semaforizzato al pari di quello degnamente offerto alla attuale Caserma della Polizia di Stato posta su Via Corato ed una fermata continua di mezzi pubblici che collegano la Città, stazione FS e Stazione Bus alla Casa Circondariale per le centinaia di visitatori che accedono a qualsiasi titolo al penitenziario che si appresterebbe a diventare sede con 600/700 detenuti tra pochi anni. Mastrulli ha sensibilizzato l’amministrazione cittadina anche sulla necessità di ampliamento punti luce e rifacimento dei due marciapiedi lungo il perimetro di Via Andria. Per Spinazzola ex struttura Penitenziaria già dismessa e vuota Mastrulli ha annunciato di voler proporre al Ministro dell’Interno al Sottosegretario mantovani ed ai Prefetti Bat una concreta soluzione di destinazione d’uso del manufatto ex carcere, quale Cara per immigrati essendo la struttura capiente fino a 100/150 posti letto ed adeguatamente ospitale per dare continuità ai centri ed alle Associazioni di Volontariato ed Assistenziale cittadine di Spinazzola. Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Responsabile Nazionale della Politica di Governo del Sindacato di Polizia Siracusa: venti detenuti hanno ripulito la spiaggetta Aretusa da erbacce e rifiuti La Sicilia, 6 agosto 2011 Spazzate via foglie e rimossi rifiuti di ogni tipo. Eliminate erbacce e collocati cestini per l’immondizia. La villetta e la spiaggetta Aretusa, nel cuore di Ortigia, hanno rifatto il look. Presentandosi finalmente in maniera più decorosa a residenti e turisti. Tutto merito di 20 detenuti, selezionati tra gli Uepe (Uffici di Esecuzione penale esterna), la case circondariale di Cavadonna e l’istituto penitenziario di Brucoli, per partecipare al progetto “Liberamente”, nell’ambito della Work Experience all’Amp del Plemmirio. L’iniziativa, che in realtà tra lezioni teoriche e attività pratiche come quella di ieri mattina coinvolge 40 detenuti, è finanziata dall’assessorato regionale alla Famiglia e nasce dalla sinergia tra Consorzio Quark, Area marina protetta del Plemmirio e delegazione di Agrigento di Marevivo. Tutti insieme per un’ambiziosa finalità: favorire il reinserimento sociale di soggetti adulti in esecuzione penale. Obiettivo a quanto pare centrato. Entusiasti, infatti, gli “allievi” del progetto. Come Piero C., 43 anni, che ha finito il suo periodo di detenzione all’Uepe: “Sono davvero contento di far parte di questa iniziativa perché ho acquisito nuove capacità professionali, ho ottenuto il brevetto di sub e adesso mi auguro che tutto questo mi serva per il futuro, per tornare a lavorare”. Massimo C., 36 anni, proveniente dalla casa circondariale di Brucoli si dice molto felice “soprattutto perché - spiega - ho potuto socializzare con altri e avere dei contatti con il mondo esterno. Mi sono dedicato con passione soprattutto all’attività di giardinaggio, ma quando finirò il mio percorso in carcere spero di trovare il lavoro per cui ho studiato, visto che durante il periodo di detenzione ho preso il diploma di geometra”. Non meno contenti i residenti e i turisti che ieri mattina hanno assistito con stupore alle operazioni di pulizia della villetta e della spiaggetta Aretusa, complimentandosi con i venti, volenterosi detenuti. Ma l’attività di ieri, resa possibile dalla collaborazione del Comune e dell’Igm, non è certo l’unica del progetto. Gli “allievi” si sono infatti occupati della raccolta dei rifiuti in tutti i 44 sbocchi dell’Amp, dove in alcuni casi è prevista la realizzazione di staccionate in legno e il posizionamento di isole ecologiche e hanno sistemato l’ingresso al Faro di Capo Murro di Porco, simbolo dell’oasi marina siracusana. I detenuti coinvolti nel progetto stanno inoltre fornendo assistenza per il servizio di accompagnamento dei disabili al mare, a cura dell’Anfass e che si avvale di mezzi di trasporto forniti dal Consorzio Plemmirio. Torino: detenuta aggredisce un’agente, per la terza volta in una settimana Adnkronos, 6 agosto 2011 Ha aggredito per la terza volta in una settimana un’agente di polizia penitenziaria della sezione femminile del carcere delle Vallette a Torino. L’agente è stata medicata all’ospedale Maria Vittoria. La detenuta, una rumena di 31 anni , aveva già mandato in ospedale altre tre agenti in due episodi analoghi avvenuti negli ultimi giorni. A riferirlo è l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Siamo stanchi di denunciare e di ripetere che ce lo aspettavamo - commenta il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - È ora che qualche testa salti a meno di non voler sostenere che i poliziotti penitenziari ci sono solo per prendere botte dai detenuti”. Secondo Beneduci è necessario che il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma “disponga urgenti accertamenti ispettivi sulle attuali condizioni di servizio a Torino”. Pavia: workshop sul tema del reinserimento dei detenuti di Vincenzo Andraous La Provincia Pavese, 6 agosto 2011 Al Centro Servizi Formazione di Pavia s’è tenuto un workshop sul tema del reinserimento dei detenuti, sull’importanza della rete a lavorare all’insegna dell’integrazione e della concertazione delle risorse disponibili. Con il padrone di casa, Riccardo Aduasio, hanno partecipato Lucia Castellano, direttrice della Casa di Reclusione di Bollate, e Piergiorgio Reggio, pedagogista, formatore, ricercatore dell’Università Cattolica. Reggio ha “obbligato” tutti i presenti a formulare interrogativi, a evitare la moltiplicazione di verità destinate ad arenarsi su uno stato delle cose terribile qual è il carcere italiano. Occorre mantenere alta l’attenzione e il proprio entusiasmo, quale unica strada possibile per leggere i cambiamenti e le trasformazioni, e pensare al futuro con gli strumenti che ci sono, con gli investimenti reperibili, con le lauree del conoscere, anche con quella, come ha detto qualcuno, “in scienze confuse”, che obbligano a guardare in faccia il vissuto e le storie delle persone. Lucia Castellano, “la Direttrice” timoniere di ben altra cabina di pilotaggio, un vero e proprio coach efficiente e efficace, uno di quei personaggi “capaci” nel rispondere ai quesiti, e nel condurre a ritrovata buona vita tanti cittadini detenuti, una persona semplicemente coerente al suo mandato da apparire l’ultimo dei Mohicani: con poche battute ha messo al centro la persona, ha indicato la necessità di tradurre correttamente i mutamenti che coinvolgono le istituzioni, il territorio, il detenuto. La rete è importante quando consolida i legami e favorisce il confronto, la ricerca di un’idea. Ma a questa rete per il reinserimento dei detenuti manca uno spazio condiviso, dove contribuire collettivamente allo scopo. Manca una squadra per fare diventare sopportabile questa fatica disumana, spesso relegata in solitudine, sovente sminuita del suo valore assoluto e inalienabile, affinché diventi un preciso interesse collettivo rendere migliore la società, il carcere, e gli uomini. Livorno: lunedì all’isola di Gorgona il detenuto si fa chef Il Tirreno, 6 agosto 2011 Le “Cene galeotte” sbarcano alla Gorgona. Lunedì 8, dopo le passate edizioni nella Casa di reclusione di Volterra, saranno i carcerati della colonia penale della piccola isola toscana a impegnarsi ai fornelli per preparare una cena aperta al pubblico il cui ricavato sarà devoluto alla fondazione “Il cuore si scioglie”. Si tratterà di un evento unico, realizzato grazie al contributo di Unicoop, che permetterà ai partecipanti di attraccare sull’ isola e di entrare in un carcere particolare, dove le celle non hanno sbarre e i detenuti svolgono attività come l’ allevamento delle orate e la coltivazione degli ortaggi. In cucina un ospite speciale, il giornalista enogastronomico Leonardo Romanelli, che aiuterà i carcerati chef nella preparazione di un menu di pesce composto da cinque portate più aperitivo. I vini saranno i bianchi dell’ azienda pisana Podere La Regola di Riparbella. L’appuntamento è alle 18.30 a Livorno, al molo dei pescherecci di piazza Micheli, da dove partirà il traghetto che farà ritorno in città alle 0.45. Costo a persona 60 euro (35 per il traghetto e 25 per la cena; prenotazione obbligatoria allo 055/2345040). Immigrazione: diciotto mesi nei Cie… e nessuno può raccontare quello che accade di Patrizio Gonnella www.linkontro.info, 6 agosto 2011 Dopo la votazione avvenuta in Senato la polizia potrà trattenere gli immigrati irregolari sino a diciotto mesi in quei posti infami e senza regole che sono i centri di identificazione per stranieri (Cie). Il ministro Maroni bleffa quando afferma che si tratta di una norma che ha una matrice europea. La direttiva Ue (che molti in giro per il vecchio continente avevano definito direttiva della vergogna) prevedeva che solo in casi eccezionali la detenzione amministrativa potesse protrarsi sino a un anno e mezzo, un tempo enorme di imprigionamento per una persona non colpevole di alcun crimine. Il governo ha fatto diventare regola quella che nella disposizione europea era palesemente una eccezione e che era affiancata da misure per favorire il rimpatrio volontario degli immigrati nelle loro terre di origine. Come era prevedibile le misure di rimpatrio volontario mancano del tutto nel decreto del Governo. I Cie sono luoghi di internamento dove corpi di donne e uomini vengono ammassati e custoditi senza diritti e senza umanità. La violenza è alla base dei rapporti tra i custodi (che a volte sono organizzazioni private) e gli immigrati. Chiunque abbia visitato un Cie sa che in quel luogo regna il degrado. Nel decreto del governo non c’è ovviamente traccia di una estensione delle opportunità di visita di queste strutture da parte della stampa e delle organizzazioni della società civile. Nelle carceri possono entrare parlamentari, consiglieri regionali, volontari. I Cie invece sono luoghi sottratti agli occhi esterni. Sono luoghi opachi e quindi pericolosi. LasciateCIEntrare è una campagna pubblica che chiede al governo di aprire questi luoghi di detenzione al monitoraggio indipendente delle organizzazioni dei diritti umani. Un ruolo di controllo sociale e politico appartiene ai giornalisti che dovrebbero pretendere l’ingresso nei Cie per potere raccontare ai lettori, ai telespettatori, ai radioascoltatori quello che vedono coi propri occhi. Negare questa possibilità significa avallare le tesi secondo cui le autorità vogliono coprire le nefandezze dei Cie. Significa dare ragione a chi sostiene che nei Cie regna l’illegalità e la violenza con la complicità delle istituzioni. Immigrazione: strage al largo di Lampedusa, cento corpi gettati in mare La Nazione, 6 agosto 2011 A decine sarebbero morti di fame e di sete e poi sarebbero stati buttati in mare, nello specchio di acque che ancora appartiene alla Libia. C’è chi parla addirittura di cento vittime, soprattutto donne e bambini. Una nuova tragedia nel Mediterraneo con protagonisti immigrati in fuga dall’Africa. Un barcone con circa 300 persone a bordo, ormai ridotte allo stremo, è stato soccorso dalle nostre motovedette a 90 miglia dalle coste di Lampedusa, in zona libica. L’aveva segnalato un rimorchiatore cipriota che ha lasciato ai naufraghi - bloccati dalla rottura del motore dell’imbarcazione di circa dieci metri - le zattere di salvataggio. Il mezzo cipriota si era poi allontanato lanciando l’allarme. Al resto ha dovuto pensare la nostra Guardia costiera partita dalle Pelagie. Ma l’ultima tragedia dell’immigrazione rischia di avere anche conseguenze diplomatiche: a 27 miglia dal barcone in avaria c’era una nave della Nato che sarebbe stata sollecitata dalle autorità italiane a intervenire in soccorso dei migranti. L’Alleanza, però, avrebbe risposto picche e la carretta con centinaia di uomini, donne e bambini senza acqua e senza cibo da giorni avrebbe continuato il suo viaggio disperato. Un no, quello della Nato, su cui il Viminale vuole risposte. Tanto da chiedere ai ministri della Difesa e degli Esteri un intervento presso la coalizione. Lo rendono noto fonti della Farnesina, secondo cui, “se la circostanza fosse confermata, si tratterebbe di un fatto molto grave”. La richiesta di verifica è stata rivolta al comando Nato di Napoli. Così i nostri uomini su quattro motovedette si sono messi in viaggio per raggiungere i naufraghi e trarli in salvo. Da 90 miglia di distanza. È ovvio, però, che la questione è destinata ad avere conseguenze. I primi stranieri, in condizioni di salute molto gravi, sono stati trasferiti a Lampedusa e di qui, successivamente, nell’ospedale Cervelli di Palermo, a bordo di elicotteri. Quattro donne (di cui una in stato interessante) e un uomo, tutti disidratati e in condizioni precarie, sono arrivati per primi sull’isola e hanno raccontato dell’orrore vissuto. Il barcone, stipato di circa 300 anime, era partito dalla Libia nella serata di venerdì. Dopo qualche ora di navigazione, la rottura del motore. Il natante è rimasto in balia delle onde e i profughi non avevano, per resistere, né cibo né acqua. “Sono morte decine di persone, soprattutto le più deboli, le donne e i bambini - hanno raccontato i superstiti - e gli altri hanno buttato i corpi in mare”. Al momento dei soccorsi, la Guardia costiera ha trovato, a bordo, un solo cadavere. Le nostre navi hanno anche perlustrato la zona individuando vestiti e avvistando, forse, anche altri corpi ma poi sono dovute rientrare verso Lampedusa. “Le condizioni di salute dei naufraghi erano troppo gravi per poter attendere oltre”, ha spiegato il comandante della Capitaneria di porto dell’isola, Antonio Morana. Inoltre cominciava a fare buio e non era possibile, per i mezzi italiani, restare oltre in acque libiche. Le ricerche riprenderanno oggi, con la luce, nel tentativo di individuare poveri resti. Immigrazione: sull’Asilo una doppia Commissione, ma è sempre tolleranza zero di Checchino Antonini Liberazione, 6 agosto 2011 Morti per le percosse subite due dei 25 migranti arrivati già cadaveri a Lampedusa a bordo di un barcone approdato lunedì notte. L’autopsia aveva già accertato il decesso per asfissia dei profughi rimasti chiusi in una piccola stiva senza aria. Ma le lesioni su due cadaveri, il sangue presente ovunque e le testimonianze dei superstiti hanno indotto gli inquirenti a pensare che almeno per loro la causa della morte sia un’altra. Uno dei corpi ha il cranio fratturato in due punti, l’altro ha fratture allo zigomo e alla fronte. Calci e colpi di bastone. Identificati i sei scafisti. Tutto ciò non ha impedito alla procura della Repubblica di Bari di chiedere la convalida degli arresti dei 28 richiedenti asilo, giunti nelle medesime condizioni dei barconi delle ultime ore, nella repressone della rivolta scoppiata all’esterno del Cara del capoluogo. I richiedenti asilo sono accusati, a vario titolo, di violenza e resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal numero di persone e dall’uso di armi improprie, minacce, blocco stradale, danneggiamento, violenza privata, lesioni personali aggravate. Al centro ieri era tutto tranquillo, gli “ospiti” però erano visibilmente intimiditi e alla manifestazione sotto la Prefettura, dov’era atteso il sottosegretario Mantovano, c’erano solo italiani. “Siamo riusciti a intercettare Mantovano e a consegnargli il documento con le nostre richieste a partire dal permesso per ragioni umanitarie a tutti coloro che provengano dalla Libia anche se non sono libici”, dice a Liberazione, Sabino De Razza, segretario barese del Prc attivo nella Rete antirazzista. Il raddoppio della commissione, annunciato dal sottosegretario, è considerata un’apertura da parte degli antirazzisti pugliesi, così come implicitamente pare tale anche l’invito a considerare attentamente le ragioni per le quali le persone si trovavano in Libia. “Si terrà conto di coloro che provengono da contesti di guerra, di estremo disagio che richiedono o il riconoscimento dello status di rifugiati o della protezione umanitaria. Se uno era andato in Libia per venire clandestinamente in Italia - ha dettato Mantovano alle agenzie - si trova in una condizione diversa rispetto a chi, provenendo dalla stessa nazione, si trovava in Libia da dieci anni ed è stato costretto a scappare”. Ma il membro del governo non ha fatto mancare il consueto refrain sulla tolleranza zero per gli “autori delle violenze” e ha posto una chiusura totale, invece, sulla richiesta di un permesso generalizzato e silenzio sulla questione del “lager” di Manduria, tendopoli di tende scadenti aperta dalla Protezione civile per l’emergenza profughi, dove sabato si terrà un’assemblea regionale per decidere sulle mobilitazioni della rete che, in questo periodo, segue anche le vicende dei migranti arruolati nei lavori agricoli. A Nardò, infatti, è in corso da cinque giorni uno sciopero dei braccianti stranieri. “Noi chiediamo il trasferimento di Manduria - continua De Razza - e politiche regionali vere di seconda accoglienza, sul modello toscano piuttosto che per grandi agglomerati”. Dal 2010, quando erano state presentate 506 richieste di asilo, a Bari nel 2011 le domande sono diventate 3.731. L’esame deve essere caso per caso come previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalle norme europee. La doppia commissione dimezza i tempi, anche quelli dei dinieghi che si aggirano sul 90% del totale. La maggioranza dei respinti si tramuterà automaticamente in clandestini, carne da macelli chiamati Cie per i quali è appena diventata legge quel decreto che che estende da 6 a 18 mesi il periodo massimo in cui gli extracomunitari senza permesso di soggiorno possono rimanere nei Cie. Maroni giura che si tratta degli effetti di una norma della direttiva europea sul trattenimento fino a 18 mesi nei centri ma anche in carcere (cosa non ancora prevista da noi) seppur separati dai detenuti. All’interno dei Cie, si legge sul blog Fortress Europ, “i reclusi hanno accolto la notizia con angoscia. Nessuno riesce a spiegarsi come sia giustificabile passare un anno e mezzo dietro le sbarre per un permesso scaduto o per un viaggio senza passaporto”. Unica nota positiva è l’approvazione di un ordine del giorno che impegna il governo a ritirare la circolare che vieta l’accesso dei giornalisti ai Cie e ai Cara. Norvegia: quando visitai le carceri norvegesi… per farci un film di Katia Ippaso Gli Altri, 6 agosto 2011 Dopo la strage di Utoya monta l’indignazione per le celle a “cinque stelle”. Ma la civiltà non può essere a corrente alternata. Il sopralluogo nel penitenziario modello di Bastoy, dove la riabilitazione funziona davvero. Parla Giorgio Tirabassi, attore e regista. Molti italiani erano in vacanza. In un momento “inopportuno” hanno appreso della strage di Oslo. Naturalmente, il cuore è saltato in gola a tutti, anche ai più indifferenti. Non è bella la scena di un invasato che chiama a raccolta 87 ragazzini nell’isolotto di Utoya e li massacra, a freddo. No, non è bella. Però sembra fatta apposta per riempire di gialli rosso sangue (vero) questa nostra estate vacillante e precaria. Non a caso, le cronache della strage si dipanano accanto a racconti d’autore, intere pagine di giornali sono affollate da dichiarazioni di scrittori dai nomi impronunciabili che in vario modo narrano il cuore di tenebra dell’Europa incantata. Poi arriva la notizia che Behring Breivik, dopo aver confessato con il sorriso sulle labbra il proprio gesto folle, verrà rinchiuso ad Halden Prison. Gli italiani si indignano. Ma come, un folle così se ne va in una cameretta lussuosa con tv al plasma? Giornali e tv parlano dello scandalo del “carcere a cinque stelle”. È lo stesso riflesso condizionato che, dopo averci fatto divorare avidamente dettagli della carneficina, ci fa nascere una smorfia d’orrore di fronte al quadretto di un assassino in pantofole che tre volte al giorno fa una passeggiata in giardino senza essere terrorizzato dai secondini. Si sente dichiarare tranquillamente in spiaggia: “Se fossi il padre di uno di quei ragazzini, l’avrei strozzato con le mie mani, altro che vacanza in hotel”. Peccato che i genitori dei ragazzi norvegesi non la pensano così. In risposta a questo tipo di considerazioni, qui nessuno dice niente. Che devi dire se vivi in un paese che i suoi detenuti li tratta come animali da sorvegliare e punire, a cui sarebbe meglio togliere la vita (come emerge dalle testimonianze riportate su Gli Altri da Valentina Ascione). E invece qualcosa va detta. Tentiamo di farlo assieme all’attore e regista Giorgio Tirabassi, che nel 2007, assieme a Giuliano Compagno (con cui aveva scritto un soggetto cinematografico), fece un viaggio ad Oslo per spingersi fino air isolotto di Bast0y, sede di un altro carcere esemplare da cui nessuno evade perché, come dichiara il suo direttore, Kvernvik Nilsen, “non si lascia il paradiso per l’ignoto”. Tirabassi, che cosa ricorda di quel viaggio? E che impressione le fece il carcere di Bastoy? Ricordo di aver avuto un’impressione di grande tranquillità. Parlammo a lungo con il direttore e ci spiegò che in Norvegia il carcere non è vissuto come un sistema di punizione e coercizione, ma come un effettivo strumento di reinserimento sociale. Quale era la storia che volevate raccontare? È la storia di un commerciante italiano che, stanco della burocrazia e della corruzione della polizia, prende lo spunto da un litigio con un vigile per andare via dall’Italia. Non sa niente della Norvegia, ma sceglie di andare ad Oslo per il semplice motivo che in quel paese a garanzia dell’attività commerciale si prende la stessa attività commerciale. Il nostro protagonista vive tranquillamente per un può, fino a che non viene colto dal morbo dell’illegalità tipicamente italiano. Cosa combina? Dà fuoco al suo stesso locale. Perché scopre che la copertura assicurativa gli avrebbe garantito un guadagno puro senza lavorare. E per questo che lo spediscono in carcere? Sì. A quel punto, per proseguire il racconto, avevamo bisogno di sapere se il mito delle carceri norvegesi era reale. È per questo che siamo andati a Bastoy, per verificare se era vero quello che si diceva: che fosse la prigione più umana ed ecologica del pianeta. Ed è così? Assolutamente sì. In effetti sembra un luogo di vacanza. Non ci sono sbarre né lucchetti. Io mi affitterei volentieri lì una casetta per venti giorni ad agosto. Questo disegno non si discosta molto dall’immagine dell’hotel a cinque stelle. Quando eravamo lì, il direttore del carcere ci ha disegnato un cerchio e ci ha detto: “Ecco, vedete, qui dentro il cerchio ci sono le persone che vivono in legalità, quelle che lavorano. Fuori dal cerchio ci sono i detenuti, quelli che sono stati esclusi, buttati fuori dopo aver commesso un crimine. Il nostro obiettivo è che questi individui rientrino a vivere nel cerchio, che riacquistino fiducia nella famiglia e negli altri. In effetti in Norvegia è così. La riabilitazione è veramente possibile. Da questo racconto che ci ha fatto il direttore del carcere di Bastoy, ho tratto spunto per il titolo del film: “Fuori dal cerchio”. Questo film si farà mai? Spero di sì, per ora esiste soltanto il soggetto, bisogna ancora scrivere la sceneggiatura. E soprattutto bisogna trovare i finanziamenti. È il solito calvario. Quale è stata la sua prima reazione, quando ha saputo della strage di Oslo? La prima reazione è stata di incredulità e di allarme. Mi ha colpito il fatto che questo individuo si definisse cristiano. Ma ho smesso presto di seguire le cronache da Oslo. In Italia questi fatti vengono raccontati con morbosità: sembrano tutti contenti che accadano cose di questo tipo, come se non si aspettasse altro che spettacolarizzare la notizia. Avevo fatto la stessa cosa con il caso di Cogne: non mi piace seguire la cronaca nera. Immagino che almeno lei non si sia irritato alla notizia che Breivik avrebbe passato molto probabilmente i prossimi trent’anni in condizioni civili d’esistenza... È chiaro che in questo caso ci troviamo di fronte ad una situazione eccezionale. Non a caso hanno aumentato la pena da venti a trent’anni. È normale mettersi nei panni del genitore di uno dei ragazzi barbaramente uccisi. Al tempo stesso, non possiamo adottare due pesi e due misure. Non possiamo etichettare certe leggi dell’Arabia Saudita come leggi medievali e poi applicare gli stessi sistemi feroci di punizione e tortura. È facile predicare bene e razzolare male. Se vogliamo essere dalla parte della civiltà avanzata, dobbiamo esserci sempre. Nel passato, lei ha fatto teatro dentro il carcere di Rebibbia? Sì, avevo portato “Coatto unico”, lavorando con i detenuti soprattutto sulla parte musicale. È stata un’esperienza molto importante, per me e per loro. Lei sembra essere molto affezionato questo suo spettacolo, che ormai ha dieci anni di vita. In verità ne esistono due versioni, “Coatto unico” e “Coatto unico senza intervallo”. Entrambi parlano della periferia, o della provincia italiana (a seconda di come si vedono le cose). Alcuni di questi personaggi che descrivo sono rapinatori, delinquenti “fuori dal cerchio” che, a differenza dei norvegesi, non verranno mai riabilitati, verranno anzi costretti a restare nella loro drammatica condizione di vita.