Giustizia: emergenza carceri, l’amnistia non basta di Raffaele Cantone Il Mattino, 31 agosto 2011 Nel periodo estivo, in cui l’attenzione di tutti i media è stata quasi integralmente catalizzata dalla crisi dei mercati, è riuscito a trovare spazio un argomento che sembrava caduto nell’oblio e cioè l’emergenza carceraria. Il dibattito, stimolato dall’ennesimo sciopero della fame di Marco Pannella, si è arricchito di interventi autorevoli di esponenti delle Istituzioni (fra cui il Presidente della Repubblica ed il nuovo ministro della Giustizia), della politica e del mondo religioso. Per la vigilia di ferragosto è stato anche proclamato un simbolico sciopero generale della fame, che ha visto l’adesione di numerosi intellettuali. Se la questione sollevata è obiettivamente molto rilevante - negli istituti penitenziari, da tempo sono stati superati (e di molto) i limiti di capienza, per cui i detenuti non hanno condizioni di vita decorose e non possono partecipare proficuamente alle attività di recupero e risocializzazione - la soluzione di un’amnistia, proposta dallo stesso on. Pannella - e condivisa da altri esponenti della politica, non solo del partito radicale, oltre che da vari intellettuali - appare non convincente per varie ragioni, non ultima quella che si tratta di una tipica misura emergenziale, inidonea a risolvere strutturalmente il problema. Com’è noto, l’amnistia è un provvedimento che il Presidente della Repubblica adotta a seguito di una deliberazione del Parlamento con una maggioranza dei due terzi dei componenti ed ha l’effetto di estinguere il reato, senza che nemmeno venga celebrato un processo o, nel caso in cui il processo ci sia già stato, di estinguere la pena. Le amnistie precedenti (l’ultima è del 1989) hanno riguardato quasi sempre reati minori (in genere puniti con la reclusione nel massimo di 3 o 4 anni) e servivano non a ridurre il numero dei detenuti ma quello dei processi pendenti; è l’indulto (e cioè il condono di una parte della pena, senza estinguere il reato), invece, che consente a molti detenuti di riacquistare la libertà. Siccome è impensabile - per le ricadute sul piano della sicurezza e perle esigenze di tutela delle vittime - che si possa giungere a dichiarare estinti reati puniti con pene particolarmente gravi, quali quelli per cui sono in carcere la maggioranza dei detenuti (e cioè lo spaccio di droga, la rapina, l’estorsione etc), l’adozione di un’amnistia da sola avrebbe un effetto minimo sulla popolazione carceraria. Sarebbe, quindi, necessario un indulto, l’ultimo dei quali - è giusto ricordarlo adottato nel 2006, non solo ha scatenato una marea di polemiche (non sempre, in verità, giustificate) ma ha anche dimostrato come non fosse affatto risolutivo; a distanza di circa cinque anni gli istituti penitenziari sono sovraffollati molto più di prima. Bisogna, quindi, pensare a misure che si occupino delle vere cause di un male, ormai endemico, e che possano avere effetti non solo contingenti. Premessa di qualsivoglia intervento è una considerazione amara ma assistita da dati numerici inoppugnabili; in Italia vi è un tasso di criminalità, comune ed organizzata, elevato e non parificabile a quella delle altre nazioni europee. Uno Stato che intenda perseguire una repressione efficace dei delitti dovrà dotarsi necessariamente di maggiori disponibilità di posti carcerari, a cui far fronte con la costruzione (o l’ultimazione) di nuovi istituti, che garantiscano ai detenuti standard di vita decenti. Contestualmente, però, siccome non ci si deve rassegnare alla persistenza della criminalità, bisognerebbe ricordarsi che i numeri di essa si riducono non solo con la repressione ma anche (e forse soprattutto!) con interventi sul piano sociale che riducano le condizioni criminogene e la recidiva! Entrambe le ricette, certamente utili nel medio e lungo periodo, ma che richiedono disponibilità economiche pubbliche molto difficili da reperire in questa temperie non precludono al legislatore e alla classe politica di poter adottare da subito atti pure capaci di incidere strutturalmente sul fenomeno. In primo luogo, andrebbe evitato di collegare a tutti gli interventi in tema di sicurezza sanzioni repressive penale; così si è fatto, in un recente passato, ad esempio con la droga e con l’immigrazione clandestina, ma questo errore si continua a perpetrare; un esempio? Nei giorni scorsi, quando è montata una legittima ondata di preoccupazione per l’aumento degli incidenti stradali mortali, i ministri competenti hanno indicato come ricetta, la creazione di un nuovo delitto (il cd omicidio stradale), laddove effetti preventivi migliori si potrebbero ottenere non tanto con la repressione dei reati già commessi ma impedendo definitivamente a chi ha già posto in essere gravi infrazioni al codice stradale (come la guida in stato di ebbrezza) di poter riottenere la patente! Allo stesso modo, potrebbero essere riviste (e depenalizzate) alcuni illeciti che sono serviti più da strumento di propaganda che per arginare davvero fenomeni criminali e che spesso hanno portato in carcere persone non realmente pericolose; ci si riferisce alle condotte collegate all’uso di droghe leggere o alle inosservanze ai decreti di espulsione degli extracomunitari illegalmente entrati in Italia. Bisognerebbe, infine, ripensare al sistema delle sanzioni alternative al carcere, anche e soprattutto nella fase in cui il soggetto è in stato di custodia cautelare; in quest’ottica, ad esempio, perché non riprendere la sperimentazione del braccialetto elettronico, indicato per un periodo come una panacea e poi subito dimenticato? Quelli indicati sono solo alcuni dei rimedi adottabili, ma una cosa bisognerà assolutamente evitarla, e cioè far finta che il problema non esista; da solo, infatti, esso rischierà soltanto di aggravarsi ulteriormente e di portare (altro) disdoro alla immagine internazionale del Paese. Giustizia: J-Ax e Pannella, la strana coppia che si batte per l’amnistia di Silvia Bombino Vanity Fair, 31 agosto 2011 Il cantante e il politico in comune hanno tante cose. Sono scomodi, fumano molto e ora hanno la stessa idea sul problema delle carceri: chiedere l’amnistia. Vanity li ha fatti incontrare, ecco che cosa è successo. Immaginate un politico di 81 anni, militante da 60, che si racconta. E un rapper di 39, in carriera più o meno da 20, che approva come fossero post su Facebook. Pannella sta a J-Ax come il Faraone sta al terzino della Sampdoria nel monologo di Benigni sul Giudizio Universale: “Io sono egiziano, faraone”. “Ma in che squadra giocavi, che serie?”. Insomma: che si dicono? Che cosa hanno in comune? Poco, sulla carta. Uno a vent’anni fondava il Partito radicale, l’altro il duo rap degli Articolo 31. Uno combatteva varie battaglie sociali, tra cui quella antiproibizionista, l’altro iniziava a farsi le canne. Oggi, però, i due sono uniti dalla stessa idea: la richiesta di amnistia “per consentire l’amministrazione della giustizia e riportare le carceri nella legalità”. Uno la sta combattendo con l’ennesimo sciopero della fame (“Non so quanti ne ho fatti, so solo che una volta ho digiunato per 90 giorni di seguito, ma si può arrivare a 120”), l’altro da ogni palco su cui sale (l’ultimo, quello degli Mtv Days a Torino, lo scorso luglio), dove ricorda la battaglia antiproibizionista e la sua posizione contro la legge Fini-Giovanardi (“che intasa le carceri con i poveri cristi che hanno due canne in tasca, o una pianta di marijuana sul balcone”). Pannella e J-Ax Per primo arriva J-Ax. Ha una valigia con dentro qualche T-shirt, un cappello e una sciarpa, un iPhone e un Nintendo 3D. È lontano anni luce dal tempo di Tranqui Funky (“Era il 1996, quando il pubblico di massa, quelli che oggi ballano la Danza Kuduro, amava gli Articolo 31”). Sta sempre su Internet, ha quasi mezzo milione di “like” sulla sua pagina Fb, si definisce un esperto di Stati Uniti (“Vado spesso a Jacksonville, Florida, la città d’origine di mia moglie Elaina”), il suo discografico lo definisce un uomo di marketing (“Sa quanto vendono, come e perché, tutti i suoi colleghi”), ma soprattutto ha uno zoccolo duro di fan molto severi che adorano la sua musica “antagonista”, quella del nuovo album Meglio Prima (?), dove canta con rabbia i suicidi in casema e i naziskin, Wikileaks e Bin Laden. “Ora che mi vedono con Pannella vedrai che si incazzano”. Perché? “Nei miei pezzi demolisco tutti i politici, e, in effetti, di amici in politica non ne ho. Ma con il maestro la cosa è diversa, mi piace che agisca d’urgenza per ottenere un effetto immediato con i suoi scioperi”. “Maestro”? “Marco, sì, uno da cui posso imparare. Siamo simili, in realtà, perché siamo scomodi. Io non faccio la musica che le radio vogliono, quella che seda la gente mentre fa la spesa e si fa inculare dai prezzi”. Nel 1994 in Ohi Maria cantava: “Voto Pannella”. “In realtà non l’ho mai votato, non ho fatto in tempo. Però, già da quei tempi c’erano stati dei contatti. In questi anni ogni tanto ci siamo incrociati”. Due anni fa aveva detto a Vanity Fair di essere anarchico. Poi, di recente, ha cantato per Mattia Calise, il candidato sindaco di Milano del Movimento Cinque Stelle. “Sì, l’ho supportato, suonando per lui. Comunque, a conti fatti, sono stato anche due volte alla Festa della Polizia: mi hanno invitato loro. Ho cantato Ohi Maria in faccia al ministro La Russa. Lui ballava e batteva le mani. E pensare che quando, all’epoca, la cantammo a Domenica In, fece scandalo. Dissero che avrebbero indagato su di noi. I nostri telefoni erano controllati: poi hanno capito che erano quattro spini...”. Quando si è fatto la prima canna? “A19 anni. Fino ai 18 non ho mai fumato una sigaretta né mi sono mai ubriacato”. In Musica da rabbia canta: “Mi basterebbero una giacca e una sciarpa per farmi promozione in televisione - chiacchierando con Don Mazzi sui giovani e le droghe - e dire che ho sbagliato”. Vuole fare mea culpa? “Al contrario: dico ai miei fan che sarò sempre coerente. Quando avrò il mio bambino, gli dirò di quanto ero fattone: non farò come Madonna che non fa guardare la Tv alla figlia per non farle vedere quanto era troia nel video di Like A Virgin. Insegnerò ai miei figli che, se hai valori giusti, puoi attraversare tanti tipi di esperienze e uscirne indenne. Spiegherò loro che cosa fanno certe sostanze. La realtà è che esistono droghe e non droghe, effetti diversi. Io parlo solo di canne, tutto il resto è merda: coca, eroina, acidi, pastiglie. La marijuana ti rende riflessivo, non violento. E poi c’è la self medication: io soffro di bipolarismo e ipertensione, lo psicologo nel 1993 mi prescrisse psicofarmaci ma io preferisco curarmi così. Fumo canne a ripetizione e questo mi ha reso più o meno una persona normale. Non a caso l’Arizona e altri Stati stanno legalizzando la medical marijuana”. Una volta ha dichiarato che sarebbe bello farsi arrestare per aver fumato uno spinello a Montecitorio. Perché? “Fa ridere arrestare un quarantenne perché fuma delle canne... Maestro!”. Entra Pannella. Si abbracciano. J-Ax: “Dov’eri?”. Pannella: “A mangiare del riso. Da quando abbiamo sospeso lo sciopero della fame (durato dal 20 aprile a Ferragosto, con qualche interruzione, ndr), va così. Ieri ho mangiato quattro polpette... E mo’, che dobbiamo fare? Intanto da adesso beneficerete tutti del “deodorante Pannella”. Agita la mano che regge un sigaro. “Mi faccio il codino perché sennò i capelli ingialliscono, però l’odore è gradevole, no? È un toscanello alla grappa. Bene, facciamo le foto?”. Si toglie la giacca e resta in camicia di jeans e bretelle. J-Ax: “Tu ti spogli, io mi devo vestire!”. Inizia a cambiarsi. Vuole a tutti i costi mettersi una sciarpa al collo, come gli ha spiegato sua moglie, e consulta le foto sull’iPhone che gli ha fatto lei per essere sicuro di annodarla nel modo giusto. Dopo vari tentativi, è chiaro a tutti che è impossibile ottenere lo stesso risultato. Pannella si spazientisce: “Che fai? Stronzo! Vieni qua!”. J-Ax ride, ma ubbidisce. Dopo dieci minuti siamo seduti a chiacchierare. Gli Articolo 31 avevano suonato a San Vittore nel 2001. Lei Pannella, quando ha iniziato a occuparsi di carceri? “Appena sono diventato parlamentare, nel 1976. Ho iniziato ad andarci a Ferragosto, a Natale, a Capodanno, ero il cappellano delle carceri. Le ispezioni si potevano fare ma non le faceva nessuno, tranne quando in galera c’era l’amico importante. Insomma: uno schifo. Invece, quello è l’ambiente mio. I carcerati mi salutano: “Te ricordi all’Ucciardone? Te ricordi a Orvieto?”. I direttori delle carceri si meravigliano che resto sei, sette ore: di solito il politico fa una passeggiata di un quarto d’ora. Pure Vasco si è stupito...”. Vasco? “Era stato arrestato alla fine degli anni ‘80 per pochi giorni, e si è stupito nel vederci arrivare in carcere, non sapeva che lo facevamo sistematicamente. Da allora c’è una sorta di fedeltà a quell’incontro: sono 29 anni che prende la tessera dei Radicali ogni anno, quando va a trovare la mamma sull’Appennino, e manda la quota d’iscrizione con il bollettino. Ora si sono iscritti anche la moglie e il figlio”. C’è qualcosa ancora che la colpisce, quando entra in carcere? “Sono ormai strutture da Shoah”. J-Ax: “E ne entreranno sempre più, e stanno tutti dentro per il fumo. Lo dicevo prima, è ridicolo”. Al di là della solidarietà che le ha espresso il presidente della Repubblica, l’agenda del Parlamento è occupata da tutt’altre questioni: quante speranze ha che la sua protesta non violenta abbia successo? P: “Nessuna, come sempre: e porta bene. Quando abbiamo deciso di partire con il divorzio ci dicevano: nessuna possibilità, in Italia c’è il Vaticano. Ora lottiamo per la riforma della giustizia e per la sua appendice carceraria. Abbiamo 9 milioni di processi civili e penali pendenti, oltre 67 mila detenuti per 45 mila posti letto, di cui il 44% in attesa di giudizio... E questi urlano: “Niente amnistia, la sicurezza...”“. J-Ax: “Cercano di iniettarti il germe della paura, così ti controllano meglio...”. P: “Eravamo al governo con Prodi quando nel 2006 strappammo l’indulto. Di Pietro andava in tutte le Tv a dire che era pericoloso per la sicurezza. Ma ora uno studio ci dice che i recidivi sono al 28% gli indultati, al 40% quelli che erano usciti per sconto di pena”. J-Ax: “Scusa se ci torno... Posso fare una domanda io? Quanti detenuti ci sono per reati in tema stupefacenti?”. P: “Circa 28 mila, più di un terzo”. J-Ax: “Ecco: quando si parla di amnistia si pensa sempre allo stupratore libero. Non alle 28 mila famiglie rovinate da una legge stupida come quella Fini-Giovanardi. Io, da cittadino che non ne capisce molto, partirei da questo...”. P: “Come non ne capisci? Testa di cazzo, voti Pannella e poi dici che non capisci? Stronzo! Tu sei un genio, sei... Te lo ridico: l’amnistia non è in contrasto con la sicurezza. Bisogna far passare il principio, poi si discute l’ampiezza, i reati da includere o escludere”. J-Ax: “Ti faccio la previsione? Dovessero legalizzare il consumo, in vent’anni si ridurrebbe rispetto a quello che c’è adesso: non ci sarebbe più morbosità verso ciò che è proibito. Io, dalle orge alla cannabis, ero curioso e ho provato...”. P: “Tu ti facevi le seghe... Disgraziato!”. Sia buono, non maltratti J-Ax: almeno le canzoni del suo seguace le ascolta? “Io sono uno più da chansonnier, quello là, il belga... Brel. Poi c’è la musica degli amici, che ascolto per legame affettivo. De Gregori (che a Pannella ha dedicato Signor Hood, ndr), Vasco... E ora lui... Ma almeno lo conosco, quella che è morta di recente, come si chiamava? Ah sì, Amy Winehouse... Pare fosse brava, io l’avrò ascoltata un paio di volte”. Giustizia: Osapp; dietro le sbarre 67mila detenuti, ma i posti sono per 45mila Adnkronos, 31 agosto 2011 Le carceri italiane scoppiano. A lanciare l’allarme è l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), secondo la quale “la popolazione detenuta nelle carceri italiane sta nuovamente raggiungendo i livelli pre-estivi”. Numeri alla mano i detenuti sono “66.867 in carcere, alla data di ieri 30 agosto, rappresentano comunque il 46,6% in più rispetto ai posti disponibili (45.647) anche se la capienza detentiva massima tollerabile è fissata, secondo il Dap, a 69.126 detenuti”, precisa il segretario generale Leo Beneduci. “A parte la cessazione degli effetti deflattivi della legge 199/2010 - prosegue il sindacato - l’aumento delle presenze in carcere sarebbe anche determinato dalla piena ripresa delle attività di prevenzione e contrasto della criminalità delle forze di polizia sul territorio”. “Peraltro, anche la capienza massima, cosiddetta tollerabile, che dovrebbe rappresentare il limite invalicabile del sistema penitenziario - indica ancora l’Osapp - è stata superata in 8 regioni su 20 (in precedenza 7) e in particolare: in Puglia (+618 detenuti), in Lombardia (+524), in Veneto (+166), nelle Marche (+136), in Liguria (+83), in Valle d’Aosta (+78) in Friuli (+54) e in Emilia Romagna (+48). La Puglia, con l’82% in più di detenuti (2.018), detiene anche il record negativo delle presenze detentive risposto ai posti disponibili, seguita dall’Emilia Romagna con il 70% in più (+1.669), dalla Lombardia (+3.585) e dal Friuli (+347) con il 64% in più, dal Veneto con il 62% in più (+ 1.213) e dalla Liguria con il 59% (+671)”. “Sappiamo - prosegue Beneduci - che presto il Parlamento si riunirà in seduta straordinaria, stante il raggiungimento da parte dei parlamentari radicali del numero di firme necessario proprio sul problema della giustizia e delle carceri. Comprendiamo anche - aggiunge - che nel Paese si possano individuare in questo momento priorità di altro genere”. “Ciononostante - sottolinea - le condizioni degli istituti di pena della Repubblica, per promiscuità e sostanziale illegalità, tenuto anche conto dell’incremento delle aggressioni e delle risse che l’ormai scarso contingente di polizia penitenziaria non è più in grado di prevenire, contenere e sostenere sulla propria esclusiva ‘pellè, non consentono differimenti e ritardi ulteriori”. Pertanto “è assolutamente urgente che il parlamento, unitamente al Governo e al guardasigilli Francesco Nitto Palma, non indugino nell’esame e nell’adozione dei provvedimenti necessari a deflazionare e a riorganizzare le carceri”. Giustizia: il Governo; manette agli evasori fiscali, seguiremo il “modello americano” Agi, 31 agosto 2011 Ora riparino al danno. Silvio Berlusconi non ci metto la faccia, non si spende in prima persona. Chi ha parlato con lui riferisce che il Cavaliere non ha gradito affatto i continui contrasti, le retromarce e gli “stop and go” sulla manovra. Il presidente del Consiglio oggi si è impegnato a preparare la conferenza di domani sulla Libia, ma ha lasciato che ad occuparsi delle modifiche ai contenuti del decreto siano Calderoli e Sacconi con i capigruppo della maggioranza e i tecnici del Tesoro. Al ministero dell’Economia, riferiscono fonti parlamentari della maggioranza, sono al lavoro soprattutto su come rendere più stringente la lotta all’evasione fiscale. Si parla di redditometro più rigido, parallelamente con la possibilità di un nuovo concordato fiscale. Inoltre provvedimenti deterrenti per chi sfugge alle maglie del fisco, inasprimento delle pene detentive, ovvero misure che possano anche prevedere il carcere. Il modello di riferimento, viene fatto osservare, è quello “americano”. La linea sarebbe appoggiata anche dal premier. Calabria: Ugl; nelle carceri della Regione ci sono 3.300 detenuti, per 1.880 posti Agi, 31 agosto 2011 “Sono poco più di 3.300 le persone attualmente detenute negli istituti penitenziari della regione a fronte di una capienza regolamentare pari a 1.880 posti. Numeri allarmanti che dovrebbero indurre il nuovo Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma ad accelerare i tempi per l’adozione di quei provvedimenti la cui complessità d’approccio, come più volte ribadito dal Sindacato UGL Polizia Penitenziaria, passa attraverso la depenalizzazione dei reati minori, la costruzione di nuove strutture penitenziarie ed un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione”. Lo si legge in un comunicato dell’Ugl Polizia Penitenziaria. “Di fronte al problema del sovraffollamento - è scritto - anche il lavoro del personale di polizia penitenziaria diventa sempre più difficoltoso. Per questo motivo, a giorni consegneremo al ministro Palma la raccolta firme che l’Ugl Polizia penitenziaria ha lanciato a sostegno della petizione intitolata simbolicamente: “Non ti scordar di me” che ha lo scopo - spiega il comunicato - di richiamare l’attenzione delle autorità proprio sulle emergenze del sistema carcerario”. Turi (Ba): detenuti in sciopero della fame donano pasti ai senza tetto Ansa, 31 agosto 2011 I detenuti del carcere di Turi (Bari), che da lunedì scorso non ritirano i pasti per protestare contro le condizioni di vita nell’istituto a causa del sovraffollamento, hanno deciso di devolvere le loro razioni di cibo all’associazione InConTra affinché siano donate ai senza fissa dimora della città di Bari. Lo rende noto l’associazione di volontariato per l’assistenza ai senza-tetto. “Un gesto - scrive l’associazione - che stabilisce un ponte fra due drammatiche miserie della nostra società, diverse ma che, avendo in comune proprio l’anomalia delle loro condizioni abitative, rivolgono un richiamo forte alle nostre coscienze affinché in ogni luogo si abbia cura almeno della dignità delle perone e questo, prima di tutto, sia Casa”. “Certo, - si rileva - commuove sempre che siano i deboli a tendersi la mano, ma questo potrebbe anche farci riflettere sull’autenticità della forza di noi altri e sull’uso che facciamo dei nostri privilegi”. “Gli amici del carcere di Turii, - conclude l’associazione - pur portando il fardello delle proprie colpe, hanno ottenuto che la loro protesta diventasse risorsa preziosa per qualcun altro, prima ancora che per loro stessi”. All’associazione InConTra sono stati consegnati ieri dai detenuti di Turi (Bari) 55 kg di frutta, 160 confezioni di sottilette, 110 scatole di tonno, 6 kg di pasta, 30 kg di insalata verde, 30 kg di peperoni, 80 kg di uva, 48 kg di pane, 26 kg di melanzane, una confezione da 5 kg di bastoncini di pesce. Sassari: il Garante; un carcere che non annulli la dignità umana, ecco la richiesta La Nuova Sardegna, 31 agosto 2011 “Sono già stata in carcere poco dopo Ferragosto e ho incontrato delle persone che avevano chiesto di parlare con me. Hanno avanzato richieste semplici, con un elemento comune: tutte hanno indicato come priorità assoluta l’esigenza di espiare la pena in ambienti dignitosi per le persone umane. Prima questa cosa, dunque, poi le altre”. Cecilia Sechi, Garante dei detenuti, è già al lavoro da qualche settimana e ieri mattina ha presentato i suoi appunti programmatici alla commissione comunale Cultura presieduta dal consigliere Sergio Scavio. Una riunione di presentazione, per conoscersi, che è servita per tracciare il percorso che il Garante dei detenuti, nominato di recente, intende seguire. “I punti programmatici veri e propri dovranno scaturire dal confronto con diversi soggetti presenti nel territorio e collegati al carcere - ha detto Cecilia Sechi - spero di poter rappresentare un collegamento, di essere un valorizzatore. Ho proposto alla commissione di fare due relazioni annuali sul mio operato e ho dato la disponibilità a fare degli incontri ogni volta che c’è bisogno”. Intanto il Garante ha già attivato un indirizzo di posta elettronica: garante-detenuti@comune.ss.it al quale chiunque può scrivere per segnalare qualcosa o chiedere un appuntamento. “A San Sebastiano c’è una buona disponibilità da parte della direttrice e dei suoi collaboratori - ha sottolineato Cecilia Sechi - con una apertura verso l’esterno, per quanto possibile. In questo momento non si registra neanche sovraffollamento, problema sempre molto serio. Ma le difficoltà sono dovute alla struttura decadente e assolutamente inadeguata. I detenuti con i quali ho parlato nei giorni scorsi mi hanno ribadito la richiesta di andare via da lì, e per questo diventa fondamentale l’apertura del nuovo carcere”. Il Garante dei detenuti ha confermato la sua intenzione di “lavorare in rete” e di puntare con decisione sugli aspetti culturali. “Penso agli incontri con i cittadini - ha affermato Sechi - al di fuori dai convegni. Voglio parlare con loro e sostenere la tesi che una pena che distrugge la dignità umana genera solo delinquenza”. Lavorare insieme, quindi, questo l’impegno di Cecilia Sechi, ribadito davanti alla commissione Cultura per illustrare la prima fase del percorso come Garante dei detenuti. “Le persone che ho incontrato in carcere, tutti giovani, non erano lamentose - ha concluso Cecilia Sechi - e con grande dignità hanno accettato il percorso per l’espiazione della pena. Le loro proposte sono finalizzate a migliorare le condizioni di vita in una struttura ormai vecchia e non più sopportabile. La maggior parte dei giovani carcerati ha un passato segnato da problemi con la droga che hanno poi generato, come conseguenza, la commissione di reati più o meno gravi”. Gorgona (Li): gli abitanti dell’isola; se il carcere chiude non ci abbandonate… Il Tirreno, 31 agosto 2011 “Il carcere chiude, non abbandonate gli abitanti”. A lanciare l’appello è uno dei discendenti dei vecchi pescatori dell’isola, Antonio Brindisi, che ogni anno vive, per almeno tre o quattro mesi, sullo scoglio paradisiaco che guarda da lontano Livorno. Oggi, sull’isola, ci sono una cinquantina di residenti, ma solo sei o sette restano anche d’inverno. A questi si aggiungono una settantina di detenuti e altrettanti agenti, con una decina di famiglie. Tra i gorgonesi c’è chi non vorrebbe mai dire addio al carcere. Come Luisa Citti (84 anni), nata e cresciuta sull’isola. “Il carcere ci assicura la sopravvivenza: pulizia, servizi... E poi, ormai, siamo diventati un’unica comunità”. E chi invece, come Brindisi, lancia l’appello “a tutti i gorgonesi di oggi e di allora” perché “forse, finalmente, il carcere di Gorgona chiuderà i battenti, ma tanti pericoli potrebbero nascondersi dietro questa chiusura per la sopravvivenza del paese”. Il residente è proccupato per ciò che accadrà una volta che, stando a quanto previsto dal ministero, il carcere sarà chiuso perché “troppo costoso”. “I gorgonesi - scrive - se non vogliono vedere ridurre la loro isola a terra di nessuno, devono mobilitarsi da subito per tornare, abitare, organizzarsi per una vita civile sull’isola. Gli sciacalli e i profittatori non saranno ammessi”. Oggi un battello raggiunge Gorgona due volte a settimana: il desalinizzatore per l’acqua è del carcere, così come lo spaccio e il rifornimento elettrico (ministeriali). L’ufficio postale è chiuso. Cosa accadrà quando non ci sarà più la struttura? “Non vogliamo - continua - che il villaggio si svuoti come accaduto a Pianosa. Siamo pronti a raccogliere un primo nucleo che possa iniziare una nuova vita per l’isola”. L’uomo ha aperto anche un fondo “per non trovarci impreparati quando ci sarà da gestire il dopo-carcere. Servono garanzie per luce, acqua e beni di prima necessità”. La campagna è partita su www.ilgorgon.eu. Perugia: Provincia propone reparto detenuti dell’ospedale Santa Maria della Misericordia Agi, 31 agosto 2011 Procedere alla convocazione di un incontro con il direttore sanitario dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia al fine di valutare l’ipotesi di creare uno spazio sanitario rivolto al detenuto che viene ricoverato d’urgenza e mettere in calendario un confronto con Umbria Mobilità, per risolvere il problema del trasporto verso gli asili dei bambini da 0 a 6 anni delle detenute. Sono i due impegni assunti dai membri della terza Commissione consiliare della Provincia di Perugia, presieduta da vicepresidente Luigi Andreani, in merito alle problematiche che interessano la Casa circondariale di Capanne. Due richieste avanzate, come ricordato dal consigliere del Pd Daniele Pinaglia, dalla direttrice del Carcere in occasione della visita compiuta nei mesi scorsi dalla stessa Commissione alla Casa circondariale di Capanne. Aosta: Osapp; ancora aggressioni e disordini nel carcere di Brissogne Adnkronos, 31 agosto 2011 La denuncia dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. La calma nella casa circondariale riportata dopo lunghe trattative e l’intervento degli agenti. L’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha comunicato che “ieri presso la Casa Circondariale di Aosta, lo stesso detenuto dei nazionalità marocchina che lo scorso 27 agosto aveva aggredito un sovrintendente di polizia penitenziaria, all’uscita dal locale docce ha minacciato l’agente presente con un punteruolo ricavato da un cucchiaio in cui era stato incastonato un tagliaunghie”. “Per riportare la calma sono dovute intervenire circa 10 unità di polizia penitenziaria, in quanto il detenuto sembrava un vero e proprio forsennato - spiega in una nota Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp - che dopo diverso tempo sono riuscite ad immobilizzare il soggetto, non senza avere riportato contusioni e graffi in varie parti del corpo e un ispettore persino un morso ad un gomito”. “Nella stessa giornata di ieri poi - indica ancora l’Osapp - sempre nel carcere dei Aosta, l’ulteriore caso isolato per dirla come l’attuale direttore dell’istituto, di due detenuti di nazionalità italiana barricatisi nelle rispettive celle con in mano delle bombolette di gas (dei fornellini in uso per la cottura dei cibi) con cui minacciavano di dare fuoco agli ambienti, desistendo dall’intento solo dopo una lunga trattativa”. Senza dimenticare che “il personale di polizia penitenziaria che era entrato in servizio alle 8,00 di ieri nel carcere di Brissogne è potuto smontare solo alle 21,00 e questo avviene sempre con maggiore frequenza”. Sempre secondo l’Osapp: “Tutto quello che sta accadendo non ha precedenti nella storia del carcere di Aosta ed è probabile che avvenga per l’attuale organizzazione interna della struttura e per le modalità di approccio e di rapporto con la popolazione detenuta, volute dal vertice della struttura”. Torino: su evasione da ospedale nessuna negligenza agenti, il detenuto non era piantonato Ansa, 31 agosto 2011 Non c’è stata alcuna imperizia o negligenza da parte di alcun appartenente all’amministrazione penitenziaria né alcun momento di distrazione da parte degli agenti semplicemente perché Schillaci non era sotto controllo continuò. Lo afferma il direttore delle carceri di Torino, Pietro Buffa intervenendo sull’evasione di Gianni Schillaci, 32 anni, che il 13 luglio scorso ha fatto perdere le sue tracce. Schillaci, tuttora ricercato, si trovava all’ospedale Molinette di Torino, dove era sottoposto ad alcune cure ad una gamba. Non era piantonato in quanto il magistrato di sorveglianza gli aveva concesso l’autorizzazione ad un ricovero nel reparto di Ortopedia dell’ospedale torinese. Accompagnato alle Molinette, gli agenti penitenziari lo avevano lasciato in quanto il servizio previsto non prevedeva il piantonamento. Schillaci, 37 anni, era stato condannato ad una pena definitiva di otto anni per una serie di rapine compiute nell’astigiano. Busto Arsizio: in carcere si festeggia la fine del Ramadan Varese News, 31 agosto 2011 Un centinaio di detenuti di religione musulmana celebrano la ricorrenza con dolci arabi e tè alla menta, e chiedono più spazi e servizi. Il vicecomandante Coviello: “Non siamo un lager, l’istituto è migliorato”. Una festa gioiosa e liberatoria al termine di un lungo sacrificio durato un mese: è la fine del Ramadan, il mese sacro ai musulmani durante il quale vige (tra l’altro) il divieto assoluto di mangiare durante il giorno, con l’obiettivo di purificare il corpo e lo spirito. La ricorrenza è stata celebrata come ogni anno con ritrovi e banchetti in tutto il mondo e, questa mattina, anche nel carcere di Busto Arsizio, dove un centinaio di detenuti di religione musulmana si sono ritrovati per un momento conviviale con tanto di dolcetti arabi, tè alla menta e musica dei paesi d’origine, oltre che per la lettura di un doppio messaggio di auguri dei Cardinali Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e Dionigi Tettamanzi. La festa, organizzata dal personale dell’istituto carcerario, si è svolta con un giorno di ritardo rispetto alla data della ricorrenza: “Quando è iniziato il lungo iter burocratico necessario per arrivare a questo momento - spiega l’educatrice Marianna Marini - non conoscevamo ancora la data esatta, e abbiamo preferito non rischiare di arrivare troppo presto. Si tratta, comunque, di un importante momento di convivialità, pensato per offrire appoggio e rispetto a persone che praticano un culto diverso dal nostro. Per loro è stato un periodo difficile: potevano mangiare solo dopo il tramonto, non era concesso fumare, abbandonarsi all’ira e neppure guardare una donna per più di una volta. Per questo oggi accolgono questo momento con educazione e sacralità”. I detenuti che hanno partecipato all’evento sono stati divisi in tre gruppi: due hanno festeggiato in mattinata presso il piano attività, il terzo si riunirà nel pomeriggio nel reparto tossicodipendenti. Per loro, la festa è stata soprattutto un’occasione per riunirsi e passare qualche momento insieme: “Ringraziamo tutti di questa opportunità - dice Mehdi, uno dei tanti cittadini marocchini e tunisini detenuti a Busto - questi dieci minuti valgono come 4 giorni di festa. Gli educatori e il personale sono stati bravissimi nell’aiutarci a superare questi giorni”. Inevitabile, anche per i detenuti, tornare sull’argomento più caldo delle ultime ore: le difficili condizioni di vita nell’istituto, riportate alla ribalta dalla visita a sorpresa di una delegazione dei Radicali. “Vogliamo l’amnistia - dicono i reclusi - perché vivere in queste condizioni è impossibile. Ci manca l’acqua, abbiamo solo 7 minuti a testa per farci una doccia; ci mancano i momenti di socialità, vorremmo riuscire a parlare di più tra noi e condividere le nostre impressioni. Qui tutti si impegnano per fare il possibile, ma gli spazi sono davvero troppo pochi”. Tutti, nessuno escluso, chiedono notizie dall’esterno: vogliono sapere se qualcosa si sta davvero muovendo nella direzione dell’amnistia o dell’indulto, ma anche perché la giustizia italiana è così lenta e i loro ricorsi rimangono pendenti per mesi. “Crediamo molto in questo tipo di iniziative - spiega il vicecomandante Antonio Coviello - che vanno nella direzione di recuperare i detenuti, offrendo loro valori importanti, e costituiscono anche una valvola di sfogo, un momento di svago e di confronto”. Chi vive tutti i giorni all’interno del carcere si è sentito toccato in prima persona dalle dichiarazioni dei Radicali: “Secondo me - dice Coviello - si tratta di esagerazioni. L’istituto è migliorato moltissimo negli anni, grazie a un grande lavoro d’equipe. Non è giusto descriverlo come un lager e del resto oggi, in Italia, carceri-lager non ce ne sono più, o forse non ce ne sono mai stati. Abbiamo un servizio medico 24 ore su 24, psicologi, psichiatri: c’è la massima attenzione nei confronti dei detenuti. Da parte nostra c’è organizzazione e impegno, si resta male a leggere certe cose”. I problemi della struttura diretta da Orazio Sorrentino, però, non vengono nascosti: “Gli spazi sono quelli che sono, lo sappiamo - conclude il vicecomandante - e i tagli operati dalla Regione ci hanno pesantemente condizionato in molti campi, ad esempio per quanto riguarda i corsi di formazione professionale, che comunque ripartiranno regolarmente tra pochi giorni”. Venezia: teatro-carcere; l’esperienza del progetto “Passi Sospesi” al Festival del Cinema Ristretti Orizzonti, 31 agosto 2011 Teatro e Carcere: l’esperienza del progetto teatrale “Passi Sospesi” di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia presentato alla 68a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Martedì 6 Settembre 2011, ore 15-17. Area Incontri Digital Expo (Hotel Excelsior, Lido di Venezia). Dal 2006 Michalis Traitsis, direttore artistico di Balamòs Teatro e responsabile del progetto “Passi Sospesi”, ha scelto di percorrere una linea precisa presso il carcere di Venezia: offrire frammenti non solo dei propri progetti ma di vita e di umanità in un luogo di detenzione, mantenendo una prospettiva soprattutto culturale nell’approccio alle tematiche della reclusione e dell’esclusione. L’esperienza teatrale in carcere è infatti un potente strumento di cambiamento, un’occasione di ri-pensamento, in totale sintonia con l’obiettivo del recupero sociale. È complesso trovare soluzioni nell’emergenza ma sappiamo per esperienza che l’attività teatrale, di per sé, favorisce la riduzione del conflitto attraverso la partecipazione attiva a un progetto collettivo. Fornisce uno strumento ritenuto fin dai tempi antichi mezzo di formazione umana, grazie al quale culture e popoli differenti si incontrano attraverso canali comunicativi diversi dai convenzionali. In occasione della Mostra verrà proiettato il documentario di Marco Valentini, “Passi Sospesi 2011”, relativo all’omonimo progetto teatrale, che per il 2011 è stato finanziato dal Comune di Venezia, U.O.C. Area Penitenziaria (Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia) e Ministero della Giustizia (Casa di reclusione Femminile di Giudecca, Venezia). Il video, presentato in forma di work in progress, riguarda l’attività di laboratorio teatrale svolta presso la Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia conclusa lo scorso 26 Luglio con una rappresentazione intitolata “Storie italiane”, e l’attività ancora in corso alla Casa di Reclusione Femminile della Giudecca nell’ambito della quale è attualmente in elaborazione uno studio sulle “Troiane” di Euripide. “Storie Italiane”, nato nell’ambito del laboratorio che Michalis Traitsis conduce dal 2005 presso il Centro Teatro Universitario di Ferrara, offre spunti di riflessione su alcuni episodi, visioni, sogni e l’immaginario dell’Italia dell’ultimo secolo. Un’Italia vista da “dentro” e da “fuori”, un’Italia del passato recente e del prossimo futuro, infine un’Italia che si interroga su se stessa. A Venezia “Storie Italiane” ha costituito un momento particolare poiché due gruppi, i detenuti e gli allievi del Ctu, dopo avere lavorato separatamente si sono uniti in una straordinaria occasione di incontro pedagogico e di condivisione, creando uno studio teatrale comune. Alla proiezione del video documentario seguirà una conferenza intitolata: L’esperienza del progetto teatrale Passi Sospesi negli Istituti Penitenziari di Venezia: lavorare “al maschile” e lavorare “al femminile”. Esperienze, metodologie, riflessioni. Sono stati invitati ad intervenire: Luigi Cuciniello (direttore organizzativo della 68a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia); Sandro Simionato (vicesindaco del Comune di Venezia); Gabriella Straffi (direttore della Casa di reclusione femminile di Venezia); Ferdinando Ciardiello (responsabile Area Pedagogica della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia); Daniele Seragnoli (direttore del Centro Teatro Universitario di Ferrara); Valeria Ottolenghi (vicepresidente dell’associazione nazionale critici di teatro); Donatella Massimilla (regista e drammaturga, Centro Europeo Teatro e Carcere); Vito Minoia (direttore della rivista Teatri delle Diversità); Michalis Traitsis (sociologo, regista e pedagogo teatrale, responsabile del progetto “Passi Sospesi”). L’ingresso alla proiezione del video documentario e alla conferenza è libero e aperto a tutti (non è necessario avere il pass per la Mostra del Cinema). Il giorno successivo il documentario sarà presentato all’interno della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia e la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca per tutta la popolazione detenuta. info: 328 81 20 452 Immigrazione: rivolta al Cie di Lampedusa, sbarchi in serie nel Salento L’Unità, 31 agosto 2011 Tunisini in rivolta al Centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa. A partire dal tardo pomeriggio di lunedì, oltre 200 extracomunitari hanno protestato contro i rimpatri, urlando in coro “Libertà, libertà”. In serata, poi, i migranti hanno oltrepassato le sbarre del Cie, cercando di raggiungere il centro dell’isola. Le forze dell’ordine, intervenute sul posto in massa, hanno però dirottato la manifestazione verso il molo Favaloro, dove normalmente avvengono gli sbarchi dalle carrette del mare soccorse dalla Guardia Costiera. Lì i tunisini hanno bloccato la strada ed hanno continuato a protestare per diverse ore. Solo in tarda serata il corteo è stato indirizzato nuovamente verso il Cie di contrada Imbriacola, dove però si sono registrati alcuni scontri tra immigrati e forze dell’ordine. Un carabiniere ed un finanziere sono rimasti feriti e trasportati al Poliambulatorio di Lampedusa. Pare che gli extracomunitari, mentre rientravano nel Centro, abbiano iniziato un lancio di pietre verso le forze dell’ordine. La situazione è tornata alla normalità solo nella mattinata. Intanto un gruppo di 27 migranti, tra cui alcuni bambini in tenera età, è stato rintracciato nelle prime ore della mattinata di ieri a San Cataldo (Marina di Lecce). I migranti, probabilmente provenienti dal Medio Oriente, erano appena sbarcati sulla spiaggia e stavano per dirigersi verso Lecce a piedi. La polizia li ha trovati e bloccati provvedendo a rifocillarli e avviando subito dopo le operazioni di identificazione. Gli stranieri sono destinati al centro di accoglienza “Don Tonino Bello” di Otranto. Domenica scorsa 129 migranti erano stati rintracciati dalla Guardia di Finanza nei pressi di Tricase Porto. Lunedì altri 13 sono stati trovati dai carabinieri mentre girovagavano per le strade di alcuni paesi dell’entroterra salentino. Droghe: la “riduzione del danno”, un laboratorio d’innovazione di Susanna Ronconi Il Manifesto, 31 agosto 2011 Ha vent’anni, la riduzione del danno in Italia, è giovane ma adulta. Tempo di progetti, di scelte, e anche di bilanci e aggiustamenti. Un lavoro necessario, critico e innovativo, a cui la scuola estiva di Forum Droghe e Cnca - Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza - dal 1 settembre a Firenze offre, come ogni anno, il suo laboratorio collettivo. I tempi sono difficili: il termine stesso è stato espulso dalle politiche pubbliche, grazie alla linea del Dipartimento antidroga del governo, che ha piegato quella che a livello europeo è una politica sociale e un approccio complessivo alla questione dei consumi e delle dipendenze, a un pugno (e a volte nemmeno quello) di interventi sanitari sotto il nome di “prevenzione delle patologie droga correlate”. Dietro questa questione semantica c’è una volontà di sterilizzazione della riduzione del danno come politica sociale capace di rappresentare un’alternativa all’approccio morale, penale e securitario ad oggi dominante, capace di dimostrare che contenere rischi e danni del consumo - per i singoli e per il contesto sociale - è possibile a certe condizioni culturali, sociali e politiche, e che a queste condizioni è possibile metter mano su diversi piani: quello del sistema di servizi, quello delle politiche locali, quello della costruzione di un contesto sociale di minimizzazione del danno potenziale. È su questa prospettiva di respiro che la riduzione del danno italiana subisce lo scacco del suo depotenziamento, la beffa del paradosso di danni crescenti - si pensi alle carceri, per citarne uno, affollate per oltre il 30% di persone tossicodipendenti - a fronte di alternative pragmaticamente possibili ma stroncate a livello politico e ideologico. Si pensi anche a quello che è uno dei nervi scoperti della riduzione del danno italiana, le politiche locali delle città, ancora così centrate da un lato su un approccio securitario, per altro poco efficace, e dall’altro su una delega al settore sanitario, che lascia fuori interventi di governo basati sull’inclusione sociale, la mediazione di conflitti, servizi mirati. La lunga partita giocata, e persa, sulle stanze del consumo - servizi attivi in Europa dagli anni 80 - la dice lunga. E tuttavia, alla base del “nome” negato c’è in ogni modo la “cosa”: tanto, in realtà, è stato fatto in Italia in questi vent’anni, in termini di costruzione di servizi e messa a punto di esperienze e metodologie, di produzione di pensiero, di azione e responsabilità pubblica tante volte assunta dagli stessi operatori del settore. La scommessa del laboratorio di Firenze si basa su questo: sull’analisi lucida delle derive (e debolezze) e sulla possibilità di nuovi approdi giocati sull’esperienza, la conoscenza, la disponibilità a fare, ancora e sempre, “laboratorio sociale”. Non siamo soli: è in atto un movimento internazionale che include attori nuovi, oltre a quello che da sempre si batte per una diversa politica globale sulle droghe: da alcune sedi Onu ai leader dell’America Latina, è in corso la denuncia della catastrofe della war on drugs che pone la necessità di una alternativa. La riduzione del danno ha la forza di un’alternativa, se non viene sterilizzata e chiusa nella nicchia di qualche tecnicismo. È questa consapevolezza e responsabilità che mette all’ordine del giorno la scrittura collettiva di una “agenda delle innovazioni non rinviabili”. Libia: Amnesty teme per la situazione dei detenuti pro-Gheddafi Ansa, 31 agosto 2011 A rischio libici carnagione scura e cittadini Africa subsahariana. Amnesty International ha espresso timore per la situazione di persone sospettate di aver combattuto dalla parte del colonnello Gheddafi, soprattutto libici di carnagione scura e cittadini dell’Africa subsahariana. Lunedì 29 agosto, la delegazione di Amnesty International presente in Libia ha visitato l’ospedale centrale di Tripoli, dove ha visto tre thuuwar (combattenti dell’opposizione), in abiti civili, trascinare via dal suo letto e arrestare un paziente di carnagione scura, proveniente dalla città di Tawargha. I tre uomini hanno dichiarato che avrebbero portato il paziente a Misurata per interrogatori, sottolineando che chi esegue gli interrogatori a Tripoli “lascia gli assassini in libertà”. Due altri libici di carnagione scura, ricoverati in ospedale per ferite da arma da fuoco, sono stati ammoniti che “il loro turno” stava arrivando. La delegazione di Amnesty International ha anche assistito al pestaggio di un uomo, fuori dall’ospedale, da parte di un gruppo di thuuwar. La vittima gridava “non sono uno della quinta colonna”, come vengono definiti coloro che sono stati dalla parte di Gheddafi. “Nel giro di un’ora, la delegazione di Amnesty International ha visto un uomo essere picchiato e un altro portato via dall’ospedale verso destinazione sconosciuta”, ha dichiarato Claudio Cordone, di Amnesty International. “Abbiamo paura di quello che potrà succedere ai detenuti, fuori dalla vista di osservatori indipendenti”. A maggio, il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) aveva diramato linee guida chiedendo alle proprie forze di agire nel rispetto delle leggi e degli standard internazionali. Negli ultimi giorni, il Cnt ha inviato sms ai suoi uomini chiedendo di trattare i prigionieri con dignità e di evitare attacchi di rappresaglia. “Apprezziamo queste iniziative da parte del Cnt. Ma deve fare di più per garantire che i suoi combattenti non compiano violazioni ai danni dei detenuti, specialmente di coloro che sono più vulnerabili come i libici di carnagione scura e gli africani subsahariani”, ha commentato Cordone. “I combattenti coinvolti in queste violazioni devono essere immediatamente sospesi in attesa di indagini. Tutti i crimini, a prescindere da chi li abbia commessi, devono essere indagati e i loro responsabili sottoposti a processo”. I combattenti thuuwar hanno riferito ai delegati di Amnesty International che stavano portando via il paziente di Tawargha perché pensavano che la direzione dell’ospedale intendesse proteggere un uomo ritenuto fedele a Gheddafi. Il medico di turno ha autorizzato l’arresto, nonostante le proteste di Amnesty International. A Tawargha vivono molti libici di carnagione scura. Secondo gli abitanti di Misurata, quelli di Tawargha sarebbero coinvolti nelle peggiori violazioni dei diritti umani commesse durante l’assedio e il costante bombardamento di Misurata, durato circa un mese. I cittadini provenienti dall’Africa subsahariana sono particolarmente esposti a violazioni dei diritti umani. Molti di essi rischiano rappresaglie per il fatto di essere percepiti come ‘mercenari africanì assoldati dalle forze di Gheddafi per compiere violazioni di massa durante il conflitto. Durante le visite nei centri di detenzione di al-Zawiya e Tripoli, ad Amnesty International è stato riferito che tra un terzo e la metà dei prigionieri proveniva dall’Africa subsahariana. Il 29 agosto, Amnesty International ha esaminato il cadavere di un uomo non identificato, di carnagione scura, portato all’obitorio del Centro medico di Tripoli quella mattina da sconosciuti. Aveva i piedi e il torso legati e, pur non presentando segni visibili di ferite, aveva sangue rappreso intorno alla bocca. Era morto da poco. Non è stato reperito alcun referto di autopsia e non sono state comunicate le generalità dell’uomo. Il 28 agosto, Amnesty International aveva incontrato un gruppo di eritrei che si nascondeva in una casa, in un quartiere povero di Tripoli. Rimanevano in casa, hanno raccontato, per timore di violenza. Erano senza elettricità e senza acqua potabile. Siria: Amnesty denuncia; uccisi in carcere almeno 88 oppositori politici Agi, 31 agosto 2011 Almeno 88 oppositori del regime sono stati uccisi nelle carceri siriane tra aprile e metà agosto. Lo denuncia un rapporto di Amnesty International in cui si sottolinea che si tratta di persone arrestate durante le manifestazioni di protesta contro Bashar al-Assad. Dal dossier redatto grazie a foto e video forniti da attivisti e parenti delle vittime, emerge che su almeno 52 cadaveri, tutti di uomini, 10 dei quali giovanissimi, c’erano segni di torture. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, i detenuti sono stati picchiati e sottoposti a bruciature e a scariche elettriche. “Queste morti attestano lo stesso disprezzo per la vita a cui assistiamo quotidianamente per le strade della Siria”, ha affermato l’esperto di Amnesty per la Siria, Neil Sammonds. I casi riguardano per lo più Homs e Daraa, teatro di grandi manifestazioni di protesta negli ultimi cinque mesi. Proprio di Homs era Tariq Ziad Abd Al Qadr, il cui cadavere è stato riconsegnato alla famiglia con i segni delle scosse elettriche al collo e al pene. Amnesty ha chiesto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu deferisca Damasco alla Corte penale internazionale per un embargo e il congelamento dei fondi di Assad e dei suoi collaboratori. Intanto è stato stilato un bilancio di 473 morti per le proteste per la democrazia in Siria durante il mese di Ramadan. La stima è dell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha identificato 360 civili e 113 tra militari e membri delle forze di sicurezza uccisi. Dal conteggio sono escluse le vittime dell’offensiva dell’esercito a Hama, a inizio agosto. Proprio da Hama, è arrivata la notizia delle dimissioni del capo della procura che ha denunciato di esser stato costretto a coprire l’uccisione di 72 manifestanti da parte di polizia e militari e ha rivelato l’esistenza di fosse comuni con 420 cadaveri di oppositori. Secondo Osservatorio siriano per i diritti umani, sono 2.434 le persone uccise in Siria dall’inizio delle proteste, a marzo. Vietnam: sei condanne a morte per traffico di droga Adnkronos, 31 agosto 2011 Il tribunale di Hoa Binh, nel Vietnam settentrionale, ha condannato a morte sei uomini per traffico di droga. Lo ha annunciato lo stesso tribunale che, come riporta l’agenzia tedesca Dpa, ha aggiunto che altre quattro persone sono state condannate all’ergastolo e 11 al carcere da uno a 20 anni. “Si tratta della più grande rete di narcotrafficanti mai scoperta nella nostra provincia”, ha fatto sapere il tribunale. La droga scoperta - in tutto 33 kg - veniva trasportata dal confine con il Laos fino a Hanoi, dove era messa in commercio. Sono in aumento in Vietnam le condanne a morte per traffico di droga. Nel 2007, 11 persone sono state condannate alla pena capitale in un unico processo. Solo lo scorso 5 agosto, il tribunale di Bac Giang ha condannato a morte altri quattro trafficanti. Svezia: turista italiano arrestato per aver dato uno schiaffo al figlio Il Velino, 31 agosto 2011 “Uno schiaffo al figlio dodicenne durante una vacanza a Stoccolma. Per il consigliere comunale di Canosa di Puglia, Giovanni Colasante, 46 anni, è scattato l’arresto. In Svezia usare forme anche lievi di violenza contro i figli è un reato grave che corrisponde al maltrattamento. L’uomo ha trascorso due notti in carcere. Mettiamo che sia andata davvero così. Che un padre, innervosito dal figlio tutt’altro che ubbidiente, si sia lasciato scappare uno, forse due ceffoni. Ora: può bastare questo per arrestarlo? Può essere sufficiente a fargli passare in carcere due notti e tre giorni, a isolarlo da qualsiasi contatto con l’esterno per 48 ore, a tenere divisi in una caserma di polizia la madre da una parte e il ragazzetto in questione dall’altra? Se sei in Svezia la risposta è “sì, può bastare”. Giovanni Colasante - 46 anni, manager di un’azienda informatica e consigliere comunale del centrodestra a Canosa di Puglia - adesso ha soltanto l’obbligo di firma ogni tre giorni ma dal 23 al 25 agosto ha conosciuto il carcere di Stoccolma, che doveva essere il punto di partenza di una crociera lungo i fiordi, ed è finito sotto accusa per maltrattamenti, reato che prevede fino a un massimo di due anni di reclusione. Tutto per un paio di presunti scapaccioni (ma il suo avvocato nega che abbia mai alzato le mani) dati in strada al figlio dodicenne che si era ostinato a non entrare nel ristorante dove la famiglia Colasante (c’era anche la moglie e l’altro figlio più piccolo) aveva deciso di pranzare. La ricostruzione precisa dei fatti sarà chiara soltanto il giorno del processo, il 6 settembre. E fino a quel momento Colasante avrebbe tanto preferito il silenzio perché “è molto spaventato dalla possibilità che qualunque cosa dica possa essere frainteso e peggiorare la situazione già scioccante”, spiega il suo legale italiano Giovanni Patruno (ora ne ha uno anche in Svezia). “Questa storia è un incubo” ha confidato il manager all’amico giornalista Paolo Pinnelli. Nient’altro. “Spero soltanto che finisca in fretta”. Sembra che siano stati due testimoni di nazionalità libica a rivelare alla polizia la storia degli schiaffi, per questo l’avvocato Patruno ipotizza “probabili incomprensioni linguistiche”. Ma di testimonianze ce ne sono altre: quelle degli italiani che erano nello stesso gruppo di crocieristi e che sono stati accettati dal giudice come testi a favore. La vacanza prevedeva il giro classico dei fiordi che sarebbe durato una settimana. E infatti ieri sono tutti rientrati in Italia, compresi i bambini di Colasante, accompagnati dagli zii. Lui, l’accusato, non può ovviamente lasciare il Paese scandinavo e sua moglie è rimasta con lui. “Sono tutti e due sconvolti e provati da un’esperienza assurda”, dice l’avvocato Patruno che li sente più volte al giorno. “In Svezia la legislazione è molto severa sui maltrattamenti ma il fatto è che non ci sono stati. Si è trattato di un rimprovero fatto con un po’ troppa veemenza. La tutela dei bambini - valuta l’avvocato - viene prima di ogni cosa ma mi chiedo: si tutelano dei bambini piccoli se si mettono le manette al papà davanti ai loro occhi? È una tutela tenere in caserma un ragazzetto di 12 anni separato dalla madre che tra l’altro non era accusata di nulla? Per due giorni la moglie non sapeva più che fine avesse fatto il marito. Forse questo trattamento è un po’ sproporzionato anche se volessimo ipotizzare, e non è così, che gli schiaffi ci siano stati...”. Difende il suo consigliere anche Francesco Ventola, sindaco di Canosa e presidente della Provincia: “Giovanni Colasante è una bravissima persona, un ottimo padre di famiglia, lo considero un cittadino modello e l’accusa che gli viene rivolta ci lascia francamente sbigottiti. Sono certo che ne uscirà alla grande”. “Andrà bene semplicemente perché non ha fatto nulla. E vedo già una causa di risarcimento grossa come una casa”, preannuncia l’avvocato Patruno. “Ma prima facciamogli mettere piede in Italia”. Gran Bretagna: “rivoltoso” 11enne condannato a 18 mesi di “rieducazione” Adnkronos, 31 agosto 2011 È stato condannato a 18 mesi di rieducazione un ragazzino di appena 11 anni che ha partecipato alle rivolte nella città di Romford, in Gran Bretagna. Il giovanissimo, il cui nome non è stato reso noto proprio per la sua giovane età, è stato visto dagli agenti di polizia mentre prendeva un bidone dei rifiuti per lanciarlo contro le vetrine di un negozio di abbigliamento durante le violenze dello scorso 8 agosto. Insieme al gruppo di cui faceva parte hanno provocato danni per circa 6 mila sterline. Secondo Scotland Yard l’11enne è il rivoltoso più giovane che viene condannato per vandalismo. “Se tu fossi un pochino più grande finiresti in carcere - lo ha ammonito il giudice distrettuale John Woollard. Ora le autorità dovranno decidere dove il ragazzo dovrà vivere per i prossimi sei mesi. Chiamata tecnicamente ordine di rieducazione, la sentenza speciale applicata ai minori prevede una serie di limitazioni e controlli. Sudafrica: progetto pilota per detenute-madri, scontano la pena fuori dal carcere Agi, 31 agosto 2011 Il Sud Africa ha inaugurato un progetto pilota che permette alle detenute con figli con 2 anni d’età di poter scontare la pena fuori dal carcere. Il nuovo esperimento è stato avviato a Città del Capo, dove è stato realizzato, in un luogo vicino alla prigione di Pollsmoor, un edifico dotato di asilo nido e un centro sanitario, e in grado di ospitare 15 donne. In una conferenza stampa di presentazione della nuova iniziativa, il ministro per gli Istituti di detenzione e pena, signora Nisiviwe Mapisa-Nqakula, ha sostenuto la necessità di “garantire ai neonati e all’infanzia condizioni di vita decorose” e ha ammonito che la nuova struttura “non è tuttavia un albergo, in quanto è comunque sorvegliata”. L’esponente del governo ha assicurato che “prossimamente” saranno aperte strutture analoghe in tutto il Paese. Russia: per Khodorkovsky due richiami da guardie carcerarie, libertà vigilata più difficile Asca, 31 agosto 2011 Mikhail Khodorkovsky, ex petroliere russo in carcere, ha ricevuto due richiami nel mese di agosto dalle guardie carcerarie, due episodi che potrebbero ostacolare l’iter della domanda di libertà vigilata avanzata dall’ex numero uno di Yukos. L’avvocato di Khodorkovsky, che dovrebbe tornare in libertà nel 2016, Vadim Klyuvgant ha detto che il suo assistito ha ricevuto i richiami per aver regalato un pacchetto di sigarette al suo compagno di cella e per aver atteso le istruzioni di un saldatore, che si era allontanato dal suo banco di lavoro, all’interno dell’officina, un luogo secondo l’amministrazione penitenziaria “inadeguato”. Secondo Klyuvgant i due richiami possono compromettere la libertà vigilata per Khodorkovsky Khodorkovsky sta scontando una pena di 13 anni di carcere per frode, evasione fiscale e furto di petrolio in una prigione della Carelia, vicino al confine finlandese. L’ex socio di Khodorkovsky Platon Lebedev, anche lui in carcere con le stesse accuse, si è visto rifiutare la libertà vigilata dopo due richiami: aveva perso i pantaloni e le pantofole della sua divisa carceraria.