Giustizia: svuota-carceri bis e chiusura dei piccoli tribunali; misure all’insegna del risparmio Ansa, 30 agosto 2011 Affidare per delega al governo il compito di riscrivere la geografia giudiziaria in 9-12 mesi, tagliando e accorpando piccole procure, tribunali con meno di 15 giudici, sezioni distaccate di Tribunali, uffici non circondariali dei giudici di pace; prevedere l’innalzamento da un anno a un anno e sei mesi delle cosiddette misure svuota-carceri, vale a dire la possibilità per i condannati in via definitiva di scontare i restanti 18 mesi di pena non in carcere ma in detenzione domiciliare. Sono due misure che potrebbero entrare, con due distinti emendamenti, nella manovra, sempre che non vi sia un altolà politico, in particolare dalla Lega. I tecnici del ministero della Giustizia, infatti, sono al lavoro su una bozza di testo i cui capisaldi sono stati illustrati dal ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso di un colloquio al Quirinale, mercoledì scorso. La revisione delle circoscrizioni giudiziarie comporterebbe - secondo una stima del dicastero di Via Arenula - risparmi per circa 70-80 milioni di euro l’anno, il recupero di circa 5.700 dipendenti amministrativi da destinare ad altri uffici, di circa 500 magistrati (di cui poco meno di 150 requirenti) in servizio presso tribunali con meno di 15 giudici e procure, e di 996 toghe ora al lavoro in 220 sezioni distaccate di Tribunale di cui si ipotizza una sforbiciata che dovrebbe interessare anche 681 uffici non circondariali del giudici di pace. Determinato a portare a casa una riforma sempre ostacolata da localismi e campanilismi, Nitto Palma ha già incassato sul punto il placet dell’Associazione nazionale magistrati e un sostanziale via libera dal Capo dello Stato. I problemi potrebbero sorgere però a livello politico, all’interno della stessa maggioranza. E l’altolà della Lega rischia di levarsi anche per una seconda misura allo studio dei tecnici del ministero della Giustizia con l’obiettivo di andare incontro alla sollecitazione di Napolitano in favore di condizioni più umane nelle sovraffollate carceri italiane: Nitto Palma vorrebbe proporre l’innalzamento a 18 mesi (dagli attuali 12 mesi) della cosiddetta svuota-carceri, la norma che ad oggi ha consentito a 3001 persone di scontare la pena residua in detenzione domiciliare, dalla quale - ci tiene a ripetere il Guardasigilli - nessuno è evaso. Con sei mesi in più di bonus potrebbero beneficiarne altri 1.500-2.000 detenuti. Resta da vedere se finirà in un emendamento alla manovra oppure in un ddl ad hoc. L’emendamento allo studio sulla geografia giudiziaria sarebbe invece generica, per affidare al governo una revisione delle circoscrizioni, nel giro di 9-12 mesi, tenendo conto dei carichi di lavoro, delle incidenze geografiche, della presenza di criminalità organizzata, del numero dei reati e dei procedimenti pendenti. Giustizia: lo scandalo dei penitenziari “fantasma” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 30 agosto 2011 Sembra uno scherzo, ma non c’è davvero nulla da ridere, nulla di che scherzare. È un paradosso. Uno di quegli amarissimi paradossi in cui ci si imbatte quando ci si occupa di carcere, di detenuti, di legge, di giustizia. La situazione delle carceri - un collasso che non collassa mai, e lo si deve al senso di responsabilità di detenuti, agenti di custodia, operatori, volontari, comunità penitenziaria - è riassumibile in alcuni dati: 66.942 detenuti, al 31 luglio, spalmati in 207 istituti penitenziari che ne dovrebbero contenere 45.681. Lo scherzo che non è uno scherzo, il paradosso che non è un paradosso, è questo: secondo i dati raccolti dall’Associazione Detenuto Ignoto, ci sono almeno 40 “carceri fantasma”: da Ferrara a Reggio Calabria, da Pesaro a Monopoli, strutture costruite, talvolta già arredate, e poi lasciate lì, vuote e mai utilizzate. Un “dossier” che Rita Bernardini e gli altri deputati radicali hanno trasformato in interrogazione. Che, al pari di tantissime altre, attende risposta. Vediamo al dettaglio. A Reggio Calabria, il carcere di Arghillà: costruito ma non raggiungibile, per mancanza della strada di accesso. Ce n’è una, in mezzo alla campagna, ritenuta non idonea al trasporto dei detenuti. Pronto dal 2005, dotato dei più sofisticati sistemi di sorveglianza, costo complessivo intorno a 25 milioni di euro. L’ex Ministro della giustizia, Angelino Alfano, il 18 gennaio del 2010, in visita nella città, aveva assicurato il suo intervento presso il Dipartimento per l’organizzazione penitenziaria per sollecitare l’apertura della struttura. Ristrutturato e chiuso anche il carcere di Squillace. Carcere di Gela: cinquant’anni di lavori, ben due inaugurazioni: l’ultima nel 2007, con una cerimonia alla presenza dall’allora Ministro della giustizia Clemente Mastella. È costato oltre cinque milioni di euro, consegnato all’amministrazione penitenziaria nel 2009, è ancora inutilizzato, e il Comune paga per la sorveglianza. Carcere di Irsina, vicino Matera: costruito negli anni 80 con una spesa di oltre tre miliardi di lire; aperto per un anno, poi chiuso. Come del resto è accaduto in Puglia: il carcere di Minervino Murge, finito, non è mai entrato in funzione. A Monopoli la struttura, abbandonata da 30 anni, è occupata da un gruppo di cittadini sotto sfratto. Il carcere di Volturata Appula, vicino Foggia, è rimasto incompiuto; quello di Castelnuovo della Daunia, finito e arredato, non è mai stato aperto, come quelli di Bovino e Orsara. Chiuso, dopo essere stato inaugurato e aperto, il carcere campano di Gragnano, in provincia di Napoli. Pronto anche Morcone, in provincia di Benevento, mai messo in funzione. A San Valentino, in provincia di Pescara, c’è una struttura, completata nel 1994, mai aperta, in totale stato di abbandono: circondato da vegetazione incolta, gli abitanti della zona raccontano di avere visto pascolare capre e mucche. In provincia di Mantova, a Revere, i lavori fermi dal 2000; è una struttura da 90 posti, due milioni e mezzo di euro, incompleta, già saccheggiata. E in Emilia Romagna, nel ferrarese, è ancora chiuso il carcere di Codigoro, pronto all’uso già dal 2001. Tutto questo accade mentre nelle carceri in funzione (si fa per dire) si vive come sardine. Nel carcere di Trieste, segnala il direttore Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari, la capienza regolamentare è di 155, ma esiste anche una capienza ritenuta tollerabile (non si sa bene su quali parametri) che è di 190-200 detenuti. “Un dato non proponibile”, dice Sbriglia. “Esiste un equivoco di fondo, se non proprio una vera e propria stortura. Se si va in cinque in una automobile immatricolata per quattro, si viene sanzionati: il principio dovrebbe valere anche per le carceri”. Tutte le carceri del Friuli Venezia Giulia, Trieste, Udine, Pordenone e Tolmezzo, sono sovraffollate, e hanno superato ampiamente il limite regolamentare e quello tollerabile, eccetto Gorizia. Già, Gorizia: ha meno detenuti rispetto la capienza, solo perché il carcere è pericolante, fatiscente. Non c’è solo il sovraffollamento. Ormai la crisi, il collasso, investe anche il “quotidiano”, il minimo essenziale. Quasi ottocento confezioni di carta igienica, oltre un migliaio tra spazzolini da denti e saponi per l’igiene personale, oltre seicento dentifrici sono stati regalati dall’Unicoop Tirreno al carcere delle Sughere, a Livorno, per fronteggiare l’emergenza più volte denunciata negli ultimi mesi dal garante dei detenuti Marco Solimano. “Tante volte”, dice Solimano “abbiamo detto del sovraffollamento inaccettabile per un qualsiasi Paese civile. In più c’è il completo abbandono da parte del Ministero che da più di un anno non rifornisce i magazzini con i prodotti per l’igiene. Questo è un aiuto concreto, ma anche una testimonianza simbolica che vuole richiamare le istituzioni al loro compito”. Che fare? “Si ricorra in modo più massiccio a misure alternative alla detenzione”, suggerisce il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti. Bisogna anzitutto “ripensare alle misure alternative alla detenzione e rimodularne i presupposti, non scaricandone la responsabilità solo sui magistrati di sorveglianza ma fornendo delle precise linee guida”. Si suggerisce poi “una moratoria generale sulla introduzione di nuovi reati…abbiamo un sistema sanzionatorio penale molto farraginoso e pesante, che finisce per intasare completamente il sistema processuale. Continuare a moltiplicare i reati come ad esempio ora per quanto riguarda il cosiddetto omicidio stradale, vuol dire diminuire le possibilità di arrivare a effettive condanne dei colpevoli. Non introduciamo più nuovi reati in un arco di tempo, ne abbiamo già a iosa”. Sempre Vietti si dice favorevole alla depenalizzazione dei reati minori e osserva che “introdurre il reato di immigrazione clandestina non è servito ad accelerare le espulsioni”. Già, ma questo può riguardare le condizioni di vita dei detenuti. Il problema però è costituito dalle centinaia di migliaia di fascicoli e provvedimenti che piombano sulle scrivanie dei magistrati; migliaia di processi che inevitabilmente finiscono con l’essere prescritti. È una lotteria quella della prescrizione; ma chi ha un buon avvocato, con buone amicizie e conoscenze ha qualche possibilità in più di incassare il biglietto vincente. Si chiama prescrizione, cioè amnistia, di classe e di massa. I primi a dolersene e a ribellarsi dovrebbero essere i magistrati; i quali, al contrario, quando va bene, tacciono. A cosa di deve questo loro silenzio, questa apparente, ostentata indifferenza? Giustizia: Ugl; dopo caso Gela apertura nuove carceri e rinforzo del personale Ansa, 30 agosto 2011 È “giusta l’apertura di nuove case circondariali e, ancora più nello specifico, di quella di Gela per dare una boccata d’ossigeno a tutti quegli Istituti saturi e invivibili e, soprattutto, per permettere agli agenti di polizia penitenziaria di poter svolgere il proprio lavoro con dignità e senza dover quotidianamente rispondere a disagi ed ostacoli di ogni genere”. Lo afferma il segretario nazionale Ugl polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, commentando, con una nota, il caso del carcere di Gela. “Se realmente i lavori di messa in sicurezza ed agibilità che hanno interessato la struttura siciliana sono terminati, ormai da tempo, inutile, a parer nostro, temporeggiare”. “Per combattere la piaga del sovraffollamento - continua Moretti - giusto aprire le strutture di nuova costruzione per ridurre il disagio, tenendo per conto della carenza d’organico, un problema che ostacola, e non poco, il lavoro degli Polizia Penitenziaria e che, come nel caso del carcere di Augusta, in Sicilia, li spinge a turni e carichi di lavoro estenuanti”. Per il sindacalista “ogni nuova apertura pone con forza il problema della carenza organica perché - conclude - se è vero che sono in molti gli agenti che ambiscono ad essere trasferiti a Gela, stante la generale situazione di carenza, ci creerebbe un maggiore depauperamento di quelle sedi penitenziarie già fortemente sotto organico”. L’Ugl propone pertanto di arruolare il personale necessario all’apertura delle nuove strutture oppure di procedere contestualmente alla dismissione di quelle carceri oggi agibili solo su deroghe alle norme sulla sicurezza e salubrità dei luoghi detentivi e di lavoro”. Molise: condizione drammatica nelle carceri; proposta di legge per Garante dei detenuti Asca, 30 agosto 2011 Il tema della condizione carceraria è attualmente uno dei più discussi a livello politico in Italia. Nei 207 istituti di pena Italiani sono presenti 66.942 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 45.681 unità. Ad accendere i riflettori sulla condizione penitenziaria è Giuditta Lembo. “Dati già preoccupanti emersero nell’ambito della prima Conferenza Internazionale “le Politiche per la Cooperazione e la Sicurezza nell’Area Adriatica”, tenutasi il 17 e 18 gennaio 2011, a Campobasso, dai cui lavori risultò che oltre il 30 per cento dei detenuti nelle carceri italiane è straniero, e quasi un terzo di questi è di origine balcanica. Nei 208 istituti di pena, infatti, sono presenti 24.954 detenuti stranieri, di cui 7.158 di nazionalità balcanica (Albania, Bosnia e Erzegovina, Croazia, Grecia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia e Bulgaria). Tali dati evidenziano quindi una situazione particolarmente difficile , che necessita di essere risolta al più presto. Assicurare condizioni di vita adeguate ai detenuti, rispettose dei diritti costituzionalmente garantiti, creare strutture più confortevoli e in grado di ripianare il gap tra il numero di carcerati e la capienza effettiva, individuare personale in grado di gestire la moltitudine di persone e di culture presenti negli istituti, sono infatti elementi necessari per consentire che le finalità di carattere rieducativo della pena siano effettivamente raggiunte. A tal fine, il Comitato Scientifico Pro-Adria, attraverso il suo Presidente, Dott. Rosario Priore, e la Consigliera di Parità della Regione Molise, Giuditta Lembo, a breve presenteranno al Presidente della Regione Molise, Sen. Michele Iorio, una proposta di legge, già strutturata, finalizzata alla introduzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti. Questi svolge funzioni importantissime, tra cui: ricevere segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati; chiedere all’Autorità competente chiarimenti o spiegazioni nel momento in cui vengono violati diritti fondamentali; sollecitare gli adempimenti o le azioni necessarie da attuarsi all’interno degli istituti. Il suo operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quello degli organi di Ispezione Amministrativa interna e della stessa Magistratura di Sorveglianza. Il garante può effettuare colloqui direttamente con i detenuti e può visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario (novellati dalla legge n. 14/2009). Una figura, dunque, attraverso la quale il singolo detenuto potrà dare voce ai suoi diritti. L’auspicio è quello che tale proposta di legge possa essere approvata nel più breve tempo possibile. Potrebbe essere questo il primo passo per dimostrare l’attenzione e la sensibilità della Regione Molise verso tale scottante tema”. Campania: Lisiapp; l’emergenza carceri è reale, ma niente regali come l’amnistia www.informazione.it, 30 agosto 2011 Carceri di fine agosto. Record storico del sovraffollamento, quasi 68 mila detenuti e circa 39 suicidi dall’ inizio dell’ anno tra le file dei detenuti. A centinaia sono stati salvati un attimo prima che fosse troppo tardi grazie all’intervento degli agenti di polizia penitenziaria. Ad affermarlo, in una nota a margine di un incontro sulla situazione emergenziale degli istituti della Campania, è Luca Santin, segretario nazionale Lisiapp (Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria) che sottolinea il sovraffollamento e riduzione di fondi hanno un budget soltanto 3,15 euro a disposizione per il vitto giornaliero. Meno della metà di pochi anni fa per ciascun detenuto. Nell’ ultimo anno 9 mila reclusi in più e mille agenti in meno. Organici sotto di 6 mila unità. La Campania vicino al cento per cento di sovraffollamento. In Campania sono 8.061 i detenuti reclusi su una capienza totale di 5.593 di cui 352 donne e 979 stranieri. 4298 il totale degli imputati, 3.341 condannati in via definitiva, 1899 tra condannati in primo e in secondo grado e 2.399 quelli in attesa di primo giudizio. Ma, continua il Segretario nazionale Lisiapp , vediamo nel dettaglio alcuni dati che riguardano gli istituti penitenziari più importanti in Campania, provincia per provincia. L’istituto di Bellizzi Irpino ospita 529 detenuti su una capienza di 407. Non va meglio per Benevento, dove, presso il Carcere di Capodimonte, attualmente ci sono 417 reclusi a fronte dei 277 ospitabili. Salgono di molto i numeri a Santa Maria Capua Vetere dove sono 921 i presenti su una capienza di 547. Male anche per Poggioreale dove i detenuti ospitati sono 2763 ma dovrebbero essere solo 1.679. Infine, altro carcere campano che vive il fenomeno del sovraffollamento è quello di Secondigliano dove attualmente sono 1.395 i detenuti che vi risiedono a fronte di una capienza pari a 988. La preoccupazione per questo stato di cose - rimarca Santin - si ripercuote sistematicamente sull’operato della polizia penitenziaria chiamata a svolgere un compito gravoso, fronteggiare l’emergenza carceri in prima linea. A ciò molti poliziotti sono oggetti di numerose aggressioni . Continua ancora Santin - negli istituti si tiene aperta la porta delle celle per includere corridoi e aree comuni nella metratura “pro capite” e non incorrere nelle sanzioni di Strasburgo per maltrattamenti. Altre carceri esistenti restano chiuse per mancanza di personale. Inoltre si resta nelle carceri fino alla fine della pena, con piani di reinserimento sociale sempre più rarefatti, una volta liberi si commettono nuovi reati, e si ritorna di più in carcere. Occorre allora partire dalla crisi del sistema per scelte semplici e coraggiose. Escluso il provvedimento dell’amnistia o indulto dove la nostra organizzazione sindacale si batte contro tale regalo a chi ha commesso reati e, che metterebbe in giro la maggior parte dei delinquenti e alimenterebbe la microcriminalità nelle nostre città, bisogna pensare ad un programma di depenalizzazione e introduzione di misure alternative e socialmente utili per reati che non mettono a rischio la collettività e che non necessitano della reclusione, come pure per i reati lievi che rischiano, con il carcere, di rendere abituale la consuetudine e la familiarità con comportamenti devianti. Introduzione dell’idea di “risarcimento sociale” all’interno del processo e del patteggiamento, evitando di ridurre la sanzione alla sola pena detentiva e al “dopo processo”, anticipando così la riabilitazione già nella fase processuale, creando una convergenza di interessi tra offeso e autore dell’offesa. Utilizzo e rafforzamento della Cassa delle ammende conclude Santin (che si autoalimenta) per la riabilitazione e il reinserimento sociale e non come palliativo per interventi edilizi nelle prigioni esistenti. Como: ispezione a sorpresa dei Radicali; affollamento, carenza igieniche e scarsità cibo Redattore Sociale, 30 agosto 2011 Visita a sorpresa dei Radicali e delle associazioni. Il problema non è il sovraffollamento, ma “i muri sono scrostati e i soffitti delle docce sono pieni di muffa”. Mancano circa 60 agenti di polizia penitenziaria per completare la squadra “Carenza di cibo” nella casa di reclusione di Como. A riportare l’accorata lamentela dei prigionieri è di nuovo l’equipe formata da Valerio Federico (Comitato dei Radicali italiani), Roberto Sartori (associazione Exodus), Marco Beltrandi (deputato radicale), e da Sergio Besi (associazione Luca Coscioni), che dopo il sopralluogo al carcere di Busto Arsizio, avvenuto nel mattino di ieri 29 agosto, hanno raggiunto nel pomeriggio quello comasco, di nuovo senza preavviso. Qui, a detta dei detenuti, il vitto spesso si riduce a un solo piatto di portata per pasto. Meno affollamento ma strutture più fatiscenti: è l’istantanea scattata dagli ispettori. “Non ci sono più di 3 detenuti per ogni cella, che misura circa 10 mq”, evidenzia Valerio Federico. Ma “i muri sono scrostati - continua - e i soffitti delle docce sono pieni di muffa”. E poi la nota del deputato Beltrandi: “Si fa il turno per stare in piedi e l’angolo cottura è subito adiacente alla turca”. L’ultimo dato: “Mancano circa 60 agenti di polizia penitenziaria per completare la squadra - afferma Beltrandi. Di notte, ne rimarrebbero soltanto 9 per sorvegliare circa 500 detenuti”, conclude il parlamentare. Anche a Como, gli ispettori hanno sollecitato la direzione del carcere a fronteggiare quanto prima i problemi in cui versa la struttura, promuovendo i diritti dei reclusi. I risultati delle due ispezioni, a Busto Arsizio e a Como, verranno raccolti e pubblicati sull’anagrafe delle carceri dei Radicali. Busto Arsizio: ispezione a sorpresa dei Radicali; il carcere scoppia, detenuti in 2 mq spazio Redattore Sociale, 30 agosto 2011 I Radicali e Exodus visitano l’istituto di Busto Arsizio: 424 detenuti in una struttura che prevede al massimo 167 posti. Igiene precaria a causa del sovraffollamento, personale sotto organico di quasi 80 unità. Le soluzioni: “Amnistia e indulto” Nel carcere di Busto Arsizio (Va) le celle scoppiano e i diritti umani saltano. È la denuncia lanciata da Valerio Federico, membro del Comitato dei Radicali italiani, Roberto Sartori, responsabile della sede gallaratese dell’associazione Exodus, Marco Beltrandi, deputato radicale e Sergio Besi dell’associazione Luca Coscioni, che il 29 agosto hanno eseguito un’ispezione a sorpresa nell’istituto. “I reclusi sono 424, 357 in più rispetto al numero dei posti previsti”, dichiara Sartori di Exodus, che da ormai 11 anni opera nella struttura attraverso progetti di reinserimento socio-lavorativo e avviando alla comunità i detenuti tossicodipendenti. In Italia, la casa di reclusione di Busto Arsizio si attesta al secondo posto per sovraffollamento, dopo quella di Lamezia Terme. La superficie calpestabile garantita a ciascun detenuto è di massimo 2 mq. E poi, in soli 18 mq si possono trovare fino a 7 letti. “Una situazione al limite dell’umano”, sbotta Sartori. Di qui, la sua domanda è di rigore: “Come si fa a pretendere l’evoluzione di queste persone senza rispettare i loro diritti fondamentali?”. Scandalosa anche la sezione dell’infermeria, con 7 celle per una ventina di detenuti. L’allarme di Valerio Federico del Comitato dei Radicali: “I carcerati malati rimangono in cella 23 ore al giorno”. Agli altri, invece, sono concesse dalle 3 alle 4 ore d’aria in inverno, mentre dalle 4 ore alle 5 ore in estate. “Si tratta di una condizione di tortura -rimarca Federico: secondo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura devono essere concesse almeno 8 ore quotidiane di svago”. La tortura è anche legata alla dimensione ridicola delle celle di tutto l’istituto. Tutto ciò comporta una violazione dei diritti della Carta europea dei diritti dell’uomo ma anche una mancata osservanza delle sentenze emesse dalla Corte comunitaria, “che -ricorda Federico- ha richiesto al nostro Paese di rispettare il vincolo dei 3 mq a testa (mentre il Comitato anti-tortura prevede 8 mq, ndr)”. Dietro alle sbarre, anche quattro minori di età diversa, a fianco delle proprie madri. “Visto che dormono tutti nello stesso stanzone, è difficile tutelare il diritto al riposo di ciascuno e i disagi sono molti”, dichiara Valerio Federico. Ad aggravare il quadro un livello di igiene alquanto precario. “Essendo l’acqua calda scarsa è possibile fare la doccia soltanto ogni due giorni”, fa notare Sartori. E poi mancano i detersivi e gli strumenti per la pulizia degli ambienti. “L’amministrazione non ha soldi - continua il responsabile di Exodus: la spesa del materiale ricade sui detenuti, che il più delle volte però non possono permetterselo”. L’elenco dei disagi prosegue. Metal detector e apparecchi per le radiografie sono inagibili perchè da riparare, mentre il reparto destinato alle persone disabili è pronto da 5 anni ma non è ancora stato attivato. Il campo da calcio, invece, rischia di essere sacrificato per la costruzione di un nuovo padiglione volto a decongestionare l’eccesso di presenze. “Nessuna offerta di lavori esterni”, lamenta il deputato radicale Marco Beltrandi. “In più, gli educatori sono pochi e sono sempre di meno i magistrati di sorveglianza che riconoscono i benefici ai detenuti con buona condotta , secondo i dettami della legge Gozzini”. Ultimo, ma non meno grave, il problema della penuria del personale di polizia penitenziaria: all’appello, infatti, mancherebbero quasi 80 unità. “Amnistia e indulto”: sono e soluzioni avanzate da Radicali ed Exodus per ovviare alle drammatiche conseguenze che il sovraffollamento carcerario comporta: sia in termini di violazione dei diritti umani, che in termini di appesantimento della burocrazia giudiziaria. Infine, una lista di domande stilata da Exodus che il parlamentare Beltrandi ha consegnato personalmente al vice-comandante della polizia penitenziaria dell’istituto, in assenza della direttrice Caterina Ciampoli. In attesa della prossima verifica, gli ispettori sollecitano il carcere di Busto Arsizio a fare il punto sulla cura della salute, sull’igiene ambientale e personale, sul lavoro, sull’area trattamentale e, infine, sui percorsi psicofisici. Busto Arsizio: non solo problemi per il carcere, ma anche i laboratori di “Dolci libertà” Redattore Sociale, 30 agosto 2011 C’è una realtà che non figura nel bilancio dell’indagine svolta da Radicali e da Exodus. È “Dolci libertà”, società che coinvolge una trentina di detenuti all’interno del carcere per la produzione di cioccolatini e di biscotti da pasticceria C’è una realtà che non figura nel bilancio dell’indagine svolta da Radicali e da Exodus nel carcere di Busto Arsizio, in provincia di Varese. È “Dolci libertà”, la società che dall’anno scorso coinvolge una trentina di detenuti all’interno del carcere di Busto Arsizio per la produzione di cioccolatini e di biscotti da pasticceria. “Non ci hanno considerati per il tour esplorativo e nemmeno sono venuti a vedere gli spazi dove lavoriamo”, dice Michele Gentile, il responsabile di produzione e di formazione. “La nostra attività produttiva non ha mai incontrato difficoltà e abbiamo sempre avuto la massima collaborazione da parte delle autorità dell’istituto”, ammette Gentile. La sua è una voce fuori dal coro, che testimonia un’esperienza positiva sia per chi decide di parteciparvi sia dal punto di vista della produzione. “Realizziamo dai 500 ai 600 Kg di cioccolato al giorno, e una quantità quotidiana di biscotti pari a 150/200 Kg”, sottolinea Gentile, che aggiunge: “I dolci si vendono sia all’interno delle mura carcerarie che all’esterno. Il periodo di formazione al mestiere dura tre mesi per 8 ore al giorno, tra teoria e pratica. Di 8 ore è anche il turno lavorativo quotidiano”. Ma l’attività di “Dolci libertà” non si risolve tutta qui. In totale i corsi attivati sono 6, fra alfabetizzazione informatica, contabilità e marketing allo scopo di “portare fuori le loro competenze per iniziare, magari, un percorso lavorativo anche in proprio”. L’unica difficoltà riscontrata dalla società è di tipo linguistico: “Il 70% dei detenuti è straniero: ecco perché abbiamo sentito il bisogno di organizzare anche corsi di lingua italiana”, conclude Gentile. Per informazioni, www.dolciliberta.com. Udine: sarà una donna il nuovo direttore del carcere di via Spalato Messaggero Veneto, 30 agosto 2011 Da domani il dottor Francesco Macrì, dopo 29 anni ininterrotti (un record per funzioni di questo tipo), lascerà la direzione del carcere udinese di via Spalato per raggiunti limiti di età. Al suo posto arriverà, come direttore reggente fino al 10 settembre (in attesa della nomina definitiva da parte del ministero della Giustizia), la dottoressa Irene Iannucci. È la prima donna che assumerà questo incarico a Udine. La funzionaria del dipartimento, udinese, è stata vice direttore in via Spalato per quasi 15 anni, dal 1994 al 2009, per poi assumere incarichi direttivi prima a Vicenza e poi a Venezia, al penitenziario di Santa Maria Maggiore, da dove proviene. Intanto ieri il direttore Macrì è stato ricevuto dal sindaco Furio Honsell e da alcuni assessori per un saluto ufficiale di commiato. “Da parte mia e di tutta la città di Udine un sentito ringraziamento per il suo lavoro, la sua umanità, la serenità e professionalità del suo operato in questi 29 anni di onorata carriera”. Queste le parole pronunciate dal sindaco Honsell, al direttore della Casa circondariale Francesco Macrì, che è in procinto di lasciare il suo incarico per la pensione. Il primo cittadino a palazzo D’Aronco ha voluto personalmente salutare Macrì, donandogli una stampa di un’incisione del Tiepolo. “Un piccolo ricordo della città - spiega Honsell - per tutto il prezioso lavoro che il direttore ha svolto in questi anni e per la sua disponibilità a intraprendere delle iniziative rivolte ai detenuti organizzate insieme con il Comune”. E infatti, a portare i saluti a Macrì c’erano anche gli assessori e i dirigenti che, insieme con la Casa circondariale, hanno avviato numerosi progetti nel corso degli anni. Oltre al vicepresidente del Consiglio comunale, Franco Della Rossa, che conosce il direttore da molto tempo, c’erano gli assessori ai Servizi sociali Antonio Corrias, all’Istruzione e diritti di cittadinanza Kristian Franzil e alla Cultura Luigi Reitani, insieme con i dirigenti che hanno seguito i progetti, Romano Vecchiet per la biblioteca civica “Joppi” e Maria Teresa Agosti per i Servizi sociali. Tra le diverse iniziative o protocolli d’intesa tra Comune e carcere in questi anni, infatti, si può ricordare il progetto “Liberarsi”, per la definizione di percorsi di reinserimento e inclusione sociale degli ex detenuti, o quello messo in campo con la “Joppi” per il prestito di libri all’interno del carcere di Udine. Lecce: detenuto celiaco ottiene cibi senza glutine, solo dopo intervento Associazione e Asl di Daniele Greco Gazzetta del Mezzogiorno, 30 agosto 2011 Dopo dieci giorni di autentico calvario, un detenuto celiaco foggiano rinchiuso nel carcere di Borgo San Nicola, si è visto riconoscere il “diritto” di poter mangiare prodotti senza glutine. Ma c’è voluto l’intervento della sezione regionale dell’associazione italiana celiachia, alla quale la madre del recluso si era rivolta dopo i continui appelli (suoi e del figlio) alla direzione del carcere. Su segnalazione del tesoriere regionale Fernando Mercuri, la sede regionale dell’associazione guidata da Michele Calabrese ha affrontato il problema di petto, anche perché il detenuto alcuni giorni dopo aver assunto alimenti non destinati agli intolleranti, pare abbia accusato diarrea, nausea ed uno stato generale fisico alquanto compromesso. L’Associazione celiachia definisce “burocratici” i motivi che hanno portato alla mancata somministrazione al detenuto dei prodotti liberi da glutine, prova ne sia che è bastato un breve giro di telefonate tra il presidente dell’Aic ed il direttore del carcere di Borgo San Nicola ed il responsabile dell’area farmaceutica del distretto sanitario di Lecce (raggiunto addirittura al cellulare in spiaggia), per risolvere in poco meno di due ore una vicenda che invece si stava trascinando da alcuni giorni. L’Asl di Lecce, con un iter urgente, ha quindi deliberato l’approvvigionamento dei prodotti senza glutine per il detenuto, provvedendo a rifornire la cucina di Borgo San Nicola di prodotti per celiaci. Campobasso: continua la protesta dei detenuti, la “battitura” è durata un’ora Ansa, 30 agosto 2011 I detenuti del carcere di Campobasso, hanno battuto per circa un’ora utensili ed altri oggetti contro le grate metalliche delle loro celle. Un rumore infernale accompagnato da fischi e urla che ha attirato l’attenzione dei passanti e degli automobilisti che a quell’ora transitavano lungo le strade adiacenti il penitenziario. La protesta va avanti ormai da un paio di mesi, anche se negli ultimi giorni le manifestazioni dei detenuti sono diventate più frequenti. I carcerati lo avevano annunciato nei giorni scorsi che avrebbero messo in atto una forma di protesta civile e non violenta per denunciare la situazione del penitenziario molisano che - come hanno scritto in una lettera - “è ormai al limite”. Diversi i problemi denunciati, soprattutto il sovraffollamento, problema diffuso in quasi tutti gli istituti di pena italiani. Secondo i dati forniti dagli stessi detenuti un terzo dei reclusi non potrebbe essere ospitato nella struttura di via Cavour, un edificio vecchio e con tutte le problematiche presenti in stabili antichi che ospitano carcerati. Problemi sono stati denunciati anche sul piano sanitario. La protesta è destinata a continuare anche nei prossimi giorni. Intanto Italo Di Sabato ha espresso la sua solidarietà ai detenuti ed ha ribadito che, a suo avviso, le carceri, in Italia “sono fuorilegge, vivono in uno stato di illegittimità assoluta. Le campagne per l’amnistia e il miglioramento delle condizioni detentive, il ritorno alla concezione del carcere come strumento di ultima istanza e l’intensificazione di pene non detentive sono un terreno reale di alternativa. Così come - aggiunge - è fondamentale, sul piano normativo, abolire la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, i vari “Pacchetti Maroni”. Il governo ha saputo solo mostrare il suo volto giustizialista, feroce con i deboli e i migranti, dolce e connivente con i potenti che delinquono.” Bari: Sappe; falsa la notizia di un caso di Tbc tra i detenuti dell’Ipm “Fornelli” Il Velino, 30 agosto 2011 Grande preoccupazione e sgomento ha provocato tra i detenuti ed il personale di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere minorile di Bari, la diffusione di una notizia falsa (da parte dell’organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) che parlava di casi di Tbc (tubercolosi) accertati tra la popolazione detenuta. Il sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) molto preoccupato per queste diffusioni false, “stigmatizza il comportamento irresponsabile e scorretto posto in essere da taluni sindacati che spargono benzina in una situazione penitenziaria che rischia di esplodere in qualsiasi momento. Diffondere notizie false, oltreché delegittimare chi le pubblicizza - continua il Sappe - non aiuta la prevenzione poiché gli interventi affinché ci siano i controlli previsti debbono essere indirizzati alle competenti autorità sanitarie. Il Sappe prende atto che finalmente taluni sindacati che avevano salutato il passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica come una panacea che avrebbe migliorato l’assistenza sanitaria nelle carceri, ora si stanno ricredendo, forse sull’onda della carenza dei servizi che vengono assicurati nelle carceri che mettono rischio la salute dei detenuti e l’incolumità del personale di polizia penitenziaria. Sarebbe opportuno che certi sindacalisti si rendessero conto della pericolosità delle affermazioni riportate alla stampa poiché l’effetto sui detenuti e sul personale di polizia penitenziaria sarebbero dirompenti”, conclude il Sappe. Livorno: il governo vuole chiudere il carcere di Gorgona? www.greenreport.it, 30 agosto 2011 Il ministero della giustizia, lo stesso che nel 2010 voleva riaprire i carceri di Pianosa e dell’Asinara, a pochi mesi di distanza vuole chiudere l’ultimo carcere dell’Arcipelago Toscano perché costa troppo, almeno a leggere il notiziario dell’Alleanza sindacale Polizia penitenziaria, che riporta l’ipotesi venuta fuori qualche giorno fa in un’intervista al regista Paolo Virzì sul Tirreno: “Mentre le carceri italiane scoppiano, alla Gorgona il penitenziario funzione bene, come ha scritto il regista Paolo Virzì sul Tirreno dopo una visita all’isola: i detenuti lavorano all’aperto, coltivano la terra e allevano animali. Eppure è già pronta la pratica di chiusura. Il carcere costa troppo. Ma basterebbe - suggerisce Virzì - vendere i prodotti agroalimentari prodotti sull’isola perché il carcere si mantenesse da solo, creando anche ricchezza”. È già partito un appello, “il carcere chiude, riprendiamoci Gorgona!” che non sprizza certo simpatia per l’esperienza carceraria dell’isola, che fa parte interamente parte del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano a terra e per gran parte a mare, salvo un corridoio di accesso. Nell’appello anti-carcere di “Gorgona libera”, che fornisce come riferimento il nome di Brindisi Antonio, si legge: “Appello a tutti i gorgonesi di oggi e di allora: forse, finalmente, il carcere di Gorgona chiuderà i battenti. Ma tanti pericoli potrebbero nascondersi dietro questa chiusura, forse maggiori di quelli attuali, per la sopravvivenza del paese e degli abitanti, se non si saprà gestire il dopo carcere. Tante altre esperienze simili lo insegnano. Non si conoscono ancora i dettagli. ma un procedimento ufficiale del ministero di Giustizia dovrebbe essere già in atto. Si metterebbe fine, così, ad anni di sprechi e di falsità, in nome di un “carcere modello” che non è mai esistito e che ha ucciso la comunità civile. I gorgonesi, però, se non vogliono veder ridurre la loro isola a terra di nessuno, devono mobilitarsi da subito per tornare, abitare, organizzarsi per una vita civile sull’isola. Gli sciacalli e i profittatori non saranno ammessi. Come Comitato Abitanti Isola di Gorgona siamo pronti a raccogliere intorno a noi la possibilità di un primo nucleo che possa iniziare una nuova vita per Gorgona. Serve subito intervenire presso le diverse autorità ed enti affinché venga garantita concretamente la permanenza sull’isola degli abitanti e venga restituito il territorio ai cittadini. Ci vogliono garanzie per luce, acqua e beni di prima necessità”. E poi: “Vanno determinati compiti operativi di manutenzione e pulizia, assicurati i collegamenti, individuate le priorità”. Agli infiammati organizzatori del comitato, proprio come successe a Pianosa con la chiusura del carcere nel 1997, non sembra nemmeno passare per la mente che la più piccola isola dell’Arcipelago Toscano è territorio di un Parco nazionale, che ha un proprio Piano approvato dal Comune di Livorno di cui Gorgona fa parte e che l’isola è protetta anche dalle direttive habitat ed uccelli dell’Unione europea. Ogni cambio di destinazione d’uso, ogni nuova attività od occupazione dovranno tener conto di quelle regole e di quei vincoli e forzarli, come insegna la storia di isole più grandi, non è proprio possibile se non con la concertazione tra le istituzioni. Forse le cose sono molto più complicate di come i liberatori di Gorgona credono o vogliono far credere. Il Comitato dei gorgonesi Gli abitanti dell’isola di Gorgona hanno sempre contato sulla presenza del carcere, ma ora che il penitenziario potrebbe avviarsi alla chiusura, si interrogano sul loro futuro e su quello dell’isola. “I gorgonesi se non vogliono veder ridurre la loro isola a terra di nessuno, devono mobilitarsi da subito per tornare, abitare ed organizzare una vita civile sull’isola”, è l’appello di alcuni abitanti di Gorgona, l’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano (è larga due chilometri e lunga tre), di fronte a Livorno (ne dista 18 miglia) di cui è frazione. Il carcere-modello, dove i detenuti lavorano all’aperto, coltivano la terra, allevano animali e pescano, per decisione del ministero della Giustizia potrebbe andarsene - scrivono gli abitanti - dopo 142 anni di convivenza tra la colonia penale e l’isola. “Tanti pericoli - scrive il comitato Abitanti Isola di Gorgona - potrebbero nascondersi dietro questa chiusura, forse maggiori di quelli attuali, per la sopravvivenza del paese e degli abitanti, se non si saprà gestire il dopo-carcere”. Sull’isola, che fa parte del Parco dell’Arcipelago Toscano e il cui nome (dal greco) vuol dire sirena poiché il suo profilo ricorda il volto di una donna che affiora dall’acqua, vive poco più di un centinaio di persone, tra abitanti, detenuti e agenti della polizia penitenziaria. L’accesso è sottoposto a rigidi controlli e dal primo gennaio non fa neppure più scalo il traghetto della Toremar. Bari: inferriate divelte e “lenzuolo” pronto, sventata l’evasione di un ergastolano Ansa, 30 agosto 2011 L’uomo, condannato per omicidio, aveva già demolito la base in cemento della finestra e preparato la fodera del materasso per calarsi dalla finestra. Sventata nel carcere di Bari l’evasione pianificata da un “pericolosissimo” detenuto calabrese di circa 36 anni, condannato all’ergastolo per omicidio e altri reati. L’uomo, dopo aver divelto una staffa in ferro che regge il termosifone, l’ha usata per demolire la base in cemento (che aveva bagnato) dell’inferriata della finestra. Inoltre, aveva già preparato la fodera del materasso per calarsi dalla finestra. L’intenzione del detenuto era quella di togliere del tutto l’inferriata e fuggire durante la notte, scendendo da un’altezza di circa tre metri. Durante la perquisizione straordinaria nella sua cella, però, gli agenti si sono accorti del danno e hanno mandato all’aria il piano del malvivente. Lo ha reso noto il Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari, che elogia l’operato degli uomini nonostante le difficoltà e la “cronica carenza di personale”. Il Sappe ricorda che nel carcere di Bari sono detenute attualmente 550 persone a fronte dei 210 posti disponibili. Imperia: Sappe; nel carcere di Sanremo sovraffollamento e carenza organico Adnkronos, 30 agosto 2011 “Il carcere di Sanremo, che potrebbe ospitare 209 detenuti, allo stato attuale ha nuovamente toccato il numero dei 370 detenuti”. È quanto denuncia il Sappe Liguria, sindacato di polizia penitenziaria. Secondo il Sappe il carcere di Sanremo “dopo quello di Marassi di Genova è il più colpito da sovraffollamento, con una carenza di organico spaventosa, nei turni notturni restano a coprire la vigilanza interna non più di 8/10 unità contro le 13/14 di qualche anno fa”. Torino: detenuto finge un malore ed evade fuggendo dall’ospedale Ansa, 30 agosto 2011 Nel pomeriggio di oggi Gianni Schillaci, 32 anni abitante a Nizza Monferrato (Asti) e in carcere a Torino, è fuggito mentre era all’ospedale torinese Molinette per un visita medica. Schillaci, protagonista di diverse rapine e furti compiuti nell’astigiano, da qualche mese era detenuto alle Vallette dove doveva scontare otto anni di reclusione. Nei giorni scorsi aveva architettato la fuga. Denunciato un malore allo stomaco, tramite il medico della casa di pena, aveva ottenuto il permesso per un controllo ed esami medici presso l’ospedale. Oggi, in un momento di distrazione dell’agente di custodia, il recluso ha guadagnato la porta facendo perdere le sue tracce. Modica (Rg): Rita Bernardini visita la casa Circondariale e incontra il Sindaco Agi, 30 agosto 2011 Rita Bernardini, deputata della delegazione radicale nel Partito Democratico ha visitato stamani, accompagnata dal Sindaco, Antonello Buscema e dalla direttrice dr.ssa Giovanna Maltese, la casa circondariale di Modica. La parlamentare particolarmente attenta alle problematiche delle carceri ha riscontrato una buona qualità nelle condizioni di vita dei reclusi con i quali si è intrattenuta a parlare cordialmente ascoltando le loro problematiche e rilevando che nella quotidianità sussiste un rapporto diretto con la direzione delle carceri. Il Sindaco ha avuto modo di affrontare con l’on. Bernardini anche il problema della nuova casa circondariale della Città che come è noto, pur essendo stato individuato il sito non si riesce a far finanziare. Gli obiettivi da cogliere, secondo il primo cittadino, sono due: una nuova, funzionale e innovativa struttura carceraria e contestualmente la definitiva liberazione del Chiostro di Santa Maria del Gesù e della omonima Chiesa. Immigrazione: al Cie di Modena gli ex carcerati scontano una “pena supplementare” La Gazzetta di Modena, 30 agosto 2011 Hanno già scontato i reati commessi e poi finiscono nel Centro per una pena supplementare. Visita dell’On. Ghizzoni (Pd): “Tensione palpabile, influiscono i 18 mesi, si pensa per 24 ore al giorno a come scappare” Dopo le rivolte di agosto al Cie di Modena e i pestaggi denunciati dai detenuti, ieri il deputato del Pd Manuela Ghizzoni è andata a fare un’ispezione al centro di identificazione e di espulsione con il consigliere provinciale Fausto Cigni, Presidente della Consulta Immigrazione. Dopo la rivolta gli immigrati sono stati chiusi in due blocchi che saranno sottoposti a ristrutturazione. Attualmente i trattenuti sono 47 uomini. Come rilevato anche da una precedente visita, la stragrande maggioranza dei trattenuti è di nazionalità tunisina e viene dal carcere, dove ha già scontato una condanna. Il Cie si trasforma dunque in un supplemento di pena, sulla base della necessità di identificazione. Solo due persone su 47 sono nel centro da 6 mesi, gli altri sono detenuti da 1 o due mesi. “Da gennaio la tensione è palpabile - dice l’On. Ghizzoni - è del tutto evidente che influiscono negativamente la possibilità di restare al Cie per 18 mesi e la differenza di trattamento riservata a coloro che hanno beneficiato della “sanatoria” Maroni”. Secondo la parlamentare è proprio la struttura dei Cie a favorire le rivolte. “I trattenuti vivono una condizione di alienazione carceraria - dice - si pensa per 24 ore al giorno come scappare e con ogni mezzo. È l’obiettivo a cui dedicano le giornate e l’ultima rivolta è scattata usando solo le mani nude e la forza di volontà”. Ghizzoni formula alcune proposte, tra cui intensificare le visite in modo che non siano episodiche, realizzare dentro al Cie con il concorso delle associazioni di volontariato, uno “Sportello di informazione legale”, sull’esempio di quello presente in passato a Bologna e che sarà riattivato a breve. Su questa proposta c’è l’accordo dell’ente gestore. Infine secondo la parlamentare democratica serve “costituire un Tavolo o Osservatorio sul Cie, presso la Prefettura di Modena, che dovrebbe coinvolgere le istituzioni e il mondo dell’associazionismo modenese”. Vietnam: amnistiati 10mila detenuti, per la Festa dell’Indipendenza Ansa, 30 agosto 2011 Un decreto presidenziale ha salvato 10mila persone dalle carceri vietnamite. È quanto successo nel paese dell’est asiatico dove migliaia di detenuti che rappresentano però solo il 10% del totale della popolazione carceraria, sono stati amnistiati per volere del Capo dello Stato Truong Tin Sang. Il provvedimento arriva in occasione dei festeggiamenti per l’indipendenza del Vietnam che si festeggerà il prossimo 2 settembre. Fra le persone che beneficeranno del provvedimento ci saranno, tra gli altri, attivisti per i diritti umani e tre condannati per “attentato alla sicurezza nazionale”. Dopo i 5mila detenuti messi in libertà nel 2009 e i 17mila dello scorso anno, arriva dunque un altro atto di amnistia a svuotare le carceri vietnamite, dentro le quali, secondo l’agenzia Fides, sarebbero ancora rinchiusi “almeno 258 prigionieri politici e di coscienza”. L’allarme però è stato lanciato dal monsignore Paul Nguyen Thai Hop, presidente della commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale del Vietnam che ha sottolineato come il provvedimento coinvolga nella maggior parte dei casi persone che si trovano in carcere per reati “di sicurezza e non di coscienza”. Proprio così, perché nel Vietnam socialista è reato essere in disaccordo col regime, ai sensi del Codice Penale. I media, sia cartacei che televisivi senza parlare di quelli telematici, sono sottoposti ad una forte stretta, in un Paese nel quale non esiste libertà di culto o di pensiero. Le voci fuori dal coro sono mal viste dal Partito Comunista e, solo nel 2010, alcuni cyber dissidenti sono stati condannati a scontare nelle carceri vietnamite pene dai 5 ai 16 anni di reclusione. Ora, da quelle stesse carceri sono state liberate 10mila persone ma nei loro meandri, denunciano le associazioni per i diritti umani, i prigionieri sono trattati in condizioni disumane. Honduras: oggi ricorre il Giorno del Detenuto Scomparso Prensa Latina, 30 agosto 2011 Tra gli anni 80 e 90, la Dottrina di Sicurezza dello Stato sottovalutò la libertà e la vita degli esseri umani in Honduras. A centinaia, le persone sono scomparse, assassinate e torturate. Passò molto tempo fino a che, finalmente, nel Congresso Nazionale è stato approvato il decreto 284-2002 che ufficializza il Giorno Nazionale contro la Sparizione Forzata. Non è stato approvato per iniziativa propria dei legislatori e neanche col loro esatto intendimento, come normalmente succede nell’handicappata camera dei deputati honduregni. È stata la pressione diretta del Comitato dei Familiari dei Detenuti, Scomparsi in Honduras (Cofadeh) e delle organizzazioni sorelle, a fare che il presidente del legislativo di allora, Porfirio Lobo, ha messo in agenda il tema. Le famiglie venivano esigendo allo Stato che dopo la relazione “I Fatti Parlano da soli” del 1993 e dei primi giudizi penali del 1995, era doveroso passare dal riconoscimento dei fatti alla riparazione dei danni morali. Una forma di compensare i nuclei familiari delle vittime, offesi in forma brutale da poliziotti, religiosi, politici corrotti e mezzi di comunicazione del terrorismo disinformativo, era ricordando la loro memoria. Dichiarando il 30 agosto Giorno Nazionale Contro la Sparizione Forzata, o Giorno Nazionale degli Scomparsi, questo debito in parte era pagato. Honduras era capace di riconoscere che la dissidenza politica che si sollevò contro l’occupazione statunitense aveva un viso ed un nome. Era capace di riconoscere che l’opposizione all’uso del territorio da parte dei mercenari centroamericani allenati dai gringo aveva cognomi e famiglie. I visi di donne ed uomini, i più belli che la generazione degli anni ottanta aveva visto: giovani, coraggiosi, decisi, innamorati della giustizia, resistenti a morire di fronte ai “vendi patria”. Esseri straordinari come Tomas Nativì, Fidel Martinez, Manfredo Velasquez, Samuel Perez, Enrique Lopez Hernandez, Ediltrudes Montes, Sandra Mayorquin, Ines Consuelo, una dopo l’altro, eroi del secolo XX. Il Decreto Legislativo è stato considerato una vittoria morale e politica nel 2002, perché non è accaduto per caso o per concessione di grazia divina. Lo hanno ottenuto le famiglie offese. È stato approvato col silenzio dei deputati, i cui partiti o correnti erano compromesse fino al midollo nel finanziamento della repressione o nella sua giustificazione ideologica. Ed ancora due decadi dopo continuavamo a vedere quei visi malvagi nelle poltrone del Congresso, come quelli che adesso vediamo ora invecchiati ed appassiti moralmente negli stadi. Al contrario, nel cuore della vittoria morale e politica del 30 agosto 2002, noi vediamo le donne e gli uomini di ideali superiori per la libertà, la pace e la giustizia, ringiovaniti per la loro offerta superiore della vita. Vediamo nei loro figli e figlie, nella gioventù ribelle dei nostri giorni, i semi del martirologio germinando in un solco fertile. Per più di due decadi le famiglie avevano sopportato in silenzio che i malvagi corrotti dello Stato si riferissero agli scomparsi come delinquenti, terroristi, briganti, “bombaroli”, rivoltosi. Oggi, nove anni dopo la sua ufficialità, nel Giorno Nazionale degli Scomparsi rendiamo omaggio a quelle bellezze di esseri umani che furono e saranno. Al momento, la nostra lista di Schindler è lunga, piena di eroismo e dignità, brillante in amore per l’Honduras e potente nella lotta della resistenza. Un giorno come oggi, il 30 agosto, ha un eco simile alle Ande, alle cime elevate dove governano le anime delle migliori figlie ed i migliori figli della Patria di Morazan.