Giustizia: chiudere tutti gli Opg e affidare gli internati ai servizi sanitari... di Marzio Fatucchi Corriere Fiorentino, 2 agosto 2011 L’inchiesta della commissione presieduta dal senatore Ignazio Marino ha evidenziato una realtà simile a quella dell’Opg di Montelupo Fiorentino, a volte peggiore, in molte altre strutture. Perché siamo arrivati a questo punto? "Perché l’intero sistema del sorvegliare e punire, il circuito complessivo dell’esecuzione della pena e del controllo sociale, in tutti i suoi passaggi è opaco e inaccessibile ed ha poi al suo interno alcuni ambiti che sono completamente tenuti oscuri. Se il carcere è già scarsamente trasparente e accessibile, i Cie lo sono di più, gli Opg ancora maggiormente. Gli Opg sono dei non luoghi: non sono un luogo di esecuzione della pena come il carcere, in quanto chi vi si trova internato non è stato condannato perché incapace di intendere e di volere; e non sono ospedali per malati di mente perché l’ingresso e l’uscita non sono liberi". E allora, cosa è un Opg? "Un luogo a metà tra un vecchio manicomio di segregazione assoluta e strutture per sorvegliare e punire, controllare e tenere ai margini chi sta consumando la propria esistenza di individui precipitati nella scala sociale. Spesso non hanno alternative all’Opg. E questo è lo scandalo nello scandalo. Ci sono 390-400 internati dei 1.600 totali per una capienza regolare di 1.400) che stanno dentro senza motivo. È finito il loro periodo di internamento, una perizia psichiatrica ha detto che non sono più socialmente pericolosi, ma il magistrato che valuta la vicenda si trova in una condizione di incertezza assoluta: quella persona fuori dall’Opg non ha possibilità di inserimento, non ci sono istituzioni che se ne facciano carico. Così restano dentro" . È dal 2008 che si parla di passare la responsabilità dell’Opg dal ministero della giustizia a quello della salute. Ma gli Opg restano, nell’immaginario, solo carceri. "La percezione è difficilmente contestabile. Anche se la riforma per il trasferimento della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale è del 2008, la sua attuazione concreta resta problematica" . Perché questi ritardi? "Il carcere, figuriamoci l’Opg, non è remunerativo sotto il profilo del consenso politico, e quindi non si trovano le risorse adeguate. Stiamo parlando di 1.600 persone in tutta Italia. I socialmente pericolosi sono una piccola parte. Se distribuiamo queste persone negli oltre 80 mila Comuni italiani, assistiti in case famiglie o semplicemente dai servizi sanitari, la possibilità di integrazione nel tessuto sociale diventa più facile e capace di disinnescare buona parte dell’aggressività, che nasce anche dalla fatica di ricostruire un sistema di rapporti" . La scelta di chiudere l’Opg di Montelupo è incontestabile. Ma se questi interventi di cui parla non arrivassero, la chiusura non sarebbe addirittura più nociva? "Certo. Ma siamo in presenza di un sistema che cova al proprio interno un potenziale di violenza lancinante e lacerante. Questo mondo sommerso deve emergere. Se rimane sedato e rimosso è destinato solo ad una perdizione accelerata di questi uomini e del personale di custodia. Il numero di suicidi anche tra loro cresce, l’abiezione di questi ambienti è sempre più torva. Il carcere è luogo di controllo penale per una quota ormai ridotta di detenuti: per molti, insieme all’Opg e ad altre strutture, è un luogo di controllo sociale che sostituisce il welfare state". Giustizia: l’ultimo atto di Alfano? chiudere un carcere nuovo, realizzato nel 2005 di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 2 agosto 2011 29 luglio. Pochi giorni fa Angelino Alfano, prima di dimettersi da Ministro della Giustizia, ha compiuto l’ultimo atto scellerato. Ha firmato un decreto con cui ha disposto (udite, udite) la chiusura di un carcere. Quello di Spinazzola (Bari). Un carcere realizzato appena nel marzo del 2005 e che è stato chiuso dal Ministro perché “antieconomico, vista la modesta capacità ricettiva della stessa”. Tradotto: costava troppo, in considerazione dei pochi detenuti che poteva ospitare. Una conclusione che lascia perplessi per più di un motivo. Primo. Appare illogico che, dato il pesantissimo sovraffollamento presente in Puglia (4.432 detenuti a fronte di 2.471 posti letto) si sia deciso di chiudere un carcere nuovo di zecca, anche se piccolo, invece di provvedere ad un suo ampliamento. Secondo. L’evidente contraddizione. Il Governo Berlusconi, per bocca dello stesso ex Ministro Alfano, ha fatto del famigerato piano carceri un cavallo di battaglia. Un cavallo pure costoso (600 milioni di euro). Ma come, in pubblico si fanno annunci su annunci per costruire nuove carceri e nel silenzio se ne chiude uno nuovo? Incomprensibile. Altri soldi pubblici, decine di milioni di euro, buttati al vento. Però attenzione. Oltre alle perplessità rilevate nella chiusura del carcere di Spinazzola, il caso è utile per svelare l’insensatezza della politica di Governo sulle carceri. Il carcere di Spinazzola è stato di fatto chiuso, e non invece ampliato, perché non ci sono agenti penitenziari sufficienti. Ed ancora. Il carcere di Spinazzola è stato di fatto chiuso perché non ci sono i soldi per provvedere a nuove assunzioni. Ma se è così, se non ci sono soldi per assumere 40 nuovi agenti, come farà il Governo Berlusconi a trovare i soldi per assumere un numero sufficiente di agenti per le carceri nuove che vogliono realizzare? La risposta è già qui. È nelle decine e decine di padiglioni nuovi e mai utilizzati per mancanza di personale. Già oggi si può toccare con mano l’ipocrisia di questa politica. Giustizia: non nuove carceri… ma un carcere nuovo di Valentina Ascione Notizie Radicali, 2 agosto 2011 Fare di necessità virtù. Affinare l’udito, ad esempio, per riconoscere il rumore sordo di uno sgabello che si rovescia o di un tavolo che cade: “l’annuncio di una vita che se ne sta andando”. C’è un dato di cui non si parla a sufficienza, osserva Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari: nel primo semestre del 2011 sono stati monitorati nelle carceri italiane 532 tentativi di suicidio, di questi circa 300 sono stati sventati in extremis, “parliamo cioè di persone con il cappio già al collo, le vene tagliate o con in testa il sacchetto pieno di gas”. A scongiurare queste centinaia di morti è stato l’intervento tempestivo del personale di polizia penitenziaria. Di uomini e donne che, per 1200 euro al mese, sono spesso costretti a trasformarsi in angeli. Angeli in divisa. E all’occorrenza anche in psicologi, o educatori, visto che gli operatori penitenziari sono ormai una specie in via d’estinzione. “Siamo un po’ tutto - spiega Sarno - ma soprattutto siamo soli di fronte al detenuto. Ed è chiaro che in galera, dove si è privati perfino dello spazio per respirare e in cella bisogna fare i turni pure per stare in posizione verticale, ogni disagio è amplificato. Anche una lampadina che non si accende in bagno diventa un problema, che l’agente di sezione deve saper gestire”. Sono molti i compiti che, nel carcere ai tempi dell’emergenza, il poliziotto penitenziario è chiamato ad assolvere al di là di quelli previsti dall’ordinamento “e di cui non si parla perché in molti non sanno cosa accade in quelle che io definisco le prime linee penitenziarie”. Il gergo militare è quasi d’obbligo laddove si combatte una guerra quotidiana per non soccombere all’inciviltà, alla disumanità e all’illegalità, nonostante la riforma del corpo di polizia penitenziaria, varata nel 1990, ne abbia disposto la smilitarizzazione. Da allora gli agenti sono stati formalmente inseriti tra gli operatori che partecipano alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti. Il sottodimensionamento della pianta organica rende però questo contributo quasi impossibile: dieci anni fa si contavano circa 43.800 reclusi per un organico di polizia penitenziaria pari a 43.500 unità, nel tempo l’equilibrio è totalmente saltato e oggi, nel 2011, a far fronte a una popolazione detenuta di oltre 67 mila unità ci sono appena 38 mila agenti. “In questi dieci anni non solo i detenuti sono aumentati del 50 per cento - precisa - ma sono anche stati aperti diversi istituti senza che si provvedesse all’assunzione di una, dico una, unità di polizia penitenziaria”. Come può un agente concorrere al processo di risocializzazione e rieducazione del detenuto quando da solo ha la responsabilità di sorvegliare un’intera sezione con non meno di cento detenuti? “È evidente che mancano i presupposti e che oggi l’agente penitenziario è meramente destinato, per quello che può, alla sorveglianza”. “A nessuno di noi hanno insegnato ad ascoltare i rumori che preannunciano un gesto estremo, senza considerare che una vena, una carotide recisa o una testa infilata in un sacchetto non fanno rumore. Sono solo l’intuito, la professionalità e lo spirito di osservazione a consentirci di individuare i soggetti borderline, sul filo della depressione e a rischio suicidio. E di salvare delle vite”. L’ultima legge finanziaria prevede l’assunzione di 1600 agenti di polizia penitenziaria, ma spiega Sarno, ne servirebbero almeno 8 mila per garantire livelli minimi di sicurezza. Il che significa che attualmente all’interno delle nostre carceri si corrono rischi altissimi. “Il fatto che non ci siano rivolte, che sostanzialmente riusciamo a garantire i servizi, forse in un certo senso maschera la situazione reale, che è di gran lunga peggiore di quanto si possa immaginare da fuori”. Il sistema tiene grazie al senso di responsabilità dei detenuti, i quali sanno che ricorrere alla violenza renderebbe solo le cose più difficili, ma anche dei poliziotti, dei direttori e del personale amministrativo. “A causare la paralisi basterebbe che osservassimo i regolamenti alla lettera”. Sono invece le piccole deroghe quotidiane a consentire di tenere in moto la macchina penitenziaria , nonostante il sovraffollamento, la mancanza di risorse e personale, e la giungla burocratica che connota ogni apparato statale. Un esempio? “Oggi, per autorizzare il colloquio di detenuto con i propri familiari, gli agenti preposti al rilascio dei permessi si limitano a verificare la sussistenza dei requisiti, rimandando a fine giornata la firma materiale da parte del dirigente penitenziario. Questo accorcia i tempi. Per regolamento, infatti, ogni colloquio andrebbe autorizzato singolarmente dal direttore, ma con questi ritmi invece di cento colloqui in una giornata, se ne potrebbero fare al massimo 25”. “Più che di nuove carceri, c’è bisogno di un carcere nuovo, un modo diverso di gestire il sistema”. Come quasi tutti coloro che conoscono l’universo carcerario dall’interno Eugenio Sarno è critico nei confronti del piano messo a punto dal governo. “Prima che vengano costruiti i nuovi istituti c’è il rischio che le vecchie ci crollino addosso. Ci sono problemi strutturali che potrebbero mettere a rischio l’incolumità dei detenuti e del personale”. I dirigenti - spiega - non hanno più soldi per pagare acqua, luce e gas. E nemmeno la benzina, che spesso finisce lasciando a piedi agenti e detenuti durante i trasferimenti. “In quei casi il personale di polizia, che già non percepisce gli emolumenti per le missioni, ha dovuto fare il pieno per garantire ai detenuti di essere presenti nelle aule di giustizia”. Ma non è tutto: l’80 per del parco macchine destinato al servizio traduzione e piantonamento ha una percorrenza chilometrica media superiore ai 350 mila chilometri e il 25-30 per cento dell’intero autoparco nazionale è fermo perché mancano i soldi per le riparazioni. “Diciamo che l’80 per cento delle macchine della polizia penitenziaria se fossero in uso a privati cittadini sarebbero oggetto di fermo giudiziario perché non in condizioni di circolare”. Negli ultimi mesi due automezzi della polizia penitenziaria sono andati fuori strada, causando dei feriti, per l’usura delle gomme o dell’impianto frenante. “Dobbiamo forse aspettare il morto?”, chiede. “Stiamo valutando di segnalare queste cose alle procure della Repubblica, ma siamo anche consapevoli che un eventuale fermo dei nostri mezzi impedirebbe lo svolgersi dei processi e dei trasferimenti”. La mancanza di risorse economiche è tra gli aspetti più tragici e allarmanti della crisi del pianeta carcere. Basti pensare che i detenuti avranno garantiti tre pasti al giorno solo fino alla fine di settembre, dopodiché saranno forse costretti a fare lo sciopero della fame. Si prevede infatti che per allora saranno finiti anche i soldi per il vitto dei reclusi, per cui lo stato spende ben 3,68 euro al giorno procapite. “Se fosse vero, come diceva qualcuno molto più autorevole di me, che il grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri, l’Italia in fatto di civiltà sarebbe proprio messa male”, denuncia Eugenio Sarno. “In questi trent’anni di esperienza come poliziotto e come sindacalista ho visto scemare notevolmente l’attenzione verso il mondo penitenziario, ma i cittadini devono sapere, le coscienze vanno alimentate. Mi piacerebbe - conclude - che quest’anno i mass media esplorassero un po’ più a fondo alcune tematiche sociali, tra cui il carcere, invece di interessarsi al colore del bikini di Belèn Rodriguez”. Giustizia: Vietti (Csm); situazione carceri intollerabile e ingestibile, serve depenalizzazione Asca, 2 agosto 2011 “La situazione delle carceri è intollerabile e ingestibile”. Così Michele Vietti, vicepresidente Csm, a CortinaIncontra. Ci vuole una riforma che, tra l’altro, divida i detenuti per tipologia, mentre oggi continuiamo a mischiarli. Per esempio dalle carceri facciamo transitare detenuti solo di passaggio. La risposta a questi problemi è, secondo Vietti, la depenalizzazione; “il Parlamento si assuma la sua responsabilità”. Serve drastica depenalizzazione La risposta al sovraffollamento delle carceri è per il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, “una drastica depenalizzazione, lasciando come reato solo ciò che desta veramente allarme sociale”. Lo ha detto a Cortina d’Ampezzo, nell’ambito di un confronto del ciclo Cortina Incontra. Rivolto a Marco Pannella, Vietti ha ammesso che “la situazione delle carceri è diventata intollerabile. Ha ragione, ci sono 66mila detenuti contro poco più di 40mila posti di capienza regolamentare. Peraltro, senza distinzione di tipologie di responsabili di reati”. Giustizia: Nitto Palma; avanti su intercettazioni, nuovo pacchetto carceri entro settembre Tm News, 2 agosto 2011 Il neo guardasigilli Francesco Nitto Palma riferisce di aver incontrato oggi il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per “chiedere il suo conforto sulla mia azione di Governo della Giustizia” che sarà improntata al “massimo di dialogo possibile” con ogni interlocutore che fa parte del sistema giustizia e “dichiarandomi fin da ora disponibile anche a cambiare le mie posizioni, se mi si dimostra che sono idee sbagliata” ma alla condizione indispensabile di una reciproca disponibilità all’ascolto. “Il dialogo - ha sottolineato il ministro della Giustizia in una intervista al Tg5 Mediaset- deve essere reciproco. Io non sono sordo e di certo non lo sarò. Vorrei che anche gli altri non si mostrassero sordi”. Con un richiamo alla sobrietà per le toghe. “Il protagonismo - ha affermato l’ex pm Palma - non giova alle carriere. Alle carriere giova l’efficienza e la riservatezza...” Legge sulle intercettazioni ed emergenza carceri sono fra le priorità del nuovo ministro. “Si dovrà intervenire - ha detto Nitto Palma sulle intercettazioni- e, per quanto mi compete intendo muovere il percorso delle proposte che giacciono alla Camera. Alcune anomalie, come prima la trascrizione e poi la pubblicazione di telefonate non particolarmente rilevanti, credo siano riconosciute da tutti”. E dunque “si dovrà trovare in fatto un punto di equilibrato giusto - ha sottolineato il Guardasigilli - fra l’uso dello strumento investigativo e il diritto alla riservatezza di tutti che è costituzionalmente garantito”. Quanto alle carceri e alla iniziativa di protesta di Marco Pannella, “Pannella “indica alla responsabilità politica - ha affermato Palma - un problema vero e importante”. Ed io “mi auguro da qui a settembre di mettere in campo un pacchetto che ci possa consentire diminuire la popolazione carceraria e rendere davvero umane le condizioni di vita nelle carceri”. Giustizia: “il ministro non può intervenire”; denuncia legali a Alfano verso l’archiviazione Ansa, 2 agosto 2011 Il procuratore della Repubblica di Venezia, dott. Luigi Delpino, ha chiesto l’archiviazione della denuncia presentata il 18 luglio scorso dagli avvocati Guariente Guarienti e Fabio Porta, del Foro di Verona, contro il Ministro della Giustizia Angelino Alfano per maltrattamenti e abuso di autorità nei confronti dei detenuti italiani, costretti a vivere normalmente in quattro in celle di 12 metri quadrati, con 3 metri di spazio a testa. Il magistrato, secondo quanto riferito oggi da Guarienti, sostiene, con riferimento alla denuncia per maltrattamenti, che “il Ministro della Giustizia non ha la possibilità di intervenire direttamente per migliorare la situazione delle carceri, occorrendo al riguardo un apposito provvedimento legislativo, il che esclude tanto l’essere egli nella condizione di impedire l’evento quanto l’elemento soggettivo del reato”. Con riferimento alla denuncia di abuso di autorità il pubblico ministero afferma che per la sussistenza del reato “occorre che il pubblico ufficiale sottoponga la persona detenuta, di cui abbia la custodia, a misure di rigore non consentite dalla legge”. Gli avvocati Guarienti e Porta, prevedendo la richiesta di archiviazione e la difficoltà dell’instaurazione di un procedimento penale a carico di un ministro, hanno, nel frattempo, iniziato una causa civile quali procuratori di un detenuto della casa circondariale di Verona, che chiede al Ministro il risarcimento dei danni perché in carcere vive da oltre sette mesi in una condizione disumana. “È la prima volta in Italia - sostiene il legale veronese - che un detenuto cita in giudizio un ministro per ottenere un risarcimento di danni morali da carcerazione. Questa volta il nostro assistito Fabrizio Dalla Vecchia, è molto felice di esporre il proprio nome per questa causa”. Giustizia: il Pd incontra i Sindacati della Polizia Penitenziaria Italpress, 2 agosto 2011 Questa mattina il responsabile Sicurezza Emanuele Fiano e il responsabile Carceri del Pd Sandro Favi hanno incontrato presso la direzione del partito i sindacati della polizia penitenziaria. Al centro della discussione, fa sapere il Partito democratico, la drammatica situazione delle nostre carceri e in particolare le critiche condizioni di lavoro di tutto il personale, in primis, degli agenti della polizia penitenziaria. Il Pd ha annunciato ai sindacati presenti (Cgil, Cisl, Uil, Sappe e Ugl), “la volontà di svolgere in autunno una Conferenza nazionale sul carcere per definire un organico disegno di riforma che dia risposte concrete alla crisi dell’intero sistema, verso il quale il governo e la maggioranza che lo sostiene hanno dimostrato scarsissima attenzione con una politica fatta solo di annunci”. “I sindacati presenti - conclude la nota - hanno manifestato la loro piena disponibilità a lavorare con il Pd a un tavolo comune per la preparazione della Conferenza”. Uil: il Pd sostenga rivendicazioni polizia penitenziaria Il segretario della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ha partecipato ai lavori del Forum Giustizia del Pd, nella sede di Sant’Andrea delle Fratte. Abbiamo risposto all’invito del Pd - spiega Sarno - perché riteniamo utile cogliere ogni occasione per approfondire le tematiche relative al sistema penitenziario e alle difficoltà che incontrano tutti gli operatori penitenziari nello svolgimento del loro lavoro. Con franchezza abbiamo sottolineato alcune perplessità dell’operato del Pd in materia penitenziaria. Abbiamo infatti riaffermato -sottolinea Sarno- la nostra netta contrarietà alla posizione assunta in occasione della legge sulla detenzione domiciliare, tant’è che come avevamo previsto gli effetti sul sovrappopolamento carcerario sono stati assai minimi (ne hanno beneficiato non più di 1.800 detenuti). Così come nel prendere atto del lavoro del senatore Marino rispetto agli Opg, ho chiesto quali sarebbero gli effetti se tale metodologia (sequestro degli ambienti insalubri) fosse applicata anche ai degradati e degradanti istituti penitenziari. Ho sollecitato l’attenzione dei dirigenti del Pd - conclude Sarno - sulla necessità di intervenire a sostegno delle rivendicazioni della polizia penitenziaria. Non solo sotto l’aspetto economico (sono 14 mesi che i baschi blu attendono il pagamento delle missioni effettuate) quanto sull’evidente necessità di riorganizzare il Corpo della polizia penitenziaria e dell’Amministrazione Penitenziaria. Ugl: bene incontro Pd su crisi del sistema “Riteniamo fondamentale il contributo degli organi politici per superare la difficile situazione in cui versa il sistema penitenziario nel nostro Paese”. Così il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commenta l’incontro di oggi al Forum Giustizia del Pd, nel corso del quale si è fatto il punto sulle difficoltà affrontate quotidianamente dagli agenti degli istituti di pena. “Abbiamo chiesto ai responsabili Sicurezza e Carceri del Pd di sostenere la nostra proposta di riforma del sistema, collegata ad una riforma della giustizia necessaria per una corretta esecuzione penale. Riteniamo maturi i tempi per una riorganizzazione dell’intero sistema, di cui si discute politicamente in modo poco convinto - continua il sindacalista, così come consideriamo indifferibile una riforma organica della Polizia Penitenziaria ed un miglioramento complessivo delle condizioni professionali della categoria. L’Ugl continuerà a sollecitare la collaborazione di tutti i partiti politici, così come ha già più volte fatto, - conclude Moretti - consapevoli che, rispetto allo sviluppo della sicurezza sociale, il problema delle carceri ha una valenza tale da dover essere all’ordine del giorno di tutte le forze deputate a legiferare”. Lettere: carceri sovraffollate l’amnistia non basta di Roberto Martinelli (segretario generale aggiunto Sappe) Il Secolo XIX, 2 agosto 2011 La recente fiaccolata serale organizzata dai Radicali davanti al carcere di Marassi ha riproposto il tema del grave sovraffollamento penitenziario. Non è mia competenza dire se possa essere l’amnistia che fortemente invocano i Radicali, e Marco Pannella in particolare (che è arrivato ad attuare la protesta estrema - pacifica e non violenta dello sciopero della fame e della sete), la panacea di tutti i mali. Certo è che se, come è avvenuto per l’indulto del 2006, al provvedimento di legge non segue parallelamente un complessivo ripensamento del sistema sanzionatorio in Italia ci troveremmo punto e a capo in poco tempo. Lo insegna proprio l’esperienza dell’indulto del 2006, del quale beneficiarono oltre 35 mila persone, un terzo delle quali rientrò nelle patrie galere in brevissimo tempo. È del tutto evidente che se chi esce dal carcere non ha prospettive per entrare consapevolmente in un circuito sociale di legalità e una vera e propria volontà di cambiare vita, nel 90 per cento dei casi torna a delinquere. A mio avviso bisognerebbe ripensare il carcere e realizzare un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda circuiti penitenziari differenziati e un maggiore ricorso alle misure alternative attraverso, da un lato, un carcere invisibile sul territorio cui affidare tutti coloro che commettono un reato che non crea allarme sociale e, dall’altro, un carcere di massima sicurezza, per i 41 bis o comunque riservato ai soggetti che si macchiano di gravissimi reati. Bisognerebbe pensare un carcere che non peggiora chi lo abita, non lo incattivisce, non crea nei suoi abitanti la convinzione di essere una vittima: questi risultati si possono realizzare con il coinvolgimento del sociale ma soprattutto con il lavoro durante la detenzione, anche attraverso progetti concreti per il recupero ambientale del territorio, che abbatta il fenomeno dell’ozio in carcere. In questo contesto si dovrà delineare per la Polizia penitenziaria un nuovo impiego e un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Donne e uomini con il Basco Azzurro che nel contesto sovraffollato delle carceri italiane, liguri e genovesi, svolgono un lavoro particolarmente stressante e duro. È utile ricordare gli eventi critici occorsi in carcere nell’ultimo anno per comprendere cosa intendo dire. Nel 2010, nelle sovraffollate carceri liguri, 23 detenuti hanno tentato il suicidio, 220 hanno compiuto atti di autolesionismo, 61 hanno posto in essere i ferimenti: 2 sono stati i suicidi e 5 le morti per cause naturali. Quasi 1.500, infine, sono stati i detenuti coinvolti in manifestazioni su sovraffollamento e condizioni di vita intramurarie, proteste che si sono concretizzate in scioperi della fame. Lettere: nelle carceri… il trionfo dell’arbitrio di Antonio Cappelli Terra, 2 agosto 2011 Dopo la pena di morte, la privazione della libertà personale è la certamente la punizione più grave che possa essere inflitta ad un essere umano. Bisogna domandarsi se a questa punizione debbano essere aggiunte, in nome della sicurezza, sanzioni afflittive supplementari che giungono a privare i detenuti dei diritti più elementari. Probabilmente la grande opinione pubblica non ne è informata, ma è bene invece che tutti sappiano che in virtù della nostra organizzazione penitenziaria, quando si entra in carcere ci si trova deprivati dei diritti fondamentali che la Costituzione riconosce invece come prerogative irrinunciabili di tutti i cittadini. Qualche esempio al riguardo può risultare convincente. Per i detenuti il diritto alla difesa della salute trova limiti notevolissimi per l’impossibilità di scegliere il proprio medico di fiducia e il luogo di ricovero quando se ne presenti la necessità. Il diritto al lavoro, che potrebbe rappresentare anche un formidabile strumento di riabilitazione sociale, non è istituzionalmente riconosciuto nelle carceri dal momento che nella grande maggioranza dei casi i detenuti trascorrono in una condizione di ozio forzoso le loro inutili giornate. Per la minoranza dei detenuti che lavorano non esiste inoltre nessuna possibile forma di tutela sindacale. Il diritto a tutelare i propri rapporti familiari risulta sostanzialmente ridotto dalle innumerevoli restrizioni imposte per i colloqui e per le comunicazioni e dai trasferimenti spesso immotivati in istituti di detenzione lontani dal luogo di residenza della famiglia. Lo stesso diritto alla difesa diventa estremamente problematico per i meno abbienti che non potendo permettersi un difensore di fiducia sono costretti a fruire delle prestazioni spesso aleatorie degli avvocati d’ufficio. Le esemplificazioni al riguardo potrebbero continuare ma in questa sede è sufficiente osservare in sintesi che il carattere distintivo fondamentale della nostra organizzazione penitenziaria è l’arbitrio e cioè una logica organizzativa anonima e disumana che in ogni momento governa in maniera insindacabile e incontrollabile la vita del detenuto. Entrare in carcere significa dunque perdere non solo la libertà ma anche le prerogative fondanti di ogni sana e moderna convivenza civile. Viene da chjedersi in quale modo, muovendo da questa base di partenza, si possano raggiungere gli obiettivi di recupero sociale e di redenzione che continuamente tanti nostri uomini politici sbandierano nei loro discorsi domenicali. Genova: nel carcere di marassi pestaggio razzista, detenuto salvato dalla polizia Secolo XIX, 2 agosto 2011 Otto italiani aggrediscono un maghrebino, un altro salvato dal suicidio. La Uil-Pa penitenziari: “A Marassi situazione sempre più a rischio con 790 detenuti contro 435 posti e 150 agenti in meno nell’organico” Genova. Aggressione con connotazioni razziste con la vittima salvata dagli agenti di polizia penitenziaria e, ancora una volta, la situazione del carcere di Marassi (790 detenuti, oltre il doppio della capienza di 435 con 150 agenti mancanti in organico) esplode in tutta la sua drammaticità. E, sempre lunedì, il tentativo di suicidio per impiccagione di un altro detenuto marocchino è stato sventato dalla polizia. A denunciare gli episodi è stata la Uil-pa penitenziari. L’aggressione (otto detenuti italiani contro un maghrebino) si è verificata lunedì attorno alle 14 e solo due ore dopo gli agenti sono riusciti a riportare la calma. “Sistemando in una posizione non a rischio l’aggredito. - spiega Fabio Pagani, segretario regionale Uil-pa - Scelta non facile in un carcere dove, ovunque si guardi, c’è un problema”. L’aggressione avrebbe avuto, secondo gli agenti, una connotazione anche razzista: “così sembra emergere dai primi accertamenti (gli otto aggressori sono stati denunciati) - conferma Pagani. I problemi di convivenza quotidiani sono pesanti, sia per problemi di rapporti interetnici sia, a volte, per le diverse posizioni giudiziarie dei reclusi. L’intervento dei colleghi è stato fondamentale perché hanno sottratto il detenuto al pestaggio avvenuto nella sala socializzazione. Tutte vicende che confermano la gravità della situazione di Marassi. Il livello di sicurezza è ridotto al minimo e gli agenti spesso sono costretti per le carenze di organico a controllare da soli, nel turno notturno, due piani con 150 reclusi”. Bologna; il Cappellano; in carcere situazione drammatica, urgono prodotti per l’igiene Dire, 2 agosto 2011 “È urgente che anche a Bologna ci si sensibilizzi intorno alla situazione del carcere. Non si tratta solo di richiamare il problema del sovraffollamento”, ma anche “di accorgersi che sta emergendo un’altra situazione drammatica che può avere gravi conseguenze sul piano sanitario”. È l’appello lanciato ieri, dalle pagine di “Bologna 7” (inserto settimanale della Curia sul quotidiano Avvenire) da Fra Franco Musocchi, cappellano della Dozza, che ha deciso di intervenire per segnalare che in carcere “mancano da parecchio tempo sapone, detersivi, shampoo, dentifricio, carta igienica, ciabatte per la doccia, sacchi per l’immondizia... tutto ciò che è necessario per l’igiene personale e dell’ambiente”. Di conseguenza, aggiunge, “come cappellano, mi sento di fare, a nome dei detenuti italiani e stranieri, un appello alle persone di buona volontà, perché raccolgano, per farne dono, i suddetti prodotti (in contenitori di plastica): appello che mi sento di estendere alle aziende che li producono, perché anch’esse ne facciano offerta gratuita, per quanto è loro possibile”. I prodotti raccolti possono essere consegnati presso la parrocchia di Sant’Antonio di Padova alla Dozza. Ancona: in carcere si impara un lavoro, corso della Cna per conduttori di caldaie Corriere Adriatico, 2 agosto 2011 Detenuti sui banchi di scuola, per gettare le basi di una concreta possibilità di lavoro e quindi di reinserimento sociale, grazie al corso della Cna per “conduttori di caldaie - impianti termici” al carcere di Montacuto. La seconda edizione del corso, proposto da Cna Ancona e realizzato in collaborazione con Formart, ente di formazione della Cna regionale, ha preso avvio a luglio. I nuovi iscritti sono 16, tutti molto motivati nel cogliere questa opportunità, considerata estremamente utile per acquisire conoscenze spendibili una volta usciti dal carcere. Proprio su questo argomento, nella prima giornata di lezione, molte sono state le domande rivolte ai due docenti: l’ingegner Massimiliano Grohmann e Fabrizio Ferraiol. Entrambi sono alla loro seconda esperienza, essendo stati già docenti lo scorso anno. Il corso ha una durata complessiva di 75 ore di lezioni teorico-pratiche, con lo scopo di far acquisire ai detenuti partecipanti conoscenze e competenze nell’ambito della riparazione e manutenzione di impianti termici. “La nostra proposta progettuale - dice Lucia Trenta, segretaria Cna Ancona - ha avuto un grande successo lo scorso anno, tanto che quest’anno ci hanno chiesto di riproporre lo stesso corso sia a Montacuto sia a Barcaglione, Torino: Osapp; agente lievemente ferita da una detenuta romena Adnkronos, 2 agosto 2011 Un’agente di polizia penitenziaria del carcere di Torino è stata aggredita ieri pomeriggio da una detenuta romena di 31 anni. Lo riferisce l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. L’agente è stata medicata all’ospedale Maria Vittoria di Torino ed è stata poi dimessa con cinque giorni prognosi per trauma cervicale. La detenuta, C.L. di origine romena, è in carcere per sfruttamento della prostituzione e la fine pena è prevista per dicembre 2013. “La situazione nella Casa Circondariale di Torino è drammatica e pericolosa - dichiara il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - e i nostri Agenti da quasi un anno stanno subendo tensioni e disagi inenarrabili”. Secondo Beneduci gli agenti sono allo stremo: “Manca l’acqua calda e nelle caserme non ci si può nemmeno lavare, mentre i pasti della mensa obbligatoria di servizio sono da tempo carenti in qualità e quantità”. “A rendere maggiormente chiara l’insostenibilità delle condizioni nel penitenziario torinese - aggiunge - ci sono anche l’endemica e sempre più grave carenza di organico, il sovraffollamento nella popolazione detenuta, le minacce e le aggressioni, pressoché quotidiane”, conclude riferendosi all’ultimo episodio avvenuto sabato quando ignoti hanno esploso alcuni colpi di arma da fuoco contro due auto di dipendenti dell’istituto torinese parcheggiati davanti al carcere. ‘È opportuno - conclude Beneduci - che il nuovo Ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, disponga per Torino e per gli istituti penitenziari gravemente deficitari in termini di vivibilità e di sicurezza, in Piemonte come sul resto del territorio, urgentissimi correttivi del caso e la riorganizzazione della Polizia Penitenziaria nell’Amministrazione penitenziaria centrale e periferica”. Immigrazione: permesso a punti, le condanne pesano anche se non definitive L’Unità, 2 agosto 2011 I1 28 luglio è stato approvato dal Consiglio dei ministri il cosiddetto “accordo integrazione” introdotto dal pacchetto sicurezza del 2009. L’accordo dovrà essere sottoscritto da tutti i cittadini extracomunitari, tra i sedici e i sessantacinque anni, che richiedono un permesso di soggiorno superiore a un anno. L’accordo non è retroattivo e funziona con un sistema a punti. Ogni straniero avrà in partenza un credito di 16 punti e il regolamento dell’accordo disciplina le modalità di acquisizione e perdita degli stessi. Il “percorso di integrazione” dura due anni al termine dei quali lo straniero dovrà presentare idonea documentazione attestante i crediti raggiunti. 30 punti è il limite minimo per la concessione del rinnovo del permesso di soggiorno, per crediti da 1 a 29 può esserci la proroga di un anno, al fine di acquisire i crediti mancanti, mentre per punteggi pari a zero o inferiori c’è l’espulsione. Indispensabile frequentare un corso di educazione civica e conoscere l’italiano al livello A2. Gli altri crediti possono essere raggiunti tramite, per esempio, corsi universitari, attività di volontariato, scelta del medico di base. Per perdere crediti devi aver avuto problemi con la giustizia. Nel regolamento viene differenziata la decurtazione dei punti che può arrivare a 25 per una pena superiore ai tre anni di reclusione. E proprio qui sta il punto: la tabella indica che si perdono punti anche se la condanna non è ancora definitiva. La nostra Costituzione, all’art. 27, recita che “l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”. Chissà quante domande faranno, durante quei corsi di educazione civica, per comprendere come mai l’articolo 27 non valga per loro e per farsi una ragione di quella disparità. Immigrazione: Marcenaro (Pd); Maroni vada a vedere un Cie e si renda conto di persona Italpress, 2 agosto 2011 “I 25 morti nella stiva del barcone tratto in salvo la notte scorsa dalla Guardia Costiera italiana al largo di Lampedusa ci obbligano a ricordare le migliaia e migliaia di vittime delle traversate del Mediterraneo”. Lo afferma Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani del Senato, intervenendo in Aula sul decreto rimpatri. “L’Unhcr - continua Marcenaro - ha stimato in oltre 1.500 le persone annegate nel Mediterraneo dalla fine di marzo a oggi. Si tratta di un’emergenza umanitaria forse più grave di quella che ha portato la comunità internazionale a decidere l’intervento militare in Libia. È necessaria un’azione preventiva che è possibile solo se si rinuncia all’idea assurda e totalmente irrealistica di poter bloccare le partenze. È necessario anticipare nei punti di partenza la possibilità di richiesta di asilo e offrire la possibilità di viaggi regolari e sicuri”. “Solo così - aggiunge - si può fermare o almeno limitare la strage in corso. E solo così si possono combattere sul serio e non solo a parole i trafficanti di esseri umani”. Sul prolungamento a 18 mesi del trattenimento nei Cie, Marcenaro ha ricordato: “Andate una volta a vedere con i vostri occhi di cosa stiamo parlando. Il ministro Maroni vada una volta a vedere con i suoi occhi un Cie. In tutti questi anni non una sola volta ha messo piede in un Cie per rendersi personalmente conto della situazione. I Cie sono peggiori del peggiore dei carceri: anche nel peggiore dei carceri vige la Costituzione e c’è un sistema di garanzie”. Venezuela: carceri sovraffollate, possibile la liberazione di 20 mila detenuti Tm News, 2 agosto 2011 Le carceri venezuelane scoppiano di detenuti e il governo potrebbe scarcerare 20mila condannati per reati minori. Secondo la Bbc, il ministro per le Carceri, Iris Varela, starebbe valutando la possibilità di mettere in libertà condizionata l’equivalente del 40% dei detenuti del Paese nel tentativo di alleggerire il sistema carcerario nazionale. “Dei 500mila detenuti venezuelani, 20mila non dovrebbero essere in carcere” ha dichiarato Varela. Già questa settimana, secondo il ministero, potrebbero iniziare la valutazione di quali detenuti coinvolgere nel provvedimento. I primi a lasciare le celle potrebbero essere i condannati per reati come il furto, persone che secondo Varela “non rappresentano un periodo per la società”. Il provvedimento arriva dopo il preoccupante moltiplicarsi di sommosse nelle carceri. Secondo la Commissione per i diritti umani inter-americana, 500 persone sarebbero morte dall’inizio dell’anno per gli scontri in prigione. Solo un mese fa, 25 persone erano morte dopo una guerriglia nella prigione di El Rodeo. Benin: il presidente Boni Yayi ha concesso la grazia a oltre 800 detenuti Agi, 2 agosto 2011 Il presidente del Benin, Boni Yayi, ha concesso la grazia “presidenziale” a 828 detenuti in occasione del 51esimo anniversario dell’indipendenza che il Benin ha ottenuto il primo agosto 1960. Lo rende noto un comunicato del consiglio dei ministri che, per l’occasione, si è tenuto a Natitingou, 600 chilometri a nord-ovest di Cotonou. Dall’amnistia sono stati escluse le persone detenute per reati connessi alla corruzione e alla malversazione di denaro pubblico, o per infrazioni simili, “a meno che questi non abbiamo restituito il mal tolto all’amministrazione”, ha precisato il comunicato dell’esecutivo.