Giustizia: l’amnistia è oggi una necessità di Emilia Rossi (Avvocato penalista) Italia Oggi, 26 agosto 2011 Per capirlo, basterebbe fare un giro di poche ore in un carcere, in questi giorni di agosto. Le norme giuste sono in un ddl di Nordio messo in disparte. Leonardo Sciascia suggeriva di far fare ad ogni magistrato, una volta superate le prove d’esame e vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere fra i comuni detenuti, e preferibilmente in carceri famigerate come l’Ucciardone o Poggioreale. “Sarebbe indelebile esperienza” diceva “da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello ogni volta che si sta a firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza”. (Corriere della sera, 7 agosto 1983). Alfonso Papa, peraltro già magistrato, è la testimonianza vivente del fatto che la provocatoria proposta andrebbe estesa ai parlamentari per ogni volta in cui mettono mano a una legge carcerogena o non si occupano del disastro della realtà delle galere del loro Paese. Il detenuto deputato, il primo della storia repubblicana ad esser stato consegnato alla custodia in carcere per fatti non di sangue, tira schiaffi di dignità ai suoi colleghi di fuori, facendo della sua esperienza l’occasione per denunciare lo stato delle cose nelle prigioni d’Italia, per rifletterci, per dare voce ai poveracci che non possono nemmeno sognarsi di averla, per condividere iniziative politiche che al disastro pretendono si trovi soluzione. Comportamento tutt’altro che scontato e che ha anche pochi precedenti nella Casta. Come dargli torto se lui, che di soggiorno istruttivo in galera se n’è già fatto un bel po’ più di tre giorni, si irrita al riferito (poi smentito) paragone tra gli istituti di detenzione italiani e gli alberghi a cinque stelle? E risponde con un’invettiva e un prezioso monito che in qualche modo richiama al pensiero il lontano suggerimento di Sciascia. Il fatto è che il paragone non è comunque calzante (lo Stato spende per ii mantenimento di ogni detenuto 13 euro al giorno, pur a fronte di un costo complessivo molto alto del sistema carcerario) perché pure il carcere italiano meglio gestito e più efficiente è scenario di quel degrado, di quelle condizioni di vita al limite del rispetto per l’essere umano di cui si fa testimone Alfonso Papa e che sono il risultato del sovraffollamento endemico, dell’overbooking perenne degli alberghi patri. Allora, bando ai voli pindarici e alle dichiarazioni di sconcerto ferragostane, è ora che si passi ai fatti, come sollecitato dal Presidente della Repubblica, dai quasi 2.100 che hanno aderito allo sciopero della fame e della sete del 14 agosto promosso da Marco Palmella e, infine, dal detenuto deputato Alfonso Papa. E come lascia sperare l’immediata presa di coscienza del neo ministro Nit-to Palma che ha inaugurato il suo mandato con diverse visite in carcere. E l’ora sembrerebbe vicina, visto che al Senato sono state raccolte le firme necessarie per la convocazione straordinaria delle due Camere sulle questioni della giustizia e del carcere. Che si riuniscano, una buona volta, i parlamentari liberi a riflettere e a trovare soluzioni concrete. Magari utilizzando l’esperienza (non di giorni, ma di ore) delle visite estive alle case circondariali del Paese. Ma non ci buttino e non si buttino fumo negli occhi. La depenalizzazione è una gran cosa per restituire razionalità al sistema penale. Ma non serve a svuotare le carceri dall’overbooking, perché per reati di minimo allarme sociale, quali dovrebbero essere quelli da depenalizzare, non si crea l’affollamento in carcere. La modifica delle norme sull’applicazione delle misure cautelari è necessaria ma non si risolve con un ritocco linguistico ai requisiti dettati dal codice. No, è altro quello che ci si aspetta dal parlamento in convocazione straordinaria. Amnistia, subito, per risolvere l’emergenza. E revisione integrale del sistema sanzionatorio, subito dopo, per dare soluzione concreta e sistematica al problema. Prevedendo che la detenzione in carcere sia la pena residua rispetto ad altri generi di sanzioni e non più quella principale. La proposta di riforma esiste già: scritta nel disegno di codice penale firmato da Carlo Nordio, presidente della Commissione Ministeriale istituita su mandato del governo Berlusconi nel 2001. Andatelo a riprendere, quel testo, lavorateci speditamente e fatelo legge. Non occorre molto tempo. Solo un vero atto di coraggio civile e quella coscienza libera che Sciascia voleva istruire. Giustizia: la custodia cautelare va limitata di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Italia Oggi, 26 agosto 2011 Ue, in attesa di giudizio il 25% dei detenuti. In Italia il 43%. A lanciare l’allarme il commissario europeo dei diritti umani Thomas Hammarberg. Dall’Europa arriva un segnale inequivocabile a tutti quei Paesi, come l’Italia, dove i numeri della custodia cautelare sono elevatissimi. Thomas Hammarberg, commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, guardando alle cifre dell’intero continente, ha affermato che bisogna ridurre l’impatto sul sistema penitenziario della custodia cautelare detentiva. Riprendendo uno studio dell’Unione europea pubblicato a giugno 2011 e concernente l’incidenza sull’affollamento penitenziario di quella che un tempo in Italia chiamavamo carcerazione preventiva, il norvegese Thomas Hammarberg in piena estate ha riaffermato che è inaccettabile che il 25% del totale delle persone tenute in prigione in Europa sia ancora in attesa di condanna definitiva. Si tratta, ribadisce il commissario europeo, “di persone non ancora giudicate in sede processuale la cui colpevolezza non è quindi stabilita. Esse sono in linea di principio innocenti”. La sola giustificazione per tenerle chiuse in carcere è data da uno dei seguenti motivi: pericolo di fuga, rischio di reiterazione del crimine o di inquinamento delle prove. In molti paesi europei sono questi gli unici casi nei quali è ammissibile tenere in carcere una persona arrestata ma non ancora processata. Il commissario europeo ha ribadito con nettezza la eccezionalità della custodia cautelare in carcere rispetto agli altri rimedi preventivi. L’abuso della custodia cautelare è quindi una questione di diritti umani. Il dato italiano è ben al di sopra di quello continentale, di per sé ritenuto grave e preoccupante dal commissario del Consiglio d’Europa. La nostra percentuale è addirittura del 43%; è quindi del 18% in più rispetto alla media europea. Più di due detenuti su cinque sono dentro seppur non ancora giudicate in via definitiva. Si pensi che la Germania ha un tasso di detenzione di persone non condannate del 17,1%, la Francia del 25,1%, l’Inghilterra del 18%. Si tratta di Paesi dove i processi si svolgono con maggiore rapidità e le attese in galera da presunti innocenti non sono quindi così lunghe. Il dato italiano stride rispetto ad alcune situazioni europee: l’11,7% della Repubblica Ceca, il 10,9% della Romania, il 15,2% della Moldova. Come ci si può ben immaginare i Paesi scandinavi hanno numeri bassi di persone in carcere in attesa della condanna: la Finlandia ha il 18,9%, l’Islanda il 10%, la Svezia il 21,2%, la Norvegia il 26,2%. Anche nell’area dei Paesi del Mediterraneo l’Italia presenta i numeri più inquietanti, visto che la percentuale greca di detenuti in attesa di condanna definitiva è del 26,8%, quella croata del 34,4%, quella cipriota del 38,4%, quella spagnola del 26,3%, quella portoghese del 19,5%. L’Italia è superata solo dal Liechtenstein con il 50%, dall’Olanda col 55%, dalla Turchia col 57,7%, da Malta con il 69,3% e dal minuscolo Principato di Monaco con il 76,5%, Nelle scorse settimane in Italia è ripartito il dibattito su come fronteggiare il sovraffollamento. Uno dei motivi del sovraffollamento italiano è proprio l’anomalo uso della custodia cautelare. La Corte costituzionale in due recenti sentenze ha dichiarato la illegittimità di altrettante disposizioni normative che prevedevano che la custodia cautelare dovesse essere comminata obbligatoriamente dal giudice. Come sottolineato più volte dalle Camere penali bisogna ritornare al caso per caso e va estesa la disposizione di misure cautelari non detentive. Giustizia: Radicali; ci sono 40 carceri “fantasma”, pronte e senza detenuti Adnkronos, 26 agosto 2011 Un sistema al collasso: 66.942 detenuti, al 31 luglio, nei 207 istituti penitenziari italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 45.681 unità. Politica e istituzioni, recentemente sollecitate dal monito del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si interrogano sulle possibili soluzioni al drammatico sovraffollamento delle carceri. Ma, come risulta da un’interrogazione parlamentare dei Radicali, che riporta i dati raccolti dall’Associazione “Detenuto Ignoto”, l’Italia ha circa 40 “carceri fantasma”: da Ferrara a Reggio Calabria, da Pesaro a Monopoli, strutture costruite, talvolta già arredate, e poi lasciate lì, vuote e mai utilizzate. A Reggio Calabria, il carcere di Arghillà: costruito ma non raggiungibile, per mancanza della strada di accesso. Ce n’è una, in mezzo alla campagna, ritenuta non idonea al trasporto dei detenuti. Pronto dal 2005, dotato dei più sofisticati sistemi di sorveglianza, costo complessivo intorno a 25 milioni di euro. L’ex ministro della giustizia, Angelino Alfano, il 18 gennaio del 2010, in visita nella città, aveva assicurato il suo intervento presso il Dipartimento per l’organizzazione penitenziaria per sollecitare l’apertura della struttura. Ristrutturato e chiuso anche il carcere di Squillace. Addirittura, come nel caso di Gela, 50 anni di lavori e ben due inaugurazioni, l’ultima nel 2007, con una cerimonia alla presenza dall’allora ministro della giustizia Clemente Mastella. Costato oltre 5 milioni di euro, consegnato all’amministrazione penitenziaria nel 2009, è ancora inutilizzato, e il Comune paga per la sorveglianza. Il Basilicata il carcere di Irsina, vicino Matera, costruito negli anni 80 con una spesa di oltre 3 miliardi di lire, fu aperto per un anno, poi chiuso. Molti i casi in Puglia. Nel barese, Minervino Murge, finito ma mai entrato in funzione. E a Monopoli la struttura, abbandonata da 30 anni, è occupata da un gruppo di cittadini sotto sfratto. In provincia di Foggia, non sono mai stati aperti Volturata Appula, rimasto incompiuto, Castelnuovo della Daunia, finito e arredato, Bovino, 120 posti, e Orsara. Chiuso, dopo essere stato inaugurato e aperto, il carcere campano di Gragnano, in provincia di Napoli. Pronto anche Morcone, in provincia di Benevento, ma mai messo in funzione. In Abruzzo, a San Valentino, in provincia di Pescara, c’è una struttura, completata nel 1994, mai aperta, e ormai in totale stato di abbandono: circondato da vegetazione incolta, dove gli abitanti della zona raccontano di avere visto pascolare capre e mucche, il carcere è stato spesso oggetto di raid vandalici, nei quali sono state distrutte porte e finestre. Passando al Nord, in provincia di Mantova, a Revere, lavori fermi dal 2000 per una struttura da 90 posti, 2 milioni e mezzo di euro, incompleta ma già saccheggiata. E in Emilia Romagna, nel ferrarese, è ancora chiuso il carcere di Codigoro, pronto all’uso già dal 2001. Giustizia: Dap; carceri “fantasma”? no, sono chiuse per lavori, o perché antieconomiche Ansa, 26 agosto 2011 Nel sistema penitenziario italiano non esistono strutture fantasma. È quanto afferma una nota del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (Dap) in relazione ad alcune istanze di politici che di fronte al sovraffollamento delle prigioni hanno in questi giorni sostenuto di risistemare appunto le strutture abbandonate. “Non ci sono infatti disponibili strutture penitenziarie inutilizzate - precisa il Dipartimento. Il carcere di Arghillà è stato inserito nel Piano carceri ed è stato già redatto il crono programma che prevede l’ultimazione della struttura in circa 180 giorni a partire dall’inizio dei lavori”. Quanto al carcere di Gela, la cui capienza è di 50 posti, è tuttora inutilizzabile a causa di un insufficiente approvvigionamento idrico non imputabile all’Amministrazione penitenziaria. Infine, in merito alle polemiche già più volte chiarite, le case mandamentali sono state dismesse alla fine degli anni 90 perché giudicate antieconomiche. Giustizia: Osapp; carceri “fantasma”? se ci fossero le occuperemmo subito… Adnkronos, 26 agosto 2011 In questo momento, purtroppo, sul territorio nazionale non ci sono carceri “fantasma”, ovvero istituti penitenziari in grado di funzionare ma del tutto inutilizzati, sennò, come poliziotti penitenziari correremmo subito ad occuparli. Lo dichiara in una nota Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), riferendosi all’esistenza di 40 strutture penitenziarie abbandonate e senza detenuti. “Spesso si ritiene, a torto, che come carcere qualsiasi edificio, dovunque allocato, con o senza servizi, possa andare bene, così come si è soliti immaginare che qualsiasi locale possa essere adibito a cella detentiva - prosegue il sindacalista - mentre invece e soprattutto per le esigenze della popolazione detenuta son ben altri i coefficienti di abitabilità e di sicurezza da tenere presenti”. “Negli anni 90, prima di essere definitivamente dismesse, molte delle cosiddette case mandamentali furono ristrutturate a spese delle amministrazioni comunali competenti - spiega Beneduci - nella speranza di renderle acquisibili unitamente al personale che vi lavorava, per le esigenze detentive dell’Amministrazione penitenziaria. In tal modo, vennero realizzate vere e proprie cattedrali nel deserto, come a Morcone (Bn) o a Maglie (Le) per fare alcuni esempi, ma le opere si dimostrarono non idonee ad allocare qualsiasi tipologia detentiva - ricorda il leader dell’Osapp - se non anche, per la lontananza da centri abitati e da strade di minima percorrenza, a costituirsi quale sede di lavoro stabile di qualsiasi dipendente dell’Amministrazione penitenziaria anche appartenente alla polizia penitenziaria”. L’Osapp conferma poi “quanto affermato ieri dal Dap (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) riguardo alla mancanza di strutture inutilizzate e da riempire di detenuti e personale e al fatto che, esclusivamente per Reggio Calabria, il carcere di Arghillà sarà presto reso funzionale”. Il segretario generale Beneduci esprime poi l’auspicio che “per restituire respiro e vivibilità al sistema penitenziario, grazie al deciso e rinnovato apporto del nuovo Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma, si realizzino i famosi tre pilastri riguardanti il piano straordinario di edilizia, l’assunzione, in numero adeguato, di poliziotti penitenziari e la decarcerizzazione per i reati di minore allarme e pericolosità, se non anche e grazie alla prossima convocazione del Parlamento per la raccolta firme del gruppo dei Radicali misure più incisive e duratura”. Lettere: troppi diritti negati nel dramma delle carceri La Gazzetta di Mantova, 26 agosto 2011 Quali componenti il Gruppo di Iniziativa Territoriale di Banca Etica di Mantova vogliamo esprimere a Renato Bottura il nostro apprezzamento per l'adesione alla giornata di sciopero della fame e della sete, promossa per denunciare ilsovraffollamento delle carceri. L'iniziativa ha voluto richiamare l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica su quanto avviene dietro le sbarre e le mura dei penitenziari: un'autentica emergenza nazionale: 67mila detenuti, a fronte di una capienza di 45mila posti. Sovraffollamento è in questo caso un sinonimo di diritti umani calpestati. Come ignorare il triste e crescente elenco dei suicidi, in cui non rientrano solo detenuti disperati ma anche secondini in depressione. Da inizio anno 38 persone che si sono tolte la vita in carcere. All'iniziativa hanno aderito rappresentanti delle istituzioni, direttori dei penitenziari, secondini e detenuti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, infermieri, personale amministrativo, volontari, cappellani,rappresentanti di quel mondo dell'associazionismo che è presente nel mondo delle carceri e tanti normali cittadini che continuano a credere nella Costituzione e nello Stato di diritto. Ci riconosciamo nelle parole del presidente Napolitano, quando afferma che i diritti umani negati per le persone in carcere, rappresentano una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile. Ci uniamo a chi ha aderito a questo sciopero, nel richiedere una convocazione straordinaria delle Camere sull'emergenza sovraffollamento. Poiché ognuno deve fare la sua parte. Banca Etica è impegnata da tempo a sostenere finanziariamente iniziative contro l'esclusione sociale e per il reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti. Citiamo la Casa Circondariale di Siracusa dove è attiva una cooperativa sociale, finanziata da Banca Etica, che vede impegnate 10 persone tra interni ed esterni. La cooperativa produce dolci tipici della tradizione siciliana utilizzando ingredienti che l'agricoltura biologica locale fornisce in abbondanza, integrandoli con i prodotti delle comunità contadine del Sud del mondo. Tanti altri progetti simili si sono realizzati in alcuni penitenziari. Ma anche realizzare questi percorsi di reinserimento lavorativo è impossibile in situazioni di sovraffollamento. Gruppo di Iniziativa Territoriale di Banca Etica Lettere: i Giovani Democratici per la chiusura dell’Opg di Aversa www.pupia.tv, 26 agosto 2011 L’uomo vive di speranze e di sogni e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa rappresenta il luogo dove la condizione umana viene indelebilmente mortificata, dove la speranza e il sogno lasciano spazio alla disperazione e alla rassegnazione. Dovrebbe essere una struttura di recupero, d’integrazione, dove curare è il rimedio, dove non esistono pene, perché i colpevoli sono tali soltanto ed esclusivamente perché malati. Invece, quando quest’anno un’ispezione condotta dalla Commissione di inchiesta del Senato, presieduta da Ignazio Marino, ha abbattuto i cancelli dell’Opg, che impedivano lo sguardo all’interno, lo scenario che si è presentato agli occhi degli ispettori era quello di una realtà di un indicibile orrore, l’inferno dei dimenticati. Un deposito dove la merce ristagna, dove le menti si abbrutiscono, dove gli istinti prevalgono, dove regna l’abbandono, la tortura, la mortificazione morale e fisica. Per queste persone ogni giorno di “detenzione” rappresenta un passo indietro, rimanere significa regredire, avvicinarsi al baratro buio del non ritorno. A 250 anni dalla pubblicazione del fortunato “Libriccino” del Beccaria, in Italia esiste ancora la tortura, vengono perpetrati reati, di responsabilità internazionale, contro la dignità dell’uomo e contro i suoi diritti fondamentali, la cui tutela può e deve prescindere da qualsiasi condizione coercitiva. Se è vero che la malattia rappresenta la causa principale del crimine allora la soluzione risiede nella cura della patologia; e se la malattia mentale è perdita d’individualità e di libertà, un internato in questo “ospedale” giudiziario non trova che il luogo dove tale individualità sarà definitivamente perduta e resa oggetto della malattia stessa. In quel documento video girato durante l’ispezione compiuta dalla Commissione d’inchiesta del Senato presieduta da Ignazio Marino, l’annientamento dell’individualità del detenuto appare lampante. Le grida disperate d’aiuto, le celle sovraffollate, l’assenza di un personale medico- sanitario adeguato, le precarie condizioni igienico-sanitarie e strutturali non lasciano spazio al dubbio. Tutto è tranne che una struttura ospedaliera votata al recupero e all’integrazione sociale di malati mentali che hanno commesso reati. Reati il più delle volte considerati “bagatellari”, di poco conto, che in condizioni normali verrebbero puniti con pochi anni (o addirittura mesi) di detenzione ed invece per le persone deboli o malate si traducono, di proroga in proroga, in quelli che vengono tristemente definiti “ergastoli bianchi”. In attesa di un intervento serio e insperato da parte della politica e delle istituzioni in difesa dei diritti civili, calpestati quotidianamente all’ombra di queste fetide sbarre, molti degli “internati” preferiscono il suicidio, sicuri che l’esistenza sia diventata ormai un incubo che non contempla risveglio. La nostra speranza è che si realizzi un rapido percorso di chiusura e dimissione della struttura, per ridare dignità al più grande dei valori: la tutela e il rispetto della vita umana. Intanto risuona ossessiva nella mente la eco dei lamenti di uno di quei detenuti che rivolgendosi alle telecamere, mentre in preda alla disperazione chiedeva di essere liberato, urlava: “dov’è l’Italia?”. Dov’è l’Italia della democrazia, l’Italia, patria dei diritti e delle garanzie, dov’è l’Italia dell’umanità? Francesca Curci e Giovanni Sposito Esecutivo provinciale Giovani Democratici di Caserta Lettere: per i detenuti l’arte in cella… dal Louvre di Riccardo Villari (Sottosegretario ai Beni Culturali) Il Mattino, 26 agosto 2011 In questi giorni di agosto, con gli italiani in vacanza, c’è chi non dimentica la situazione dei detenuti nei penitenziari del nostro paese; appena insediato, il Ministro della Giustizia Nitto Palma ha incontrato Marco Pannella per discutere dell’emergenza-carceri e trovare soluzioni efficaci e condivise, e proprio ieri, al meeting di Rimini, il Presidente Napolitano è tornato sull’argomento, con parole molto forti. Mi è tornato allora alla mente un progetto di cui ho letto nei mesi scorsi. In Francia, il direttore del carcere di Poissy, nei pressi di Parigi, ha organizzato nel cortile dell’istituto, un’esposizione con riproduzioni di tele famose conservate al museo del Louvre. Ai detenuti è stato chiesto di scegliere quali dipinti esporre, di scrivere la didascalia di accompagnamento. E di occuparsi dell’allestimento di questa mostra all’interno del carcere, riservata ai soli detenuti. Di questa iniziativa, frutto di una partnership tra il celebre museo parigino e il carcere di Poissy, mi ha colpito il pensiero riportato dai quotidiani, di uno dei detenuti: “Quando vedo questi quadri i muri grigi spariscono e la mente evade”. Sono convinto che anche da noi in Italia potremmo organizzare un progetto simile. Abbiamo depositi e magazzini che ospitano infinità di reperti e opere d’arte che i nostri musei non riescono ad esporre e sarebbe una magnifica opportunità per farli uscire dall’oblio e concedere, a tante persone che passano anni chiusi dentro quattro mura a scontare pene, spesso in condizioni drammatiche, di avvicinarsi a queste opere d’arte, di respirarne la magia e la bellezza. Sarebbe, a mio parere, una grande opera di civiltà e potrebbe essere lo spunto per avviare, all’interno delle carceri, un progetto di formazione per chi volesse avvicinarsi all’arte e costruirvi un futuro, un nuovo strumento per reinserirsi nella società. Credo in questo progetto e me ne farò promotore con il mio Ministro Galan e con il Ministro della Giustizia, affinché si possa lavorare insieme alla realizzazione. Si parla tanto del concetto di cultura alla portata di tutti; ecco questo potrebbe essere davvero un modo per restituirle il suo antico ruolo sociale ed educativo. Se non possiamo aprire le carceri per portare i detenuti all’arte, perché non liberare l’arte dai magazzini e portarla ai detenuti? Lazio: Sappe; sovraffollamento e carenza di personale, questi sono i veri problemi Adnkronos, 26 agosto 2011 “L’istituzione del Garante dei Detenuti del Lazio la panacea di ogni male penitenziario romano e laziale. E chiamare in causa, come fa qualcuno, il sindaco Alemanno sulle emergenze penitenziarie è singolare oltreché senza senso”. È il pensiero di Giovanni Battista De Blasis e Maurizio Somma, rispettivamente segretario generale aggiunto e Segretario nazionale del Lazio del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), rispondendo alle dichiarazioni sulla situazione carceraria a Roma avanzate da altre sigle sindacali della polizia penitenziaria. Gli esponenti sindacali sottolineano in una nota come siano sovraffollamento e carenza del personale in seno alla polizia penitenziaria i reali problemi da affrontare. “Alla data del 30 aprile - sottolineano - c’erano infatti nelle 14 carceri laziali 6.420 detenuti rispetto ai circa 4.800 posti letto regolamentari e negli organici dei reparti di polizia penitenziaria di tutta la Regione mancano complessivamente più di mille baschi azzurri, oltre ad un provveditore regionale. Serve una politica della pena nuova - proseguono - non altre poltrone o incarichi come quello del Garante dei detenuti di Roma! “Poco o nulla ha inciso - insistono - ad esempio la legge sulla detenzione domiciliare sul sovraffollamento costante del Lazio: a 8 mesi dall’approvazione della legge ne hanno beneficiato solamente 288 detenuti dei 14 penitenziari regionali. Gli eventi critici del 2010 dimostrano chiaramente che aria tira nelle carceri laziali: 352 atti di autolesionismo e 116 tentativi di suicidio’. ‘Le morti per cause naturali in carcere - proseguono - sono state 7 mentre 4 sono i detenuti che in cella si sono tolti la vita”. I sindacalisti fanno sapere inoltre che sono stai 191 i ferimenti, 454 i detenuti che hanno fatto lo sciopero della fame, 232 quelli che hanno rifiutato il vitto o le terapie mediche, mentre 117 quelli coinvolti in proteste violente contro l’Amministrazione penitenziaria”. “Sono state 3 sono state le evasioni da penitenziari - fanno sapere dal Sappe - 2 delle quali a seguito di mancato rientro in carcere dopo permessi premio e 1 dalla semilibertà”. Per quanto riguarda invece le manifestazioni di protesta collettive sono state 5 nel 2010 che hanno riguardato sia scioperi della fame e dell’assistenza sanitaria, sia la cosiddetta battitura, ovvero il percuotere con oggetti metallici le sbarre”. “Sono inoltre ai limiti dell’implosione - fanno sapere - situazioni come quelle di Viterbo, Velletri, Civitavecchia e di quasi tutti i penitenziari romani. Paradossali ed assurde altre come quella di Rieti, dove con due terzi di carcere chiuso, il personale è costretto a doppi e tripli turni di servizio per soli cento detenuti”. I sindacalisti inoltre sottolineano come alcune eccellenze stiano “andando in malora - continuano - a causa delle carenze di personale e di fondi come le aziende agricole di Velletri e del femminile di Rebibbia”. Il Sappe esorta il nuovo Provveditore regionale Maria Claudia Di Paolo “a riprendere in mano la situazione dei penitenziari laziali che, per troppo tempo - continua la nota - sono stati abbandonati al loro destino. In tal senso chiediamo la convocazione, al più presto, di un tavolo di concertazione sul quale pianificare una riorganizzazione delle strutture congiuntamente ad una razionalizzazione delle risorse umane”. Per il sindacato non è infatti più possibile rimandare l’intervento “sui distacchi di personale al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dove, purtroppo, più di un dirigente crede - conclude - che gli istituti penitenziari romani e laziali siano poco più che un serbatoio dove attingere personale per le proprie segreterie e per la propria scorta e tutela”. Firenze: indagine della Procura sui decessi avvenuti all’Opg di Montelupo, disposta consulenza Ansa, 26 agosto 2011 La procura di Firenze ha disposto una consulenza sulle cartelle cliniche di una decina di persone decedute dal 2001 nell’ospedale psichiatrico (Opg) di Montelupo Fiorentino (Firenze). Gli accertamenti sono stati richiesti nell’ambito dell’inchiesta sulla struttura: il reato ipotizzato è abbandono di persona incapace. Non ci sono indagati. L’inchiesta - un filone riguarda pure il carcere fiorentino di Sollicciano - è stata aperta a fine 2010 in seguito ai sopralluoghi svolti nell’Opg dalla Commissione parlamentare sull’efficienza del Servizio sanitario nazionale. Nel luglio scorso, la stessa Commissione ha fatto sequestrare due ali della struttura per carenze igienico-sanitarie, clinico-assistenziali e strutturali. Obiettivo degli accertamenti disposti dal pm fiorentino Giuseppe Bianco è appurare se vi sia un legame fra i decessi e il livello assistenziale nella struttura. Gli investigatori, comunque, spiegano che il numero dei decessi non è anomalo. La psichiatra incaricata di svolgere gli accertamenti dovrà chiarire anche se siano stati utilizzati - e come - letti di costrizione e come sono stati somministrati i medicinali. Poretti: bene Procura Firenze, 10 morti in 10 anni chiarire anche per il futuro! Intervento della senatrice dei Radicali, Donatella Poretti: “Bene la Procura di Firenze, utili approfondimenti per chiarire ciò che è avvenuto in passato e affinché non succeda più in futuro. Basta una visita per rendersi conto che il reato ipotizzato -”abbandono di incapace”- è la realtà quotidiana sanitaria e strutturale di Montelupo. Pazienti con gravi patologie psichiatriche sono letteralmente abbandonati a loro stessi in una struttura carente di personale medico e sanitario, e in locali le cui condizioni igienico sanitario risultano assolutamente non rispettose degli standard minimi di accreditamento. L’intervento della Procura è una conseguenza dell’iniziativa della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale del Senato, presieduta da Ignazio Marino. Tra le disposizioni cui doveva ottemperare l’Opg di Montelupo: 1. Stanza contenzione è sotto sigilli, chiusa fino a che non si adegua ai requisiti minimi sanitari, ossia la possibilità per la persona contenuta di chiamare aiuto ed essere monitorata continuamente. Il doppio binario sanità e carcere, produce l’assurdo di un medico che dispone una contenzione fisica, ma che dipende dagli agenti penitenziari per accedere alla stanza anche solo per i controlli essendo nella disposizione degli agenti la chiave! 2. Celle coi sigilli da sgomberare nel reparto Ambrogiana. Delle 21 celle da sgomberare per il provvedimento della commissione sono poche quelle rimaste ancora occupate, visto che 9 internati sono stati inviati in altri Opg per i rispettivi bacini di competenza. In particolare 5 a Reggio Emilia, 2 ad Aversa e 2 a Napoli per altri stanno studiando altre soluzioni, ma al 26 agosto dovrebbe essere rispettata la scadenza. 3. Sistema antincendio. Mentre la direzione dell’Opg sta verificando la realizzabilità dell’adeguamento alla norma di legge antincendio, per cui è stata concessa una proroga al 30 settembre, resta da capire come la sezione ristrutturata 4 anni fa (Torre) ha potuto ricevere l’agibilità’ e il nulla osta senza rispettare la normativa antincendio. Chi ha fatto i controlli e come? Con quali certificati? C’è stata una “omissione” o una “falsificazione”? Su questo presenteremo con il senatore Marco Perduca una interrogazione al ministro dell’Interno per quanto di competenza dei Vigili del Fuoco e della Salute per quanto di competenza delle Asl. E soprattutto al ministero della Giustizia per quanto di competenza del Dap e dell’organismo interno preposto. E infine a sei mesi l’adeguamento dell’intera struttura ai requisiti igienico sanitari per l’accreditamento nazionale e regionale di una struttura sanitari. Modena: quell’ex carcere modello che ora perde i pezzi… di Saverio Cioce La Gazzetta di Modena, 26 agosto 2011 Manutenzione mancata per anni, anche per gli impianti, e carenza di personale in uno dei penitenziari più affollati d’Italia. Sapone e detergenti? Dai volontari. Per conoscere la qualità dell’Hotel S. Anna, come lo chiamano con opposta ironia i detenuti e gli ultrà berlusconiani, conviene partire dal menù. Anche nel carcere modenese vale la regola nazionale: pranzo, colazione e cena a 4 euro, tutto compreso. E bevande escluse, s’intende, perché anche una bottiglietta di acqua fredda è diventata un privilegio, visto che negli ultimi mesi quattro dei sei congelatori sono diventati inutilizzabili, per limiti d’età. Così i carcerati devono fare i conti anche con il servizio in camera che fa acqua, metaforicamente parlando s’intende, perché con i 40° per strada, le giornate da trascorrere in tre in una cella di 9 metri diventano appena più sopportabili se si avvolge la bottiglia nell’asciugamano e lo si usa come condizionatore portatile, per asciugare il sudore o usare il tutto come cuscino sulla branda, sino a che un poco di fresco arriva anche alla nuca. E quando è ancora un poco fresca qualche sorso da condividere con i compagni di cella finisce per essere un gesto di amicizia, perché in cella i 42 gradi si superano spesso in questa stagione. “All’esterno questo carcere si presenta bene, ma dentro dimostra tutte le crepe di una manutenzione che purtroppo non c’è stata - spiega la direttrice del S. Anna, Rosa Alba Casella, da maggio alla guida di uno dei più sovraffollati penitenziari italiani. Ora di manutenzione non si può più parlare perché servirebbero i fondi per il rifacimento, che purtroppo non ci sono”. Nella ideale visita in carcere in cui ci fa da guida, la parola “purtroppo” è quella che ritorna più di frequente, abbinata con l’elenco delle mancanze, delle insufficienze e dei problemi che restano aperti. Da funzionaria dello Stato deve applicare le norme che ci sono, anche quando sono in conflitto con le necessità di tutti i giorni, ma al tempo stesso la direttrice Casella non rinuncia a sottolineare le cose positive realizzate in una struttura arrivata a tenere dietro le sbarre 550 persone contro una capienza prevista di poco più di 200. “Il carcere di Modena - spiega - oggi ospita 406 persone, di cui solo 170 sono quelli condannati a pene definitive. Gli altri sono in attesa di giudizio e buona parte di loro entra ed esce a seconda del giudizio di convalida degli arresti. Questo comporta per i nostri agenti di custodia un enorme dispendio di personale per accompagnare e riaccompagnare nelle aule di giustizia gli arrestati. Poi ci sono le visite e i trattamenti in ospedale per cure, visite o altre emergenze, a cui vanno aggiunti gli accompagnamenti per chi è agli arresti domiciliari, che devono essere effettuati dal nostro personale, sempre con una media di due agenti per detenuto. Quindi, a furia di accumulare compiti, la pressione sui turni di lavoro è forte, portandoci a molti straordinari. Ogni giorno inoltre dobbiamo fare i conti con la mancanza di personale, che qui a Modena significa 50 agenti in meno di quanto previsto, e con i problemi strutturali. Un esempio? Le sezioni dove vengono rifatti i servizi igienici devono essere svuotate per il tempo necessario a portare a termine i lavori dei cantieri edili; di qui l’affollamento supplementare nelle celle”. Forse il carcere di S. Anna non sarà il peggiore d’Italia ma il degrado della situazione si misura a vista d’occhio. I finanziamenti col contagocce si riflettono su ogni aspetto, anche il più minuto, della vita quotidiana del penitenziario. L’organizzazione dell’ora d’aria, ad esempio, deve essere fatta tenendo conto dei turni di custodia e così chi si ritrova in cortile tra le 13 e le 15, le ore più calde, magari cerca di rinfrescarsi con qualche gavettone bagnato, che finisce per diventare altra materia di contenzioso disciplinare. Oppure ancora i furgoni per il trasporto dei detenuti, sovraccarichi di anni e chilometri, che si rompono a ogni piè sospinto. Gli agenti indicano il caso di un mezzo che ha superato abbondantemente il milione di chilometri e che è ancora in servizio. “Forse siamo riusciti a ottenere i fondi per le riparazioni, ma purtroppo si tratta di veicoli molto vecchi” chiosa la direttrice. L’elenco dei tagli arrivati per effetto della riduzione dei fondi, una sforbiciata secca del 20-30%, va dagli impieghi dei detenuti per le pulizie interne alle spese per i prodotti detergenti. Da tempo non vengono più forniti saponi e shampoo per la semplice ragione che non ci sono i soldi per acquistarli. Ancora una volta è dovuto intervenire in soccorso il lavoro dei volontari; il gruppo di “Carcere Città” ha lanciato l’allarme, dalle colonne della Gazzetta di Modena, dopo alcuni casi di pediculosi e i modenesi hanno risposto generosamente, con offerte in denaro (poche ma significative) e in prodotti acquistati di fresco al supermercato. Così gli internati al S. Anna hanno di che lavarsi per un altro paio di mesi e a fine settembre si vedrà che succede. Lo stesso è accaduto per i congelatori rotti: è arrivato un vecchio frigo che serve alle trenta detenute della sezione femminile mentre il regalo da parte di un privato ha permesso l’acquisto di un congelatore nuovo che almeno rimpiazza uno di quelli rotti. Naturalmente era con l’apertura a pozzetto ed è stato accettato perché rientrava negli standard di sicurezza previsti dal regolamento interno. Dietro le sbarre tutto, ma proprio tutto, diventa un affare di sicurezza. Il controllo dei cibi portati dai parenti, ad esempio, che devono essere sigillati e ispezionabili. Lo stesso vale per le visite e i colloqui, con file lunghissime la mattina, con mamme, nonne e bimbi di pochi mesi costretti ad aspettare per ore sotto il sole, senza un bagno né un rubinetto, prima che scatti il disco verde per il passaggio nel cortile, con scorta, sino alla sala pacchi e a quella per i colloqui. Sino a poco tempo fa dalle 8.30 alle 12 si poteva entrare liberamente, ora occorre aspettare un quarto d’ora ogni due ore prima di iniziare la trafila. “Purtroppo finora è stato così - annuisce la direttrice - ma a settembre dovrebbe essere pronta una sala interna con condizioni più dignitose per chi è in attesa di avere un colloquio. Si tratta di aspettare ancora qualche settimana”. E il nuovo padiglione? Gli arrivi di nuovi agenti con il “piano carceri” strombazzato da due anni dal governo? I supporti tecnologici per il telecontrollo? I sindacati degli agenti di custodia sono sul piede di guerra e hanno detto in ogni sede possibile, pubblicamente, che se non arriveranno almeno un centinaio di colleghi in più, di apertura della nuova sezione non se ne parla neppure. La Casella dal canto suo affronta l’argomento con pragmatismo: “Al momento non mi sento di fare ipotesi sulle scelte del Dap anche perché i penitenziari in Italia sono 400 e ognuno ha le sue esigenze - spiega - Finora di agenti nuovi, con l’ultima ondata di concorsi e dopo la formazione, ne sono arrivati due. È vero che sta per essere completato il nuovo padiglione, ma serve personale in quantità adeguata: certo non tocca a me scegliere quante persone destinare a Modena per la sorveglianza. Il mio auspicio è che ci sia personale in quantità adeguata per ospitare il numero di detenuti previsto; quando inaugurarono l’attuale S.Anna, la capienza delle celle fu raddoppiata dopo pochissimo tempo. Vero è che nelle nuove sezioni dovrebbero esserci telecamere funzionanti e di conseguenza servirebbe meno personale però è tutto da tradurre in pratica. La consegna dei lavori dovrebbe avvenire in autunno, e subito dopo toccherà ai tecnici del ministero effettuare i collaudi. A quel punto vedremo cosa succederà. Qui a Modena credo che ognuno sia pronto a fare la sua parte”. Verona: Uil; un nuovo caso di Tbc tra i detenuti, sottovalutati i rischi sanitari Il Velino, 26 agosto 2011 “Ancora un caso di Tbc alla Casa Circondariale di Verona, dopo i quattro casi registratisi nel maggio scorso. Da alcuni giorni, infatti, un detenuto di origine nigeriana è ricoverato in ospedale per aver contratto la Tbc”. Ne dà notizia il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che ritorna a denunciare la mancanza di strumenti a tutela dell’incolumità fisica per il personale penitenziario. “Purtroppo, dopo il rumore dei quattro casi di maggio, nulla di sostanziale e strutturale è stato fatto in tema di prevenzione sanitaria. Non si registrano interventi di profilassi e tantomeno al personale - rimarca Sarno - è stata fornita la prevista dotazione individuale di protezione. Niente mascherine, niente guanti in lattice, niente occhialini protettivi. Ci si arrabatta e ci si arrangia con guanti per uso alimentare ben consci della loro inadeguatezza”. Secondo la Uil-Pa Penitenziari le competenti Autorità hanno sottovalutato i rischi sanitari che possono derivare dalle attuali condizioni di sovraffollamento. “Al di là di un apprezzato, ma inefficace, dinamismo dell’Amministrazione Comunale e di un superficiale interesse della Prefettura di Verona, sostanzialmente le condizioni di alto rischio sanitario nel carcere scaligero restano tutte inalterate. Forse non si è ben compreso - polemizza il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - cosa può generare dal punto di vista sanitario, e dell’ordine pubblico, la presenza di circa 930 detenuti (molti dei quali di provenienza extra europea) a fronte di una capienza massima di 580. L’impossibilità di poter garantire, attraverso una puntuale manutenzione, ambienti salubri e puliti aumenta in modo esponenziale i rischi sanitari e l’insorgenza di malattie infettive e contagiose come la scabbia, di cui pure a Verona si sono registrati alcuni casi. Occorre, quindi, sostenere con finanziamenti adeguati l’attività di prevenzione sanitaria all’interno del carcere e provvedere a restituire decoro e pulizia agli ambienti. Su questo necessario piano di interventi l’Amministrazione Comunale, l’Ente Provincia, l’Asl e l’Amministrazione Penitenziaria dovrebbero esperire ogni utile tentativo per definire un sinergico percorso di investimenti. Almeno questo è il nostro auspicio, al netto delle responsabilità individuali e amministrative che pure si appalesano con nettezza”. Bologna: direttore del Centro di giustizia minorile; nuovi agenti in arrivo per l’Ipm del Pratello Dire, 26 agosto 2011 Nonostante a livello nazionale le forze dell’ordine e le carceri soffrano i tagli dei fondi imposti dalle manovre del Governo, per il carcere minorile del Pratello a Bologna “è un momento positivo”. Il prossimo autunno dovrebbero infatti arrivare i rinforzi. “Ci hanno promesso una decina di agenti”, rivela oggi Giuseppe Centomani, direttore del Centro di giustizia minorile dell’Emilia-Romagna, a margine di una conferenza stampa in Comune. “Mi accontento anche di 7-8 agenti”, aggiunge Centomani, che vorrebbe cambiare l’organizzazione dei gruppi di detenuti”. I ragazzi rinchiusi al Pratello, infatti, vengono riuniti in piccoli gruppi da 12, ognuno seguito da un agente responsabile e da due educatori. Al momento nel carcere minorile di Bologna sono impiegati 30 agenti di sorveglianza più il comandante (6-7 presenti per ogni turno), per 24 ragazzi. Si tratta comunque di “un numero di personale ridotto”, spiega Centomani, soprattutto se rapportato alla capienza totale del carcere (44 posti). Ma più che al numero, il direttore della Giustizia minorile regionale preferisce pensare alla nuova linea che ha impostato all’interno del Pratello. “Stiamo qualificando il modello d’intervento per rendere più efficace il rapporto educativo con i ragazzi - spiega Centomani - in autunno ci saranno novità”. Nel frattempo, fa sapere il direttore, “stiamo concludendo la ristrutturazione complessiva del Pratello. Entro l’anno dovremmo avere a disposizione tutti gli spazi, anche quelli esterni che ospiteranno diverse attività e non più solo quel piccolo campo di calcetto”. Trieste: Sidipe; oltre 250 detenuti per capienza di 155, in regione sovraffollate tutte le carceri Adnkronos, 26 agosto 2011 Il carcere di Trieste, il Coroneo, ospita al momento oltre 250 detenuti ed è pertanto sovraffollato. Il segretario nazionale del Sidipe (Sindacato direttori penitenziari) Enrico Sbriglia, che è anche direttore del carcere, riferisce che la capienza regolamentare è di 155, ma che però esiste una capienza ritenuta tollerabile che è di 190-200 detenuti. Un dato questo che Sbriglia, in veste di sindacalista, considera “non proponibile”. Sull’argomento, afferma Sbriglia, “esiste un equivoco di fondo, se non proprio una vera e propria stortura. Da sindacalista - prosegue - sostengo che esiste solo una capienza regolamentare”. E qui Sbriglia semplifica con un esempio: se si va in 5 in una automobile immatricolata por 4 si viene sanzionati: “Il principio - ribadisce - dovrebbe valere anche per le carceri”. “Tutte le carceri del Friuli Venezia Giulia, Trieste, Udine, Pordenone e Tolmezzo, sono sovraffollate, anzi, hanno superato ampiamente - denuncia il segretario del Sidipe - il limite regolamentare e anche quello tollerabile, eccetto Gorizia. Solo Gorizia ha meno detenuti rispetto la capienza , ma perché il carcere è pericolante, fatiscente”. In questo quadro, Sbriglia afferma che “non sarebbe scandaloso un provvedimenti di amnistia”, preoccupandosi nel frattempo di realizzare nuova edilizia penitenziaria. Roma: Di Giovan Paolo (Pd); servono più fondi per assistenza sanitaria a detenuti Regina Coeli Adnkronos, 26 agosto 2011 “A Regina Coeli abbiamo trovato personale impiegato con abnegazione nel settore della sanità penitenziaria, ma servono più fondi, un miglior inquadramento contrattuale per coloro che vi lavorano. Il nostro impegno continua per il resto dell’anno, per ribadire che anche nelle carceri una buona sanità è un diritto”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, che ha guidato una delegazione della Commissione Diritti Umani a Regina Coeli. “Regina Coeli ha carenze strutturali, per questo le istituzioni, ma anche il comune di Roma, vi devono dedicare maggiore attenzione. È un carcere storico della città, che ha visto anche le visite dei Papi - continua in una nota Di Giovan Paolo - Impressionanti le cifre sul sovraffollamento: mille detenuti per una capienza di 300”. Aosta: Osapp; poliziotto penitenziario aggredito da un detenuto marocchino Adnkronos, 26 agosto 2011 Un 22enne marocchino detenuto nella casa circondariale di Aosta, ha aggredito alle 10 di ieri un agente della polizia penitenziaria mentre stava per essere trasferito da una sezione detentiva ad un’altra. Lo riferisce, in una nota, Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), aggiungendo che il ragazzo “ha dapprima ferito di striscio con una lametta appositamente occultata il sovrintendente presente in quel momento e poi, impugnata una padella, ha iniziato ad inveire minacciando di colpire chiunque si avvicinava”. “Solo dopo una lunga trattativa condotta dal personale di polizia presente - continua - il detenuto si è lasciato avvicinare ma, accompagnato al piano terra della struttura, ha estratto altre lamette occultate in viarie parti del corpo nuovamente minacciando i presenti che - prosegue - anche mediante altro personale appositamente accorso, hanno immobilizzato il soggetto senza ulteriori danni a persone e cose”. Il poliziotto ferito ha riportato ferite non gravi, ma non è stato possibile completare il medicamento nell’infermeria penitenziaria per la mancanza del siero antitetanico. “Da mesi, come sindacato - incalza Beneluci - sosteniamo che le aggressioni che si verificano con particolare frequenza in ben determinate strutture penitenziarie non sono né la regola né fanno parte del cosiddetto rischio professionale - sottolinea - ma nessuno sembra prestarci ascolto, affermando persino che all’interno del carcere di Brissogne tutto rientri nella normalità e che quello che accade non sia sintomo manifesto di una disfunzione generalizzata di chi ha la responsabilità dell’istituto”. “Per quanto ci riguarda - continua - per il senso di responsabilità che ci appartiene non abbiamo sino ad oggi aderito alle richieste, peraltro pienamente legittime e motivate, di manifestazioni di protesta ad Aosta, ma è urgente - conclude - che si intervenga mediante adeguati correttivi, da parte del provveditorato regionale di Torino o da parte dell’Amministrazione penitenziaria centrale (Dap) o del Ministero della Giustizia”. Ascoli: “Voi chiusi fuori”… dalle carceri alla piazza, la musica della rock band Santa Cecilia www.ilquotidiano.it, 26 agosto 2011 Domenica 28 agosto 2011 alle ore 21.30 ad Ascoli Piceno la rock band ascolana Santa Cecilia si esibirà in Piazza del Popolo presentando il concerto “Voi Chiusi Fuori”, un vero e proprio show denso di musica, di svariate apparizioni sceniche e giochi di luce. I Santa Cecilia sono Gianluca Di Benedetto (voce), Luca Pichinelli (batteria), Paolo Mariani (basso) e Wizard (chitarre) e con lo spettacolo di domenica 28 agosto presenteranno al pubblico i nuovi brani, tutti inediti, composti ed arrangiati dai componenti del gruppo. Il titolo dell’evento, “Voi Chiusi Fuori”, è una delle più significative canzoni dei Santa Cecilia, oltre ad essere un progetto che sta permettendo ai componendi della band di esibirsi all’interno di alcune Case di Reclusione italiane ed Istituti di Pena per minori. Condividendo l’idea della “giusta pena da scontare con dignità”, i giovani ascolani si sono trovati a collaborare con diverse associazioni di volontariato che si occupano di detenuti e da questo è nata l’idea di un vero e proprio tour nelle carceri. Lo spettacolo di domenica 28 agosto prevede, oltre all’esecuzione dei brani dei Santa Cecilia, diverse apparizioni sceniche e giochi di luce realizzati da Leonardo Chittarini con incursioni di danza di Chiara Ameli. Ad aprire il concerto, come nello stile dei Santa Cecilia, un altro gruppo ascolano, i vocalist Abcd. Il concerto del 28 agosto sarà anche l’occasione per festeggiare la qualificazione alle fasi regionali del Tour Music Fest dopo i consensi riscossi all’esibizione svoltasi nella città di Perugia. Il Tour Music Fest è il più importante Festival Internazionale della Musica Emergente ed i Santa Cecilia si sono qualificati grazie alla canzone “Voi Chiusi Fuori”. Cinema: Amnesty premia il cortometraggio “In My Prison”, del regista Alessandro Grande Adnkronos, 26 agosto 2011 Il cortometraggio “In My Prison” del giovane regista Alessandro Grande, è stato premiato da Amnesty International Italia durante la serata finale della rassegna Vicoli Corti di Massafra (Taranto), organizzata dall’associazione culturale Il Serraglio e patrocinata dalla Fandango Film. Il corto, sostenuto dalla Provincia di Roma, verrà utilizzato da Amnesty International per promuovere le sue azioni in favore dei prigionieri di coscienza nel mondo. “Dopo aver rappresentato l’Italia nei più importanti festival internazionali da Tokyo a Madrid, passando per Budapest, e ancora Grecia, Malesia, Cipro, Germania, Inghilterra e Giordania, con il tour americano in Texas, Los Angeles, San Francisco, Washington e le innumerevoli proiezioni in Italia - spiega una nota di Sinistra ecologia e libertà della provincia di Roma - il corto di Grande verrà inserito in tutte le rassegne, eventi, manifestazioni organizzate e patrocinate dall’associazione più famosa del mondo, che si batte da oltre 50 anni per la difesa dei diritti umani”. “È importante che la provincia di Roma abbia da subito sostenuto il cortometraggio In My Prison - spiega Gianluca Peciola, consigliere provinciale Sel - Il lavoro di Alessandro Grande ha il merito di evidenziare la condizione di si trova a vivere recluso”. “Il messaggio di Grande - prosegue Peciola - assume enorme valore soprattutto in un momento in cui il vergognoso sovraffollamento delle carceri e l’incuria della politica nei confronti di chi è recluso, dimostrano il grado di impoverimento civile che il nostro Paese sta conoscendo e la violazione sostanziale dei principi costituzionali”. Nella nota, anche un commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “il messaggio di speranza che arriva dal corto di Alessandro Grande è lo stesso che anima la resistenza di quanti, nel mondo, lottano contro un’ingiusta detenzione. In una prigione dell’America Latina, decenni fa, un detenuto scrisse “il mio corpo è prigioniero, le mie idee restano libere”. Lo stesso messaggio che ritroviamo nel corto In My Prison”. “Credo che i risultati di In My Prison, superino ogni aspettativa - ha concludo il regista - credo inoltre che non ci sia iniziativa migliore dove poter inserire questo lavoro, che sposa perfettamente l’ideologia di Amnesty International. Ringrazio anche l’organizzazione di Vicoli Corti, un festival sensibile e attento alle tematiche sociali”. Libia: Amnesty; proteggere detenuti da tortura… le violenze sia dai “lealisti” sia dai “ribelli” Redattore Sociale, 26 agosto 2011 Una delegazione dell’ong, giunta in Libia martedì scorso, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati pro-Gheddafi che da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya. Amnesty International si appella a entrambe le parti coinvolte nel conflitto in corso in Libia chiedendo loro di proteggere i detenuti dalla tortura. Una delegazione dell’Ong, giunta in Libia martedì scorso, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati pro-Gheddafi che da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya. Testimonianze di violenze commesse dalle forze ribelli contro soldati pro-Gheddafi. Martedì scorso, Amnesty International ha incontrato rappresentanti delle forze ribelli nei locali della scuola Bir Tirfas, usata ora come centro di detenzione per i soldati pro-Gheddafi e per presunti mercenari e civili fedeli al colonnello. I rappresentanti delle forze ribelli hanno dichiarato che le violazioni dei diritti umani commesse sotto il precedente regime non si ripeteranno. Hanno aggiunto che tuteleranno il diritto dei detenuti a essere trattati con dignità e che questi riceveranno processi equi. Un ragazzo, intervistato da Amnesty International in una cella sovraffollata in cui 125 persone riuscivano a malapena a muoversi e a dormire, ha raccontato come ha risposto all’appello del governo di Gheddafi a prendere le armi contro l’opposizione. Ha dichiarato di essere stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli è stato messo in mano un kalashnikov, che non sapeva minimamente come usare: “Quando la Nato ha bombardato il campo, il 14 agosto, i sopravvissuti sono fuggiti. Ho abbandonato il mio fucile e ho chiesto riparo in una casa nei dintorni; ho raccontato ai proprietari cosa mi era successo e loro devono aver chiamato i thuuwar (i rivoluzionari”), perché sono arrivati subito dopo. Mi hanno chiesto di arrendermi e ho alzato le mani. Mi hanno fatto inginocchiare e mettere le mani dietro la testa. Poi uno mi ha detto di alzarmi. Quando l’ho fatto, mi ha sparato da corta distanza a un ginocchio. Sono caduto per terra e hanno continuato a picchiarmi col calcio dei loro fucili su tutto il corpo e in faccia. Mi hanno medicato con tre punti dietro l’orecchio sinistro. Nel centro di detenzione, di tanto in tanto continuavano a picchiarci, chiamandoci assassini”. Un appartenente alle forze di sicurezza di Gheddafi ha riferito ad Amnesty International di essere stato rapito da un gruppo di uomini armati, il 19 agosto, mentre stava portando rifornimenti alle forze pro-Gheddafi. Ha affermato di essere stato picchiato su tutto il corpo col calcio dei fucili, preso a pugni e a calci. Il suo aspetto rendeva credibile la testimonianza. Ha proseguito dicendo che nel centro di detenzione, le percosse erano meno frequenti e brutali ma dipendeva da chi era di guardia. Contro lavoratori migranti. Secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei prigionieri è costituito da “mercenari stranieri”, tra cui cittadini del Ciad, del Niger e del Sudan. Quando Amnesty International ha parlato con diversi di loro, hanno affermato di essere lavoratori migranti, arrestati nelle loro case, sul posto di lavoro o semplicemente a causa del colore della pelle. Nessuno indossava uniformi militari. Hanno detto di temere per la loro vita poiché i loro rapitori e le guardie li hanno minacciati di “essere eliminati o condannati a morte”. Cinque parenti di una famiglia del Ciad, tra cui un minorenne, hanno dichiarato ad Amnesty International che il 19 agosto stavano guidando verso una fattoria fuori Az-Zawiya per fare un po’ di raccolto, quando sono stati fermati da un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali in divisa militare. Gli uomini armati hanno presunto che si trattasse di mercenari e li hanno portati al centro di detenzione, nonostante il loro autista avesse dato assicurazioni che erano lavoratori migranti. Un uomo di 24 anni, del Niger, che risiedeva e lavorava in Libia da cinque anni, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato rapito dalla sua abitazione da tre uomini armati il 20 agosto. Ha riferito di essere stato ammanettato, picchiato e messo nel portabagagli di una vettura. “Non sono minimamente coinvolto in questa guerra. Tutto quello che volevo era trovare un modo di vivere. Ma a causa del colore della mia pelle, mi trovo qui in carcere. Chi sa cosa mi accadrà ora...” Testimonianze di violenze commesse dalle forze pro-Gheddafi. La delegazione di Amnesty International ha scoperto prove di stupri commessi contro i detenuti nella famigerata prigione di Abu Salim, a Tripoli. Ex detenuti hanno dichiarato di aver visto giovani uomini portati fuori dalle celle di notte e rientrati diverse ore dopo con l’aspetto stravolto. Due ragazzi hanno riferito ai compagni di cella di essere stati stuprati da un secondino. Secondo un ex detenuto, “uno dei ragazzi era in pessime condizioni dopo essere stato riportato in cella. I vestiti erano strappati, era quasi nudo. Ci ha detto che era stato stuprato. è accaduto a quei due ragazzi per diverse volte”. Migliaia di uomini, tra cui civili estranei ai combattimenti, sono “scomparsi” durante il conflitto dopo essere stati presi dalle forze pro-Gheddafi. Le loro famiglie vivono da mesi nell’angoscia di non conoscere la loro sorte. Coloro che sono stati liberati dalle carceri di Tripoli e di Sirte raccontano storie di tortura. Hanno descritto ad Amnesty International di essere stati picchiati con cavi di metallo, manganelli, bastoni e di essere stati sottoposti a scariche elettriche. I delegati di Amnesty International hanno anche incontrato uomini che hanno riferito di essere stati feriti a colpi di pistola dai soldati pro-Gheddafi dopo che erano stati catturati e dunque non costituivano più alcuna minaccia. Un uomo catturato nei pressi di Ajdabiya il 21 marzo ha raccontato che i suoi rapitori lo hanno bendato e lo hanno seviziato inserendo una canna di fucile nel suo ano. Iran: il direttore delle carceri; da noi nessuna tortura… i prigionieri sono trattati con rispetto di Riccardo Noury Corriere della Sera, 26 agosto 2011 Ma quali torture! Ma quali scioperi della fame dei detenuti! Secondo il direttore dell’Organizzazione delle prigioni iraniane, Gholamhossein Esmaili, nelle prigioni del paese non ci sono violazioni dei diritti umani e dunque non ci sono ragioni per ricorrere a forme di protesta estreme come il rifiuto del cibo. In un’intervista all’agenzia Mehr, che non rappresenta la voce ufficiale del governo iraniano ma gli è comunque vicino, Esmaili bolla le denunce di tortura nelle carceri come “menzogne assurde”. “La tortura viene praticata nelle prigioni dirette dalla polizia e in cui i prigionieri vengono continuamente sottoposti a interrogatori”, spiega Esmaili, evidentemente riferendosi ad altri paesi, giacché poi prosegue: “Le prigioni iraniane non sono dirette dalla polizia o da singoli giudici. Sono dirette in modo indipendente come filiali dell’Organizzazione delle prigioni, sotto la supervisione del sistema giudiziario”. Una spiegazione un po’ contorta, seguita da una precisazione perentoria: “Non ci sono carceri o centri di detenzione segreti amministrati dall’Organizzazione delle prigioni”. L’illustrazione delle ragioni per cui gli scioperi della fame sarebbero “mera propaganda” è più creativa: “Nella maggior parte dei casi, i prigionieri non sono in sciopero della fame e non hanno intenzione di intraprenderlo. Annunciano che svolgeranno uno sciopero della fame, lo fanno sapere ai mezzi d’informazione stranieri e loro, con un grande oplà (sic!), riprendono la notizia. Può capitare che alcuni prigionieri rifiutino di tanto in tanto il cibo, ma è per via del Ramadan o magari perché hanno comprato per conto proprio qualcosa da mangiare allo spaccio della prigione”. Fin qui il direttore delle carceri iraniane. Domanda: se è così sicuro di quello che sostiene, perché non autorizza le organizzazioni non governative o i comitati di esperti dell’Onu in materia di tortura a ispezionare le carceri? Negli ultimi due anni, decine e decine di prigionieri iraniani hanno denunciato le torture subite in carcere. Iran Human Rights Italia ha pubblicato un resoconto delle condizioni di prigionia nel paese. Le famiglie dei detenuti condannati nel periodo immediatamente successivo alla contestata rielezione del presidente Ahmadinejad hanno implorato Ahmad Shaheed, da poco eletto Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’Iran, di visitare il paese, entrare nelle prigioni e rendersi conto di persona di quanto accade. Esattamente tre mesi fa, il 26 maggio, un gruppo di prigionieri politici ha denunciato le Guardie rivoluzionarie e il ministero dell’Intelligence per “tortura e violazione dei diritti civili”. Sempre negli ultimi due anni, nelle prigioni iraniane vi sono stati numerosi scioperi della fame, singoli o di gruppi di detenuti. A giugno, 12 prigionieri hanno iniziato a rifiutare il cibo per protestare contro la morte di due compagni di prigionia: Hoda Saber e Haleh Sahabi. Il primo, a sua volta, era entrato in sciopero della fame per protestare contro la morte del secondo, deceduto mentre era in permesso per assistere al funerale del padre: cerimonia furibondamente rovinata dall’intervento delle forze di sicurezza. Saber è morto al decimo giorno di sciopero della fame, ma decine di prigionieri hanno denunciato che tra l’ottavo e il nono giorno era stato brutalmente picchiato dai secondini. Centinaia e centinaia di cittadine e cittadini iraniani (giornalisti, blogger, avvocati, difensori dei diritti umani, scrittori, registi, insegnanti, sindacalisti, studenti) languono nelle prigioni del paese. Ma per il direttore Gholamhossein Esmaili, sarà certamente un altro aspetto della propaganda su cui i media stranieri si buttano a capofitto. Naturalmente, con un grande oplà…