Un numero speciale dedicato ad Elton… con l’aiuto dei lettori Ristretti Orizzonti, 24 agosto 2011 Gentili lettori, chi di voi segue con un po’ di attenzione il nostro giornale conosce senz’altro Elton Kalica: è da anni uno dei pilastri della redazione e una delle migliori “firme” di Ristretti. Fra circa due mesi Elton finalmente finirà di scontare la sua pena. Della sua storia abbiamo parlato a lungo sul nostro giornale. Noi raramente diamo spazio a recriminazioni e lamentele sulle pene più o meno giuste che le persone si trovano a scontare, anche perché questo rischia sempre di far diventare le testimonianze personali delle sequele di accuse ai giudici troppo duri, alle leggi troppo severe, e insomma una continua ricerca di piccole o grandi giustificazioni. Il racconto di sé è interessante invece quando le persone detenute ripercorrono la loro vita, alla ricerca di quei passaggi, di quegli “scivolamenti”, di quelle leggerezze che poi hanno portato a superare i limiti e a passare “dall’altra parte”. Per Elton Kalica però abbiamo fatto un’eccezione, perché la sua è una storia di eccezionale ingiustizia, un “regalo” velenoso di una di quelle leggi emergenziali che hanno reso così spesso negli ultimi anni ingiusta la nostra Giustizia. Condannato quando aveva appena vent’anni per un reato del 4 bis primo comma, ha fatto quindici anni di carcere senza la possibilità di accedere a un permesso premio e a una misura alternativa, nonostante un percorso di autentica crescita personale, sia con l’attività di Ristretti, sia grazie allo studio, alla laurea magistrale in Scienze politiche e poi alla laurea specialistica, ma ci sono reati e pene per i quali la rieducazione praticamente non esiste, non è riconosciuta. Adesso si appresta a uscire, e noi di Ristretti vorremmo potesse continuare a lavorare con noi nella redazione esterna, ma ancora una volta una legge ingiusta potrebbe non permetterglielo: l’uscita dal carcere rischia di coincidere con una espulsione, quindi di nuovo la negazione del percorso di rieducazione fatto nel corso della detenzione, e riconosciuto da tutte le istituzioni, a partire dal direttore del carcere fino al magistrato di Sorveglianza. Cosa chiediamo ai nostri lettori? Chiediamo di aiutarci a fare un numero speciale di Ristretti Orizzonti dedicato a Elton, alla sua storia e a quanto di disastroso abbia rappresentato e rappresenti per le carceri il concetto di emergenza: leggi emergenziali, emergenza sovraffollamento, emergenza suicidi, non esiste normalità ma solo emergenza. Quando succederà che finalmente ci si renda conto di una verità elementare, che chi sta in carcere fa parte della società, e deve essere trattato come una persona sempre, ben prima di arrivare alle solite emergenze? Fare ricorso sempre e solo al carcere per ogni reato non è una catastrofe naturale inevitabile, come un’alluvione o un terremoto, è una scelta determinata dall’illusione che “a noi non capiterà mai”. Rendiamoci conto che può capitare ance a noi, e mettiamo fine a questo drammatico uso della logica dell’emergenza. Aspettiamo vostri articoli, suggerimenti, riflessioni. La Redazione di Ristretti Orizzonti Giustizia: carceri al collasso, l’ipotesi amnistia di Carlo Di Foggia La Stampa, 24 agosto 2011 La situazione, dopo un periodo di flessione è tornata a peggiorare. A fine aprile infatti la Corte di Giustizia europea ha involontariamente tamponato il problema, bocciando il reato di clandestinità introdotto in Italia nel 2009 e un effetto deflattivo è arrivato anche dalla legge sulla detenzione domiciliare, prevista per chi ha 12 mesi di pena residua. Soluzioni estemporanee che hanno rimandato la decisione. Ci risiamo, a distanza di quasi cinque anni dall’indulto, la situazione nelle carceri è di nuovo a un punto critico e peggiora di giorno in giorno, trascinando il sistema penitenziario al collasso. Ieri i sindacati di categoria hanno alzato la voce e indirizzato al governo l’ennesimo allarme sulle condizioni in cui versano gli istituti di pena. Una situazione, in realtà, ben nota negli ambienti istituzionali e testimoniata a fine luglio dal convegno sulla giustizia organizzato dai radicali e che ha visto anche la partecipazione del Presidente della repubblica. “Ogni giorno - denuncia l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria - 40 nuovi detenuti fanno il loro ingresso in carcere e i penitenziari scoppiano”. In sette regioni la “soglia di tollerabilità” è stata ampiamente superata, con il record registrato dalla Puglia dove i detenuti sono l’80% in più rispetto al limite previsto, seguita da Lombardia (+187), Veneto (+187), Marche (+135), Liguria (+79) e Friuli (+62). L’Emilia Romagna, con “soli” 20 detenuti in più, segna il livello migliore ma la situazione in realtà è più complessa. Di per se infatti la “tollerabilità”, prevista dal Dipartimento di polizia penitenziaria, è già uno sforamento del limite previsto. In sostanza, le strutture prevedono un numero di posti disponibili che viene puntualmente superato, ma lo sforamento è messo in conto dal Ministero che addirittura fissa una capienza massima “accettabile” (stimata in 69.126 detenuti). Il limite però è stato superato: attualmente infatti i detenuti sono 66.754 e rappresentano il 46% in più rispetto ai posti disponibili (45.647). La situazione, dopo un periodo di flessione è tornata a peggiorare. A fine aprile infatti la Corte di Giustizia europea ha involontariamente tamponato il problema, bocciando il reato di clandestinità introdotto in Italia nel 2009 e un effetto deflattivo è arrivato anche dalla legge sulla detenzione domiciliare, prevista per chi ha 12 mesi di pena residua. Soluzioni estemporanee però che hanno solo rimandato il problema. Dalla metà di agosto infatti, il trend è di nuovo in crescita e le previsioni sono negative. Il sovraffollamento però non è l’unico aspetto della “questione penitenziaria”: carenza di mezzi e di personale - denunciano i sindacati - stanno mettendo a dura prova il sistema penitenziario. “È necessario che trovino spazio e attenzione anche le difficoltà che investono il personale - spiega in una nota Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa - considerato che la polizia penitenziaria presenta un gap di circa 7mila unità”. Una miscela esplosiva che ha indotto il sindacato di categoria della Uil ha proclamare una manifestazione nazionale per il prossimo 29 settembre. Intanto, sul fronte istituzionale, qualcosa inizia a muoversi: i radicali infatti hanno avviato una raccolta di firme dei parlamentari per consentire una seduta straordinaria delle Camere che studi provvedimenti urgenti di depenalizzazione e decarcerizzazione, per alleggerire la situazione degli istituti di pena. Si torna a parlare addirittura di amnistia, una strada quasi impossibile nelle condizioni attuali. “Chiediamo al parlamento di ripristinare la legalità costituzionale - spiega la senatrice Donatella Poretti, una delle promotrici dell’iniziativa - perché la situazione delle carceri in Italia, oggi, è contraria ai più basilari diritti dell’uomo”. Un appello a cui si associano tutte le sigle sindacali e la petizione - fanno sapere i firmatari - ha raccolto molte adesioni. La parola adesso passa al parlamento ma, vista l’attenzione catalizzata dalla manovra correttiva, i margini d’azione sembrano decisamente pochi. Giustizia: Pannella; raggiunta quota di senatori per convocazione Parlamento su amnistia Notizie Radicali, 24 agosto 2011 A seguito della mobilitazione promossa dai Radicali, ieri sera, durante la trasmissione di Radio Carcere, Marco Pannella ha annunciato che è stata raggiunta la quota di senatori che determina la convocazione del Senato e, anche di diritto, art. 62 della Costituzione, la convocazione dell’altra Camera. Si tratta di un primo successo dell’iniziativa radicale per ottenere un provvedimento di amnistia e indulto. In questo momento drammatico di emergenza delle carceri e di crisi estrema del sistema giustizia, riportiamo le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al convegno promosso dai Radicali che si tenne al Senato il 28 luglio scorso: “A proposito delle scelte politiche e legislative: (…) Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo. A proposito delle finalità costituzionali della pena: (…) Evidente in generale è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo (…) Rivolgendosi alla Politica: (…) è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. (…) non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non fosse altro per istinto di sopravvivenza nazionale?” Giustizia: Palma nel deserto… di Luigi Manconi Il Foglio, 24 agosto 2011 Sull’omicidio stradale sbaglia, ma sull’emergenza carceri il nuovo Guardasigilli non promette male. Il nuovo ministro della Giustizia Nitto Palma sostiene la necessità di una drastica depenalizzazione (ovvero riduzione del numero di atti e comportamenti, violazioni e infrazioni classificati come fattispecie penali e sanzionabili con la detenzione in carcere): ed ecco che salta su, vispo come un grillo, il nuovo ministro della Giustizia Nitto Palma che sostiene la necessità di incrementare la penalizzazione, introducendo il reato di “omicidio stradale” nel catalogo dei reati e delle sanzioni. Ma ce n’è proprio bisogno? O si tratta, invece, dell’ennesima ammuina degli imprenditori politici della paura? Attualmente “l’omicidio stradale” (commesso cioè con violazione delle norme sulla circolazione) da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con la reclusione da tre a dieci anni; e tale pena è suscettibile di aumento fino al triplo (sia pure con limite di quindici anni massimo) nel caso di morte di più persone. Questo prevede l’attuale articolo 589, comma IH del codice penale, come modificato dal decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 125/2008, In ogni caso, sono possibili sia l’arresto - che è facoltativo, non obbligatorio - in flagranza (sussistendo ovviamente la gravità del fatto o la pericolosità del soggetto), sia la custodia cautelare in carcere. Dunque, non essendo gli strumenti investigativi in alcun modo carenti per l’accertamento di questo reato, l’annuncio del ministro della Giustizia e di quello dell’Interno (vero ispiratore del progetto) di voler tipizzare un autonomo delitto di “omicidio stradale” non può motivarsi sulla base di esigenze d’indagine né, tanto meno, sulla base di esigenze di prevenzione generale, essendo la pena astrattamente prevista già sufficientemente elevata: e, quindi, si presume, dissuasiva. Questa rubrica, coerentemente con il suo titolo politicamente correttissimo, ha fatto dell’assenza di pregiudizi la propria cifra, prima stilistica che politica (e, d’altra parte, come dimenticare che omnia munda mundis?), e comunque ci prova. Dunque questa rubrica respingerà vigorosamente la sordida insinuazione che, a ispirare quel disegno di legge ferragostano, sia stato il fatto che il più recente “omicidio stradale” è opera di un albanese. E tuttavia, il nuovo ministro della Giustizia Nitto Palma, a differenza del predecessore Angelino Tutto-Fumo-Niente-Arrosto Alfano, sembra intenzionato a darsi da fare. E ha indicato alcune direttrici di lavoro per ridurre o almeno contenere, in tempi brevi, l’abnorme sovraffollamento penitenziario. Un paio di idee finora esposte non sono sbagliate. Chissà. Giustizia; gli avvocati penalisti da Nitto Palma, per rilanciare le riforme www.imgpress.it, 24 agosto 2011 Rilanciare la riforma costituzionale della giustizia, completare al più presto la riforma forense, puntare non solo sulla velocizzazione dei processi ma soprattutto sulla loro qualità. È quanto Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali, ha segnalato al guardasigilli Nitto Francesco Palma nel corso di un “lungo e cordiale” incontro al ministero di via Arenula. “Abbiamo chiesto al nuovo ministro - sintetizza il leader dei penalisti - di dare un segnale forte per la ripresa dei lavori parlamentari sulla riforma costituzionale, una riforma assolutamente necessaria che, da come sta andando la discussione, è a rischio insabbiamento. Al guardasigilli abbiamo anche ribadito - prosegue Spigarelli - che va portata a compimento la riforma dell’ordinamento forense: la manovra economica di ferragosto, là dove tocca le professioni, non deve essere di ostacolo ma deve piuttosto spronare ad accelerare i tempi di approvazione della riforma che è all’esame della commissione giustizia della Camera dopo essere già stata approvata al Senato. Punto centrale di ogni intervento al riguardo deve essere la tutela della specificità della funzione dell’avvocato e la sua specializzazione”. Ai penalisti, peraltro, il ministro Palma ha sottolineato l’urgenza di una revisione delle circoscrizioni giudiziarie: “Gli abbiamo confermato che non siamo contrari - riferisce Spigarelli annunciando che l’Ucpi costituirà al riguardo una sua commissione - ma che una revisione non può seguire esclusivamente criteri economicistici e di risparmio dovendo invece tener conto anche di parametri (produttività, presenza, incidenza) legati alla specificità del territorio e delle singole sedi giudiziarie”. Il presidente dei penalisti, anche con riferimento all’eventuale reato di omicidio stradale, ha messo in guardia da interventi emergenziali sul codice penale: “Al diritto sostanziale serve una riforma organica e complessiva, non certo provvedimenti estemporanei sulla base di fenomeni alimentati dai media ma che poi non trovano corrispondenza nelle statistiche ministeriali”. Quanto alla necessità di velocizzare i processi, Spigarelli ha sottolineato che i penalisti hanno, fin dal 2009, indicato una serie di interventi che attengono al sistema delle notifiche, in particolare nel corso delle indagini preliminari che sono il vero “buco nero della durata dei procedimenti”, e dunque sono pronti al confronto ma che “occorre - avverte - un intervento non solo sui tempi ma anche sulla qualità del processo”. In relazione alla esplosiva situazione delle carceri, Spigarelli ha sottolineato “la necessità di intervenire tanto sul sistema sanzionatorio quanto, ancor più rapidamente, sulla normativa riguardante la custodia cautelare e il cd immediato cautelare, per impedirne gli abusi applicativi che fanno sì che oggi in carcere quasi la metà dei detenuti siano in attesa di giudizio”. Giustizia: Li Gotti (Idv); braccialetti per controllo detenuti sono soluzione tecnica positiva Adnkronos, 24 agosto 2011 Quella dei braccialetti elettronici per il controllo dei detenuti agli arresti domiciliari è una “soluzione tecnica positiva, sperimentata all’estero con successo” ma in Italia “a fronte di un contratto stipulato con la Telecom per 110 milioni di euro in 10 anni, dal 2001 al 2011, su 450 pezzi ne è stato utilizzato uno solo”. Luigi Li Gotti, senatore dell’Italia dei valori e capogruppo in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, interviene cosi’ sulla questione del mancato utilizzo dei dispositivi di controllo, entrata prepotentemente nel dibattito sull’emergenza carceri. L’uso de braccialetti elettronici, spiega Li Gotti all’Adnkronos, “consentirebbe di gestire la detenzione domiciliare senza utilizzare poliziotti e carabinieri per il controllo dei detenuti. Quindi, non appesantendo il lavoro delle forze dell’ordine sul territorio, potrebbe favorire l’uso della pena alternativa, e incidere sul sovraffollamento delle carceri”. Tuttavia “è stata considerata una soluzione che non forniva garanzie. Il controllo di funzionalità, al quale i dispositivi sono stati sottoposti, non ha dato esito positivo. Bisognerebbe chiedersi perché queste perplessità non siano emerse prima della stipula del contratto con la Telecom”, sottolinea il senatore. Su questo l’Idv ha più volte sollecitato il precedente ministro, Angelino Alfano. “Lo abbiamo invitato a riferire in Commissione ma non è mai venuto - ricorda Li Gotti - Alfano parlò del braccialetto elettronico solo quando, all’inizio del suo mandato, riferì in Aula alla Camera e al Senato sul piano carceri”. E, assicura Li Gotti, “ne chiederemo contro presto al nuovo ministro, che è un tecnico e col quale speriamo in un’interlocuzione più dinamica”. Giustizia: caso Franceschi; madre Daniele protesta davanti all’Eliseo, è ancora mistero su organi Adnkronos, 24 agosto 2011 La madre di Daniele Franceschi, il trentaseienne viareggino morto nel carcere francese di Grasse il 25 agosto dello scorso anno, domani inscenerà una protesta davanti all’Eliseo, al ministero di giustizia e ai palazzi istituzionali francesi. A un anno esatto dalla morte del figlio, Cira Antignano, che sarà accompagnata dal suo legale, Aldo Lasagna, si incatenerà davanti alle sedi delle più alte autorità francesi chiedendo “verità e giustizia”. Già nell’ottobre dello scorso anno la donna si recò a Parigi per vedere l’ultima volta suo figlio e per avere chiarimenti sulla sua morte, avvenuta in circostanze misteriose, ma dopo una protesta davanti al carcere di Grasse fu arrestata e rilasciata solo dopo l’intervento del console e la grazia ricevuta dalle autorità francesi per “motivi umanitari”. Franceschi, secondo le autorità transalpine, è deceduto per un infarto in carcere mentre secondo la madre il figlio avrebbe subito maltrattamenti e comunque non avrebbe ricevuto le cure adeguate. A spingere la donna a tornare in Francia domani, spiega all’Adnkronos l’avvocato Lasagna, “il silenzio delle autorità francesi di fronte alle richieste di rogatoria da parte degli inquirenti italiani e il mistero sugli organi di Daniele: a un anno dalla sua morte non si sa che fine abbiano fatto”. Lettere: la legge non deve cavalcare l’emotività di Mario Cervi Il Giornale, 24 agosto 2011 Caro dottor Cervi, le sue valutazioni sui problemi della giustizia sono da sempre obiettive e assennate, perciò mi rivolgo a lei perché mi conforti con il suo parere su alcune cose che mi lasciano assai perplesso. Negli ultimi tempi, di fronte al ripetersi di incidenti anche mortali causati da guidatori in stato di ebbrezza, si è pensato di introdurre nel codice il reato di omicidio stradale. Nei giorni di Ferragosto poi si sono avuti molti gravi incidenti in mare, per cui si presume che verrà proposta anche l’introduzione del reato di omicidio nautico. Qualcosa di simile era già avvenuto con il reato di stalking, che non esisteva nel nostro codice. Tutto ciò perché, si dice, i giudici hanno le mani legate in quanto devono rispettare leggi inadeguate. A me pare però che quest’impedimento valga solo in certi casi, e che in altri il giudice rivendichi la propria discrezionalità. Non credo che, a esempio, non si potessero trovare nel codice appigli sufficienti per punire chi minacciava pesantemente e ripetutamente la ex- convivente (e quante di queste situazioni si sono concluse con lesioni gravi e omicidi?). Le aggravanti non si applicano più? Enzo Garberoglio Caro Garberoglio, le novità giudiziarie in tradotte sull’onda emotiva di fatti particolarmente frequenti o particolarmente gravi - o entrambe le cose - mi convincono poco. Si invoca l’omicidio stradale sotto l’effetto di alcuni sconvolgenti episodi, e lei prospetta ironicamente l’introduzione dell’omicidio nautico. Con analoga logica si è voluta attribuire la qualifica di omicidio volontario a incidenti sul lavoro, anche atroci e da punire con durezza, come quello della Thyssen. Non credo sia impossibile mandare in galera gli sciagurati e criminali responsabili di tragedie costate la vita a più persone senza inventare un nuovo reato. Osservo inoltre che, ai fini d’un giusto equilibrio tra il reato e la pena, la troppo frequente riconcessione della patente a guidatori incoscienti, coinvolti in incidenti mortali, è a mio avviso grave quanto la mancata carcerazione dei peggiori delinquenti del volante. Non vorrei essere accusato di servire il capitale nelle sue forme più abbiette se mi dichiaro favorevolissimo a pene molto severe per i responsabili di sciagure sul lavoro, ma perplesso sull’accusa di omicidio volontario loro addebitata. Omicidio volontario - esprimo il mio parere di orecchiante - è il reato di chi vuole uccidere. Cosa diversa dall’avidità di guadagno e dalla negligenza di chi ha trascurato le tutele e cautele cui hanno diritto quanti lavorano, soprattutto se con mansioni pericolose. Lo so, la platea applaude se si forza la legge in senso politicamente corretto. Ma gli eccessi di zelo possono compromettere, anziché agevolare, la causa per cui ci si batte. Di norme che possano adeguatamente sanzionare i colpevoli e risarcire le vittime ne abbiamo, sulla carta, quanto basta e avanza. L’importante, lo scrivo un’ennesima volta, è che le pene siano espiate, che la recidività sia adeguatamente valutata, che la mannaia della prescrizione non si abbatta sui processi. Accontentiamoci d’una soddisfacente routine penale, senza chiedere provvedimenti d’emergenza. Chi la realizzasse meriterebbe l’imperitura gratitudine degli italiani. Invece ci facciamo trascinare da allarmi e proteste del momento, e crediamo davvero che l’antrace nella corrispondenza e la mucca pazza siano fenomeni minacciosi e permanenti. Lettere: carcere è prevenzione? di Vincenzo Andraous www.osservatoriosullalegalita.org, 24 agosto 2011 Uscito dal carcere dopo aver scontato parecchi anni di detenzione, è subito rientrato praticamente nella stessa cella per avere commesso un altro furto. Un ex detenuto dorme sotto un ponte coperto da un sacco a pelo, sopravvive chiedendo un euro di elemosina, perché non vuole rientrare da dove è appena uscito. Un altro ancora mi dice che da giorni cerca disperatamente una sistemazione, un lavoro qualunque, una possibilità di ritornare a sentirsi un uomo libero davvero, e non solamente perché sono stati spalancati i blindati del carcere dove era rinchiuso. È sufficiente avvicinare tante persone alla deriva, ascoltare uomini e donne in ginocchio, provare a dedicare qualche attimo di prossimità con ragazzi assai più vecchi della loro età per comprendere come la libertà riacquistata non sia quella terra promessa che avevano immaginato. È una umanità dolente che vaga come un nomade senza una meta precisa, alla ricerca di qualcosa che pare non esserci, dove altre sono le priorità, le necessità impellenti non più procrastinabili, che pensare a chi è appena uscito da quel contenitore che non definisce mai cosa sia uscito dalle sue interiora. Governi, ministri, politici, non fanno attenzione a questa indifferenza cui è costretto il panorama penitenziario italiano, tanto meno alle persone ristrette, a quelle che scontano la loro pena, alle altre che ritornano in seno al consorzio civile. Al carcere è richiesto di risolvere tutte le contraddizioni sociali, ma egli stesso lo è: mentre molti dichiarano di considerare il carcere e la pena uno strumento ultimo, altrettanti varcano i suoi cancelli facendo divenire la prigione un buco nero, dove il sovraffollamento, indubbiamente patologia endemica all’Amministrazione Penitenziaria, miete coscienze, umanità, vittime, spesso si trasforma in un vero e proprio coperchio per nascondere assenze e mancanze tutte politiche, riconducibili a quella volontà politica che vorrebbe risolvere un vero e proprio annientamento psico-fisico con la messa in posa di nuova edilizia carceraria, centrata sul contenimento, sul mantenimento, sulla costruzione non troppo velata di una stessa dinamica incapacitante per drogati, extracomunitari, disperati-diseredati, e una moltitudine di malati psichici che dovrebbero essere trattati in strutture “doppia diagnosi”. Un carcere di delinquenti, certamente sì, ma scomposto per le tante parole che nascondono una realtà feroce e debordante, quando le immagini ci sbattono in viso, e sono scatti rubati, colti all’improvviso, che sfuggono le censure, peccati culturali inconfessabili, ma che drammaticamente a volte trapelano, bucano le grate, i muri di cinta, travolgendo le indifferenze colpevoli. Ciò non è solamente una violazione del pensare e progettare una giustizia più giusta perché equa per tutti, una società migliore perché onestamente convocata a partecipare a un progetto, una magistratura efficace perché posta nella condizione di incidere sulle priorità delle illegalità diffuse, una popolazione detenuta finalmente intesa di persone, mai più di soli numeri e cose da affidare a una pena svuotata della sua utilità. Quell’uomo che dorme all’addiaccio, forse dovrebbe esser assunto come monito, più che come semplice miserabile da annoverare alla schiera dei reietti, affinché prevenzione e difesa sociale non impediscano l’unica garanzia a tutela della collettività, quella della risocializzazione e del reinserimento del condannato una volta espiata la pena. Emilia Romagna: l’Assessore Marzocchi sui progetti di reinserimento sociale dei detenuti www.sassuolo2000.it, 24 agosto 2011 La risposta dell’Assessore alle politiche Sociali Teresa Marzocchi ad all’interpellanza del Consigliere Pollastri relativa ai progetti di reinserimento sociale dei detenuti messi in campo dalla Regione. Egregio Consigliere, per rispondere in modo esaustivo all’interpellanza da lei presentata, le confermo che, per l’anno 2011, le risorse destinate dalle politiche sociali ai Comuni sede di carcere restano invariate, e cioè: 245.000 euro per “Interventi rivolti alle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale, promossi dai Comuni sede di carcere” (Dgr 2288/2010). Il programma prevede prioritariamente lo sviluppo e consolidamento delle attività degli sportelli informativi per detenute/i attualmente operanti in tutti gli istituti penitenziari della regione Emilia-Romagna, a garanzia di continuità con gli anni precedenti. Lo sviluppo ed il consolidamento delle attività dovranno realizzarsi anche attraverso una maggiore integrazione sia con le esperienze ed i progetti di integrazione sociale (ex D.Lgs. 286/98), in particolare con la rete degli “Sportelli e/o Centri informativi”, realizzati dai Comuni sul territorio della Regione, sia con i percorsi sperimentali avviati per la costruzione degli Sportelli Sociali (art. 7 L.R.2/2003). Il consolidamento delle attività degli sportelli attraverso le attività di mediazione interculturale è necessario per far fronte alle problematiche relative alla forte presenza di detenuti/e stranieri (che superano il 50% ). Sarà favorita la collaborazione con tutte le realtà operanti all’interno delle strutture penitenziarie (associazioni di volontariato e altre). Inoltre: - Reinserimento sociale, accoglienza e accompagnamento sociale e lavorativo delle persone coinvolte in area penale, di condannati in esecuzione penale sia esterna che interna e di soggetti che abbiano terminato di scontare la pena da non più di 6 mesi, residenti nel territorio provinciale. - Azioni rivolte ad incrementare e facilitare l’esecuzione penale esterna al carcere o alternativa alla pena definitiva: orientamento al lavoro, inserimento lavorativo, attività di miglioramento degli aspetti relazionali dentro gli istituti penitenziari, attività culturali e sportive, biblioteche e centri di documentazione. Sarà favorita la collaborazione con tutte le realtà operanti all’interno delle strutture penitenziarie (associazioni di volontariato e altre). Tutte le azioni si svolgeranno con particolare attenzione alle donne detenute ed ai loro figli minori nonché favorendo la relazione fra i figli ed il genitore detenuto. 100.000 euro quale finanziamento della legge regionale n.3 del 19 febbraio 2008 “Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della regione Emilia-Romagna” (DGR 2222/2010) per lo sviluppo di interventi volti al reinserimento sociale, accoglienza e accompagnamento sociale e lavorativo delle persone coinvolte in area penale, di condannati in esecuzione penale sia esterna che interna e di soggetti che abbiano terminato di scontare la pena da non più di 6 mesi, residenti nel territorio provinciale. Alla realizzazione degli interventi previsti provvederanno i Comuni sede di carcere per il relativo territorio provinciale, in accordo con l’Uepe (ufficio esecuzione penale esterna). In relazione a progetti e richieste di finanziamento, si evidenzia il Progetto Acero, attraverso il quale, in collaborazione con il Prap dell’Emilia-Romagna, si chiede contributo alla Cassa Ammende per costruire percorsi individuali per soggetti in esecuzione di pena, attraverso tirocini lavorativi e progetti di accoglienza presso strutture collettive. Per quanto attiene l’assistenza sanitaria, il passaggio delle competenze dalla medicina penitenziaria al Servizio sanitario regionale, avvenuto nel 2008, ha affidato alle Ausl il mandato di assicurare alle persone detenute tutte le prestazioni di tipo sanitario necessarie. Il Programma regionale salute nelle carceri, approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 2 /2010, delinea le aree di intervento delle AUSL negli istituti penitenziari (assistenza primaria, attività infermieristica, sanità pubblica, assistenza specialistica, odontoiatria, infettivologia, assistenza alle persone affette da dipendenza patologica o da disturbi psichiatrici, tutela della salute della donna, trattamento dei minori, trattamento degli immigrati, ecc.). Il trasferimento di risorse dallo Stato per questa attività è stato, per il 2010, di euro 10.700.000 a fronte di una spesa sostenuta di circa euro 19.000.000. Milano: a San Vittore detenuto muore per il caldo, compagni iniziano sciopero della fame La Repubblica, 24 agosto 2011 L'afa ha stroncato un italiano durante l'ora d'aria. I reclusi si dicono "stanchi e sfiniti dal caldo" e rivendicano "riforme strutturali e nell’immediato un procedimento d’urgenza" da parte di Roma. L’emergenza caldo che in questi giorni affligge Milano ha provocato una vittima nel carcere di San Vittore: alla fine della scorsa settimana un detenuto italiano ha avuto un malore durante l’ora d’aria e, nonostante gli immediati soccorsi prestati dal personale sanitario, è deceduto all’interno della casa circondariale di piazza Filangieri. La notizia è stata confermata dalla direzione del carcere, che sta monitorando in queste ore le condizioni di 15 reclusi che hanno deciso di aderire all’iniziativa promossa dal leader dei Radicali, Marco Pannella, intraprendendo lo sciopero della fame e della sete per protestare contro il sovraffollamento degli istituti di pena italiani. "I detenuti del carcere di San Vittore si uniscono a quanti portano avanti da mesi rivendicazioni inerenti a provvedimenti urgenti in tema di decongestionamento carcerario, si legge nel comunicato firmato da Daniele Liberati, il 61enne portavoce dei reclusi, con cui si annuncia che "in data 23 agosto 2011 viene iniziato uno sciopero della fame e della sete, totale e a oltranza, da dieci detenuti che si daranno il cambio (senza interrompere lo sciopero) con altri dieci, fino al trattamento sanitario obbligatorio". Dalla direzione di San Vittore parlano di «15 persone coinvolte nei diversi reparti, tenute costantemente sotto controllo dal personale sanitario e di sorveglianza. I capireparto hanno però informato la direzione del fatto che alcuni detenuti hanno già manifestato l’intenzione di interrompere lo sciopero. La loro iniziativa si inserisce nella lodevole protesta intrapresa a livello nazionale dai Radicali. Il sovraffollamento è un grave problema delle case circondariali italiane e danneggia tanto i detenuti quanto le persone che lavorano all’interno del carcere". Una situazione problematica ulteriormente aggravata dalle attuali difficili condizioni climatiche: in un altro comunicato, i reclusi di San Vittore si definiscono "stanchi e sfiniti dal caldo" e rivendicano "riforme strutturali e nell’immediato un procedimento d’urgenza". Reggio Calabria: “pentita” suicida, i dubbi della famiglia di Lucio Musolino Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2011 Maria Concetta Cacciola si è tolta la vita a Rosarno dopo aver rinunciato al programma di protezione. Secondo i genitori sarebbe stata indotta a collaborare in cambio di promesse non mantenute. Denunciano lo Stato i genitori della collaboratrice di giustizia, Maria Concetta Cacciola, che si è uccisa ingerendo acido muriatico. L’esposto è stato depositato alla Procura dì Palmi che sta coordinando le indagini. Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro hanno manifestato dubbi sul percorso collaborativo della figlia che, da maggio ad agosto, aveva reso dichiarazioni autoaccusatorie oltre a parlare degli affari della cosca Bellocco e di alcuni suoi familiari coinvolti nelle dinamiche dell’organizzazione mafiosa. Nella denuncia, i genitori ipotizzano che Maria Concetta sia stata indotta a collaborare. In sostanza, secondo la loro ricostruzione, gli inquirenti avrebbero approfittato di un suo momento di debolezza facendole promesse che non sarebbero state poi mantenute. Per avvalorare questa versione, il cognato del boss Gregorio Bellocco e la moglie hanno depositato in procura una lettera scritta dalla figlia quando, a maggio, abbandonò Rosarno per recarsi nella località protetta ed una registrazione audio incisa dalla stessa donna dopo il ritorno a casa, pochi giorni prima del suicidio. “Non so se mia figlia è mai stata un’autentica collaboratrice di giustizia ovvero se sia stata indotta per disegni altrui a tale ruolo, ma per rispetto degli organi inquirenti e della magistratura non svelerò oggi tutto ciò che è a mia conoscenza”. Quelle di Anna Rosalba Lazzaro sono parole pesanti che contribuiscono a intorbidire i contorni di una morte su cui indagano i magistrati di Palmi. Stando all’autopsia, il corpo della donna non aveva segni di violenza. Il suicidio di Maria Concetta Cacciola rimane comunque strano. Così come il fatto che la donna abbia deciso di abbandonare la località protetta per ritornare nella Piana dove i suoi figli continuavano a vivere con i nonni. Non si riesce a comprendere come sia stato possibile che la collaboratrice di giustizia, benché avesse rinunciato al programma di protezione, sia arrivata a Rosarno senza che nessuno si preoccupasse della sua incolumità fisica. Eppure la sua collaborazione era stata ritenuta importante dai magistrati della Dda reggina, i quali l’avevano già interrogata un paio di volte. Sufficienti agli inquirenti per chiedere e ottenere dal Servizio centrale di protezione che Maria Concetta fosse allontanata dalla sua famiglia. Dal padre, Michele Cacciola, cognato del boss Gregorio Bellocco, e dal marito, Salvatore Figliuzzi, attualmente in carcere dove sta scontando una condanna a 8 anni per mafia. I suoi figli no. Erano ancora lì, a Rosarno. A respirare quella stessa aria di ‘ndrangheta che lei ha respirato per 31 anni. Eppure era per loro che Maria Concetta aveva saltato il fosso. Per dare un futuro ai suoi figli, per farli crescere lontani da affetti compromettenti. Un progetto di vita che si è infranto nel bagno dell’abitazione dei suoi genitori. Il suicidio della Cacciola è il terzo che si consuma in Calabria con le stesse modalità. La donna ha bevuto acido muriatico. Lo stesso modo atroce per morire è stato scelto ad aprile da Tita Buccafusca, moglie del boss Pantaleone Mancuso, detto “Luni”, astro nascente della ‘ndrangheta di Vibo Valentia. Pure lei aveva manifestato la scelta di collaborare con la giustizia. Pure il marito ha denunciato i carabinieri ai quali Tita si era rivolta per “liberarsi”. Ancora prima, a dicembre, si era suicidata con l’acido muriatico la dirigente del Comune di Reggio, Orsola Fallara. Era stata beccata con le mani nelle casse del Comune mentre si autoliquidava parcelle per oltre un milione di euro. Il suo corpo agonizzante era stato trovato al porto della città dello Stretto poche ore dopo una violenta conferenza stampa durante la quale aveva annunciato di voler collaborare con i magistrati e chiarire la sua posizione. Si era resa conto di essere l’anello debole di un sistema del quale molti hanno beneficiato, non curanti di un dissesto di bilancio che, al Comune, ammonta a quasi mezzo miliardo di euro. Tre storie diverse, non collegate tra loro. Ma assolutamente simili. Rimini: tbc, scabbia e parassiti; appello dei detenuti per avere condizioni più vivibili Il Resto del Carlino, 24 agosto 2011 I carcerati pronti alla “rivolta”. Sarà una “protesta civile e non violenta”, annunciano, ma le condizioni dei ‘Casetti’ hanno passato il limite. Lunga la lista, dalla mancanza di lenzuola a probabili focolai di Tbc. Si firmano ‘I detenuti della Casa Circondariale di Rimini’, nella lettera che hanno inviato, tra gli altri, anche al ministero della Giustizia, “per solidarietà e adesione ai motivi della protesta dell’onorevole Marco Pannella”. “LE condizioni igienico sanitarie - raccontano - sono al di sotto della soglia minima di vivibilità, sia per il sovraffollamento, ben sapendo quale sia lo spazio vitale spettante a ogni singolo individuo in cella che è sistematicamente eluso, sia per la capienza della struttura”. Di questo, i detenuti non danno la colpa a nessuno, nè alla direzione, tantomeno agli agenti di Polizia penitenziaria, come loro in quella stessa ‘barcà. Sul fronte sanitario, dicono, le cose vanno anche peggio. “Carta igienica, detersivi, lenzuola e quant’altro sono una mancanza che perdura nel tempo. Facendo in modo che le condizioni igienico-sanitarie sia della struttura che dei detenuti, sia messa costantemente a dura prova, con i rischi che ciò comporta. Probabili focolai di Tbc, scabbia, parassiti e tutto quello che si può verificare quando non sono rispettate le più elementari regole e precauzioni. Anche questo aspetto sicuramente non è imputabile alla Direzione, perché è ben noto a tutti la mancanza di fondi in cui versa l’Amministrazione penitenziaria, ma non si può non rispettare il diritto alla salute di ciascun individuo, anche se si tratta di detenuti”. Poco e scadente, invece, il vitto. “La frutta e la verdura il più delle volte sono da buttare e la carne spesso è immangiabile, per non parlare dell’attuale cucina che non è nemmeno a norma”. Quasi completamente assente, poi, il magistrato di sorveglianza. Tra una visita e l’altra, a volte intercorrono mesi. “Ma questo non può ricadere sui detenuti che già vivono in condizioni al limite della decenza e sui diritti loro spettanti, quali liberazione anticipata, permessi premio e tutte le altre misure alternative alla pena”. Infine, l’ora d’aria, l’unico momento in cui vedono il cielo. “I passeggi del carcere di Rimini - spiegano - sono insufficienti per consentire a tutti di usufruire senza promiscuità di sezioni le ore di aria previste dalla legge. Sono sprovvisti di panchine o tettoie, per difendersi dalla pioggia o dal sole cocente. E spesso tra i detenuti ci sono anche persone anziani o malate”. Una “lista della spesa” decisamente lunga, quella che i carcerati dei ‘Casetti’ hanno voluto rendere pubblica, nella speranza che qualcosa cambi. Catanzaro: detenuto in protesta.. se non mi curano m’impicco La Gazzetta del Sud, 24 agosto 2011 “Se non mi danno le cure mediche sarò costretto una volta per tutte a impiccarmi. Voglio aiuto”. Sono le tremende parole, contenute in una lettera inviata a Gazzetta del Sud, di Nuccio Berlingieri, alias “Pupetto”, 30 anni, in carcere perché coinvolto nell’operazione antidroga “Rinascita” effettuata dalla squadra Mobile della Questura catanzarese e che avrebbe, secondo le accuse, sgominato due associazioni a delinquere dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, principalmente nella zona sud del capoluogo. Berlingieri, nella missiva lamenta che “è già quattro volte che sto facendo lo sciopero della fame e della sete per il fatto che sto male di salute” e che avrebbe fatto le analisi che, però, non gli sono state mai consegnate perché smarrite. “Io ho trent’anni - prosegue Berlinigieri nella lettera - e sono costretto a rimanere in carcere senza cure, senza avere i risultati delle analisi perché sarebbero stati smarriti”. Da qui l’appello: “Chiedo al Ministro della Salute di darmi solo la possibilità di andare in una casa di cura per avere le cure del caso. Sono sceso di peso, sono diventato come un handicappato che nessuno vuole curare. Io invece voglio essere curato. venga il Ministro della Salute a valutare le mie condizioni. Non è giusto che passo le pene dell’inferno senza avere le cure necessarie per la mia malattia. Non ce la faccio più a vivere così. Datemi una mano perché ho trent’anni, sono giovane e non voglio altro che curarmi la mia salute. Non faccio altro che soffrire e sento che la mia vita sta venendo meno giorno dopo giorno in carcere”. Nuccio Berlingieri è rimasto coinvolto nell’operazione “Rinascita” in quanto, secondo gli inquirenti, sarebbe il capo di una sotto costola di uno dei due clan (che sarebbero guidati da Domenico Berlingieri, padre di Nuccio, e Silvano Berlingieri) in lotta per il controllo del territorio della zona sud che si occupava di furti, principalmente d’auto, e l’estorsione col cosiddetto “cavallo di ritorno”. Berlingieri, insieme ad altri indagati, tutti coinvolti nell’operazione Rinascita, avrebbe “organizzato la struttura operativa - come si legge nel provvedimento di applicazione della misura cautelare emesso da giudice Tiziana Macrì - con dotazioni di uomini, mezzi, attrezzature idonei al raggiungimento dei fini associativi, controllato il territorio con il fine di individuare i mezzi da asportare ed evitare i controlli delle forze di polizia, rubare i mezzi e nasconderli in luoghi prestabiliti, contattare i proprietari per la restituzione in cambio di un riscatto, condurre le trattative del riscatto, esaudire le richieste di vari committenti dei furti di autovetture destinate al riciclaggio, ripartire tra gli associati gli utili ricavati dal cavallo di ritorno (pagamento del riscatto in cambio della restituzione del bene sottratto), gestire i collegamenti con altre organizzazioni criminali operanti in altre province nel settore dei furti, ricettazione o riciclaggio di mezzi asportati dai partecipanti al sodalizio”. Bologna: 22 i candidati… entro ottobre la nomina del Garante dei detenuti Redattore Sociale, 24 agosto 2011 Sono 22 i curricula arrivati alla presidente del Consiglio comuna e Simona Lembi, che auspica una nomina in temi rapidi. In città il ruolo è ricoperto “ad interim” dal difensore civico. I detenuti del carcere di Bologna torneranno ad avere un garante entro ottobre. L’incarico, rimasto “scoperto” dopo il commissariamento del comune, quest’anno è stato ricoperto ad interim dal difensore civico, che però a ottobre finirà il proprio mandato. Per trovare un nuovo garante dei detenuti Palazzo d’Accursio ha indetto un avviso pubblico che si è chiuso a luglio. “Sono 22 i curriculum pervenuti - spiega la presidente del Consiglio comunale Simona Lembi - fra cui 13 uomini e 9 donne”. L’iter per la nomina del garante partirà a settembre. “La commissione Affari generali del comune si riunirà prima per stabilire i criteri di priorità nell’esame dei curriculum - continua la presidente - e poi per selezionare una rosa di tre nomi: fra questi il Consiglio comunale voterà il futuro garante”. La figura del garante dei detenuti ha come compito principale la tutela dei diritti delle persone recluse, può visitare liberamente il carcere e funge in sostanza da “portavoce” per chi vive dietro le sbarre. Un ruolo determinante, vista la situazione critica delle carceri italiane, e in particolare della casa circondariale Dozza. Per questo la presidente Lembi auspica una nomina in tempi rapidi: “Ho sollecitato la presidente della commissione Valentina Castaldini - conclude - a concludere l’iter il prima possibile e comunque non oltre ottobre”. La Spezia. Banti (Udc): umanizzare le carceri è un dovere in uno stato civile www.cittadellaspezia.com, 24 agosto 2011 Egidio Banti, sindaco di Maissana e Parlamentare ligure, ritorna sul tema delle carceri e coglie l’occasione per rispondere anche al consigliere Musso. In una nota, Banti evidenzia come sia prioritario, in uno stato civile, “umanizzare” le case circondariali e dichiara quanto segue. “Nelle settimane scorse - scrive Banti - ho aderito in modo convinto alle iniziative ed alle proposte di Marco Pannella per sensibilizzare istituzioni ed opinione pubblica sulla drammatica situazione delle carceri italiane. Non è stata la prima volta. L’ho fatto pubblicamente, prendendo la parola alla manifestazione tenutasi a Genova presso il carcere di Marassi. Senza enfasi ma in coerenza con il mio atteggiamento di pensiero e con la mia militanza politica. L’azione politica dei cattolici democratici, su questo punto, è sempre stata in sintonia con quella del leader dei radicali, al quale, nei giorni scorsi, anche l’on. Casini ha espresso pubblicamente solidarietà e sostegno”. L’on. Banti prosegue: “Non posso del resto dimenticare di essere stato deputato nel 2002 e di avere quindi ascoltato di persona Giovanni Paolo II, alla Camera dei deputati, pronunciare queste parole: ‘In questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società”. Il Sindaco, poi risponde al consigliere comunale di Maissana Luciano Musso: “Comprendo che Musso, risiedendo a Treviso, non abbia sempre seguito le vicende e le iniziative dei parlamentari liguri. Ma posso assicurarlo che il tema delle carceri è sempre stato uno di quelli sui quali, in materia di diritti civili, io mi sono adoperato. Da deputato e da senatore ho più volte visitato le carceri liguri, in particolare Chiavari, La Spezia ed anche Massa. Sono stato con i detenuti per i giorni di Natale e di Ferragosto, quando più dolorosa diventa la loro condizione. Ho parlato con dirigenti e con agenti di polizia penitenziaria, e ne ho sempre riferito al mio gruppo. Il 27 dicembre 2005 sono stato tra i pochi parlamentari presenti a Roma per la seduta straordinaria della Camera sulla proposta di indulto e di amnistia, e l’anno seguente, da senatore, ho sostenuto l’approvazione almeno dell’indulto, votando a favore in aula (io ero e resto favorevole ad un provvedimento più generale di amnistia, unico realistico in questo momento di terribile sovraffollamento delle carceri)”. Banti conclude: “Sono convinto che non sia la clemenza, invocata dal papa e da tanti altri, a compromettere la sicurezza di un popolo, ma bensì il contrario. Depenalizzare i reati, umanizzare le carceri, incentivare le misure alternative e rendere la pena una reale occasione di recupero sono tutti obiettivi che - se perseguiti in modo adeguato - possono dare la misura della civiltà di un popolo, rendere più moderno uno stato e porre le premesse per una sicurezza maggiore di tutti i cittadini”. Catanzaro: nella piazza dedicata a Padre Pio oltre 400 piante coltivate dai detenuti crotonesi La Gazzetta del Sud, 24 agosto 2011 “La piazza dedicata a Padre Pio, nel quartiere Santo Ianni, sarà rinverdita grazie alle piante messe a dimora dall’associazione “San Giovanni 2000”. Un progetto che ha avuto dei risvolti sociali significativi visto che tutte le specie vegetali innestate arrivano dai vivai coltivati dai detenuti del carcere di Crotone”. È quanto sostiene, in una nota, il consigliere comunale Luigi Levato. “Oltre a ringraziare il presidente Vincenzo Carrabetta e ai membri dell’associazione che opera attivamente nel quartiere - ha proseguito - devo sottolineare la disponibilità dimostrata dal provveditore regionale della Polizia penitenziaria, Orazio Faramo, e il direttore della casa circondariale pitagorica, Maria Luisa Mendicino. È grazie a loro che le oltre 400 piante ornamentali sono arrivate a Catanzaro per rendere più bella la grande piazza di Santo Ianni. È questa la dimostrazione - ha affermato Levato - che è possibile un riscatto sociale per coloro che hanno sbagliato e che vogliono ritornare in gioco imparando un nuovo mestiere o apprendendo nuovi saperi, come può essere quello della gestione di una serra. Per fortuna nelle nostre carceri sono tanti i progetti portati avanti per garantire una speranza ai detenuti, un’opportunità da concretizzare una volta scontata la pena. E anche nella nostra regione operano dirigenti illuminati che incentivano questi percorsi di riabilitazione, l’unica via possibile per un adeguato inserimento sociale. Sono certo che il Comune di Catanzaro potrà realizzare una proficua sinergia con queste realtà. Del resto il sindaco Traversa - ha continuato Levato - ha già sperimentato la bontà di questi progetti al Parco della Biodiversità dove alcuni detenuti del carcere di località Siano hanno operato brillantemente per la realizzazione di alcuni lavori”. Secondo Levato, una piazza così bella com’è quella intitolata a Padre Pio, con questo ulteriore intervento acquisisce ancora più fascino anche se necessita di un altro tassello: il ripristino dei bagni pubblici. “Per questo - ha concluso Levato - c’è già un impegno finanziario, anche per volontà del Sindaco, che porterà, in breve tempo, alla riapertura dei servizi igienici così come chiedono da tempo i residenti”. Avellino: nuovo tentativo di suicidio, giovane rumeno si è ferito con una lametta Asca, 24 agosto 2011 Ancora un tentativo di suicidio nel carcere di Bellizzi. Ieri pomeriggio, intorno alle 14, un detenuto di nazionalità rumena con un definitivo da scontare fino al 2013 si è fortemente autolesionato con una lametta da barba. E ancora una volta gli uomini del comandante Napolitano sono intervenuti e lo hanno portato in salvo. Il detenuto è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Moscati di Avellino dove il giovane è stato subito medicato. Le sue condizioni sono gravi, ma non rischia la vita. Il detenuto precedentemente è stato oggetto di un simile gesto autolesionistico. Il Sappe, primo sindacato della polizia penitenziaria, sentito in merito, ribadisce ancora una volta la forte carenza di personale che vive l’istituto di Bellizzi. “Gli uomini della polizia penitenziaria secondo la pianta organica fissata al 2001 dovevano essere di 350 unità, quando i detenuti erano 420. Attualmente, invece, la pianta organica è fissata a 240 unità di personale di polizia penitenziaria tra donne e uomini, e i detenuti sono arrivati ad un numero di quasi 550 in celle piccole e sovraffollate”. Il carcere di Bellizzi, intanto, va avanti grazie al sacrifico umano di uomini con turni massacranti e personale infermieristico sempre ridotto. Intanto si aspetta l’apertura del nuovo padiglione che potrebbe risolvere molti problemi del carcere. Ma, purtroppo a seguito dell’assegnazione, la nuova struttura non può ancora ospitare i detenuti perché? comunque manca il personale. Spinazzola (Ba) Di Giorgio (Radicali); il carcere è antieconomico, per questo viene chiuso… di Alessandro Porcelluzzi www.barlettalife.it, 24 agosto 2011 In queste settimane, nel caldo estivo che rende opaca anche l’informazione, un evento importante ha toccato il nostro territorio, il territorio della sesta provincia: è stato chiuso il carcere di Spinazzola. Scompare un esempio di eccellenza nel trattamento dei detenuti sex offenders. Politica ed informazione (tranne rare e positive eccezioni) sembrano sorde rispetto alle proteste indignate di attivisti ed esperti di questo delicato settore. Per saperne e capirne di più incontriamo Annarita Di Giorgio, militante e dirigente dei Radicali in Puglia. È stata proprio lei a guidare la manifestazione contro la chiusura del carcere di Spinazzola. Innanzitutto, perché si è deciso di chiudere questo carcere? “Inizi proprio dalla cosa più difficile. Questa domanda è ciò che mi ha portato a cominciare questa lotta per il carcere di Spinazzola. Perché l’hanno chiuso? Non c’è motivo. Nessun motivo che vada in una direzione di buon senso, efficienza, prassi e utilità amministrativa. Il carcere di Spinazzola era davvero un buon carcere, un’eccellenza si usa chiamarli, io che da radicale difficilmente riesco a trovare dell’eccellenza in questo tipo di reclusione, direi che era un carcere utile. Utile secondo Costituzione. I detenuti lì scontavano la loro pena seguendo dei progetti con l’obiettivo di un reinserimento sociale. Erano già integrati nella comunità locale con cui partecipavano ad attività lavorative e trattamentali, seguivano un percorso di recupero sanitario, e vivevano in un istituto decoroso. Erano in 40 ma c’era posto per 100, non si sa perché di fronte al sovraffollamento generale a Spinazzola non si sia mai voluta incrementare la ricettività. Di punto in bianco qualche giorno prima di lasciare via Arenula Alfano ne firma la chiusura. Unico motivo nella delibera: l’istituto è antieconomico. Forse perché costava troppo per tenere solo 40 detenuti. E allora perché non aumentarli? E in termini economici, ogni detenuto che usciva da Spinazzola, mai recidivo, che guadagno era per lo Stato e la collettività?” Perché tu, perché voi radicali vi state battendo (anche con uno strumento estremo come lo sciopero della fame) contro questa decisione? “Quest’anno per Ferragosto noi Radicali abbiamo organizzato una grande mobilitazione per cercare di dar seguito alle parole del Presidente Napolitano che, in un convegno di fine Luglio al Senato, ha detto che il sovraffollamento carcerario è una grave emergenza politica e sociale, e lo stato della giustizia e delle carceri italiane è lontano dal dettato costituzionale. Parole forti dette dal garante della costituzione, ma nonostante ignorate dalla stampa e dai politici. Così abbiamo iniziato a lottare, in maniera nonviolenta come solito a noi radicali, perché quelle parole venissero recepite. Più di duemila persone il 14 agosto unite in un grande sciopero generale della fame e della sete. Con l’obiettivo di far convocare le Camere per un grande dibattito su come riportare lo Stato alla legalità. Io, dopo la manifestazione a Spinazzola, non potevo che lottare per questo. Anche la stampa locale, tranne Cosimo Forina, l’attento e preciso giornalista della Gazzetta inviato da Spinazzola, ha totalmente ignorato questo grave caso. Se fosse ad esempio successo al famoso carcere modello di Bollate si sarebbero scatenati i vari Floris e Santoro. Qui da noi nessuno sa che ci hanno chiuso un’eccellenza. La bravissima direttrice di Bollate, il sindaco Pisapia l’ha fatta assessore alla casa del comune di Milano. Qua i detenuti sex offender di Spinazzola che seguivano un percorso speciale, sono stati mandati tra i comuni nelle altre carceri al collasso. Non ne parla nessuno, e la stampa locale, megafono degli starnuti dei politici e delle sagre dei paesi, si è dimostrata valida gamba di quello che noi Radicali denunciamo da anni come il regime dell’informazione”. La politica regionale che responsabilità ha o viceversa che meriti potrebbe avere in questo contesto? “Di sicuro la Regione Puglia non ha responsabilità nella decisione della chiusura, intendo l’Ente regione, diverso il compito del Provveditore e il Dipartimento Giustizia regionale. Però avrebbe sicuramente potuto intervenire nella decisione presa. Così come la Provincia, il Comune e gli altri enti interessati. Diciamo che la tempestività e la data della comunicazione della chiusura,” con le istituzioni in vacanza, non hanno aiutato. È incredibile il silenzio che c’è stato da parte della regione e del Presidente. Per questo io ho pensato fosse necessario tutto il Consiglio impegnasse attraverso uno strumento di indirizzo politico, una mozione consiliare, il Presidente Vendola a chiedere subito un incontro urgente al Ministro di Giustizia per parlare del carcere di Spinazzola. La mozione l’ho scritta io stessa, così basta che un Consigliere la depositi 10 giorni prima del Consiglio affinché questa venga discussa. L’ho mandata a tutti i capigruppo. Di ogni partito. Ti dico che ho ricevuto una sola risposta, dal consigliere Angelo Disabato, capogruppo della Puglia per Vendola: “Ne parliamo a settembre”. Nel frattempo il sindacato Ugl polizia penitenziaria ha contattato il Consigliere PD Ruggiero Mennea, eletto in quel collegio, e lui ha preso l’impegno di occuparsene, così come il Garante dei detenuti regionale Pietro Rossi. Io ora ho fiducia nel loro impegno, ma voglio vedere i risultati. Rimane l’amaro in bocca delle mancate risposte: come se al capogruppo Pdl Palese, o a un Consigliere eletto a Lecce, non dovesse riguardare la chiusura di Spinazzola. Comunque nei prossimi giorni tornerò a scrivere a tutti i Consiglieri, magari qualcuno si è portato l’Ipad regalato dal consiglio in vacanza”. Tu hai fondato una associazione che si muove sui temi del garantismo e dei diritti dei detenuti. Ce ne vuoi parlare? “L’associazione radicale Diritto e Libertà non l’ho fondata io. È attiva da anni qui in Puglia, io ho deciso di impegnarmici da quando ho iniziato la mia attività tra i Radicali, per cercare di occuparmi della mia regione anche da Roma. È l’associazione da cui è partita la scorsa estate la denuncia lanciata da Marco Pannella e il sindaco di Brindisi Menniti, a cui faccio i miei migliori auguri di buona salute, nei confronti di Vendola affinché rispettasse una legge regionale esistente dal 2006: quella dell’elezione del garante. Vendola rispose che l’avrebbe fatto nella prima seduta di Consiglio utile e avrebbe invitato Pannella durante la nomina. Da allora io ho rinnovato quell’invito più volte durante quest’anno attraverso Radio Radicale e Siderlandia, un bel progetto di giovani tarantini. Grazie alla spinta di alcuni Consiglieri come Dino Marino e Friolo, che ringrazio, dopo un anno da quella promessa, a Luglio abbiamo avuto il garante, il dott. Pietro Rossi, che fa ben sperare e con cui, augurandogli buon lavoro, mi sono dichiarata dal primo momento pronta a collaborare. Pannella però non è più stato invitato”. In una battuta, che messaggio speri di veicolare attraverso la tua azione? “Non un messaggio, una speranza. Quella che cerco di essere. Io lotto da Radicale, con gli strumenti della nonviolenza. L’obiettivo adesso è che si parli di questa decisione del governo, scellerata da ogni punto di vista di buon senso, civiltà e utilità, di chiudere il carcere di Spinazzola. Nel mezzo del dramma umanitario, politico e costituzionale delle patrie galere e la Giustizia in Italia. Io quel perché della tua prima domanda ancora non l’ho capito. Però tu me lo hai chiesto, siamo già in due”. Bologna: sposi in carcere la Brandoli e Zambelli, condannati per aver ucciso i rispettivi coniugi Gazzetta di Reggio, 24 agosto 2011 Da ieri mattina Francesca Brandoli e Luca Zambelli sono marito e moglie. Il matrimonio è stato celebrato con rito civile nel carcere della Dozza a Bologna nella sala dei magistrati al primo piano. Ad officiare il rito è stato l’ex assessore Maurizio Cevenini del Comune di Bologna, recordman dei matrimoni in Comune, già candidato sindaco e ritiratosi per motivi di salute. La cerimonia è durata una quarantina di minuti compreso un breve rinfresco. Testimoni degli sposi sono stati l’avvocato Marco Strozzi e tre volontari del carcere. Erano presenti una quindicina di persone tra cui i sovrintendenti della Dozza e l’avvocato di Francesca Brandoli, Lucrezia Pasolini. Non era presente invece nessun famigliare né dello sposo né della sposa. La notizia del matrimonio tra Brandoli e Zambelli non mancherà di sollevare polemiche come già era accaduto all’annuncio dell’intenzione dei due di convolare a nozze. Luca Zambelli infatti è detenuto alla Dozza per aver ucciso, nel 2006, la moglie Stefania Casolari nella loro abitazione di Sassuolo. L’uomo, che avrebbe agito sotto impulso della gelosia, aveva accoltellato la donna in casa mentre i loro due figli erano fuori. Zambelli era poi fuggito sul suo furgone, aveva gettato gli abiti sporchi di sangue in un cassonetto ma era poi stato trovato dai carabinieri e, dopo molte esitazioni, aveva confessato l’omicidio. Francesca Brandoli è invece in carcere per l’omicidio del marito Christian Cavaletti, commesso insieme all’amante Davide Ravarelli, a Reggio Emilia, nel novembre del 2007. Poche settimane fa, all’annuncio della volontà dei due di sposarsi, i genitori di Zambelli - in particolare la madre Lucia Boni - chiedevano al sindaco di Bologna di non celebrare le nozze. A dare una risposta era stato lo stesso primo cittadino bolognese tramite l’assessore Matteo Lepore. “Ho provato profonda commozione per la vostra lettera - aveva scritto l’assessore Lepore alla madre di Zambelli ed al padre Luigi - e capisco il dolore che ha devastato la vostra famiglia e la vostra vita. Capisco la vostra contrarietà al matrimonio . Ma la legge non consente al sindaco di non procedere alle nozze”. E così ieri Francesca e Luca sono diventati marito e moglie. Castrovillari (Cs): ragazza nigeriana rischia lapidazione, petizione web per evitarle il rimpatrio Ansa, 24 agosto 2011 Una delle più importanti associazioni americane per i diritti umani, Care 2, ha avviato una petizione on line in favore della ragazza nigeriana, Kate Omoregbe, detenuta nel carcere di Castrovillari, che rischia la lapidazione se, dopo la scarcerazione prevista a settembre, tornerà in patria. La notizia è resa nota dal leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli. “Mentre si avvicina il giorno della scarcerazione - afferma Corbelli - e si spera nella permanenza in Italia, prosegue e varca i confini nazionali con una straordinaria petizione online internazionale, “appeal to save Kate” (appello per salvare Kate) indirizzata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ad opera di una delle maggiori associazioni mondiali americane per i diritti umani Care 2. La campagna in favore di Kate Omoregbe, che ha chiesto asilo politico per poter restare in Italia, è stata avviata dal Movimento Diritti Civili. La ragazza rischia la lapidazione perché rifiuta di sposare una persona molto più grande di lei”. “Sta accadendo qualcosa di eccezionale - aggiunge Corbelli - perché da tutto il mondo arrivano adesioni alla petizione di Care 2, consultabile sul sito www.thepetitionsite.com. La petizione che va avanti da tre giorni ha già fatto registrare adesioni da oltre cinquanta diverse Nazioni di tutti i cinque Continenti. Chiunque può aderire e consultare il sito con l’aggiornamento in tempo reale delle adesioni, che vengono pubblicate con nome, cognome, orario di arrivo della e-mail e paese di provenienza. A sostegno della campagna umanitaria di Diritti Civili sono state già presentate due interrogazioni parlamentari bipartisan ai ministri dell’Interno, e della Giustizia, di tredici senatori, si è registrato anche l’intervento del presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, del sindaco di Castrovillari, Franco Blaiotta, della Comunità di Sant’Egidio, del deputato del Pdl Souad Sbai, della Cisl e dell’Islam Moderato che, raccogliendo l’appello di Corbelli, hanno tutti chiesto un atto umanitario per evitare l’espulsione di Kate dall’Italia e salvarle in questo modo la vita”. Ragusa: rivolta nel Cpa, i tredici arrestati risponderanno di devastazione e saccheggio La Gazzetta del Sud, 24 agosto 2011 I poliziotti, carabinieri e finanzieri feriti nel Cpa di Pozzallo non destano preoccupazione. Le ferite riportate non sono gravi, anche se un agente è stato colpito da una pietra ad una spalla: “Un poco più su - ha ricordato il questore di Ragusa Filippo Barboso - e a quest’ora parleremmo di altro”. Ad allarmare, invece, è stata l’organizzazione mostrata dal centinaio di tunisini, che hanno scatenato la guerriglia con un unico obiettivo: fuggire dal centro per evitare di essere riportati in patria. Il giorno dopo la rivolta nella struttura realizzata all’interno del porto di Pozzallo, le forze dell’ordine, tutte insieme, fanno il punto della situazione. Col questore Barboso, il comandante provinciale dei Carabinieri Nicodemo Macrì e della Guardia di Finanza Francesco Fallica. Il conto è presto fatto: al momento della rivolta nel centro c’erano 104 immigrati: di questi, 26 sono stati bloccati in tempo, 68 sono scappati ma, subito dopo, in 23 sono stati ripresi (tra questi anche i 13 arrestati). Dei 55 fuggitivi, nel corso della giornata di lunedì e di ieri, altri quindici sono stati rintracciati e riportati nella struttura. “La rivolta - ha rimarcato il questore - è stata finalizzata solo alla fuga. Nel centro c’erano esclusivamente tunisini, destinati all’espulsione. Loro sapevano, perché tutti dotati di telefonini, che se riconosciuti dal console sarebbero stati rimpatriati. E per questo hanno tentato di scappare”. A colpire è stata la strategia messa in atto per raggiungere l’obiettivo: prima hanno attirato le forze di controllo in una zona del centro; poi, hanno cominciato a colpire con spranghe di ferro i vetri della struttura. A quel punto, in un’altra area è stata attuata una strategia simile. “C’è stata - dice il questore - una vera e propria aggressione alle forze di Polizia. Una marea divenuta incontenibile”. “Hanno cercato di colpire - ha rilevato il comandante provinciale dell’Arma - il personale con quelle parti metalliche dei letti che hanno divelto”. Questa fuga è stata attuata a tre giorni di distanza da un precedente tentativo: allora avevano praticato un foro nella parete del Cpa. È stato scoperto quando avevano già realizzato un buco di 50 centimetri di diametro. I tredici arrestati sono stati distribuiti tra le carceri di Ragusa e Modica. Sono accusati di devastazione e saccheggio, danneggiamento, resistenza e lesioni aggravate a pubblico ufficiale. A Mazara del Vallo altri quattro tunisini, Yassine Mornagi, di 23 anni, Mohsen Ben Fraj Boudokhane, di 43, Raouf Ben Hassen, di 39 anni ed Elhoucin Ben Alì, 27 anni, sono stati fermati dagli agenti del commissariato perché ritenuti gli scafisti dello sbarco di migranti avvenuto giovedì scorso. Gli extracomunitari, una decina, erano stati intercettati dall’equipaggio di una motovedetta della Capitaneria di porto a circa 2 miglia dalla costa mazarese, a bordo di un peschereccio lungo una ventina di metri e battente bandiera tunisina. Quando furono sentiti dai poliziotti, gli odierni fermati affermarono di essere stati sequestrati dai migranti e costretti a fare rotta verso la Sicilia. I quattro avrebbero agito insieme a un diciassettenne, la cui posizione è al vaglio del Tribunale per i minorenni di Palermo, e con un’altra persona da identificare. Afghanistan: scarcerati 20 “aspiranti kamikaze”, uno di loro ha soltanto 8 anni Ansa, 24 agosto 2011 Una ventina di aspiranti kamikaze, fra cui uno in erba di appena otto anni, saranno rilasciati dal carcere in Afghanistan per decisione del presidente della repubblica, Hamid Karzai. Il capo dello Stato, ha reso noto un comunicato diffuso a Kabul, ha ricevuto le 20 persone che erano state preparate a sacrificare la propria vita, ed arrestate in varie province afghane. Quasi tutti gli invitati, si ricorda infine, erano minorenni ma l’attenzione generale è stata attratta dal bambino di appena otto anni. Anche lui, ha riferito un agente del Dipartimento nazionale della sicurezza (Nds), era stato reclutato dai talebani ed addestrato ad immolarsi con un giubbotto imbottito di esplosivo. Turkmenistan: amnistia a detenuti per festa nazionale del Gadyr Gijesi Tm News, 24 agosto 2011 Il presidente del Turkmenistan Gurbanguly Berdymukhamedov ha ordinato un'amnistia per i detenuti in occasione della festività del Gadyr Gijesi (la Notte dell'Onnipotenza), che cade tra il 26 e il 27 agosto. Lo scrive oggi l'agenzia di stampa Interfax, riprendendo una notizia ufficiale pubblicata dai giornali nazionali turkmeni. "Guidato dai principi di pietà, umanità e giustizia, trasmessici dai nostri Grandi Antenati, con la volontà di rafforzare l'unità della società turkmena e di tutte le famiglie, e onorando il Santo Gadyr Gijesi, il presidente del Turkmenistan ha firmato un decreto di grazia per i prigionieri e li ha liberati dall'obbligo di risiedere in specifici luoghi", è scritto sui quotidiani. Nel 2010, nella stessa occasione, 4mila detenuti furono liberati per passare la festività a casa, mentre le autorità non hanno comunicato quanti e che tipo di detenuti sono stati amnistiati. La Notte dell'Onnipotenze è una delle più importanti del Ramadan. E' quella in cui si ricorda la consegna da parte dell'angelo Djebrail del Corano al Profeta Maometto. Berdymukhamedov è solito emanare grazie e amnistie per tutte le festività più importanti del calendario turkmeno.