Giustizia: il carcere… chi ricorda? di Roberto Puglisi www.livesicilia.it, 23 agosto 2011 Ricordate le orrende carceri siciliane, negazione di ogni umana civiltà, della sensibilità, del recupero e della legge? L’argomento declina dopo picchi estivi di interesse. Qualche giorno di discussione, a strascico dei dibattiti dei radicali. E stop. Mi capita tra le mani un libretto edito da “Torri del vento”: “Riflessioni politiche intorno all’efficacia e necessità delle pene”, del marchese Tommaso Natale. Scrive nella prefazione Lino Buscemi: “Nel 1764, a Milano, il giurista illuminista Cesare Beccaria dà alle stampe il suo famoso saggio dal titolo “Dei delitti e delle pene”. Un testo che rivoluzionò il concetto di pena da comminare al reo e sancì l’inopportunità, se non l’inutilità della pena di morte e della tortura. Quasi le identiche teorie filosofiche e analoghi principi giuridici sono contenuti nelle “Riflessioni politiche sull’efficacia delle pene” che, cinque anni prima, nel 1759, Tommaso Natale aveva abbondantemente elaborato”. L’avvocato Lino Buscemi è uno dei protagonisti dell’Ufficio del garante per i detenuti della Sicilia, trincea che si è distinta per innumerevoli battaglie di legalità. Ovvia e meritoria l’attualizzazione: “C’è una contraddizione di fondo - scrive Buscemi - che occorre dissipare al più presto. A fronte di un evoluto sistema normativo costituzionale e ordinario, c’è una realtà sotto gli occhi di tutti che sembra regredire verso forme di gestione del sistema penitenziario e giudiziario incompatibili con la natura profonda dei sistemi giuridici delle società moderne e civilmente avanzate. Il terzo e il quarto comma dell’articolo 27 della Costituzione italiana sono chiarissimi: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Certo, i diritti umani, all’ombra del bagnasciuga, provocano sonnolenti sbadigli. Né muove allo sdegno il pensiero del tremendo crimine che in questo momento si compie nelle galere siciliane e italiane, semplicemente togliendo l’anima agli uomini e rendendo indisponibile il corpo. Nessuno si arrabbia per lo stesso sgomento che proviamo noi per l’ingiuria della carcerazione preventiva, specialmente quando è comminata secondo registri formalmente ineccepibili - quando lo sono - e sostanzialmente sbagliati. Ma è bene sapere che il silenzio è corresponsabile dello scempio, che il terrore tra le sbarre esiste perché si basa sull’indifferenza di troppi. La prigione iniqua è una ferita nazionale da affrontare con urgenza. Il deputato Papa grida da Poggioreale: “Le ventidue ore al giorno chiusi in cella sono solo una forma di tortura, neppure velata per l’innocente. Esse sono poi un’espiazione anticipata per il colpevole. Ma la domanda è allora se sia giusto per uno Stato carente nell’eseguire le sentenze di condanna per i colpevoli passati in giudicato pretendere, con i tempi che attualmente ha il processo penale, che il presunto innocente debba invece espiare preventivamente in carcere”. Carmelo Musumeci, condannato per gravi reati, urla via mail: “Proprio in questi giorni ho letto alcuni titoli di giornale: “I cani sono depressi. Colloquio in cella con Fido. Verona, incontro commovente fra i detenuti e i loro quattro zampe” (Il Resto del Carlino 8 agosto 2011). “Il cane è depresso? Può andare in carcere dal padrone”(Il Giornale dell’Umbria, 8 agosto 2011). “Ore d’aria insieme al proprio cane. Le carceri tra affetto e riabilitazione” (Corriere della Sera, 8 agosto 2011). In carcere si muore, ci si toglie la vita, ci si taglia le vene, si vive come pezzi di legno in una legnaia e l’Assassino dei Sogni (come chiamo io il carcere), i Magistrati di Sorveglianza e mass media si occupano dei cani. Peccato che non sia nato cane”. Hanno ragione. Giustizia: Radicali; raccolta firme per seduta straordinaria del Parlamento sull’amnistia Dire, 23 agosto 2011 I Radicali raccolgono le firme dei parlamentari per una seduta straordinaria delle Camere che impegni le istituzioni sui provvedimenti di amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione. La petizione, che reca le prime firme di Emma Bonino, Donatella Poretti e Marco Perduca, prende le mosse dalle parole con cui il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, lo scorso 28 luglio, ha dato l’allarme sulla situazione delle carceri italiane, chiedendo alla politica di dare le risposte dovute, “non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Al Senato, in poche ore sono giunte decine di adesioni da parte di tutti i gruppi parlamentari. “Dobbiamo arrivare a quota 106, e siamo già a sessanta firme”, spiega la senatrice Donatella Poretti, moduli alla mano. “Chiediamo al Parlamento di ripristinare la legalità costituzionale, perché la situazione delle carceri in Italia, oggi, è contraria ai più basilari diritti dell’uomo”. Per farlo, spiega Poretti, “è necessario andare a una riduzione progressiva della popolazione carceraria”. Giustizia: Osapp; torna a salire il numero dei detenuti, dopo calo Ferragosto Adnkronos, 23 agosto 2011 “Dopo la diminuzione di presenze di Ferragosto, nelle carceri italiane è ripresa la crescita della popolazione detenuta con un media di 40 ingressi in più al giorno”. A sottolineare ancora una volta la drammatica situazione delle carceri italiane è l’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. “Osservando i dati delle presenze del 19 agosto (66.605) del 21 agosto (66.660) al 22 agosto (66.754) - osserva il segretario generale, Leo Beneduci - quella che emergerebbe è anche la cessazione degli effetti deflattivi provocati dalla legge sulle detenzioni domiciliari, con 12 mesi di pena residua e della decadenza del reato di immigrazione clandestina. Comunque, 66.754 detenuti in carcere, alla data di ieri 22 agosto, rappresentano il 46,3% in più rispetto ai posti disponibili (45.647) anche se la capienza detentiva massima tollerabile è fissata, secondo il Dap, a 69.126 detenutì. “Peraltro, anche la capienza massima, cosiddetta ‘tollerabilè, che dovrebbe rappresentare il limite invalicabile del sistema penitenziario - indica ancora l’Osapp - è stata superata in 7 regioni su 20 e in particolare: in Puglia (+582 detenuti), in Lombardia (+287), in Veneto (+178), nelle Marche (+135), in Liguria (+79), in Friuli (+62) e in Emilia Romagna (+20)”. “La Puglia, con l’80% in più di detenuti più (pari a 1.982), detiene anche il record negativo delle presenze detentive risposto ai posti disponibili - ricorda il sindacato - seguita dalla Lombardia con il 73% in più (4.038), dall’Emilia Romagna con il 68% in più (1.640), dal Friuli con il 65% in più (355) e dal Veneto con il 62% in più (1.225)”. “I dati sulle presenze di detenuti sono inequivocabili e la situazione negli istituti di pena, per drammaticità, promiscuità e illegalità è tutt’altro che in via di miglioramento, - denuncia l’Osapp - così come permane inalterato, secondo le parole del Presidente della Repubblica di fine luglio: l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona, per cui il Parlamento e il Guardasigilli Nitto Francesco Palma non indugino nell’esame e nell’adozione dei provvedimenti urgenti che le condizioni delle carceri, di chi vi lavora e dell’utenza rendono non più differibili”. Giustizia: Uil; il 29 settembre manifestazione nazionale contro condizioni inciviltà carceri Dire, 23 agosto 2011 Manifestazione nazionale il prossimo 29 settembre contro “la drammaticità delle condizioni detentive” e le “pericolose condizioni di lavoro degli operatori penitenziari”. L’ha organizzata la UilPa Penitenziari, sottolineando che il tema dell’iniziativa - che si terrà davanti alla sede del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Roma - sarà “Per i nostri diritti. Per la nostra dignità”. In una nota il segretario generale del sindacato Eugenio Sarno spiega che “è prevista la partecipazione di circa cinquecento persone tra poliziotti penitenziari, funzionari della Polizia penitenziaria, direttori penitenziari, educatori, assistenti sociali e appartenenti ai vari profili amministrativi. Dopo le autorevoli parole del presidente Napolitano sull’esigenza di ridare civiltà e costituzionalità al sistema penitenziario, prosegue Sarno, abbiamo inteso organizzare la manifestazione anche per sostenere quell’appello. Manifesteremo per i nostri diritti, per la nostra dignità, per una maggiore civiltà, per una maggiore attenzione e informazione, per un’amministrazione efficiente e per soluzioni strutturali alle criticità che stritolano il sistema penitenziario”. Il segretario generale aggiunge poi che “registriamo con interesse le tesi del ministro Palma su come deflazionare le presenze detentive. Ma il sovraffollamento è solo una parte, benché primaria e importante, della più complessa questione penitenziaria. È necessario che trovino spazio e attenzione anche le difficoltà che investono il personale. La Polizia penitenziaria - precisa Sarno - presenta un gap di circa 7 mila unità rispetto agli organici fissati nel 2001 a 42.268 unità. Secondo gli organici previsti, mancano circa 350 educatori, 530 assistenti sociali, 200 contabili, 1.300 tra funzionari e tecnici. Fra l’altro, da gennaio a oggi, sono circa 300 gli agenti penitenziari aggrediti e feriti da detenuti”. Giustizia: richieste in crescita per il gratuito patrocinio nel processo penale Il Sole 24 Ore, 23 agosto 2011 Cresce il numero di quanti richiedono di essere ammessi, nel processo penale, al gratuito patrocinio: l’anno scorso - come riporta la relazione che il ministero della Giustizia ha di recente presentato al Parlamento - le persone non abbienti impossibilitate a pagare l’onorario dell’avvocato sono risultate oltre 120mila, il 7% in più rispetto al 2009. Dopo il vaglio delle domande, la difesa gratuita è stata concessa a 103mila persone (l’85% dei richiedenti), con una crescita dell’8% rispetto all’anno prima, quando dell’opportunità avevano usufruito in 95mila. Cifre nelle quali sono inclusi anche i minorenni, che possono richiedere il gratuito patrocinio presentando l’apposita istanza (nel 2010 lo hanno fatto in 3.400, con un aumento del 2% rispetto al 2009), ma nel caso non si muovano autonomamente, hanno comunque diritto alla difesa gratuita, che gli viene concessa d’ufficio (nel 2010 questo è stato il caso di oltre 5mila minori, dato in flessione del 2% rispetto all’anno prima). Per quanto riguarda la distribuzione territoriale delle persone che hanno richiesto l’assistenza legale gratuita, nel 2010 si è registrato un sostanziale allineamento tra le diverse aree del Paese. Molto distanti sono, invece, i valori relativi alla qualifica giuridica di chi chiede di essere difeso senza spendere: quasi il 92% si trova nella condizione di indagato o imputato o condannato (il gratuito patrocinio si può, infatti, chiedere in qualsiasi grado del giudizio), mentre nel restante 8% si concentrano le persone offese o danneggiate dal reato. Altrettanto sensibile è la differenza relativa alla nazionalità di chi ha chiesto di essere ammesso al gratuito patrocinio: l’80% è italiano e il 20% straniero. Percentuale quest’ultima che ha ripreso a correre negli ultimi anni (nel 1999 gli stranieri non in grado di pagare l’avvocato rappresentavano il 9%), riportandosi sui livelli del 1995. Rimangono stabili, invece, le spese affrontate l’anno scorso dallo Stato per garantire il gratuito patrocinio: sono stati pagati 87 milioni di euro, con una leggera diminuzione rispetto al 2009, quando erano stati sborsati 87,5 milioni. In sostanza, però, le spese per l’assistenza legale ai non abbienti non registrano da anni oscillazioni rilevanti, ovvero da quando nel 2005 è stato raggiunto il picco (88 milioni), con un grande balzo rispetto ai costi di due anni prima (61 milioni nel 2003). Da cinque anni a questa parte la curva degli esborsi - più del 90% del totale speso dallo Stato per assicurare il gratuito patrocinio viene assorbito dagli onorari degli avvocati - ha invece intrapreso una lenta ma graduale discesa. Lettere: Graziano Scialpi… il 24 agosto 2010, l’inizio della fine di Vittorio Scialpi Ristretti Orizzonti, 23 agosto 2011 Il 24 agosto di un anno fa, dalle ore 20,00 alle 22,00, avevo cercato inutilmente di mettermi in contatto con il carcere Due Palazzi di Padova. Tentativi andati a vuoto, perché il centralino era occupato, oppure perché non rispondevano: erano tentativi inutili, perché non avrebbero potuto comunicarmi notizie, ma non potevo fare altro per tranquillizzare mia moglie. Graziano mi telefonava tutti i martedì, lo faceva oltre che per il contatto con la famiglia, anche perché c’era il tempo per acquistare quello di cui aveva bisogno, per preparargli la biancheria che gli serviva di ricambio, per l’incontro del venerdì/sabato. Di regola, quando non arrivava a telefonarci il martedì, lo faceva il mercoledì, il motivo della preoccupazione per la mancata telefonata era un altro. Il 14 agosto 2010 ero stato a trovarlo con la madre in visita, al colloquio era più del solito sofferente e pieno di dolori: zoppicava notevolmente e faticava a tenere il busto eretto torcendosi dal dolore, è stata l’ultima volta che l’abbiamo visto in piedi. Martedì 17 agosto 2010 ci aveva chiamato al telefono per salutarci come il solito, dopo aver parlato con la madre, avevo scambiato alcune parole, chiedendogli ovviamente dello stato di salute, le sue risposte, per quanto evasive (perché ascoltate), mi avevano fatto capire il suo stato di disperazione, tanto che, alla fine della telefonata: scrissi l’esposto (retrodatandolo al 15 agosto) che imbucai il giorno dopo a Pordenone. La denuncia alla Magistratura, dopo la morte di mio figlio Graziano, ha avuto tutto il tempo di svolgere i suoi effetti, così come, pur avendone motivo, ho evitato di schierarmi, proprio a garanzia di equità nei confronti di chi, certo dello stato di malattia di mio figlio: per un anno non ha avuto alcuna pietà umana. Io non so quale piega prenderà l’eventuale processo e, nemmeno se ci sarà, giacché gli interessi in campo è di un cittadino inerme contro gli apparati dello stato e, ché stato! Una cosa deve essere precisata, per quanto mi riguarda: è probabile che alla fine si vorrà circoscrivere a un episodio di malasanità e, a qualche veniale omissione colposa. Non è così, io sono convinto che, i fatti siano riconducibili a una condotta tesa a indurre mio figlio al suicidio. Poiché la concatenazione dei fatti e delle azioni o, della voluta e reiterata mancata assistenza sanitaria, era tesa all’indebolimento progressivo psicofisico, fino a condurlo al gesto estremo per far cessare il martirio. Mio figlio è uscito dal carcere paralizzato dal petto in giù. Domenica 22 agosto 2010, mi scrisse una lettera, avvisandomi che se martedì 24 sera non mi avesse telefonato, probabilmente sarebbe stato perché ricoverato in ospedale. Ebbene, nonostante la gravità della paralisi in atto e il blocco intestinale e delle urine, riuscì ad evitare la somministrazione del lasix che: gli avrebbe provocato lo scoppio della vescica. Un maniscalco avrebbe provveduto con un catetere a svuotare la vescica, un dottore del carcere evidentemente aveva altri interessi da curare. Così paralizzato fu trattenuto in cella, raccolto in bagno da un compagno di cella perché caduto per paralisi e, senza le funzioni corporali fino il martedì 24 agosto 2010: un cane sarebbe stato curato molto meglio. Perché mio figlio è stato inviato in ospedale? Perché era ammalato, perché era paralizzato, perché era ormai incurabile da mesi? Nemmeno per idea, è stato trasportato senza alcuna urgenza e con tutta comodità, quando ormai si erano prodotte alcune condizioni: La prima, nonostante il suo stato disperato, non si decideva, come tanti casi, a suicidarsi; La seconda, erano venuti a conoscenza della mia segnalazione con richiesta d’intervento (Ulss di Padova-Ministero della Salute-Ministro della Salute-Dap Roma-Ministro della Giustizia, ecc.); La terza, l’intervento deciso del personale di polizia penitenziaria, a tutela di mio figlio. Nelle interviste lasciate da mio figlio, sul letto di morte e senza odio per nessuno, voleva che quello che l’era successo non si ripetesse ad altri. Nel processo, se si farà e se non si farà, sarà lo stesso, chi è sotto accusa non sono solo le singole persone che, hanno delle indubbie responsabilità ma, l’intero apparato repressivo e omissivo del sistema carcerario italiano. Quello che è successo, è potuto succedere perché in molti hanno permesso che accadesse: le cure delle persone di cui si ha la custodia e privi di ogni libertà e autonomia, va ben aldilà di quella di cui debbono godere ogni singolo cittadino. L’obbligo alle cure e all’integrità psicofisica: non può essere discutibile o lasciata al libero arbitrio di chi, non rispetta il dettato costituzionale e viene meno alle elementari regole della professione medica. Esistono tumori e tumori, esistono cure efficaci e palliativi, esistono interventi chirurgici riusciti e malriusciti, esistono chemioterapie/radioterapie, ecc. che danno risultati, che ritardano la morte o inefficaci, esistono persone che reagiscono fisicamente al male con effetti insperati e, per chi ci crede, esistono anche i miracoli che talvolta succedono. Tuttavia, una cosa, che a spanne lo capisce anche il più ignorante di medicina, a prescindere dai calcoli approssimativi della casistica medica: la probabilità di sopravvivenza è strettamente connessa dal momento in cui si è a conoscenza del male, con le conseguenti cure. La domanda che ci facciamo e che ci scava l’anima è: un anno di non cure e sofferenze, di quanto avrebbe allungato la vita a mio figlio, se fosse stato curato? A parte le ricerche mediche continue: potevano essere da pochi mesi a cinque anni o più? Al solo pensiero che, oggi mio figlio poteva ancora essere vivo, mentre non lo è più: provoca una sofferenza amara indicibile. Tutto quello che subisce chi è ristretto, non previsto nella sentenza di condanna: è una condanna suppletiva, arbitraria, inumana, incivile e sanzionabile dalla legge. Se la vicenda disperata e inumana di mio figlio, servirà a evitare altre sofferenze non dovute a un solo detenuto: vale la pena impegnarsi perché gli sia resa giustizia. Lettere: educatori penitenziari; vincitori di concorso, ma sempre in coda nelle assunzioni di Evelina Cataldo Il Riformista, 23 agosto 2011 L’efficienza di un ordinamento statuale si misura dalla sua capacità di problem solving. Se le Istituzioni non intervengono rispetto a questioni irrisolte, rese note dai suoi cittadini, e rimangono inoperose nel garantirne una celere determinazione allora o ci si trova di fronte a un’intelaiatura di stampo corporativista oppure la suddivisione dei poteri ha assunto connotazioni poco nette. Le incrinature del sistema giustizia sono da tempo evidenti ma alcuna lente di ingrandimento viene impiegata per palesarne gli aspetti più incongruenti. In questi giorni, data l’emergenza carcere, alcune regioni si sono mosse nella nomina dei rispettivi garanti dei diritti dei detenuti, una figura importante, ma “investita” dai rappresentanti periferici della politica. È stata inoltre bandita una selezione per colloquio per il reclutamento di 100 esperti assistenti sociali, necessari, ma pur sempre scelti attraverso colloquio. Esiste, invece, la categoria dei funzionari giuridico-pedagogici, ex educatori penitenziari che, a dispetto delle due figure suddette, non attendono né nomina né colloquio valutativo avendo superato un concorso della durata di quattro anni, affrontato prove preselettive, scritte ed orali e che attendono dal 2009 di essere immessi in servizio. Ne mancano all’appello 44, rientranti nei 397 posti banditi. 44 persone sopportano con dignità il silenzio di tutte le Istituzioni, dei sindacati di comparto e dei partiti politici. Si discute di crisi economica, dei nuovi assetti di mercato, si dibatte sulla Costituzione, sulla necessità di una centralità del Parlamento o dell’Esecutivo ma nessuno si è addentrato con responsabilità nell’insoluto del “pianeta carcere”. I 44 educatori, metaforicamente, si avvicinano al gruppo di donne del film di Akira Kurosawa dal titolo “Vivere” e, soffocati dalla burocrazia, lottano non per la bonifica di una zona paludosa ma per essere autorizzati a entrare in carcere e operare come garanti quotidiani di una pena rieducativa. Ipotizzo una situazione similare modificando le figure professionali. Se i vincitori del concorso fossero stati dei magistrati, resterebbero inermi di fronte a una mancata assegnazione presso i Tribunali di loro spettanza? E di fronte a una nomina indisturbata e contestuale di magistrati onorari, come reagirebbero? Piemonte: i Radicali; le istituzioni regionali nominino subito il Garante per i detenuti Notizie Radicali, 23 agosto 2011 Questa mattina Bruno Mellano, già consigliere regionale piemontese e già parlamentare nazionale, componente della Direzione nazionale di Radicali Italiani, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo, ai membri dell’Ufficio di Presidenza, ai Presidente dei Gruppi Consiliari ed ai componenti della Commissione nomine, per ricordare le “parole forti e chiare” del Presidente della Repubblica sulla situazione “indegna” delle carceri italiane e sulla necessità ed urgenza di interventi della politica. Mellano ha ricordato le visite ispettive del “Ferragosto in Carcere” che anche quest’anno hanno rivelato una situazione di sostanziale illegalità delle carceri, anche quelle piemontesi, in un quadro che, con le parole del Presidente, “ci umilia a livello europeo”. Nel sollecitare le Istituzioni regionali a rispondere positivamente all’appello del Presidente della Repubblica, Bruno Mellano ha infine richiamato l’urgenza di chiudere l’iter per la nomina del Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. In forza della legge 28 del 2009 il Consiglio regionale era chiamato a nominare un garante dei detenuti all’inizio della legislatura in corso: sono passati ormai oltre 15 mesi e la procedura, per quanto correttamente incardinata, non è ancora stata chiusa con il voto d’aula. In una fase di necessaria ed opportuna attenzione ai bilanci ed all’efficacia degli interventi, privarsi di una figura come il Garante dei Detenuti che ha proprio il compito di creare e far crescere sinergie e buone prassi sul territorio, mettendo in rete ed agevolando il lavoro dai vari soggetti che interagisco con il carcere, sembra essere una scelta senza lungimiranza. Auspico che la riapertura dei lavori del parlamento regionale porti anche ad affrontare la questione aperta della comunità penitenziarie piemontesi (13 istituti per uomini adulti, due per donne, ed un minorile), sia per chi è costretto a viverci in forza di una condanna (o in attesa di un giudizio) sia per chi ha scelto di lavorarci. Magari cominciando proprio dalla nomina del Garante! Lazio: il Garante; Uepe Roma-Latina verso paralisi per carenze di personale e tagli Dire, 23 agosto 2011 La cronica carenza di personale, i sempre più stringenti tagli di budget ed un’organizzazione interna minata dall’assenza di un direttore a tempo pieno, stanno inesorabilmente portando alla paralisi l’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Roma e Latina. È questa la denuncia contenuta in un documento delle Rsu dell’Uepe raccolta e rilanciata dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Il documento è stato spedito, fra gli altri, al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, al Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, alla Direzione dell’Uepe Roma e Latina, alle organizzazioni sindacali, al Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali e al Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali del Lazio. L’Uepe è l’ufficio periferico del ministero della Giustizia che si occupa di quanti devono scontare una condanna. Su richiesta dell’Autorità giudiziaria o delle carceri, svolge indagini sulla realtà personale, famigliare e lavorativa delle persone condannate. Dati che servono a decidere sull’applicazione di misure alternative alla detenzione, su misure restrittive della libertà, o sul programma di trattamento. Fra le finalità dell’Uepe quelle di sostenere la persona durante il periodo della pena e favorire il suo reinserimento nella società. Nel documento, le Rsu denunciano l’assenza di un direttore a tempo pieno della struttura. Attualmente, infatti, uno degli UEPE più grandi d’Italia è retto da un reggente che vi presta servizio due volte a settimana “creando disservizi al personale e all’organizzazione dell’ufficio stesso”. Altra criticità, spiega sempre la nota diffusa dal garante dei detenuti del Lazio, è la carenza di personale: attualmente sono in servizio solo 31 assistenti sociali sugli 84 previsti in pianta organica, manca da tempo il centralinista e nell’ultimo anno il personale amministrativo è drasticamente diminuito per pensionamenti e revoche di distacchi. Una situazione destinata ad aggravarsi considerando che nei prossimi tempi altre unità andranno in pensione e quelle pensionate non sono state rimpiazzate. I tagli al budget già scarso hanno provocato situazioni paradossali: l’auto di servizio della sede di Roma è ferma dal 29 luglio per mancanza di soldi per il carburante, quella di Latina è ferma per lo stesso motivo addirittura da giugno. All’interno della struttura, dal primo luglio non è più garantito il servizio giornaliero di pulizie, con grave rischio di carenze igieniche. “I rappresentanti dei lavoratori dell’Uepe - ha detto il garante dei detenuti, Angiolo Marroni - hanno fatto conoscere al pubblico, in forma pacata ma ferma, le difficili condizioni in cui sono costretti a lavorare ogni giorno. I sindacati chiedono di agevolare e semplificare alcune procedure operative, di nominare un direttore a tempo pieno e di inviare al più presto personale e mezzi. Proposte semplici e di buonsenso, alcune delle quali fattibili a costi contenuti. Garantire il funzionamento di un Uepe cardine come quello di Roma e Latina è fondamentale per evitare che i ritardi e le inefficienze legate alle carenza di questa struttura finiscano, inevitabilmente, per scaricarsi sul sistema carcerario della Regione”. Piacenza: De Micheli (Pd); più pene alternative, per combattere il sovraffollamento Piacenza Sera, 23 agosto 2011 Incremento delle pene alternative e più lavoro all’interno delle carceri. Sono questi secondo l’onorevole piacentina Paola De Micheli i due aspetti principali sui quali concentrarsi per eliminare il sovraffollamento delle carceri. La De Micheli ha fatto visita questa mattina alla casa circondariale delle Novate accompagnata dalla direttrice Caterina Zurlo e dal garante per i diritti delle persone private della libertà Alberto Gromi. “Ho trovato una situazione migliorata rispetto a due anni fa - ha commentato l’onorevole alla fine della visita - Il sovraffollamento è diminuito ma rimangono situazioni critiche in due settori molto importanti come quello dell’alta sicurezza e dei detenuti protetti. In questi settori l’emergenza è ancora alta visto che i carcerati non possono restare insieme”. La capienza delle Novate è ora al massimo con 346 occupanti, di cui 17 donne. Problemi rimangono ancora nel numero di agenti delle polizia penitenziaria presenti: sono infatti 116 contro i 166 previsti. Aumentano le agenti di sesso femminile visto anche l’arrivo in questi giorni di quattro nuove ragazze provenienti dall’ultimo corso. Nuovi addetti arriveranno sicuramente nei prossimi mesi quando a Piacenza verrà inaugurato il distaccamento regionale dell’istituto psichiatrico. Diverse le soluzioni proposte dalla De Micheli per migliorare la condizione nelle carceri: “Con la nuova finanziaria sono state confermati i fondi per la costruzioni di nuovi carceri ma sono diminuiti quelli per gli educatori e per la gestione. Non abbiamo bisogno di nuove carceri ma di una nuova giustizia. Bisogna concentrarsi principalmente su due fronti: lo sviluppo delle pene alternative e il lavoro nelle carceri. Il carcere deve essere un ruolo di riabilitazione per riuscire a reinserire i detenuti nella società. Recentemente sono andata a visitare le carceri di Padova e di Opera a Milano dove sono stati avviati progetti di lavoro per i detenuti: la percentuale di coloro che una volta usciti dal carcere ritornano a delinquere è passata dal 68%, media nazionale, a meno del 10%”. Nonostante la situazione alla Novate sia migliorata, la casa circondariale ha comunque bisogno di diversi interventi di ristrutturazione. “C’è bisogno di intervenire soprattutto nei luoghi comuni come docce e corridoio - ha concluso la De Micheli. Il campo da calcio è stato invece ristrutturato grazie alla donazione di una coppia di sposi”. Alba (Cn): il sovraffollamento impedisce di far vivere il carcere secondo Costituzione www.targatocn.it, 23 agosto 2011 Ieri, lunedì 22 agosto, nell’ambito del “Ferragosto in Carcere”, iniziativa promossa da Radicali Italiani su tutto il territorio nazionale, una delegazione ha visitato la struttura detentiva di Alba: Giovanni Negro, consigliere regionale capogruppo dell’Udc, Gianni Pizzini, dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, e Bruno Mellano, componente della Direzione nazionale di Radicali Italiani, sono stati alla Casa Circondariale di Alba. La delegazione è stata accolta ed accompagnata nella visita dal vice Ispettore Gennaro Landolfi e dal responsabile dell’equipe educativa e trattamentale Sergio Pasquali. Gli agenti penitenziari, che sulla carta dovrebbero essere 141, sono sulla carta 113 ed effettivi appena 100: entro l’anno si prevedono inoltre ulteriori pensionamenti ma qualche nuovo arrivo dai corsi della Scuola Penitenziaria di Cairo: nelle scorse settimane alcuni agenti del corso hanno effettuato gli stage formativi nell’Istituto. Gli orari di lavoro, contrattualmente stabiliti 6 ore su 6 giornate, sono regolarmente portati ad 8 ore giornaliere, per poter garantire i turni, i permessi e le ferie. Gli educatori sono quattro. La popolazione detenuta risultava composta da 187 persone, di cui 81 italiani e 106 stranieri, in gran parte con condanne definitive (134). La capienza regolamentare è fissata in 127 posti letto, e si sono avute punte sino a circa 200, a seguito degli sfollamenti da altri istituti, soprattutto Torino e Milano San Vittore. La delegazione ha visitato i vari spazi dell’Istituto, cominciando con la piccola sezione speciale degli ex appartenenti alle forze dell’ordine, per poi passare nei piani dove su due livelli sono disposte le quattro sezioni ordinarie (A- B- C- D), soffermandosi in particolare nella sezione “C” dei “dimittendi”: una quarantina di detenuti con il fine pena inferiore ad un anno e quindi con concrete ed in molti casi imminenti prospettive di rientro nella società. Al primo piano si sono incontrati i detenuti appellanti e ricorrenti, soffermandosi a parlare con alcuni dei più attivi nella segnalazione dei problemi e delle criticità del sistema penitenziario italiano, per poi passare alla seconda piccola sezione speciale dedicata a persone transessuali od omosessuali dichiarati. Infine la visita ispettiva, in una giornata in cui il caldo estivo rendeva evidente la pena fisica della detenzione, si è conclusa con un giro agli spazi inframurari al giardino, all’orto ma soprattutto alla famosa vigna che produce le uve per la vinificazione del brand “Vale la pena”, realizzato grazie al lavoro dei detenuti, degli operatori ed esperti della Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri e dell’Istituto Enologico Albese. “Con la visita all’Istituto di Alba - ha dichiarato Bruno Mellano - anche quest’anno i radicali cuneesi hanno effettuato nella settimana di Ferragosto una visita ispettiva tutte le quattro carceri presenti in Provincia. Voglio ringraziare l’onorevole Teresio Delfino (Udc) ed i consiglieri regionali piemontesi Fabrizio Biolè (Movimento Cinque Stelle), Mino Taricco (Pd) e Giovanni Negro (Udc) per aver permesso le visite. Il quadro che ne emerge è emblematico: il sovraffollamento annichilisce ogni tentativo di far vivere il carcere secondo Costituzione. Laddove si era scelto di costruire dei circuiti penitenziari dedicati per fasce di detenuti la mancanza di personale e risorse rende dei piccoli ghetti quelli che dovevano essere aree dedicate ad interventi mirati. La costruzione di due nuovi padiglioni, a Cuneo ed a Saluzzo, lungi da risolvere la situazione finisce per accentuare i problemi a causa del mancata integrazione di nuovo personale, sia di agenti che di educatori, in un meccanismo in cui si registra una letterale fuga dagli Istituti periferici del nord a vantaggio del sud o delle aree di origine del personale assunto. Ad esempio la sezione Dimittendi di Alba chiede con forza percorsi di reinserimento sociale e lavorativo, ma si scontra da una parte con una popolazione detenuta in larga parte extracomunitaria e le norme relative e dall’altra con il taglio dei fondi, anche se le statistiche sulla recidiva stanno a dimostrare in modo lampante la necessità ed urgenza, soprattutto per la sicurezza sociale, di interventi mirati”. Trento: detenuti tossicodipendenti curati con la pet teraphy Notiziario Aduc, 23 agosto 2011 I tossicodipendenti del nuovo carcere di Trento avranno a disposizione la ‘pet teraphy’ quale aiuto per la disintossicazione. La terapia col supporto di animali partirà il mese prossimo e si concluderà a fine anno. A portarla a Trento saranno gli esperti della comunità di San Patrignano, fondata a fine anni settanta da don Vincenzo Muccioli, che hanno già accordi e sopralluoghi effettuati per le attività programmate coi cani. L’iniziativa, che viene annunciata dal direttore della struttura penitenziaria, Antonella Forgione, è una delle novità introdotte quest’anno, grazie anche ai nuovi e più ampi spazi di Spini di Gardolo, aperti dallo scorso dicembre, che accolgono i detenuti dei vecchi carceri di Trento e Rovereto. Quanto alla tossicodipendenza, la percentuale viene riferita “elevata - spiega Forgione - anche se bisognerebbe sempre fare una differenza tra chi si dichiara tale e chi lo è in modo comprovato. È infatti noto come l’essere tossicodipendenti possa portare vantaggi nell’ottenimento della scarcerazione o dei domiciliari”. In ogni caso l’elevato numero di tossicodipendenti, così come la maggioranza di detenuti extracomunitari e giovani, tra i 20 e i 30 anni, sono i dati che Forgione sottolinea come ancora distintivi della popolazione carceraria. Tra gli obiettivi del direttore c’è anche quello di ottenere “un approccio meno farmacologico al disagio del carcere. Perché - afferma - stare in carcere è di per sé un disagio. Quindi ad esempio l’avere problemi nel sonno saltuari o altre manifestazioni lievi di tale disagio sono questioni che dovrebbero essere affrontate innanzitutto con il colloquio, l’osservazione e il confronto”. E l’auspicio è che il servizio, passato nei mesi scorsi dall’Amministrazione penitenziaria all’Azienda provinciale per i servizi sanitari, possa vedere in tal senso miglioramenti. Resta invece ancora sotto l’Amministrazione quello degli psicologi, “che tra l’altro sono coloro che devono contribuire a stilare le valutazioni che determinano il futuro dei detenuti e che da noi hanno 17 ore al mese per 220 persone, quando prima per Trento c’erano 13 ore e per Rovereto 12, quindi nel trasferimento ne abbiamo perse”. Verona: De Poli (Udc); a Montorio la soglia massima fissata a 472 detenuti… siamo a 850 L’Arena, 23 agosto 2011 “Il Veneto è la maglia nera dell’Italia. Insieme a Puglia e Lombardia, le carceri della nostra regione sono quelle dove i detenuti vivono peggio, in condizioni che definire di sovraffollamento è riduttivo. È una situazione da Paese incivile: ben 178 detenuti in più oltre la soglia massima di tolleranza”. A commentare i dati sul sovraffollamento nelle carceri rese note oggi dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) è Antonio De Poli, deputato Udc e segretario regionale del partito in Veneto, che a titolo esemplificativo riporta le cifre allarmanti della casa circondariale di Montorio: “Il carcere doveva ospitare 251 detenuti, la soglia massima tollerabile è stata fissata a 472. Entrambe le cifre sono state ampiamente superate: mediamente la struttura ospita 850 detenuti nelle sezioni maschili e 70-80 nella sezione femminile”. “Si pongono problemi di tipo sanitario e igienico, il sovraffollamento - continua De Poli - non fa altro che aggravare la situazione. La dignità dei detenuti è da difendere: mi viene in mente l’insegnamento dell’amato Giovanni Paolo II, il Papa che nel 2000 celebrò il Giubileo nelle carceri. Più che mai, oggi, davanti a un’emergenza senza precedenti bisogna cogliere il messaggio di Papa Woityla e intervenire al più presto. Colgo l’occasione per lanciare un appello all’assessore regionale alle Politiche sociali Remo Sernagiotto: chiediamo che, in fase di assestamento di bilancio, si ripristinino del tutto i fondi da destinare ai progetti del sociale nelle carceri. Maggiori risorse per il reinserimento lavorativo, più fondi da destinare alle attività occupazionali in carcere. Si tratterebbe di una misura che non risolverebbe l’emergenza ma, di certo, aiuterebbe i detenuti a vivere un po’ meglio. Non dimentichiamo gli ultimi dati - conclude De Poli -: solo in Veneto, nel 2010, si sono registrati 6 suicidi e ben 62 tentati suicidi”. Matera: visita Radicali; i detenuti hanno la doccia in cella, ma non mancano problemi Ansa, 23 agosto 2011 Una delegazione di Radicali composta dall’on. Rita Bernardini e dal segretario regionale della Basilicata, Maurizio Bolognetti, ha visitato oggi il carcere di Matera, dove sono detenute 99 persone. I Radicali, che hanno annunciato la continuazione di iniziative a sostegno della popolazione carceraria e per l’amnistia, hanno detto che i detenuti dell’istituto di Matera dispongono di docce nelle celle ma soffrono per altri problemi strutturali e organizzativi, legati anche alle procedure per licenze e permessi. Paliano (Fr): detenuto collaboratore di giustizia morto in cella, nessuno ne reclama il corpo Il Tempo, 23 agosto 2011 È da quindici giorni in cella frigorifero a Frosinone, un detenuto, collaboratore di giustizia, deceduto per infarto nel carcere di massima sicurezza di Paliano. Nessuno dei familiari, regolarmente avvertiti dalla direzione carceraria dell’avvenuto decesso, si è preoccupato di far visita al defunto che rischia di finire nel camposanto di Paliano e, cosa ancora più assurda, le spese per la tumulazione dovrebbero essere pagate dal Comune. Una vicenda che ha dell’incredibile. L’uomo deceduto in carcere apparterrebbe al clan dei Casalesi, che a seguito dell’arresto avvenuto qualche tempo fa, avrebbe deciso di collaborare con la giustizia. L’uomo era stato trasferito a Paliano da qualche anno. Poi all’improvviso una quindicina di giorni il decesso causato da un infarto al miocardio. Una tragedia nella tragedia. Adesso si arriva all’assurdo poiché nessun familiare si è fatto avanti per il cadavere del congiunto, che dovrebbe restare chiuso nella cella frigorifera fino a quando lo Stato non interviene. Dal carcere di Paliano non filtrano altre notizie, anche perché la morte del poveretto è stata tenuta segreta per una serie di comprensibili ragioni. Il cadavere, come detto, è ancora nell’obitorio di Frosinone a disposizione del magistrato. Insomma c’è il serio rischio che le spese funebri, visto che il decesso è avvenuto a Paliano, vengano pagate proprio dalle casse del Comune. Della questione dovrà indirettamente interessarsi anche il sindaco Maurizio Sturvi. Un caso simile non si era mai verificato dalla nostre parti. Il carcere di Paliano, è pieno di collaboratori di giustizia, una sessantina in tutto, soprattutto detenuti napoletani. Questo è un carcere nel quale sono stati rinchiusi importanti collaboratori di giustizia dai tempi degli appartenenti alle Brigate Rosse. Si tratta indubbiamente di uno dei penitenziari più sicuri a livello nazionale. Tornando al discorso della morte in carcere va detto anche che i motivi della mancata richiesta della salma sono facilmente individuabili. I familiari non vogliono probabilmente uscire allo scoperto per evitare guai con i camorristi. Le ritorsioni potrebbero essere micidiali in certi ambienti. Gorgona (Li): il mio giorno particolare nel carcere modello che rischia di morire Il Tirreno, 23 agosto 2011 “Dottò, voi adesso siete venuto qui e parliamo e scherziamo, se venivate dove stavo prima vi mettevate a chiagnere!” Chi parla è Pasquale, uno dei quattro detenuti napoletani di Gorgona. Divide la cella nella sezione ordinaria con un concittadino, una stanza dal pavimento lustro e profumata di detersivo al limone, con le bandiere del Napoli alle pareti. Anche Maurizio ci tiene a farmi vedere la sua stanza, che se non fosse per le sbarre alle finestre non farebbe pensare a una cella. La divide con Luigi, un ex-ragazzo di Bari Vecchia dagli occhi chiari e il sorriso struggente e con Ugo, un ex-ristoratore di Lido di Camaiore con l’aria del vecchio playboy navigato, profumato di dopobarba e a modo suo elegante, nonostante la ciabatta di plastica e il calzino basso bianco. Maurizio è di Livorno, figlio di un tunisino e di una siciliana, estroverso e facondo come un animatore turistico. Dice di essere il Quinto Moro di Livorno, per via della carnagione scura e dei tratti maghrebini. E siccome sostiene di avermi conosciuto quando eravamo ragazzini, mi fa un pò da Virgilio, mostrandomi il refettorio, la cucina della mensa, presentandomi uno ad uno gli altri ospiti. Non resisto alla curiosità un pò sconveniente di chiedere il motivo per il quale ciascuno è condannato a star lì, quale sia insomma il reato. E allora Maurizio mi sussurra all’orecchio: cocaina, ricettazione, rapina, omicidio. Di un certo Claudio, un signore distinto che si occupa delle galline, che potrebbe sembrare una specie di professore universitario, vengo a sapere che ha ammazzato la moglie. Siamo nella sezione ordinaria, dove i detenuti rientrano al pomeriggio dopo i loro lavori quotidiani in questa specie di azienda agricola che è diventata l’isola. Un’azienda dai criteri rigorosamente biologici, impostata secondo i metodi omeopatici del giovane veterinario napoletano Marco Verdone, che la sovrintende con un entusiasmo commovente. Ci ha presentato le mucche una per una chiamandole per nome, e così i cavalli avellinesi, i due ciuchini sardi, i maiali. E questo suo spirito deve aver contagiato i detenuti, se è vero quel che mi confida Luigi, il ragazzo barese, che era addetto alla macellazione, di aver chiesto di cambiare compito perché si affezionava ai vitelli e poi non se la sentiva più di ammazzarli. Qui si producono latte, formaggio di mucca, di pecora e di capra, pane, olio, vino, uova e pollame, ortaggi, miele, orate da acquacultura, aloe e essenze aromatiche. La sezione ordinaria è divisa dal resto dell’isola da un cancello vigilato dalla polizia penitenziaria: l’edificio sembra una specie di condominio popolare d’altri tempi, coi panni stesi ad asciugare e gli inquilini a chiacchierare nel cortile. Altri alloggiano nella sezione prevista dall’articolo 21, che non ha neanche un cancello e un posto di guardia, e si confonde con una delle poche e graziose abitazioni civili dell’isola. In tutto i detenuti sono una novantina, di cui quaranta stranieri. Gli altri vengono un po’ da tutta Italia e i livornesi sono solo due: Maurizio, appunto, e un omino dall’aria mansueta, sulla sessantina, il signor Mario, che deve trascorrere qui altri due anni, ma che gode già dei benefici premiali e spesso torna a casa sua in permesso, per prepararsi al grande rientro. Di questi tempi, quando la situazione della carceri italiane è da Terzo Mondo, con un sovraffollamento dovuto soprattutto alle lungaggini dei processi e agli scellerati provvedimenti restrittivi previsti dalle leggi sulle tossicodipendenze, il carcere di Gorgona è forse l’unico luogo in Italia dove si applica l’articolo 27 della Costituzione, quello che sancisce che lo scopo della detenzione è la rieducazione del condannato. Un luogo che avrebbe fatto venir gli occhi lucidi a Cesare Beccaria, il milanese che due secoli e mezzo fa dovette venire proprio a Livorno per farsi pubblicare quel “Dei delitti e delle pene”, che poi sarebbe diventato il testo più importante dell’Illuminismo italiano. Mentre alle Sughere di Livorno, un obbrobrio di Casa circondariale, manca ormai anche la carta igienica, e c’è una doccia ogni 65 detenuti, e l’unico consumo abbondante è quello di potenti psicofarmaci sedativi per impedire risse e suicidi, qui si lavora all’aria aperta, si impara un mestiere, si prova ad immaginare cosa possa essere la vita una volta tornati fuori. Unico neo, forse, in un posto del genere, circondato da un mare cristallino brulicante di palamite, tanute e dentici reali, è non poter fare il bagno, da quando, un paio d’anni fa, è franata la stradina che portava dalla sezione ordinaria a una caletta controllata da una motovedetta. Ma si spera di poter ricostruire quella stradina, i detenuti son pronti a farlo se qualcuno li autorizza. Anche se si sa: le procedure amministrative, ovunque farraginose, in un luogo come il carcere diventano ostacoli insormontabili. Insomma, star qui non è certo una vacanza, negli occhi di queste novanta persone, con me cordialissime - i due ragazzi napoletani mentre mi fan vedere la stanza mi offrono anche il caffè, come in una canzone di De André - c’è l’energia della volontà di riscatto, ma anche l’ombra di vicissitudini penose, di storie complicate, di strazianti deprivazioni affettive. Ma qui tutti sembrano consapevoli di esser capitati in una situazione di privilegio, la detenzione in Gorgona è considerata un premio, ottenuta per buona condotta, o, come dicono gli educatori, a conclusione di un percorso. Ma il commissario Ranucci, un lucchese comandante della Polizia penitenziaria, che mi scorta in quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del sistema penitenziario nazionale, mi fa capire che al ministero, a Roma, è pronta la pratica di chiusura di questo luogo. Il motivo? Costa troppo. È costoso alimentare l’energia elettrica, provvedere al sistema di rifornimento idrico, ai collegamenti quotidiani con la terraferma. L’assurdo è che, se la burocrazia lo consentisse, un posto del genere si potrebbe mantenere da solo o addirittura creare ricchezza, sfruttando con un’autonomia gestionale che le norme attuali non consentono le numerosissime risorse che produce. Basterebbe creare un bel marchio commerciale “Made in Gorgona” e si potrebbero vendere sulla terraferma i prodotti agroalimentari di qualità che qui vengono realizzati. Lo si è fatto con le orate, ma i guadagni invece di tornare a casa son finiti nel grande calderone indifferenziato dell’Erario e Gorgona e il suo carcere non ne hanno goduto alcun vantaggio. Si potrebbe invece sviluppare queste attività, si potrebbero anche raddoppiare o triplicare i detenuti-lavoratori. E con un po’ di fantasia e di buona volontà l’attività agricola e zootecnica potrebbe essere integrata da un sistema di accoglienza turistica, che restituirebbe questo pezzetto di Livorno alla frequentazione dei visitatori. Fa male al cuore immaginare che un posto così, che dovrebbe essere l’esempio di come una società avanzata affronta il problema della detenzione e della rieducazione, sia invece destinato a chiudere, insieme con la stagione delle speranze in un mondo migliore e più umano. E se chiude il carcere, qui chiude tutto: niente più energia elettrica, niente collegamenti, niente approvvigionamenti. Il destino di Gorgona sarebbe quello di sperare d’esser comprata da un miliardario per farci la sua villa e forse un resort di lusso. Ma forse ci siamo abituati a scempi anche peggiori, ci siamo abituati a tutto. Sulla costa nord ovest, miracolosamente in equilibrio su uno strapiombo, c’è una torre del milleduecento, la Torre Pisana, o Torre Vecchia. Costruita per tener d’occhio il mare verso la Corsica e per prevenire dalle incursioni dei pirati, una meraviglia di architettura medievale, oggi cade a pezzi. L’anno scorso è franato il tetto, presto crollerà anche il resto, e con lei la memoria di storie e persone di un’epoca nella quale la città di Livorno ancora non era stata neanche immaginata. Ingenuamente mi è venuto da chiedere: ma come? È l’edificio più antico del Comune di Livorno e nessuno fa nulla? Poi mi è venuto a mente che nel cuore della città c’è un’antica fortezza, che deriva da un disegno buontalentiano e che divenne la Fortezza Nuova grazie al lavoro di ingegneri come il Cogorano e il Pieroni. Quando andavo al liceo era un bellissimo parco pubblico, che ospitava feste, assemblee, concerti. Le mamme ci portavano i bimbi a giocare, al fresco dei pini. Adesso è chiusa da qualche anno e sta crollando. Non risulta che ci sia un progetto, non ho letto da nessuna parte di un’iniziativa per restaurarla, o almeno per metterla in sicurezza e restituirla alla città. Sembra che ci siamo tutti rassegnati, con indolenza e fatalismo, all’abbrutimento e al degrado. Ma speriamo che questi miei sian solo pensieracci d’agosto. Speriamo che Gorgona non chiuda, che il sogno illuminista non muoia. E speriamo che anche Livorno non sia condannata al destino di torpore che in questi giorni mi è sembrato di avvertire, qui come altrove. Speriamo insomma che l’Italia se la cavi. Prima di varcare il cancello per uscire dalla sezione, vengo fermato da un detenuto che ci tiene a farmi vedere anche lui la sua cella. Finora non aveva aperto bocca e pensavo fosse marocchino o tunisino, per via della lunghissima barba da talebano. Invece si chiama Salvatore e viene da Palermo e mi confida che si taglierà quella barba solo il giorno che finalmente uscirà di qui. Tiene in ordine il suo angoletto con precisione maniacale e ha tre foto incorniciate, una di Che Guevara, una di Padre Pio e una di Berlusconi. Conta i pochi giorni che lo separano dall’uscita e per scaramanzia non vuol dirmi quanti siano. Da ragazzo è cresciuto nelle strade dello Zen e qui ha imparato a fare il pastore di pecore. Il suo progetto, una volta fuori, è occuparsi di un gregge, fare il formaggio, e a sentir lui ha già trovato un lavoro. Esco dal cancello che separa la sezione ordinaria dal resto dell’isola, portandomi dentro un sentimento controverso, di buon umore, di tenerezza e di pena. Auguri a Salvatore, auguri a tutti i detenuti di Gorgona, auguri a tutti noi. Immigrazione: “sarete rimpatriati”; una telefonata scatena la rivolta nel Cpa di Ragusa Gazzetta del Sud, 23 agosto 2011 Cinque carabinieri feriti, tredici immigrati arrestati, circa trenta africani ancora da ricercare in tutto il territorio della provincia di Ragusa, vetri e infissi nuovamente distrutti. Quanto successo ieri nel centro di prima accoglienza del porto dà l’esatta idea di quanto siano sacrosante le proteste che i sindacati di Polizia hanno espresso nei giorni scorsi. Nella notte fra domenica e ieri, una telefonata al cellulare di un immigrato mette lo scompiglio. “Guardate che vi faranno rientrare in Africa, se non oggi, sarà domani”. Il messaggio si diffonde in pochi minuti fra gli immigrati, molti dei quali già con una richiesta di asilo politico consegnata dopo l’arrivo in Italia. Scatta la follia da parte di alcuni immigrati, sedicenti libici. Alcuni smontano i letti a castello. Inizia, così, una colluttazione che durerà più di trenta minuti, nella quale, a farne le spese, saranno cinque carabinieri, feriti in modo lieve e trasportati all’ospedale “Maggiore” di Modica, dove sono stati curati e dimessi nel primo pomeriggio di ieri. Nello stesso tempo, circa cinquanta immigrati fuggono, davanti a uno sparuto gruppo fra carabinieri, polizia e finanzieri. Tredici dei cinquanta in fuga sono stati rintracciati e riportati nel centro nella mattinata. Altri sette sono stati acciuffati nel pomeriggio. Diversi automobilisti, in transito per la strada provinciale Modica-Pozzallo, hanno visto immigrati camminare sotto il sole cocente di ieri, a piedi scalzi. Alle 12, è iniziato l’interrogatorio per tredici immigrati nella caserma dei carabinieri di Pozzallo. Alle 15, gli stessi tredici immigrati venivano trasferiti nelle carceri di Modica e Ragusa. L’accusa è danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. Intanto, dopo il trasferimento nel centro di prima accoglienza a Pozzallo di sessanta extracomunitari, che facevano parte di un gruppo di persone sbarcate clandestinamente a Lampedusa il 13 agosto scorso, la Squadra Mobile ha arrestato due tunisini: Mohamed Torkhani, 25 anni e El Akremi Marouan, vent’anni, e un marocchino, Emaydi Hisin, 32 anni. I tre sono accusati di essere entrati in Italia senza l’autorizzazione del Viminale. Nei confronti di Emaydi Hisin, inoltre, sono state ripristinati due ordini di carcerazione, emessi dal Tribunale di Bologna. Il marocchino deve scontare un anno e tre mesi, pagare una multa di 4.400 euro, per vicende legate al traffico di stupefacenti. Il questore Filippo Barboso, ieri mattina nel porto di Pozzallo per partecipare ad un evento organizzato dalla Guardia di Finanza, ha ricevuto per tutta la mattinata informazioni sull’andamento delle ricerche e sulle condizioni dei feriti. Alle 12, i giornalisti presenti in porto gli chiedono una dichiarazione e il questore, vista la situazione, s’infervora come non mai. “Contusi? - dice Barboso -. Dovete scrivere che sono feriti e non contusi. Le forze dell’ordine hanno rischiato grosso all’interno del Cpa. C’è una bella differenza. È diventata, comunque, una situazione insostenibile. L’unica cosa che posso dire con certezza è che siamo parecchio arrabbiati. Non si può proseguire in questo modo, con il bollettino dei carabinieri ricoverati in ospedale sempre in continuo aggiornamento”. Accanto al questore, il comandante provinciale dei Carabinieri, tenente colonnello Nicodemo Macrì, annuiva in silenzio. Il disagio, per la situazione in essere, è indubbio, la misura sembra essere colma. Cina: persecuzioni ai religiosi; in carcere da luglio quindici pastori protestanti Ansa, 23 agosto 2011 Quindici religiosi cristiani protestanti sono in arresto dal mese di luglio mentre la polizia locale ha tentato di estorcere denaro alle loro famiglie in cambio della promessa della loro liberazione. Secondo quanto riferisce il sito dell’organizzazione China Aid, lo scorso 26 luglio dozzine di poliziotti e funzionari hanno fatto irruzione in una casa nella città di Wuhai, nella Mongolia interna, dove una ventina di leader religiosi provenienti da Wuhai e dalla provincia di Shizuishan si erano riuniti per svolgere attività religiose. La polizia ha circondato il luogo dell’incontro e ha portato via 21 persone, confiscando le Bibbie ed altro materiale religioso. I 21 sono stati poi poco dopo incriminati con l’accusa di svolgere attività di culto per minare la legge nazionale. Dei 21 arrestati sei sono stati poco dopo rilasciati perché il centro di detenzione ha rifiutato di accettarli in quanto troppo anziani e in cattive condizioni di salute. Per i rimanenti 15 la polizia ha fatto sapere alle loro famiglie che avrebbero potuto riaverli a casa pagando una multa di 50.000 yuan (circa 5000 euro) per ciascuno. Ma quando le famiglie, dopo aver raggranellato con fatica il denaro lo hanno consegnato, il caso è stato trasferito alla Commissione di pubblica sicurezza. Quest’ultima ha fatto sapere alle famiglie che per ottenere la liberazione dei loro cari avrebbero dovuto raccogliere ancora decine di migliaia di dollari, specificando che in caso contrario i 15 detenuti sarebbero stati mandati in campi di lavoro o perseguiti in tribunale.