Giustizia: oggi il carcere è solo strumento di deterrenza di Sergio Moccia Il Manifesto, 20 agosto 2011 L’attuale situazione delle carceri e dei detenuti distorce il senso e i principi del nostro sistema penale. L’unica “ratio” sembra essere quello della deterrenza. Dimenticando la Costituzione. Ben a regione all’ordine del giorno del dibattito politico ci sono gli enormi problemi economico-finanziari, di portata internazionale. Ma uno stato sociale di diritto, espressivo dei valori di democrazia sanciti nella Costituzione, neppure in questi frangenti può dimenticare le ragioni degli “ultimi”, i detenuti, ridotti per le condizioni in cui vivono ad “avanzi” della giustizia. Va dunque salutata con grande favore e forte rispetto l’iniziativa di Marco Pannella e dei Radicali in ordine ai problemi del carcerario. Il clima da law and order, che fa da supporto a prassi e legislazione connotate in senso autoritario, ha comportato una rinnovata esaltazione del carcere: con la vergognosa situazione che caratterizza la maggior parte delle nostre istituzioni carcerarie si sta verificando lo sgradevole paradosso per il quale è il carcere a mettere in ceppi la giustizia, a tutt’oggi infatti sono più di 68.000 i detenuti a fronte di una capienza di circa 44.000 posti. Infatti, a porre la giustizia in una situazione di contrarietà alla Costituzione già basterebbe il dato secondo cui la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio, rispetto al totale dei presenti negli istituti di prevenzione e pena, sembra superiore al 42%; si tratta di cifre preoccupanti se si considera che la carcerazione preventiva, in base al principio di cui all’articolo 13 della Costituzione per il quale la “libertà personale è inviolabile”, avrebbe dovuto essere un’eccezione ben circoscritta. A ciò deve aggiungersi anche il fatto che la detenzione di decine di migliaia di persone in attesa di giudizio, spessissimo di primo grado, mortifica un altro principio costituzionale di altissimo valore civile: la presunzione di non colpevolezza. A conti fatti, soltanto per poco più del 20% viene assicurata l’osservanza di questo principio. Appare, dunque, verosimile concludere nel senso che la prima funzione che l’istituzione penitenziaria è attualmente chiamata a svolgere, ha poco a che fare con l’esecuzione delle condanne pronunciate con sentenze definitive, ma riguarda la custodia preventiva: essa, è bene ricordarlo, coinvolge, per definizione, sempre ed esclusivamente soggetti non colpevoli. Che questa sia, poi, considerata da troppi la vera pena - magari in ragione della consapevolezza che, soprattutto nei casi di pena di breve durata, una sentenza di condanna non porta in carcere nessuno - è una conclusione inaccettabile, riconducibile ad una concezione ancestrale della pena e della giustizia, che, nella sua dimensione giuridica, vanifica e contraddice i più elementari principi del sistema penale costituzionalmente orientato: articolo 27, comma 3 della Costituzione, divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e dovere di tendere alla rieducazione del condannato. Il tutto si verifica, ripetiamo, in un contesto di non più sopportabile affollamento delle carceri: una situazione caratterizzata da un degrado sempre maggiore, testimoniato dal numero dei suicidi che negli ultimi anni ha raggiunto picchi mai sfiorati prima e che anche nel 2011, con i 42 suicidi già avvenuti, sembra destinato a confermare cifre allarmanti. Sorge, allora, legittimo l’interrogativo sui costi che la collettività possa e debba ragionevolmente sopportare, in termini di certezza dei diritti fondamentali, per la difesa coercitiva dei medesimi diritti contro le pur gravi forme di criminalità presenti nel contesto sociale. Lo stato sociale di diritto, accanto all’idea del minor numero possibile di norme penali, deve favorire quella del minor numero possibile di persone penalmente perseguite che debba essere carcerizzato. Attualmente, invece, il numero dei detenuti in Italia sembra essersi raddoppiato nel giro di pochissimi anni. Che questo stato di cose dipenda da un’esaltazione repressiva, tanto irrazionale sul piano degli effetti, quanto deleteria sul piano dei diritti, viene esemplarmente confermato dall’assenza di un pari incremento dei delitti denunciati, che, anzi, quando non risultano in diminuzione, subiscono un aumento che, in termini percentuali, non è affatto paragonabile a quello che nel volgere di cinque anni ha subito la popolazione carceraria. Ed è soltanto ingenuo, se non segno di preoccupante malafede, a fronte di questo dato, attribuire l’incremento delle carcerazioni ad una rinnovata efficienza nella persecuzione dei reati di mafia, di terrorismo o dei colletti bianchi. In termini percentuali i numeri relativi a questi fatti sono assolutamente esigui! Come di consueto, la repressione finisce per orientarsi verso le fasce di marginalità via via emergenti: gli attuali “oziosi” e “vagabondi” sono i tossicodipendenti e gli immigrati, preferibilmente di colore. E, infatti, dal 1990, le presenze di tossicodipendenti in carcere risultano aumentate in misura prossima all’85%, mentre, nello stesso periodo, il numero degli immigrati “entrati dallo stato di libertà” ha subìto un incremento che, per quelli di origine africana, è valutato superiore al 154%. Fino a pochi giorni fa, gli stranieri rappresentavano il 36,24% del totale dei detenuti italiani: per essi, come i tossicodipendenti, si tratta di percentuali sul totale dei detenuti, che non hanno assolutamente riscontro nella popolazione esterna al carcere. Secondo il consueto schema dell’emergenza, con tutto il suo bagaglio di intolleranza, illiberalità, sterile simbolicità, approssimazione, ad una repressione legittima, purché sempre rispettosa delle regole, di allarmanti fenomeni criminali si abbina una repressione di tipo carcerario, ingiustificata e contraria ai principi costituzionali di riferimento. Non risponde, infatti, alle esigenze personalistiche e di solidarietà solennemente riconosciute nella legge fondamentale, né può costituire motivo di conforto, la carcerizzazione di centinaia di giovani tossicodipendenti o di immigrati di colore, per ogni mafioso o colletto bianco in più in carcere. In realtà, nella sua concreta articolazione la pena ha assunto quale latente, ma effettiva funzione un misto di retribuzione e deterrenza, testimoniata dall’abbandono al mero custodialismo carcerario di svariate decine di migliaia di persone, con un totale tradimento delle funzioni di integrazione sociale normativamente stabilite. Con la recente svolta, il carcere è venuto, dunque, a strutturarsi come indifferente contenitore di varie fenomenologie criminali unite, nella crescita elefantiaca dell’istituzione totale, dal disegno di indiscriminata repressione, quale esige la prevalente, sbrigativa prospettiva della deterrenza. Solo con la mancanza di una seria e meditata politica criminale è possibile giustificare, a fronte di una diminuzione delle denunce di reato, un aumento della popolazione carceraria. Questa è unicamente la testimonianza di un’intransigenza di tipo moralistico in grado soltanto di fomentare crociate, nell’ossessione di una puerile ricerca di capri espiatori, responsabili di tutti i mali del presente, rinunciando così, a priori, a trovare una effettiva soluzione ai problemi. Paradossalmente, più il carcere fallisce, più ne aumenta la richiesta. Le ragioni possono essere le più diverse, ma, essenzialmente, ciò si verifica perché è ancora radicato l’equivoco - che la giurisprudenza tendenzialmente asseconda - dell’equazione carcere uguale giustizia, a cui si aggiunge quello secondo cui più dura è la pena, maggiormente si realizza la giustizia. È inutile nasconderlo, sopravvive una concezione premoderna, ancestrale, teologico-sacrale della giustizia e della pena come espiazione, che si collega immediatamente all’aggressività dell’individuo, ignorando prospettive di solidarietà: essa aggrava più che risolvere i problemi, per i quali occorrerebbero, invece, ben altri rimedi che in questa sede è impossibile rappresentare e per i quali possiamo solo rinviare ad un ulteriore intervento sul tema. Giustizia: la doppia pena nelle carceri italiane Il Sole 24 Ore, 20 agosto 2011 La pena, dice l’articolo 27 della Costituzione, non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. Anche senza conoscere dall’interno lo stato dei penitenziari italiani (esperienza che comunque arricchirebbe chi voglia intervenire sul tema) i numeri di un’emergenza continua spiegano quanto siamo lontani - in Italia, ma non solo - da un uso corretto della privazione della libertà: al 31 luglio c’erano 66.942 detenuti invece dei 45.681 posti regolamentari. Due terzi di queste persone, tra l’altro, trattenute senza un “titolo” adeguato, cioè una sentenza definitiva di condanna. Il problema, oltre all’uso eccessivo della custodia cautelare, è un legislatore che invece di depenalizzare, puntare a pene alternative e cioè alla rieducazione, continua a intervenire con leggi che talvolta “obbligano” i pm ad arrestare chiunque e comunque. Col rischio di finire come in California, dove la Corte suprema ha obbligato la remissione in libertà per sovraffollamento di 40mila detenuti (22% del totale): situazione “indecorosa”, ha scritto la Corte, che porta a punizioni “esagerate e crudeli”, in palese violazione dell’VIII emendamento. Giustizia: dramma carceri, si comincia a parlare di amnistia di Pasquale Giordano Aprile online, 20 agosto 2011 Non si è spenta l’eco dell’iniziativa dei Radicali e delle altre associazioni che lo scorso 14 agosto si sono astenuti dal bere e dal mangiare in segno di protesta per il dramma carceri che il nostro Paese sta vivendo. La discussione nel paese su quali soluzioni adottare è stringente e non è esente da guerre di posizioni. Intanto si fa strada l’ipotesi di amnistia. Alla forma di protesta hanno partecipato in oltre duemila, ma tra tutti è suonata come un colpo di cannone l’adesione del presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso, che ha fatto proprio il monito del capo dello Stato. La sponda più importante per i firmatari della protesta è arrivata dallo stesso Napolitano che, in una nota diffusa a margine della telefonata avuta con Pannella, è tornato sull’argomento chiedendo al Parlamento di intervenire in tempi ravvicinati per sanare questa emergenza nazionale. Chi dovrebbe avere in agenda proprio questa urgenza è il Guardasigilli che, rispondendo ad una lettera aperta del sindaco di Lamezia Terme che lamentava la drammatica situazione della casa circondariale lametina (+186% di sovraffollamento, dati Uil-Pa Penitenziari), si è detto contrario a qualsiasi ipotesi di amnistia in quanto “Non percorribile politicamente”, sostenendo invece la strada della depenalizzazione di taluni reati. Piccata e immediata è stata la replica di Enrico Sbriglia, segretario nazionale del Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari (Sidipe) “Sono almeno 20 anni - ha esordito - che sento parlare dell’esigenza di ‘sfrondare il catalogò delle pene previste dal codice penale. La questione è stata al centro dei lavori di ben quattro commissioni parlamentari, ma non è mai successo niente. La nave della Giustizia italiana è in fiamme e le parole del ministro suonano come quelle di chi, a cospetto di una nave che va a fuoco e affonda, propone di costruirne delle altre per andare a salvare quella in procinto di sparire”. La presa di posizione del neoministro di via Arenula, però, sono sembrate prima di tutto una risposta indiretta proprio al Capo dello Stato il quale, nel corso dell’intervento al convegno Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano organizzato dai Radicali lo scorso 28 luglio, aveva voluto sottolineare “il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative” oscillanti tra “depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione”. Inoltre il richiamo ad una comunione della politica affinché si vaglino tutte le possibilità senza escludere “pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”, è sembrato un suggerimento celato verso misure che necessitano della maggioranza parlamentare quali possono essere indulto e amnistia. Alla posizione irriducibile di Nitto Palma ha poi risposto Marco Pannella, che ai microfoni di Skytg24 ha evidenziato come “L’amnistia serve per la giustizia, per i magistrati, per i 9 milioni di cittadini che potrebbero aspettare anni per avere giustizia nei tribunali e nei processi. Le iniziative di depenalizzazione noi le chiediamo da 10 anni, ma senza l’amnistia e l’indulto non possiamo fare tutte le altre cose”. Anche Sbriglia si è detto sicuro che l’unica soluzione sia l’amnistia: “Neanche l’indulto, come è avvenuto nel 2006, perché nel cancellare solo la pena e non il reato, costringerebbe comunque la macchina della Giustizia a doversi sobbarcare il peso del cumulo dei processi arretrati.” Meglio l’amnistia, ha concluso Sbriglia a patto che “tutto ciò che si andrà a risparmiare venga destinato all’assunzione di nuovi direttori, nuovo personale della polizia penitenziaria e ad un radicale ammodernamento delle carceri, capace di permettere davvero il graduale reinserimento nella società dei detenuti, così come è scritto nella Costituzione”. Giustizia: Osapp; 66.605 detenuti nelle carceri italiane e nel Lazio situazione molto grave Ansa, 20 agosto 2011 L’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) con una nota indirizzata al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma ha segnalato la preoccupante situazione che si sta verificando negli istituti penitenziari laziali. “Benché nel corrente mese di agosto si stia registrando un sostanziale ‘calò delle presenze detentive - si legge nell’atto a firma del segretario generale Leo Beneduci - dalle 66.942 unità di fine luglio alle odierne 66.605, nello stesso periodo i ristretti nelle carceri laziali sono passati da 6.420 presenze a 6.561, a fronte di una capienza che, anche nelle migliori ipotesi allocative non ha mai superato i 4.900 posti”. “Punte di diamante del sovraffollamento laziale - scrive ancora l’Osapp - sono gli istituti di Viterbo con 730 presenze per 444 posti, di Roma-Regina Coeli con 1.150 presenze per 724 posti e di Roma-Rebibbia Nuovo Complesso con 1.700 detenuti per 1.215 posti, mentre la carenza di personale di polizia penitenziaria nella regione è di 810 unità, di cui 200 unità a Viterbo, 90 unità a Roma-Regina Coeli e 250 a Roma-Rebibbia Nuovo Complesso”. “Assai probabile, peraltro, che il miglioramento nelle presenze detentive rilevato sul territorio nazionale non duri ancora per molto, per cui una nuova crescita nazionale della popolazione detentiva, per il Lazio produrrebbe effetti devastanti”. “Per tali ragioni - conclude la missiva - per la sensibilità e la competenza già dimostrate, nell’interesse dell’Istituzione e del Personale Le chiediamo di voler disporre con la massima urgenza, se del caso, anche in sede normativa, per ogni utile intervento inteso a deflazionare e a riorganizzare il sistema penitenziario e a restituire, in tal modo, speranza e fiducia alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria”. Giustizia: perché il “braccialetto elettronico” funziona in tutti i Paesi… salvo che da noi? di Piero Laporta Italia Oggi, 20 agosto 2011 Le carceri sovraffollate, tormentone d’ogni estate, saranno dimenticate quando Marco Pannella riavrà l’appetito o sarà stufo di giocare a tana libera tutti. Passata l’estate, con o senza l’indulto, non se ne parlerà più ma il problema resta. In Italia le carceri ospitano oltre 60mila detenuti, su una capacità di 50mila. Un terzo dei detenuti sono stranieri, extracomunitari oppure balcanici. Il problema sovraffollamento delle carceri concerne paesi europei e non, ma altrove hanno la soluzione: il braccialetto elettronico. A dire la verità l’abbiamo adottato anche noi, tuttavia con qualche differenza. Pochi ricordano in questo paese di smemorati che nel 2001 la Telecom spuntò 110 milioni per 400 braccialetti elettronici, fino al 2011. Pagheremo ancora fino a settembre. Tempo fa ne funzionavano una decina, per sperimentarli: oltre un milione di euro a braccialetto per anno. Oggi forse non funzionano neppure quelli. Tutti i paesi civili usano il braccialetto. La Gran Bretagna lo usa su 50mila adulti condannati o imputati, spendendo un quinto rispetto alla detenzione tradizionale, coprendo anche la sorveglianza H24 su minorenni, tifosi e automobilisti a rischio. Là pieno successo, qui costoso flop. Perché? In Gran Bretagna la sorveglianza elettronica è a gestione privata. I contractors, vinto l’appalto, garantiscono il servizio. La Telecom fornì al ministero di Giustizia i dispositivi sulla base di requisiti operativi descritti da qualcuno che, giocando con la play station, presumeva di conoscere le hi-tech. Ottenuti gli apparati, rimase la nebbia delle procedure. Chi crede di rimediare con corsi di formazione reca ulteriori gravami ai costi complessivi, senza garanzia che il personale sia compatibile coi requisiti del sistema. Flop arci scontato. Chi paga? Un’altra domanda: che si aspetta in Italia a privatizzare questi servizi? Oggi anche il Brasile ci surclassa nella sorveglianza elettronica e sta svuotando le carceri. Partiamo da un concetto elementare: se i nostri apparati statali fossero vocati alle hi-tech non saremmo dove siamo. Tanto più banale è osservare che i rari casi d’alta specializzazione nelle polizie non sono peculiari al personale di custodia delle carceri, tanto meno a tutte le ramificazioni delle innumerevoli polizie italiane, coi loro 500mila addetti. Chi tarantola all’idea che una polizia privata metta un braccialetto allo stato, ricordi che 60mila agenti privati sono da tempo nella nostra (in)sicurezza e già operano nelle situazioni più calde. Si può lasciare la scelta in molti casi al carcerato: cella o braccialetto? Se sceglie il braccialetto, sarà sottoposto a sorveglianza H24 da una consolle che copre territori di più regioni, con comunicazioni “punto a punto” dalla consolle alle polizie. In caso di violazione o fuga, lo si rimette in cella e si butta la chiave fino alla fine della pena. Questa macchina non è gestibile autonomamente dalle polizie e ne evidenzia le carenze e le ridondanze. E questo è forse l’ostacolo insormontabile, in Italia, non in Gran Bretagna e neppure in Brasile. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); emergenza carceri, alle promesse seguano i fatti Il Velino, 20 agosto 2011 “Passato Ferragosto, la politica torni ad occuparsi della situazione nelle carceri. Alle promesse delle istituzioni seguano i fatti: si proceda con la depenalizzazione dei reati minori che riguardano la tossicodipendenza e l’immigrazione”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “All’impegno continuo dei Radicali e del Forum segua anche quello delle altre forze politiche - continua Di Giovan Paolo -. Intanto si possono mettere in campo poche misure per migliorare la vivibilità dei penitenziari. Dunque, miglioramento del cibo e dell’acqua potabile per prevenire le malattie e razionalizzazione degli spazi all’aperto”. Giustizia: Osapp; bene il ministro Palma su chiusura piccoli tribunali Il Velino, 20 agosto 2011 “Come poliziotti penitenziari e quindi “addetti ai lavori” siamo certi che la chiusura dei Tribunali più piccoli preannunciata dal Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma possa portare non solo a realizzare consistenti risparmi di bilancio ma persino minori lavoro e “rischi” per quei pochi poliziotti penitenziari che oggi accompagnano i detenuti in udienza in tali sedi” è quanto affermato da Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “In massima parte - prosegue il Sindacalista - gli istituti penitenziari risiedono nei capoluoghi di provincia le cui sedi giudiziarie non sono certo a rischio chiusura e nei restanti casi, anche grazie al deciso intervento del Guardasigilli, come giustamente affermato quest’oggi dall’On. le Luigi Vitali, si potrebbe finalmente, come più volte promesso e mai mantenuto dal precedente Ministro della Giustizia, che le udienze di convalida dei fermi o degli arresti si tengano all’interno degli stessi istituti, anche in questo caso con notevolissimi risparmi di uomini e di mezzi”. “Invitiamo quindi il Ministro Palma - conclude Beneduci - a proseguire sulla strada già intrapresa”. Lettere: ma quale detenzione a 5 stelle? 22 ore al giorno in cella sono una tortura per tutti di Alfonso Papa (Deputato del Pdl) Il Mattino, 20 agosto 2011 Il 14 agosto ho aderito, come parlamentare, alla giornata di sciopero della fame e della sete indetta per sensibilizzare Parlamento, istituzioni e pubblica opinione sul problema del sovraffollamento delle carceri. Lo avrei fatto comunque. Ma il destino ha voluto che lo abbia fatto come primo parlamentare consegnato da presunto innocente, in stato di custodia cautelare, per fatti non di sangue, alle patrie galere. L’incomparabile esperienza umana che sto vivendo nel Padiglione Firenze del Carcere di Poggioreale mi stimola allora a una riflessione che nasce dalla unica esperienza di solidale condivisione cristiana della reciproca sofferenza che trasuda dalle mura sorde di questo luogo dove le sbarre sembrano ricordare a tutti che oltre quel muro vi è comunque un cielo azzurro nel quale specchiarsi. Gli occhi lucidi di lacrime di giovani e meno giovani, detenuti ed operatori di ogni livello, tutti uniti in un dolore sovrumano ed uno sforzo professionale senza paragoni, pongono alcune domande. In Italia vi sono oltre 67mila detenuti rinchiusi in prigione. Di questi soltanto 37.591 sono stati condannati in via definitiva e con una sentenza passata in giudicato. Questo significa che più del 40% della popolazione carceraria è composta da persone presunte innocenti secondo il dettato della Costituzione. Sono poi 14.200 i detenuti sottoposti a custodia cautelare (tra cui il sottoscritto), soggetti cioè che non hanno ancora avuto nemmeno il processo di primo grado. Le statistiche del ministero della Giustizia dicono poi che la percentuale di archiviazione o proscioglimento prima ancora del processo sono, per questi casi, di circa il 40%. Ometto, per decenza, la durata media e i relativi dati del processo penale in Italia e le percentuali di assoluzione. La prima domanda è allora: può un Paese che ha questi dati da offrire sulla durata dei processi, consentirsi di tenere per anni decine di migliaia di persone in galera senza che queste abbiano avuto un solo giudizio di condanna? Un collega parlamentare imbecille (anche nella “casta” gli imbecilli dilagano) ha poi definito il luogo della mia detenzione un albergo a 5 stelle. Questo signore non ha solo offeso i miei compagni di cella, i detenuti e gli operatori tutti. Ha dimostrato di non sapere che in questi luoghi vi è una umanità sovraffollata che sposta tavoli e letti a castello anche a tre per fare attività fisica in spazi angusti e dove lo sforzo più grande ed encomiabile lo fanno proprio direzione e agenti penitenziari, che, preposti al controllo e all’ordine, fungono spesso da psicologi, educatori ed amici. Nel Padiglione Firenze e in tutto il carcere di Poggioreale sono previste poi solo due ore di passeggio al giorno e ciò a causa del sovraffollamento e della carenza di personale. Seconda domanda: cosa vi fa pensare che chi esce da qui possa essere divenuto migliore di quando vi è entrato? Ultima notazione merita la custodia cautelare. Le 22 ore al giorno chiusi in cella sono solo una forma di tortura, neppure velata per l’innocente. Esse sono poi un’espiazione anticipata per il colpevole. Ma la domanda è allora se sia giusto per uno Stato carente nell’eseguire le sentenze di condanna per i colpevoli passati in giudicato, pretendere, con i tempi che attualmente ha il processo penale, che il presunto innocente debba invece espiare preventivamente in carcere. In questa situazione è allora auspicabile un intervento del Parlamento e della politica, fortunatamente fatta non solo da quegli imbecilli che ci definiscono un albergo a cinque stelle ed ai quali cristianamente auguriamo di non soggiornare mai in alberghi come questo, consapevoli come siamo che, nelle perigliose e imprevedibili onde della vita, un tale approdo potrebbe capitare prima o poi anche a loro. Lettere: reato banda armata escluso da possibilità di risarcimento per ingiusta detenzione di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 20 agosto 2011 Il 18 agosto scorso, la quarta sezione della Cassazione, ha depositato la sentenza con la quale conferma il non risarcimento a una persona che ha scontato due anni di carcere ingiustamente, confermando il giudizio della corte d’appello di Roma. La Cassazione, ha motivato la sentenza sostenendo che la persona ricorrente, frequentando amicizie pericolose, ha tratto in inganno gli inquirenti. Il reato, per il quale questa persona è stato arrestato e poi assolto è quello di banda armata. Qualche mese fa, episodio analogo e stessa accusa e non risarcimento da parte della corte d’appello di Milano. Tanti altri casi, sembra quasi che chi viene assolto dall’imputazione di banda armata non debba usufruire del risarcimento per ingiusta detenzione. Il reato di banda armata, è nei fatti escluso dalla possibilità di risarcimento per ingiusta detenzione. Io che da anni mi batto per l’applicazione retroattiva degli art. 314 e 315 del c.p, che stabiliscono il risarcimento per ingiusta detenzione, penso che se un giorno questa battaglia, supportata anche da tante persone e democratici dovesse passare, poi troverei, per ottenere il risarcimento, un altro enorme e grande problema: quello di essere stato assolto, dopo sei anni di carcere ingiusto, dal reato di banda armata, per cui mi vedrei sbarrata la strada. Mi consola idealmente solo l’idea che le battaglie vere non si perdono mai, si vincono sempre, al di là del risultato concreto. Lazio: Ugl; nel Lazio situazione esplosiva; intervenga Palma Agi, 20 agosto 2011 “Il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, presenti al più presto misure per risolvere la grave emergenza sovraffollamento delle carceri laziali, alleggerendo gli eccessivi carichi di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria”. Lo chiede il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, evidenziando come “ormai siamo di fronte a un serio rischio di implosione: se a Roma la presenza dei detenuti è in costante aumento a fronte di strutture e organici fortemente carenti, le drammatiche condizioni di istituti come quello di Viterbo mettono in pericolo addirittura il corretto mantenimento dell’ordine e della sicurezza interni”. A fronte di questo, l’Ugl chiede “un impegno concreto e immediato del ministro, che sia da stimolo anche per il dipartimento dell’amministrazione penitenziari che, fino ad oggi, sembra non aver preso piena coscienza dei rischi di collasso del sistema penitenziario regionale”. Catanzaro: detenuta nigeriana condannata alla lapidazione; appello per evitare espulsione Agi, 20 agosto 2011 È scattata in Italia la mobilitazione per salvare Kate Omoregbe, la giovane nigeriana di 34 anni detenuta nel carcere di Castrovillari (dove sta finendo di scontare una condanna a quattro anni e quattro mesi, uscirà nella prima decade di settembre) che ha chiesto asilo politico per poter restare in Italia (dove si trova da dieci anni, con regolare permesso di soggiorno) e non essere espulsa per evitare, nel suo Paese la lapidazione per il suo rifiuto di sposare una persona molto più grande di lei che non ama e di non volersi convertirealla religione musulmana”. A promuovere la campagna umanitaria che va avanti ininterrottamente oramai da un mese è il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, che dopo aver ricevuto una lettera della ragazza con una accorata richiesta di aiuto, giovedì scorso si è recato nella casa circondariale della città del Pollino per incontrare la ragazza che aveva chiesto questo incontro. Kate ha raccontato al leader di Diritti Civili la sua odissea, la sua paura di essere uccisa, la sua fuga dalla Nigeria, durata mesi, per sfuggire alla lapidazione. L’arrivo in Italia. L’arresto, per uso di droga. Ha pianto e gridato la sua innocenza. Dopo l’interrogazione parlamentare bipartisan, ai ministri dell’Interno, Roberto Maroni, e della Giustizia, Francesco Nitto Palma, di tredici senatori, l’intervento del presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, del sindaco di Castrovillari, Franco Blaiotta, che, raccogliendo l’appello di Diritti Civili, hanno tutti chiesto un atto umanitario per evitare l’espulsione di Kate dall’Italia e salvarle in questo modo la vita, oggi sono intervenuti a favore della giovane nigeriana la Comunità di Sant’Egidio, il deputato del Pdl Souad Sbai, la Cisl e l’Islam Moderato. La comunità di Sant’Egidio, con il suo portavoce Mario Marazziti, - riferisce corbelli - ha chiesto l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Da parte di tutti una richiesta unanime: evitare l’espulsione e salvare la vita di Kate. Corbelli, che si dice fiducioso “vinceremo anche questa battaglia, salveremo Kate ed eviteremo che venga lapidata”, ringrazia “quanti stanno sostenendo questa campagna umanitaria di Diritti Civili per salvare Kate”, lamenta e denuncia “l’ingiustificato silenzio della stampa nazionale”. Parma: Soliani e Ferrari (Pd); rispetto a un anno fa la situazione del carcere è peggiorata La Gazzetta di Parma, 20 agosto 2011 I detenuti in via Burla sono il doppio del consentito. Pochi agenti e celle sovraffollate. È questa la fotografia scattata dalla delegazione di politici in visita ieri mattina nel carcere di Parma. “Rispetto allo scorso anno, la situazione è peggiorata: meno personale, più detenuti, meno educatori, meno risorse”, attacca la senatrice del Pd Albertina Soliani. “I detenuti sono 550, dovrebbero essere 333. Mancano 187 agenti”, snocciola i dati Gabriele Ferrari, consigliere regionale Pd, che aggiunge: “Manca soprattutto il legame con il territorio: solo fino a dieci anni fa era possibile mantenere una relazione dei detenuti con la città grazie a progetti educativi importanti”. Gli educatori in servizio dovrebbero essere nove: soltanto uno è in pianta organica, aiutato da due dipendenti di enti locali. In tre portano avanti progetti con i reclusi. Il resto è nelle mani dei volontari. Un altro dato sorprende: solo un detenuto su cinque è italiano. “Gli stranieri sono l’80%, il 20% gli italiani - continua Ferrari, secondo le statistiche i più numerosi sono i magrebini, calano i detenuti albanesi, aumentano i romeni”. Dal 2008 sono le aziende Usl locali a occuparsi della salute dei detenuti. Nuovi spazi, nel frattempo, sono stati ristrutturati. Nella sala dei colloqui non ci sono più infiltrazioni d’acqua: sui tavoli e sulle sedie, inchiodati al pavimento, non piove più. Per la senatrice Albertina Soliani, un’altra nota positiva è la nuova dirigenza: “Abbiamo trovato, da parte di chi gestisce il carcere, maggiore comprensione e volontà di rimediare e investire. C’è una volontà vera di migliorare, umanizzare il carcere”. L’ex direttore Silvio Di Gregorio ha lasciato via Burla per un incarico a Roma di dirigenza nel Dap, il Dipartimento amministrativo penitenziario con sede a Roma. Ora la reggenza è affidata al vicedirettore. “La tensione esiste - spiega la parlamentare del Pd, è provocata dal numero dei detenuti, ma rispetto ad altre volte, abbiamo visto un clima più sereno”. Al sopralluogo dietro le sbarre hanno partecipato ieri anche l’assessore provinciale alle Politiche sociali Marcella Saccani, il coordinatore di Libera Parma Giuseppe La Pietra, e Patrizia Bonardi, presidente della cooperativa Sirio, da sempre impegnata nell’inserire nel mondo del lavoro gli ex detenuti. “L’attenzione delle istituzioni alle carceri locali è un atto dovuto - dice la Saccani -. La situazione di Parma riflette ciò che avviene a livello nazionale. Manca un numero enorme di agenti, i progetti sociali e di riabilitazione diventano sempre più complicati e difficili. Ma sono essenziali: il carcere deve costruire percorsi di vita”. Messina: Opg Barcellona P.G.; primi trenta ricoverati trasferiti al “Pagliarelli” di Palermo Gazzetta del Sud, 20 agosto 2011 L’esodo dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona fino al carcere di Pagliarelli di Palermo è iniziato ufficialmente ieri e dovrà completarsi a piccoli scaglioni entro il prossimo 25 agosto, così come disposto dall’Amministrazione penitenziaria che ha dato il via libera all’utilizzo di un raggio del reparto femminile dell’Istituto penitenziario del capoluogo siciliano. L’Amministrazione penitenziaria sta ottemperando all’ordine di evacuazione impartito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, che aveva intimato il trasferimento entro 30 giorni (che scadranno il prossimo 26 agosto), in altri luoghi, di 36 internati ristretti nel raggio del Primo reparto dell’Opg Vittorio Madia, e ciò per la fatiscenza degli ambienti. Dei 36 internati ospitati nel reparto da sgomberare, 16 hanno già raggiunto altri Opg (Napoli, Aversa, Reggio Emilia e in minima parte Castiglione delle Siviere). I restanti 20 sono stati invece assegnati al reparto del Pagliarelli che diventerà a tutti gli effetti - sulla carta - una sezione satellite dell’Opg. L’esodo degli internati, non appena sarà ultimato, permetterà una lieve diminuzione delle presenze a Barcellona che si attesteranno a 310. Ieri stesso il direttore sanitario dell’Opg di Barcellona, Nunziante Rosaria, si è trasferito a Palermo per curare direttamente i dettagli logistici e approntare anche nel nuovo reparto del Pagliarelli, tutte gli accorgimenti necessari affinché i trasferimenti siano il meno possibile traumatici. Un gruppo di infermieri appositamente selezionati sarà distaccato a Palermo per rafforzare l’assistenza sanitaria del carcere palermitano, dove sarà peraltro particolarmente operativo l’assistenza psichiatrica. “Il trasferimento a Palermo iniziato ieri e che proseguirà lunedì e martedì, per completarsi entro il 25 agosto - come ha riferito il direttore Nunziante Rosania - riguarderà esclusivamente i carcerati e non gli internati, che durante la normale detenzione in Istituti di pena per sopravvenuti problemi hanno iniziato percorsi di trattamenti psichiatrici. Gli internati invece che sono stati prosciolti, resteranno in ambito degli Opg e ciò per non interrompere quel processo di riabilitazione reinserimento già in atto”. Gli ex carcerati ammalatisi di mente durante la detenzione, troveranno invece posto nel settore specifico individuato al piano terra del Pagliarelli che si presta - così ha riferito Rosania - al previsto trattamento. “Saremo particolarmente attenti a trasferire a piccoli gruppi i 20 detenuti e ciò per non creare ulteriori traumi. Non si tratta di pacchi postali, ma di persone bisognose di cure”. Ultimato l’esodo, il Primo raggio dell’Opg finito nel mirino dei Nas e sequestrato per ordine della Commissione parlamentare, diventerà un cantiere per consentire gli adeguamenti a standard accettabili. Bisognerà comunque trovare nuove sistemazioni, accompagnate da dimissione di ricoverati, per altri internati in quanto altri reparti necessitano di interventi di adeguamento, primo fra tutti il secondo e il quinto. Roma: detenuto olandese vuole scontare la pena in patria, bloccato da burocrazia Adnkronos, 20 agosto 2011 Condannato a quattro anni di pena per traffico di droga ha chiesto di poter scontare la pena in un carcere della sua terra d’origine, l’Olanda. Ma una ritardata notifica ha, fino a questo momento, reso inutile il parere favorevole della Corte d’Appello di Roma. E, da mesi, si continuano a spendere fondi pubblici per custodire un uomo che da tempo doveva essere trasferito un carcere olandese. Protagonista della vicenda, segnalata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, un cittadino olandese di nome Winterdaal. Secondo quanto ricostruito dai collaboratori del Garante, l’uomo era stato arrestato 3 anni fa, nel 2008, come corriere per l’importazione in Italia di cocaina, ed era stato condannato a 4 anni di reclusione. All’inizio del 2010 Winterdaal ha chiesto alle autorità italiane di poter scontare la pena in un carcere olandese, diritto che gli è stato riconosciuto, a marzo 2011, dalla IV sezione della Corte di Appello di Roma. “Nonostante ciò, per colpa di una banale disattenzione, - ha sottolineato Marroni - l’ordinanza della Corte d’Appello è stata notificata solo lo scorso giugno, perché un ufficiale giudiziario ha erroneamente certificato che l’uomo non era recluso a Regina Coeli ma in carcere calabrese”. “Questo ritardo nella notifica - ha detto Marroni - ha avuto conseguenze irreparabili visto che la giustizia olandese non consente l’estradizione per pene inferiore ai sei mesi che, guarda caso, è il residuo della pena che deve ancora scontare Winterdaal. E fino a questo momento a nulla sono valsi i solleciti e le istanze presentate dal suo avvocato per tentare di far accertare l’errore commesso”. Secondo il Garante quella del detenuto olandese è una vicenda emblematica della situazione che sta vivendo il sistema giudiziario italiano: “Di fronte ad uno stato di crisi causato da sovraffollamento e carenza di risorse - ha concluso Marroni - anziché snellire le procedure il sistema sembra arrendersi fatalmente alla burocrazia. È così, da mesi, lo Stato continua a pagare il mantenimento in carcere di un uomo che da tempo doveva stare in un istituto olandese”. Avellino: detenuto tenta di togliersi la vita, salvato dagli agenti Ansa, 20 agosto 2011 Un detenuto di circa 45 anni ha tentato di togliersi la vita ieri, verso le 14. N.N. detenuto nel reparto Alta Sicurezza, con un definitivo fissato al 2020, nativo della provincia del brindisino, è stato salvato grazie al tempestivo intervento degli uomini del Comandante Napolitano che hanno impedito all’uomo di mettere in atto il suicidio. Anche la struttura penitenziaria di Avellino soffre del sovraffollamento di detenuti che si assesta ad un numero di poco più di 530 unità ed è in attesa che venga aperto un nuovo padiglione che ne potrà ospitare circa 270. Si spera pertanto che con l’apertura del nuovo padiglione si potrà contare su di un considerevole numero di agenti anche perché, al contrario, non si potrà gestire una popolazione detenuta di circa 800 unità con il contingente corrente. Velletri (Rm): sovraffollamento, carenza di agenti e risorse scarse per la formazione Dire, 20 agosto 2011 “All’interno del carcere di Velletri ho trovato una situazione oggettivamente più difficile di quanto immaginassi. Una struttura sovraffollata dove, nonostante l’impegno della direzione e degli agenti di Polizia penitenziaria, i detenuti sono costretti a passare nelle celle gran parte della giornata, 22 ore su 24, per mancanza di occasioni di socializzazione e di lavoro”. È il commento in una nota del consigliere regionale della Lista Polverini Angelo Miele al termine della visita istituzionale compiuta, questa mattina, al carcere di Velletri. Dopo aver incontrato i vertici del carcere, spiega la nota, il consigliere regionale ha visitato diversi padiglioni della struttura intrattenendosi con detenuti ed agenti di Polizia penitenziaria per conoscere da vicino le problematiche più importanti che si vivono all’interno della struttura. Secondo gli ultimi dati del dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria, a Velletri sono ospitati 385 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 200 posti. “Una situazione- ha detto Miele- che potrebbe essere risolta con l’apertura del nuovo padiglione da tempo realizzato, con oltre 200 nuovi posti a disposizione, che invece continua a rimanere chiuso per la carenza di agenti di Polizia penitenziaria”. Secondo Miele, nel carcere di Velletri “il sovraffollamento, la carenza di agenti di sorveglianza e la mancanza di risorse finanziarie per la gestione ordinaria della struttura rendono, di fatto, inapplicabile il dettato costituzionale del recupero sociale dei detenuti. Un pericolo, quello di abbandonare a se stessi i detenuti all’interno delle carceri, denunciato più volte negli ultimi mesi dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni”. E in effetti, ha proseguito, “il rischio concreto è di non fornire alternative di sorta a queste persone per quando usciranno dal carcere. A Velletri ho conosciuto decine di detenuti che vorrebbero imparare un mestiere e lavorare, ma ciò non è possibile perché mancano le risorse. Su questo versante, mi farò promotore di una mozione in Consiglio regionale per garantire l’utilizzo dei fondi regionali destinati alla formazione professionale anche per i detenuti”. Un dato, infine, che il consigliere ha voluto sottolineare è che “quasi la metà dei reclusi di Velletri è composta da tossicodipendenti. Persone malate per le quali il carcere non è, ovviamente, la soluzione migliore. È proprio dalla conoscenza di realtà come quella di Velletri che ci si rende conto che l’emergenza carceri, a partire dal sovraffollamento, può essere risolta solo con un intervento del legislatore nazionale che preveda il massiccio uso delle pene alternative come arresti e detenzione domiciliare e il ricorso al carcere solo per i reati gravi”. Fossano (Cn): esponenti Radicali e del Pd in visita alla Casa di reclusione Agenzia Radicale, 20 agosto 2011 Venerdì 19 agosto, nell’ambito del Ferragosto in carcere, iniziativa promossa da Radicali Italiani su tutto il territorio nazionale, una delegazione ha visitato anche la struttura detentiva di Fossano: Mino Taricco, consigliere regionale del Partito Democratico, Rosita Serra, Presidente del Consiglio comunale di Fossano, e Bruno Mellano, componente della Direzione nazionale di Radicali Italiani, sono stati alla Casa di Reclusione Santa Catlina di Fossano. La delegazione è stata accolta ed accompagnata nella visita dal Direttore Edoardo Torchio, dall’ispettore Giuseppe Maglione e dalla responsabile dell’equipe educativa e trattamentale Antonella Aragno ed ha avuto la possibilità di un lungo e franco dialogo con i dirigenti dell’Istituto sui problemi e gli elementi critici per la gestione della struttura, radicalmente restaurata dopo l’indulto del 2006. Gli agenti penitenziari, che sulla carta dovrebbero essere oltre 100, sono appena 43: entro l’anno si prevedono inoltre ulteriori pre-pensionamenti ed un solo nuovo arrivo, dai corsi della Scuola Penitenziaria di Cairo. Gli educatori sono tre, di cui uno in part-time. La popolazione detenuta risultava composta da 163 persone, di cui 62 italiani e 101 stranieri, in gran parte magrebini e africani, fra gli europei, 9 rumeni. La capienza regolamentare è fissata in 140 posti letto, e si sono avute punte sino a 190, a seguito degli sfollamenti da altri istituti, soprattutto Torino e Milano. Si risponde al sovraffollamento con l’utilizzo dell’area dell’infermeria per l’ospitalità dei semiliberi e degli ammessi al lavoro all’esterno, in questo momento rispettivamente 2 e 4 detenuti. Circa 40 i tossicodipendenti, a cui il Sert garantisce assistenza e nel caso anche il trattamento metadonico a mantenimento. Si calcola che nell’arco dell’anno solare le persone detenute in transito per il carcere di Fossano siano oltre 220: il problema della notevole mobilità costituisce un elemento critico per impostare progetti e programma. I detenuti sono in gran parte con una pena residua inferiore ai 3 anni, negli ultimi tempi inferiore ai 5 anni, e è ospitata su tre piani, una sezione di 12 celle per piano, 11 delle quali con 5 detenuti ciascuna ed una cella per piano è riservata per gli isolamenti previsti dall’ordinamento. La delegazione ha visitato gli uffici dell’Amministrazione e della Sicurezza, soffermandosi nell’Ufficio Matricola, gli spazi dei laboratori della formazione, soffermandosi nell’officina di Ferro e Fuoco, apprezzandone i prodotti, la prima sezione, parlando con i detenuti, ed infine l’area sanitaria dove ha potuto parlare con la responsabile dottoressa Gabriella Turco e con la responsabile Asl dell’equipe infermieristica, casualmente anche lei in visita di servizio, e con l’infermiera stabile nell’istituto. Bruno Mellano ha dichiarato: “Nei giorni scorsi sono stato a Cuneo e a Saluzzo e lunedì sarò ad Alba, per continuare un impegno personale e politico sulla comunità penitenziaria cuneese che risale ormai a molti anni. Credo che dopo le parole del Presidente della Repubblica sulla urgenza e gravità della condizione carceraria nel nostro paese occorra stimolare la politica, nazionale ma anche regionale, a fare quanto possibile per rendere più umana la detenzione. Non solo per senso di giustizia ma anche per utilità collettiva: chi esce dal carcere avendo scontato tutto il periodo di detenzione senza alcun percorso di reinserimento torna a delinquere al 70%, chi invece ha il privilegio di usufruire delle pochissime opportunità formative e lavorative ha una recidiva inferiore al 20%”. Reggio Calabria: Osapp; buste con proiettili indirizzate ad agenti Adnkronos, 20 agosto 2011 “Da notizie informali si è appreso che sarebbero stati rinvenuti, presso gli uffici postali di Palmi, alcuni proiettili spediti in forma anonima ad appartenenti alla polizia penitenziaria, di cui si sconoscono le generalità ma che sembrerebbero appartenere al Reparto della Casa Circondariale di Reggio Calabria”. A darne notizia è Mimmo Nicotra, vicesegretario generale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria, che rivolge un appello al ministro della giustizia, Nitto Palma, per una sostanziale svolta nell’attuale sistema penitenziario. “Il fallimento della politica penitenziaria, durante l’incarico del Guardasigilli Angelino Alfano è sotto gli occhi di tutti e il Meridione è stato il più colpito dalle leggi di questa politica incompetente - sottolinea Nicotra. A farne le spese più di altri e ad essere lasciata sola nelle carceri, anche rispetto alle crescenti minacce provenienti dalla criminalità organizzata, è ancora una volta la Polizia penitenziaria i cui strumenti e il cui ruolo devono, invece, essere rivalutati adeguatamente”. Torino: detenuto bulgaro diventa cuoco con la cooperativa sociale Ecosol La Repubblica, 20 agosto 2011 Ve lo chiediamo esplicitamente. Secondo voi esistono cuochi bulgari di stretta ortodossia culinaria sabauda? Forse non vi eravate mai posti la domanda. Vi rispondiamo immediatamente, crediamo che ne esista uno solo: Emil Kartelov, quarant’anni e tante storie da raccontare. Per i primi trentacinque anni della sua vita Emil ha fatto il camionista e ha girato il mondo, o per lo meno l’Europa, sul suo automezzo dalle mille ruote. “Mangiavo sempre al ristorante e a casa non avevo mai preso una padella in mano perché cucinava mia moglie. Poi nel 2004 è successo che mi hanno arrestato mentre con il mio autoarticolato transitavo in Italia. Dovevo rimanere per sei ore in Piemonte e sono rimasto sei anni”. In carcere, dove solitamente si aspetta come se si fosse in una stazione ferroviaria ma il treno successivo passa magari dopo 10 anni. Soprattutto nel carcere di Torino, però, grazie allo sforzo ciclopico del direttore Pietro Buffa e del suo staff, ogni tanto arrivano treni in anticipo e sbocciano occasioni che se prendi al volo ti cambiano la vita. Dopo un anno di detenzione, Emil chiede e ottiene di lavorare alla mensa della casa circondariale e qui entra nel grande ventre fumante delle cucine del “Lorusso e Cutugno”. “I detenuti hanno un menu estivo e un menu invernale, scandito settimanalmente dalle direttive del Ministero”, ci spiega Emil. La grande mamma di tutti i detenuti, infatti, fa la lista della spesa, decide cosa e quanto devono mangiare, compra il cibo e lo mette a disposizione delle cooperative che gestiscono le mense. “Per un anno nella cucina ho solamente lavato i piatti, poi sono stato promosso a pelare la verdura per un altro anno, a quel punto avevo imparato a sufficienza per passare alla preparazione dei secondi e, da ultimo, a quella dei primi”. La cucina dietro le sbarre deve essere multietnica, o almeno multiregionale come la popolazione carceraria, per ricordare a tutti cosa li aspetta fuori dalla galera e dare un po’ di conforto, un po’ di gusto alla vita. “Il carcere ha numeri che solo le grandi navi da crociera posso eguagliare. Cucinare per 1.800 persone, - continua Emil - non è facile, ad esempio si preparano 125 grammi di pasta a testa, che vuole dire, in totale, 225 chili da condire con 9 litri di olio e 9 chili di formaggio. Noi in cucina eravamo in 21 su tre turni di lavoro. Una fabbrica di sapori”. Gli chiediamo come si mangia in carcere e Emil risponde: “Il cibo è di buona qualità perché, alla fine, nel carcere di Torino si mangia bene”. La sua formazione da cuoco all’interno del carcere è proseguita con l’assunzione presso la cooperativa sociale Ecosol grazie alla quale Emil evadeva con i suoi piatti che ogni giorno venivano serviti ai tavoli di una ventina di bar torinesi o durante i catering gestiti dall’associazione. Deve essere bello sapere che una parte del tuo lavoro lascia la prigione per essere apprezzato laggiù nel mondo reale. Emil è bravo e si è fatto una buona reputazione come cuoco, così quando un’altra cooperativa molto attiva nelle carceri, Pausa Caffè, ha iniziato a gestire il ristorante della Fondazione degli avvocati - anche questa è una bella storia, gli avvocati che danno da lavorare ai detenuti, ma è un’altra storia - Emil è stato assunto e ha ottenuto la semilibertà. “Vuole dire che esci dal carcere (!) alle 9 di mattina e torni alle 17. La semilibertà ti cambia la vita”. Quando gli chiediamo quali sono i suoi piatti preferiti, aspettandoci di scrivere parole bulgare tipo banitza ripiena di zucca o insalata sopska, il cuoco ci sorprende e cita il vitello tonnato alla vecchia maniera o i flan di verdure di stagione. Ma la sua specialità sono i dolci, ovviamente della tradizione piemontese. Poi, infervorato, inizia a parlare di prodotti del paniere, osterie di paese, cibi a chilometro zero e prodotti biologici senza conservanti e coloranti come se fosse Carlo Petrini. Chissà se esiste Slow Food in Bulgaria? Poi parla di commettere un furto, ma si tratta solo di rubare il mestiere prendendo spunto dai piatti di Gepi all’Agenzia di Pollenzo o di Valter Eynard del Flipot di Torre Pellice da cui ha appena iniziato un periodo di tirocinio. “Noi cuochi siamo tutti un po’ ladri. Prendiamo le idee dai colleghi più affermati. Basta individuare gli chef migliori a cui ispirarsi”. Emil adesso lavora al Bistrot di Pausa Caffè a Grugliasco ed è libero. A differenza di tanti suoi compagni di prigione, ha un nuovo destino che si è costruito con le unghie e con i denti, pardon, con i tajarin e con i flan. E questa è un’ottima notizia. India: il paese si infiamma per il suo nuovo Gandhi, liberato dal carcere di Tihar Agi, 20 agosto 2011 Una folla immensa e in festa ha accolto Anna Hazare all’uscita dal carcere di Tihar e lo sta scortando verso il parco di Ramlila dove l’attivista indiano proseguirà nel suo sciopero della fame contro la corruzione. Era da almeno 60 anni, dicono gli osservatori, che in India non si vedeva un movimento così imponente di gente scendere in strada; sembra di essere tornati ai tempi del Mahatma Gandhi. Nei giorni scorsi, Hazare ha ingaggiato un durissimo braccio di ferro con il governo del premier Manmohan Singh, che lo aveva fatto imprigionare con l’accusa di voler destabilizzare la democrazia parlamentare. Singh, capo del partito del Congresso, ha dovuto tuttavia venire a più miti consigli quando nelle strade di New Delhi, prima, e poi in tutto il resto del paese, ha cominciato a riversarsi una folla immensa che inneggiava alla battaglia di Hazare. Così, ad Hazare è stato concesso di digiunare in pubblico, come l’attivista chiedeva, per 15 giorni. Prima di raggiungere, accompagnato dalla folla, il parco di Ramlila, nel centro della capitale indiana, Hazare ha chiesto di andare a rendere omaggio al memoriale del Mahatma Gandhi, rafforzando così nell’immaginario collettivo il ritorno a una forma di protesta e di lotta politica che l’India conosce molto bene e che sta nelle sue corde più profonde. Quando Hazare, avvolto nel suo kurta - il tradizionale abito bianco stile pigiama - e con in testa il cappello bianco e gli occhiali, è uscito di prigione, la folla è esplosa in un boato, noncurante della pioggia battente. Molti si sono arrampicati ovunque potessero pur di vederlo, in un mare di bandiere, di braccia alzate, di canti e di slogan. “Anna siamo tutti con te”, gli hanno urlato e lui ha risposto “Vittoria per la madre India”. Il 74enne attivista, che ha rinverdito le memorie di Gandhi ha poi gridato “la battaglia per la libertà è iniziata”, prima di salire su un camion pavesato di bandiere e striscioni che lo ha portato nel centro di New Delhi. Iran: escursionisti statunitensi condannati a 8 anni di carcere Tm News, 20 agosto 2011 Shane Bauer e Josh Fattal, i due escursionisti statunitensi detenuti da due anni in Iran con l’accusa di spionaggio, sono stati condannati a otto anni di carcere: lo ha reso noto la televisione di Stato iraniana citando “fonti giudiziarie bene informate”. Shane Bauer e Josh Fattal, i due escursionisti statunitensi detenuti da due anni in Iran con l’accusa di spionaggio, sono stati condannati a otto anni di carcere: lo ha reso noto la televisione di Stato iraniana citando “fonti giudiziarie bene informate”. La fonte non ha precisato quando sia stata emessa la sentenza, che condanna i due accusati a tre anni di prigione per “ingresso illegale” nel Paese e a cinque anni per “spionaggio a favore di un’agenzia statunitense”; il caso della donna che si trovava con loro, Sarah Shourd, liberata nel settembre del 2010 per motivi di salute, rimarrebbe invece ancora aperto. I tre cittadini statunitensi erano entrati in territorio iraniano provenienti dall’Iraq il 31 luglio del 2009, durante un’escursione nelle montagne del Kurdistan; la loro legale, Masoud Safii, ha dichiarato di non essere a conoscenza del verdetto mentre lo stesso ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, aveva auspicato il 6 agosto scorso che la sentenza portasse al rilascio dei due accusati. Dipartimento Stato Usa: è ora di farli tornare nelle loro famiglie Shane Bauer e Josh Fattal, i due escursionisti statunitensi detenuti da due anni in Iran con l’accusa di spionaggio e condannati a otto anni di carcere, sono in prigione da “troppo tempo”. È quanto ha dichiarato oggi il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland, in un comunicato. “Noi non abbiamo mai smesso di chiedere la liberazione di Shane Bauer e Joshua Fattal, detenuti nella prigione iraniana di Evin da due anni - si legge nella nota - Shane e Josh sono detenuti da troppo tempo ed è ora di farli tornare nelle loro famiglie”. Tunisia: nuova evasione in massa dal carcere di Gafsa Ansa, 20 agosto 2011 Evasione in massa, la scorsa notte, dal carcere di Gafsa (sud Tunisia). Ventidue detenuti per reati comuni, dopo aver aggredito gli agenti di custodia ed essersi impossessati delle chiavi del portone del penitenziario, si sono dati alla fuga. Quattro sono stati catturati poco dopo, mentre proseguono le ricerche per rintracciare gli altri. Dei guardiani feriti con armi bianche, uno si trova ricoverato in gravi condizioni nell’ospedale cittadino. Dallo stesso carcere, lo scorso 29 aprile, fuggirono trecento prigionieri, molti dei quali ancora latitanti. Usa: manca farmaco per eseguire pena di morte; usato antiepilettico, ma azienda protesta Adnkronos, 20 agosto 2011 Dal mondo dell’industria farmaceutica nuovi ostacoli alla pena di morte negli Usa. Dopo che in gennaio l’americana Hospira ha detto stop alla produzione dell’ipnotico tiopentale sodico (il Penthotal), per anni ingrediente del cocktail usato per le iniezioni letali nelle carceri statunitensi, ora a insorgere è la danese Lundbeck produttrice del pentobarbital.