Giustizia: non buttiamo la chiave delle celle dove gente marcisce in attesa di giudizio di Giuliano Ferrara Panorama, 19 agosto 2011 Silvio Berlusconi dovrebbe metterci un po' di grinta, di coraggio e di fantasia, e dovrebbe fare della questione delle carceri una grande questione nazionale. A parte una piccolissima minoranza di colletti bianchi, i detenuti non fanno parte del ceto medio, l'astrazione sociale alla quale adesso tutti si aggrappano per nuotare con la corrente, ma la loro condizione materiale insopportabile, il loro numero strabocchevole rispetto alle strutture carcerarie, la loro qualità di cittadini espropriati della libertà personale senza che sia intervenuto un giudizio definitivo (più della metà è in detenzione preventiva) fanno dei prigionieri un campione decisivo di una battaglia civile da combattere. La giustizia non si può riformare se non in nome di tutto il popolo, di interessi comuni che riguardano l'insieme della Repubblica. Marco Pannella e i suoi si sono mossi con dedizione e smalto, in verità e con amore. È una caratteristica di sempre delle campagne radicali, giuste o sbagliate. Chiedono che il Parlamento discuta l'inaudita condizione degli istituti di detenzione e di pena. Il premier dovrebbe prendere una quota del suo tempo e dedicarla al dossier, insieme al ministro della Giustizia. Dovrebbe parlarne con il capo dello Stato, che si è mostrato più che aperto al problema, e in modo non formale. Dovrebbe ricevere Pannella e i militanti radicali che hanno fatto dei digiuni e dell'iniziativa riformatrice la materia del loro Ferragosto di impegno. Dovrebbe parlare con loro, ma anche con il volontariato cattolico e laico, di tutto: è un universo di storie e di drammi in cui chiunque ha qualcosa da imparare. Di tutto, a partire dal problema dell'amnistia. La parola è divenuta impronunciabile in un paese istupidito e incattivito dalle varie caciare giustizialiste, in un sistema istituzionale in cui si è a un certo punto deciso di fissare condizioni impossibili per la clemenza, che è parte integrante di ogni vera giustizia. Infine, a ragion veduta, il capo del governo dovrebbe proporre decisioni urgenti, responsabili, per limitare da subito il costo sociale e umano che paghiamo per avere disfatto la trama di riforme necessaria a tenere insieme il sistema della giustizia penale. Nel modo di essere della maggioranza di centrodestra e un deficit di radicalismo riformatore, anche e soprattutto nelle grandi cause civili, che va colmato. La condizione carceraria è una vergogna morale e uno spreco sociale, è parte dell'insicurezza e dei suoi spettri un regime detentivo che non risocializza, che non scommette sulla capacità costituzionale di reintegrare chi è socialmente disintegrato; e cambiare questa condizione è un compito, una missione, in perfetta sintonia con l'idea di un diritto liberale, garantista, in cui la retribuzione della colpa criminale non è vendetta ma consapevole strategia di sicurezza nella giustizia. Ce stata un'epoca politica in cui Berlusconi suonava tutta la tastiera delle libertà, era sensibile all'idea di scuotere gli aspetti più arretrati dell'amministrazione dello Stato, si dava da fare, magari in modo disordinato ma generoso, per aprire nuove linee d'azione. La sua vecchia alleanza con Pannella, con tutte le sue follie, parlava di questo. Bene, sulla questione carceraria il presidente del Consiglio può riaprirsi a quello spirito e intervenire autorevolmente, con mezzi seri a disposizione, per arrivare a un patto riformatore di civiltà che ha nelle carceri e nella giustizia il suo nucleo politico. Che aspetta? Giustizia: il rischio necessario… di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2011 Ci sono film in cui non c'è spazio per le sfumature: i buoni sono buoni e i cattivi cattivi; per esempio quelli dove c'è un serial killer perverso e violento, che alla fine viene ammazzato con grande sollievo di tutti. Poi ce ne sono altri dove parteggiare è più difficile: vi ricordate "Blade Runner"? Roy Batty è un assassino fascinoso e tormentato; quella sua frase, "dammi più vita, padre", ti torna in mente durante lo scontro finale con Rick Dekard; e, quando muore, non sei contento. In ogni reato, anche il più odioso, c'è una considerevole probabilità di imbattersi in qualche storia che non giustifica, ma spiega. In questi casi non c'è solidarietà ma un po' di pieu sì. Come se quell'assassino, quel rapinatore, perfino quel bancarottiere avrebbe potuto essere diverso: se non fosse successo quello, se non gli avessero fatto quell'altro... Poi, naturalmente, molte volte, si tratta proprio di un fiero delinquente, di quelli da sbattere in galera e buttare via la chiave. Però la possibilità di una spiegazione, di un'attenuante, perfino di una giustificazione c'è; e induce ali cautela. Tradotto in termini giuridici, questa è la ragione del processo. Siccome tutto non si riduce a Tizio ammazzato da Caio, i paesi civili stanno attenti a non cacciarsi in situazioni che possono trasformare una sentenza in un'ingiustizia. Per questo ci sono i vari gradi di giudizio, per questo, soprattutto, ci sono leggi che disciplinano la carcerazione preventiva. E dunque, prima del processo, uno può essere messo in prigioni solo per 3 motivi: se c'è pericolo che scappi, se inquina le prove, se c'è una forte probabilità che commetta altri reati. Questa cosa alle vittime del reato proprio non piace: quello ha ammazzato nostro figlio, perché non è in prigione? Perché solo 6, 10, 15, 20 anni? Bisognava dargli l'ergastolo! Ed è ovvio che dal loro punto di vista, hanno ragione. Ma come si può definire questo punto di vista? Vendetta, ecco come. Un sentimento che, agli inizi del tempo, era un'istituzione: la legge del taglione, si chiamava. Poi sono stati inventati i giudici: per capire e dare a ciascuno il suo. Dammi più vita, padre; è diverso dal farabutto che trascina la vecchietta sull'asfalto per rubarle la borsa. Solo che, quando si cerca di capire, può capitare di prendere decisioni che, a chi non ha capito, a chi non vuole capire, a chi è disperato e basta, sembrano assurde. E può capitare anche di sbagliare. Ma deve funzionare così, perché l'alternativa non è giusta, non è civile, è incompatibile con il vivere tutti insieme, disciplinati dalla legge. Certo, la legge deve funzionare. Se ci si mettono anni per fare i processi, se arrivano amnistie, prescrizioni, abolizione delle intercettazioni, processi lunghi o brevi, la vendetta guadagna consensi. Se la Giustizia non c'è, me la faccio da solo; la frase terribile che è il simbolo della morte dello Stato. Alla fine, la risposta al desiderio di vendetta, non sta nell'inasprimento delle pene. Sta in un processo penale costruito per accertare la verità; e per infliggere pene che siano severe ma eque, e che siano scontate fino all'ultimo giorno. Chiunque sa che in Italia avviene il contrario. Giustizia: le pene alternative riducono i reati di Mario Marazziti (Portavoce Comunità di Sant'Egidio) Corriere della Sera, 19 agosto 2011 Carcere d'agosto. Record storico del sovraffollamento, 67 mila detenuti e 39 suicidi dall'inizio dell'anno. A centinaia sono stati salvati un attimo prima che fosse troppo tardi. Per sovraffollamento e riduzione di fondi: soltanto 3,15 euro a disposizione per il vitto giornaliero. Meno della metà di pochi anni fa per ciascun detenuto. Nell'ultimo anno 9 mila reclusi in più e mille agenti in meno. Organici sotto di 6 mila unità. Puglia, Emilia Romagna e Campania vicine al cento per cento di sovraffollamento (Poggioreale 2.695 detenuti per 1.385 posti. Ma anche San Vittore conta 1.460 presenze in celle che ne devono ospitare 930). Si tiene aperta la porta delle celle per includere corridoi e aree comuni nella metratura "pro capite" e non incorrere nelle sanzioni di Strasburgo per maltrattamenti. Altre carceri esistenti restano chiuse per mancanza di personale. Ma c'è una buona notizia: se si esce prima di prigione non si commettono più reati, ma di meno. La cattiva notizia è che invece se si resta fino alla fine della pena, con piani di reinserimento sociale sempre più rarefatti, una volta liberi si commettono nuovi reati, e si ritorna di più in carcere. Ma come? Non c'era stata un'onda di recidive dopo l'indulto? No. C'era stato solo un gigantesco aumento della quantità di notizie di cronaca nera nell'informazione italiana, con crescita di senso di allarme: notizie triplicate nei tiggì e nell'informazione scritta, nell'anno successivo all'indulto. La notizia vera non è stata ancora data. Il carcere italiano, in realtà, nonostante gli sforzi dei responsabili, produce recidive: 68,45 per cento. Al contrario, quanti hanno usufruito dell'indulto sono caduti in recidive nel 33,92 per cento dei casi, la metà. Alla fine del 2008 a tornare in prigione era stato il 29,14 per cento dei beneficiari dell'indulto. A guardare in profondità, il dato è ancora più eclatante: chi ha usufruito dell'indulto provenendo da misure alternative (comunità terapeutiche, arresti domiciliari e altro) è caduto in recidive nel 22 per cento dei casi, tre volte di meno dei normali detenuti che hanno scontato tutta la pena. E una parte dei reingressi non è dovuta a nuovi reati, ma a condanne definitive per vecchi reati, arrivate però dopo. Paradossale? È solo la realtà. È necessario cambiare. Per uscire da una bancarotta giudiziaria, finanziaria e umanitaria non degna di un Paese di grande cultura giuridica e di una democrazia consapevole. Letti a castello anche tripli in alcuni "bracci", autolesionismo e pena di morte strisciante per suicidi e per mancanza di cure adeguate a livelli imbarazzanti, condizioni di lavoro del personale carcerario rese più difficili da carenza di numero e assenza di mezzi non creano maggiore sicurezza. Sono una patologia. Se due detenuti su tre rientrano in carcere e la criminalizzazione eccessiva aumenta il numero dei soggetti a rischio di reclusione, non è una sorpresa che in soli tre o quattro anni - con l'aggiunta della crisi economica - si sia creata una accelerazione nel numero dei carcerati che non ha precedenti nella storia d'Italia. E che non ha nessuna corrispondenza con il tasso di criminalità: in calo da due decenni per la maggior parte dei reati. Occorre allora partire dalla crisi del sistema per scelte semplici e coraggiose. Amnistia per i reati meno gravi e uscita anticipata per chi si trova a fine pena. Misure alternative per tutti i malati gravi e le persone in età avanzata che faticano ad accedere alle misure sanitarie garantite dal sistema sanitario nazionale, anche per la carenza di mezzi e di personale. Depenalizzazione e introduzione di misure alternative e socialmente utili per reati che non mettono a rischio la collettività e che non necessitano della reclusione, come pure per i reati lievi che rischiano, con il carcere, di rendere abituale la consuetudine e la familiarità con comportamenti devianti. Introduzione dell'idea di "risarcimento sociale" all'interno del processo e del patteggiamento, evitando di ridurre la sanzione alla sola pena detentiva e al "dopo processo", anticipando così la riabilitazione già nella fase processuale, creando una convergenza di interessi tra offeso e autore dell'offesa. Utilizzo e rafforzamento della Cassa delle ammende (che si autoalimenta) per la riabilitazione e il reinserimento sociale e non come palliativo per interventi edilizi nelle prigioni esistenti. Si può utilizzare la crisi per umanizzare subito e costruire il futuro. Giustizia: ecco perché dico sì all’amnistia... di Alessandro Gerardi Noizie Radicali, 19 agosto 2011 E’ difficilmente confutabile il fatto che l’adozione di provvedimenti di amnistia e indulto costituisca - oggi più che in passato - una necessità imposta dalla situazione in cui versano, da un lato, gli uffici giudiziari e, dall’altro, le carceri. Quanto al primo profilo (gli uffici giudiziari) è innegabile che in mancanza dell’ amnistia continuerà ad operare, come in passato, la prescrizione e quindi uno strumento di estinzione dei reati ben altrimenti discrezionale e che opera addirittura in modo casuale. Quanto al tema carcerario, di certo la soluzione fisiologica del problema del suo sovraffollamento (con numeri da record nella storia della Repubblica) dovrebbe trovarsi innanzitutto nel riequilibrio tra detenuti in attesa di giudizio e detenuti in espiazione di pena con forte contrazione del numero dei primi. Ma va da sé che ciò presupporrebbe una maggiore efficienza della macchina giudiziario/processuale, oggi ingolfata da troppi processi, il che ci fa tornare al punto di partenza ossia alla necessità di varare un provvedimento di amnistia quale ineludibile soluzione di una situazione mai come oggi emergenziale. Detto altrimenti, nella situazione data l’amnistia avrebbe il pregio di riattivare immediatamente i meccanismi giudiziari ormai prossimi al collasso, evitando una dissennata lotta contro la prescrizione incombente (dissennata perché, come detto, destinata a dividere i “sommersi” e i “salvati” con la massima irrazionalità) e consentendo l’avvio di quelle riforme strutturali e funzionali della Giustizia capaci di impedire il rapido ritorno alla situazione attuale. Fatta questa doverosa premessa, spiego subito perché trovo deboli e poco convincenti i principali argomenti utilizzati da chi si oppone al varo dei provvedimenti di amnistia e indulto (che poi sarebbero sostanzialmente tre, ossia: 1) la sicurezza; 2) la tutela delle vittime e del principio della certezza della pena; 3) l’inutilità di varare provvedimenti “tampone” che non affrontano i nodi “strutturali” della Giustizia). Quanto al primo (la sicurezza), spesso si fa finta di dimenticare che l’immediato e poderoso sfoltimento processuale prodotto dall’amnistia servirebbe a garantire proprio l’effettiva (e non più solo teorica) perseguibilità dei reati più gravi (sui quali si verrebbero a concentrare il lavoro dei magistrati e le scarse risorse della macchina giudiziaria) mediante il sacrificio di quelli cosiddetti di seconda e terza fascia nonché di quelli destinati alla prescrizione. Ed invero, l’oggettiva, riconosciuta, impossibilità dell’attuale sistema giudiziario di affrontare l’enorme mole di dibattimenti pubblici ha reso col passare del tempo prevalentemente teorica l’efficacia dissuasiva della sanzione penale; con l’amnistia quindi si può tentare un recupero di concretezza e di realismo, atteso che la stessa consentirebbe di “salvare” e “sommergere” i reati secondi criteri di razionalità e di urgenza. Per quanto riguarda invece la tutela delle vittime e del principio della certezza della pena, non bisognerebbe mai dimenticare che in linea teorica l’amnistia non impedisce il ricorso alle pene accessorie (spesso più dissuasive della minaccia teorica della reclusione). E comunque nella proposta radicale la posizione delle vittime dei reati oggetto dell’amnistia verrebbe salvaguardata dalla previsione, quale elemento condizionante per ottenere la clemenza, dell’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Non si tratta quindi di un’amnistia “secca”, ma di un provvedimento che impone una contropartita all’imputato che intende valersene. Da questo punto di vista il profilo che caratterizza la proposta radicale è costituito dalla previsione di una seria e penetrante condizione (il risarcimento delle vittime) apposta alla possibilità di ottenere l’amnistia, il che toglie forza all’obiezione di cui sopra e riconduce (almeno in parte) il provvedimento di clemenza all’interno delle finalità proprie del sistema punitivo. Ma l’argomento principale al quale ricorrono spesso coloro che si oppongono all’amnistia e all’indulto sarebbe da individuare nella pretesa inutilità di provvedimenti emergenziali di questo tipo, visto e considerato che per contrastare il sovraffollamento carcerario e la paralisi della macchina giudiziaria occorrerebbe procedere con ben altro tipo di riforme (a partire da quelle del codice penale e dell’ordinamento penitenziario). Ciò che però costoro omettono di dire è che: 1) ad oggi, il vero problema è dato dall’urgenza e dalla gravità della situazione che si deve affrontare: il problema cioè è dato dal fatto che, come ebbe modo di ricordare Tullio Padovani con la consueta efficacia, “quando la casa brucia, bisogna comunque spegnere l’incendio, anche se non è ancora pronto il progetto del nuovo edificio” (detto altrimenti: l’urgenza della situazione è tale da non consentire, nell’immediato, una soluzione più ragionevole e meditata); 2) un ampio provvedimento di amnistia (e di indulto) potrebbe rappresentare un potente traino proprio per il varo di quelle riforme strutturali e funzionali della Giustizia di cui si discute da decenni ma che non si riesce mai a fare (sostenere che dopo l’amnistia tutto tornerebbe come prima non è una formula matematica: è solo questione di volontà politica). Peraltro, nella impossibilità di poter affrontare (nell’immediato) i più complessi problemi di una riforma globale del sistema penale, il ricorso all’amnistia si presta ad essere utilizzato - nel contesto dato caratterizzato da una forte illegalità di sistema - anche quale opportuno strumento di riequilibrio dell’intervento penale mediante la individuazione di un’ampia gamma di illeciti rispetto ai quali vi è la necessità di una seppur parziale “riappacificazione sociale”. In una prospettiva di mera difesa sociale, infatti, non appare coerente né accettabile che la più grave sanzione prevista dall’ordinamento (la reclusione) possa venire a colpire non già una esigua minoranza, bensì un largo numero di cittadini, soprattutto in quei casi in cui il requisito del cosiddetto “bisogno di pena” pare quanto mai evanescente e dai contorni incerti (si pensi, ad esempio, all’ampia gamma dei reati in materia di sostanze stupefacenti o a quelli relativi all’immigrazione). In sintesi: la necessità di intervenire con provvedimenti di amnistia e indulto, checché se ne dica, sembra davvero fuori discussione; e ciò sia per ragioni di tutela dei diritti fondamentali della persona, atteso che la situazione carceraria è oggi tale, per sovraffollamento e condizioni della detenzione, da costituire una vera e propria forma di illegalità istituzionale, sia per ragioni di giustizia sostanziale, posto che l’amnistia finirebbe col ratificare, in forma più uniforme e meno sperequata, quel destino processuale al quale già paiono destinati molti reati ormai prossimi alla prescrizione. Di più: un provvedimento ampio e generalizzato di questo tipo trova la sua prima e più forte giustificazione proprio nella necessità di ricondurre il sistema carcerario a forme più umane e, quindi, nella tutela di un valore forte e assoluto come quello della dignità della persona, il che rende sicuramente tollerabile (e per certi versi doverosa) la parziale e momentanea lacerazione inferta all’ordinario dispiegarsi della giustizia penale. Giustizia: la legge "allunga processi"... poco libertaria, molto forcaiola di Sandro Padula Gli Altri, 19 agosto 2011 Escluso il rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo e limitato l'accesso ai benefici penitenziari per alcuni condannati: un disastro. Il disegno di legge approvato al Senato il 29 giugno e riguardante le "modifiche agli articoli 190, 238-bis, 438, 442 e 495 del codice di procedura penale e all'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354" non è solo una norma a favore di Berlusconi. Non è solo un modo per allungare il processo del Ruby-gate e giungere alla prescrizione del reato per cui è imputato il premier. Se fosse solo questo non ci sarebbe da meravigliarsi: da sempre i governanti della Repubblica italiana non vogliono essere giudicati da nessuno, nemmeno dalle parole di malcontento delle piazze di fronte a certi scandali, "depistaggi" e sporchi giri di affari e tangenti. In un certo senso, dal loro specifico punto di vista e secondo l'arte della politica, fanno bene ad essere garantisti verso se stessi. Il problema è che non si limitano a ciò. Il dll "allunga processi" è infatti libertario per pochi e potenzialmente forcaiolo per molti altri. Da un lato non tutti gli imputati possono permettersi il lusso di pagare dei bravi e costosi avvocati e quindi di avvalersi della seguente modifica dell'articolo 190 del codice di procedura penale: "1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. L'imputato, a mezzo del difensore, ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore. Le altre parti hanno le medesime facoltà in quanto applicabili". Questo punto del dll è quello che sembra fatto su misura per una sola persona residente nel nostro paese. Paradossalmente ha ragione l'onorevole Casson nel dire che adesso Berlusconi potrebbe far "convocare come testimoni tutte le escort che operano a Milano". Ma bisogna stare attenti quando si vogliono fare delle battute scherzose in una società ad alto grado di ignoranza e, pertanto, di populismo. Su certi argomenti delicati non c'è proprio nessun motivo ragionevole per sorridere e ironizzare. Prima di tutto, specie in un paese di continue prostituzioni politiche alla predominante, parassitaria e militarista volontà altrui sul piano interno e "atlantico", le prostitute non sono moralmente inferiori a nessuno. In secondo luogo, ma non per importanza, il ddl in questione peggiora il codice di procedura penale e la legge di riforma della giustizia del 1975. Esclude il rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo: "2-bis. Quando, tenuto conto di tutte le circostanze, deve essere irrogata la pena dell'ergastolo, non si fa luogo alla diminuzione di pena prevista dal comma precedente". Come se non bastasse, limita l'accesso ai benefici penitenziari a certi condannati: "4-bis. I condannati per il delitto di cui all'articolo 575 del codice penale, quando ricorrono una o più delle circostanze aggravanti previste dagli articoli 576, primo comma, numeri 2), 5), 5.1) e 5-bis), e 577, primo comma, numeri 1 ) e 4), dello stesso codice, non sono ammessi ad alcuno dei benefìci previsti dalla presente legge, esclusa la liberazione anticipata, se non abbiano espiato almeno i tre quarti della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni". In pratica, viene limitato quasi del tutto l'accesso ai benefici penitenziari a chi è condannato per omicidio (articolo 575 codice penale) con una o più fra queste circostante aggravanti: "l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato" (comma 2 dell'articolo 61); il ricorso alla violenza sessuale (secondo la legge 15 febbraio 1996, n. 66); atti persecutori (Art. 612-bis); "contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio" (5-bis articolo 576); "contro l'ascendente o il discendente" (primo comma, n. 1 articolo 577) ; "l'avere agito per motivi abbietti o futili" (numero 1 art. 61); "l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone" (numero 4 art. 61). Detto in parole molto semplici, è come se nell'articolo 577 del codice penale fosse stata quasi ripristinata la pena di morte e tutti parlano di ddl "allunga processi"! Il disegno di legge approvato al Senato è un pericolosissimo pastiche postmoderno che rende peggiore e ancor più differenziata la giustizia sia per quanto riguarda la "procedura penale" che il codice penale. Si muove in una direzione del tutto diversa da quella, auspicata dal presidente Napolitano, di una politica di "depenalizzazione". Lo vogliamo dire che l'Italia ha tradito e tradisce troppe volte la propria Costituzione repubblicana ? Lo vogliamo dire che la giustizia è una cosa troppo importante per essere lasciata alle sole decisioni di questo o quel governo temporaneo? Giustizia: Osapp; nel 2011 circa 800 agenti vittime di aggressioni, danno 1 mln € Ristretti Orizzonti, 19 agosto 2011 "Secondo le nostre stime, con le 2 poliziotte penitenziarie aggredite ieri a Civitavecchia, sale a 800 il numero dei poliziotti penitenziari vittime di atti di atti di violenza in carcere nel 2011, circa 100 ogni mese." a darne notizia è l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. "Peraltro, a parte i gravi danni fisici e soprattutto psicologici per un personale oramai ridotto allo stremo - prosegue il sindacato - non si considera anche il danno economico per lo Stato derivante da tali episodi di violenza oltre che dall’insieme delle condizioni che in carcere ingenerano tensione e rischio". "A causa delle aggressioni nel corrente anno, infatti, sono oltre 5600 giornate lavorative del personale di polizia penitenziaria ‘perse’, in quanto non trascorse in servizio, ma comunque retribuite per un importo lordo di 560mila euro e a cui vanno aggiunte le ulteriori spese per ricoveri, esami clinici e cure a carico della sanità pubblica e per una spesa complessiva per l’Erario che alla fine si avvicina al milione di euro". "Ma il danno per lo Stato diventa assai più ingente ed è dell’ordine di svariate decine di milioni di euro - indica ancora l’Osapp - se si considerano anche le malattie la cui insorgenza e il cui aggravamento sono diretta conseguenza delle attuali condizioni delle carceri, tant’è che malgrado la polizia penitenziaria rappresenti circa il 13% del comparto sicurezza, sono poliziotti penitenziari il 40% degli appartenenti alle forze di polizia che ottengono periodi di convalescenza dalle commissioni mediche ospedaliere per infermità dipendenti da causa di servizio". "Visto che si parla tanto di sprechi e di recupero di risorse economiche - conclude Beneduci - non sarebbe affatto fuori luogo che il Governo e in particolare i Ministri Palma e Tremonti considerassero anche i possibili risparmi ottenibili migliorando le condizioni di vita e di lavoro nelle carceri". Giustizia: Sappe; sopprimere i piccoli tribunali non sarebbe un gran risparmio Agi, 19 agosto 2011 L'ipotesi del ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di sopprimere i tribunali di ridotte dimensioni "non produrrà un gran risparmio. Anzi. Determinerà un aggravio di lavoro e spese per il Corpo di polizia penitenziaria, cui è affidato il compito di trasportare e tradurre i detenuti". Ad affermarlo è Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria. "Si pensi, solo per fare un esempio - continua Capece - alle udienze di convalida. E se si considerano le note carenze di organico dei baschi azzurri che costringono spesso i nostri agenti a tradurre detenuti sotto scorta, i sistematici tagli imposti alla manutenzione dei mezzi del Corpo impiegati ed alle missioni del personale, le costanti e quotidiane criticità di un servizio molto delicato come le traduzioni dei detenuti, vien facile dire che ancora una volta saranno le donne e gli uomini della polizia penitenziaria a dover affrontare disagi e disservizi frutto di scelte politiche quantomeno non adeguatamente ponderate. Rinnovo l'invito al guardasigilli ad incontrarci per trovare soluzioni condivise e fattibili al sovraffollamento penitenziario". Lettere: amnistia sì o no? di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2011 Ho dato la mia adesione alla lunga marcia di Marco Pannella attraverso la foresta dell'illegalità italiana, dunque, anche in questo caso, non dovrebbero esserci dubbi. Ma questo caso è una sorta di rappresentazione in grande di tutto ciò che affligge e tormenta l'Italia, la degrada e la umilia. La ragione è questa. A differenza di altri gravissimi problemi, questo si può risolvere prima e non dopo il convegno e la tavola rotonda e la raffica di editoriali. E non perché l'amnistia sia una decisione che si può prendere con facilità e alla leggera, ma perché è la sola decisione possibile. Ricapitoliamo. Le carceri italiane sono molto al di sopra del livello di rischio. Sei persone in una cella sono una tortura che si protrae per tempi infiniti, perché è infinito il tempo di chi vive in quelle condizioni anche se sta scontando una pena breve. Si può non sapere che la vita nelle carceri italiane, affollate fino al doppio degli spazi umanamente disponibili, è un incubo che porta alla malattia, alla follia, al suicidio, tutte pene estranee al diritto italiano e alla vita democratica. Ma una volta informati e documentati da un lavoro senza sosta dei Radicali, che non si ferma (anzi si intensifica) a Ferragosto e a Natale, una volta che anche esponenti degli altri partiti, destra inclusa, hanno trovato la strada, una cosa è certa, perché l'hai vista e constatata di persona: è obbligo morale e politico, ma anche precauzione essenziale, agire subito. Vediamo le soluzioni di cui si discute con più frequenza, a volte, ma non sempre, in buona fede. Primo, depenalizzare alcuni reati. È una buona idea che certo va affrontata nel Paese della prigione sempre e subito (salvo che per certi deputati e certi senatori). Ma è ovvio che dal momento in cui si comincia a discuterne nelle Commissioni, al dibattito in aula, passa del tempo e può essere molto tempo. Secondo, costruire nuove carceri. Ottimo. Mettiamo che qualcuno stia disegnando i progetti adesso e che quei progetti siano pronti per il ministero della Giustizia in settembre. Persino in un Paese efficiente passano anni prima di disporre del primo edificio nuovo e agibile. Nel nostro Paese vi sembra ottimismo eccessivo dire 5 anni, o pessimismo disfattista affermare: non meno di dieci? In un caso e nell'altro, intanto si muore. Sarebbe come discutere sulle macerie di un terremoto i piani di ricostruzione prima di estrarre gli scampati al disastro. Nel disastro delle carceri gli scampati aspettano, e i giorni in sei persone in una cella e con una sola ora d'aria al giorno sono infiniti e invivibili. È vero che c'è molto da discutere su pregi e difetti dell'amnistia. Ma bisognava mettersi in condizioni di poterlo fare senza violare le più elementari leggi di umanità. Tempo scaduto. Il digiuno di Pannello e delle migliaia di persone che si sono associate a lui stanno lanciando un segnale d'allarme che sarebbe colpa grave non cogliere. Amnistia subito. Il convegno lo faremo dopo. Lettere: il mio compagno ancora in carcere, per un reato di 14 anni fa Il Gazzettino, 19 agosto 2011 Sono una madre di 30 anni e il mio compagno si chiama Franco, ha 44 anni e nel ‘97,quando ancora non ci conoscevamo ha commesso reati di riciclaggio e ricettazione finendo in galera. Ora dopo 14 anni, aveva un residuo di pena di 2 anni 4 mesi e 23 giorni e così il 13 gennaio 2011 è stato portato di nuovo a Santa Bona in carcere. Le sofferenze che ho passato e che sto passando sono quotidiane, basti pensare che il suo Denis Santiago (è il nome del nostro primo bimbo) ha soffiato la sua prima candelina senza il papà, le spese da affrontare sono molteplici, spese legali, mantenimento mio e del bimbo e mantenimento di Franco in carcere. Ora la legge dice che sotto i 2 anni uno può chiedere misure alternative al carcere e così il 6 giugno Franco si trova con quei requisiti, tramite avvocato facciamo istanza per fissare la data in cui il magistrato può valutare la situazione e concedere la detenzione domiciliare. Beh, volete sapere quando è stata fissata l'udienza? 6 dicembre 2011 e così Franco si deve fare 11 mesi in carcere. Lui non è un delinquente abituale, purtroppo nella vita ha sbagliato ma è cambiato, ora è un padre premuroso che vorrebbe poter vivere a casa con la propria compagna e il piccolo in attesa della nascita del secondo, visto che un mese dopo che è entrato in carcere ho scoperto di essere incinta. Nulla sono valse le richieste di anticipazione udienza visto il mio attuale stato. Così io mi ritrovo a essere a casa in maternità percependo 670 euro di paga con un mutuo di 540 euro e dover affrontare tutte le spese da sola. E allora io mi chiedo: dov'è la giustizia? C'è gente che ubriaca per strada ammazza e il magistrato la fa tornare a casa dalla propria famiglia mentre Franco per aver commesso reati di riciclaggio e ricettazione 14 anni fa si trova in carcere da 7 mesi con una famiglia che a casa ha bisogno di lui e del suo sostegno, con un figlio che chiama sempre "papà, papà" e bacia la sua foto e con una compagna che all'ottavo mese di gravidanza non sa ancora se potrà partorire con il proprio compagno accanto. Io so di essere impotente di fronte a questa ingiustizia, ma il mio vuole essere un appello a chi potrebbe far qualcosa perché questa situazione cambi, poi si parla di sovraffollamento delle carceri e si continua a tenere dentro chi veramente non merita. Grazie per avermi ascoltato. Lettere: progetto dall'Icatt di Eboli per promuovere e diffondere la legalità nelle scuole di Giovanni Suriano Ristretti Orizzonti, 19 agosto 2011 Promuovere e diffondere la legalità nelle scuole è diventato un progetto fondato sulla sinergia tra diversi enti e istituzioni. Per la Casa di Reclusione-Icatt di Eboli, promuovere e diffondere la legalità nelle scuole è diventato un progetto fondato sulla sinergia tra diversi enti e istituzioni. In particolare, si tratta di un accordo di partenariato tra il Liceo scientifico "E. Medi" di Battipaglia (in qualità di capofila) rappresentato dal dirigente dott.ssa Silvana Rocco; la Casa di Reclusione-Icatt di Eboli nella figura del dr. Giovanni Suriano Sociologo e Criminologo, componente del Gruppo regionale di studio e ricerche nazionali e internazionali nell'ambito penitenziario e della dott.ssa Rita Romano in qualità di direttore dell'Icatt e componente dello stesso Gruppo; l'Associazione Nazionale Magistrati di Salerno; l'Associazione Libera, sezione di Napoli; il Comune di Battipaglia e la Provincia di Salerno - inteso alla realizzazione del progetto europeo Pon C3, Fse finanziato secondo le modalità del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) per promuovere interventi sulla legalità, i diritti umani, l'educazione ambientale e interculturale, anche attraverso modalità di apprendimento "informale" nelle scuole. "I compiti dei partner - afferma la dott.ssa Rita Romano - sono ben definiti nel promuovere e garantire il successo dell'attività progettuale. Il Comune di Battipaglia fornisce dati e statistiche relativi al territorio di competenza. Si rende disponibile in tutte le fasi di divulgazione e disseminazione dei risultati ottenuti. grazie alle loro maturate esperienze nazionali ed internazionali inerente studi e ricerche in scienze penitenziarie e criminologiche". Il criminologo, dr. Giovanni Suriano, descrive gli interventi e gli obiettivi formativi del progetto che in particolare riguardano "l'acquisizione di uno stile di vita improntato ai principi della legalità, della convivenza civile, rispetto dei diritti umani e delle diversità culturali; stabilire un contatto tra la scuola e il mondo del lavoro e del volontariato; acquisire la consapevolezza della dimensione economica e sociale del proprio territorio; comprendere il valore assoluto della vita e della persona; comprendere come l'illegalità diffusa abbia prodotto ritardi nello sviluppo sociale ed economico del territorio e che la legalità possa essere invece molla per la sua crescita e occasione reale di occupazione; comprendere la dimensione reale del fenomeno immigrazione nel nostro territorio; acquisire la consapevolezza che la presenza di etnie diverse nella nostra società non va temuta, in quanto ostacolo allo sviluppo e al nostro benessere, ma va letta come un'opportunità di arricchimento umano, culturale ed economico". La provincia di Salerno fornisce dati e statistiche relativi al territorio di competenza e si rende disponibile in tutte le fasi di divulgazione e disseminazione dell'iniziativa. L'Associazione Nazionale Magistrati collabora nell'individuazione di esperti e nell'arricchimento delle proposte formative. "Libera. Associazione nomi e numeri contro le mafie" interviene nell'attività progettuale grazie alla presenza di tutor con competenze specifiche nella didattica della legalità e dei diritti umani. Campania: proposta di legge per migliorare condizioni di vivibilità nelle carceri campane www.casertanews.it, 19 agosto 2011 "La condizione di vita dei circa 5.376 reclusi nei 18 istituti di pena campani è una realtà poco nota all'opinione pubblica; di carcere e di detenuti i mass-media informano solamente in caso di evasioni, rivolte e detenuti eccellenti - dichiara Pica - le principali criticità di cui soffre la realtà carceraria sono legate al sovraffollamento, alla inadeguatezza delle strutture carcerarie ed alla carenza di personale addetto, in particolare educatori, medici, infermieri e amministrativi. Inoltre importanti emergenze sanitarie, legate alla presenza negli istituti penitenziari di un altissimo numero di detenuti tossicodipendenti, alcol dipendenti e con problematiche di tipo psichiatrico rendono la vivibilità nelle carceri della nostra regione davvero drammatica". La proposta di Legge presentata ad inizio agosto 2011 dal Consigliere regionale Donato Pica consta di 16 articoli con l'introduzione di misure atte alla realizzazione di politiche tese al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti per ridurre il rischio di recidiva. Inoltre vi sono alcuni articoli che tendono a favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri mediante attività lavorative intramurarie e formazione professionale al fine del reinserimento lavorativo; l'incentivazione dei percorsi scolastici per giovani detenuti ai fini di garantire una loro continuità didattica, consentendone il completamento anche al termine dell'esecuzione della pena; l'attivazione del servizio di mediazione socio - culturale - linguistico; il mantenimento del rapporto affettivo detenuti genitori e figli minori. Grande attenzione nella nuova Legge è riservata alle detenute, donne con figli, immigrati non comunitari, persone con problemi di dipendenza o fragilità fisiche e/o psichiche, e detenuti che necessitano di un particolare trattamento rieducativo in relazione al tipo di reato commesso. Insomma una nuova Legge che va a rivedere nel suo complesso lo status delle carceri campane nell'ottica di rendere accettabili le condizioni di carcerazione e soprattutto di creare le opportunità per ridare un futuro dignitoso una volta scontata la pena a tanti giovani che attualmente si trovano rinchiusi nelle carceri della nostra regione. Puglia: Sappe; prima di costruire nuove carceri, bisogna restaurare quelle esistenti La Repubblica, 19 agosto 2011 "Nel carcere di Foggia i vigili del fuoco hanno vietato il trasferimento dei detenuti in un intero padiglione a causa dell'erosione delle fondamenta. A Lecce piove nelle stanze, nei corridoi, e ci sono problemi alle strutture in cemento prefabbricate. A Taranto un cornicione di cemento è crollato e la strage è stata evitata per miracolo. E a tutto questo l'amministrazione penitenziaria risponde che non è possibile fare manutenzione perché mancano i fondi". Per Federico Pilagatti, segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, la situazione nelle carceri pugliesi è destinata a diventare sempre più incandescente. Soprattutto se dovesse passare la proposta del governo di risolvere l'emergenza con l'edilizia penitenziaria. "Come è possibile - riflette Pilagatti - spendere decine di milioni di euro per fare nuove sezioni a Taranto e Lecce, quando le strutture esistenti sono in pessime condizioni e rischiano di crollare?". Il governo stima entro il 2013 diecimila nuovi posti letto. "La situazione, considerato l'aumento dei detenuti rimarrebbe drammatica - replica il segretario del Sappe - Si vorrebbe solo ricordare che prima di costruire nuove carceri o padiglioni, bisognerebbe rimettere a nuovo i penitenziari diventati in tanti casi strutture fatiscenti che rischiano di creare seri danni all'incolumità sia dei detenuti che degli operatori penitenziari". La carenza di organico è un altro dato che dovrebbe distogliere dall'intenzione di costruire nuove carceri. Ma per Pilagatti il bluff dell'edilizia penitenziaria si nasconderebbe anche dietro le cifre: "Se mai fossero costruite, tali nuove sezioni servirebbero esclusivamente ad ospitare i detenuti trasferiti dalle sezioni dissestate attualmente aperte. Quindi, alla fine dei conti, non ci sarebbe nemmeno un posto in più". Un ragionamento indirizzato soprattutto al mondo politico che a sua disposizione avrebbe più efficaci soluzioni. Dalla depenalizzazione di alcuni reati alle misure alternative alla detenzione, fino ad accordi con altre nazioni per far scontare agli stranieri la pena nei paesi d'origine. "Misure - conclude Pilagatti - che porterebbero ad un'adeguata soluzione, senza la necessità di spendere milioni di euro per costruire nuove carceri, ma utilizzandone una parte per fare manutenzioni sulle carceri esistenti". Basilicata: Sappe; 520 detenuti, ma solo 440 posti, critiche condizioni di lavoro Ansa, 19 agosto 2011 Sono complessivamente 520 i detenuti negli istituti penitenziari lucani (al 31 luglio), rispetto a 440 posti disponibili, e anche il carcere minorile di Potenza ha piu' minori detenuti che posti letto: 14 i presenti per 12 posti regolamentati. I dati sono stati diffusi, in una nota, dal segretario generale del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria), Donato Capece, secondo cui il sovraffollamento accentua gli eventi critici e aggrava le condizioni di lavoro degli agenti. Nel 2010 in Basilicata nove detenuti hanno tentato il suicidio. Firenze: Opg Montelupo; il "balletto" di sequestri annunciati e di proroghe "ragionevoli" di Maria Antonietta Farina Coscioni Notizie Radicali, 19 agosto 2011 Se non fosse una vicenda tragica e drammatica, sarebbe una farsa. Giorni fa la Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul Servizio Nazionale al Senato presieduta da Ignazio Marino, forte delle sue prerogative, ha disposto la chiusura di alcuni padiglioni degli Ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino in Toscana, e di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia. Gli Opg in Italia sono sei: a Reggio Emilia, ad Aversa, a Napoli, a Castiglione delle Stiviere; e, appunto, Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. Sono luoghi di sofferenza e dolore, e non senza motivo il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel corso del suo intervento al recente convegno radicale al Senato sulla Giustizia e le carceri, ne ha parlato come luoghi di estremo orrore, "inconcepibili in qualsiasi paese appena appena civile". Non esagerava, il presidente, come ben sanno tutti coloro che hanno avuto l'occasione di visitare quei luoghi: ad esclusione di Castiglione delle Stiviere, che costituisce una apprezzabile eccezione, gli altri cinque Opg sono luoghi di sofferenza per le persone che vi sono rinchiuse - malati, persone dichiarate incapaci di intendere e volere, che avrebbero bisogno di assistenza; e invece subiscono e patiscono il trattamento dei detenuti, rinchiusi in celle spesso miserabili, con gli stessi - pochi - agenti di polizia penitenziaria e operatori impotenti e sprovvisti dei mezzi adatti per assicurare quella assistenza che pure dovrebbe essere garantita. Gli Opg sono luoghi di detenzione, dove sono rinchiuse circa 1500 persone, e senza le condizioni per curarle. Andrebbero chiusi e al loro posto sarebbe necessario, come da tempo dicono gli stessi operatori, creare strutture sul territorio, investendo su "reti", servizi e solidarietà. Ma questo è un discorso per quanto urgente, di carattere generale; in questo quadro, la vicenda specifica. Giorni fa è accaduto ripeto che alcuni padiglioni degli Opg di Montelupo e di Barcellona Pozzo di Gotto, per disposizione della Commissione Parlamentare d'inchiesta sono stati posti sotto sequestro. Non tanto per l'orrore in cui quei due Opg versano, e che è stato ampiamente e inoppugnabilmente documentato; quanto perché, come si legge nel documento elaborato dalla Commissione stessa, a Barcellona Pozzo di Gotto "nel 1 reparto, ove sono ospitati 37 internati dislocati in 28 stanze su due livelli…è stato notato un degrado generale, pessime condizioni igienico-sanitarie, infiltrazioni di umidità ed intonaci ammuffiti e cadenti, effetti letterecci luridi, pareti annerite e acqua sul pavimento, mancanza di erogazione di acqua sia nei bagni che nelle docce; in alcune stanze letti a castello; nella stanza n.5 è ospitato un internato in condizioni tanto gravi da non essere in grado di provvedere alla propria igiene che, suo malgrado, emana un lezzo nauseabondo"; in considerazione di tutto ciò si disponeva lo sgombero "nel termine perentorio di trenta giorni dall'emissione del provvedimento", e si disponeva "l'effettuazione di immediati interventi per conformare tutti i reparti alla normativa vigente in materia di prevenzione dei rischi da incendi", interventi da completarsi "entro e non oltre il termine perentorio di 15 giorni"; ed entro 180 giorni gli interventi "per conformare tutti i reparti alla normativa nazionale e regionale in merito di requisiti minimi per le strutture riabilitative psichiatriche". In caso di inadempienza il provvedimento di sequestro "sarà esteso all'intera struttura". Per quel che riguarda l'Opg di Montelupo i termini sono analoghi: sequestrata la sala contenzioni (III Sezione, piano terra, Padiglione "Pesa"), "con immediato sgombero e ridislocazione delle persone eventualmente colà coercite, che dovrà avvenire con modalità tali da preservare l'incolumità dei coerciti e degli astanti". Sequestrate anche una ventina di celle della sezione "Ambrosiana", entro e non oltre trenta giorni. Anche in questo caso, si disponevano immediati interventi per "conformare tutte le sezioni alla normativa vigente in materia di prevenzione dei rischi da incendio" entro 15 giorni; ed entro 180 giorni dovevano essere effettuati interventi per conformare tutte le sezioni alla normativa nazionale e regionale. In caso di inadempienza, sequestro dell'intera struttura. Provvedimenti ampiamente pubblicizzati da giornali e notiziari radiotelevisivi. E si poteva legittimamente pensare: un primo passo nella giusta direzione, nell'attesa che gli Opg siano - com'è giusto - aboliti. Senonché. Senonché si potrebbe dire: passata la festa, gabbato lo santo. Accade infatti la stessa Commissione d'inchiesta, dopo disposto il sequestro di alcune aree degli Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo, ha concesso una proroga. Proroga, si fa sapere, non dilazionabile, al 30 settembre. La richiesta sarebbe arrivata direttamente dai due Opg, e i capigruppo della Commissione hanno deciso di concedere tempo fino alla fine di settembre, "poiché ci è sembrato un termine ragionevole…". Spiega il presidente della Commissione, il senatore Ignazio Marino: "Non vogliamo in alcun modo avere un atteggiamento irragionevole, ma con fermezza chiediamo che i problemi riscontrati siano risolti al più presto". Qui si resta allibiti. Sembra che i problemi degli Opg siano limitati alla normativa antincendio, chiaramente disattesa (ma perché, negli altri Opg è rispettata? E più in generale nelle carceri "normali"?). È stupefacente che una Commissione Parlamentare accertata una situazione di palese e conclamata illegalità, decida "per ragionevolezza" di prorogare questa situazione. Per unanime riconoscimento le persone che sono ristrette nei cinque Opg non dovrebbero essere lì da subito, non a partire dal 25 agosto o, come hanno stabilito i capigruppo della Commissione, a partire dal 30 settembre; ad ogni modo, quand'anche quelle strutture fossero in regola con le normative antincendio, quelle persone in quelle strutture non dovrebbero comunque esserci. E certamente in due anni di ispezioni e denunce da parte della Commissione, ben altro, e di molto più grave e urgente, che l'inadempienza alle norme antincendio si è riscontrato. Credo, insomma, che i capigruppo della Commissione si siano assunti una grave e pesante responsabilità. Mi auguro, a questo punto, che davvero si tratti di una deroga "una tantum", come ci viene autorevolmente assicurato. Fatto è che un provvedimento pubblicizzato "urbi et orbi", lo si è poi rimangiato. A questo punto mi permetto di credere e di osservare che una maggior cautela sarebbe opportuna e, nel caso, magari accompagnata da una maggiore discrezione e meno enfasi mediatica. Trani (Ba): Osapp; accesa protesta dei detenuti, con danneggiamento di alcune celle Trani News, 19 agosto 2011 Giornate rumorose con gravi danni nelle celle dei detenuti nel carcere maschile di Trani al grido "amnistia". La protesta ha creato gravi motivi di ordine e sicurezza alla poca polizia penitenziaria di servizio. Notizia appena trapelata che nelle giornate di ferragosto 15 e 16 agosto 2011 sia alle ore 16,00 e poi, in seconda battuta, anche alle ore 21,00 circa 370 detenuti dei Reparti detentivi della Casa Circondariale maschile di Trani hanno inscenato una durissima protesta rumorosa sbattendo porte, tavoli, sgabelli ed inveendo contro le grate delle finestre e delle proprie celle -cancelli di sbarramento - utilizzando anche utensili da cucina e bombolette di gas in dotazione. Momenti di panico per le 15 contro le 370 persone detenute inferocite solo unità di Polizia Penitenziaria che ha dovuto intervenire per sedare i facinorosi , con non poche difficoltà operative. Molti i danni arrecati all'Amministrazione Penitenziaria, specialmente nel padiglione nuovo e precisamente nel secondo piano settore detentivo "Italia" dove alcune delle celle sono state messe a soqquadro, spaccando anche la pavimentazione e mattonelle in ceramica, oltre a rendere non funzionanti anche i cancelli di sbarramento di diverse celle. Fatti gravi ma prevedibili per quanto in Italia stava succedendo, se si collegano gli avvenimenti di Trani alle manifestazioni politiche pacifiche avvenute in tutta Italia con sciopero della fame e della sete promossa dal Partito Radicale per l'amnistia e la depenalizzazione di alcuni reati. Ancora più grave è lasciare un penitenziario di 370 detenuti ad un'aliquota di 15 unità alla vigilanza di un intera città penitenziaria. Nessuna visita è stata effettuata nelle carceri della città, nonostante fosse stata annunciata dal Parlamentare Pugliese del Pd. Servono urgentemente i rinforzi di almeno 70 poliziotti di cui 15 donne nei due penitenziari. Il Sindacato Osapp propone encomio da parte dell'Amministrazione centrale per le 15 unità nei diversi servizi che si sono succeduti a partire dal giorno 14 ,15 e fino 16 agosto 2011 per aver saputo a sprezzo del pericolo, fronteggiare, da soli, senza alcun conforto delle autorità superiori regionali la drammatica situazione, con turni di lavoro che vanno dalle otto alle 13 ore continuative per mancanza di personale di polizia". Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Responsabile Nazionale della Politica di Governo del Sindacato di Polizia Mantova: detenuti stretti come sardine, scoppia una rissa. Medico in sciopero della fame La Gazzetta di Mantova, 19 agosto 2011 Il sovraffollamento in un carcere provoca anche problemi di intolleranza a sfondo razziale. Meno di un anno fa si sono fronteggiati due consistenti gruppi di marocchini e albanesi. Una rissa che la polizia penitenziaria ha sedato non senza fatica. È accaduto nel periodo di preghiera e digiuno islamico del Ramadan. Durante la notte i nordafricani hanno pregato a lungo e il gruppo albanese della cella accanto ha cominciato a urlare di smetterla. Per ore sono volati gli insulti. Il mattino dopo, durante l'ora d'aria, il gruppo di musulmani si è lanciato in una spedizione punitiva, ma il secondo gruppo non s'è fatto trovare impreparato. Dopo aver distrutto il bigliardino ed essersi impadroniti delle barre metalliche gli albanesi hanno affrontato i marocchini, dando origine a una violenta rissa. Ma in carcere si creano anche solidarietà che si trascinano anche quando i detenuti tornano in libertà. Un mondo fuori dal mondo che vive di leggi proprie. Alcuni dati rendono l'idea. Oggi i detenuti di via Poma sono 193. Di questi 123 sono tossicodipendenti. Dieci i casi di Hiv e 55 le epatiti. Nelle celle rimane anche l'incubo della tubercolosi. Pochi mesi fa è stato scarcerato un detenuto della Sierra Leone affetto da Tbc tissutale, tra le più contagiose. In crescente aumento anche i problemi odontoiatrici che riguardano l'ottanta per cento dei detenuti. Aumenta anche il disagio psichico, che si evidenzia con l'insonnia. Molto utilizzati i farmaci antinfiammatori, gastroprotettori e antidepressivi. Volontario fa lo sciopero della fame Sovraffollamento, malattie contagiose, scontri razziali e condizioni igieniche intollerabili. Discariche sociali dove la rieducazione del detenuto è ormai diventata una missione impossibile. In tutt'Italia sacerdoti e politici ma anche direttori di penitenziari hanno aderito allo sciopero della fame promosso da Marco Pannella e dai radicali, per protestare contro questa vergognosa situazione. A Mantova lo ha fatto Renato Bottura, 58 anni, medico alla Fondazione Mazzali, convenzionato con il Poma per seguire i tossicodipendenti e volontario nella casa circondariale da oltre trent'anni. "Il sovraffollamento, anche nelle nostre carceri, è un'autentica piaga che infetta e complica la già difficile quotidianità tra le sbarre". Attualmente i detenuti sono 190, la capienza massima è di 180. Fino a qualche anno fa non si poteva superare quota 120, ma poi il ministero ha pensato bene di risolvere il problema allargando la capienza sulla carta. Eh sì, perché gli spazi sono sempre gli stessi. Ora nelle celle singole i detenuti sono almeno due e nei celloni si arriva anche a quattordici quando il massimo consentito è di sei. "E poi - aggiunge Bottura - ci chiediamo perché ogni anno nelle galere italiane seicento detenuti si tolgono la vita. Come si fa a vivere in spazi così ristretti per mesi, per anni, senza alternative. Su 190 detenuti a lavorare e a percepire uno stipendio mensile di trecento euro sono soltanto in cinque. Sono posti ambiti per i quali si scatenano battaglie. E gli altri? È vero, possono frequentare dei corsi per ottenere dei diplomi di scuola media o professionale, ma è troppo poco". Il medico definisce drammatica la situazione degli isolati, costretti a vivere separati dagli altri per i particolari reati commessi o perché parenti di poliziotti. Il problema, inoltre, non riguarda soltanto il periodo della detenzione, ma anche il dopo. Uno studio sull'argomento ha evidenziato che la recidiva per chi sta in carcere è altissima, s'aggira infatti attorno all'ottanta per cento. Mentre per le comunità non arriva al dieci per cento. Una prima soluzione, dunque, vista anche la natura dei reati più diffusi nella nostra città (furti e droga) sarebbe quella di sfruttare le comunità, dove il condannato avrebbe anche la possibilità di svolgere altre attività. Una scelta che consentirebbe di risparmiare consistenti risorse. Attualmente ogni detenuto costa duecento euro al giorno, in comunità la spesa è di circa cinquanta. Ma non è sufficiente. "Ci sarebbe bisogno - chiarisce Bottura - di un'amnistia o di un indulto. Dobbiamo vuotare le carceri, altrimenti i problemi non troveranno soluzione, anzi si amplificheranno sempre di più". Spesso manca il sapone, la carta igienica e da anni c'è la richiesta di sostituire le reti affossate dei letti con delle assi. "Dobbiamo far sì - aggiunge il medico che per tutta la giornata di ieri ha digiunato - che l'opinione pubblica guardi con un occhio diverso chi ha sbagliato. Il carcerato vive delle sofferenze affettive (la lontananza dalla moglie, dalla fidanzata) che in altri Paesi sono state affrontate e risolte, come il diritto alla sessualità E poi vorrei ricordare che il carcere è un concentrato di patologie e che non siamo in grado di garantire la sicurezza sanitaria del non contagio. Non possiamo certo isolare le persone sieropositive o affette da epatite. Quello che possiamo fare, invece, è di tenere alta la guardia". Il problema fondamentale, uno dei tanti, è l'assenza pressoché totale di attività che consentano al carcerato di occupare il suo tempo anche se i volontari si danno molto da fare. "Esiste una palestra interna - commenta Bottura - ma non è utilizzabile perché le guardie carcerarie sono poche e non hanno la possibilità di tenere d'occhio i detenuti". Ogni programmazione risulta quindi molto difficile se non addirittura impossibile. Tempo fa il medico del carcere Massimo Bozzeda era stato molto chiaro: "Le patologie psichiatriche, le parassitosi e gravi patologie come leucemie e tumori, rendono il penitenziario un luogo di degradazione fisica e mentale". Grosseto: tre uomini rinchiusi in due metri per quattro Il Tirreno, 19 agosto 2011 Nei periodi di sovraffollamento tre detenuti sono stati reclusi in una cella due metri per quattro. "Ma questo è un periodo ottimo" si lascia scappare una guardia carceraria. Nella piccola segreteria non ci sono finestre e l'unica luce che filtra è quella dei neon. "Ma preferisco lavorare qui piuttosto che a Sollicciano". Benvenuti alla casa circondariale di Grosseto, il carcere dei "ma", dove i detenuti sono pochi ma gli agenti, descritti come professionali e umani, a volte anche meno. Dove vengono organizzate attività ricreative e stage lavorativi retribuiti, ma non c'è l'acqua calda in tutte le celle ed i tre metri quadri per detenuto, previsti da una direttiva europea, sono un'utopia. E nell'esiguo spazio adibito all'ora d'aria c'è il biliardino ma nemmeno un riparo dal sole. "La struttura di Grosseto non solo è vecchia ma anche inadeguata" dice Marco Perduca, senatore fiorentino dei radicali eletto nelle fila del Pd, che fa parte della commissione giustizia di palazzo Madama. Perduca è stato il capofila della delegazione che ieri ha visitato il carcere di Grosseto insieme all'onorevole Sani, al consigliere regionale Matergi ed all'assessore comunale Ceccarelli. Precedentemente si era recato nell'istituto penitenziario di Massa Marittima del quale dà un giudizio diametralmente opposto. "È un'eccezione all'illegalità ormai costituzionale. La gestione è ottima, non c'è sovrappopolamento e le celle sono dotate di docce". Unico cruccio, quel 25% di organico in meno che però fa il paio con l'istituto grossetano (24 agenti rispetto ai 33 previsti, nessuno giovane come sottolinea uno dei presenti). Dove i problemi però sono ben altri. "Attualmente i detenuti sono 18 con una capienza regolamentare di 23, ma in alcuni periodi sono stati anche 36. L'ala non ristrutturata ricorda le carceri rinascimentali, le norme antincendio non vengono rispettate". E qualcuno racconta che nel 2009 furono i riflessi pronti di un agente, non le misure di sicurezza, ad evitare che le fiamme appiccate da un detenuto alle lenzuola non provocassero una strage. Per non parlare delle condizioni che è costretto a sopportare chi vi lavora: stanze senza finestre e mensa minimale. Pensare che quello di Grosseto è un carcere di passaggio dove gli "utenti", così li chiama con deferenza una guardia, restano solo per le attività lavorative o per le misure di custodia cautelare. I casi più gravi invece vengono girati a Livorno e Firenze. Ma essendo una struttura piccola, bastano una dozzina di reclusi oltre la norma per rendere la situazione ingestibile. Ed a proposito di sovrappopolamento carcerario, inevitabilmente la questione passa alla politica. La visita, che nel periodo di ferragosto si ripete ogni anno ma, in questa "edizione" scorre nell'alveo tracciato dallo sciopero della fame e della sete organizzato da Marco Pannella, al quale hanno aderito oltre duemila persone, e dall'appello del Presidente della Repubblica Napolitano affinché si risolva l'emergenza carceraria. Perduca snocciola alcuni dati per sottolineare la validità della proposta dei radicali (un suo disegno di legge in tal senso giace in commissione giustizia dal dicembre 2009) di amnistia o indulto. "Il 40% dei detenuti non è stato condannato da una sentenza definitiva e mediamente un terzo di questi viene assolto. Il 30% sono tossicomani, persone che fanno male più a sé stessi che agli altri, ed i reati contro il patrimonio non superano i 500 euro". Per questi motivi il senatore rispolvera il cosiddetto decreto "svuota carceri", che permette a chi deve scontare gli ultimi due anni di usufruire dei domiciliari, per poi puntare al piatto grosso. "Ci sono 35.000 reati passibili di galera, 4 milioni di processi che durano in media oltre 7 anni. Altro che piano di edilizia per nuove carceri. L'amnistia di classe di fatto già esiste per chi può pagare gli avvocati e far prescrivere i reati". Il Pd, con Sani e Matergi, apre timidamente a "misure alternative, depenalizzazione di alcuni reati come quelli in fatto di immigrazione e droga, revisione della custodia cautelare". L'Idv, che definì l'indulto del 2006 un "colpo di spugna", per bocca di Ceccarelli dice "no a svuotare le carceri per svuotarle. Si ad una pena certa ma umana, che punti veramente al recupero del condannato". Marsala (Tp): il direttore; la situazione è grave, però non c'è emergenza La Sicilia, 19 agosto 2011 Sono circa 50 i detenuti alle carceri di Piazza Castello - una vecchia fortezza di età borbonica - in leggero sovraffollamento, così come spiegano il dirigente, Paolo Malato, e il neo comandante del reparto Polizia penitenziaria, Carmelo Arena. "La popolazione è superiore rispetto al limite previsto dal Ministero della giustizia, ma rientra nei parametri di vivibilità. Un esubero del 30 per cento è standard per tutti gli istituti penitenziari, la situazione delle altre carceri della in provincia sembra essere più grave e, ad esempio, gli istituti penitenziari di Trapani e Castelvetrano sfiorano il 100 per cento di detenuti in più". In città il numero dei detenuti varia, perché essendo una casa circondariale il numero di ingressi e di scarcerazioni è frequente. Qui sono detenute persone in attesa di pena definitiva. Il neo comandante Arena, 32 anni, da due mesi dirige il settore di Polizia penitenziaria, e conferma che la situazione, quanto a vivibilità, è tranquilla e che ogni detenuto è soggetto a particolari attenzioni da parte del personale. Sia Arena che Malato evidenziano, infatti, che sono rari gli atti di autolesionismo, di suicidio o tentato suicidio messi a segno all'interno delle carceri. Qui non ci sono molti detenuti che lavorano, ma il dato non dipende né dalla direzione né dalla polizia penitenziaria, ma dai fondi del Ministero; circa il 50 per cento dei detenuti, inoltre, sono extracomunitari: scafisti o spacciatori di stupefacenti. Tra loro la convivenza è normale e ci sono poche fughe, perché le caratteristiche dell'istituto non permettono un'evasione facile. Le misure di sicurezza sono state rafforzate e l'ultima evasione risale al 2001. La professionalità degli operatori penitenziari è molto alta benché il lavoro nelle sezioni sia impegnativo e, proprio per questo, con accordi regionali, sono previste delle rotazioni degli agenti. Per quanto riguarda il personale, come in tutta Italia, ci sono carenze. Degli agenti in più servono, ma dipende dal Ministero. Se ci sono delle richieste viene chiesto all'ufficio superiore. I detenuti sono imputati di reati comuni: rapine e anche omicidi, ma non connessi a criminalità organizzata. I colloqui con i familiari si svolgono due volte a settimana. Quello che necessiterebbe è, invece, un cappellano fisso: è stata presentata dai vertici la richiesta al vescovo, cui spetta la nomina, ma c'è soltanto un prete, padre Cannatà che va il sabato a celebrare la messa. Le nuove carceri, intanto, che dovrebbero sorgere in contrada Scacciaiazzo, prevedono circa 350 posti. Vasto (Ch): consigliere comunale propone utilizzo detenuti-spazzini per le aree verdi Il Centro, 19 agosto 2011 Parco giochi ed aree verdi nel degrado: i vastesi tornano a reclamare una maggiore cura della villa comunale e degli spazi verdi. Alle proteste dei cittadini il Comune ha risposto lamentando la mancanza di fondi, mezzi e uomini a disposizione per ripulire quotidianamente parchi e giardini. Il consigliere comunale Andrea Bischia (Progetto per Vasto) suggerisce al sindaco Luciano Lapenna una possibile soluzione. "Ritengo sia necessario intervenire prima possibile per porre rimedio al degrado della villa, considerate le ristrettezze economiche dell'ente e le difficoltà a far fronte ai servizi che la città chiede. Perché", chiede Bischia, "non stipulare una convenzione con i responsabili della casa circondariale di Torre Sinello che preveda l'utilizzo dei detenuti oltre che per la pulizia della spiaggia anche per lavori socialmente utili, manutenzione dei giardini e degli edifici pubblici?". "L'amministrazione, per evitare problemi, potrebbe provvedere alla stipula di un'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, nonché riguardo alla responsabilità civile di terzi", continua l'esponente di Progetto per Vasto, "la convenzione, da un lato, permetterebbe alla città di avere un'immagine più decorosa, dall'altro contribuirebbe al reinserimento sociale e rideucativo dei detenuti". Civitavecchia (Rm): Osapp; due poliziotte penitenziarie aggredite da una detenuta www.informazione.it, 19 agosto 2011 "Verso le ore 16,00 di ieri e a poco più di una settimana dalla precedente aggressione, due poliziotte penitenziarie in servizio presso la sezione femminile della casa circondariale di Civitavecchia, sono state aggredite con calci e pugni da una locale detenuta nei cui confronti erano intervenute per sedare una lite in corso con altre ristrette" è quanto comunica l'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. "Le colleghe aggredite - prosegue il sindacalista - hanno dovuto lasciare il servizio con 7 giorni di prognosi medica ciascuna s.c., ma le tensioni nella struttura hanno raggiunto livelli insostenibili. Di oggi è, infatti, la notizia che al rientro in istituito a Civitavecchia, dopo 20 giorni di malattia, un poliziotto penitenziario, vittima di una precedente aggressione si sia trovato a prestare servizio nella stessa sezione e con lo stesso detenuto che l'aveva aggredito". "È ormai fuori di dubbio - indica ancora il leader dell'Osapp - che la grave situazione delle carceri italiane, u tutto il territorio nazionale e nel Lazio non possa più essere affrontata solo con le pacche sulle spalle e con gli incoraggiamenti nei confronti dei poliziotti penitenziari, come sembra volersi fare, tenuto conto che, ad esempio, a Civitavecchia a fronte di una capienza di 350 detenuti uomini ne sono presenti quasi 500 e 30 sono le detenute presenti per 15 posti, mentre l'organico di polizia penitenziaria è carente di almeno 130 unità sulle complessive 810 in meno nell'intera regione". Putroppo la grave situazione esistente a Civitavecchia - conclude Beneduci - non sembra impedire all'Amministrazione penitenziaria centrale, il Dap, di assumere per lo stesso istituto decisioni del tutto avulse dalle realtà e dai fatti, come la recente scelta di aprire nello stesso istituto una sezione destinata a contenere 150 detenuti ad alta sicurezza in quanto anche provenienti dal regime del 41 bis". Genova: detenuta evade da Pontedecimo, rintracciata in centro città Ansa, 19 agosto 2011 Non è rientrata in carcere dopo un permesso premio ma è stata subito rintracciata dalla polizia penitenziaria che ha letteralmente setacciato la città e l’ha pizzicata in centro. La donna, una detenuta italiana di circa 50 anni è nel carcere di Genova Pontedecimo per spaccio di stupefacenti. Grande soddisfazione da parte di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe e commissario straordinario della Liguria: “Gli agenti hanno allora iniziato a setacciare la città e l’hanno individuata e fermata in via Gramsci, a Genova. Un grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere”. Bari: "I suoni del lavoro", concerto operaio delle detenute-lavoratrici di "Made in carcere" La Repubblica, 19 agosto 2011 Le chiavi dei secondini nelle serrature, quel tintinnio di metallo che esclude alla libertà e la mandata a sfondare il silenzio. Le sbarre delle celle, le macchine da cucire dei laboratori dove le donne recluse rivendicano il loro posto nel mondo. Le forbici, gli aghi, il taglia e cuci, il ritmo del laboratorio del carcere: si suona la musica del lavoro, le note di chi si affaccia al mondo e dice esisto anch'io. E poi la voce delle detenute, i testi delle loro canzoni, la vita vista da dentro. Va in scena nel penitenziario Borgo San Nicola di Lecce il concerto operaio delle detenute-lavoratrici di "Made in carcere", il marchio della cooperativa Officina Creativa s. c. s. che produce accessori nei penitenziari di Lecce, Trani, Milano e Vercelli. "I suoni del lavoro - Concerto per forbici, chiavi e macchine da cucire": una performance unica, la prima tappa di un'ambizione più grande, quella di uscire presto con un cd. Produzioni musicali, da affiancare a quelle quotidiane di borse, accessori e shopper bag colorate griffate dal messaggio "sì a una seconda chance". Per catturare i suoni della casa circondariale sono arrivati da New York. Gli artisti del "Found sound nation", collettivo fortemente impegnato nel sociale che lavora nelle carceri, ma anche nelle scuole, con gli anziani. È arrivato con i suoi strumenti, a incidere la batteria di vibrazioni captate nella fabbrica e nei corridoi per remixarle e offrirle come base. "Un'emozione unica", racconta Christopher Marianetti (fisarmonica, piano), arrivato in Salento con Jeremy Thal (french horn) e Elena Moon Park (violino e ukelele). "Durante il concerto le donne hanno pianto. Sono quelle con cui abbiamo lavorato per tre giorni, italiane, romene, moldave, slave, di 30 o 50 anni. Non abbiamo chiesto perché sono detenute, abbiamo guardato i loro occhi e raccolto le loro storie. Per noi non sono prigioniere, sono nostre collaboratrici". "La realtà dei laboratori è incredibile - continua Chris - lì le detenute hanno la possibilità di impegnarsi e guadagnare anche per le loro famiglie, non passano il loro tempo a poltrire in cella. Con noi questa volta c'era il percussionista di Sting David Cossin, ma l'idea è quella di coinvolgere importanti nomi della musica, parlarne ai nostri amici a New York e trovare artisti anche in Italia". Al progetto sonoro partecipano Officina creativa, Sound Res (realtà salentina che ogni anno fa incontrare artisti locali e star internazionali) e la canadese Musagetes foundation. In prima linea c'è Luciana Delle Donne, ex dirigente di banca e fondatrice di Made in carcere. "Realizzare il sogno di fare musica in questi luoghi, dare voce a 67mila detenuti; ci abbiamo creduto e siamo a un passo dal realizzarlo. Troppo spesso dimentichiamo che nelle carceri vivono persone, non fantasmi". La vendita del cd servirà a finanziare i laboratori di Made in carcere e l'acquisto di macchine da cucire. "Non sappiamo ancora quando sarà pronto il primo - spiega Chris - ma le tracce ci sono tutte. Abbiamo inciso la musica delle macchine, poi quella delle forbici, delle chiavi. Le registrazioni vengono passate al mix e lì campionate per creare nuove sonorità: ritmi originali, per svelare universi sconosciuti". Cagliari: Sdr; a Buoncammino con concerti estivi si combatte sovraffollamento e caldo Ristretti Orizzonti, 19 agosto 2011 Canzoni di Lucio Battisti, Pino Daniele, Bob Marley e Fabrizio De André, brani di Ligabue, Litfiba e Led Zeppelin. Un'antologia musicale, curata dal giovane cantautore rock Manuel Pia e della sua Band, che ha regalato in un'ora e mezzo di concerto, nel campetto del carcere di Buoncammino, emozioni forti e un po' di libertà ai detenuti del braccio destro della Casa Circondariale cagliaritana. L'appuntamento ha riscosso un particolare successo grazie alle proposte, comprese le ultime incisioni ("Portami via", "Libertà", "Tu sei l'unica") del pluristrumentista con la passione per la chitarra elettrica, tornato ad esibirsi a Buoncammino per la seconda volta. Ad accompagnarlo il fratello Salvatorangelo (chitarra basso), Davide Serra (seconda chitarra), Mirko Cadeddu (batteria). Del gruppo, che in queste ultime settimane ha aperto il tour sardo di Paola Turci e Irene Grandi, fa parte anche il musicista Alessandro Marras. Il concerto è stato inserito nel progetto "Note d'estate…al fresco", un'iniziativa, promossa dall'area educativa dell'Istituto Penitenziario, su proposta di Paolo Bernardini della Caritas Diocesana di Cagliari. La manifestazione, sostenuta dal Direttore Gianfranco Pala e dal comandante Michela Cangiano, è iniziata il 19 luglio e si concluderà il 16 settembre prossimo. Nel corso degli appuntamenti mattutini, concentrati tra le 9.30 e le 11.00, si alternano i detenuti dei due bracci. "Ancora una volta la sensibilità della Direzione dell'Istituto cagliaritano e della sicurezza rendono possibile - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" - alleviare il disagio di un consistente numero di detenuti che possono così lasciare le celle, vivere un momento di socialità e distrarsi dall'opprimente caldo. Un modo intelligente per allentare le tensioni dovute al sovraffollamento senza gravare troppo sulle ferie degli Agenti di Polizia Penitenziaria". "Un'iniziativa - conclude Caligaris - che merita un plauso dal parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria perché coinvolge il volontariato e genera un circuito positivo tra i cittadini liberi e quelli privati della libertà. Un modo per far capire che con la cultura, la musica, la comunicazione si possono creare piccoli paradisi anche in luoghi infernali come Buoncammino".