Giustizia: se 45mila vi sembrano pochi… di Stefano Anastasia Il Manifesto, 17 agosto 2011 La drammaticità della situazione è stata espressa in maniera inequivocabile dal Presidente Napolitano al Convegno promosso dai radicali alla fine di luglio (ribadita in occasione della mobilitazione di denuncia “Ferragosto in carcere”): quella della condizioni delle nostre carceri, “che definire sovraffollate è quasi un eufemismo”, è “una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”; “una realtà che ci umilia in Europa”, “non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita”, frutto di “oscillanti e incerte scelte politiche e legislative ... tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione”. Nello stesso giorno, in una intervista al Corriere della sera, il neo-Ministro della giustizia Nitto Palma, dimentica il “piano (di costruzione di nuove) carceri” del suo predecessore e annuncia che darà “priorità al problema del sovraffollamento attraverso un programma di depenalizzazione dei reati minori”, perché “l’ inefficienza dell’ elefantiaca macchina della giustizia dipende dall’ eccessiva criminalizzazione .... E questo ha un riflesso drammatico sulla condizione di vita nelle carceri”. Depenalizzazione e decarcerizzazione, dunque. Nella successione degli interventi durante il Convegno radicale non si apprezzavano dissensi. Ma allora perché quelle scelte “oscillanti e incerte”? Perché la “ciclica ripenalizzazione”? Forse sarebbe bastato aspettare una settimana, e ascoltare le dichiarazioni di voto dei leghisti sul “processo lungo”: tutti a discutere dei processi di Berlusconi, mentre gli imprenditori politici della paura sbandieravano qualche altra norma di segno opposto agli orientamenti emersi nel convegno radicale. Indisturbato, il populismo penale continua a mietere vittime. Altrove, in Germania e negli Usa per esempio, le politiche d’incarcerazione di massa stanno trovando un limite nelle giurisprudenze costituzionali. Potrebbe essere così anche in Italia, se si prendessero sul serio le leggi e la Costituzione e se non si ritenessero i detenuti “non persone”. Se è vero che quasi la metà dei 67.000 detenuti sono in attesa di giudizio e, secondo una corale opinione, la carcerazione preventiva va ricondotta a livelli europei (e cioè ridotta della metà); se è vero che la gran parte dei detenuti è in circuiti di media o minima sicurezza; se è vero che più del 60% dei detenuti condannati sconta pene inferiori a tre anni, e dunque sarebbe ammissibile alle alternative alla detenzione; se tutto ciò è vero, chi lo ha detto che uno Stato sull’orlo del default deve spendere centinaia di milioni di euro (661 già stanziati; ma almeno il triplo necessari) per avere 70.000 posti detentivi? Per dare seguito alle parole del Presidente della Repubblica, va tracciata una riga: i 45mila posti-letto regolamentari nelle carceri italiane sono il giusto per noi. Basta prendere sul serio il principio più volte ribadito dalla Corte costituzionale secondo cui i detenuti restano titolari di tutti i diritti fondamentali non necessariamente compressi dalla privazione della libertà e stabilire che oltre la capienza regolamentare in carcere non si entra, in attesa dal proprio turno. Giustizia: in carcere si continua a morire, nel silenzio dei media di Valter Vecellio L’Opinione, 17 agosto 2011 Di lui sappiamo solo che aveva 36 anni, era originario di Rieti, che era in carcere a Capanne-Perugia, e aveva precedenti per furto e per droga; probabilmente i furti erano legati alla necessità di procurarsi il denaro per la droga, e se è così il carcere era l’ultimo dei posti dove avrebbe dovuto essere. Però in carcere c’era. Il carcere di Capanne-Perugia è sperduto nella campagna, bisogna fare molti chilometri per arrivarci. È un carcere relativamente nuovo; per anni è rimasto chiuso, per non lasciare che andasse completamente alla malora ci hanno celebrato il processo a Giulio Andreotti accusato di essere tra i mandanti del delitto del giornalista Mino Pecorelli, processo da cui è uscito assolto. E ora il carcere di Capanne è soprattutto conosciuto e ricordato perché nel suo braccio femminile è rinchiusa Amanda Knox, la ragazza coinvolta nel delitto della studentessa inglese Meredith Kercher. A Capanne finora uno dei due “bracci” era chiuso, anche se dotato di tutte le attrezzature necessarie, roba nuova di trinca che malinconicamente arrugginisce. “Braccio” chiuso mentre nell’altro, “aperto”, si stava come sardine. Semplice la spiegazione: l’organico della polizia penitenziaria non consentiva l’adeguato e necessario controllo, troppo pochi gli agenti; e allora l’unica cosa da fare era mettere il “due” nell’ “uno” e pazienza se si sta stretti. ..L’uomo di 36 anni originario di Rieti in carcere con precedenti per furto e droga, decide che basta: una vita così non ha senso, non ci sono prospettive, non c’è futuro. Ci pensa e ripensa, a come “evadere”, ha trovato il modo, è facile, basta attendere l’occasione giusta, quando il compagno di cella si è addormentato. Giunta finalmente la notte, si rifugia in bagno, in mano ha una di quelle bombolette di gas che si usano per cucinare, a volte per “sballare” quando non c’è altro. Ma quella sera la bomboletta serve per evadere. Non serve tanto tempo, basta fare le cose con calma e senza rumore. Quando il compagno di cella si accorge di quello che è accaduto, e dà l’allarme è ormai tardi, ormai è “evaso”. Evaso per sempre; come sono “evasi” dall’inizio dell’anno almeno altri 39 detenuti. Perché se il detenuto che decide di farla finita viene portato agonizzante in ospedale, e lì muore, non viene più contabilizzato tra i suicidi in carcere; perché è morto in ospedale. Con questa ipocrisia la cifra dei suicidi ufficiali diminuisce. Ma pur fossero “solo” 39, sono una cifra altissima; una cifra che sale a 113, se si considera anche chi muore per altre ragioni, malattia o per “cause non accertate” (e come sia “causa non accertata” è cosa che non finirà mai di stupire: come si possa accettare che una persona di cui si è responsabili dal momento che la si è privata della sua libertà’, possa morire per cause che non ci si dà pena di accertare). Nel 2010 delle 184 morti in carcere avvenute nella penisola, 66 erano suicidi; 72 nel 2009 per un totale di 177 morti. 1.859 morti dal 2000 al 2011 di cui 664 suicidi. Numeri che dovrebbero allarmare, per un sistema penitenziario al collasso come quello italiano. Nelle carceri italiane, secondo il dossier “Morire di Carcere”, “le persone si tolgono la vita con una media 19 volte superiore rispetto alle persone libere e spesso lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti”. In attesa che qualcosa si muova, c’è stata l’iniziativa che ci si augura sia stata accolta con favore da tutti, non importa a quale parte politica appartengono e militano. Un’iniziativa “raccontata” dall’appello per la convocazione straordinaria del Parlamento: il 14 agosto un giorno di sciopero totale della fame e della sete! “Noi sottoscritti, a partire da Marco Pannella che sta dando corpo e anima a questa campagna di legalità e di libertà, sentiamo come una priorità molto precisa, quella di dare voce e seguito alle parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano” tenutosi al Senato il 28 e 29 luglio”. Noi, che a diverso titolo abbiamo a che fare con il mondo delle carceri, o perché vi lavoriamo, da direttori, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, infermieri, personale amministrativo, volontari, cappellani, o perché facciamo parte di quelle istituzioni che, avendo il compito di legiferare o intervenire direttamente, il problema dell’illegalità delle carceri sono chiamate a risolverlo, o perché siamo proprio gli ultimi, cioè i “detenuti ignoti” che, dovendo pagare un debito per aver violato la legge, siamo vittime dell’illegalità praticata da chi le leggi dovrebbe per primo rispettarle e farle rispettare; o perché scontiamo in carcere una pena anticipata in attesa di un processo che, non dimentichiamolo, con un’alta probabilità riconoscerà l’innocenza della metà di noi, o perché siamo mogli, mariti, figli, genitori, nonni o amici di persone incarcerate, o perché, semplicemente, siamo cittadini democratici che credono nella Costituzione e nello Stato di Diritto, noi riteniamo che sia nostro dovere fornire conoscenza e ascolto della Parola e dell’opera del Presidente della Repubblica], accuratamente silenziate per non dire censurate da tutti i media audiovisivi e stampati. Parola e opera nascoste, negate ai cittadini e alla classe dirigente del Paese. Egli, in qualità di Garante dei diritti costituzionali, in primo luogo degli ultimi, il 28 luglio, fra l’altro, ha affermato: A proposito delle finalità del Convegno: (…) Si intende piuttosto mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia. (…) Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile. A proposito delle scelte politiche e legislative: (…) Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo. A proposito delle finalità costituzionali della pena: (…) Evidente in generale è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo (…). Rivolgendosi alla Politica: (…) è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. (…) Non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non fosse altro per istinto di sopravvivenza nazionale? Per dare seguito alle parole del Presidente Napolitano, noi richiediamo urgentemente la convocazione straordinaria del Parlamento e, per aiutare questa scelta, il giorno 14 agosto per 24 ore saremo in sciopero totale della fame e della sete anche per simboleggiare la fame e sete di legalità, giustizia e verità del popolo che abita il territorio italiano. In assenza di democrazia e diritto, infatti, è il popolo tutto a rischiare di soccombere. Giustizia. “depenalizzare”… questa la soluzione del ministro Palma per celle più umane di Laura Landolfi Il Riformista, 17 agosto 2011 No all’amnistia: per il Guardasigilli serve una riforma del settore. Scettica Rita Bernardini: “Bisogna vedere se c’è la volontà”. E il Sappe chiede il potenziamento di misure alternative, al di là del braccialetto. Nessuna amnistia piuttosto depenalizzazione dei reati minori, meno custodie cautelari ma più domiciliari e avanti con il piano carceri. Questi i punti resi noti da Nitto Palma all’indomani della visita a Regina Coeli per risolvere la questione carceri. L’iniziativa era partita dai Radicali che a Ferragosto hanno indetto una giornata da passare in varie carceri e uno sciopero della fame e della sete per denunciarne il sovraffollamento. Sciopero cui hanno aderito circa 2100 persone tra direttori di istituti penali, polizia penitenziaria e parlamentari per convincere la politica a “far mettere all’ordine del giorno le riforme necessarie” per il settore. Un appello che ha ricevuto il plauso anche di Pier Ferdinando Casini che ha visitato il carcere di Lecce. Mentre Marco Pannella ha ricevuto la telefonata del presidente della Repubblica (“Questo straordinario impegno è valso a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica” ha fatto sapere il Quirinale “su drammatiche questioni come quelle sollevate anche dal presidente della Repubblica in occasione del recente convegno sulla giustizia e a sollecitare un intervento del Parlamento in tempi ravvicinati”). Ma alla richiesta di amnistia dei Radicali il ministro della Giustizia oppone un tavolo tecnico con avvocati, professori universitari e magistrati sulla depenalizzazione dei reati minori. Serve, infatti, “una strategia complessiva, non interventi emergenziali”. Parla poi di arresti domiciliari in risposta a Pannella che chiedeva di rivedere l’istituto della custodia cautelare: “Mi chiedo, visto che nel codice il carcere è considerato una extrema ratio, se non sia il caso, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, rendere più cogente la strada degli arresti domiciliari per reati meno gravi”. E annuncia: Simonetta Matone sarà il vice direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Questo dopo il via libera del Csm che si riunirà al termine della pausa estiva. Raggiunta al telefono dal Riformista Rita Bernardini è scettica. “Bisogna vedere la volontà politica che c’è di arrivare a certe riforme. Di depenalizzare se ne parla da anni e invece sembra si vada incontro a una sempre maggior cancerizzazione”, del resto lo sciopero serviva proprio a questo, chiedere “la convocazione urgente del Parlamento”. Perché “un paese dove c’è questa situazione è un paese bloccato”. E a proposito di amnistia: “C’è già quella che si verifica ogni anno: la prescrizione”. Al suo posto sarebbe più utile un provvedimento in cui “la vittima viene risarcita”. Sulla questione custodia cautelare afferma: “Il correttivo serio sarebbe la responsabilità civile dei giudici. Persino Vassalli lo ha ammesso”. La vera questione, però, sembrerebbe essere “l’efficienza del sistema”. Punto uno. “Lo sfollamento dal Sud al Nord dei carcerati” che si ritrovano “lontani dal luogo di residenza” e costretti a fare su e giù per i processi per altro con “traduzioni fatte male”. Punto due. Le nuove carceri, Nitto Palma promette i lavori al padiglione di Piacenza e in altri 19 padiglioni e, per il 2013, la realizzazione di undici istituti penitenziari. “Ma dove vanno?” è il commento della deputata radicale (nel Pd) “non c’è personale”. Un esempio? “Nel carcere di Rieti sono tutti ammassati non perché non ci siano strutture ma per la mancanza di agenti di polizia penitenziaria”. Intanto gli edifici, anche quelli più nuovi, cadono a pezzi perché mancano fondi per la manutenzione ordinaria. E, parlando di Rebibbia che ha visitato proprio il 14 agosto “potrebbe contenere 900 detenuti e invece ne ospita 1.700. Per la manutenzione il direttore ha a disposizione 45.000 euro. Così le strutture vanno in malora”. Sul piede di guerra anche il Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (che ben vedrebbe l’arrivo di Matone): “La strada da percorrere è il potenziamento delle misure alternative alla detenzione” ma “lo Stato ha stipulato un contratto per dieci anni e paga a Telecom 110 milioni di euro per la fornitura di 400 braccialetti elettronici”. Utili? Mica tanto visto che sarebbero quasi tutti custoditi in qualche armadio del Viminale. Ne sarebbero stati usati meno di un decina. Giustizia: estendere la detenzione domiciliare alle pene fino a due anni… Il Manifesto, 17 agosto 2011 Una estensione della legge che già oggi consente di scontare in detenzione domiciliare un residuo di pena non superiore ai dodici mesi. Il neo ministro della Giustizia Nitto Palma scegli il giorno di Ferragosto, ormai tradizionalmente destinata alle visite nelle carceri, per tornare a parlare delle possibili soluzioni al sovraffollamento degli istituti di pena. Esclusa già nei giorni scorsi l’ipotesi di un’amnistia, il ministro si è detto disponibile a ragionare a una possibile depenalizzazione di alcuni reati (esclusa la corruzione), ma nel frattempo non ha escluso la possibilità di rimettere mano anche alla cosiddetta “svuota-carceri” (anche se in realtà la legge tutto ha fatto tranne che alleggerire la pressione esistente nelle prigioni). “Mi chiedo - ha detto Nitto Palma - visto che il codice definisce la custodia cautelare un’extrema ratio e ferma restando l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, se non sia il caso di rendere più cogente la strada degli arresti domiciliari per i reati di minore gravità”. A sostegno di questa ipotesi per il ministro ci sono i buoni risultati ottenuti finora della legge. Degli (appena) 3.001 detenuti che ne hanno usufruito, “nessuno è evaso”!, ha spiegato. Di questi la maggior parte sono italiani e solo il 266 stranieri a causa della scarsa disponibilità di luoghi dove scontare i domiciliari. Una difficoltà che, secondo Nitto Palma, il ministero starebbe cercando di superare facendo accordi con le regioni per trovare alloggi dove destinare ai detenuti stranieri. In realtà inizialmente la legge già prevedeva la possibilità di estendere a un numero maggiore di detenuti la possibilità di scontare la parte finale della pena a casa propria. “Si prevedeva che sarebbero stati 11-12 mila quelli che avrebbero potuto beneficiarne”, ricorda Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente di “A buon diritto”. “Poi i veti della Lega e dell’Italia dei valori ne hanno ridotto notevolmente le potenzialità”. Per quanto riguarda l’annunciata depenalizzazione di alcuni reati, Manconi esclude che questo governo possa davvero arrivare ad approvarla. “Dovrebbero mettere mano a leggi simbolo del centrodestra come la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e l’ex Cirielli”. Intanto per ora i reati rischiano di aumentare. Approfittando di un tragico fatto di cronaca che ha visto un imprenditore albanese ubriaco travolgere e uccidere con il suo Suv quattro ragazzi francesi in vacanza in Piemonte. il ministro degli Interni Roberto Maro ni ha proposto di istituire il reato di omicidio stradale. Senza tener conto che già oggi il codice penale prevede il carcere per chi guida sotto l’effetto di alcool o droghe con pene che vanno dai 3 ai 10 anni di carcere, che diventano 15 per i casi più gravi. Giustizia: come non sprecare le buone idee sulle carceri del ministro Nitto Palma Il Foglio, 17 agosto 2011 La scelta del ministro della Giustizia di trascorrere il Ferragosto visitando le carceri romane è un gesto simbolico che, per la particolare sensibilità al tema carcerario che si è sviluppata a seguito dell’iniziativa di Marco Pannella, può essere il segnale di avvio di un percorso riformatore. Guardare il sistema giudiziario dall’interno di una cella, cioè dalla fine del percorso, rende più evidenti le sue contraddizioni e le sue storture. In Italia si va più spesso in galera prima della sentenza che dopo, l’appartenenza al Parlamento viene considerata un’aggravante che imporrebbe la carcerazione cautelare, mentre un drogato che usa l’automobile come un’arma letale può aspettare tranquillamente in libertà il terzo grado di giudizio. La magistratura associata attribuisce alla politica tutta la responsabilità della lentezza dei processi, la politica reagisce a singhiozzo, con tentativi legislativi il più delle volte frustrati. Il blocco della riforma della giustizia vede nella situazione carceraria, nel sovraffollamento, nell’inciviltà mortificante della sua condizione, il bilancio finale e tragico. Partire da lì per discutere di carcerazione preventiva, di pene alternative, di detenzione a livelli differenziati di sicurezza, può essere il modo per richiamare tutti alla concretezza della realtà, di sollecitare in nome dello spirito umanitario, che è stato testimoniato da tutte le rappresentanze politiche e istituzionali nel corso del convegno di Palazzo Madama, l’intesa su alcuni provvedimenti di immediata efficacia, dai quali partire per una revisione più generale del sistema giudiziario. Non si tratta della retorica spesso mal interpretata del “cominciare dagli ultimi”, che comunque dovrebbe sempre essere presente a chi si ispira a ideali umanitari o cristiani, ma di dare un seguito politico alle sincere volontà che si sono espresse da parte delle istituzioni, dei partiti, di alti esponenti della magistratura. Al nuovo Guardasigilli spetta raccogliere e sintetizzare tutti questi spunti, evitare che si degradino a sterili polemiche o si incaglino in pregiudiziali reciproche, come è accaduto finora. Il segnale di Ferragosto è un impegno implicito, che solleva interesse e speranze in un mondo carcerario che ha tante ormai annose ragioni di disillusione. Sarebbe grave lasciar perdere quest’ultimo filo di reciproca fiducia, questa ultima prova di responsabilità del mondo carcerario verso lo stato e viceversa. Giustizia: depenalizzare droga e immigrazione… questo svuoterebbe davvero le carceri Terra, 17 agosto 2011 Il garante dei detenuti, Franco Corleone, e il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, rispondono alle proposte del ministro Nitto Palma per affrontare il sovraffollamento Ha intenzione di procedere velocemente il neoministro della Giustizia, Nitto Palma. Già dopo l’estate sarà pronta una ristretta commissione di esperti che dovrà indicare al parlamento i reati da depenalizzare. La maggioranza sembra non aver risposto all’appello di Marco Pannella che chiedeva un’amnistia per svuotare le carceri. Anche l’indulto è secondo Gasparri un’ipotesi non praticabile. La commissione sarà composta da giudici segnalati dall’Anm, assieme ai consulenti nominati dal ministero. Gli esperti lavoreranno a una bozza da presentare in tempi rapidi al parlamento e da cui saranno esclusi concussione e corruzione per evitare polemiche. Resta una priorità del governo la costruzione di nuove carceri. Un annuncio che per l’associazione Antigone è solo propaganda. “Costruiamo nuove carceri, ma per chi?” si chiede il garante dei detenuti Franco Corleone. “Se consideriamo che delle 70mila persone carcerate solo 600 sono i manosi e 7mila stanno nell’alta sicurezza, tutto il resto è detenzione sociale. Alcune carceri sono sicuramente da costruire, ma devono essere rispettose del reinserimento sociale, non devono essere dei meri contenitori di corpi”. Per l’associazione che da anni si batte per i diritti dei carcerati la depenalizzazione non è sbagliata di per sé. “Bisogna però toccare quei reati che producono carcere - dice a Terra Patrizio Gonnella. Inutile toccare quelli non sanzionati con la detenzione. Bisogna intervenire su due grandi questioni: la droga e l’immigrazione. Nel nostro paese ci sono due leggi troppo rigide: la legge Giovanardi e la Bossi-Fini che riempiono le carceri”. “In particolare è l’articolo 73 della legge sulla droga che causa il sovraffollamento - dice Franco Corleone. Tutte le sostanze sono sullo stesso pieno. Vengono dati da sei a venti anni di carcere per detenzione e spaccio. Su quest’argomento sentirò nei prossimi giorni il ministro. C’è il grande problema dei tossicodipendenti in carcere, persone che non dovrebbero proprio andarci”. Per quanto riguarda la commissione, Antigone non è d’accordo per una tavola rotonda costruita da soli tecnici, che non guardano la pratica delle carceri. È favorevole a una riduzione delle pratiche della custodia cautelare. Un tema toccato anche dal ministro. Per Nitto Palma occorre un maggior ricorso agli arresti domiciliari e delle modifiche organizzative alla procedura d’urgenza di convalida degli arresti. Sta pensando di ampliare la “svuota carceri”, che ha portato agli arresti domiciliari circa 3mila persone, tutte con pena detentiva inferiore a un anno, di cui però ne hanno potuto beneficiare solo pochi immigrati dato che molti non hanno un domicilio in Italia. Non piace questa proposta ad Antigone perché “significa pensare di operare quando il danno è già stato fatto e ciò a posteriori, dopo l’ingresso in carcere”. Giustizia: Mauro (Pdl); un’amnistia è necessaria… ma c’è l’incubo di favorire qualche corrotto Ansa, 17 agosto 2011 “Io ho ritenuto l’indulto un provvedimento sbagliato, e ritengo l’amnistia un provvedimento giusto”. Lo ha detto Mario Mauro, presidente dei Parlamentari del Pdl al Parlamento Europeo, intervistato da Radio Radicale. Mauro ha visitato a Ferragosto il carcere milanese di San Vittore, ed ha affermato che l’amnistia è necessaria “intanto perché è moltissimo tempo non si fa una amnistia, e non si fa perché da moltissimo tempo viviamo nell’incubo che questo tipo di provvedimento possa consentire di scarcerare qualche assessore accusato di malversazione, e finiamo con il non comprendere che una amnistia, corredata da una azione in positivo che miri ad ottenere un diverso impiego della pena e una risistemazione delle carceri è l’unico modo organico di affrontare il problema di una giustizia negata. E la giustizia negata è purtroppo ormai il biglietto da visita del nostro Paese in Europa”, ha concluso Mauro. Giustizia: Gasparri (Pdl); no all’amnistia, sì depenalizzazione senza scarcerazioni di massa Adnkronos, 17 agosto 2011 “La riforma strutturale della giustizia è uno dei nostri obiettivi, e l’opposizione ha preso a pretesto spesso le questioni che riguardano Berlusconi per opporsi. Serve la certezza della pena e occorre ampliare la capienza carceraria”. Lo afferma Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, nel corso di un filo diretto a radio Radicale. “Noi oggi - aggiunge - abbiamo un certo numero di posti nelle carceri, ma non possiamo prevedere di non punire chi commette reati e di commisurare le condanne alla capienza. Poi, certo, misure alternative, depenalizzazione, lavori di pubblica utilità possono essere persino più efficaci del carcere. Se ne parla da moltissimo tempo. Ma la mia opinione - conclude Gasparri - è che questo non può portare ad una scarcerazione di massa”. Giustizia: Osapp; bene Palma sulla depenalizzazione, però è necessaria anche un’amnistia Adnkronos, 17 agosto 2011 “Sin dalle dichiarazioni sulle carceri rilasciate alla vigilia del proprio insediamento lo scorso 28 luglio, come sindacato e come operatori penitenziari, abbiamo appreso di un Guardasigilli competente e dalle idee notevolmente chiare e puntuali sul da farsi, per affrontare la grave emergenza penitenziaria”. E’ il commento del segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) Leo Beneduci, alle affermazioni del Ministro della Giustizia apparse quest’oggi su numerosi organi di informazione. L’Osapp però sottolinea come l’amnistia, ipotesi per ora rifiutata dal Guardasigilli, sia necessaria per risolvere il sovraffollamento carcerario attuale. “Non possiamo che apprezzare ulteriormente - prosegue il sindacato - l’impegno per la decongestione del sistema penitenziario che il Ministro Palma dichiara di volere assumere riguardo alla depenalizzazione dei reati di assai minori pericolosità e allarme sociale, ovvero - continua - rispetto ai problemi dell’eccessivo utilizzo della custodia cautelare in carcere e il sovrabbondante ricorso al carcere in attesa dei provvedimenti di convalida dei fermi e degli arresti effettuati dalle forze di polizia sul territorio”. “Nel frattempo - rileva il segretario generale dell’Osapp - pervengono assicurazioni dallo stesso Guardasigilli del mantenimento in piedi del piano di edilizia penitenziaria per 19 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti penitenziari - prosegue - per 9.900 posti aggiuntivi nelle carceri e per un costo di 670 milioni di euro e non anche dell’assunzione straordinaria, per una spesa che non eccede i 70 milioni di euro delle 1.611 unità di polizia penitenziaria - precisa - previste dalla legge 199 del 2010 e ad oggi inattuate”. “Per tali motivi, per quanto ci riguarda - conclude Beneduci - ci esprimeremo sulla ‘bontà degli interventi del Ministro della Giustizia e del Governo, soprattutto riguardo alle iniziative nei confronti della polizia penitenziaria e che, oltre all’aggiornamento di organici che datano al 1992 per un Corpo di Polizia con la più alta età media e che supererà nel 2012 i 2.500 pensionamenti - conclude - devono riguardare l’integrale riassetto dei ruoli, delle funzioni e dell’organizzazione e il pieno riallineamento alle altre forze di polizia”. Giustizia: Moretti (Ugl); bene non colpire edilizia penitenziaria, ma bisogna fare di più Adnkronos, 17 agosto 2011 “Sebbene sia positivo che la manovra non comporterà tagli all’edilizia penitenziaria, come confermato dal ministro della Giustizia, bisogna fare di più”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, che domani sarà in visita alla Casa di Reclusione di Augusta, spiegando che “l’istituto versa in condizioni drammatiche: infiltrazioni d’acqua nei soffitti, pericolose irregolarità a impianti elettrici e di riscaldamento, sistemi di sicurezza malfunzionanti e sezioni detentive con irregolarità più volte verificate sono solo alcuni dei malfunzionamenti che possiamo riscontrare”. “Una situazione che purtroppo riguarda oltre il 70 per cento delle carceri italiane e a cui è necessario porre rimedio immediatamente - aggiunge Moretti - non basta creare nuove strutture, c’è bisogno prima di rendere agibili, nel miglior modo possibile, quelle esistenti la cui manutenzione negli ultimi cinque anni ha subito un taglio superiore al 40 per cento delle risorse pur essendo aumentato notevolmente il numero dei detenuti”. Giustizia: Lisiapp; manovra da 45mld è pesante, pagherà anche il sistema penitenziario Ansa, 17 agosto 2011 “Siamo davvero preoccupati per la grave crisi che affligge il Paese e che rischia di essere pagata, come al solito, dalle fasce più deboli della società. Stavolta la situazione è più seria ed è appesantita dalle scelte operate da questa manovra da 45 miliardi di euro che comporteranno diversi tagli tra cui al comparto sicurezza e all’intero sistema sociale. Pensare di tagliare nuovamente, colpendo i settori più deboli e più esposti della società, significa strangolare l’economia della nazione, significa porre in discussione le basi della convivenza civile, significa non colpire le sacche di impunità e quelle che continuano a godere di vergognosi privilegi. Ad affermarlo è una nota del Lisiapp il Libero Sindacato Appartenenti Polizia Penitenziaria, in particolare sottolinea la nota, il comparto della Polizia penitenziaria in questi ultimi anni ha subito tagli enormi ed indiscriminati che hanno depotenziato la capacità di risposta all’emergenza carceri e al sistema penitenziario più in generale. Le mancate assunzioni, quindi, il mancato turnover ha, via via, invecchiato l’organico, che si è visto assottigliare sempre più è una grave realtà. L’assenza di investimenti nella tecnologia e nell’aggiornamento delle dotazioni, ha fatto scomparire l’informatica, se non vogliamo ricomprendere in essa vecchi computer ormai superati, così come ha diminuito la qualità e la quantità di mezzi a disposizione e le condizioni in cui versano le strutture carcerarie e contemporaneamente il disagio lavorativo che gli agenti sono costretti a subire. In ogni caso, è in questi momenti di forte crisi che la politica dovrebbe svolgere il suo ruolo al meglio, così come gli amministratori pubblici dovrebbero adempiere alle loro mansioni con più impegno ed attenzione. Apprendiamo con un certo stupore conclude il Dott. Mirko Manna Segretario Generale del Lisiapp “leggiamo che da questa manovra non è stato esclusa la Giustizia , e per questo riteniamo ormai che si sprofonderà nell’abisso totale e l’emergenza penitenziaria oramai come già accade da un decennio farà pagarne le spese in primis gli operatori di polizia penitenziaria e tutti quelli chiamati in prima linea a fronteggiare questa situazione”. Giustizia: gli Opg sono manicomi a tutti gli effetti… perché continuare a prenderci in giro? di Franco Previte Il Campanile, 17 agosto 2011 Malgrado sia stato accertato la vergognosa situazione, continuano ad essere in vita e si continua a dare spazio al superamento dei “manicomi”, rispetto alla gravità dei malati sul territorio. Gli ospedali psichiatrici Giudiziari (Opg) in numero di 6, sono strutture che dopo la riforma del 1975 hanno sostituito i “manicomi criminali”, tutt’ora dipendenti dall’Amministrazione Penitenziaria e fino al giugno 2010 contenevano circa 1.500 detenuti, il 28 luglio 2011 venivano posti agli onori della cronaca in quanto il Servizio Sanitario Nazionale ha disposto un accertamento della loro “vitalità”. (Notizia appresa dai Tg Nazionali). Domenica 20 marzo 2011 il programma Rai 3 (speriamo non in funzione politica) nella rubrica “Presa diretta” ha mandato in onda le terribili immagini a seguito del lavoro compiuto dalla “Commissione Parlamentare per il Ssn”. La “Commissione Parlamentare sul Servizio Sanitario Nazionale”, (formalizzata anche ai sensi dell’art.82 della Costituzione che in campo sanitario ha lo stesso potere dell’Amministrazione Giudiziaria) presieduta dal Senatore Ignazio Marino, è stata costituita dal Senato della Repubblica nel 2010 per conoscere la situazione in cui “dimorano” gli “internati” sottoposti alla detenzione ivi compreso i detenuti ai quali devono essere ancora accertate le infermità psichiche. Sono questioni assai complesse e delicate che avvolgono la qualità giuridica, etica o squisitamente politica non risolvibili da una “Commissione Parlamentare d’Inchiesta”, ma solo di competenza delle Camere Legislative. Certo che per una Nazione che si definisce civile e democratica ammettere e considerare che la detenzione di persone la cui infermità mentale è stata riconosciuta tale - perché giudicate incapaci di intendere e volere al momento in cui hanno compiuto un reato - non dovrebbe tollerare pazienti che necessitano di cure e siano invece detenuti come qualsiasi recluso. Dall’ “Indagine Parlamentare sul Servizio Sanitario Nazionale” del Senatore Ignazio Marino condotta sui sei ospedali giudiziari localizzati in diverse parti d’Italia - dalla Sicilia alla Campania, dalla Toscana alla Lombardia, passando per l’Emilia Romagna - emerge un quadro tanto inquietante quanto quello da recepire il degrado vergognoso di queste realtà e che vengono solo ora “scoperte” dopo ben 33 anni della loro sopravvivenza, in quanto la legislazione sulla tematica mentale non ha distinto il malato mentale responsabile di atti criminosi da quelli relativamente innocui, come stabilito da Codice Rocco ( ricovero in manicomio criminale). Ma la “Commissione d’Inchiesta” del Senato della Repubblica non ha voluto fermarsi all’apparenza e così, dopo aver visitato le strutture, ha redatto un “Documento” nel quale viene evidenziato il prolungarsi dei tempi di detenzione oltre quelli programmati (come aveva esposto e relazionato molto bene nel 2005 il “Commissario Europeo per i Diritti Umani”. Il “Documento Marino”, come al solito, non è l’ultimo e non strettamente vincolante sulla situazione della malattia mentale in Italia, ma per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari “è iniziato da alcuni anni un processo di progressiva dimissione”. (Documento conclusivo della Commissione Parlamentare di Inchiesta “Sullo stato dell’assistenza psichiatrica in Italia”. Legislatura 14° Resoconto Sommario - Senato della Repubblica n. 312 del 1.2.2006). Siamo proprio stranieri nella nostra Patria o siamo forieri di notizie non vere ? Ma perché prendere in giro il popolo! Secondo quanto riportato dal “Documento” per alcune unità è stata prevista una proroga della pena, per solo 5 sono stati ritenuti socialmente pericolosi, altri non sono stati liberati perché non hanno un progetto terapeutico, non hanno famiglia che li accolga, o un Asl che li possa assistere. (Non è eccessivo pensare che per gli stranieri l’assistenza sanitaria è molto “positiva”, mentre per i cittadini italiani è molto “arida”.) “Gli ospedali psichiatrici giudiziari, pur ospitando e seguendo psicologicamente gli internati, sono malgrado tutto dei centri penitenziari, gestiti dall’amministrazione giudiziaria”. È pertanto inconcepibile e inaccettabile, a mio avviso, che delle persone siano costrette a restare in una struttura carceraria perché mancano posti all’esterno, (punto 117 del Rapporto dr. Alvaro Gil-Robles “Commissario Europeo per i Diritti Umani” sulla sua visita in Italia 10/17 giugno 2005, CommDH (2005) 9 Strasburgo 14 dicembre 2995. Una “lectio schola aliquem auditum ire” (imparare la lezione) davvero esemplare! Le condizioni igieniche vergognose, sempre secondo quel “Documento Marino”, ritenute inammissibili, tra altre, sono in breve ad esempio, “tre metri quadro” di spazio per ogni detenuto, “acqua ghiacciata da bere sotto il water” “affollamento in stanze ridotte” ed altre “anomalie” irripetibili seppur vere, insomma una situazione disumana che il rispetto per cani e gatti resta ed è superiore a quello che avviene in questi lager, “cose!”, ripeto, conosciute da ben 33 anni, che ci fanno accapponare la pelle ri-conoscerle solo ora ! Ma dove è stata la politica e la Sanità in tutti questi anni? Perché a seguito di tutta questa “movimentazione”, di questo “bailamme”, di questa “visione” semipolitica, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari continuano ad essere in vita? Il Senatore Marino lancia un appello affinché le realtà sanitarie presenti sul territorio collaborino per permettere, a chi ne ha il diritto, di lasciare quei luoghi da incubo: “Raccogliere i primi dati non è stato per niente semplice: reticenze, diffidenze, inesattezze hanno scandito le prime settimane di lavoro soprattutto negli Opg più degradati. Ci sono, tuttavia, realtà come quella di Reggio Emilia dove gran parte dei dimissibili hanno già lasciato la struttura. Speravamo di poter fare molto e al più presto, ma abbiamo bisogno di collaborazione delle realtà regionale e non dobbiamo tollerare degrado e condizioni di vita incompatibili con il più elementare rispetto della dignità”. Ma chi le fa le leggi-quadro ? (Art.70 e seg.ti della Costituzione Italiana !). È necessario, nonché impellente, ricordare che la legge 180/1978, la famosa legge Basaglia, ha voluto abolire i “manicomi” priva del Regolamento d’Applicazione, ha attivato poche strutture residenziali alternative previste dai vari “Progetti-Obiettivi di salute mentale”, ma non ha migliorato le condizioni dei malati, così come la legge 833 ( che garantisce l’universalità delle cure ai malati di mente), non ha “chiuso” questi Ospedali Psichiatrici Giudiziari in contrasto con il dettami costituzionali, contro la stessa legge, contro il Piano Sanitario 2003-2005 contro i vari Provvedimenti Legislativi e che non ha adeguato la normativa penale a quella civile per i 6 Opg. Purtroppo oggi si continua a dare ampia rilevanza al superamento dei “manicomi”, rispetto alla gravità dei malati sul territorio ed alle priorità come nel caso in esame. I malati, anche quelli in Opg, sono soli e questa situazione urgente ed irrevocabile ha una sua drammatica attualità e riscontri tragici. Il problema, al di là di condizioni etico-giuridiche-sociali riscontrate da quella “Commissione”, ha ripeto, una priorità assoluta e la Comunità Civile, le Istituzioni, tutte, devono uscire dal silenzio, dall’indifferenza e dal disinteresse e non smarrire il senso del bene comune. Il disinteresse è un insulto alla legalità, alla logica, all’etica civile, in quanto occorre ridare ai valori etico-sociali il loro primario significato. Occorre ridare ai singoli dignità, umanità e fiducia, esigenze fondamentali della civiltà che una “Commissione Parlamentare” per i quanti poteri possa avere, come le Assemblee Legislative i Governi passati ed il Governo Berlusconi in atto, non hanno saputo o voluto assumere le loro responsabilità ed evidenziare l’urgenza, ancora in atto oggi agosto 2011, perché ricordiamo che “i valori della vita possono essere dipendenti dalle mode e dalla politica” (Santo Padre Benedetto XVI° - Udienza Generale 17 ottobre 2007 in piazza S. Pietro). Giustizia: Dap; i braccialetti elettronici? furono scelti a suo tempo dal ministero dell’Interno Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria replica al sindacato Sappe che ha chiesto al Guardasigilli, Nitto Francesco Palma, di far luce sul mancato utilizzo di 400 braccialetti elettronici: ‘La situazione è ben nota - sottolinea il Dap, sorprende però che la richiesta di far luce sui braccialetti venga rivolta al ministro della Giustizia che ha altre competenze e non quelle di sindacare sulle scelte fatte a suo tempo dal ministero dell’Interno”. Giustizia: Sappe; sui braccialetti elettronici Dap “ponziopilatesto”… 110 mln di euro sprecati Ansa, 17 agosto 2011 È incomprensibile l’atteggiamento “ponziopilatesto” dell’Amministrazione penitenziaria sullo spreco dei braccialetti elettronici per il controllo a distanza dei detenuti. Così il Sappe replica al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, ieri, in una nota, aveva definito sorprendente la richiesta avanzata dal sindacato al ministro della Giustizia di far luce sulla questione dei braccialetti visto che, secondo il Dap, il Guardasigilli ha altre competenze e non quelle di ‘sindacare sulle scelte fatte a suo tempo dal ministero dell’Internò. La nostra richiesta al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di chiarire con il Viminale la querelle dei 400 braccialetti elettronici per il controllo dei detenuti mai entrati in uso è funzionale alla sua dichiarata volontà di intervenire sulla criticità penitenziaria prevedendo la depenalizzazione dei reati minori e un ripensamento della carcerazione preventiva con un maggior ricorso agli arresti domiciliari per le condotte meno gravi. In questo contesto - afferma in una nota il segretario del Sappe Donato Capece, che giudica fallimentare la comunicazione del Dap - riteniamo possa essere utile impiegare anche i 400 braccialetti elettronici (costati allo Stato 110 milioni di euro!) che oggi giacciono abbandonati in qualche ufficio del Viminale. Al Dap - conclude il Sappe - tutto questo, l’avrebbero compreso leggendo il testo integrale del nostro comunicato. Giustizia: l’annuncio di Maroni; introdurre reato di “omicidio stradale”, per chi guida ubriaco Corriere della Sera, 17 agosto 2011 Un decreto, un disegno di legge, ora starà al governo scegliere la forma più adatta. Sul contenuto, però non ci sono dubbi: al prossimo Cdm di settembre, il titolare dell’Interno Roberto Maroni e il Guardasigilli Nitto Palma proporranno di introdurre il reato di “omicidio stradale” per le morti causate da chi guida sotto l’effetto di alcol o droghe. “Bisogna distinguerlo dall’omicidio colposo”, questo è il ragionamento. Chi guida ubriaco non può più avere la stessa responsabilità di chi falcia un pedone perché gli cedono i freni. Insomma: un reato specifico che non consenta più di evitare il carcere. Maroni e Nitto Palma hanno annunciato lunedì la novità citando apposta il caso dell’albanese ubriaco che guidando contromano sull’A26 sabato aveva sterminato una comitiva di francesi. Denunciato per omicidio colposo. Ma libero. Giordano Biserni, presidente dell’associazione sostenitori della Polstrada (Asaps), appoggia convinto l’iniziativa: “Negli ultimi tre anni in Italia sono state oltre 300 le vittime dei pirati della strada, un terzo dei quali ubriachi 0 drogati. Ma quasi nessuno sconta oggi la pena”. n presidente della commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci, si dice pronto già il 31 agosto a chiedere ai colleghi di sottoscrivere all’unanimità la proposta di legge sull’argomento. A Firenze c’è un’associazione intitolata a Lorenzo Guarnieri, un ragazzo di 17 anni che morì travolto in scooter da un uomo di 46, ubriaco e positivo alla cannabis. Anche lì: omicidio colposo. L’uomo fu condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere. “La legge considera questi fatti come omicidi di serie B - accusa Stefano Guarnieri, il padre di Lorenzo. Perciò andiamo avanti con il nostro progetto”. In due mesi, sostenuti dal sindaco di Firenze Matteo Renzi del Pd, hanno raccolto già oltre 30 mila firme per una legge di iniziativa popolare che innalzi la pena fino a 18 anni e preveda anche “l’ergastolo della patente”. “Bravo Maroni!”, ha commentato ieri lo stesso Renzi. Intanto, però, i partiti fanno a gara per accreditarsi la primogenitura: dal senatore della Lega Piergiorgio Stiffoni (“È dal 2006 che mi batto”) ad Antonio Borghesi, deputato dell’Idv (“Maroni calendarizzi la nostra proposta del 2010”), fino al segretario nazionale della Destra Francesco Storace (“Il nostro testo è già disponibile”). Nel centrosinistra si riscontrano pure forti divisioni, il senatore Luigi Li Gotti, Idv, non la pensa per niente come il collega Borghesi: “n reato di omicidio stradale già esiste, articolo 589 terzo comma del codice penale. Pena da 3 a 10 anni per chi guida drogato o ubriaco. Fino a 15 per i casi più gravi. Quindi è solo pelosa propaganda”. Oppure Silvia Velo, deputata Pd, per nulla d’accordo con Renzi: “Maroni e Nitto Palma avrebbero dovuto dare conto dell’azzeramento dei fondi per la sicurezza stradale”. E i magistrati? Il sostituto di Palermo, Pietro Ingroia, boccia l’idea ministeriale: “Intervento stravagante. Inseguendo l’emergenza del momento si inseguono norme-manifesto”. Giustizia: white collar crime e la politica del non ingresso in carcere… chi li rieduca? di Evelina Cataldo www.linkontro.info, 17 agosto 2011 La riforma del sistema penitenziario italiano, avviata con la L. 354/75, prossima al suo quarantennio, sembra essersi attuata parzialmente e con interventi occasionali, sebbene la progettualizzazione pedagogica ne sia divenuta oramai anello portante, rafforzata dalle sempre più numerose adesioni degli utenti ristretti al c.d. patto trattamentale. Gli indirizzi correzionalisti e della retribuzione della pena, integrati pian piano da tendenze di stampo rieducativo hanno riconosciuto il trattamento “individualizzato” come un momento inderogabile di interventi poliedrici, da attuare per l’intero corso della misura detentiva. L’intento progressista del legislatore in tale materia ha previsto pena certa ma contestuale recupero del condannato, rendendo obbligatorie tutte le attività trattamentali (istruzione, lavoro, religione, relazioni familiari, attività culturali ricreative e sportive) e partecipazione della comunità esterna, per il reinserimento sociale dell’utente definitivo. La L. Gozzini, primo motore di apertura alle misure alternative alla detenzione, la L. Simeone-Saraceni, ampliamento ulteriore alla politica di non ingresso in carcere, la L. Smuraglia, incentivo al lavoro e non all’intrattenimento, sono solo alcune delle integrazioni normative finalizzate a evitare gli effetti desocializzanti della pena. Quasi a dispetto dei principi normativi, la situazione odierna del pianeta carcere mostra effetti à rebours, stagnanti e indegni. Ciò si verifica perché il penitenziario viene considerato ancora un universo avulso e parallelo rispetto al contesto sociale. Una “singolare fabbrica delle bestie” che, a tratti, ricorda il romanzo “Animal factory” di Edward Bunker. Gli operatori che lavorano per arginare la criminogenesi e inserire in società un detenuto riabilitato sono in numero inferiore rispetto al reale fabbisogno; il sovraffollamento, il significativo aumento dei suicidi rappresentano solo alcune delle conseguenze più miserevoli rispetto all’indegna condizione del ristretto italiano. Tuttavia, se da un lato, il legislatore ha generalmente previsto una pena riabilitativa, dall’altro, ha reso obbligatoria la sospensione delle normali regole trattamentali per taluni gruppi o singoli detenuti mediante un sistema di carcere duro regolato dall’art.41 bis dell’O.P. Lo Stato, in questo modo, previene i contatti con l’esterno per i ristretti appartenenti ad associazioni criminali, terroristiche o eversive. In un momento storico come questo, dove dilaga la corruzione in ambito politico-parlamentare, la classe dirigente non può esimersi da un intervento volto a rendere giuridicamente rilevante un sistema di regole certe per ostacolare i c.d. “white collar crime”. Se sarà capace di intraprendere un cammino teso alla regolamentazione (con sanzioni penali o pecuniarie), nei riguardi di corrotti e corruttori, politici e imprenditori che per abitudine o per tendenza, sviano gli obiettivi del bene collettivo verso utilità individuali o di partito, allora, forse la comunità civile confiderà nella linea di condotta politica, sentendosi riscattata, perlomeno, da un diritto penale nuovamente portatore dei valori essenziali della società. Lettere: i diritti dei detenuti? sono solo eventuali… di Stefano Anastasia www.linkontro.info, 17 agosto 2011 Chissà se Angelino Alfano, lasciando le stanze di via Arenula al suo successore, gli ha lasciato in evidenza anche la lettera che G.P. ha avuto la cortesia di mandare per conoscenza alla sua magistrata di sorveglianza, ad Antigone e ad A buon diritto. Sarebbe un buon punto di partenza, per il nuovo Ministro della Giustizia. La storia è paradigmatica. G.P. è in carcere da diciotto anni; fine pena mai. È in carcere e decide di dedicarsi agli studi: se non serviranno per un lavoro, torneranno utili per la sopravvivenza alla lunga detenzione. Si diploma, poi si laurea. Prima la triennale (al Dams, a Bologna), poi la specialistica (Discipline teatrali). 110 e lode in entrambi i casi. Studi finiti brillantemente, ma il fine pena non scorre. Così G.P. si iscrive a un’altra specialistica. Gli tocca Pisa, unica sede per proseguire i suoi studi, secondo i suoi interessi. Chiede così di essere trasferito da Parma a Volterra (terra di elezione per i teatranti penitenziari), da cui poter raggiungere più facilmente Pisa per gli esami. Chiede nell’aprile del 2009, sei mesi prima del conseguimento della laurea specialistica a Bologna, sperando di poter avere il trasferimento con il nuovo anno accademico. E invece no, G.P. non va a Volterra, e neanche in un altro istituto toscano. Ma non resta neanche a Parma. Quasi un anno dopo la sua richiesta di trasferimento a Volterra, G.P. viene trasferito a Spoleto, a infoltire la robusta schiera di ergastolani là residenti. Come G.P. temeva, alla prima prova, da Spoleto gli rifiutano la “traduzione” a Pisa per sostenere un esame. Allora chiede di poterlo fare in videoconferenza, ma la prima reazione è per il no: una circolare da se stesso emanata impedisce al Dap di consentire. G.P. torna alla carica, rimotivando l’istanza, e la spunta. Seguono tre esami sostenuti in videoconferenza. Tutto bene quel che finisce bene? Naturalmente no. Sarà stato il volgere dell’anno accademico, certo è che al marzo successivo il Dap torna sui suoi passi: niente videoconferenza per l’esame di “teoriche dell’audiovisivo”. L’art. 44 del Regolamento penitenziario lo dice chiaro: “i detenuti e gli internati che risultano iscritti ai corsi di studio universitari… sono agevolati per il compimento degli studi”. Ma così non è. Fiumi di parole sull’importanza dell’istruzione in carcere si perdono nei mille rivoli della micro-fisica del potere: i diritti dei detenuti sono solo eventuali. Provi a partire da qui, il Ministro Nitto Palma, dal far valere il principio di legalità nelle carceri italiane, ne verrebbe una rivoluzione… Sicilia: Sappe; 7.805 detenuti, in carceri dove c’è posto solo per 5.419 Agi, 17 agosto 2011 “La situazione penitenziaria della Sicilia è semplicemente allarmante. Alla data del 31 luglio scorso erano detenute nei 27 penitenziari della Regione 7.805 a persone a fronte dei 5.419 posti letto regolamentari. Nel corso dell’anno 2010, in Sicilia, ben 130 detenuti hanno tentato il suicidio, riuscendo i nostri bravi agenti di Polizia penitenziaria a salvarli in tempo, 601 hanno compiuto atti di autolesionismo e 284 hanno posto in essere ferimenti. 8 detenuti sono morti suicidi e 9 per cause naturali”. A fare il quadro è Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, secondo il quale “è evidente quanto il sovraffollamento delle strutture detentive siciliane incida in questi eventi critici. E il costante e pesante sovraffollamento fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. Nei prossimi giorni -prosegue Capece - tornerò a sensibilizzare il ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma ed il capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta perché pongano le criticità penitenziarie della Sicilia tra le priorità d’intervento per immediati interventi risolutivi”. Il sindacalista sottolinea ancora che “nel 2010, nelle sovraffollate carceri siciliane, le 101 manifestazioni di protesta hanno visto coinvolti complessivamente 23.824 detenuti e si sono concretizzate in scioperi della fame, rifiuto del vitto dell’Amministrazione e soprattutto nella percussione rumorosa dei cancelli e delle inferriate delle celle (la cosiddetta battitura). In questo contesto, è significativa e grave la carenza di organico di agenti di Polizia penitenziaria, circa 1.000 in meno rispetto alle esigenze delle carceri siciliane”. Friuli Venezia Giulia: 2 mln di € per categorie svantaggiate, più della metà destinato ai detenuti Agi, 17 agosto 2011 Sarà chiuso il 22 settembre il nuovo bando promosso dall’assessorato regionale al Lavoro del Friuli Venezia Giulia e destinato alla formazione dei soggetti appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate. Le risorse finanziarie disponibili ammontano a 2 milioni di euro, di cui 1.126.800 per la fascia dei detenuti e 873.300 per i tossicodipendenti e altri soggetti. “Abbiamo inteso contrastare un oggettivo rischio di discriminazione nel campo lavorativo che riguarda un numero sempre più considerevole di soggetti”, ha spiegato l’assessore regionale al Lavoro Angela Brandi. Fra le attività didattiche individuate dal coordinamento istituzionale condotto dalla Regione, in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, figurano le tecniche di falegnameria, di panificazione e di lavorazione per la tappezzeria offerte dal carcere di Trieste. A Udine trova posto l’insegnamento di elementi di impiantistica elettrica e di tecniche di legatoria, mentre a Pordenone la formazione si concentra sulla cartotecnica, oltre che sulle tecniche di mosaico. Nella struttura penitenziaria di Tolmezzo (Ud), infine, si segnalano le metodologie di allevamento per piccoli animali da cortile. Emilia Romagna: Movimento 5 Stelle; condizioni delle carceri sono indegne, basta proclami Dire, 17 agosto 2011 Un’interrogazione alla Giunta regionale dell’Emilia-Romagna “per capire, concretamente, cosa abbia intenzione di fare per lenire le sofferenze dei detenuti” e per “alleggerire il difficile lavoro delle guardie carcerarie”. È l’iniziativa annunciata da Andrea Defranceschi, capogruppo del Movimento 5 stelle tra i banchi della Regione Emilia-Romagna: quelle all’interno dei penitenziari sono “condizioni indegne di un Paese civile”, afferma il grillino. “Ogni anno si ripete lo stanco rituale della visita ferragostana alle carceri, cui l’anno scorso cedetti anch’io - scrive Defranceschi in una nota - ma di Ferragosto in Ferragosto assistiamo ai soliti proclami e la situazione nelle carceri italiane, ed emiliano-romagnole in particolare, continua a peggiorare”. La situazione “è insostenibile e non fa altro che innescare una spirale di dolore”, aggiunge il consigliere regionale, sottolineando come “la precarietà delle condizioni igieniche e la promiscuità innervosisce i detenuti, cosa che a sua volta mette in difficoltà il personale di controllo in sotto numero”. Per Defranceschi “non è aumentando la capienza delle carceri che si può risolvere il problema”: piuttosto è “necessario ripensare il sistema detentivo e di recupero in una chiave più attiva e meno punitiva”, ma intanto “sul brevissimo periodo ogni metro quadro in più di spazio sarebbe importante”. Dunque “vorremmo sapere cosa intenda fare la Regione, anche in termini di pressione sul Governo di Roma - scrive il consigliere regionale - in tal senso”. Infine, conclude Defranceschi, “apprendiamo che a settembre i fondi destinati alla refezione dei detenuti saranno esauriti. Come faremo fronte all’emergenza-pasti?”. Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; istituire un Dipartimento per la Sanità penitenziaria Dire, 17 agosto 2011 “La situazione di profondo malessere negli istituti Penitenziari dell’isola, con particolare riferimento alle problematiche relative alla Sanità Penitenziaria, richiedono un urgente intervento per definire l’organizzazione del servizio con un apposito Dipartimento”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che sull’argomento ha inviato una lettera aperta al nuovo assessore dell’Igiene, Sanità e Assistenza Sociale Simona De Francisci. “I problemi, in questi ultimi mesi, si sono ulteriormente aggravati e la questione della sanità penitenziaria è divenuta un’emergenza - sottolinea Caligaris - riconosciuta e affermata dai direttori, dagli operatori, medici, infermieri, tecnici ed educatori, e dagli Agenti di Polizia Penitenziaria troppo spesso chiamati a piantonare in ospedale detenuti affetti da gravissime patologie. È particolarmente delicata e insostenibile a Buoncammino dove sono reclusi oltre 200 pazienti tossicodipendenti e quasi altrettanti con malattie del fegato, una cinquantina di sieropositivi all’Hiv, e dove si trovano anche 210 pazienti psichiatrici, alcolisti ecc. Senza dimenticare che nel Cdt (Centro Diagnostico Terapeutico) sono ricoverati detenuti affetti da neoplasie, cardiopatie, ischemie, aneurismi e esiti di infarto al miocardio”. “Il 27 luglio scorso, com’è noto, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato il decreto sulle “Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna in materia di sanità penitenziaria” sancendo - ricorda la presidente di Sdr che ha sollecitato anche un’audizione all’assessore De Francisci - il definitivo passaggio della Sanità Penitenziaria dal Ministero della Giustizia alla Regione Sardegna. È imminente quindi la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ma sono ancora irrisolti diversi aspetti a partire dal fondo da destinare a questo importante capitolo. Nel frattempo, anche in considerazione del momento di particolare difficoltà dovuto al sovraffollamento, sarebbe auspicabile avviare un immediato tavolo di concertazione per delineare un quadro oggettivo dei bisogni e delle necessità e chiarire in che modo la Regione intende disporre l’organigramma e l’organizzazione del servizio. C’è infatti il rischio che ciascuna Asl, come in parte è avvenuto in alcune situazioni, proceda in autonomia creando presupposti successivamente difficili da ricondurre a uniformità”. “I problemi della sanità penitenziaria riguardano complessivamente almeno 2.200 detenuti a cui occorre aggiungere i relativi familiari, gli operatori sanitari (oltre 250 tra Medici, Infermieri e Tecnici) e quelli penitenziari. Un Suo autorevole intervento - conclude Caligaris - è improcrastinabile anche perché il Ministero, come è noto, ha deciso di chiudere la partita entro il 31 dicembre 2011, negando quindi qualunque ulteriore proroga finanziaria”. Sassari: fa uno strano effetto, entrare in carcere a Ferragosto… di Guido Melis (Parlamentare Pd) Sardegna 24, 17 agosto 2011 Sassari, mattina di Ferragosto. Il carcere di San Sebastiano, nella centralissima via Roma, è una mole massiccia nella città distratta, che dopo la Festha Manna si prepara a una serena giornata di mare. Costruito nel 1871, su struttura panottica (un grande corpo sferico attorniato dai bracci, come un immenso polpo di tufo), ha resistito sino ad oggi a tutti i progetti di soppressione. Nel 2000, dopo una ribellione fallita, è stato teatro di violenze inaudite, con pestaggi durissimi dei detenuti sui quali ancora attendiamo sentenze definitive. Dal 2005 è iniziata la faticosa attesa del nuovo edificio nelle campagne di Bancali, 133 mila metri quadrati per 430 detenuti, tra i quali - si dice - un bel gruppo di 41 bis, i condannati speciali per mafia e camorra. Ma di anno in anno la data è slittata, mentre il cantiere (l’appalto l’ha vinto la famigerata ditta Anemone, quella coinvolta negli scandali tangentizi) continua ad essere coperto da un inspiegabile segreto di Stato. Ora si parla del prossimo gennaio, o più probabilmente del giugno del 2012. Vedremo. Fa uno strano effetto, entrare in carcere a Ferragosto. È come se ci si lasciasse alle spalle il mondo e si capitasse in una terza dimensione, nella quale tutto si svolge secondo ritmi e consuetudini del tutto autonome. La matricola di oggi dà 173 presenti, 156 uomini e 17 donne. Di questi “ospiti” 41 sono - a norma di Costituzione - presunti innocenti, perché in attesa di primo giudizio. 27 hanno appellato la prima condanna e attendono quindi il giudizio definitivo. 98 scontano la pena, più o meno lunga. Molti entrano e escono nel giro di pochi giorni (l’effetto “porta girevole”, con burocrazia e spese del tutto inutili). Alcuni usciranno nel 2015, altri dopo il 2020. Passo in rassegna i bracci, guidato da Teresa Mascolo, una direttrice giovane, piena di buon senso e di entusiasmo, che fa con sacrificio quello che può. Mi mostra con orgoglio i piccoli miglioramenti di quest’anno: i frigo nei corridoi per tenere l’acqua in fresco (gli anni scorsi ci si arrangiava vestendo le bottiglie di plastica, a mo’ di custodia termica, con le calze dei detenuti), un muro colorato dipinto da un detenuto dal pennello felice, una cella l’anno scorso infestata dal muschio e oggi intonacata di nuovo (ma l’umidità, implacabile, già vanifica il restauro). Rispetto ai più di 200 detenuti dell’anno passato, i 173 di oggi vivono - certo - meno addossati l’uno sull’altro. Ma le celle, specie quelle di alcuni bracci, restano quel che erano: letti a castello con logori pagliericci, in ambiti angusti, con poca luce e aria, cucinini improvvisati per farsi il caffè a un passo dai gabinetti alla turca separati da niente. Muri antichi, screpolati, disegni, date, nomi di donna incisi chissà da chi e quando. Dentro, un’umanità disperata aggrappata alle sbarre. I musulmani (tunisini, senegalesi, qualcuno del Sudan) sono in Ramadan. Coricati sulle brande aspettano inerti che venga il tramonto, per mangiare il pasto quotidiano. Molti i casi particolari. C’è chi non vuole stare col compagno di stanza (“perché si taglia continuamente”, dice), chi denuncia crisi di epilessia che forse (così mi diranno alla guardia medica) sono provocate ad arte; e chi mi chiede ansiosamente dell’amnistia (la propaganda radicale sta suscitando enormi speranze: probabilmente destinate ad andare deluse), o chi vuol sapere ciò che farà il nuovo ministro della Giustizia, se ci sarà finalmente un cambiamento. Un ragazzo giovanissimo, alle prese con una pena lunga, ha appena perduto il beneficio della semilibertà, giudicato colpevole (a ragione) di aver violato alcune delle severe clausole che governano questi brevi intermezzi nel mondo di fuori. Ora mi parla della sua speranza in un perdono, della ragazza che lo attende, della sua voglia di ricominciare da capo. Ce la farà? Come nei giochi dei bambini, qui se sbagli casella torni a zero, e la china da risalire sarà più dura di prima. Mi dicono i responsabili che nei primi sette mesi del 2011 i detenuti che hanno fatto ricorso alla guardia medica (il pronto intervento, dunque) sono stati 4260: una cifra che la giovane dottoressa con la quale parlo considera fisiologica, ma a che a me produce una grande impressione. Ovunque nelle celle vedo medicine, dappertutto c’è gente che si lamenta. Dice don Gianni, il cappellano che assiste tutti, cattolici e musulmani, e a tutti regala le sigarette: “È un mondo difficilissimo, un’umanità varia, ognuno ha la sua storia, ognuno pensa, dentro di sé, di avere subito un’ingiustizia”. “Sono dentro per un furto che non era un furto - mi dice uno dei tanti coi quali parlo - e per una rapina che non era una rapina”. Chissà cos’erano, quei reati maledetti. E chissà se il carcere servirà - come prescrive la Costituzione - a redimere il reo, o solo a tormentarlo con sproporzionate punizioni. Già, perché qui a San Sebastiano non c’è solo la pena da scontare. C’è la tortura supplementare del caldo d’estate e del freddo d’inverno (è capitato che la ditta fornitrice del gasolio, non pagata puntualmente, abbia sospeso la fornitura: ed era gennaio). Ci sono gli insetti (formiche, scarafaggi, zanzare, mosche). C’è l’ora d’aria in un cortiletto asfittico, solo ora - grazie alla dottoressa Mascolo - un po’ riparato dal sole e dalla pioggia. C’è la notte che non passa mai, con le urla di chi soffre e va fuori di testa: il 50% dei detenuti sono tossicodipendenti, molti dovrebbero essere curati fuori. Sul carcere-lager ho presentato un anno fa una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica di Sassari, rimasta senza risposta. Il mondo di fuori ha altro a cui pensare. Tutto questo affidato a 160 poliziotti, 24 in malattia, 10 a riposo. Parlo con alcuni di loro: turni massacranti, un organico in deficit cronico, un lavoro stressante, esposto a rischi continui. “Se andremo a Bancali - mi dicono - ci vorrà il triplo del personale, e non solo agenti ma educatori, psicologi, assistenti”. Già, Bancali. La grande speranza. Se finalmente aprirà, dovrà essere un carcere moderno. Non più lo scempio di San Sebastiano. Rimini: Sindaco e Vice in visita al carcere; prepariamo il reinserimento attraverso piani di zona Dire, 17 agosto 2011 Non lasciare soli i detenuti ma anche soprattutto chi in prigione passa ogni suo giorno per lavoro: è stato questo l’obiettivo della visita in mattinata del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, e della sua vice con delega alle Politiche sociali, Gloria Lisi, al carcere della città. L’incontro ha avuto la duplice funzione di “occasione di conoscenza tra la direzione e la nuova amministrazione comunale - spiega una nota di Palazzo Garampi - e di confronto sulle problematiche della casa circondariale nella prospettiva di future iniziative comuni di collaborazione”. Lisi, che assicura si tratti “solo del primo incontro di una serie”, indica i progetti del Comune per il penitenziario, che al momento ospita 210 carcerati, di cui il 61% stranieri: “Già siamo impegnati attraverso i Piani di zona a sostenere e sviluppare tutti quei percorsi che consentiranno ai detenuti di oggi di essere reinseriti positivamente nel proprio contesto sociale - spiega la numero due di Gnassi - è quindi necessario che la realtà della casa circondariale sia vissuta con consapevolezza dalla cittadinanza e nel contempo far sì che la popolazione non si senta abbandonata dalla collettività”. Dal vicesindaco arriva anche un ringraziamento alla direttrice del carcere, Maria Benassi, al comandante della Polizia penitenziaria, Fernando Piccini, e al responsabile dell’area educativa, Vincenzo Di Pardo. “Le cose che oggi abbiamo potuto vedere e toccare in prima persona ci hanno mostrato quanto attaccamento, intelligenza e impegno - conclude Lisi - il personale e la direzione della casa circondariale metta nel cercare di migliorare le condizioni presenti e future di chi vive in una situazione di sofferenza, pur tra le immani difficoltà d’ogni tipo in cui operano quotidianamente”. Ancona: Cisl; detenuti sono più del doppio della capienza, con appena 130 agenti penitenziari Il Resto del Carlino, 17 agosto 2011 La questione del sovraffollamento nel carcere di Montacuto continua a tenere banco. Ad alimentare la polemica è la Cisl di Ancona, seconda cui la situazione “è ancora più grave” rispetto ai dati nazionali che stimano una popolazione carceraria di 67mila persone rispetto ai 45mila posti disponibili. Secondo il segretario generale della Cisl Paolo Santini sono “più del doppio della capienza prevista i reclusi a Montacuto. Ad oggi - spiega - sono circa 420 i detenuti (il circa é dovuto alle entrate giornaliere) contro i 172 previsti dal regolamento carcerario. A questi si contrappongono appena 130 agenti penitenziari in servizio che sono quasi la metà di quelli previsti dall’organico del ministero (203)”. “Se pensiamo che i 130 hanno anche diritto alle ferie, che qualcuno potrebbe ammalarsi o usufruire di permessi vari - sottolinea l’esponente della Cisl, ci rendiamo conto che la situazione di Montacuto rischia ogni giorno di più di diventare esplosiva. Spesso i pochi agenti in servizio presso il carcere sono chiamati a svolgere turni di nove ore; per carenza di personale il turno notturno è coperto da circa quattro o cinque agenti, troppo pochi per garantire un livello accettabile di sicurezza”. La Cisl non intende entrare nel merito della discussione sulla depenalizzazione di alcuni reati o sull’amnistia, “riteniamo però urgente e non più procrastinabile un intervento da parte delle istituzioni competenti, al fine di riportare ad un livello accettabile il personale in servizio presso il carcere di Montacuto e di evitare, per quanto possibile, il sovraffollamento del carcere che oramai supera il 150% delle disponibilità”. Trapani: reportage dal carcere di Marsala… ecco com’è la situazione http://a.marsala.it, 17 agosto 2011 Il grosso cancello si apre. Ci aspettavamo di peggio, all’interno di quella che fu una vecchia fortezza di età borbonica. Il carcere di Marsala, a pochi passi dal centro storico, ospita una cinquantina di detenuti. Un leggero sovraffollamento. Ma è un problema nazionale, quello dell’esubero. Ce lo spiegano il Dirigente della Casa circondariale, Dott. Paolo Malato, e il Comandante del Reparto Polizia Penitenziaria, Carmelo Arena. “La popolazione è superiore rispetto al limite previsto dal Ministero della giustizia. Però rientra nei parametri di vivibilità. Un sovraffollamento del 30% come a Marsala, purtroppo, è standard per tutti gli istituti penitenziari italiani”. Se guardiamo alle carceri in provincia di Trapani la situazione è più grave. Gli istituti penitenziari di Trapani e Castelvetrano, ad esempio, sforano il 100% di detenuti in più. “Infatti può succedere che ci sia una sinergia e che dagli altri istituti, in situazione più critica per sovraffollamento, vengano trasferiti alcuni detenuti a marsala per sfoltire il sovraffollamento.” Sono valutazioni che fa il provveditorato regionale degli istituti penitenziari. Semplicemente ci atteniamo alle direttive”. Il numero dei detenuti a Marsala? “Varia, perché essendo una casa circondariale il numero di ingressi e scarcerazioni sono frequenti. Al momento ne abbiamo 51, contro una capienza regolare che dovrebbe essere di 35. Qui sono detenute persone in attesa di pena definitiva. Non è una casa di reclusione anche se ci sono comunque definitivi a cui rimane poco da scontare”. Il comandante Arena è giovane e preparato. Ha 32 anni e da due mesi dirige il settore di Polizia Penitenziaria al carcere marsalese. Con soddisfazione ci dice che la situazione, in quanto a vivibilità, è molto tranquilla. Ci sono casi che comunque sono oggetto di particolari attenzioni delle varie aree di sicurezza, rieducativa e sanitaria. “Abbiamo degli ottimi segnali, però, grazie al lavoro della direzione per coordinare la collaborazione delle aree. Ogni detenuto è comunque soggetto a particolari attenzioni da parte del personale”. E queste attenzioni nei giorni scorsi hanno evitato a Saiful Islam, il bengalese che ha sgozzato Ludovico Corrao, di portare a termine il suo tentativo di suicidio. È stato un caso però. Arena e Malato ci dicono che sono molto rari gli atti di autolesionismo e di suicidi o tentati suicidi. “Il contesto dal punto di vista lavorativo è ottimo, c’è sicuramente di peggio. Si cerca di prevenire i rischi per eventuali disagi. Anche perché a catena si possono sviluppare malumori anche nelle diverse aree, quindi l’attenzione è sempre alta”. Il ruolo delle case di reclusione: non è solo punire chi ha violato la legge, anzi si mira soprattutto alla rieducazione. A Marsala però non ci sono molti detenuti che lavorano. “Non dipende né dalla direzione - ci dice il comandante Arena - né dalla polizia penitenziaria. Dipende dai fondi del ministero. Le pene alternative però vengono incentivate, sempre in base ai limiti della legge. Il recente provvedimento “svuotacarceri” in base alle statistiche ha una utilità, anche se marginale in quanto non coinvolge i cittadini stranieri senza fissa dimora, che sono la maggioranza in Italia”. E a Marsala circa il 50% dei detenuti sono extracomunitari: scafisti o spacciatori di stupefacenti. Tra i detenuti la convivenza è normale, ovviamente, ogni tanto ci scappa la lite, ma niente di drammatico per fortuna. Ed evasioni? “Ci sono poche fughe. Le caratteristiche dell’istituto non permettono un’evasione facile. Qualche anno fa succedeva che qualcuno tentava di fuggire ma le misure di sicurezza poi sono state rafforzate”. Fu eclatante, infatti, quella fuga in cui il detenuto scese dall’antenna. “Successe nel 1999 e fu il penultimo”. E l’ultimo? “Tale Gaudino. Ripreso a Piacenza. È successo nel 2001”. Da Gaudino ad oggi non ci sono state più evasioni. “Comunque rispetto all’istituto di Trapani la situazione è migliore. Lì è più grande con problematiche anche amplificate”. L’anno scorso ci fu un’estate calda a Trapani perché molti agenti penitenziari hanno avuto problemi, sono stati anche aggrediti da alcuni detenuti. “La professionalità degli operatori penitenziari è molto alta”. Tra l’altro il lavoro di agente penitenziario è molto stressante. Molti, infatti, chiedono di andare in malattia per causa di servizio. “Il lavoro nelle sezioni è molto impegnativo. Infatti, con accordi regionali, sono previste delle rotazioni degli agenti”. E con i detenuti, un agente penitenziario come deve comportarsi? “Bisogna dimostrare il pugno duro però sempre nel rispetto della legge e dei loro diritti. Per quanto riguarda il personale, l’argomento è scottante. “Come in tutta Italia ci sono carenze anche nel nostro istituto. Naturalmente degli agenti in più farebbero comodo, però non dipende da noi ma dal ministero. Ovviamente se abbiamo delle richieste chiediamo all’ufficio superiore”. Napoli: agente rubava ai detenuti di Poggioreale, finisce nel carcere di Santa M. Capua Vetere www.caserta24ore.it, 17 agosto 2011 Un assistente della Polizia Penitenziaria è stato tratto in arresto perché colto in flagranza di reato di reato di peculato. L’uomo approfittando della sua qualità e del suo ruolo, attraverso ingegnosi espedienti, riusciva a sottrarre ai detenuti oggetti preziosi depositati presso il “casellario” ove vengono custoditi gli oggetti appartenenti ai detenuti che non possono rimanere per normativa nella loro disponibilità. A seguito di un’articolata attività investigativa che ha comportato l’utilizzo di video di sorveglianza per un continuo monitoraggio dei luoghi, si è riusciti a scoprire l’attività e le vittime dei furti il cui numero, secondo i primi accertamenti non sembra apparire esiguo. Bologna: vuole tornare in Tunisia… finisce in carcere per evasione dai domiciliari Adnkronos, 17 agosto 2011 Voleva tornarsene nel suo Paese. Un tragitto inverso a quello di tanti suoi connazionali che da mesi sbarcano in Italia. Ma il tunisino che l’altro giorno si è presentato all’aeroporto Marconi di Bologna in Tunisia per il momento non tornerà. È stato infatti arrestato e ora sta scontando una pena di 8 mesi nel carcere bolognese della Dozza. L’uomo è stato fermato al banco check-in dove stava espletando le formalità di imbarco su un volo diretto a Djerba. Con sé aveva un documento rilasciato dal consolato tunisino di Milano ma non il permesso di soggiorno. A quel punto è intervenuta la polizia di frontiera che ha svolto degli accertamenti sul conto del maghrebino. È così emerso che con un altro nome è clandestino e già noto alle forze dell’ordine per reati di droga. E soprattutto era sottoposto a un provvedimento agli arresti domiciliari del Tribunale di sorveglianza di Nuoro che scade nel gennaio 2012. È stato così arrestato per evasione e condannato a 8 mesi per direttissima.