Giustizia: emergenza carceri, si può far breccia nel muro di gomma di Valter Vecellio (Direzione Nazionale Radicali Italiani) L’Unità, 16 agosto 2011 Sì, qualcuno sorriderà e cercherà di liquidare la giornata di sciopero della fame di domani, lanciata per chiedere che le Camere si riuniscano in via straordinaria e dibattano la questione della giustizia e lo stato delle carceri, come un “fioretto”. Eh già: cosa volete che sia se uno, dieci, cento persone per un giorno rinunciano al cibo e all’acqua? A cosa volete che serva? Però accade che da qualche anno nelle carceri italiane - nonostante la gravissima situazione in cui versano - i detenuti non si abbandonino più a manifestazioni violente come un tempo. Ora accade che i detenuti attuino scioperi della fame e diano corpo a proteste nonviolente. E in questa lotta sono affiancati dall’intera comunità penitenziaria, agenti di custodia, operatori, volontari, le famiglie... L’opzione nonviolenta non è uno straordinario progresso che va valorizzato e non - come troppe volte accade - mortificato? “Immagina”, cantava John Lennon, una delle sue canzoni più belle. Immagina allora che ci sia un grande movimento nonviolento che ponga all’attenzione dell’agenda politica questo tema, imponga questa questione. Immagina che ci sia, questo dibattito parlamentare; e immagina che la Tv - servizio pubblico - trasmetta la seduta. Immagina che per una volta le trasmissioni di approfondimento politico non chiudano per ferie, e al posto di un “Da-da-da...” vada per una volta in onda una trasmissione dove Enrico Sbriglia, segretario dell’associazione dei direttori penitenziari, Eugenio Sarno, segretario della Uil Penitenziaria, il presidente dell’Unione delle Camere Penali Spigarelli, il magistrato Livio Pepino direttore del mensile Narcomafie e altri ancora, possano far sapere finalmente quello che chiedono, quello che ritengono sia necessario fare. Immagina che Marco Pannella possa rivolgersi dalla Tv ai detenuti, e indirizzare per esempio un appello perché non si abbattano, quale che sia la situazione nella quale si trovano a vivere, e non cedano alla tentazione di farla finita, perché sarebbe, appunto, la fine... Immagina la deputata radicale Rita Bernardini; il presidente di A buon diritto Luigi Manconi; la presidente di Ristretti Orizzonti Ornella Favero; il presidente di Antigone Patrizio Gonnella e altri ancora possano spiegare le ragioni per cui hanno deciso di promuovere la giornata di digiuno della fame e della sete collettivo, in concorso e d’intesa con direttori di carceri, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, infermieri, personale amministrativo, volontari, cappellani, detenuti e le loro famiglie; e assieme a centinaia, migliaia di “semplici” cittadini democratici che credono nei valori della Costituzione e nello Stato di Diritto. Immagina un telegiornale che apra con le parole del Presidente, a proposito delle finalità costituzionali della pena: “È evidente in generale è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile.. . e dalla quale non si può distogliere lo sguardo...”. Ecco, immagina tutto questo: solo un fioretto? Giustizia: Parlamentari, non dimenticate che in carcere è emergenza tutto l’anno di Simona Bonfante www.libertiamo.it, 16 agosto 2011 Strabiliante l’interesse riservato questo Ferragosto dagli italici organi di informazione all’emergenza umano-costituzionale denunciata ogni giorno del resto dell’anno, ma nel silenzio più fitto, da Marco Pannella, la deputata radicale Rita Bernardini, qualche migliaio di secondini, avvocati, direttori di istituti penitenziari, associazioni, ed una manciata di poche altre voci mediaticamente udibili. L’inusitata attenzione rivolta ieri a quella che, appena un paio di settimane orsono, il Presidente della Repubblica aveva definito una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, si deve alle adesioni vip giunte all’iniziativa non violenta promossa da Radicali & co per chiedere, attraverso una giornata (la vigilia di Ferragosto) di sciopero della fame e della sete, la convocazione straordinaria del Parlamento per discutere, appunto, di quell’emergenza costituzionale e civile. Alla non violenta, ma non per questo meno sofferta, mobilitazione, si è unita una nutrita pattuglia di parlamentari, ed è questo, forse, ad aver destato i cani da guardia della democrazia, altrimenti così indifferenti al tema. Tra i vip, il deputato recentemente divenuto ospite di Poggioreale, Alfonso Papa. Da detenuto, l’esponente pidiellino ha dovuto suo malgrado tastare con mano le conseguenze delle leggi securitario-liberticide approvate con intramontata soddisfazione dalla maggioranza politica di cui è stato (e formalmente continua ad essere) parte. La pena - recita la Carta - ha una funzione rieducativa. Quella funzione è ampiamente tradita. Il Parlamento ne ha la responsabilità: che aspetta ad agire? Il neo-insediatosi Ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, è stato ieri insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, in visita al carcere romano di Regina Coeli. Un’iniziativa senza precedenti. Il Ministro, già magistrato, una sua razionale sensibilità al tema ce l’ha: ne coglie l’urgenza sistemica e la non ignorabile strategicità politica. La (in)Giustizia italiana, ovviamente, non è solo i suoi centri di tortura che ci ostiniamo ad appellare “carceri”. La (in)Giustizia italiana sono i troppi reati, i troppi non-reati puniti con la detenzione, la funzione costituzionalmente vincolante nella comminazione della pena, ovvero la rieducazione, completamente ignorata. Non è di poco rilievo quindi che in pochi giorni il ministro abbia fatto quello che il predecessore - ed alcun altro nel Pdl - ha mai avuto la libertà, l’imparzialità e la coerenza neanche solo di ipotizzare: un’agenda giustizia non Berlusconi-centrica. Depenalizzazione, restrizione della carcerazione preventiva, pene alternative: queste - dice il Ministro - sono le direttrici. L’amnistia, no. Mentre invece è proprio quella che propongono i Radicali per sanare l’emergenza, in attesa che le catastrofiche cause che l’hanno prodotta vengano, coi tempi della politica, affrontate e - si spera - rimosse. La parola amnistia spaventa. Mica solo Nitto Palma, però: spaventa quelli della maggioranza di ora e quelli della maggioranza di allora - che ora stanno all’opposizione - ché non c’è forza politica che non abbia avallato questa o quella populistica iniziativa liberticida, nel trascorso ventennio politico-mediatico. Questo Ferragosto i deputati hanno mostrato interesse per persone finite in quell’inferno chiamato “dentro”, per la trasgressione di leggi da loro medesimi volute. Il Presidente Casini, tra costoro. Ed il Presidente Fini? Il nome dell’allora leader di An marchia due provvedimenti di legge ai quali si deve l’oggettiva responsabilità del devastante affollamento delle carceri italiane: la Bossi-Fini, che punisce con la detenzione il clandestino, e la Fini-Giovanardi, che assimila il possessore di droga al criminale meritevole di detenzione. Due leggi dalle conseguenze irrazionalmente nocive - per il sistema penitenziario, per il rapporto costi-benefici, per la sostanzialmente nulla capacità deterrente. L’altra perla del Diritto che ha favorito l’esplosione della popolazione detenuta è - lo aggiungiamo per completezza di informazione - la ex Cirielli, che inasprisce le pene per i recidivi. Insieme, questi campioni di securitarismo medievale contribuiscono a drammaticamente stravolgere la funzione detentiva, negandone in concreto la possibilità risanatrice. Il Ministro Palma potrebbe non avere la forza politica necessaria per settare il vasto programma di ri-costituzionalizzazione del sistema giustizia italiano. Presidente Fini, perché non la porge lei una mano al volenteroso ma troppo solitario Ministro? Lei che quelle leggi le ha scritte è il più titolato di tutti a sollecitarne la revisione. Non sarebbe un favore gratis ad una maggioranza incapace di seguire una linea coerente in materia giudiziaria, ma un atto dovuto alla Repubblica la cui Costituzione - che ha giurato di onorare - risulta invece quanto mai vergognosamente tradita. Giustizia: amnistia e depenalizzazione, per aiutare il bilancio economico dissestato di Simone Sapienza Notizie Radicali, 16 agosto 2011 Per l’Italia non c’è altra scelta possibile che l’immediato risanamento dei conti pubblici. I settori su cui si deve intervenire, con misure strutturali dolorose ma necessarie che consentano insieme di azzerare il deficit e di evitare la stagnazione, sono noti alla classe politica e ripetutamente indicati dagli organismi internazionali e dalla Banca d’Italia. Se si vuole liberare le energie imprenditoriali e rianimare la voglia degli italiani di scommettere sul proprio futuro bisogna avere solo il coraggio per una volta di decidere e farlo presto. Ciò che invece ci si ostina ad ignorare è il peso del dissesto della giustizia sulla crisi economica e finanziaria italiana. Se si escludono i richiami di Draghi, la questione viene liquidata come una mania di Pannella e dei radicali. Invece la sfiducia nel rispetto delle regole scoraggia gli investimenti, aumenta i costi di transazione, riduce l’efficienza dei mercati che, per funzionare, finiscono per fare affidamento soprattutto su legami sociali preesistenti, invece che sulla fiducia nel reciproco rispetto delle regole. Questo spiega la diffidenza nei confronti dei canali alternativi a quello bancario, che si fondano su relazioni indirette, mediate e impersonali. I tribunali vengono utilizzati per resistere alla giustizia piuttosto che per ottenerla, rimanendo soffocati da un numero anomalo di controversie e che coinvolgono 1/3 dei cittadini italiani. Confindustria ha misurato i costi che questa situazione riversa sul sistema economico: se nella provincia di Bari la giustizia civile avesse la medesima efficienza che si riscontra nella provincia di Torino (-60% di durata dei procedimenti), la sua crescita economica nel periodo 2000-2007 sarebbe stata più elevata del 2,4%. Per l’Italia una riduzione del 10% della lunghezza dei processi aggiungerebbe lo 0,8% al Pil. Anche secondo stime della Banca d’Italia, citate dal Governatore Draghi, la perdita annua di Pil attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale. L’unica misura strutturale che abbiamo sul tavolo al momento, con conseguenze immediate per affrontare la crisi, è la proposta di Amnistia. L’ultima fu nel 1990. Pannella sostiene che è la premessa necessaria non solo del riordino della macchina giudiziaria ma anche di ogni ipotesi di riforma della giustizia. Non c’è oggi altro plausibile provvedimento capace di portare immediatamente a 1 milione i processi penali dai 4 milioni e mezzo pendenti. Non inciderebbe in modo diretto sulla giustizia civile ma potrebbe avere un effetto indiretto: si potrebbe liberare infatti una quota significativa delle spese e dei magistrati oggi impegnati nell’arretrato penale per occuparsi del settore civile. È un problema di volontà politica oltre che di organizzazione degli uffici. Dipende dal governo ma anche dalla volontà e dalle scelte del Consiglio Superiore della Magistratura. E naturalmente non ci si dovrebbe accontentare di questo. Come per il penale anche per il processo civile, bisognerebbe innestare, a partire dall’amnistia e da questi provvedimenti amministrativi, le riforme necessarie per accelerare e sfoltire i procedimenti, visto che la riforma fatta da Alfano si è dimostrata largamente insoddisfacente. Contestualmente all’amnistia dovrebbe essere affrontata dalle commissioni Giustizia una sere ormai conclamata (dallo stesso ministro Nitto Palma) di depenalizzazioni. E anche su questo si possono trovare numerose motivazioni economiche anticrisi. Secondo gli ultimi calcoli in Italia i fumatori di marijuana, alimentano ogni anno un mercato nero da 22 miliardi, euro più euro meno. In Francia l’economista e docente della Sorbona Pierre Kopp sostiene in un rapporto pubblicato questi giorni, che la legalizzazione porterebbe nelle casse nazionali, un miliardo di euro di sole imposte. “Si potrebbero risparmiare 300 milioni di euro di spese per le incriminazioni”, ha spiegato, “e anche di più se si aggiungono le spese dovute ai fermi di polizia, al funzionamento dei tribunali e all’esecuzione delle pene”. Lo studio francese segue un altro del Cato Institute curato da Jeffrey A. Miron, professore alla Harvard University, sui costi del proibizionismo e il risparmio di cui si avvantaggerebbe la spesa pubblica americana grazie alla legalizzazione delle droghe: 41,3 miliardi di dollari su polizia, giustizia e carceri. Ma un altro genere di depenalizzazioni di cui si parla ormai con una particolare trasversalità tra le forze politiche sono quelle attuabili con provvedimenti sull’immigrazione più attenti ai fattori di crescita economica e sociale. Basta fare due conti. Complessivamente sono attribuibili ai cittadini stranieri (per lo più giovani) circa 7,5 miliardi l’anno di spesa sociale. Nel contempo, le entrate dello stato riconducibili alla presenza dei cittadini stranieri sono approssimabili per difetto a circa 10 miliardi l’anno senza considerare quelle derivanti dal rilascio e dal rinnovo del permesso di soggiorno, dalle pratiche sulla cittadinanza e dalle regolarizzazioni. Solo per dare un’idea, la regolazione avviata nel settembre 2009 nel settore della collaborazione domestica e dell’assistenza familiare, grazie alle 294.274 domande presentate, ha fatto entrare nelle casse dello stato circa 353 milioni di euro. Con la crisi sono diventate ancora più ingiustificabili le resistenze opposte dal Governo italiano alle direttive europee sul lavoro nero, che anziché favorire la regolarizzazione del lavoro straniero, colpendo chi lucra sullo sfruttamento, favoriscono non solo la permanenza ma anche il ritorno all’irregolarità del soggiorno e del lavoro. Oltre a ledere i diritti dei lavoratori, tale strategia priva infatti lo Stato dell’apporto contributivo che verrebbe assicurato dall’estensione dei rapporti di lavoro regolare. La convocazione straordinaria delle Camere prima del rientro di Settembre può servire anche a questo. Giustizia: Pannella e la democrazia di un Paese le cui prigioni sono invivibili Terra, 16 agosto 2011 Aveva già prolungato lo sciopero della fame a 90 giorni, sospendendolo soltanto dopo le parole di comprensione venute dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a fine luglio. Oggi Marco Pannella guida un’altra mobilitazione non violenta, che ha raggiunto la quota delle mille adesioni. Un’astensione da acqua e cibo di 24 ore che lui stesso definisce “straordinaria” e che, alla vigilia di Ferragosto, punta a richiamare nuovamente l’attenzione sulle disumane condizioni di vita nei penitenziari italiani. Fino a chiedere che il Parlamento si riunisca in seduta straordinaria per affrontare il tema della giustizia e delle carceri. Ferragosto rappresenta per molti politici l’occasione di visitare le carceri. Come spiega l’ampia adesione a questo sciopero della fame e della sete, ben più impegnativo della periodica passerella? Proprio oggi (venerdì, ndr) si sono uniti anche molti parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione. Se su questo, però, avessimo avuto l’attenzione dei media audiovisivi che avesse fatto sapere di questa manifestazione di lotta, decine di migliaia di persone si sarebbero associate e questo sciopero sarebbe stato un evento storico. È stato dimostrato già nei mesi precedenti, durante i quali in 30mila hanno partecipato alla manifestazione non violenta. In nessun altro Paese accadrebbe una cosa simile. Ma si è persa un’opportunità, non abbiamo avuto il meritato spazio nel mondo dell’informazione, che preferisce essere necrofila e disanimata. Una stampa antidemocratica e di bassissimo livello. Lei dunque è convinto che l’opinione pubblica sia capace di una grande partecipazione attorno al tema carcere e giustizia? La gente è interessata molto di più a questo che a tutte le affermazioni che possono venire dal governo. Il problema della giustizia, come anche la Gran Bretagna sta dimostrando, è il più sentito in tutta l’area euro-mediterranea. Quello che ha mosso i popoli nordafricani oppressi dai totalitarismi avveniva in nome della democrazia, della libertà e della giustizia, appunto. Questo è scritto nel Dna della gente comune. In più in Italia, dopo cinquant’anni di lotte radicali, non violente, fatte di pratica delle istituzioni, abbiamo spinto e animato affinché non si debba aspettare molto ormai perché avvenga anche qui la transizione anti-regime. Ha parlato anche di questo nel suo recente incontro con il neo Guardasigilli Nitto Palma? Abbiamo potuto constatare che il nuovo ministro nutre la consapevolezza di volerci conoscere meglio. Non c’era una trattativa in ballo, è stato un incontro interlocutorio in cui si sono approfonditi i punti di vista con la calma necessaria. I nostri, evidentemente, sono ben più conosciuti e il ministro fa parte di una coalizione di governo che sui temi della giustizia ha una sua posizione. Ricordo che il suo predecessore all’inizio utilizzava un linguaggio audace, anche concorrente alle indicazioni dominanti, dopodiché onestamente non ha saputo fare nulla. Lei anche in quella sede ha rilanciato l’ipotesi di un’amnistia. Perché i Radicali insistono su questo provvedimento? Per una semplicissima verità: nove milioni di processi arretrati, la metà soltanto sul penale, sono uno spreco di risorse. Noto che in dottrina e nella recente giurisdizione europea si chiarisce che se tra l’evento eventualmente individuato come illecito penale e il giudizio di un tribunale intercorre troppo tempo è impossibile che quel giudizio sia serio e ragionevole. Il principio di compattezza tra evento giudiziario ed evento storico impone un provvedimento come l’amnistia che produce immediatamente effetti strutturali sul sistema. Avremmo così un milione e mezzo di processi in corso. E liberando le risorse finanziarie umane e scientifiche si potrebbe garantire un salto di qualità. Negli ultimi dieci anni, invece, abbiamo assistito a una poderosa amnistia di fatto, rappresentata dalle innumerevoli prescrizioni. Per migliorare la vivibilità delle carceri basterebbero anche piccole ma incisive misure. Da dove partire? Lo ripetiamo da trent’anni che bisogna depenalizzare e rimuovere quelle tristi parodie che sono state le leggi della Seconda Repubblica. La Bossi-Fini, la Fi-ni-Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sono responsabili della maggioranza degli ingressi in carcere. L’abuso della carcerazione preventiva è uno strumento perverso per cui, alla scadenza del periodo, metà dei detenuti vengono proclamati innocenti. A peggiorare la vita in prigione incide il sovraffollamento, il disporre di due metri di spazio a testa invece che sette, l’assenza di luoghi per la socialità, lo studio, le attività lavorative. Il 40 per cento dei detenuti si trova in un carcere che è lontano dal territorio di appartenenza, complicando la possibilità di ricevere visite. L’attuazione di leggi, come la Gozzini sulle misure alternative, è impedita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie. Tutto questo fa del carcere un luogo invivibile e rafforza la mia convinzione che, ormai da decenni, in questo Paese la democrazia non sia in pericolo, ma sia stata sepolta. Giustizia: cappellano Rebibbia; detenuti entrano in prigione poveri ed escono miserabili di Mariagrazia Gerina L’Unità, 16 agosto 2011 Don Sandro Spriano tra poco compirà settant’anni. E da venti è cappellano nel carcere romano di Rebibbia. Anche lui ha aderito al digiuno radicale. E l’urgenza la spiega così: “Se una persona ha fame, gli dai un panino. Oggi nelle carceri non ci sono i soldi per cambiare una lampadina”. Perché ha digiunato? “Perché sono ventidue anni che lavoro in carcere, la mia vita è con quella dei detenuti e i detenuti in questo paese stanno veramente male. Aspettiamo sempre che l’estate scoppi chissà quale miracolo o rivolta...”. E invece? “E invece mi fa sorridere il nuovo ministro della giustizia che dice che bisogna depenalizzare. Sono d’accordo anche io. Solo che sono vent’anni che si fanno commissioni per modificare il codice penale e non succede mai nulla. Perché non c’è la volontà politica e sociale di farle qualcosa per migliorare la condizione dei detenuti”. Pensa che servirà a qualcosa la visita del ministro a Regina Coeli? “In una visita non ci si può certo rendere conto di quali siano le condizioni di vita dei carcerati”. Ce lo racconta lei come vivono i detenuti italiani? “Vivono almeno in sei in una cella con tre letti a castello, che impediscono anche di aprire la finestra, costretti a stare stesi sul letto per almeno venti ore al giorno, se va bene. Ma l’estate molti rinunciano alle due ore pomeridiane, previste dall’una alle tre, quando fa troppo caldo. Certo, nel nostro carcere i detenuti hanno la possibilità di riempire un po’ il tempo vuoto. Ma è una occasione che vale per 300 detenuti su 1.700”. E gli altri? “Vivono in cella da forzati a letto. Una condizione che ti ammazza. Io non ci starei nemmeno un giorno. A volte mi meraviglio della loro rassegnazione. Non amo le rivolte, ma la rassegnazione che vedo in loro è anche peggio. L’80% dei detenuti sono in carcere per piccoli reati legati alla loro condizione sociale, di povertà e di emarginazione. La maggior parte sono tossicodipendenti oppure immigrati. Entrano in carcere poveri, ne escono miserabili e pieni di rabbia per quello che hanno subito”. E la funzione riabilitativa? “Tutto si punisce con il carcere, ma detto francamente, dal mio osservatorio, oggi il carcere non serve a niente. Ed è utilizzato solo come un cassonetto”. Come se ne esce? “Di fronte a problemi di questa gravità e di questa urgenza, hanno ragione i radicali, l’unica risposta è l’amnistia. Quando una persona ha fame gli dai un panino. Nelle carceri non ci sono neppure i soldi per cambiare la lampadina”. E le misure adombrate dal ministro? “Il ministro ha fatto riferimento al provvedimento che consentiva ai detenuti di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari. Ma a Rebibbia su 1.700 detenuti ne sono usciti appena 35. L’amnistia fa paura. Si preferisce lo slogan: più carcere, più sicurezza. Ma la verità è che questo carcere non garantisce nessuna sicurezza”. Giustizia: Sappe; 110 milioni di euro pagati per 400 braccialetti elettronici mai utilizzati Comunicato stampa, 16 agosto 2011 “Le carceri sono ogni giorno sempre più invivibili, per chi ci lavora e per chi sconta una pena. L’allarmante situazione delle carceri italiane, con l’anomala ma considerevole percentuale di soggetti imputati e quindi in attesa di un giudizio definitivo (oltre il 41% dei circa 67mila detenuti presenti), sta determinando da molti mesi ormai tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna in molti istituti penitenziari che ricadono sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. La strada da percorrere è il potenziamento delle misure alternative alla detenzione, anche avvalendosi di quel braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti per il quale lo Stato ha stipulato un contratto per dieci anni e paga a Telecom 110 milioni di euro per la fornitura di 400 braccialetti elettronici, quasi tutti custoditi in qualche armadio del Viminale visto che ne sarebbero stati usati meno di un decina! Il Ministro Palma faccia luce su questa ingiustificato speco pubblico, tanto più indigesto in un momento come quello attuale in cui alla Polizia Penitenziaria vengono tagliati i fondi ed ai poliziotti viene chiesto di stringere ancora una volta una cinta che non ha più buchi…. .” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. Mi sembrano apprezzabili gli intendimenti del nuovo Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma che si è detto intenzionato a mettere a punto un programma di depenalizzazione dei reati minori, dal momento che l’inefficienza dell’elefantiaca macchina della giustizia dipende dall’eccessiva criminalizzazione, cioè da sanzioni penali sovrastimate per violazioni punite negli altri paesi con semplici sanzioni amministrative o civili. Noi diciamo che si deve avere il coraggio di puntare maggiormente sulle misure alternative alla detenzione, ridisegnando un nuovo ruolo operativo al Corpo di Polizia Penitenziaria al di fuori delle mura perimetrali delle carceri, facendo ad esempio scontare in affidamento ai servizi sociali con contestuale impiego in lavori socialmente utili - che è detenzione a tutti gli effetti - il residuo pena ai detenuti italiani con pene inferiori ai 3 anni, anche avvalendosi di quel braccialetto elettronico per il quale lo Stato ha pagato e paga per dieci anni a Telecom 110 milioni di euro senza però veder decollare questo progetto che, allo stato, risulta essere l’ennesimo caso di spreco italiano del bene pubblico. Ma il primo Sindacato della Polizia penitenziaria, il SAPPE, vuole suggerire un’altra concreta soluzioni al sovraffollamento carcerario. Partiamo dal dato che al 31 luglio scorso c’erano nei 206 penitenziari italiani 66.942 detenuti, di cui quasi 24mila stranieri. Rendiamo concreta la possibilità che questi stranieri scontino la pena nelle carceri del proprio Paese d’origine. Avremmo così anche un notevole risparmio di svariati milioni di euro al giorno, costando un detenuto in media circa 250 euro al giorno, soldi che potrebbero essere destinati tra l'altro proprio alla riorganizzazione del sistema carcere del Paese.” Capece esprime, infine, auspica ‘fondata l’indiscrezione’ che vedrebbe in tempi brevi la nomina di Simonetta Matone, magistrato dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia che ha svolto importanti incarichi tra gli altri presso il Tribunale dei minorenni di Roma e il ministero alle Pari opportunità, a Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria al posto di Santi Consolo, recentemente nominato procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzato: “La dottoressa Matone è un magistrato di alto profilo e competenza: la sua esperienza è certamente utile per la funzionalità del DAP. Spero e mi auguro che con la sua prossima nomina il Capo del Dipartimento Franco Ionta riveda l’attribuzione delle deleghe ai Vice Capi Dipartimento del Dap, a cominciare dal vicariato.” Lettere: non volete amnistiarli?... allora mandateli in albergo di Annalisa Chirico Panorama, 16 agosto 2011 Quando il cancello si chiude alle tue spalle, senti che hai superato il confine. Anche quest’anno Ferragosto in carcere. A me è capitato di varcare il confine degli istituti penitenziari di Bari e Taranto nella Regione più sovraffollata d’Italia. Con tanto di Garante dei detenuti, che esiste (seppur da poco), ma non si vede. I radicali vogliono l’amnistia. Il governo per bocca del Ministro della Giustizia Nitto Palma fa sapere che servono risposte strutturali, non emergenziali. E io sono d’accordo. Tuttavia mi chiedo se un Paese civile possa permettersi situazioni come quelle baresi (530 presenze a fronte di una capienza di 270 unità). Capita, per esempio, che 17 persone siano ristrette in una ventina di metri quadri coi letti a castello che sfiorano il soffitto e i turni per stare in piedi. Oppure che ci siano decine di stranieri, che non parlano italiano, da mesi non comunicano con i propri familiari e non hanno mai visto l’avvocato assegnato loro d’ufficio. Non è principalmente una questione di compassione, ma di giustizia. Giusta. Il 40% dei detenuti in Italia è in attesa di giudizio. Diciamo pure che sono “presunti innocenti”. Per la metà di questi il giorno del processo sarà quello della liberazione. Io sono d’accordo con Nitto Palma. L’amnistia non è la soluzione strutturale al collasso del sistema della giustizia (di cui lo stato delle carceri è solo una propaggine). Ma nelle patrie galere la tortura è legalizzata. Se prendiamo atto di questo non solo come esercizio di retorica, possiamo forse affidare la soluzione di una così “prepotente urgenza” ai tempi lenti e incerti della politica? Se sì, a quale prezzo? Nel frattempo, ecco una proposta economica e di buon senso. Un detenuto costa in media alle casse dello Stato più di 300 euro al giorno. Proprio così. Se non volete, Ministro, amnistiarlo, almeno mandatelo in albergo. Anche in tripla in un due stelle. La Lega non s’incazzerà, noi contribuenti risparmieremo qualche soldino e un brandello di civiltà sarà recuperato. Per tutti. Toscana: la Regione sostiene iniziative per sensibilizzare sulle criticità del carcere di Federico Taverniti Toscana Notizie, 16 agosto 2011 Pieno appoggio a tutte le iniziative che si stanno organizzando in questi giorni per dare visibilità alla situazione drammatica che si vive nelle carceri, toscane e italiane. L’assessore al welfare Salvatore Allocca, a nome di tutta la Giunta regionale, ribadisce l’impegno della Regione relativamente ad un tema che “merita di trovare spazio nelle agende di Camera e Senato”. “La Regione - dice Allocca - si è sempre impegnata, nell’ambito delle sue limitate competenze, ad intervenire positivamente sulle tematiche carcerarie e, a partire dalla attribuzione delle competenze sanitarie attribuitegli dal Dpcm dell’aprile 2008, ha rafforzato le sue iniziative attraverso la sottoscrizione di protocolli di intesa con l’amministrazione penitenziaria. Ha sviluppato progetti ed iniziative per mitigare l’endemica carenza di risorse provenienti dall’amministrazione centrale, come quella realizzata dal presidente Rossi non appena eletto (e che prosegue), per garantire a tutti i detenuti toscani kit per l’igiene personale e nuovi materassi e cuscini. Con questo spirito - aggiunge l’assessore - la Giunta appoggia ogni iniziativa tesa a sensibilizzare le istituzioni competenti sul tema delle carceri, e condivide in particolare la necessità che il Parlamento dedichi al più presto una specifica discussione sull’argomento”. Ancora Allocca sottolinea che “il numero crescente dei detenuti, in molti casi eccedente rispetto alla capacità di accoglienza delle strutture, e le durissime condizioni di vita che ne derivano, anche per il personale impegnato nella vigilanza, rischiano di vanificare ogni sforzo teso al recupero ed al reinserimento delle persone detenute mettendo in discussione i principi fondanti della nostra civiltà giuridica. Il numero crescente dei suicidi, nonostante le strette misure di controllo, indicano con crudezza i livelli di sofferenza e di disperazione ormai stabilmente radicati all’interno delle carceri italiane”. L’assessore quindi conclude esprimendo, a nome di tutta la Giunta regionale, piena condivisione ed apprezzamento “all’iniziativa che vede, in questi giorni di festa, tanti rappresentanti del Parlamento e delle Regioni (compresi numerosi consiglieri regionali toscani) impegnati a visitare un grande numero di istituti di pena. Un semplice gesto per chiedere alle istituzioni una non più rinviabile assunzione di responsabilità e manifestare umana comprensione verso chi vede aggiunto alla pena prevista dalle leggi, quella imposta dalla insopportabile inadeguatezza del sistema carcerario”. Piemonte: Radicali davanti al consiglio regionale, chiedono istituzione del Garante Notizie Radicali, 16 agosto 2011 Davanti al portone chiuso di un Consiglio Regionale in ferie una ventina di radicali hanno manifestato per l’amnistia e hanno chiesto al Consiglio Regionale del Piemonte di designare il Garante Regionale per le Carceri alla ripresa dei lavori. Silvio Viale, presidente di Radicali Italiani, Giulio Manfredi, presidente dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, e Bruno Mellano, membro della Direzione Nazionale di Radicali Italiani, hanno illustrato la situazione piemontese, evidenziando come i dati piemontesi costituiscano “una continua emergenza che non può essere cronicamente accettata”. A fronte di 3.634 posti, nei 13 carceri piemontesi vi sono 5.212 detenuti, il 43% in più rispetto alla capienza prevista. Inoltre, occorre sottolineare la situazione drammatica che vivono tutti i giorni gli agenti di polizia penitenziaria, senza mezzi, con personale sottodimensionato e con un elevato tasso di suicidi. I radicali hanno salutato con favore la telefonata del Presidente Giorgio Napoletano a Marco Pannella per ringraziarlo dell’impegno con cui conduce questa battaglia e per sottolineare l’urgenza di una discussione parlamentare. Come è noto, i radicali propongono l’amnistia come primo e necessario passo per affrontare la grande questione della giustizia e ritengono che tutte le proposte che si limitano depenalizzare alcuni reati minori siano destinate solo a procrastinare lo status quo, se non affrontano i nodi delle droghe e dell’immigrazione. Silvio Viale ha sintetizzato: “È da più di un anno che il bando è scaduto e che attendiamo la designazione del Garante Regionale per le carceri. Sono consapevole che i problemi del sovraffollamento si risolvano a Roma, principalmente con l’amnistia e la riforma della giustizia, ma questo non può essere una scusa per non fare il proprio dovere in Piemonte. Sono senza dubbio importanti le visite e le ispezioni di un giorno, ma serve una figura istituzionale che a livello regionale si occupi della situazione delle 13 carceri piemontesi, per cui chiedo che la designazione sia posta all’ordine del giorni del prossino Consiglio dopo la pausa estiva.” Chiesta l’istituzione del garante regionale dei detenuti Silvio Viale, il Presidente dei Radicali, spera di avere delle risposte dal Consiglio Regionale. In Piemonte ci sono oltre 5.000 detenuti in più rispetto a quelli previsti. Il problema del sovraffollamento delle carceri continua a non essere risolto. In Piemonte la situazione è critica con il 43% di detenuti in più rispetto alla capienza massima prevista. “È una continua emergenza che non può essere cronicamente accettata”. Lo affermano i Radicali che chiedono al Consiglio regionale di designare il Garante regionale per le carceri alla ripresa dei lavori dell’assemblea legislativa dopo la pausa estiva. Il Presidente dei Radicali Italiani, Silvio Viale, ha una precisa richiesta e vuole una risposta dal Consiglio regionale: “È da più di un anno che il bando è scaduto e che attendiamo la designazione del garante. Sono consapevole - prosegue - che i problemi si risolvano a Roma, principalmente con l’amnistia e la riforma della giustizia, ma questo non può essere una scusa per non fare il proprio dovere in Piemonte. Serve una figura istituzionale - conclude Viale - che si occupi delle 13 carceri piemontesi”. Palermo: sos sovraffollamento, ferragosto in carcere con afa e senza doccia Corriere del Mezzogiorno, 16 agosto 2011 Condizioni al limite dell’umano, degrado e sovraffollamento, difficoltà perfino per poter fare la doccia ogni giorno. È la condizione dei detenuti nelle carceri siciliane. Una condizione che si aggrava con l’afa estiva. Sulle spalle il pesante fardello della pena è reso ancora più insopportabile da condizioni al limite del vivibile. Accade per esempio all’Ucciardone di Palermo: un viaggio all’interno delle sezioni del penitenziario borbonico non può che lasciare l’amaro in bocca. Strutture vetuste che necessiterebbero di una ristrutturazione ma anche condizioni al limite dell’umano per i parenti dei carcerati costretti in estate ed in inverno ad ore di attesa interminabili per le visite ai carcerati. A denunciare la situazione è il deputato all’Ars del Pd Pino Apprendi che ha fatto un sopralluogo all’interno del carcere palermitano: “Il Comune di Palermo da oltre due anni non risponde ad una nostra richiesta per offrire un minimo di decenza all’attesa fuori dal carcere, dove donne, bambini ed anziani, familiari dei detenuti, sia in estate che in inverno per ore sono esposti alle intemperie. Il sindaco con poca spesa potrebbe intervenire in tal senso”. “Il governo nazionale invece - continua il deputato - dovrebbe rapidamente ristrutturare tutte le sezioni dell’edificio, la cui costruzione risale al 1834. Al momento solo la quarta e l’ottava sezione danno la possibilità ai detenuti di fare la doccia quotidianamente, gli altri riescono a farla tre volte a settimana. In maniera superficiale - conclude il parlamentare - si trascura l’apporto del servizio di psicologia che ha a disposizione soltanto 20 ore al mese da dedicare alle 545 persone recluse, a fronte di una previsione regolamentare di 292 unità. Uno solo il medico disponibile ogni pomeriggio e fino alle 8 dell’indomani mattina”. L’ allarme carceri come si diceva riguarda tutta l’isola. I numeri parlano chiaro: “Ci sono 7 mila 800 reclusi a fronte di una capienza prevista di circa 5 mila 500: sono troppi ed è arrivato il momento di intervenire - dice il garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres, la situazione attuale non consente una piena applicazione dall’art. 27 della Costituzione. La Sicilia è la seconda regione d’Italia in quanto ad affollamento ed è necessario un intervento del Dap per verificare la corretta allocazione dei reclusi”. Firenze: sette detenuti per cella, Opg di Montelupo in ginocchio Il Tirreno, 16 agosto 2011 Il sistema che protesta contro se stesso a dimostrazione di quanto la misura sia colma e le condizioni disumane in cui vivono i malati dell’Opg non siano più tollerabili. È andato in scena un agosto anomalo nella villa medicea che ospita l’ospedale giudiziario. Non c’è stata solo la “solita” visita di deputati e senatori ma anche lo sciopero della fame e della sete del direttore della struttura, Margherita Michelini. Domenica sera si è conclusa la protesta partita sabato alle 21 e organizzata dai Radicali per convincere la politica “a mettere all’ordine del giorno le riforme necessarie per le carceri”. Sono stati 24 ore senza mangiare, né bere. Ad accompagnarli in questo digiuno dimostrativo anche alcuni direttori di carceri tra cui, in Toscana, quello di Arezzo, di Livorno e quello di Montelupo. Al momento, a reggere temporaneamente l’Opg è Margherita Michelini (che sostituisce la titolare Antonella Tuoni). Già a Empoli, alla struttura a custodia attenuata del Pozzale, e in procinto di passare a Solliccianino, la direttrice sta vivendo ora i sussulti di una struttura malata quale è quella dell’Ambrogiana, villa medicea trasformata in ospedale giudiziario. Dove da anni celle di venti metri quadrati vengono condivise da sei/sette detenuti. Che in questo misero spazio devono fare tutto: mangiare, dormire e fare i loro bisogni fisiologici. Dove il sovraffollamento e le cure inadeguate sono conclamati. Due anni fa ci provò il sindaco di Montelupo Rossana Mori a dare una sterzata all’immobilità dell’amministrazione penitenziaria con un’ordinanza in cui intimava alla direzione dell’Opg di pulire alcuni ambienti, di rifare i bagni e ridurre il numero degli internati (allora era quasi duecento). Mettendo nero su bianco che si “rischiavano epidemie”. Il risultato fu pari a zero perché il ministero fece ricorso e il Tar gli dette ragione. Il sindaco non era competente. E non si doveva impicciare. Ora ci ha riprovato la commissione parlamentare sul servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino. Scoprendo la stessa situazione. Anzi, con qualcosa in più che non va. Il 26 luglio scorso, dopo alcuni sopralluoghi a sorpresa della commissione stessa, due ali dell’Opg sono state sequestrate per inadeguatezze igienico-sanitarie e mancanza del sistema anti-incendio ovunque. Da qui una serie di ultimatum dati dalla commissione di inchiesta: il primo scadeva la scorsa settimana. Erano state concesse due settimane per dotare la struttura di un sistema anti-incendio, come prevede la legge. Ma l’ultimo giorno, in extremis, è stata chiesta una proroga e la commissione ha concesso all’amministrazione penitenziaria altri cinquanta giorni. Una dilazione che non ha entusiasmato uno dei componenti della commissione, la senatrice dei Radicali Donatella Poretti. “Come è possibile che anche la parte restaurata solo pochi anni fa non abbia le uscite di sicurezza e un sistema anti-incendio? - ha protestato Poretti - Chi ha dato l’agibilità a questo luogo?”. Il 25 agosto ci sarà una nuova scadenza: ventuno celle inagibili dovranno essere sgomberate definitivamente in modo tale da poter essere ristrutturate perché nelle attuali condizioni non possono ospitare internati. I Nas ritorneranno per vedere se le disposizioni fissate dalla commissione sono state rispettate. Nel frattempo sta lavorando anche la procura di Firenze che alcuni mesi fa aveva disposto l’acquisizione di tutti i documenti relativi ai decessi avvenuti dal 2005 al 2010 nell’ambito di un’inchiesta sulle condizioni degli internati e sempre a seguito del lavoro della commissione parlamentare. E ora la procura sta esaminando anche gli esposti per maltrattamenti presentati dai pazienti. Bari: D’Ambrosio Lettieri (Pdl); carceri disastrate, Ionta agisca oppure lasci il campo www.barilive.it, 16 agosto 2011 “La situazione nelle carceri italiane è ormai invivibile. Quello di Bari è addirittura a rischio chiusura se si pensa che a fronte di una capienza massima di 270 posti, il penitenziario del capoluogo pugliese accoglie 530 detenuti. A Taranto va un po’ meglio, ma non si può dire certo un’isola felice. E mentre da una parte l’attivismo e la competenza del neo ministro Nitto Palma ci stanno già consegnando soluzioni percorribili e assolutamente condivisibili - misure alternative, depenalizzazione di alcuni reati e nuove carceri - dall’altra l’immobilismo del capo Dipartimento Ionta e, per Bari, la discutibile gestione politico-amministrativa del sindaco Emiliano, non agevolano un percorso virtuoso per restituire dignità alle persone detenute e anche agli operatori carcerari”. Va giù duro il sen. del Pdl Luigi D’Ambrosio Lettieri che ieri ha visitato le carceri di Bari e Taranto, aderendo pienamente all’iniziativa Ferragosto in carcere. “Ionta agisca, oppure tragga le dovute conseguenze. Il Governo ha confermato la propria attenzione al problema del sovraffollamento carcerario destinando, nella recente manovra, risorse per 800 mln di euro all’edilizia carceraria”, afferma D’Ambrosio Lettieri, “ma ad esempio a Bari tutto è vergognosamente fermo grazie anche ad Emiliano. Se avesse adempiuto a ben sette sentenze della magistratura (due della cassazione a sezioni unite e cinque del consiglio di stato) a quest’ora avremmo un carcere adeguato e moderno”. “Condividendo il monito del Capo dello Stato e del presidente di Cassazione”, conclude il senatore del Pdl, “sulla necessità di ricorrere a misure alternative alla detenzione carceraria - vi sono circa 20mila detenuti in attesa di giudizio e non socialmente pericolose - nei prossimi giorni ci muoveremo in sinergia con il neo ministro nella direzione attuativa di interventi indifferibili: piano carceri, potenziamento organici polizia penitenziaria, depenalizzazione e ricorso a misure alternative. Sono certo, come è avvenuto per il primo intervento, che la solidarietà portata oggi nelle carceri italiane e in particolare, pugliesi, dai parlamentari del Pdl, si tradurrà presto in risposte concrete. L’auspicio è che temi sensibili come questi trovino un proficuo clima di collaborazione e confronto costruttivo tra tutte le forze politiche”. Savona: Sappe; situazione non più tollerabile, il governo passi dalle parole ai fatti www.savonanews.it, 16 agosto 2011 Dopo parole Sottosegretario Caliendo su Savona, è in vista la chiusura del S. Agostino? Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Serve un nuovo carcere in Valbormida”. “Leggo che nella sua visita oggi al carcere di Genova Marassi il Sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo avrebbe detto che conosce bene la grave situazione penitenziaria di Savona e che questa è una delle piaghe che il Governo dovrà risolvere. Intanto sarebbe opportuno che al carcere di Savona venisse assegnato un direttore titolare, visto che a tutt’oggi non c’è e la titolarità è affidata di volta in volti a dirigenti diversi. Mi auguro però che si possa arrivare a definire un’area per una nuova struttura detentiva savonese a breve, considerato che l’attuale carcere di S. Agostino è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto ed espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Costruito per ospitare 36 posti letto, il Sant’Agostino ospita in media 70/80 detenuti controllati da Agenti di Polizia Penitenziaria carenti in organico di 15 unità. Tutti dicono che serve un carcere nuovo a Savona ma nessuno concretamente lo vuole. Mi auguro che le parole del Sottosegretario Caliendo si traducano ora in qualcosa di davvero concreto e lo invito a presiedere un tavolo di confronto con il Sappe con una proposta concreta di un nuovo carcere per Savona.” È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e Commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Martinelli ricorda che dopo le ampie convergenze politiche emerse al convegno che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe tenne lo scorso 8 ottobre a Cairo Montenotte per un nuovo carcere alternativo al disastroso penitenziario savonese di Sant’Agostino, è seguito un incontro a Roma il 6 giugno scorso tra il Sindaco di Cairo, avv. Fulvio Briano, ed il Commissario straordinario per le carceri, Franco Ionta. “Speriamo che ora, anche dopo le parole del Sottosegretario Caliendo, qualcosa di importante si possa definire per un nuovo carcere a Savona. Non è infatti più accettabile avere in Italia un carcere vergognoso come il Sant’Agostino di Savona, indegno per chi ci lavora e per chi sconta una pena (qualcuno addirittura in celle senza finestre!), come sono altrettanto vergognosi i ritardi burocratici del Comune savonese che fino ad oggi nulla ha fatto per sanare tali indecenze. Dopo un rimpallo durato oltre vent’anni, sappiamo che non è previsto alcun nuovo carcere per Savona. Nel convegno pubblico dello scorso ottobre noi, come Sappe, lanciammo la proposta di realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, in tempi estremamente brevi, con costi contenuti ed avvalendosi di manodopera locale. Oggi Caliendo dice che quella di Savona è una delle piaghe che il Governo dovrà risolvere. Speriamo lo facciano presto”. Bolzano: 139 detenuti in 80 posti… il nuovo carcere sarà pronto forse nel 2014 Alto Adige, 16 agosto 2011 Nel carcere di Bolzano detenuti e poliziotti si trovano a vivere condizioni le stesse condizioni di stress e disagio. Al sovraffollamento dei primi - 139 detenuti stipati in ottanta posti - corrisponde l’annosa carenza di organico dei secondi. Dei 78 agenti necessari (la tabella ministeriale ne prevede 91), in questi giorni solo 24 sono operativi sui 3 turni di 8 ore. L’altra notte ce n’erano solo 4 di guardia, e spesso capita che alcuni facciano lo straordinario fino a 18 ore consecutive. La strana alchimia di celle affollate e guardine solitarie ha finito per unire gli abitanti del carcere in un’unica ciurma e i rapporti tra i due gruppi si sono trasformati in reciproca comprensione. Il rapporto della visita ispettiva condotta ieri da Luisa Gnecchi, deputata del Pd, accompagnata dai radicali Achille Chiomento e Donatella Trevisan, evidenzia una situazione molto difficile. Lo stabile è fatiscente, nonostante gli sforzi per tenerlo pulito e ordinato non può essere considerato una struttura salubre. Dentro il caldo è soffocante, le celle hanno finestre più piccole rispetto agli standard e le aperture utili a far circolare l’aria devono rimanere chiuse per motivi di sicurezza. Le celle restano aperte mattina e pomeriggio. I detenuti hanno provato a giocare a calcetto nel cortile interno ma dopo una partita hanno dovuto abbandonare l’iniziativa. Il fondo è talmente sconnesso che molti si sono fatti male. La mensa è autogestita e il vitto non è male, ma lo spaccio interno è più caro dei prezzi di mercato e fare anche una spesa piccola diventa un’impresa. “Speriamo di avere un carcere dignitoso il prima possibile” - dice la Gnecchi - “ci hanno promesso che la prima pietra della nuova struttura sarà posta entro quest’anno”. La visita ispettiva riporta un bilancio di 139 detenuti, di cui solo uno in isolamento per stalking. “Praticamente tutti per i reati di furto o legati agli stupefacenti - spiega Achille Chiomento - di cui la metà in attesa di giudizio, quindi ancora potenzialmente innocenti”. Gli extracomunitari sono 69, “in maggioranza albanesi e marocchini”. “Ci sono anche casi limite - afferma la Trevisan - uno di loro sta dentro per aver rubato un salame che costava una ventina di euro, e ora ne costa circa 240 euro al giorno”. C’è anche un anziano, raccontano, disperato perché non ha più gli occhiali e la dentiera, e non riesce a mangiare, e continua a raccomandarsi alle guardie carcerarie perché gliene facciano avere una. “La polizia - sottolinea Trevisan - ha un approccio umano e professionale, e nonostante le difficoltà riesce a mantenere un clima ragionevole”. I detenuti hanno infatti optato per la protesta pacifica per richiamare l’attenzione sulle condizioni del carcere e proprio ieri 90 di loro hanno firmato per lo sciopero della fame e della sete. “Speriamo di ottenere una convocazione straordinaria del Parlamento - spiega la Gnecchi. Il carcere è in condizioni pietose e su questo non ci piove ma non è il peggiore d’Italia”. Una lettera dal carcere Una delegazione di politici ha visitato il carcere di Bolzano. I detenuti hanno consegnato loro una lettera-appello per i parlamentari. “Deputati e Senatori d’Italia, cogliamo l’occasione della visita, per consegnarvi questo nostro scritto, con la speranza che lo stesso arrivi a Roma, e magari venga letto pubblicamente. Speriamo che tutti voi insieme cominciate realmente a prendere coscienza del mondo carcerario, così da poter trovare delle soluzioni concrete al problema. Crediamo sia superfluo dire che tutte le strutture italiane sono vecchie e fatiscenti. A questo proposito, noi della casa circondariale di Bolzano vogliamo dire grazie alla dottoressa Anna Rita Nuzzacci, al suo staff di assistenti, al commissario, al comandante, agenti, dottore e volontari vari. Ogni giorno grazie alle loro energie la struttura va avanti, tra mille difficoltà e peripezie. Capiamo anche noi che nominare le parole amnistia e indulto riesce molto difficile, ma basta pensare come vivono i detenuti ogni santo giorno. Otto esseri umani in 25 metri quadri, cucinare in un bagno piccolissimo: fare tutto quello che ogni persona o famiglia, fa in spazi molto più grandi; noi lo facciamo in spazi proibitivi. Ogni giorno passato in carcere è un giorno strappato alla vita con i denti e le unghie. Il carcere in questo modo non serve a nulla, è come una discarica sociale nella quale mettere le persone indesiderate oppure sfortunate. Noi tutti chiediamo a gran voce, che le cose cambino: nel 2011 non si può vivere così. Noi vogliamo pagare per i nostri errori, ma non in questo modo. Le carceri di oggi sono paragonabili a campi di concentramento, e questo per un paese civile non è assolutamente coerente e corretto. Abbiamo i giudici di sorveglianza che applicano le misure alternative con il contagocce, quando si è fortunati o se danno qualcosa succede solo quando la persona e praticamente alla fine della sua pena. Abbiamo avuto un esempio ora con l’ultimo decreto: il quale darebbe la possibilità di trascorrere l’ultimo anno di detenzione a casa, sappiamo tutti che in pochissimi hanno potuto usufruire di questo beneficio. Possiamo dire senza paure che il decreto è accettabile, ma purtroppo chi deve concedere trova sempre un modo per non dare. Siamo tutti consapevoli che l’unico modo per uscire da questo empasse giudiziario è discutere tra di voi in modo civile del problema. Bisogna avere il coraggio come ha dimostrato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano al convegno del 28 luglio. Se l’amnistia e l’indulto risanerebbero la giustizia italiana, allora bisogna avere il coraggio di dirlo e applicarli come prevede la nostra costituzione. Vi chiediamo di dimostrare a voi stessi e a tutti gli altri governi del mondo che l’Italia è un paese unito, democratico e che non ha paura di prendere decisioni serie ed importanti come queste”. Il nuovo edificio pronto nel 2014 Nuovo carcere a Bolzano Sud, si comincia a fare sul serio. La Provincia ha avviato l’iter per l’esproprio dei terreni oggi agricoli di via Francesco Baracca, di proprietà della Rauch Bau di Nalles. L’intenzione del presidente Durnwalder è di pubblicare il bando di gara per i lavori entro fine anno, in modo da poter avviare il cantiere a metà 2012 e trasferire i detenuti della casa circondariale di via Dante entro il 2014. La nuova struttura, Iva compresa, costerà circa ottanta milioni di euro, finanziati grazie all’Accordo di Milano. Si prevede un carcere per 200 persone, 20 detenuti semiliberi, 150 posti in caserma per gli agenti penitenziari e 20-22 alloggi di servizio. Sarà un carcere rispettoso degli standard Casa Clima, realizzato secondo criteri di qualità ambientale volti a ridurre le emissioni nocive, contenere il consumo energetico e favorire l’utilizzo di energie rinnovabili. Una volta dismesso, il carcere austro-ungarico del 1843, oggi in condizioni di degrado passerà infine alla Provincia. Verrà ridestinato. Aosta: black out di quattro ore nel carcere di Brissogne Ansa, 16 agosto 2011 Quattro ore di black out si sono verificate lo scorso sabato nel carcere di Brissogne. La corrente è “saltata” una decina di minuti dopo che la delegazione del Consiglio regionale che ha aderito a “Ferragosto in carcere” aveva concluso la visita ed abbandonato la struttura, lasciando senza luce, acqua né telefoni detenuti ed agenti di polizia penitenziaria. “Il personale - dice Leo Beneduci, segretario generale Osapp - ha vissuto momenti di vero e proprio panico viste le proteste e le urla provenienti dalla locale popolazione detenuta, tant’è che sono stati trattenuti in servizio coloro che stavano smontando, mentre sono state richiamate circa trenta unità di Polizia Penitenziaria dall’esterno”. “A parte probabili problemi di incuria nella manutenzione degli impianti le cui responsabilità vanno comunque accertate anche per i rischi che ha corso chi si è trovato in quelle ore in istituto - afferma ancora Beneduci -, non ce la sentiamo di attribuire colpe a chicchessia, ciononostante le condizioni della casa circondariale Brissogne di Aosta appaiono peggiorare giorno dopo giorno e rendono indifferibili gli interventi e le verifiche da noi più volte richieste”. Immigrazione: nigeriana condannata alla lapidazione chiede asilo all’Italia Agi, 16 agosto 2011 Ha chiesto ufficialmente asilo politico in Italia la giovane nigeriana Kate Omoregbe, detenuta nel carcere di Castrovillari, da dove uscirà tra meno di un mese, nella prima decade di settembre, dopo aver scontato una condanna a quattro anni. Lo rende noto il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, che, dopo aver ricevuto una lettera della ragazza con una accorata richiesta di aiuto, continua ininterrottamente da alcune settimane la battaglia per salvare la giovane immigrata che chiede di poter restare in Italia, dove si trova da dieci anni, con regolare permesso di soggiorno, e non essere espulsa per evitare, nel suo Paese, la lapidazione per il suo rifiuto (per questo è stata anche ripudiata dalla sua famiglia) di sposare una persona molto più grande di lei e di non volersi convertire dal cristianesimo alla religione musulmana. “La richiesta di asilo, sottoscritta dalla ragazza, - dice Corbelli - è stata trasmessa dalla direzione del carcere di Castrovillari alla competente Questura di Cosenza. Corbelli ringrazia la direzione del carcere ed il comandante degli agenti penitenziari Maurizio Petrassi, “con i quali - afferma - sono in costante contatto, per la particolare attenzione, sensibilità e grande umanità che stanno dimostrando anche in questa occasione, per aiutare la giovane nigeriana”. A favore della battaglia di Corbelli sono intervenuti con due distinte interrogazioni parlamentari tredici senatori, Franco Bruno, più Rutelli, Molinari, Russo, Milana, Baio, Digilio, Germontani, Contini, Fistarol, D’Alia, Negri, con una interrogazione al ministro degli Interni, Roberto Maroni, e il senatore e Sottosegretario all’Economia, Antonio Gentile, che ha interrogato i ministri degli Interni, e della Giustizia, Francesco Nitto Palma, oltre all’intervento del Presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, che raccogliendo l’appello di Diritti Civili, hanno tutti chiesto un atto umanitario per evitare l’espulsione di Kate dall’Italia e salvarle in questo modo la vita”. “Si tratta di una importante iniziativa politico-istituzionale bipartisan che - conclude Corbelli - dimostra che quella per salvare la giovane Kate è una battaglia condivisa, giusta, doverosa in un Paese civile, come l’Italia. Una battaglia che i media calabresi, che ringrazio, stanno, come al solito e con grande sensibilità, sostenendo sin dall’inizio”. Venezuela: rissa nel carcere Yare III, ucciso un detenuto italo-venezuelano Apcom, 16 agosto 2011 Un cittadino di origine italiano, Giuseppe Sibilli, è stato assassinato in circostanze ancora tutte da chiarire. Era detenuto nella carcere Yare III. Stando ad una prima ricostruzione dei fatti, ancora tutta da verificare, Sibilli sarebbe stato coinvolto in una lite tra reclusi, nell’area battezzata “La Torre”. Nella rissa un altro recluso, Jesús Nieves sarebbe stato gravemente ferito. La rissa avrebbe coinciso con la ricolta di alcuni detenuti di Yare III che protestavano per il trasferimento della direttrice della carcere. Tre guardie, nel momento di maggior tensione, sarebbero state sequestrate e posteriormente rilasciate sane e salve. I detenuti in rivolta, prima di liberarle, hanno minacciato di ucciderle se le loro richieste non fossero state soddisfatte. Una volta controllata la rivolta, la Guardia Nacional, stando sempre ad una prima ricostruzione dei fatti, avrebbe incontrato il corpo del connazionale ormai senza vita. Non si sa con certezza, quindi, se Sibilli sia rimasto inconsapevolmente coinvolto nella lite tra detenuti o se sia stato vittima di un regolamento dei conti. Nelle carceri venezolane sono frequenti le guerre fra bande per il controllo della carcere o di aree di detenzione. Inoltre, gruppi di detenuti si affrontano per controllare il traffico di droga all’interno della carcere stessa. Gli italiani detenuti nelle carceri venezolane sono per lo più accusati di traffico di droga, un reato in Venezuela castigato severamente. India: arrestati 1.000 manifestanti che protestavano contro la corruzione dilagante Ansa, 16 agosto 2011 Almeno mille dimostranti sono stati arrestati oggi a New Delhi dalla polizia insieme al pacifista gandhiano Anna Hazare bloccato poche ore prima che iniziasse uno sciopero della fame contro la corruzione. Lo ha detto il ministro dell’Interno P. Chidambaram in una conferenza stampa trasmessa in diretta televisiva. Oltre mille partecipanti alla manifestazione anti-corruzione sono stati arrestati dalla polizia indiana a Delhi, poco dopo l’arresto del promotore della protesta, l’attivista 74enne Anna Hazare, che aveva preannunciato per oggi l’inizio di un nuovo sciopero della fame. Il ministro federale dell’Interno, P Chidambaram, ha affermato che sono state fermate 1.300 persone in luoghi differenti, in gran parte allo stadio. Per Prashant Bhushan, avvocato e sostenitore del movimento di Hazare, gli arresti sono stati almeno 2mila. Gli studenti si sono radunati fuori dello stadio Chhatrasaal, sventolando la bandiera nazionale, gridando slogan contro il governo e intonando cori di protesta. Gli organizzatori hanno usato altoparlanti per esortare i manifestanti a mantenere pacifica la protesta. Intanto, Bhushan ha riferito che l’attivista Hazare ha iniziato il suo sciopero della fame alle 10 di questa mattina, dopo essere stato tratto in arresto.