Giustizia: Pannella a Palma; amnistia e riforme, si muova il Parlamento di Mariagrazia Gerina L’Unità, 11 agosto 2011 Due ore e più di colloquio negli uffici di via Arenula. Palmella spera di avere nel nuovo Guardasigilli un interlocutore migliore del precedente. Crescono le adesioni allo sciopero della fame e della sete del 14 agosto. Il predecessore, a posteriori, lo boccia senza mezzi termini: “Su alcune cose all’inizio sembrava d’accordo con noi e si è rivelato una catastrofe”. E però, uscendo dal primo (inatteso) incontro con il neo-ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma (fino all’altro giorno in partenza per la Polinesia), Marco Pannella cerca spiragli per il futuro. “È bastato un incontro molto lungo e la durata non è un fatto puramente formale”, spiega, dopo essere stato ricevuto per oltre due ore nelle stanze di via Arenula. Davanti, c’è la giornata di sciopero della fame e della sete, domenica prossima, lanciata proprio da lui e dai radicali per fare pressing sul parlamento. Una seduta straordinaria per decidere al più presto misure contro il sovraffollamento delle carceri. Questo l’obiettivo. La parola chiave è “amnistia”. E Pannella l’ha scandita chiaramente al ministro. “Non vogliono capirlo, ma quella è la misura strutturale per far tornare il sistema carcerario e quello giudiziario nella legalità e procedere poi alle riforme necessarie”, insiste Pannella. Difficile, però, che, come dice Pannella, “lo” capiscano ora. All’orizzonte, lo ha fatto capire anche il ministro, è più probabile che ci sia un nuovo provvedimento “svuota-carceri”. Magari stavolta con le maglie un po’ meno strette. Visto che finora, grazie a quel provvedimento, sono usciti solo 2.900 detenuti su 66.942, stipati in carceri costruite per 45.681 posti. “Forza Italia, contrariamente a Lega e An, ai tempi del governo Prodi, fu determinante per permettere l’indulto”, ricorda Pannella: “Certo, allora non erano al governo e non con la Lega e Tremonti”. Comunque, in Nitto Palma spera di avere, su questo tema, un interlocutore migliore del predecessore. “Ci ha fatto leggere cosa diceva dieci anni fa, le sue sono posizioni garantiste-liberali, che sia stato amico di Previti, dal nostro punto di vista, chissenefrega”, chiosa, sbrigativamente il leader radicale. Infastidito, però, dal vizio di chi sulle carceri vuole sempre ragionare con il bilancino dei piccoli passi. “Era così anche ai tempi del divorzio: i più prudenti suggerivano di accontentarsi del divorzio per i matrimoni civili, che allora erano l’l,8%, noi invece abbiamo fatto in modo che sul divorzio fossero costretti tutti, famiglia per famiglia, a prendere posizione”. E così - spiega - deve accadere ora sulla condizione carceraria. Su carceri e amnistia - dice - “dobbiamo far partire un grande dibattito nel paese”. Il primo ad aver detto parole inequivocabili - rivendica - è stato proprio il presidente della Repubblica, ospite del convegno radicale sulle carceri italiane lo scorso 28 luglio. “Napolitano era con noi nella marcia di Natale che organizzammo sei anni fa per invocare l’amnistia e ora da presidente della Repubblica si sta facendo garante degli ultimi”. Peccato - aggiunge - che partiti e politici preferiscano non ascoltarlo. Anche se - ringrazia - quanti dalle fila Pd appoggiano apertamente l’iniziativa del prossimo 14 agosto. I responsabili Giustizia e Carceri, Andrea Orlando e Sandro Favi. E il senatore Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria. Le adesioni al digiuno radicale intanto crescono. Ieri hanno aderito anche diversi direttori di case circondariali. E il cappellano di Regina Coeli, che a Ferragosto, riceverà la visita del ministro Nitto Palma, che, cancellate le vacanze lunghe, ha deciso di ripatire da qui. Giustizia: depenalizzazione dei reati minori, il Guardasigilli pensa a un “indultino”? di Caterina Maniaci Libero, 11 agosto 2011 “Ho comunicato all’onorevole Pannella che i dati tecnici in mio posses -so individuano altre strade che possono avere incidenza sul problema del sovraffollamento carcerario. Ad esempio la depenalizzazione dei reati minori”. Il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, incontra il leader dei radicali Marco Pannella che da tempo invoca una soluzione per il problema del sovraffollamento delle carceri, e illustra la propria idea di intervento. Un incontro lungo, approfondito, che, a detta dello stesso Pannella, non ha precedenti, “il che dimostra la genuinità, anche personale e istituzionale di questo dialogo”. L’amnistia come soluzione per far decollare la riforma della giustizia è la proposta di Pannella, ma, secondo il Guardasigilli, “ci sono interventi che possono essere condivisi e varati per provare a incidere sul problema carceri”, come, appunto l’importante provvedimento della depenalizzazione dei reati minori. Anche per Palma, comunque, il colloquio con Pannella e Rita Bernardini è stato “positivo, lungo e approfondito. È stato uno scambio di vedute molto cordiale e serio. Sono rimasto d’accordo con Pannella”, conclude Palma, “che nel mese di settembre restituirò la sua visita al Partito radicale, al fine di proseguire un confronto che oggi mi è parso di grande utilità”. Amnistia, indulto, depenalizzazione: da decenni se ne sente parlare. Il precedente storico è quello del II 29 luglio 2006, quando il Parlamento ha approvato la legge 241/2006, che ha introdotto un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. L’indulto è un provvedimento di indulgenza a carattere generale e si differenzia dall’amnistia perché si limita ad estinguere in tutto od in parte la pena principale, mentre non estingue le pene accessorie; invece l’amnistia estingue il reato. Diversamente dalla grazia, che è un provvedimento individuale, l’indulto è un istituto di carattere generale e si riferisce a tutti i condannati che si trovino in determinate condizioni di pena. Una decisa spinta in tal senso la diede papa Giovanni Paolo E, quando, nel 2002, incontrando i due rami delle Camere in seduta congiunta, aveva chiesto in modo accorato ai parlamentari un “segno di clemenza” verso i detenuti e le loro condizioni di vita. Ma ci vollero quattro anni perché quel segno si concretizzasse, come sperava il Pontefice. Interviene sulla questione anche l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (Osapp). “È assolutamente urgente che il nuovo Guardasigilli Nitto Francesco Palma sia messo a conoscenza che anche per la Polizia Penitenziaria, come per l’intera istituzione penitenziaria, vi è la necessità indifferibile di una ripartenza”, si legge in un documento a firma di Leo Beneduci, segretario generale del sindacato. Il quale denuncia anche il mancato adeguamento delle unità di polizia dal 1992, numero che anzi è addirittura diminuito di 5 mila unità, nonostante i detenuti siano invece aumentati da 42 mila a 67 mila. Giustizia: vacanze dietro le sbarre, Nitto Palma a Regina Coeli il 15 agosto di Dimitri Buffa L’Opinione, 11 agosto 2011 Una nemesi benigna. Radicale, si potrebbe dire. Quella che ha colpito il neo ministro di Grazia e Giustizia Francesco Nitto Palma che è passato, proprio a causa dei sarcasmi e degli strali piovutigli addosso da Radio radicale e dintorni, dallo status di “in ferie per un mese in Polinesia”, cioè la cosa sbagliata nel momento sbagliato, a primo titolare nella storia di via Arenula a recarsi il Ferragosto in carcere, a Regina Coeli, per passarlo con i detenuti. Roba da Pannella insomma. E infatti Nitto Palma, per non farsi mancare proprio niente, ieri ha anche ricevuto, per oltre due ore, il leader radicale e la deputata Rita Bernardini proprio alla vigilia del grande “Satyagraha” di massa, sciopero della fame e della sete per un giorno, a cui hanno aderito oltre 500 tra politici, sindacalisti delle guardie di custodia, direttori di carcere, avvocati, magistrati, giornalisti e naturalmente detenuti. Un happening di massa per fare rientrare nella legalità un’istituzione, quella penitenziaria, che per usare le parole proferite dal capo dello stato Giorgio Napolitano a un convegno organizzato lo scorso 28 luglio alla sala Zuccari dal presidente del Senato Renato Schifani, “ci umilia in Europa”. Ed è diventata un’emergenza da affrontare in ogni maniera, compresa l’amnistia. E qui veniamo al “punctum dolens” dell’incontro di ieri durato oltre due ore, e conclusosi con un bel pasto propiziatorio, uno degli ultimi prima della ripresa della lotta non violenta di Pannella e della Bernardini che si faranno presumibilmente ben più che un solo giorno di sciopero della fame e della sete. Per Pannella l’amnistia, anzi “l’amnistia, amnistia”, refrain con il quale ormai esordisce in ogni collegamento mattutino alla Radio, è l’unica cosa logica da fare dopo il chiaro fallimento di ogni piano carceri e di ogni politica degli annunci. Anche perché se non c’è il personale per aprirle queste nuove galere o semplicemente i nuovi padiglioni di quelle esistenti, di che si sta parlando? A Spinazzola in provincia di Bari, ad esempio, c’era un carcere modello per detenuti per reati di violenza sessuale: l’ultimo atto dell’ex ministro Alfano è stato quello di chiuderlo per insufficienza di personale. Peraltro, la proposta di amnistia di Pannella, quella originaria di oltre un anno fa, è stavolta subordinata alla riparazione del danno verso la vittima del reato ove essa esista. E per una vecchietta truffata della pensione il rientro economico è sicuramente meglio della “certezza della pena” contro un ladruncolo qualsiasi. Poi bisognerà mettere mano alle riforme: obbligatorietà dell’azione penale e nuovo codice penale in senso decarcerizzante, come ha auspicato il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo (proprio nel convegno in cui Napolitano ha tuonato in quella maniera). Anche se il tutto è stato assai sottovalutato dalla tv di stato, a proposito di “informerai”. Nitto Palma da parte sua ha impostato la cosa in maniera diversa: prima facciamo le riforme del codice penale e sistemiche, in senso di depenalizzazione e decarcerizzazione, e poi l’amnistia. Eventualmente. Ma Pannella ha fatto l’esempio del divorzio: “anche all’epoca ci dicevano di accontentarci, magari del divorzio per solo chi avesse contratto matrimonio civile e non in chiesa, per non dare fastidio alla curia e al Vaticano, ma si trattava dell’1% delle popolazione e se ci fossimo accontentati oggi non ci sarebbero né il divorzio, né la riforma del diritto di famiglia, né la legge sull’aborto”. Per Pannella, “le posizioni sono note: secondo noi l’amnistia è l’unica indicazione e ipotesi per far decollare una riforma della giustizia, l’unico strumento inventato per potere procedere a una riforma complessiva. Sarà necessario dopo 30 anni un dibattito democratico sul problema della giustizia, riteniamo che il tema trainante dell’amnistia sia opportuno e necessario”. Il provvedimento, con annesso indulto, servirebbe più ai magistrati per sfoltire un arretrato che altrimenti rischia di sommergerli, che ai detenuti. Un arretrato che potrebbe continuare altrimenti a “regalare” 170 mila o 200 mila prescrizioni l’anno. In pratica un’amnistia di classe, legata alla possibilità di permettersi avvocati che sappiano come dirigere un vero e proprio gioco di melina con l’amministrazione della giustizia. Ma il non detto di tutta questa storia della sovrappopolazione carceraria (a parte le leggi dannose come le Bossi Fini sugli extra comunitari, la Fini Giovanardi sulla droga e la ex Cirielli sulla recidiva reiterata) è che in questo “cul de sac” la classe politica italiana ci si è messa da sola. Questo allorché, sull’onda giustizialista dei primi anni 90, ha votato la riforma costituzionale che ha fatto salire a due terzi dell’intero Parlamento la maggioranza con cui si possono approvare provvedimenti di clemenza. L’ha fatto per dimostrare di “non essere casta” e di “non cercare l’impunità”, ma ha combinato un casino. Perché la casta è rimasta tale e ha trovato altre maniere di farla franca, comprese leggi ad personam, la prima fu varata dalla sinistra, che depenalizzò l’abuso d’ufficio per salvare le terga a Scalfaro dallo scandalo del Sisde. Ma a rimetterci, in quella severità di facciata, sono stati come al solito i poveri Cristi. “Stracci che sono volati”. Talvolta in cielo, con una corda fatta di lenzuola attorno al collo. Dal 1992 a oggi più di 1.100. In più mettiamoci i tentati suicidi, circa 15mila, nello stesso periodo di tempo. Giustizia: Radicali; anche direttori delle carceri in sciopero della fame il 14 agosto Agi, 11 agosto 2011 Uno sciopero della fame e della sete di 24 ore per protestare contro il sovraffollamento delle carceri italiane. All’iniziativa dei Radicali, “Ferragosto in carcere”, prevista per il 14 agosto, parteciperanno anche alcuni direttori degli istituti penitenziari. Oltre al presidente del sindacato dei direttori delle carceri italiane, Leo Beneduci, in Toscana ha già dato la sua adesione il neo direttore del carcere di Livorno, Ottavio Casarano. Inoltre, per tutto il mese di agosto i Radicali visiteranno gli istituti della penisola, senza preavviso. L’evento è stato presentato questa mattina a Firenze dalla senatrice dei Radicali Donatella Poretti, il senatore radicale Marco Perduca, da Massimo Lensi, consigliere Pdl della Provincia di Firenze, e da Maurizio Buzzegoli, vicesegretario dell’Associazione radicale fiorentina “Andrea Tamburi”. Promotore dello sciopero è Marco Pannella, che ha già affrontato 90 giorni di sciopero della fame (5 dei quali della sete) per risolvere la questione del collasso del sistema penitenziario italiano. “Sono più di 500 i cittadini che parteciperanno al Satyagraha, lo sciopero della fame e della sete, perché il parlamento si riunisca prima dell’inizio di settembre per discutere della situazione della giustizia - ha spiegato il senatore Perduca. Noi siamo sempre convinti che l’amnistia e l’indulto siano dalle condizioni necessarie per arrivare alla riforma giustizia. A seguire, la depenalizzazione e l’applicazione di pene alternative fino ad arrivare ad una politica diversa”. In Toscana, denuncia ancora il senatore radicale, “ci sono 17 istituti con solo 10 direttori. C’è una disattenzione politica, anche da parte del presidente della Toscana Enrico Rossi: tante parole ma pochi fatti. Non chiediamo la costruzione di nuove carceri, ma lo stanziamento dei fondi. Con i tempi che corrono si trovano sempre i soldi quando ce ne è bisogno, se si riuscisse a contenere la spesa della mala politica sicuramente si troverebbero i soldi per pagare i direttore delle carceri e della polizia penitenziaria”. In Toscana, nei 17 istituti, ci sono attualmente 4.386 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 2.883. E per domani, anniversario della Liberazione di Firenze, il consigliere Lensi lancia un appello al sindaco Matteo Renzi: “Chiedo al primo cittadino di fare un canno, durante il suo discorso di domani, alla convocazione straordinaria del Parlamento per discutere della situazione delle carceri”. Giustizia: Osapp; organici agenti ridotti, necessaria ripartenza… sì a amnistia Tm News, 11 agosto 2011 “Anche per la polizia penitenziaria, come per l’intera istituzione penitenziaria, è necessaria una ripartenza immediata”. Ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria che aderisce all’iniziativa radicale del 14 agosto per la convocazione straordinaria del Parlamento sul problema delle carceri. “L’organico di polizia penitenziaria di 44.620 unità è stato fissato nel ‘92 - afferma Beneduci - quando i detenuti erano meno di 40mila e mai più modificato, mentre oggi, con 67mila detenuti presenti, sono in servizio 39.500 poliziotti penitenziari, ovvero meno di quando, con l’indulto del 2006, i detenuti erano scesi a 35mila. Escluse le 7mila unità del servizio delle traduzioni, le 900 degli istituti minorili e le 600 del Gruppo operativo mobile, non oltre 20mila sono i poliziotti penitenziari impiegati nei servizi operativi e a contatto con i detenuti che, considerati turnazioni, congedi, riposi e assenze a vario titolo, rendono un rapporto quotidiano nelle aree detentive di un agente ogni 20 ristretti, che nei servizi notturni e festivi raggiunge la cifra di 1 ogni 50 e, persino, di 1 ogni 100”. Per il segretario dell’Osapp, “oltre all’aumento dell’organico, ciò che rende indispensabili interventi di carattere politico sono il ruolo, le funzioni e l’organizzazione del Corpo che datano anch’essi agli anni ‘90 e che non corrispondono più alle incombenze a cui è addetto il personale. Dalle funzioni di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza e polizia stradale, esercitate nella generale disattenzione, alle attività di reinserimento sociale dei detenuti svolte senza riconoscimenti, dal riallineamento con gli altri corpi all’istituzione di una direzione generale specificamente dedicata, sono molte le situazioni da migliorare, in cui vorremmo vedere coinvolto il ministro Palma sino a portare la polizia penitenziaria, grazie ai rinnovamenti indotti da amnistia e indulto, ad essere il corpo di polizia altamente specializzato e dedito alla pacificazione sociale di cui le carceri e il Paese hanno estremo bisogno”. Giustizia: Uil a Nitto Palma; bene sua visita a Regina Coeli senza telecamere Dire, 11 agosto 2011 “Condivido ed apprezzo la decisione del ministro della Giustizia Nitto Palma di visitare Regina Coeli il giorno di Ferragosto senza telecamere al seguito. Si tratta di una decisione sensata che non rischia di ammantare di opportunismo spicciolo un doveroso atto di vicinanza ad un mondo, quello penitenziario, sempre più marginalizzato e dimenticato. Mi permetto, però, di suggerire al ministro di effettuare, per il futuro, le visite in carcere senza alcun preavviso. Solo in tal modo potrà rendersi conto della dura e cruda realtà. Quando le visite si annunciano, infatti, in carcere tutto luccica, tutto funziona e persino il personale (semmai distratto dai pochi giorni di ferie) è in numero sufficiente. In modo ipocrita, quindi, in queste occasioni ufficiali e organizzate si tende a nascondere la verità, quando essa dovrebbe essere mostrata in tutta la sua crudele inciviltà”. Così il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, commenta l’annunciata visita, senza telecamere al seguito, di Nitto Palma al carcere romano di Regina Coeli. Continua la nota del rappresentante sindacale: “Salire gli scalini di Via della Lungara per il ministro Palma significherà toccare con mano il disagio, il degrado, la sofferenza e la disumanità, anche se a Regina Coeli la situazione è ben migliore di molti altri istituti penitenziari italiani. Auspico che nell’animo, oltre che nella mente, del neo ministro della Giustizia si affermi la necessità e la priorità di un percorso deflattivo che ridia possibilità all’istituzione penitenziaria di assolvere al mandato che le assegna la Carta Costituzionale. Abbiamo più volte indicato la questione penitenziaria come una vera questione sociale”. “Oggi- prosegue la nota- lo riaffermiamo anche alla luce dei numeri di questo 2011: 67mila detenuti a fronte di un massimo di 43mila posti, 41 suicidi in cella, più o meno 600 tentati suicidi, circa 3000 atti di autolesionismo grave, 250 agenti penitenziari aggrediti e feriti (con prognosi superiore ai cinque giorni) da detenuti violenti. Ma c’è una parte - sottolinea Sarno - dell’universo penitenziario che è ancor più marginalizzata e dimenticata : è il sistema penale della Giustizia Minorile”. “Per questo il prossimo Ferragosto - spiega Sarno - sarò in visita all’Istituto Penale per Minori di Casal del Marmo (Roma). Un modo per essere vicino ad eccellenti operatori penitenziari ma anche un tentativo di riproporre all’attenzione generale la Giustizia Minorile e la sua storia ed esperienza penitenziaria”. Per qualche anno il giorno di Ferragosto è stata la giornata delle visite in carcere da parte dei politici. Per la Uil-Pa Penitenziari è una esperienza tramontata ed inutile da riproporre. Nel contempo invita il Ministro Palma ad un incontro con le OO.SS. da tenersi il giorno di Ferragosto “Da moltissimi anni noi della Uil a Ferragosto andiamo nelle carceri in segno di vicinanza al nostro personale. Due anni fa - ricorda il Segretario della Uil-Pa Penitenziari - abbiamo convintamente co-organizzato con il Partito Radicale il “Ferragosto in Carcere”, illudendoci che il contatto con la realtà penitenziaria potesse smuovere la coscienza della politica. Purtroppo, come conferma il silenzio e la staticità dei politici, quella esperienza, organizzata con speranza ed entusiasmo, null’altro è stata che una mera passerella sulla spalle del disagio e del dolore. Giusto non riproporla. Però non possiamo restare anche noi stessi fermi”. Per questo “ho aderito e firmato l’appello di Marco Pannella per una convocazione straordinaria del Parlamento sulla questione Giustizia e carceri. Non basta più solo alimentare la speranza : occorre trovare soluzioni possibili e praticabili. Non si può immaginare di tenere ancora in piedi l’intero sistema penitenziario solo grazie ai sacrifici del personale. La polizia penitenziaria, a cui si negano persino le competenze economiche, per garantire i servizi minimi è costretta a rinunciare a gran parte delle ferie e subire raddoppi di turni e carichi di lavoro. Noi vorremmo un confronto con il ministro per offrire con spirito collaborativo la nostra esperienza, la nostra conoscenza e la nostra competenza”. Conclude Sarno: “Siamo pronti ad incontrarlo anche nel giorno di Ferragosto. Sarebbe il più credibile dei messaggi - chiude Eugenio Sarno - che il ministro Palma potrebbe inviare a tutto il personale penitenziario”. Giustizia: Moretti (Ugl); bene apertura Guardasigilli sulle riforme Italpress, 11 agosto 2011 “Approviamo la volontà riformatrice manifestata dal ministro della Giustizia nel corso dell’incontro con il leader dei Radicali e speriamo che al confronto seguano presto misure concrete e tempestive in favore del personale di Polizia Penitenziaria e per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, sottolineando come “i provvedimenti discussi oggi, quali il ricorso ad un’amnistia, non possono far dimenticare che il sistema penitenziario necessita di risorse straordinarie per la sua messa in regola che, secondo l’Ugl, dovrebbero essere reperite con fondi europei speciali e attingendo dai beni sequestrati alla criminalità organizzata, escludendo l’amministrazione penitenziaria dai tagli lineari della manovra economica”. “Dopo l’esito dell’incontro di oggi - prosegue il sindacalista - auspichiamo ad un’apertura del ministro Nitto Palma verso ulteriori confronti. In tal proposito, l’Ugl è pronta a collaborare per la ricerca della migliore soluzione ai problemi del sistema penitenziario e del Corpo, a cui andrebbe riconosciuto molto più di un semplice incentivo economico, che pure tarda ad arrivare. Sarebbe necessario - conclude Moretti - riconoscere alla categoria la caratteristica del lavoro usurante, in modo da garantire agli agenti un percorso agevolato di accesso alla pensione, essendo chiaro il disagio lavorativo che vivono ogni giorno per il grave carico di lavoro”. Giustizia: Sidipe; lettera aperta alle colleghe ed ai colleghi dirigenti penitenziari di Enrico Sbriglia (Segretario Nazionale Si.Di.Pe.) Comunicato stampa, 11 agosto 2011 Ho aderito anch’io, superando le riserve più diverse, scrollandomi la titubanza di chi teme l’inganno nascosto dietro il gesto che pare nobile, all’appello lanciato da quella ierofania politica rappresentata da Pannella, con il suo profilo appuntito man mano che si leggono sui muscoli facciali gli effetti di uno sciopero della fame e della sete con il quale gareggia da tanto tempo. Ho aderito come cittadino all’iniziativa del 14 agosto, al Satyagraha per le Carceri e la Giustizia, come chiunque altro non si voglia piegare al sopruso del più forte o astuto che irrompe nella propria vita non rispettando le regole convenute, le regole che stabiliscono i limiti suoi e miei, i suoi diritti ed i miei doveri e viceversa. Ho aderito anche come singolare sindacalista, il quale insieme ad altre e altri come lui, non ha abbandonato il quotidiano lavoro dentro le carceri e che tenta ostinatamente di tutelare i propri colleghi, all’interno di un sindacato privato di diritti ma che continua, ciononostante, ad esistere, a crescere, a combattere; un sindacato di direttori penitenziari che credono nelle cose che fanno o provano a fare: cultura della legalità, sicurezza trattamentale, sicurezza viva e duratura, nonostante tutto, anzi nonostante niente, perché niente ci stanno riservando in carceri private oramai di tutto, private di risorse umane, di quanto occorra per la loro manutenzione ordinaria che si trasforma giorno dopo giorno in un bisogno di risorse straordinarie e pertanto impossibili da ricevere, mentre blaterano di realizzare nuove carceri... Carceri virtuali, “The second jail”, parafrasando “The second life” di internet: senza direttori penitenziari e degli uffici dell’esecuzione penale esterna, senza agenti; carceri virtuali senza psicologi, senza educatori, senza assistenti sociali, senza fax e telefoni, senza idranti e sistemi di raffrescamento dell’aria, senza automezzi, senza medici ed infermieri, senza cortili passeggi e senza caserme, senza aria, senza colori, senza laboratori professionali e scuole… ma con i detenuti, di tutte le razze, di tutte le lingue e vernacoli del mondo, di tutte le povertà, di tutte le malattie, di tutte le droghe, di tutte le pazzie, di tutti gli autolesionismi, di tutto ciò che non si riesce a governare con il buon esempio, con il rispetto delle regole, con la scuola ed il lavoro, con la medicina che non si arricchisce, con le leggi fatte per gli uomini e non contro di essi. Care colleghe, cari colleghi, stanno portandoci, consapevolmente o meno, in un vicolo cieco, in un modello di carcere ben diverso da quello in cui, con tutti i distinguo del mondo, pure credevamo: il carcere della segregazione, dell’odio e del pianto, della vendetta di stato, delle trame, della commistione tra grande criminalità e terrorismo… Per questo ho aderito, a titolo personale perché mai mi permetterei di decidere per altre persone libere come Voi siete, all’appello di Rita Bernardini e di Marco Pannella e dei numerosi altri, tanto diversi da me sul piano delle idee politiche e sociali, ma convinti sostenitori della legalità. Non mi interessa sentire che il numero dei suicidi in carcere dei detenuti è in linea con quello di altri Paesi europei, sono questi dei meschini confronti al ribasso, sono la riprova che abbiamo smarrito il nostro modo di essere e fare carcere e sicurezza, che non ci ispiriamo più alle idee di Nicolò Amato e di Mario Gozzini, e non saranno modeste e velleitarie disposizioni di quanti non conoscono il carcere e la sua complessità a cambiare in meglio lo stato delle cose. Non si tratta, infatti, di “aprire le celle” o portare “ghiaccio” ai detenuti per risolvere una quotidianità dove il fuoco che si porta dentro si vorrebbe spegnere attraverso rimedi maccheronici, si tratta invece di affrontare con una strategia di sistema il problema dell’esecuzione penale in Italia e capire se la strada ottusamente sicuritaria che alcuni proclamano possa, invece, essere invertita proprio per fare una sicurezza duratura e capace di guardare lontano ed autoalimentarsi, evitando gli “scoppi” differiti, una volta che il detenuto abbia terminato la pena o sia stato, comunque, rimesso in libertà. In un sistema così come è stato delineato dal nostro legislatore costituzionale e dalle riforme penitenziarie susseguenti, i suicidi non possono trovare cittadinanza, se non in termini straordinari ed eccezionali, ancor di più quelli che hanno riguardato, in questi anni, gli operatori penitenziari, agenti e direttori compresi. La presenza costante di suicidi mostra che non siamo più il modello che conoscevamo, costretti ad allinearci con Paesi come la Francia ed altri. La nostra stessa situazione di dirigenti “sans papier”, senza contratto, è una ulteriore prova di come si punti su altri modelli dove si possa fare a meno dei direttori d’istituto e di Uepe e occorre riconoscere come pochi politici abbiano intuito questo pericolo di riduzione, per implicazione, di legalità. Così come deve far pensare il fatto che non si assumano agenti di polizia penitenziaria in numero congruo, soprattutto se si intendono realizzare nuovi istituti penitenziari, idem per tutte le altre importanti figure professionali. Quanto sta accadendo a Londra in questi giorni deve farci riflettere: migliaia di giovani armati di mazze, pietre e speranze precarie esternano la loro rabbia e la risposta, come al solito, più facile, è quella “secca” securitaria, in risposta alle loro violenze. Le carceri potrebbero essere non così diverse; finora siamo riusciti, non rinunciando a spiegare le nostre difficoltà sia alle persone detenute che ai nostri operatori penitenziari, a far comprendere che il degrado, la povertà in cui versano le prigioni, la difficoltà ad offrire le minime risposte in termini di cure mediche, di assistenza essenziale, di supporto al disagio di chi è prigioniero, ancorché indagato o condannato, non dipende dalla nostra buona volontà; speriamo di riuscirci ancora almeno per salvarci moralmente, almeno per non rivedere scene che quanti hanno la mia età ancora ricordano: quando esplodere dei colpi verso un operatore penitenziario era il modo di manifestare rabbia e rancore verso uno Stato che si riteneva ingiusto. Anche per questo ho aderito all’iniziativa di Pannella & altri: non potevo fare altrimenti nei riguardi di quanti hanno mostrato di comprendere le nostre difficoltà e hanno spiegato ai detenuti, ai loro familiari, all’opinione pubblica, a coloro che osservano il mondo delle carceri, che non avevamo dirette responsabilità e che non volevamo essere ridotti al silenzio: prigionieri a nostra volta di governi che ci avevano abbandonati, impedendoci di fare, come invece vorremmo e con tutte le nostre forze, quanto avremmo voluto e quanto le norme internazionali e costituzionali ci impongono. Scusatemi per il tempo che Vi ho sottratto, ma volevo provare a spiegarmi per quanto non abbia il dono della sintesi, oltre che per offrire una risposta ai tanti colleghi che mi stanno chiedendo notizie in merito, mentre contestualmente aderiscono all’iniziativa di denuncia ed indignazione civile. Giustizia: Laboccetta (Pdl); dopo Regina Coeli Palma visiti anche carcere Poggioreale Il Velino, 11 agosto 2011 “Apprendo con soddisfazione che il nuovo Guardasigilli Francesco Nitto Palma il 15 agosto visiterà il carcere di regina Coeli a Roma. Spero che subito dopo quella visita il ministro vorrà concedermi l’onore, il privilegio ed il piacere di visitare insieme il carcere di Poggioreale, l’istituto che da sempre detiene il record negativo del sovraffollamento”. Lo dichiara Amedeo Laboccetta, deputato napoletano Pdl, componente della Commissione parlamentare Antimafia. “Poggioreale - ricorda - è da anni al limite dello stremo ospitando ormai regolarmente almeno il doppio di detenuti rispetto alla sua capienza, oggi siamo a circa 2.800 reclusi, e dove soltanto l’altissima professionalità ed umanità del personale direttivo e di custodia impediscono vere e proprie tragedie”. “Il ministro - dice l’esponente del Pdl - si renderà conto di quanto sia assolutamente necessario nell’immediato garantire le risorse finanziarie per elevare gli standard di vivibilità in molti dei suoi padiglioni. Costantemente registro durante le mie visite ispettive in quel carcere la necessità di interventi, talvolta anche minimi ed a basso costo, attraverso i quali - conclude Laboccetta - è possibile migliorare una condizione carceraria che non ha eguali in Europa”. Lettere: mio figlio è morto di malagiustizia… la Mamma di Fabrizio www.linkontro.info, 11 agosto 2011 Sono una mamma e ho da poco perso mio figlio, morto suicida appena un mese fa. Non avrei creduto che potesse capitarmi una cosa del genere e, soprattutto, fino a un anno fa credevo nella giustizia e nei giudici. Oggi quella fiducia non c’è più e guardo con occhi diversi le vicende di chi, come noi, si è trovato e si trova ad affrontare un procedimento giudiziario in cui ricopre, suo malgrado, la veste di imputato. Voglio raccontarvi di mio figlio: 30 anni bello, dolce e pieno di speranze, come lo sono i giovani della sua età. La sua vicenda giudiziaria inizia quando, una mattina di luglio di un anno fa, viene arrestato con l’accusa di traffico di marijuana. Viene condotto prima presso la casa circondariale di Regina Coeli e poco dopo trasferito in un nuovo carcere, dove resterà per tre mesi e mezzo, in condizioni degradanti e di sovraffollamento, tipiche delle nostre patrie galere! Le accuse, pesanti come un macigno, tengono mio figlio in carcere in stato di custodia cautelare e senza alcuna possibilità di accedere agli arresti domiciliari, per la forte convinzione del pubblico ministero del suo coinvolgimento nella vicenda. Le prove a carico sono esigue, solo due intercettazioni telefoniche, non sul suo telefono, bensì su quello di altri due imputati, i veri artefici delle condotte illecite, che nei loro discorsi sostenevano che mio figlio dovesse loro dei soldi: secondo la logica dell’accusa queste prove bastavano e avanzavano! Mio figlio, suo malgrado, conosceva gli altri imputati e con loro aveva organizzato degli eventi estivi, ma non aveva intrattenuto alcun genere di altri rapporti, infatti, poco dopo, ne aveva preso le distanze, ma ciò non è bastato e non lo ha salvato dal calvario che da lì a poco avrebbe patito. L’accusa sin dalle prime fasi del procedimento non ha sentito ragioni: il magistrato ha mantenuto per mesi un ragazzo incensurato, un ragazzo con spiccati riferimenti famigliari e culturali, in stato di custodia cautelare senza mai interrogarlo, stante le richieste della difesa, ha respinto ogni richiesta presentata dai legali di attenuazione della misura, sino a quando, pur di tirarlo fuori da quella prigione - come è nel gioco della forza delle parti e del potere - lo abbiamo convinto a patteggiare; lui non voleva farlo, ha accettato solo per noi. Pensavamo che il peggio fosse passato, speravamo che i tempi del procedimento fossero più ragionevoli, a maggior ragione dopo la definizione del processo, ma ci sbagliavamo ancora una volta. Il nostro ragazzo doveva accedere alla misura alternativa dell’affidamento in prova e vi erano tutti i presupposti perché il tribunale competente la concedesse. Ogni giorno, dagli uffici interpellati, le risposte erano sempre le stesse: bisognava aspettare, nonostante vi fosse sentenza, perché il fascicolo passasse dal giudice di cognizione al Tribunale di Sorveglianza e intanto i giorni si consumavano lentamente, solo per ricevere la notifica dei provvedimenti. Nell’era dei computer e della velocità informatica, impiegavano settimane e mesi per passare da un ufficio all’altro e da un tribunale all’altro. Dall’uscita dal carcere al giorno del suo suicidio sono trascorsi 5 mesi e mezzo (pazzesco, vero?); soltanto per la formalizzazione della sua condanna sono passati 3 mesi e intanto mio figlio scalpitava in casa, deprimendosi, perché vedeva allontanarsi sempre più la possibilità di quella libertà, anche parziale, che gli avrebbe consentito di tornare a fare una vita “passabile”: la sua casa, il suo lavoro, la sua fidanzata che adorava. Potete pensare che un ragazzo così, pieno di vita e di entusiasmo, potesse sopportare tutto questo? No, soprattutto se sa di essere innocente. Non ce l’ha fatta. Se n’è andato da solo, una mattina, nel modo più terribile, lasciandoci allibiti e disperati, perché, sapete, per quanto noi genitori abbiamo cercato di fare tutto il possibile per lui, i sensi di colpa ci attanagliano, primo fra tutti quello di non avere capito che non ce la faceva veramente più. La pena dovrebbe, come è nello spirito delle leggi, avere la funzione e il compito di recuperare e riabilitare le persone, dare la possibilità a chi ha subito una condanna di riscattare la sua vita e reinserirsi nella società civile ed il carcere è l’extrema ratio e non, come accade oggi, la soluzione. Il processo dovrebbe essere giusto, equo e ragionevole, le lungaggini giudiziarie e i farraginosi iter burocratici, che richiamano vicende dal tratto kafkiano, finiscono nella realtà per colpire i malcapitati che si ritrovano in carcere da innocenti. Storie di ordinaria ingiustizia in cui è caduto mio figlio che ben avrebbe potuto provare la sua innocenza nel processo, ma la minaccia di restare in carcere sino al processo, e forse per tutto il tempo di durata del dibattimento, ci ha fatto desistere e preferire “un accordo” con la pubblica accusa. Così mi chiedo, da adulta, cittadina e madre: è questo il modo per recuperare un ragazzo, ammesso anche che abbia delle colpe? Perché chi giudica non riesce a guardare, come dovrebbe essere, chi ha di fronte, a indagare sulle qualità personali, sul carattere e su tutto ciò che necessita per definire il profilo di un individuo? Il diritto richiede simili analisi e chi giudica dovrebbe attenersi a tali principi, principi giusti e inviolabili, necessari per contraddistinguere un ordinamento democratico e garantista. Questa lettera di protesta non mi restituirà mio figlio ma spero almeno possa servire a muovere le coscienze. Lettere: il carcere e la dimensione “redentiva” di Renato Pilutti Messaggero Veneto, 11 agosto 2011 Una rubrica di “Gente e lavoro”, di mestieri e vicende, di vite individuali e collettive, di aziende e cambiamenti epocali dell’economia, di stili di direzione e di qualità diverse del lavoro: questo raccontiamo da qualche anno al gentile lettore. Ma le vite nostre sono complesse e strane, o forse provvidenziali. Capita dunque di frequentare non soltanto aziende di produzione e commerciali, o imprese di servizi del terziario avanzato, enti locali e scuole, ma anche carceri, dove lavorano molte persone per custodirne altre. In questo caso, dove focalizziamo la nostra attenzione, sulla “gente” o sul “lavoro”? Su ciò che la gente fa o su come vive? Perché delle due specie di esseri umani presenti, soltanto una lavora, quella degli agenti di custodia. I carcerati raramente lavorano, se non in piccoli servizi ausiliari: mensa, biblioteca, giardinaggio... Poco della dimensione che si dice “redentiva” o di recupero mediante il lavoro si cura in Italia. A fronte di 43.000 posti nelle case circondariali (eufemismo per dire “carcere”) vi sono 67.000 reclusi. Gli agenti sono meno di 40.000, stressati e stanchi. E i carcerati anche. Non è in questione l’obbligatorietà morale della pena, la sua dimensione afflittiva: è in gioco la qualità etica di uno “stato di diritto”. Pannella non ha torto con le sue ricorrenti battaglie per un carcere più umano. L’Italia è uno “stato di diritto”, e fa bene a conservare un ordinamento severo per chi commette crimini e delitti, anche se non sempre i colpevoli sono puniti. Ma non deve continuare ad aggiungere ulteriori afflizioni alla pena che già il giudice ha stabilito, con il sovraffollamento delle carceri e le angherie decise talvolta in sovrappiù dall’amministrazione carceraria. So di casi in cui la direzione ha fatto portare via i libri al carcerato, senza ragioni plausibili. Ne ho esperienza diretta. Visito da anni, infatti, una persona che conosco da quando ero ragazzo, e ora sta scontando l’ergastolo. È “dentro” da quasi trent’anni. Sono il suo tutore legale e chiedo sia considerato, come gli altri reclusi, ancora una persona. Persona come gente che lavora, o persona che potrebbe voler lavorare ancora, magari avendo una seconda opportunità, dalla vita. Lettere: sette anni fa la morte di Camillo Valentini nel carcere di Sulmona di Alessio Di Carlo Il Centro, 11 agosto 2011 Signor direttore, ho aderito, quale responsabile di giustiziagiusta.info - una testata on line dedicata ai temi della politica giudiziaria e dei diritti civili - alla giornata di sciopero totale della sete e della fame indetta da Marco Pannella e dai Radicali per domenica prossima, 14 agosto, per sollecitare la convocazione straordinaria del Parlamento per affrontare con forza e determinazione il dramma carcerario che quotidianamente si consuma e una riforma della giustizia che da troppi decenni si attende. Per pura e drammatica coincidenza, questa giornata cade nell’anniversario del suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, arrestato alla vigilia di ferragosto di sette anni fa mentre era in vacanza con la famiglia a Francavilla al Mare. Il sindaco Valentini non resse il peso delle accuse, rivelatesi del tutto infondate dopo diversi anni, e due giorni dopo l’arresto si suicidò nella casa circondariale di Sulmona, dando avvio alla drammatica stagione di morti violente avvenute in quell’Istituto nel corso di questi anni. Anche per questo motivo ho sollecitato gli organi regionali alla istituzione della figura del Garante dei detenuti, ricevendo rassicurazioni in tal senso alle quali però, purtroppo, a tutt’oggi non è stato dato ancora seguito. Ecco perché questa giornata assume nella nostra Regione un significato particolare, per affrontare quella che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha definito “Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, ma anche per tener viva la memoria di Camillo Valentini e di tutti coloro che, come lui, finiscono nelle maglie della giustizia ingiusta. Campania: il sovraffollamento e la carenza d’organico è un’emergenza continua www.caserta24ore.it, 11 agosto 2011 Il tema del sovraffollamento delle carceri torna prepotentemente alla ribalta anche nella regione Campania. Ad affermarlo è il neo segretario nazionale del Lisiapp Luca Santin, che sottolinea, lo stesso guardasigilli che è il magistrato Nitto Palma ha dichiarato che occorre impegnarsi per depenalizzare i reati minori. È difficile, oggi, anche per chi ha minore sensibilità sul tema, negare che il carcere, in Campania, come nel resto dell’Italia, stia attraversando una fase di grande emergenza. È difficile perché questo stato è stato ufficialmente proclamato dal Governo e perché i numeri, le storie e le testimonianze, raccontano di una situazione che va ben oltre il senso. Dati alla mano, -esordisce Santin - al 31 giugno 2011, in Campania sono 8061 i detenuti reclusi su una capienza totale di 5593 di cui 352 donne e 979 stranieri. 4298 il totale degli imputati, 3341 condannati in via definitiva, 1899 tra condannati in primo e in secondo grado e 2399 quelli in attesa di primo giudizio. Ma, continua il Segretario nazionale Lisiapp , vediamo nel dettaglio alcuni dati che riguardano gli istituti penitenziari più importanti in Campania, provincia per provincia. L’istituto di Bellizzi Irpino ospita 529 detenuti su una capienza di 407. Non va meglio per Benevento, dove, presso il Carcere di Capodimonte, attualmente ci sono 417 reclusi a fronte dei 277 ospitabili. Salgono di molto i numeri a Santa Maria Capua Vetere dove sono 921 i presenti su una capienza di 547. Male anche per Poggioreale dove i detenuti ospitati sono 2.763 ma dovrebbero essere solo 1.679. Infine, altro carcere campano che vive il fenomeno del sovraffollamento è quello di Secondigliano dove attualmente sono 1395 i detenuti che vi risiedono a fronte di una capienza pari a 988. La preoccupazione per questo stato di cose - rimarca Santin, si ripercuote sistematicamente sull’operato della polizia penitenziaria chiamata a svolgere un compito gravoso, fronteggiare l’emergenza carceri in prima linea. A ciò molti poliziotti sono oggetti di numerose aggressioni, l’ultima in ordine di tempo nella struttura di Carinola. In quest’ultimo caso, nell’istituti di Carinola oltre a vivere una situazione emergenziale alla pari degli altri istituti campani, l’aggressione all’appartenente della polizia penitenziaria è stata ad opera di un recluso ex art. 416bis dove ha violentemente scagliato un bastone sul viso del povero poliziotto. La situazione di tensione che si sta determinando in molti istituti penitenziari del Paese, fatta di aggressioni a personale di Polizia Penitenziaria, risse e manifestazioni di protesta dei detenuti, tentati suicidi e suicidi nelle celle rischia di degenerare. Credo quindi conclude Santin che ci voglia l’impegno serio di tutte le istituzioni politiche e sociali, e non si possa perdere ulteriore tempo ma si debba prevedere interventi urgenti e non più procrastinabili nel sistema penitenziario italiano. Campania: caos carceri, ma ci sono anche buoni esempi… di Antonio Mattone (Comunità di Sant’Egidio) Il Mattino, 11 agosto 2011 Come ogni anno, in piena estate, viene alla ribalta il tema delle condizioni di vita nelle carceri. Tra sovraffollamento e alte temperature che si registrano all’interno delle celle, la vita di chi è recluso si fa davvero dura. Ma bisogna dire che il disagio per i detenuti italiani non dura solo nella stagione estiva, ma per tutti i 365 giorni dell’anno. A Napoli si trova il più grande carcere d’Europa che potrebbe ospitare 1.400 persone ma che ne contiene il doppio, sia d’estate che d’inverno. Quest’anno è intervenuto anche il Presidente della Repubblica, che con un autorevole intervento ha definito quella delle carceri italiane “una realtà che ci umilia in Europa e che ci allarma perla sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani in condizioni che definire disumane è un eufemismo”. Nelle ultime settimane, inoltre, è stata promossa da parte di esponenti della società civile e del mondo politico e sindacale una campagna per chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Gli Opg, come sono comunemente definiti, scaturiscono dalla legge 180 che disponeva la chiusura dei manicomi criminali, ma che ha lasciato aperte queste strutture dove sono rinchiusi coloro che commettono reati e che hanno rilevanti patologie psichiatriche. In Italia, attualmente, ce ne sono 6 dove sono internate circa 1600 persone. Due di queste sono in Campania, ad Aversa e a Secondigliano, coinvolgendo così in modo significativo la nostra regione. Ma come è cambiata la situazione dei detenuti dalla scorsa estate? Apparentemente sembra essere rimasta identica. Nelle carceri campane il numero dei reclusi presenti è rimasto pressoché identico a quello dell’estate scorsa. Mentre la cosiddetta legge “svuota carceri” che sembrava promettere grandi riduzioni della popolazione carceraria non ha inciso come ci si attendeva. Basti pensare che in Campania ha prodotto poco più di 250 scarcerazioni. Ma c’è un aspetto che mi sembra di grande rilevanza e di cui poco o niente si è parlato e che riguarda gli Opg campani. Ebbene dall’estate scorsa ad oggi gli internati presenti nelle strutture della regione sono passati da oltre 400 a poco più di 300 con un riduzione di circa il 25%. Questo sorprendente risultato è uno dei frutti dell’applicazione nella Campania della riforma che dispone che la cura della salute delle persone detenute passi dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale. Questa legge prevede che gli internati, per cui sono cessate le misure di sicurezza, siano presi in carico dai servizi territoriali e lascino gli Opg che sono così destinati ad una graduale chiusura. Tra questi alcuni anziani, che dimenticati da tutti, hanno potuto finalmente lasciare l’Opg ed andare in strutture residenziali. Questo risultato è ancora più importante se si tiene conto che la popolazione in Opg è sempre più costituita da persone provenienti da strutture carcerarie, cioè sono il prodotto del sistema penitenziario che invece di rieducare provoca squilibri di natura psichiatrica a chi vi entra. Solo per fare un esempio, nell’Opg di Aversa senza questa tipologia di persone sarebbero presenti solo un centinaio di internati. Insomma la Campania, almeno in questo settore, è all’avanguardia rispetto alle altre regioni italiane e sta contribuendo in modo silenzioso ma sostanziale al processo che nel giro di pochi anni porterà alla dismissione degli Opg. Io credo che per vedere qualche risultato che migliori la condizione di chi è detenuto non basti visitare le carceri il giorno di Ferragosto, ma occorra fare molto di più. Bisogna impegnarsi per promuovere interventi legislativi che depenalizzino alcuni reati come quello di clandestinità, si deve cercare di incrementare il lavoro all’interno delle carceri, bisogna favorire il ricorso a misure alternative che statisticamente si sono rivelate vincenti. E per fare tutto questo bisogna investire risorse, senza suscitare paure nell’opinione pubblica. Perché una società più sicura si otterrà solo se chi esce dal carcere diviene una persona con delle prospettive, con dei legami diversi da quelli con il mondo della delinquenza. Chi frequenta le carceri tutto l’anno sa come questo sia possibile. Alla fine di giugno ho partecipato ad una gita al mare, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, con un gruppo di internati dell’Opg di Secondigliano. Grazie alla presenza degli operatori dell’Asl e alla generosità di una famiglia di ristoratori che ci ha accolto nel grazioso ristorante della baia di Puolo è stato possibile trascorre una giornata davvero memorabile. C’era chi non faceva il bagno da oltre 20 anni. Quella corsa verso il mare appena arrivati in spiaggia è stato un gesto liberatorio, un grido che richiama ciascuno alle proprie responsabilità. Quest’anno non è passato invano. Mi sembra che si sia aperto uno spiraglio almeno per chi è recluso negli Opg. Molto si può fare per migliorare la situazione anche per tutti gli altri detenuti. Basta volerlo. Sicilia: il Garante dei detenuti Salvo Fleres chiede interventi contro il sovraffollamento Comunicato stampa, 11 agosto 2011 Fleres, Garante dei diritti dei detenuti su sovraffollamento nelle carceri siciliane: “Ho chiesto al DAP di intervenire disponendo uno sfollamento degli istituti di pena dell’Isola”. “7.800 reclusi a fronte di una capienza di circa 5.500 sono troppi ed è arrivato il momento di intervenire, poiché, la situazione attuale non consente una piena applicazione dall’art. 27 della Costituzione. La Sicilia è la seconda regione d’Italia in quanto ad affollamento, ha proseguito il Sen. Fleres, ed è necessario un intervento del Dipartimento utile per verificare la corretta allocazione dei reclusi. Infatti, con una nota ho chiesto al Dap di verificare la corretta applicazione dell’art. 42 dell’O.P., che prevede la territorialità della pena, insieme ad una più attenta valutazione delle traduzioni, soprattutto di cittadini extracomunitari che vengono trasferiti in Sicilia pur avendo processi in corso in altre Regioni d’Italia, con notevoli aggravi economici per le casse dello Stato. Mi auguro, ha concluso il Sen. Fleres, che tale mia richiesta possa avere un esito favorevole, ciò andrebbe a tutto vantaggio dei reclusi, degli operatori e del personale addetto alla sorveglianza. Roma: detenuto morì di anoressia a Regina Coeli, rinvio a processo per tre medici La Repubblica, 11 agosto 2011 Lo avevano chiamato un secondo caso Cucchi perché anche lui, Simone La Penna, era morto in carcere. Appena un mese dopo il geometra romano. E ora anche i medici che dovevano occuparsi di lui rischiano di finire a processo con l’accusa di omicidio colposo. Il pm Eugenio Albamonte, titolare del fascicolo, ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre camici bianchi, Andrea Franceschi, Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano. Colpevoli di aver rispedito il detenuto nella sua cella e di non averlo invece tenuto sotto osservazione come avrebbero dovuto. Morto di infarto, dunque, ma ucciso, secondo il magistrato, dalla negligenza di chi, invece, avrebbe dovuto prendersene cura. Ora tocca al gip decidere se farli sedere sul banco degli imputati. Il cuore di La Penna, anche lui detenuto per problemi di droga, ha smesso di battere per un arresto cardiaco il 26 novembre del 2009. Quando fu ritrovato cadavere nella cella dove i medici del reparto ospedaliero del Regina Coeli lo avevano rispedito, pesava appena 49 chili. Aveva un passato di anoressia in cui sembrava essere ripiombato dopo l’arresto tanto da essere stato trasferito a Roma dalla casa circondariale di Viterbo, suo paese di origine, per motivi di salute. Due episodi che sembrano avere molto in comune. A partire all’età delle vittime: il geometra romano aveva 31 anni, La Penna 32, una compagna e una bambina. Così come per Stefano Cucchi, anche per il giovane viterbese è stata la famiglia a sporgere denuncia: più volte la sua difesa aveva sollevato la questione sulla incompatibilità della sua salute con il regime carcerario. Firenze: Radicali; scadono oggi tempi per messa in sicurezza dell’Opg di Montelupo Agi, 11 agosto 2011 Scadono oggi i 15 giorni concessi per la messa in sicurezza dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, dopo che lo scorso 26 luglio la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale ne ha disposto il sequestro per le “carenze igienico sanitarie e la mancanza di un sistema antincendio”. “Ad oggi - spiega la senatrice dei Radicali, Donatella Poretti - non è stato richiesto alcuna proroga dei tempi per la messa in sicurezza. Fatto sta che se non sarà rispettato il provvedimento, l’istituto dovrà essere chiuso. Come Commissione abbiamo già incaricato i Nas e i vigili del fuoco locali di fare ulteriori rilevazioni”. Oltre all’Opg di Montelupo, un altro carcere che rischia di chiudere è il San Benedetto di Arezzo. La struttura è stata interessata da lavori di ristrutturazione per la messa in sicurezza esterna. “Ma al momento - continua Poretti - non sono previsti lavori per la messa in sicurezza interna, quindi è inutilizzabile. E questa situazione graverà tutta su Firenze”. I detenuti infatti “sono stati trasferiti già a Sollicciano, provocando un ulteriore sovraffollamento del carcere”. Piacenza: detenuto incendia materassi per avere il trasferimento, intossicati sei agenti Ansa, 11 agosto 2011 Un detenuto ha appiccato il fuoco in cella, nel carcere piacentino delle Novate, e sei agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per mettere in salvo i detenuti della sezione e domare le fiamme, sono rimasti lievemente intossicati. Rimasto intossicato lievemente anche lo stesso detenuto che aveva appiccato il fuoco. È accaduto questa mattina, verso le 9, protagonista un marocchino che pare volesse sollecitare un trasferimento in un altro carcere. L’uomo avrebbe appiccato il fuoco ai materassi in gommapiuma della cella, sollevando una densa coltre di fumo. La polizia penitenziaria è riuscita a domare le fiamme utilizzando estintori e idrante. Tutti i detenuti della sezione dove è avvenuto l’incendio sono stati trasferiti in via precauzionale nell’area destinata all’ora d’aria. Lucca: con il progetto “Oltre i muri, oltre le Mura” un aiuto concreto ai detenuti Il Tirreno, 11 agosto 2011 Un intervento concreto a favore dei detenuti del carcere di S. Giorgio. Lo ha messo in pratica il comitato popolare di piazza San Francesco con la collaborazione di don Giuseppe Giordano, che lo ha sostenuto insieme al gruppo consiliare Pd. Il progetto si chiama “Oltre i muri, oltre le Mura” ed è stato presentato al direttore Francesco Ruello e alla comandante della polizia penitenziaria Rosa Ciraci. Erano presenti anche Alessandro Tambellini, capogruppo Pd in consiglio comunale, Adriano Paoli e Francesco Battistini del comitato popolare piazza San Francesco. L’iniziativa, in virtù di finanziamenti accordati dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca consentirà l’organizzazione all’interno della casa circondariale di un corso di attività motoria e di uno di arte che avranno inizio già nel prossimo autunno, provvedendo alla disponibilità dei docenti e al materiale didattico, oltre che di acquistare biancheria e prodotti di igiene. “È un gesto tangibile, che testimonia un impegno comune per rompere l’isolamento e favorire l’integrazione e che avvicina il cuore della città alla realtà carceraria - dice l’onorevole Raffaella Mariani del Pd -.. Ma credo che dalla nostra comunità possano arrivare ulteriori segnali in questa direzione sia attraverso aiuti materiali che con provvedimenti simbolici di partecipazione condivisa. Nel nostro appello parliamo di scongiurare il rischio di una regressione civile e democratica del sistema carcerario. A tal fine il nostro impegno andrà avanti”. Mariani si sofferma sull’emergenza-carceri. “Il presidente della Repubblica l’ha definita una “emergenza assillante”, sottolineando l’enorme distanza che separa la realtà delle carceri italiane dall’indicazione costituzionale sulla funzione rieducativa della pena. Quella delle condizioni dei detenuti è una questione aperta anche per la nostra città. Il carcere di Lucca, nonostante gli sforzi del personale e dei volontari, è colpito dai problemi che affliggono l’intero sistema penitenziario italiano: ho potuto constatare di persona le gravi difficoltà e i pesanti disagi all’interno della casa circondariale lucchese nel corso della visita che ho svolto lunedì mattina nelle sezioni. Alta densità della popolazione carceraria, strutture cadenti, organici della polizia penitenziaria sottodimensionati del 40%, tagli che impediscono di avviare attività per favorire un reinserimento sicuro e produttivo nella società: il San Giorgio sconta questi gravissimi problemi. “È in questo senso che come Partito democratico abbiamo rivolto al nuovo ministro della giustizia Francesco Nitto Palma un appello affinché siano chiare le condizioni di tutti coloro che lavorano e mandano avanti il sistema penitenziario” conclude l’onorevole Mariani. Reggio Calabria: i consiglieri Paris e Crupi (Udc) sollecitano Nitto Palma sulle carceri Gazzetta del Sud, 11 agosto 2011 Al ministro della giustizia Francesco Nitto Palma i consiglieri comunali di Reggio Futura e Udc Nicola Paris e Andrea Crupi chiedono “ di adoperarsi per risollevare la situazione in cui versano le carceri”, situazione a loro avviso insostenibile “perché acuisce il livello di drammaticità della vita all’interno dei penitenziari”. “Non è un tema di nostra stretta competenza - scrivono i due consiglieri - ma sentiamo il dovere di sollecitare la sua attenzione sulle segnalazioni che quotidianamente le guardie carcerarie fanno per denunciare le difficoltà in cui si trovano ad operare e le pessime condizioni in cui sopravvivono i detenuti”. Altro tema di grande rilevanza per Paris e Crupi” è il sovraffollamento delle case di pena che ha delle ripercussioni notevoli sulle condizioni sia fisiche che mentali dei detenuti e che determina anche il loro allontanamento dalla propria città o regione , facendo aumentare le difficoltà di comunicazione e di incontro fra questi ed i propri familiari”. Forse per toccare il cuore del ministro, i due consiglieri reggini citano a dimostrazione dei grandi disagi dei detenuti e dei loro familiari la disgrazia avvenuta qualche settimana fa sull’A3, dove hanno perso la vista una intera famiglia siciliana e due bambini di 2 e 8 anni che erano andati a trovare il padre detenuto. Genova: detenuto romeno non rientra dopo un permesso premio Agi, 11 agosto 2011 Sarebbe dovuto rientrare stamani dopo un permesso premio nel carcere di Genova Pontedecimo, invece non si è presentato. È evaso così un giovane detenuto romeno dalla casa circondariale genovese. A suo carico è stata diffusa una nota di ricerca. L’evasione per il segretario generale aggiunto del Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria) Roberto Martinelli in questo caso “Rientra purtroppo tra gli eventi critici che possono accadere - ha commentato. Sarebbe dovuto rientrare questa mattina in via Coni Zugna, ma non si è presentato. Questo non deve certo inficiare l’istituto della concessione di permessi ai detenuti, anche perché gli episodi di evasione sono minimi, ma è evidente che c’è sempre qualcuno che se ne approfitta: nel 2010 sono state complessivamente 15 le evasioni dalle carceri italiane, 38 i mancati rientri, come in questo caso, dopo aver fruito di permessi premio e 12 dalla semilibertà”. Martinelli sottolinea come proprio oggi il Sappe abbia sollecitato un incontro con il neo ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma per mettere trovare soluzioni alle criticità penitenziarie. “L’allarmante dato di 67mila detenuti che sovraffollano le carceri italiane, la cui capienza regolamentare è pari a poco più di 44mila posti - dice il sindacalista della Penitenziaria - impone l’adozione di provvedimenti urgenti, come pure ha chiesto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nei giorni scorsi. Non si dimentichi che oltre il 40 per cento dei detenuti è imputato, quindi in attesa di giudizio. Noi ci appelliamo ai ministri dell’Interno Maroni e della Giustizia Palma perché riprendano dai cassetti in cui inspiegabilmente è stato riposto da sinistre mani maldestre quello schema di decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione.” “Per molti mesi - conclude Martinelli - abbiamo discusso con l’Amministrazione penitenziaria la bozza del decreto interministeriale Giustizia-Interno, ma inspiegabilmente quel decreto si è arenato in chissà quali meandri pur potendo costituire un importante tassello nell’ottica di una riforma organica del sistema penitenziario e giudiziario italiano”. Droghe: “L’uomo sbagliato”… o la giustizia sbagliata di Franco Corleone Il Manifesto, 11 agosto 2011 Chi vuole capire il peso della “guerra alla droga” sull’operato delle forze dell’ordine e sull’amministrazione della giustizia ha molto da imparare dal film “L’uomo sbagliato”, prodotto dalla Rai e andato in onda nella serata del primo agosto. Il film s’ispira ad una vicenda giudiziaria purtroppo realmente accaduta: un giovane sarto di Torino (impersonato da Giuseppe Fiorello) è arrestato e, nonostante la sua innocenza, riconosciuto colpevole di traffico di droga in ben tre gradi di giudizio. Il drammatico equivoco nasce dall’errata identificazione di un’auto sospetta e il malcapitato sarto viene arrestato e subito picchiato selvaggiamente dai carabinieri. La via crucis ha inizio: il pestaggio non scandalizza nessuno perché “giustificato” dalla rabbia dei rappresentanti dell’ordine per la recente morte di un collega vittima della criminalità. Sarebbe facile riconoscere l’estraneità dell’innocente ai fatti addebitati se il pubblico ministero e lo stesso avvocato (capace solo di suggerire la scorciatoia del patteggiamento) non fossero accecati dal pregiudizio e dalla volontà di ripulire il mondo. Accade così che le prove dell’innocenza non siano neppure prese in considerazione di fronte alla parola di sei carabinieri e il protagonista è sbattuto in carcere con una condanna a diciotto anni. Il film mette in luce diversi nodi della crisi della giustizia, ad iniziare dalla sudditanza del Pm nei confronti delle forze dell’ordine. Ma l’aspetto fondamentale è il conflitto palese fra la logica di “guerra” che guida l’azione degli apparati di repressione, da un lato, e le ragioni della giustizia, dall’altro. Non a caso, anche quando il capitano dei Carabinieri che ha operato l’arresto, insieme ad un suo sottoposto, si accorgono dell’errore di identificazione, preferiranno tacere per non “indebolire” la lotta alla droga e ai trafficanti di morte. Insomma, agli occhi del capitano, eroe della lotta alla criminalità, la crociata del Bene contro il Male giustifica anche la distruzione della vita di un innocente. Sarebbe troppo facile liquidare la storia addebitandola alla classica mela marcia. Il veleno è più diffuso e risiede nell’ideologia bellica imperante che stravolge la corretta applicazione di una legge penale. C’è di più. Gli strappi antigarantisti contenuti nel corpo stesso della legislazione “emergenziale” sulle droghe, se da un lato sono lo specchio della logica guerriera, dall’altro facilitano l’abuso e la sopraffazione. Quando la legge consente gli acquisti simulati, le notifiche ritardate, le infiltrazioni degli agenti, si spalanca il tunnel delle “operazioni eccezionali”, dei rapporti pericolosi con pentiti, provocatori e criminali. Così si spiegano altri scandali simili a questo: come la vicenda del capo dei Ros, il generale Ganzer, condannato a 14 anni di carcere per falsi sequestri a scopo di propaganda mediatica e di autopromozione e per collusione con spacciatori. Il generale è rimasto comunque tranquillamente al suo posto. Come si vede son tante le caste e le cosche! Ancora, lo sceneggiato televisivo offre una coraggiosa denuncia della violenza presente nelle carceri, a cominciare dal comportamento da aguzzino del direttore. Da notare: ci vorranno ben cinque anni per smascherare gli errori e le menzogne del capitano dei Carabinieri e per ottenere la revisione del processo. Il processo veloce e la certezza della pena sono una realtà riservata ai tanti Stefano Cucchi che riempiono le carceri italiane. Svizzera: varicella in un carcere, vaccino a detenuti e guardie Adnkronos, 11 agosto 2011 Un caso di varicella è stato diagnosticato in un detenuto del carcere svizzero di Champ-Dollon, Cantone di Ginevra. Per evitare il contagio, le autorità hanno sottoposto a esami medici e a prelievi di sangue tutti i prigionieri venuti a contatto con il malato, indica oggi in una nota il direttore del carcere, Constantin Franziskakis. Un centinaio di persone fra detenuti e guardie carcerarie sono state inoltre vaccinate. A causa del periodo d’incubazione, si scoprirà soltanto fra circa tre settimane se altri detenuti sono stati contagiati. Il malato, un giovane di 22 anni, è stato posto in isolamento.