Giustizia: Corte dei conti; in 30 anni spesi 3 miliari di euro, ma le carceri cadono a pezzi di Carmine Sarno Milano Finanza, 9 settembre 2010 La Corte dei conti denuncia la gestione dei programmi di costruzione e recupero: i costi incalcolabili, mancata pianificazione, penitenziari edificati in zone a rischio. E all'appello mancano ancora 980 milioni. I primi finanziamenti cominciarono ad arrivare nel lontano 1977. Da allora lo Stato ha destinato un fiume di soldi per il potenziamento del sistema carcerario della Penisola, ben 3,1 miliardi di euro, senza però risolvere il problema del sovraffollamento. Una situazione denunciata chiaramente dalla Corte dei Conti nell'ultima indagine sui programmi di costruzione, recupero, ristrutturazione e dismissione degli istituti penitenziari. Uno scenario decisamente allarmante. "L'intera gestione in materia di edilizia penitenziaria" si legge nella relazione, "risulta contrassegnata da pesanti difficoltà di attuazione" legate (incredibile a dirsi visti gli oltre 3 miliardi spesi fino ad oggi) alla cronica insufficienza dei finanziamenti, i tortuosi meccanismi di assegnazione delle risorse e le lungaggini burocratiche. Senza contare, poi, sottolineano ancora i magistrati contabili, i continui mutamenti delle esigenze e degli obiettivi, le dilatazioni temporali nelle fasi di costruzione delle strutture. Solo così si può capire perché nel penitenziario romano di Regina Coeli dallo scorso inverno i detenuti sono senza acqua calda e riscaldamento. Il motivo? "Disguidi e lungaggini burocratiche nella gestione dell'appalto per il rifacimento dell'impianto di riscaldamento e delle tubazioni del carcere" ha spiegato il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Tutto ciò, si legge nel dossier della Corte dei conti, "mentre si assiste al progressivo ed inesorabile peggioramento della situazione di sovraffollamento delle carceri". Anomalie e situazioni al limite del paradosso non mancano di certo. Per esempio, il piano prevede la realizzazione di 17.129 "posti detentivi" complessivi: di questi solo 10.800 sono stati già finanziati (o sono in via di finanziamento) con circa 610 milioni. Per i restanti 6.300 posti, invece, bisognerebbe racimolare poco meno di un miliardo. Al riguardo, sottolinea la magistratura contabile, il costo complessivo degli interventi senza finanziamento "supera di gran lunga la somma dei costi di quelli già finanziati, pur se fornisce un numero di posti detentivi nettamente inferiore", 11 mila contro 6.300. Altra anomalia quella delle otto carceri in fase di realizzazione, per ognuna della quali sono sorti problemi che hanno fatto lievitare i costi di realizzazione. Per quella di Savona non è lecito sapere a che punto siano i lavori, a Reggio Calabria la struttura sorge in zona sismica, a Tempio Pausania ci sono problemi geomorfologici, a Forlì ci pensano i corsi d'acqua a pesare sugli stanziamenti. Ma non è tutto. La Corte dei conti condanna senza appello la decisione di dismettere le vecchie "case mandamentali". Fino al 1999 sono stati soppressi 260 istituti, una decisione che si è dimostrata miope nel corso degli anni: non si è tenuto conto, infatti, della perdita di tanti posti alla luce del grave sovraffollamento delle carceri. Giustizia: Ue; situazione delle carceri inaccettabile, presto un Libro Verde Redattore Sociale, 9 settembre 2010 Il commissario alla giustizia e diritti fondamentali Viviane Reding risponde ad una interrogazione: "Violazione di diritti anche senza deliberata volontà di degradare il detenuto". Annunciato entro la primavera un documento strategico. Un Libro Verde in materia di detenzione europea, pensato come un documento strategico da mettere in piedi entro la prossima primavera, seguendo le linee del piano d'azione di Stoccolma. E' questa l'intenzione della Commissione europea per "rispondere allo stato di precarietà in cui versano molte prigioni dell'Unione Europea". A riferirlo è il commissario alla Giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza, la lussemburghese Viviane Reding. Un'intenzione confermata anche nella risposta, redatta alcuni giorni fa, ad una interrogazione presentata a Strasburgo dall'eurodeputato democratico Roberto Gualtieri. Per Reding, secondo cui lo stato di precarietà è dovuto "in gran parte al sovraffollamento", le "condizioni di detenzione inaccettabili possono costituire una violazione dell'articolo 3 della Corte europea dei diritti dell'uomo anche in assenza di una deliberata volontà di umiliare o degradare il detenuto". La Commissione riconosce che, in circostanze eccezionali, "condizioni di detenzione precarie possono rappresentare un ostacolo all'attuazione di strumenti basati sul reciproco riconoscimento, quali le decisioni quadro sul mandato d'arresto europeo e sul trasferimento dei detenuti, giacché tali condizioni inaccettabili possono causare, relativamente ad entrambe le suddette decisioni, il rifiuto dello Stato richiesto di consegnare l'arrestato o di trasferire il detenuto, inficiando così l'attuazione di tali strumenti". La Commissione dunque – ha affermato rispondendo all'interrogazione - conviene sulla necessità di intervenire in questo settore, conformemente e nei limiti delle competenze dell'Ue: essa, pertanto, intende affrontare la questione e, in linea con il piano d'azione di Stoccolma, presenterà un documento strategico nella primavera 2011 (Libro verde in materia di detenzione nell'Ue) che riguarderà anche lo stato di attuazione delle regole penitenziarie europee". Nell'interrogazione, l'eurodeputato Gualtieri aveva ricordato il sovraffollamento, l'esigua applicazione di misure alternative alla detenzione, le precarie condizioni di vita e di sicurezza negli istituti penitenziari, portando in particolare l'esempio italiano del sovraffollamento, dell'elevato numero di suicidi e di morti avvenute in carcere. Una situazione definita "grave e inaccettabile", in seguito alla quale, con riferimento sia all'Italia che agli altri 26 stati membri, si chiedeva ai vertici di Bruxelles la diffusione di politiche e pratiche comuni rispettose dei diritti fondamentali, fondate sulle European Prison Rules del Consiglio d'Europa e in linea con il programma d'azione di Stoccolma. Giustizia: a Poggioreale 3 detenuti morti in pochi giorni, in Italia 125 da inizio anno Ristretti Orizzonti, 9 settembre 2010 Il primo è deceduto dopo aver assunto un "mix di farmaci", il secondo è stato stroncato da un infarto, l'ultimo in ordine di tempo ha inalato gas e aveva un sacchetto di plastica infilato in testa, le indagini appureranno se si è trattato di un suicidio e di tentativo di "sballo" concluso tragicamente. Da inizio anno salgono a 125 i detenuti morti, tra suicidi, malattia e le c.d. cause da accertare. Nel carcere Poggioreale di Napoli e per giunta nello stesso padiglione, ovvero nella stessa palazzina chiamata Roma, sono morti nel giro di pochi giorni tre persone detenute. Il primo detenuto è morto il 24 agosto, ma la notizia si è appresa solo oggi. Si chiamava Sergio Scotti ed è morto dopo aver assunto un mix di farmaci (Sanax e Rivodril) introdotti fraudolentemente in cella. Invece domenica 5 settembre, durante la notte, è morto un altro detenuto, a causa di un infarto. Si chiamava Giuseppe Coppola, di 60 anni, ed era detenuto sempre nel padiglione Roma del carcere di Poggioreale. Pare che Coppola, verso le tre di mattina, si sia sentito male ed abbia accusato dolori al petto. Portato in infermeria, gli è stato somministrato un semplice antidolorifico (Toratol) ed è stato rimesso in cella. Non è chiaro se il medico lo abbia visitato o meno. Dopo un paio d'ore Coppola si è di nuovo sentito male tanto che è svenuto in cella. È morto durante il trasporto in autoambulanza stroncato da un infarto." Ieri sera, l'ultimo decesso: sempre nel padiglione Roma del carcere di Poggioreale, è morto Francesco Consolo, di 34 anni. Consolo era detenuto nella sezione Transex, dove vengono ubicati tossicodipendenti, omosessuali e transessuali ed è morto dopo aver inalato il gas dalla bomboletta data in dotazione ai detenuti per cucinare in cella. È stato infatti ritrovato senza vita con un sacchetto di plastica in testa e la bomboletta di gas accanto. Rita Bernardini, deputato Radicale, sentita al riguardo ha dichiarato: "125 detenuti sono morti dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane: questi sono omicidi di Stato, con l'aggravante che lo Stato è consapevole di ciò che fa e non si vuole ravvedere. Prova ne è il Decreto legislativo sul trasferimento all'estero dei detenuti stranieri comunitari, approvato l'altro ieri dal CdM: un provvedimento insufficiente, anzi inutile, per affrontare l'emergenza del sovraffollamento carcerario". Giustizia: muore il detenuto 22enne che si era impiccato domenica scorsa a La Spezia Ristretti Orizzonti, 9 settembre 2010 Era stato arrestato a giugno, accusato di plagio nei confronti della fidanzata, una coetanea con la quale aveva una relazione fortemente contrastata dai genitori di lei. Ivan Maggi, 22 anni, si era impiccato domenica scorsa, 5 settembre, nel carcere di La Spezia. Era stato soccorso ancora in vita, ma le sue condizioni erano apparse subito gravissime a causa dei danni cerebrali provocati dall'anossia ed era entrato in un coma profondo. Ricoverato al centro di Rianimazione dell'ospedale Sant'Andrea il giovane non ha mai ripreso conoscenza. Alle 12.30 di ieri è stato dichiarato clinicamente morto. Alle 15.30 è iniziata, come prevede la legge, l'osservazione che dura sei ore. La scorsa notte sono arrivati dal Centro regionale trapianti del San Martino le équipe che hanno prelevato gli organi del giovane, poi trasportati in altri ospedali italiani dove ci sono lunghe liste di attesa. Peraltro lo stesso ventenne aveva chiesto espressamente alla famiglia che, in caso di morte, avrebbe voluto donare i suoi organi. E i familiari, che sono sempre stati al suo capezzale, hanno subito acconsentito. Il giovane era in carcere dallo scorso 18 giugno con l'accusa di avere plagiato la fidanzata, una coetanea conosciuta nel 2008, costringendola a condividere con lui un'esistenza da clochard, fatta di stenti e furtarelli. La ragazza ha subìto anche dei ricoveri coatti per lo stress psico - fisico, finché i suoi genitori si sono rivolti ai Carabinieri denunciando Maggi. In carcere il suo stato psichico era diventato sempre più precario. Non aveva mai risposto alle domande del giudice che lo aveva rinviato a giudizio. Il processo era fissato per il 4 ottobre prossimo. Forse l'avvicinarsi della data dell'udienza lo aveva profondamente scosso. L'amore per la sua ragazza era rimasto immutato. E il non vederla l'aveva fatto cadere in uno stato di profonda prostrazione. Il suo avvocato di fiducia, Federico Lera, ha sempre sostenuto l'innocenza del suo assistito. E stava preparando le strategie difensive da opporre nell'aula del tribunale. Ma la sua morte Da inizio anno a livello nazionale salgono così a 44 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (37 impiccati, 5 asfissiati col gas, 1 avvelenato con dei farmaci e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause "da accertare" arriva a 125 (negli ultimi 10 anni i "morti di carcere" sono stati 1.684, di cui 601 per suicidio). Inoltre sono avvenuto altri 2 suicidi di persone "detenute", seppur non ristrette in carcere: Tomas Göller, semilibero di 43 anni (che si è ucciso impiccandosi ad un albero in un bosco in Provincia di Bolzano per il timore di dover tornare in carcere) e Yassine Aftani, un tunisino di 22 anni che si è impiccato a nella "camera di sicurezza" della Questura di Agrigento dopo aver appreso la notizia che sarebbe stato rimpatriato. Giustizia: Uil; continua l'escalation di morte e violenza, colpe del sistema penitenziario Apcom, 9 settembre 2010 Salgono a 45 i suicidi in carcere nel 2010, ad aggiornare il triste bilancio è la Uilpa penitenziari: ieri sera, infatti, è morto Ivan Maggi, il 22enne che domenica scorsa nel carcere di La Spezia aveva tentato di impiccarsi ed era stato salvato dagli agenti, mentre a Napoli, a Poggioreale, si è ucciso con la bomboletta di gas un 32enne transessuale italiano. Con le due morti di ieri, "il numero complessivo dei detenuti che si sono tolti la vita nelle celle dei penitenziari italiani in questo 2010 tocca quota 45", sottolinea Eugenio Sarno, il segretario generale Uilpa, che ricorda come a questa cifra vanno aggiunti 102 tentati suicidi. "Non possiamo non interrogarci sulle colpe e sulle responsabilità del sistema penitenziario in questa escalation di morte e violenza", sottolinea Sarno, aggiungendo: "Ai 45 suicidi, infatti, occorre sommare i 102 suicidi sventati in extremis che testimoniano come troppo spesso la border-line della depressione, amplificata dalla solitudine e dalle incivili condizioni di detenzione, faccia segnare l'irreparabile decisione di evadere dalla propria vita". "Purtroppo - aggiunge Sarno - con la morte del 22enne è caduta anche l'ultima barriera: la Liguria, infatti, era l'unica regione a non avere registrato, in questo anno, morti in cella per suicidio". Ma la Uilpa denuncia anche una "deriva oscurantista" per coprire i drammi del carcere: sul sito web www.polpenuil.it è possibile aggiornarsi sugli eventi critici che si verificano in carcere, e il segretario generale Eugenio Sarno "denuncia i tentativi di intimidazione nei confronti di sindacalisti che diffondono notizie dagli istituti penitenziari". "Riteniamo che la vergogna penitenziaria con il suo carico di disumanità e inciviltà vada raccontata per intero e senza foglie di fico. La Uil ha inteso, in tal modo, riparare al buco dell'informazione che la circolare - bavaglio diramata dal Dap avrebbe comportato", spiega Sarno, denunciando: "Purtroppo dobbiamo rilevare come oltre all'evidente deriva oscurantista l'amministrazione penitenziaria rischi di connotarsi anche per una sistematica azione di intimidazione nei confronti di sindacalisti che diffondono notizie o rilasciano dichiarazioni alla stampa". "L'ultimo caso - riferisce Sarno - a Messina dove nei confronti del segretario provinciale della Uilpa Penitenziari è stato aperto un procedimento disciplinare sulla scorta di un comunicato stampa contenente osservazioni critiche. Questo nonostante le norme di garanzia prevedano esplicite salvaguardie al personale con incarichi sindacali". E - avverte il segretario generale Uilpa - se la direzione di Messina non rivedrà la sua posizione la Uilpa si rivolgerà al ministro della giustizia Alfano "perché siano garantite le prerogative sindacali e valutare il deferimento all'autorità giudiziaria del direttore per abuso di potere". Giustizia: Cassazione; sospensione della pena e domiciliari, per curare meglio il tumore di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 9 settembre 2010 La Cassazione ha ampliato le possibilità di accesso alla sospensione della esecuzione della pena per motivi di salute e alla detenzione domiciliare. Il diritto alla salute è ritenuto prioritario rispetto alle seppur legittime esigenze di sicurezza. La prima sezione penale della Corte Suprema, presieduta da Giovanni Silvestri, ha annullato una ordinanza del 9 dicembre 2009 del Tribunale di Sorveglianza di Potenza che negava ogni possibilità di uscire dal carcere (con differimento pena o detenzione domiciliare) a un detenuto affetto da un tumore al cervello nella fase in cui era in attesa di essere sottoposto a operazione chirurgica. Nel caso in questione l'intervento era considerato dai medici salva - vita. A dire dei giudici e dei periti di ufficio il detenuto ricorrente poteva però ben essere trattenuto in carcere in attesa dell'intervento che avrebbe potuto avvenire, senza scarcerazioni formali, in regime di ricovero ospedaliero. I giudici della Cassazione hanno invece ripreso in mano vecchi accertamenti clinici effettuati presso strutture sanitarie pubbliche, i quali erano stati sottostimati dai magistrati potentini. Da tali esami medici risultava che la delicatezza e la gravità dell'intervento erano tali da giustificare la necessità di trascorrere il periodo antecedente all'operazione in un ambiente che, dal punto di vista emozionale e psicologico, fosse ben più confortevole rispetto a una prigione. Il fatto che le risultanze diagnostiche dei periti di ufficio dicano che le condizioni di salute di una persona non siano astrattamente incompatibili con la detenzione e che - sempre astrattamente - in carcere possano essere offerte cure ipoteticamente adeguate al caso, non deve portare a escludere che i giudici di merito valutino sempre caso per caso la possibilità di concedere il differimento facoltativo della pena. Prevalente è sempre il dettato costituzionale che all'articolo 27 vieta i trattamenti contrari al senso di umanità e all'articolo 32 proclama solennemente il diritto alla salute quale diritto universale. Un qualsiasi oncologo - in base alla casistica da lui osservata - potrebbe ben certificare che il periodo antecedente alla operazione di asportazione di un tumore al cervello è particolarmente duro da sopportare. Farlo trascorrere in carcere significa sottoporre la persona a una sofferenza aggiuntiva evitabile. Secondo la Cassazione, quindi, il criterio che i giudici devono usare ogniqualvolta si trovino a decidere se scarcerare una persona o meno non è tanto quello freddo dato dalle indicazioni diagnostiche ma quello più complesso della "umana tollerabilità". A riguardo esiste una ampia giurisprudenza che aveva avuto avvio nel 2003 e si era consolidata nel 2008 con la sentenza n. 48203 della prima sezione penale. Il dialogo tra istanze umanitarie e istanze securitarie non sempre viene ragionevolmente risolto. In questo caso i giudici supremi hanno orientato il pendolo verso le prime, usando - ad adiuvandum - la motivazione della scarsa pericolosità sociale del detenuto ricorrente, il quale doveva scontare una pena inferiore ai cinque anni. La Cassazione ha quindi adottato, quale criterio di valutazione della pericolosità, non la fattispecie di reato contestata o la persistenza di legami con la organizzazione criminale di provenienza, bensì quello più obiettivo della pena in concreto inflitta. Si tratta ora di vedere se i tribunali di sorveglianza si adegueranno alla giurisprudenza della Cassazione concedendo con più frequenza provvedimenti di rinvio pena o detenzione domiciliare nei casi di detenuti affetti da tumore. Giustizia: 162 milioni trasferiti al fondo sanitario nazionale, per medicina penitenziaria Ansa, 9 settembre 2010 Ammontano a 162 milioni e 800 mila euro le risorse finanziarie trasferite al fondo sanitario nazionale per finanziare la sanità penitenziaria relativamente all'anno 2009. È quanto si legge sulla Gazzetta ufficiale che ha pubblicato la deliberazione del Cipe relativa alla ripartizione della quota destinata al finanziamento della medicina penitenziaria tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Degli oltre 162 milioni, poco più di 135 milioni sono ripartiti tra le Regioni a statuto ordinario per il finanziamento delle spese sostenute dalle Aziende sanitarie locali; 25 milioni sono per il finanziamento delle spese sostenute dal ministero della Giustizia; 2 milioni e 200 mila rimangono infine accantonate a favore delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome in attesa che queste adottino i regolamenti di attuazione previsti. Giustizia: Sottosegretario Casellati; i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi d'origine Ansa, 9 settembre 2010 Parte della strategia del Governo per risolvere il sovraffollamento delle carceri secondo il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Rossi Casellati. Il ministro della Giustizia Alfano ha presentato martedì un provvedimento, che recepisce una norma europea, per lo spostamento dei detenuti stranieri comunitari nelle carceri nei loro paesi d'appartenenza. Un provvedimento che si inserisce fra quelli con cui il Governo ha intenzione di svuotare le carceri. "È una grossa novità - spiega il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Rossi Casellati - perché cerca di rimediare ad una autentica emergenza che è il sovraffollamento delle carceri. Certo è un problema complicato a cui non si può rispondere solo sul profilo dell'edilizia. Questa è una di quelle misure positive non solo sul profilo dello spopolamento, ma anche perché stabilisce il principio che gli stranieri che delinquono a casa nostra, devono andare a scontare nel loro paese la pena". Non si tratta dunque di una misura risolutiva, infatti, aggiunge il sottosegretario, "noi abbiamo calcolato che circa 1.200 detenuti torneranno nei paesi d'origine. Ma da un lato ci sono queste persone che andranno nei paesi d'origine, dall'altro stiamo ampliando i posti detentivi, dall'altro ancora abbiamo delle misure per cui chi deve scontare l'ultimo lo può fare ai domiciliari, e questo comporterà uno svuotamento dagli 8.000 ai 10.000 detenuti, dunque si tratta di un pezzo della nostra strategia". Ad ogni modo il problema c'è ancora, e la soluzione è ancora lontana. In questo senso la Casellati rivendica l'attivismo dell'esecutivo. "Noi abbiamo scelto la strada più difficile e complicata, quella delle riforma strutturale, perché negli ultimi 60 anni le carceri si riempivano e si svuotavano per degli atti di clemenza. Non si è mai risolto il problema in maniera definitiva. Noi abbiamo escluso questa ipotesi, la più semplice, pensando di ridefinire il problema delle carceri". Una ridefinizione su cui ci sono molte polemiche, specialmente per quel che riguarda la parte edilizia del piano, ma in cui la Casellati crede fermamente. "Stiamo procedendo per anni e per stanziamenti, quest'anno abbiamo allargato di oltre 2000 i posti detentivi e per fine anno ce ne saranno altri. Penso che per fine legislatura dovremmo riuscire a completare il nostro progetto triennale. Del resto ci sono dei tempi e dei costi, è un lavoro molto complesso". Giustizia: decreto sui detenuti stranieri; la montagna che ha partorito un altro topolino di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 9 settembre 2010 Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legislativo per disciplinare il trasferimento delle persone straniere condannate dall'Italia verso lo Stato di cittadinanza. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, non ha mancato di sottolineare "il successo straordinario" che il Governo ha raggiunto con tale decreto e ha aggiunto: "In questo modo il Governo intende dare una risposta concreta all'emergenza del sovraffollamento carcerario attraverso il trasferimento dei condannati stranieri". Bravo! Bene! Bis! Anche se, a ben vedere, il decreto "importantissimo" riguarderà solo i detenuti stranieri che appartengono all'Unione Europea e non solo. A conti fatti, come ammesso dallo stesso Alfano, i detenuti stranieri che potranno essere trasferiti in altri Stati dell'Unione Europea saranno solo 1.214. Insomma, la montagna ha partorito il topolino. Infatti i detenuti stranieri in Italia sono più di 24.600. 12 mila imputati e più di 12.400 condannati. Tra questi solo pochi fanno parte della Ue. I dati: 5.229 sono del Marocco, 3.155 della Tunisia, 3.309 della Romania, 2.920 dell'Albania e 1.203 della Nigeria. Solo per citarne alcuni. Non era più logico siglare accordi con i paesi da cui arrivano il maggior numero dei condannati? Evidentemente a via Arenula, come a Palazzo Chigi, conta di più la propaganda che la logica, ed è così che si approva un decreto che forse trasferirà nei loro paesi solo 1.200 stranieri. Un altro "successo straordinario" del Governo. Giustizia: è "giallo" sul numero dei detenuti stranieri da trasferire nei Paesi di origine di Diego Motta Avvenire, 9 settembre 2010 Uno studio ministeriale smentirebbe dati diffusi da Alfano: i detenuti da rimpatriare non sono 1.214, ma solo 50. Una relazione firmata dai tecnici del ministero della Giustizia smentisce il Guardasigilli Angelino Alfano. È un giallo il caso dei detenuti stranieri che, in seguito a un decreto legislativo del governo, potrebbero lasciare il nostro Paese per finire di scontare la pena nei loro Stati d'origine. "Saranno 1.214", aveva spiegato in una nota il ministro. No, non potranno che essere "annualmente nell'ordine delle 50 unità". Il punto è che questa stima arriva da un ufficio del ministero di via Arenula ed è contenuta all'interno di un'analisi tecnico - normativa sullo stesso provvedimento deciso dall'Ue, cui ha fatto riferimento due giorni fa Alfano. Si tratta della decisione quadro 2008/909/Gai, che Palazzo Chigi intende, primo tra tutti gli Stati europei, recepire immediatamente. Ma i conti, com'è evidente, non tornano. Se n'è accorta l'associazione Ristretti Orizzonti, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei detenuti. Come si spiega una differenza così netta? L'amministrazione penitenziaria, nella sua relazione tecnica, ha preso in considerazione i detenuti stranieri condannati a una pena superiore a tre anni di reclusione (pari a 972 unità) e quelli con una pena inferiore ai tre anni (901 unità). Tali cifre vanno però depurate di alcuni dati, che abbassano drasticamente il numero di coloro che sono realmente interessati dalla misura del governo. "È il caso di chi non può essere trasferito perché deve scontare una pena inferiore ai sei mesi oppure di chi non vuole concedere il consenso al trasferimento", spiega Francesco Morelli di Ristretti Orizzonti. Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti: alla fine solo una cinquantina di stranieri rinchiusi negli istituti italiani finirebbero, ogni anno, per concludere il loro periodo di detenzione nei carceri dei loro Paesi d'origine, vanificando di fatto il decreto ministeriale. Dunque nessuna diminuzione, seppur lieve, del sovraffollamento? Per il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che ieri ha parlato alla Commissione Giustizia della Camera, siamo comunque di fronte a un "indispensabile passo in avanti", anche se finora "i precedenti non sono esaltanti". Dal punto di vista tecnico, però, ci sono altri ostacoli da superare prima che il decreto entri in vigore. "Ora bisogna fare in modo che ogni Paese destinatario del rimpatrio accolga queste direttive", ha spiegato Ionta. "È necessario che anche gli altri Stati Ue recepiscano l'accordo quadro - conferma Morelli - e poi occorre verificare attraverso un'apposita procedura la reale compatibilità tra i reati per cui si deve scontare la pena". C'è poi l'aspetto speculare della vicenda: quanti saranno gli italiani detenuti in carcere all'estero che, in seguito al recepimento di questo accordo, torneranno a scontare gli ultimi anni di pena negli istituti penitenziari di casa nostra? Le stime più recenti parlano di 1.300 - 1.400 detenuti destinati a trasferirsi in Italia, un valore non lontano da quello previsto da Alfano per i detenuti stranieri. Ma la prudenza sui numeri, a questo punto, è d'obbligo. Giustizia: Ionta (Dap) riceve Sindacato tedesco Polizia penitenziaria, per progetto comune Adnkronos, 9 settembre 2010 È stata ricevuta questa mattina al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria di Roma la delegazione della rappresentanza sindacale della Polizia Penitenziaria tedesca aderente al Bsbd (Bund der Strafvollzugsbediensteten Deutschlands), in Italia per un progetto di interscambio professionale con il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe. Ne dà notizia lo stesso Sappe, che spiega che i sindacalisti sono stati in visita nei giorni scorsi ai penitenziari di Padova e Venezia e, successivamente, visiteranno nella giornata odierna la sede centrale del Gruppo Operativo Mobile Polizia Penitenziaria a Roma ed il carcere di Velletri. Il Capo del Dap Franco Ionta, con i due Vice Capi di Somma e Santi Consolo e il Direttore Generale del Personale e della Formazione Turrini Vita, ha ricevuto le due delegazioni sindacali, guidate da rispettivamente dal Presidente federale BSBD Toni Bachl e dal Segretario Generale del Sappe Donato Capece. Il presidente Ionta, scrive il Sappe, ha tenuto a sottolineare che l'Amministrazione penitenziaria è presente oggi nella sua massima espressione considerata l'importanza dell'incontro. L'obiettivo da raggiungere è quello di avere, in ambito europeo, una omologazione dei sistemi giudiziaria e penitenziari dei vari Paesi europei e proprio il decreto approvato l'altro ieri in Consiglio dei ministri riguardante il rimpatrio dei detenuti stranieri condannati in Italia è un importante passo in avanti verso questa direzione. Alla data del 31 agosto scorso erano detenuti nelle carceri italiane 119 detenuti di nazionalità tedesca (110 uomini e 9 donne). Il Presidente federale del Bsbd Toni Bachl ha parlato dell'importanza di questi incontri internazionali tra chi svolge compiti analoghi, in contesti molto simili. Anche la Germania ha un alto numero di detenuti, quantificati in 72mila unità, ma quasi tutti lavorano durante la detenzione. Ci sono ovviamente circuiti penitenziari differenziati e ricorriamo al sistema detentivo modulare. Il nostro auspicio è quello di poter organizzare con gli amici italiani del Sappe un Convegno europeo a Bruxelles che coinvolga gli operatori di Polizia Penitenziaria di tutti gli Stati membri della Comunità europea per confrontarsi sulle rispettive realtà professionali. L'occasione è utile, ha detto infine il segretario generale Sappe Capece per trovare soluzioni comuni al sovraffollamento penitenziario, che è un problema non solo italiano e tedesco ma europeo, e anche per mettere in campo delle sinergiche strategie di intervento sull'esecuzione della pena nei Paesi europei e sulle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari nei rispettivi Stati. L'obiettivo comune del Sappe e del Bsbd - conclude la nota - è dare vita ad una Confederazione europea dei Sindacati autonomi della Polizia Penitenziaria che abbia ascolto e rappresentanza nel Consiglio europeo. Giustizia: Osapp; amministrazione penitenziaria nel marasma, 4 regioni senza dirigente Adnkronos, 9 settembre 2010 "In 4 regioni da mesi mancano i vertici dell'amministrazione penitenziaria e ciò avviene nel marasma che contraddistingue l'attuale gestione delle carceri". Lo afferma il sindacato di polizia penitenziaria Osapp che sottolinea la mancata designazione dei nuovi dirigenti generali in Basilicata da gennaio, in Puglia da febbraio, in Sardegna da luglio e in Calabria da agosto, ‘a cui si aggiunge l'assenza del provveditore titolare nelle Marche da più di un anno e dal prossimo mese quella nel Laziò. ‘Sei provveditori regionali in meno - fa notare il segretario del sindacato Leo Beneduci - significano il 45% degli istituti penitenziari privi di coordinamento e di scambi l'uno rispetto all'altro, ad esempio, per le movimentazioni dei detenuti e del personale, come per la gestione - assegnazione dei fondi e anche se in tali regioni si avvicendano, di volta in volta e in maniera assai dispendiosa, altri provveditori regionali quali quelli di Lombardia, Triveneto, Abruzzo, Umbria e Campania, i risultati di tale provvisorietà sono sotto gli occhi di tuttì. ‘In realtà, non sappiamo se la responsabilità della ulteriore grave disfunzione penitenziaria - conclude - vada individuata nel Capo dell'Amministrazione Franco Ionta che non formula proposte, o nel Guardasigilli Alfano che non accoglie le proposte del Dap e non si fa parte diligente in Consiglio dei Ministri ma anche per tale ulteriore empasse, come sindacato e come poliziotti penitenziari, ci riconosciamo ogni giorno di meno nel Dicastero della Giustizià. Giustizia: "Che ci faccio io qui?", scatti di vita quotidiana dei bambini in carcere Redattore Sociale, 9 settembre 2010 Cinque fotografi in cinque penitenziari femminili per raccontare la realtà dei figli delle detenute, che hanno meno di tre anni e vivono in cella: un progetto di "A Roma, Insieme" con l'agenzia "Contrasto". Mostra visitabile a Roma fino al 29 settembre. Non hanno ancora tre anni, ma vivono in carcere insieme alle loro madri detenute: costretti alla reclusione in spazi inappropriati, passano i loro primi anni di vita in una situazione quanto mai difficile. Fino a chiedersi: "Che ci faccio io qui?". La frase in modo figurato rende evidente il problema della presenza in carcere di bambini di età così piccola ed è stata scelta come titolo per la mostra fotografica ospitata nella Sala Santa Rita del comune di Roma (in via Montanara, fra il Campidoglio e il Teatro Marcello). Si tratta di un vero e proprio reportage, realizzato con le immagini di cinque fotografi che hanno visitato altrettanti penitenziari femminili: ne esce uno spaccato, sconosciuto ai più, di vita quotidiana e disagio, triste corollario dei problemi vissuti dall'intero sistema carcerario del nostro paese. Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi hanno portato il loro obiettivo rispettivamente dentro i penitenziari di Milano - San Vittore, di Avellino - Bellizzi Irpino - Pozzuoli, di Torino - Lo Russo e Cutugno, di Venezia - Giudecca e di Roma - Rebibbia. Scatti che erano stati pensati a partire dall'esperienza dell'associazione di volontariato "A Roma, Insieme" che da oltre 15 anni è impegnata con le detenuta della sezione nido di Rebibbia femminile e con i loro bambini, che ogni sabato vivono con i volontari una giornata di libertà fuori dalle mura del carcere. Il progetto della mostra è stato promosso dall'assessorato alle Politiche culturali del comune di Roma ed è nato grazie alla collaborazione fra l'agenzia fotografica "Contrasto" e "A Roma, insieme", con anche il sostegno della provincia di Roma. La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 18, con ingresso gratuito, fino al prossimo 29 settembre. "È un esempio - ha detto l'assessore alle Politiche Culturali del Campidoglio Umberto Croppi - di come l'arte possa unirsi all'impegno sociale per mettere in luce un argomento rispetto al quale c'è una sostanziale rimozione, come se tutto ciò che riguardo ciò che succede dentro il carcere non ci riguardasse più". "Un problema - ha aggiunto la presidente di "A Roma, Insieme", Leda Colombini - che rimanda alla necessità di mettere in campo ogni forma di energia e la massima creatività per trovare le adeguate soluzioni: il futuro si costruisce sui bambini, su di loro dobbiamo mettere la massima attenzione". Giustizia: dietro le sbarre 56 bambini. Ionta: piccoli numeri per un grande problema Redattore Sociale, 9 settembre 2010 All'inaugurazione della mostra fotografica "Che ci faccio io qui?", il capo del Dap Franco Ionta ricorda: "Questione da risolvere". Il sottosegretario Casellati: "Consenso bipartisan sul disegno di legge". La strada sarà quella della custodia attenuata. Sono 55 le donne detenute che vivono nei penitenziari italiani insieme ai loro figli di età inferiore ai tre anni: questi ultimi sono in totale 56, distribuiti a macchia di leopardo sull'intero territorio nazionale. Una questione da "piccoli numeri" ma che nasconde "un grande problema", per il quale occorre al più presto trovare una soluzione. Così il capo del Dap, Franco Ionta, ha illustrato ieri il problema, prima nel corso di una audizione in commissione Giustizia alla Camera e poi nel corso della presentazione della mostra fotografica "Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane", inaugurata ieri sera nella Sala Santa Rita del Comune di Roma. Il numero dei bambini in carcere non è mai stato, nel tempo, superiore alla quota di settanta, e negli ultimi anni ha raggiunto la soglia minima dopo l'indulto, quando il numero scese fino a quota 45. Da allora, è nuovamente in ascesa. Ionta ha affermato che "di fronte ai numeri della popolazione carceraria, con 68.005 persone detenute, quello dei bambini in carcere potrebbe apparire un problema marginale e limitato", ma che una simile considerazione contrasta con il peso specifico della questione e l'assoluto dovere di fare qualcosa per impedire che bambini così piccoli vivano le restrizioni e le sofferenze del carcere. "L'amministrazione penitenziaria - ha detto - nel rispetto dei ruoli vede con favore un provvedimento del parlamento che prenda in carico questo problema". La via suggerita è quella della custodia attenuata, in strutture nelle quali, pur essendo garantita la sicurezza, non appaiano gli elementi tipici del carcere: i muri di cinta, la sorveglianza armata, il controllo invasivo. Sull'argomento è atteso nel giro di due settimane in Aula alla Camera l'esame in prima lettura del disegno di legge presentato dall'opposizione e sostanzialmente adottato anche dalla maggioranza per trovare soluzioni al problema. "L'obiettivo del testo - ha detto il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati - è lodevole: pensiamo alla costruzione di strutture molto simili ad una casa famiglia in cui i bambini possano continuare ad avere rapporti anche con il territorio e con gli altri loro parenti". Da questo punto di vista, anche se sarebbe più semplice, sarebbe stata scartata l'ipotesi di dedicare tre sole strutture macro - regionali per ospitare tutte le donne con bambini: l'idea di tre case, una a Milano (l'unica già attiva), l'altra a Roma e l'ultima a Palermo, ciascuna rispettivamente dedicata ai casi rilevati al nord, al centro e al sud, viene scartata appunto per conservare la possibilità di un legame con il territorio di riferimento. "Le premesse per l'approvazione del testo sono buone, ci sarà certamente qualche aggiustamento ma non credo che la sostanza sarà mutata: su questo tema - ha detto la rappresentante del governo - non c'è destra o sinistra, ma solo la necessità di trovare le modalità migliori per garantire la serenità dei bambini". Sardegna: Schirru (Pd); sulla medicina penitenziaria prendere decisioni al più presto Comunicato stampa, 9 settembre 2010 "Ritengo sia davvero arrivato il momento di smetterla di ricominciare tutto da capo per quel che riguarda il trasferimento della medicina penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Sistema Sanitario Regionale delle aziende Asl. Il comitato paritetico sta lavorando da anni alle norme di attuazione per l'applicazione del Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230 "Riordino della medicina penitenziaria a norma dell'articolo 5, della legge 30 novembre 1998, n. 419" che determina siano le Regioni ad assicurare l'assistenza sanitaria ai detenuti. Ricordo, a chi evidentemente ha la memoria corta, che il Parlamento ha ribadito tale principio anche con la Finanziaria del 2007. Quasi tutte le regioni hanno adempiuto, invece, la Regione Sardegna, con pretesti vari, rimanda continuamente. Ho scritto al Ministro Alfano e all'Assessore regionale Liori perché questa partita si chiuda al più presto. Questo è anche l'ultimo anno utile in cui il Ministero ha ancora disponibilità di risorse per attuare interventi sanitari all'interno degli istituti di pena. Purtroppo, le evanescenti dichiarazioni di Cossa, paiono davvero incomprensibili. Ci si inventa di tutto pur di non decidere chiaramente su questo tema. E intanto, solo a Buoncammino, più di 170 detenuti malati psichiatrici che avrebbero bisogno di ambienti, cure e trattamenti sanitari specifici, con i tagli che conseguiranno la bocciatura del passaggio di competenze, potrebbero seriamente rischiare la propria vita." Lazio: Rauti; servono strutture alternative al carcere per madri detenute e bambini Adnkronos, 9 settembre 2010 Sono necessarie strutture alternative affinché le madri che si trovano in carcere possano stare con i loro bambini in strutture, come l'Istituto di custodia attenuata per madri (Icam) di Milano, diverse da istituti penitenziari. Ne è convinta Isabella Rauti, membro dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio, intervenuta oggi alla trasmissione Uno Mattina su Raiuno. "I bambini in carcere non hanno alcuna colpa - ha affermato - ed il loro rapporto stretto con la madre subisce un violento strappo al compimento del terzo anno di età poiché i bimbi vengono portati via dal carcere e affidati o a un parente o ai servizi sociali". Per le mamme in carcere sono dunque necessarie strutture alternative , per questo il consigliere Rauti ha espresso la volontà di voler creare "strutture nelle quali tenere i bambini insieme alle madri ma non in carcere: una sorta di casa famiglia con delle regole precise. Struttura dove le madri vivono recluse e i bambini hanno una vita per così dire normale e fruiscono tra l'altro dei servizi del territorio circostante, parco giochi e asili nido, poiché possono uscire accompagnati dai volontari. E dove il personale penitenziario presente non indossa la divisa". "All'interno della casa, quindi - ha spiegato Isabella Rauti - si vive come una famiglia allargata e le stesse detenute accudiscono i propri bambini. Credo che sia facile da realizzare e molto importante. L'apertura dell'Icam a Milano ha portato alla chiusura dell'asilo nido di San Vittore, un vantaggio, un'esperienza unica e all'avanguardia che si può replicare. A un progetto simile sta lavorando la Regione Toscana ed anche la Sicilia. Il nostro scopo è quello di realizzare nel territorio del Lazio un istituto simile se non identico a quello dell'Icam". Il consigliere ha tenuto poi a sottolineare che il Lazio "non parte da zero perché la precedente amministrazione aveva già individuato una zona di Roma su cui realizzare l'istituto ed esiste un protocollo che impegna enti locali e il Dipartimento di polizia penitenziaria in tal senso. Credo sia opportuno - ha concluso - riprendere quella strada e credo che via sia un'intesa bipartisan su questo tema perché esiste solo la difesa dei diritti fondamentali". Lecce: protesta della Camera Penale, per le condizioni disumane di vita nel carcere Ansa, 9 settembre 2010 In una nota i penalisti leccesi denunciano le gravi condizioni all'interno dell'istituto di pena e proclamano lo stato di agitazione. Emerge in maniera sempre più evidente il profondo malessere che attraversa le carceri pugliesi e in particolare quello di Borgo San Nicola, alla periferia del capoluogo salentino. Dopo l'inchiesta avviata dalla Procura di Lecce sulla base degli esposti presentati dagli stessi detenuti sulle presunte carenze e i ritardi dei servizi di assistenza sanitaria, anche il mondo forense torna a interessarsi in prima persona delle problematiche dei detenuti del carcere leccese. In una seduta straordinaria tenutasi ieri pomeriggio, la giunta della Camera penale, presieduta dall'avvocato Ubaldo Macrì, ha approvato all'unanimità un documento in cui si rileva come già in passato l'associazione dei penalisti abbia "denunciato la quotidiana sofferenza nella quale vivono quanti si trovano ristretti nel carcere leccese a causa delle anguste dimensioni degli ambienti detentivi e del numero di detenuti assolutamente sproporzionato rispetto alla capienza massima della struttura". La giunta ricorda poi come all'interno della casa circondariale si viva una "situazione assolutamente insopportabile e disumana". Inoltre, già prima della cosiddetta sospensione feriale delle attività giudiziarie, la Camera penale ha sporto denuncia alla Procura della Repubblica di Lecce, evidenziando lo stato di assoluta inadeguatezza degli ambienti della struttura dell'istituto penitenziario di Lecce a causa del sovraffollamento ormai cronico. "Un problema - si legge nel documento - , che deve essere affrontato in tutte le sedi istituzionalmente competenti al fine di individuare cause ed eventuali responsabilità e, soprattutto, soluzioni e rimedi efficaci". Pertanto, la Camera penale ha deliberato di "proclamare lo stato di agitazione dei penalisti leccesi e di seguire costantemente lo stato della questione e gli sviluppi delle relative indagini penali". Nella prossima assemblea, inoltre, sarà proposta una giornata di astensione delle attività d'udienza quale concreto segno di piena solidarietà ai detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria". Cagliari: Sdr; negati i "domiciliari" a un detenuto ammalato di cancro Ansa, 9 settembre 2010 "Un detenuto - R.P. con un carcinoma alla prostata - dovrà effettuare le 42 sedute di radioterapia andando avanti e indietro dal carcere di Buoncammino all'ospedale oncologico accompagnato dalla scorta. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari gli ha infatti negato gli arresti domiciliari perfino in una struttura sanitaria. È il più evidente esempio di un trattamento afflittivo aggiuntivo immotivato da ragioni di sicurezza e ispirato piuttosto a un concetto vendicativo della pena detentiva". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" avendo appreso la decisione dei Giudici che, dopo una pausa di riflessione di una settimana e dopo aver messo a confronto le opposte tesi di due periti uno di parte e l'altro del Tribunale, hanno negato i "domiciliari" nonostante anche i Medici del Centro Clinico avessero suggerito la misura alternativa alla detenzione per il periodo di cura. "Non è la prima volta purtroppo - sottolinea la presidente di SdR - che viene negato dalla Magistratura di Sorveglianza il differimento pena in casi di malattie oncologiche. È accaduto nei mesi scorsi anche a Cagliari a una detenuta M.L. con un tumore al seno che ha dovuto sostenere un ciclo di 30 sedute restando nella sezione femminile di Buoncammino. In entrambi i casi ha sopperito al disagio la sensibilità della scorta ma resta inspiegabile la decisione. Oltre alla situazione fisica e psicologica del paziente tumorale, la struttura detentiva non può garantire quelle condizioni igienico sanitarie indispensabili nella delicata fase della terapia". "La scelta dei Giudici - evidenzia ancora Caligaris - appare in contrasto non solo con gli articoli 27 e 32 della Costituzione ma anche con la recente sentenza della sezione penale della Cassazione che, a prescindere dalla compatibilità, raccomanda l'umanizzazione della pena soprattutto con riguardo ai detenuti che non versano in felici condizioni di salute. Ma evidentemente la presenza di un carcinoma e la necessità di una cura radioterapica non sono stati sufficienti per giustificare una collocazione in una struttura alternativa. Resta da chiedersi chi si dovrà assumere la responsabilità di una eventuale infiammazione o complicazione dovuta alle condizioni ambientali in un Istituto di impianto ottocentesco come quello cagliaritano". Nuoro: Ugl; ben vengano i 41-bis, così arriverebbero anche i fondi e il personale La Nuova Sardegna, 9 settembre 2010 "I 41 - bis a Badù e Carros? Magari arrivassero. Almeno con loro arriverebbero anche i fondi e il personale necessari per sbloccare una soluzione ormai prossima al collasso". Così Libero Russo, segretario Ugl della polizia penitenziaria. Una provocazione amara la sua. La polemica scatenata dall'ipotesi che nel nuovo padiglione in realizzazione nel carcere nuorese arrivino i detenuti in regime di 41 - bis (il carcere duro riservato a camorristi e mafiosi) rischia infatti, a suo parere, di nascondere i problemi reali della casa circondariale. Afflitta da una carenza di personale drammatica, e da limiti strutturali sempre più pesanti da affrontare. "A custodire detenuti particolari siamo abituati - spiega il segretario provinciale della Ugl polizia penitenziaria. E da anni sono presenti nella nostra struttura detenuti in regime di Alta sicurezza 1 e 2 (tra cui anche qualche islamico accusato di terrorismo internazionale ndr). Non 41 - bis ma poco ci manca. Alcuni di loro lo sono stati, altri lo diventeranno. Il problema - continua Russo - è che con il personale attuale facciamo fatica a gestire l'ordinaria amministrazione". E dunque ben vengano i 41 - bis. "La mia è una provocazione - sottolinea Russo - ma nemmeno tanto. Con i 41 bis infatti arriverebbero fondi e uomini. E noi siamo 50 unità sotto organico. Con altri 20 colleghi che andranno in prepensionamento quest'anno". Badu ‘e Carros ha una capienza regolamentare di 273 detenuti, e tollerabile di 367. Attualmente i reclusi sono 160, visto che una sezione è chiusa per ristrutturazione. "E presto verrà consegnata - spiega Russo - e vista la situazione delle carceri italiane, immediatamente riempita. E noi già con 160 detenuti dobbiamo rinunciare a congedi parentali e riposi settimanali. Alcuni di noi hanno ferie arretrate da smaltire vecchie di anni. facciamo doppi turni e spesso siamo costretti a rientrare dalle ferie per compire situazioni di emergenza. Il tutto in situazioni limite, per la nostra sicurezza e per quella dei reclusi. Senza l'adeguato appoggio di mediatori culturali o psicologi. E comunque attenti a garantire la migliore qualità possibile, senza "sfogare" sul lavoro la tensione che respiriamo quotidianamente". Poi l'appello alla politica. "Noi ringraziamo il sindaco di Nuoro per l'interessamento, e i parlamentari e i consiglieri regionali. E chiunque parli del mondo del carcere, che è un problema di tutti, e che non si può più far finta di non vedere. Invitiamo tutti però a mobilitarsi ogni giorno, non solo dietro a qualche fantasiosa ipotesi di mafiosi che invadono la città. Oggi più che mai - conclude il segretario provinciale della Ugl polizia penitenziaria - occorre da parte di tutti, ognuno per la propria competenza, unire le forze e cercare di sviluppare, in un clima democratico, soluzioni concrete. Prima che il mondo carcerario esploda. Con drammatiche conseguenze, che in tanti non riescono a immaginare". Caserta: Uil; non solo sovraffollamento, ma anche rischi per la sicurezza del personale Il Mattino, 9 settembre 2010 È dura la denuncia che arriva da Eugenio Sarno sulle condizioni drammatiche in cui versano i detenuti delle carceri casertane. Dopo aver visitato la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, il segretario generale della Uilpa Penitenziari in una lettera indirizzata al capo del Dap, alla procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, al prefetto di Caserta e ad altre autorità, racconta la stridente contraddizione che c'è tra la sostanziale carenza di personale penitenziario e sociale in servizio negli istituti penitenziari della città campana e l'ingente investimento deciso dalla direzione per nuove manette modulari "praticamente inutilizzabili". "Le criticità - si legge nella nota - non afferiscono solo al dato del sovraffollamento ma attengono anche a penalizzanti condizioni di lavoro e ad oggettivi presupposti di rischio per l'incolumità fisica degli operatori e, più in generale, per l'ordine pubblico". Le quattro strutture penitenziarie provinciali (Aversa, Carinola, Arienzo e Santa Maria Capua Vetere) scoppiano, con un numero di reclusi che si attesta ben oltre la capienza regolamentare: a Carinola sono presenti 368 detenuti contro i 332 previsti, nell'Opg di Aversa si trovano 301 internati sui 259 previsti, ad Arienzo si contano 94 detenuti su 52 e a S. Maria Capua Vetere 837 su 497 posti. Tanti i detenuti, pochi gli agenti: solo 400 per circa 850 reclusi. Nell'Ospedale psichiatrico giudiziario della provincia casertana, ad esempio, il contingente di polizia penitenziaria preposto ai servizi di sorveglianza interna nei turni pomeridiani e notturni non supera le 5, 6 persone. "Caserta - scrive ancora Eugenio Sarno - è una delle poche province in cui è ancora in uso la prassi di incarcerare i soggetti che debbono sottoporsi al rito del processo per direttissima. Ciò non solo viola le disposizioni e la norma quanto determina un sovraccarico di lavoro assolutamente indebito e ingiustificabile". Dalla visita dell'istituto di pena casertano è emerso anche che "il parco automezzi è assolutamente inadeguato e insufficiente. Per il trasporto detenuti, infatti, si dispone di soli otto automezzi non protetti con una percorrenza media di circa 210mila chilometri. I mezzi protetti disponibili, quanto mai necessari per l'elevato numero di detenuti di Alta Sicurezza o 41/bis, sono invece solo due". Come se non bastasse, i due mezzi a disposizione del carcere sono fermi perché inutilizzabili, "non per l'usura ma a causa di un difetto strutturale: le portiere cedono e si incastrano nella carrozzeria". Varese: il carcere doveva essere chiuso nel 2001, oggi i detenuti sono il triplo del previsto Ansa, 9 settembre 2010 La struttura doveva essere chiusa nel 2001. Il direttore Mongelli: "Situazione limite anche perché si ricorre alla carcerazione quando non ce ne sarebbe bisogno". In Italia sovraffollamento generalizzato. A Varese i detenuti sono il triplo di quelli previsti: 120 contro i 44 della "soglia regolamentare" e i 90 della "capienza tollerabile", al di sopra della quale si può parlare di emergenza. Il tutto in un carcere che secondo le direttive del governo, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale nel 2001, doveva essere già chiuso in quanto obsoleto. Quello del carcere di Varese è un caso limite, che rispecchia però la situazione sempre più allarmante delle prigioni italiane. Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 agosto, in tutte e venti le regioni italiane la somma dei detenuti supera la capienza prevista, mentre in undici si supera anche la soglia "tollerabile". Tra queste la Lombardia, che ospita 9.255 reclusi a fronte dei 5.673 regolamentari e degli 8.737 della soglia limite. Nella prigione di Varese ogni detenuto ha poco più di 3mq a disposizione: "Abbiamo 44 celle da 10mq circa bagno compreso - spiega il direttore del carcere Gianfranco Mongelli - per regolamento ogni cella dovrebbe ospitare una sola persona, mentre ora ne abbiamo tre in ognuna". Se il dato sui suicidi rimane basso (l'ultimo nel 2004), e gli atti di autolesionismo costanti (7 nel primo semestre 2010, contro gli 8 dello stesso periodo 2009), spiega, "è perché in un carcere di piccole dimensioni è più facile mantenere rapporti umani con i detenuti". Ma la situazione rimane molto delicata. E da risolvere, come? Secondo Mongelli, "occorre costruire nuove strutture, ma anche riflettere sul fatto che in Italia si condannano al carcere persone che potrebbero meglio essere recuperate fuori. Perché la riabilitazione del detenuto avviene sempre nella società e non nella prigione". Al tribunale di Varese ora mancano anche i due giudici di sorveglianza che concedono i permessi ai detenuti (vedi lancio di ieri), quindi le pratiche devono essere sbrigate dai tribunali di Milano e Pavia. "Una situazione che per ora non ha creato ritardi e disagi particolari per i detenuti, ma che è necessario che il Csm risolva al più presto, per evitare che peggiorino ulteriormente le condizioni di vita dei detenuti", spiega il direttore. Roma: Sappe; a Rebibbia agenti sventano evasione di un detenuto italiano Adnkronos, 9 settembre 2010 "La tensione nelle carceri sale ogni giorno di più e le criticità connesse al grave sovraffollamento determinano quasi ogni giorno eventi critici sempre più gravi. Dopo i casi analoghi a Vercelli, Orvieto, Firenze, Milano, Alessandria e Torino, è solamente grazie alla professionalità, alle capacità e all'attenzione del personale di polizia penitenziaria che è stata impedita l'evasione di un detenuto da un carcere italiano. È accaduto a Roma Rebibbia nuovo complesso. L'altra mattina, un detenuto marocchino ha eluso i controlli e ha tentato di evadere calandosi in un tombino e arrivando nei sotterranei". È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). "Dopo varie ricerche nei sotterranei, - spiega Donato Capece, - il detenuto è stato rintracciato e fatto rientrare in cella. La gravità è che già due mesi fa un altro detenuto aveva fatto la stessa cosa e, dopo relazione della polizia penitenziaria, si è arrivati alla conclusione che non si potevano saldare due ferri, in quanto la locale officina era chiusa. E questo è un fatto grave". "Certo è - prosegue Capece - che il detenuto è stato immediatamente rintracciato dai nostri bravi ed attenti agenti di polizia penitenziaria, intervenuti tempestivamente. Bravissimi i colleghi di Rebibbia nuovo complesso, che lavorano costantemente in condizioni difficili: basti pensare che i detenuti presenti sono circa 1.700 di 1.100 letto regolamentari e gli agenti di Polizia Penitenziaria che mancano in organico sono ben 255". "Questo grave episodio - continua Capece - conferma drammaticamente, ancora una volta, le criticità del sistema carcere. C'è bisogno di una nuova politica della pena. La frequenza di questi gravi episodi un po' in tutta Italia e l'assenza di concreti provvedimenti per il sistema carcere da parte delle Istituzioni e della politica ci preoccupa. Oggi la Polizia Penitenziaria ha carenze organiche quantificate in 6mila unità: bisogna allora accelerare sulle previste assunzioni di 2mila nuovi Agenti. Ma nel frattempo, un'ottima soluzione potrebbe essere quella di impiegare i militari delle Forze Armate per i servizi di vigilanza esterna degli istituti penitenziari", conclude il segretario Capece. Cosenza: assistente della Polizia penitenziaria aggredito da un detenuto Agi, 9 settembre 2010 Il fatto è avvenuto questa mattina nel reparto di media sicurezza nel momento di immissione dei detenuti nei cortili per la fruizione della "ora d'aria". L'assistente, è stato colpito al volto con l'interessamento della vista ed è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari presso il pronto soccorso cittadino i quali gli hanno concesso alcuni giorni di prognosi. Lo ha reso noto il Sappe. "Nel corso del 2009, in Calabria, ci sono stati 5 suicidi, 32 tentativi di suicidio, 131 atti di autolesionismo, 45 casi di soggetti che hanno posto in essere ferimenti, 62 episodi di danneggiamento di beni dell'Amministrazione - ha affermato il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante. Chiediamo che coloro che si rendono responsabili di aggressioni al personale di polizia penitenziaria debbano essere puniti in maniera esemplare. Non è più tollerabile che gli agenti debbano andare a lavorare per 1200 euro al mese e prendere anche pugni in faccia, sputi e quant'altro". "Ancora una volta, purtroppo, dobbiamo registrare l'aggressione ad un appartenente alla polizia penitenziaria - ha affermato il segretario regionale del Sappe Damiano Bellucci una situazione che si ripete insieme ad altri fenomeni e che aggrava la situazione lavorativa del personale del Corpo che da tempo deve affrontare sempre maggiori disagi per lo più dovuti al sovraffollamento (i detenuti nei 12 istituti calabresi al 31 agosto erano 3.176 a fronte di una capienza regolamentare di 1.871), alla carenza di personale e all'insufficienza delle risorse assegnate in tutti i capitoli di spesa. A Cosenza a fronte di una capienza regolamentare di 198 posti i ristretti sono 338 di cui quasi 150 appartenenti al circuito di alta sicurezza. Anche il personale di polizia penitenziaria in servizio a Cosenza è insufficiente e deve sistematicamente ricoprire contemporaneamente più posti di servizio, non fruisce regolarmente dei riposi settimanali e del congedo ordinario, mentre si registrano ritardi notevoli nella liquidazione dei servizi di missione effettuati dal personale per il trasferimento dei detenuti. Ci preme esprimere inoltre, la nostra solidarietà e vicinanza al collega ferito e l'augurio di una pronta guarigione oltre che a manifestare la nostra vicinanza al personale di polizia penitenziaria di Cosenza poiché questi episodi si aggiungono a tutte le altre criticità e rendono sempre più difficile il lavoro della polizia penitenziaria". Macerata: i due detenuti albanesi evasi dal carcere di Pisa catturati a Porto Recanati Agi, 9 settembre 2010 Sono stati catturati a Porto Recanati, in provincia di Macerata, i due detenuti albanesi evasi dal carcere di Pisa il 26 luglio scorso. A rintracciarli sono stati i carabinieri di Brescia in collaborazione con i militari della compagnia di Teramo. Si tratta di Roland Dedja e Bledar Shehu, rispettivamente di 26 e 27 anni, che erano in carcere con l'accusa di omicidio e tentato omicidio. I due sarebbero stati catturati presso un'abitazione del comune di Porto Recanati. Secondo fonti investigative uno dei due albanesi era già stato segnalato nell'ascolano dove si ritiene abbia avuto dei complici. (AGI Erano evasi il 26 luglio scorso, in pieno giorno, dal carcere Don Bosco di Pisa, i due albanesi, Bledar Shehu, 27 anni, e Roland Dedja, 26 anni, arrestati stamani nelle Marche. Una fuga rocambolesca, quasi da film: prima scavalcarono il muro di cinta del carcere calandosi con le lenzuola all'esterno, dove poi fermarono una passante nelle strade adiacenti rubandole l'auto e svanendo nel nulla. La vettura venne ritrovata alcuni giorni dopo a Torino. I due albanesi erano in carcere con accuse pesanti di omicidio e tentato omicidio e, secondo gli investigatori pisani, hanno potuto contare fin da subito su una rete di appoggi che li ha coperti nella fuga fino all'arresto di questa mattina. I due detenuti erano riusciti a eludere la sorveglianza del carcere, riaccendendo la miccia delle polemiche sindacali della polizia penitenziaria che denuncia da tempo situazioni inadeguate per il personale della casa circondariale pisana a causa del sovraffollamento e per la carenza di organico degli agenti in servizio. Libia: liberati 1.189 detenuti, per 41° anniversario del potere di Gheddafi Ansa, 9 settembre 2010 Secondo una notizia apparsa mercoledì scorso sulla stampa libica, l'Alto Consiglio libico per le istanze giudiziarie ha annunciato la liberazione di 1.189 detenuti. Si tratta di persone, ha fatto sapere l'Alto Consiglio, che hanno già scontato più della metà della loro pena. La liberazione è stata decisa in concomitanza con le celebrazioni per il 41.mo anniversario dell'ascesa del leader Muammar Gheddafi alla guida del Paese. Nella lista dei detenuti graziati, secondo la stessa fonte, si contano "944 libici, fra cui 13 donne e 245 stranieri provenienti da Paesi africani, fra i quali 65 egiziani, 61 ciadiani, 23 nigeriani, 22 sudanesi, 12 tunisini, 11 nigeriani, 6 marocchini e 5 palestinesi. Sudafrica: diplomi e lauree a detenuti con programma di formazione voluto dal governo Agi, 9 settembre 2010 Il governo sudafricano inizia a vedere i primi frutti dell'azione volta alla formazione e qualificazione dei detenuti, avviata alcuni anni fa con l'intento di favorirne il reinserimento nella società. Una cerimonia significativa si è svolta nel carcere di Pretoria, dove a 170 detenuti della Provincia settentrionale del Gauteng - di cui fa parte anche la metropoli di Johannesburg - sono stati consegnati attestati, diplomi e lauree. All'evento ha presenziato una piccola folla di parenti e amici dei neo-diplomati e neo-laureati. Per l'occasione, a questi ultimi era stato concesso eccezionalmente di non portare l'uniforme carceraria. La cerimonia è stata seguita anche da personalità dell'Università del Sudafrica e dell'amministrazione penitenziaria. Il detenuto più anziano del gruppo è stato il 63enne Casper Greeff, che ha conquistato a pieni voti un dottorato in Archeologia biblica.