Giustizia: che fine hanno fatto i “tre pilastri” del cosiddetto Piano carceri? www.rassegna.it, 8 settembre 2010 Superato ogni record di sovraffollamento. Da gennaio 43 suicidi dietro le sbarre. Ma il progetto dell’esecutivo basato sui tre “pilastri” (edilizia penitenziaria, diminuzione del numero di reclusi, assunzione di 2.000 agenti) sembra finito nel dimenticatoio. Le ultime cifre parlano di una popolazione di oltre 69mila reclusi a fronte di una capienza massima consentita di massima 43.500 unità: il sovraffollamento delle carceri italiane continua a battere record su record. Sembrava che se fosse accorto anche il governo, con la dichiarazione dello stato d’emergenza del presidente del Consiglio Berlusconi e l’annuncio che risale allo scorso 13 gennaio di un piano straordinario basato su tre pilastri: edilizia penitenziaria, deflazione delle presenze in carcere, assunzione di 2.000 agenti. A quella dichiarazione, però, non è stato dato seguito, come denuncia il responsabile nazionale Fp Cgil per il comparto sicurezza, Francesco Quinti. “Mentre in tutta Europa ci si interroga sulle criticità del sistema penitenziario e si adottano misure contro il sovraffollamento - afferma il dirigente del sindacato, l’Italia si distingue per incapacità di intervento e assenza di progettualità. In questi mesi in carcere si continua a morire e si rischiano rivolte e fughe di massa, ma è calato il silenzio: niente sul piano dell’edilizia, che richiede circa 1,5 miliardi di euro di investimenti, il ddl Alfano forse concluderà il suo iter nel mese di ottobre, producendo effetti modesti sul contenimento delle presenze, niente sul fronte delle assunzioni, malgrado si sconti una carenza di 6.000 poliziotti, cui si aggiungeranno almeno 2.500 pensionamenti nei prossimi 3 anni”. Se all’allarme del sindacato si collegano i dati del monitoraggio di Ristretti Orizzonti si comprende meglio come la situazione sia davvero esplosiva. Negli ultimi dieci anni, afferma l’associazione, nelle carceri italiane sono morti quasi 1.700 detenuti, di cui oltre un terzo per suicidio. E anche quest’anno la sconsolante media è rispettata: da gennaio siamo già arrivati a 120 morti con 43 suicidi dietro le sbarre. Ma il “piano carceri” che prevede la realizzazione di nuovi istituti di pena e l’ampliamento di strutture già esistenti per creare fino a 20mila nuovi posti, al costo di un miliardo e mezzo di euro, a oggi non ha fatto passi avanti. Circa 69.000 detenuti, a fronte di 43.500 posti disponibili, “rendono assai complessa, e in qualche caso precaria, la sicurezza e la vita nelle carceri - aggiunge Quinti, l’incolumità del personale e delle persone ristrette, come dimostrano le numerose risse, le aggressioni ai danni di poliziotti, i suicidi, i tentativi di fuga sventati solo grazie alla professionalità del personale di polizia penitenziaria”. Su questi temi il governo, il ministro Alfano e il capo del Dap Franco Ionta, commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, “abbiano il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e ammettano il fallimento”. Infine un appello al presidente Napolitano per il rispetto dell’art. 27 della Costituzione: “Confidiamo nella sua sensibilità istituzionale e personale affinché solleciti l’apertura di un una discussione parlamentare risolutiva. Siamo all’emergenza umanitaria e su questo terreno la politica dovrebbe mostrare serietà e capacità di azione. Finora solo parole e promesse dal sapore sempre più amaro”. Giustizia: tra carceri strapiene e carceri sottoutilizzate per mancanza di personale di Dimitri Buffa L’Opinione delle Libertà, 8 settembre 2010 “Siamo all’emergenza umanitaria. 69.000 detenuti, mai così in 60 anni, a fronte di 44.500 posti disponibili - ha detto Francesco Quinti, responsabile nazionale Fp - Cgil dei comparto sicurezza - rendono assai complessa, e in qualche caso precaria, la sicurezza e la vita nelle carceri, l’incolumità del personale e delle persone ristrette, come dimostrano le numerose risse, le aggressioni ai danni di poliziotti, i suicidi, i tentativi di fuga”. E il suo omologo della Uil, Eugenio Sarno, gli fa eco e usa addirittura facebook per fare sapere che dall’inizio dell’anno solo la professionalità degli agenti di custodia ha sventato qualcosa come 101 tentativi di suicidio. Che si aggiungono ai circa 50 messi invece, portati a termine. Pure ieri a Palermo un minorenne appena arrestato ha tentato di impiccarsi nel centro di prima accoglienza; a darne notizia Donato Capece, cioè il segretario di un altro sindacato, il Sappe, generalmente etichettato come di destra. Le accuse dei sindacalisti, cui viene dato poco spazio nei media con l’eccezione di Radio radicale e de L’Opinione, riguardano il piano dell’edilizia, che richiede circa 1,5 miliardi di euro di investimenti e che per ora sta fermo al palo, così come il ddl Alfano che, elezioni permettendo, forse concluderà il suo iter nel mese di ottobre, producendo effetti modesti sul contenimento delle presenze. Nulla poi sul fronte delle assunzioni, malgrado si sconti una carenza di 6.000 agenti, a cui si aggiungeranno almeno 2500 pensionamenti nei prossimi 3 anni. E lo stallo nelle assunzioni, ricorda sempre Sarno della Uil, produce il paradossale effetto di rendere indisponibili svariate centinaia di posti liberi in carceri di nuova costruzione. “A Rieti il carcere funziona al 30% della potenzialità (come raccontato da L’Opinione la scorsa settimana) - spiega Sarno - a Trento è già quasi pronto un istituto nuovo, ad Avellino tra qualche settimana sarà disponibile un nuovo padiglione penitenziario da 400 posti, a Rimini è pronta una nuova sezione, ad Ancona l’istituto non è ancora a pieno regime. Fino ad arrivare al paradosso del nuovo istituto alle porte di Reggio Calabria, pronto ma non fruibile per la mancata costruzione della strada di collegamento”. In Italia (non) funziona così. Giustizia: i detenuti stranieri comunitari sconteranno la pena nel Paese di provenienza Adnkronos, 8 settembre 2010 Il Guardasigilli: “Risposta concreta all’emergenza del sovraffollamento nelle carceri”. Il trasferimento avverrà senza un previo accordo dello stato estero e senza il consenso della persona condannata. La procedura riguarda 1.214 detenuti stranieri. Il governo, al Consiglio dei ministri, ha approvato un decreto legislativo volto a disciplinare il trasferimento delle persone condannate dall’Italia verso lo Stato di cittadinanza per la regolare esecuzione delle pene detentive. Ne dà notizia una nota del ministero della Giustizia. “Con questo provvedimento - afferma il ministro Angelino Alfano - l’Italia è il primo Paese dell’Unione europea ad attuare la decisione quadro del 27 novembre del 2008, con largo anticipo rispetto alla scadenza fissata al 5 dicembre del 2011”. “In questo modo, - prosegue Alfano - il governo intende dare una risposta concreta all’emergenza del sovraffollamento carcerario attraverso il trasferimento dei condannati stranieri, per l’esecuzione della pena, senza un previo accordo dello Stato estero di cittadinanza e senza il consenso della persona condannata, agevolando, quindi, il trasferimento verso tutti gli Stati dell’Ue”. “Si tratta dunque - spiega ancora il Guardasigilli - di un importantissimo passo in avanti rispetto ai tradizionali accordi internazionali in base ai quali il trasferimento del condannato dipendeva sempre dal consenso della persona e da accordi con lo Stato di cittadinanza che, però, non era mai obbligato ad accogliere un proprio cittadino per fargli scontare la pena applicata da un altro Stato”. Il decreto legislativo approvato oggi, spiega ancora la nota di via Arenula, persegue un duplice obiettivo: “Da una parte favorisce il reinserimento sociale, familiare e lavorativo del detenuto straniero, riportandolo nei suoi luoghi di appartenenza; dall’altra, assieme alle altre misure contenute nel piano carceri, avvia a soluzione lo storico problema della tensione detentiva, riducendo sensibilmente il numero degli stranieri detenuti in Italia”. Dopo un’attenta ricognizione, infatti, ragguagliano ancora dal ministero della Giustizia, “si è rilevato che i detenuti stranieri, oggi in Italia, che potranno essere trasferiti in altri Stati dell’Unione europea, grazie a questa nuova procedura, sono 1.214. Tutta la procedura dovrà completarsi entro tempi certi e brevissimi, imposti dall’Unione europea: di norma sessanta giorni dalla trasmissione del certificato di trasferimento della persona condannata. Naturalmente, il provvedimento regola anche l’ipotesi in cui un cittadino italiano, condannato in un altro Stato dell’Unione europea, venga trasferito in Italia per l’esecuzione della pena detentiva”. Giustizia: Ionta (Dap); decreto sui rimpatri è passo in avanti, finora risultati non buoni Agi, 8 settembre 2010 Il decreto approvato ieri in Consiglio dei Ministri riguardante il rimpatrio dei detenuti stranieri condannati in Italia è “un indispensabile passo in avanti”. Lo ha detto il capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, a margine di un’audizione in Commissione Giustizia della Camera. “è noto che esiste un problema di sovraffollamento delle nostre carceri - ha detto il capo del Dap - e non è un caso che io abbia poteri straordinari sull’edilizia penitenziaria e che il Parlamento si stia occupando di un ddl sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena residua inferiore a un anno. Il decreto approvato ieri è un passo indispensabile verso una normativa di trasferimento dei detenuti stranieri nel loro Paese di appartenenza, anche se i precedenti non sono esaltanti, finora non si sono avuti buoni risultati”. I detenuti stranieri in Italia sono quasi il 30% della popolazione carceraria. “Ora bisogna fare in modo - ha concluso Ionta - che ogni Paese destinatario del rimpatrio accolga queste direttive”. 56 bambini vivono con le loro madri nei penitenziari Sono in tutto 56 i bambini d’età inferiore ai 3 anni che vivono con le loro madri nei penitenziari del nostro Paese. È il dato fornito dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta durante un’audizione in Commissione Giustizia della Camera, che sta esaminando il ddl sulle detenute madri. “L’amministrazione penitenziaria - ha detto Ionta al termine dell’audizione - vede con favore un provvedimento di questo tipo”. In Italia sono circa 3mila - per l’esattezza 2.969 - le donne detenute, e 1.300 di queste sono straniere. Cinquantacinque (di cui 24 in attesa di giudizio definitivo) sono quelle che vivono in carcere con i loro bambini: 14 di queste sono di nazionalità italiana, le rimanenti provengono soprattutto da Romania, Nigeria ed ex Jugoslavia. Giustizia: Radicali; ancora uno “spot” del Governo, per affrontare l’emergenza carceri Asca, 8 settembre 2010 “Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, dopo l’affossamento del suo ddl per far scontare alla detenzione domiciliare chi abbia una pena residua inferiore ad un anno, ci riprova con un decreto/balla che, a suo avviso, è ‘una risposta concreta all’emergenza del sovraffollamento delle carceri”‘. Lo dichiara in una nota Rita Bernardini, deputata radicale, membro della Commissione Giustizia “A parte il fatto che, come rileva Ristretti Orizzonti avvalendosi di una relazione tecnica dei tecnici dello stesso Ministero della Giustizia, non saranno più di 50 (in un anno!) i detenuti che potranno finire di scontare la pena nel loro paese di provenienza, se pure fossero vere lo sue stime di 1.214 detenuti stranieri trasferiti, dove sarebbe la “risposta concreta” se è vero come è vero che oltre 68.000 carcerati sono ammassati in 44.000 posti disponibili? La risposta ragionevole, in realtà, è solo una: un provvedimento di amnistia che oltre (e prima ancora che) ad affrontare il tremendo sovraffollamento carcerario consentirebbe alla Giustizia di uscire dall’emergenza degli oltre 10 milioni di processi (fra penale e civile) non celebrati che soffocano le scrivanie dei magistrati determinando l’amnistia di fatto delle duecentomila prescrizioni all’anno. E forse, l’amnistia, potrebbe risolvere anche i tanti problemi giudiziari del Presidente del Consiglio che, usufruendone, non sarebbe un “privilegiato” di leggi ad personam, ma uno fra tanti. Sempre che - e su questo noi radicali siamo fermissimi - il provvedimento di clemenza sia il preludio di quella riforma della Giustizia che è la vera emergenza democratica/economica/civile del Paese che gli elettori italiani hanno dimostrato di voler contrastare votando sì ai referendum radicali sulla giustizia giusta”. Giustizia: Ristretti Orizzonti; quella di Alfano è solo una “dichiarazione a effetto” Redattore Sociale, 8 settembre 2010 La direttrice Ornella Favero critica il provvedimento, che prevede il trasferimento dei condannati comunitari nel proprio paese: “Numeri irrisori”. “Una dichiarazione a effetto. Difficile che sia qualcosa di più”. Con queste parole la direttrice di Ristretti Orizzonti, Ornella Favero, accoglie l’annuncio di un nuovo decreto legislativo che dovrebbe decongestionare le carceri. La misura, annunciata ieri dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, prevede per gli stranieri comunitari condannati il trasferimento dall’Italia verso lo stato di cittadinanza per l’esecuzione della pena detentiva. A suscitare la prima perplessità è il numero, definito “irrisorio”, delle persone toccate dal provvedimento. Da quanto riportato dallo stesso ministro i detenuti interessati infatti sono 1.214. “Visti questi numeri mi vien da dire: di cosa stiamo parlando?”. È il commento ironico di Favero: “I condannati comunitari nelle carceri sono davvero pochi. Io penso di averne incontrati di rado. Quindi davvero mi sembra un annuncio a effetto di quelli che piacciono alla Lega, che però non cambiano molto nei fatti”. A far nascere altri dubbi è, in secondo luogo, la reale applicabilità della legge: “Il governo non è neanche riuscito a far funzionare l’espulsione dei detenuti stranieri, non solo comunitari, negli ultimi due anni di pena, prevista da un precedente decreto legislativo. Una misura che avrebbe davvero alleggerito le carceri. E non riesce neanche a far passare la “misurina”, attesa da molti, dell’ultimo anno di pena da scontare ai domiciliari. Per cui, di nuovo, di cosa stiamo parlando?”. Secondo Favero, dunque, misure - o “misurine” - già potenzialmente applicabili ci sono. Il primo riferimento è quello al decreto legislativo 286/98 che prevede l’espulsione dei detenuti stranieri per gli ultimi due anni di detenzione: “Ad oggi riescono a farne pochissime di queste espulsioni. A volte succede che il provvedimento venga reso effettivo solo per gli ultimi mesi della pena. So anche di detenuti che aspettavano l’espulsione, ma non c’erano i soldi per pagare loro il viaggio. I tempi, poi, sono lunghissimi, spesso anche perché è difficile l’identificazione delle persone e quindi l’individuazione dello stato di destinazione. Insomma: questa legge già c’è e sarebbe utile allo scopo della decongestione carceraria. Ma questo nuovo annuncio mi sembra, ripeto, un annuncio a effetto e niente più. Con quasi 70mila detenuti mandarne via un migliaio mi sembra risibile”. Giustizia: Antigone; provvedimento inattuabile, senza consenso di detenuto e Paese provenienza Redattore Sociale, 8 settembre 2010 “Non vedo come il governo possa trasferire oltre 1.200 detenuti senza il consenso loro e del paese di provenienza”. Per il presidente Gonnella “bisognerebbe fermare i flussi in entrata piuttosto che concentrarsi su quelli in uscita”. “Non ho ancora letto il testo decreto legislativo ma sulla base delle dichiarazioni finora rilasciate, mi sembra che si tratti di un provvedimento inattuabile”. Lo ha detto il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, a proposito del decreto legislativo approvato ieri dal Consiglio dei ministri sul trasferimento dei detenuti stranieri comunitari nelle carceri dei loro paesi di origine. “Non vedo come il governo possa riuscire nell’impresa di trasferire oltre 1.200 detenuti senza il loro consenso e senza il consenso del paese di provenienza. A meno che - precisa - non si pensi a una sorta di liberazione collettiva tramite accompagnamento alla frontiera”. Nello stesso tempo, però, l’approvazione del decreto legislativo sta a rappresentare l’ammissione del governo che i numeri del sovraffollamento nelle carceri italiane sono ormai diventati insostenibili. “È importante che ci sia questa presa di coscienza - è il commento del presidente di Antigone - ma bisognerebbe piuttosto fermare sui flussi in entrata”. Giustizia: Rao (Udc); bene il decreto, ma c’è poco da esultare, carceri in condizioni drammatiche Agi, 8 settembre 2010 “Il provvedimento approvato oggi in consiglio dei ministri per “disciplinare il trasferimento delle persone condannate dall’Italia verso lo Stato di cittadinanza per la regolare esecuzione delle pene detentive” è certamente positivo, ma l’esaltazione che ne dà il ministro della giustizia a fronte della pochezza dei numeri è il segno del fallimento della politica del governo che non ha fatto nulla di tutto quello che aveva promesso in materia carceraria”. Lo dichiara in una nota Roberto Rao capogruppo Udc in commissione giustizia di Montecitorio. “I numeri del sovraffollamento sono drammatici - aggiunge - e se oggi si esulta perché nei prossimi mesi - in un periodo ancora indefinito e se tutto andasse secondo le più rosee previsioni - solo 1.214 detenuti saranno messi nelle condizioni di scontare nel paese europeo di origine la pena, vuol dire che si continua ad affrontare l’emergenza non con l’approccio degli interventi organici e della responsabilità ma con quello degli spot e degli annunci”. Giustizia: Sidipe; i direttori penitenziari domani in tv; siamo stanchi e delusi dalle inutili promesse Comunicato stampa, 8 settembre 2010 Domani il Sidipe con il proprio segretario nazionale, dr. Enrico Sbriglia, parteciperà alla trasmissione giornalistica “Notizie Oggi”, su Canale Italia (ore 6.00 - 8.20 ca.), nel corso della quale, tra i diversi temi, si affronterà anche quello della difficile situazione delle carceri italiane. Chi volesse intervenire in diretta dovrà fare il seguente numero telefonico: 049.631111. Gianluca Versace, conduttore della trasmissione, costituisce una garanzia di equità ed indipendenza già testata in precedenti edizioni che hanno trattato la questione. “Canale Italia”, confermando la civile sensibilità che ha costantemente evidenziato sui temi dell’esecuzione penale, offrirà una ulteriore opportunità per “svegliare” l’effettiva attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica su un sistema organizzativo penitenziario che rischia di esplodere da un momento all’altro con conseguenze disastrose per la sicurezza dei cittadini. Ormai gli operatori penitenziari sono non soltanto stanchi e delusi dalle inutili promesse di aiuti concreti, solennemente enunciate ma non concretizzate in atti, non visibili in effettivi conferimenti di risorse umane e finanziarie, non garantite da una contestuale, sincera e rinnovata, attenzione verso la fatica ed il sacrificio quotidiano degli operatori penitenziari i quali si sentono finanche presi in giro, costretti da soli a garantire il pallido tentativo di un effettivo rispetto dei valori costituzionali in tema di diritti umani, dignità della pena, rieducazione dei condannati. Le carceri, sovraffollate e spesso manchevoli di tutto, si stanno sempre più progressivamente trasformando in gironi infernali, capaci di annichilire e stritolare tutto e tutti: una democrazia della sofferenza e del dolore che non riesce neanche a distinguere tra operatori penitenziari e detenuti, tra innocenti e colpevoli, tra atei e credenti. Sembra quasi che le stesse diverse divinità, così come sono numerosi e diverse le etnie incarcerate, abbiano compreso che è meglio fermarsi alla porta blindata, imitando alla perfezione coloro che, per le posizioni di responsabilità sia politica che amministrativa ricoperte, dovrebbero entrarvi ogni giorno, per capire, portare solidarietà vera, nonché rendersi conto di persona sullo stato delle cose. Dopo le processioni del 15 agosto, fatta da quanti, politici e rappresentanti delle istituzioni, hanno voluto rendere omaggio alla “Madonna Piangente ed Incatenata”, ci attendiamo quelle del 25 dicembre p.v., consci che nel serraglio natalizio apparirà la ricorrente cometa luminosa di mendaci promesse, sempre che non accada qualcosa prima, qualcosa di irreparabile che nessuno di noi vorrebbe: ma ormai non abbiamo più mezzi a disposizione, credeteci non dipenderà da noi e vi assicuriamo che non abbandoneremo la nave che affonda. Una bottiglia da un litro di acqua non può contenerne due, una recettività delle carceri, già di per se presuntiva, di circa 45 mila detenuti, non potrà contenerne agevolmente 70 mila, non occorre essere aruspici per comprendere a quali rischi tutti stiamo andando incontro. Segreteria nazionale Sidipe Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari Giustizia: Anfap; errori nel decreto sui ruoli tecnici di polizia penitenziaria, conseguenze nefaste Ansa, 8 settembre 2010 “Ancora una volta siamo stati trattati come i domestici di altre di altre categorie penitenziarie e non come i servitori dello Stato”: così Silvio Gallo, presidente dell’Associazione nazionale dei funzionari di polizia penitenziaria (Anfap) commenta l’istituzione dei ruoli tecnici di polizia penitenziaria, per la banca dati del Dna, annunciata ieri dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano. “I tanto attesi ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria, previsti con la legge 85/2009 - aggiunge Gallo in una nota - nascono normativamente vecchi di 30 anni e in violazione della delega legislativa, in quanto il testo del decreto approvato ieri in Consiglio dei Ministri non considera principi e criteri irrinunciabili. Il ruolo dei direttori tecnici del corpo di polizia penitenziaria, fondamentale per le attività che il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna è chiamato a svolgere sarebbe stato istituito in difformità alla volontà del legislatore, prendendo come riferimento - afferma Gallo - l’abrogato Dpr 337/1982 e non il decreto legislativo 334/2000, tuttora vigente, che ha riordinato i ruoli tecnici della Polizia di Stato e tale errore grossolano avrà conseguenze nefaste per l’intera polizia penitenziaria”. “Saremmo curiosi di conoscere - conclude il presidente dell’Anfap - il nome del Dirigente in servizio presso l’amministrazione penitenziaria centrale estensore della bozza di provvedimento, ormai convinti che al Dap la polizia penitenziaria sia diventata ospite a casa propria”. Giustizia: Osapp; far lavorare tutti detenuti, parte dei proventi utilizzati per pagare nuovi poliziotti Ansa, 8 settembre 2010 Lasciare che in carcere circa 56 mila disoccupati gravino totalmente sui contribuenti, anche attraverso 20 milioni di euro di sussidio Inps, è una delle peggiori contraddizioni del sistema penitenziario. È per questo che Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, lancia una proposta “rivoluzionaria” per l’Italia: “Proponiamo la massiccia e diretta partecipazione delle imprese private alla gestione delle attività lavorative in carcere, a condizioni di reale vantaggio per tutti” annuncia Beneduci “mediante contratti che prevedano la corresponsione, oltre che dei contributi di legge, di retribuzioni pari alle somme che i detenuti possono effettivamente spendere in carcere (il cosiddetto “peculio”) e il versamento di ulteriori quote da destinare all’assunzione dei 10 mila agenti penitenziari che mancano, nonché per il risarcimento delle vittime dei reati”. Oggi, su un totale di detenuti che arriva a 68.468, sono meno di 12 mila quelli che svolgono un’attività lavorativa per almeno un’ora al giorno (circa 10.500 all’interno degli istituti di pena): il 17,5 per cento. E questo nonostante che la legge prescriva che il lavoro in carcere sia obbligatorio, almeno per chi sconta una condanna definitiva. Beneduci è molto scettico sul piano - carceri da 9 mila posti tra 11 nuovi istituti e 22 padiglioni: “Se mai vedrà la luce” sostiene “ci si renderà presto conto che i circa 600 milioni di euro previsti costituiscono solo la tranche iniziale di una spesa che, nel tempo, insieme ai costi già esistenti, renderà del tutto ineconomico mantenere in piedi il sistema penitenziario alle attuali condizioni”. Lettere: servono anche le visite di Ferragosto, più deputati e senatori vanno nelle carceri e meglio di Guido Melis Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2010 Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Guido Melis (deputato Pd) alla nota sullo stato delle carceri di Francesco Quinti, responsabile nazionale Fp Cgil per il comparto sicurezza. “Caro Quinti, leggo con interesse il tuo intervento, del quale condivido il senso generale e i contenuti. Solo vorrei dirti: da quando sono deputato Pd (2008) sono sempre stato in carcere per Ferragosto. Inoltre, come membro della Commissione giustizia della Camera e come parlamentare interessato alla tragica situazione che tu descrivi ho compiuto molte altre visite ispettive, accompagnate da interrogazioni e interventi in aula. Considero la questione delle carceri una vergogna dell’Italia civile e chiedo che si avvii sul problema una inchiesta del Parlamento. Non capisco cosa ci sia di sbagliato nel visitare le carceri, anche se riconosco che per molti colleghi l’impegno si limita all’occasione ferragostana. Tutti i riflettori che accenderemo su questo mondo separato (e segregato) saranno utili, a patto che seguano in Parlamento politiche virtuose e conseguenti. Per queste politiche io mi batto. Ho chiesto (con altri parlamentari Pd e col presidente di “A buon diritto” Luigi Manconi) la chiusura immediata del carcere sassarese di San Sebastiano e notizie certe sulla apertura di quello di Bancali, in costruzione per opera della ditta Anemone. Ho chiesto con Giulio Calvisi del Pd che a Badu e Carros non si riportino i 41 bis, col pericolo di ripercorrere errori già fatti anni fa, quando importammo nel Nuorese mafia e camorra (e terrorismo). Ho chiesto che i detenuti romeni, come è nei loro diritti, possano scontare la pena nel loro Paese, senza che vi si oppongano astruse misure burocratiche. Ho chiesto che la sanità sia riformata e che le Regioni a statuto speciale godano almeno delle condizioni delle altre Regioni, anziché essere bloccate in uno stato di eterna transizione tra sanità penitenziaria e sanità Asl. Queste e altre cose sono la nostra politica delle carceri, che si oppone alle proclamazioni di Alfano su presunti Piani carceri sempre di là da venire. Potrei continuare a lungo. Non accetto la critica di Quinti sulle visite ferragostane: più deputati e senatori vanno nelle carceri e meglio è. Lo stato delle carceri italiane è cosa troppo seria per lasciarla solo agli addetti ai lavori”. Lettere: Casa della Donna di Pisa; è nato un gruppo di scrittura “libera e creativa” con le detenute Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2010 Da marzo di quest’anno una volta alla settimana teniamo un gruppo di scrittura “libera e creativa” presso la Sezione Femminile del Carcere Circondariale di Pisa. Il nostro gruppo di donne, che si è chiamato “donne e carcere”, è nato dalla Associazione Casa della Donna di Pisa e ne fanno parte anche due donne dell’Associazione Controluce da tempo impegnata con il carcere. Alla scrittura partecipano, più o meno regolarmente, 8 delle circa 40 donne presenti attualmente al Don Bosco. Vogliamo portare ora anche la nostra testimonianza riguardo ai problemi di quel Carcere, che in questi giorni sono stati segnalati massicciamente tramite la stampa e le televisioni locali e che da subito sono apparsi urgenti anche a noi: condizioni difficili per le detenute, per coloro che lavorano là dentro, per i familiari (molte più donne che uomini) che aspettano per i colloqui o per inoltrare i “pacchi” e per chi, come noi, vi svolge delle attività gratuitamente. Oltre alla segnalazione dei problemi strutturali che la stampa ha riportato e che in gran parte condividiamo, vogliamo aggiungere, per nostra esperienza, che alcuni dei motivi del vivere male là dentro potrebbero essere superati senza spese eccessive ma con più interesse e attenzione per tutto il mondo del carcere. Arrivata l’estate riunirci nella stanza assolata e rovente per scrivere era quasi un tormento. “Sono svogliate” ci sentivamo dire quando ad alcuni incontri partecipavano in poche. Poi noi (autorizzate dalla Direzione) abbiamo comprato un ventilatore e lavorare in quella stanza è diventato più facile. In tutto ci è costato 50 euro, un po’ di fantasia, un po’ di buona volontà. Grande entusiasmo delle detenute. Noi donne si sa, siamo brave e abituate ad arrangiarci ma lì servono interventi per il cibo, l’acqua, il sovraffollamento, le attività della vita quotidiana... problemi che non possono essere risolti dalla buona volontà di alcune volontarie la cui presenza è comunque utilissima se non indispensabile. Le Agenti sono spesso in numero insufficiente e questo talvolta impedisce che siano svolte anche le pochissime attività previste: accesso alla biblioteca, al computer, partecipazione al nostro gruppo etc. con il risultato che la giornata delle detenute diviene più dura e l’atmosfera più incandescente. Per un familiare poi che aspetta per un colloquio o porta un “pacco” di cibo, vestiario o altri generi indispensabili non esiste una sala d’attesa: estate e inverno deve attendere fuori, su un marciapiede sempre sporco, in piedi, a lungo, spesso con bambini. I problemi da prendere in considerazione quindi secondo noi sono molteplici: quelli delle persone detenute, dei loro familiari, di chi lavora nel Carcere, e delle persone che in quella struttura svolgono attività gratuitamente. Per il gruppo Donne e Carcere della Casa della Donna di Pisa Antonella De Vito, Giusi Fregoli, Adele Dramisino Sardegna: costa troppo, bocciata la norma sul “passaggio di consegne” della sanità penitenziaria L’Unione Sarda, 8 settembre 2010 La Sardegna, unica in Italia, non ha completato il passaggio di consegne sulla sanità penitenziaria tra ministero della Giustizia e Regione. La Regione boccia il passaggio di competenze della sanità penitenziaria. Da rifare, quindi, il lavoro della Commissione paritetica Stato - Regione che il 19 giugno ha presentato alla Prima commissione del Consiglio regionale le norme di attuazione. La situazione rischia di diventare esplosiva: nelle casse i direttori degli istituti di pena stanno ormai raschiando il fondo del barile. Non rimane alternativa al taglio dell’assistenza medica e infermieristica ai detenuti. Michele Cossa è uno dei componenti dell’organismo regionale che deve fornire il parere sul passaggio di competenze che deve concludersi entro la fine dell’anno. Cossa usa il politichese, ma il significato è inequivocabile. “La nostra commissione ha rinviato l’approvazione delle norme di attuazione. Le competenze che lo Stato vuole scaricarci addosso sono troppo onerose”. La Sardegna resta l’ultima regione d’Italia a non aver effettuato il passaggio di competenze alle Asl. Solo a Buoncammino ci sono oltre 170 malati psichiatrici, centinaia di pazienti seguiti dal Serd. Tra neanche un mese, quando finirà l’ultimo finanziamento del ministero della Giustizia inizieranno i tagli alle prestazioni mediche da parte dei direttori delle carceri? “La situazione è esplosiva”, ammette Cossa. Dal 31 dicembre il ministero non verserà più un centesimo per la sanità penitenziaria. “Dobbiamo farci carico del problema e convocare la Commissione paritetica che deve chiarire alcuni aspetti”, aggiunge Cossa. Nel 2009 la Giunta guidata da Cappellacci stanziò un milione di euro per tappare il buco della Sanità penitenziaria. “Quest’anno - continua Cossa - il finanziamento non è stato concesso perché non sono state approvate le norme di attuazione”. Più inquietante la versione dell’altro componente della Commissione regionale Edoardo Tocco. “Qualcuno ha cercato di rallentare la procedura burocratica: il passaggio di consegne priva i medici esterni del doppio lavoro. Tutto, poi, aggravato da un periodo di incertezza causato dalle manovre in Giunta”. Tradotto, prima le poltrone, poi la salute dei detenuti. Negli istituti di pena dell’Isola sono reclusi oltre 2.300 detenuti, seguiti da circa 250 tra medici e infermieri (210 esterni a contratto e 40 dipendenti del ministero), che hanno a disposizione 5 milioni di euro. C’è poi l’aspetto degli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari. Trenta dal 31 dicembre saranno a carico della Regione, con una retta che si aggira sui 200 euro al giorno. Puglia: Palese (Pdl); la Regione non garantisce l’assistenza sanitaria nelle carceri Corriere della Sera, 8 settembre 2010 “La Puglia di Vendola non garantisce assistenza sanitaria neanche nelle carceri”. Lo afferma il capogruppo Pdl alla Regione Puglia, Rocco Palese, sottolineando che “la Regione Puglia è l’unica regione d’Italia a non aver attuato le norme sull’assistenza carceraria e a non garantire assistenza medica ai detenuti, come peraltro ammesso anche da esponenti della Asl di Lecce”. “Appare quindi evidente - aggiunge Palese - che ogni tentativo della Regione di scaricare responsabilità su altri, per esempio sul governo nazionale, è falso e strumentale: in primo luogo perché tutti sanno che la sanità penitenziaria dal 2009 è passata dalle competenze del ministero della giustizia a quelle delle Asl e, quindi, sta alla Regione programmare e finanziare anche questa assistenza sanitaria; in secondo luogo perché le denunce dei detenuti riguardano le liste d’attesa chilometriche (anche in carcere!) per visite specialistiche, quindi è evidente che le carenze riguardano il personale medico e medico specialistico e non il personale non sanitario”. Per Palese, “da oltre cinque anni, ogni giorno e praticamente con ogni atto, il governo Vendola viola leggi regionali, nazionali, europee e, forse, anche leggi divine. Ancora una volta la magistratura si è dovuta sostituire al Governo regionale nell’accertare carenze nella programmazione e nell’assistenza”. La giunta regionale - conclude l’esponente Pdl “si muova e risolva il problema”. Cagliari: finiti i soldi per curare i detenuti, da dicembre o subentrano le Asl o sarà un dramma La Nuova Sardegna, 8 settembre 2010 Emergenza prossima ventura a Buoncammino, stavolta sull’assistenza sanitaria. Il direttore Gianfranco Pala ha annunciato che, coi fondi attualmente disponibili, si pagano prestazioni fino a dicembre. Basterebbero se il Consiglio regionale varasse la legge, già licenziata dalla Commissione sanità, che assegna alle Asl l’assistenza sanitaria carceraria. Non è un problema di secondo piano l’assistenza sanitaria nel carcere di Buoncammino. È in cima alle esigenze dei detenuti, visto che buona parte di questi sono tossicodipendenti o soffrono di disturbi psichiatrici oppure ancora hanno malattie croniche che richiedono cure costanti. Per ora si va avanti con le prestazioni in convenzione, che vengono pagate dal dipartimento al servizio sanitario regionale, con la riforma saranno le Asl a occuparsi direttamente dei pazienti detenuti, col necessario trasferimento di risorse. Quando, però? Buoncammino scoppia di problemi e non si sentiva il bisogno di un nuovo fronte. La crescente carenza di personale di polizia penitenziaria (a differenza di tutti gli altri Corpi di polizia, nessuno degli agenti ha potuto partecipare alla propria festa annuale) è la fonte principale di molte difficoltà vissute all’interno del carcere. La seconda causa di disagi resta l’età del carcere, costruito nel diciannovesimo secolo e perciò privo di spazi adeguati per esempio alle attese dei parenti dei detenuti, oltre che a moltissime altre necessità. Ieri la direzione del carcere e il comando degli agenti assieme agli educatori e a una delle 18 associazioni di volontari attive nell’istituto hanno tenuto una conferenza stampa per intervenire sulla denuncia fatta nelle settimane scorse da un’altra associazione a proposito delle attese dei parenti. Che devono avvenire per forza in un ambiente angusto a dispetto dell’eventuale numero di persone in attesa ma per un tempo ragionevole (dalla mezz’ora all’ora) e, soprattutto, non è un passaggio che si deve sopportare sempre e comunque. Cagliari, hanno spiegato il direttore Gianfranco Pala e la comandante degli agenti Michela Cangiano, ha soprattutto detenuti della zona e quindi le visite in questo carcere avvengono tutti i giorni e lungo tutta la giornata. Da sette anni, ha documentato ieri Bruno Asuni presidente di Coordinamento volontariato giustizia onlus, le attese dei parenti hanno trovato una regola e anche un registro informatico di prenotazione, pubblicato sul sito. Fino a sette anni fa (raccontava Asuni) c’era il foglio attaccato all’albero, i parenti che arrivavano dalla notte precedente per presentarsi al primo turno di colloqui e sostavano all’addiaccio, lo strano commercio di biglietti tagliacode che venivano presi in quantità misurabili in metri e anche venduti. Adesso (“venite a vedere alle 7 del mattino”) c’è la prenotazione, il camper offre caffè, the, bibite e giochi per i bambini, le procedure d’ingresso durano circa mezz’ora e poi si entra. “L’ingresso è un imbuto - diceva ieri Claudio Massa direttore degli educatori - , risente della strettezza degli ambienti e delle procedure che devono avvenire tutte lì”, nei pochi metri tra strada, primo portone e secondo portone. “Nel carcere di Uta (consegna giugno 2011) le cose cambieranno - diceva Pala - purtroppo non sarà facile da raggiungere come invece oggi è Buoncammino”. Si fa il possibile per i colloqui “Tanti colloqui si fanno qui a Buoncammino, la direzione è tesa a concedere tutti i colloqui straordinari richiesti. Comprese le telefonate: ogni giorno se ne fanno 60, 70”: Michela Cangiano comandante degli agenti penitenziari di Buoncammino spiega quanto lavoro c’è dietro ai colloqui delle famiglie coi detenuti. “I problemi ci sono - continua la comandante - e sono causati dalla situazione generale: dalla ristrettezza dei locali alla carenza di organico degli agenti. I familiari possono essere fino a tre per ciascun detenuto, portano pacchi che devono essere controllati, quando entra un mezzo che deve scaricare merce bisogna interrompere le procedure, far uscire tutti, far rientrare tutti. Non per cattiva volontà, ma perché il locale è unico, è l’ingresso sul viale Buoncammino...”, un budello di pochi metri. I volontari si sono impegnati a distribuire ai familiari opuscoli informativi, tradotti in varie lingue. “Non si fa mai abbastanza - diceva il presidente del Coordinamento volontariato giustizia - ma non si può dire che i parenti non hanno assistenza”. Lecce: l’assistenza sanitaria non funziona, i detenuti presentano esposti alla Procura Gazzetta del Sud, 8 settembre 2010 Nel carcere di Lecce opera un solo oculista che presta servizio per quattro ore settimanali e deve far fronte a centinaia di richieste. Sono almeno una decina gli esposti presentati da altrettanti reclusi del carcere di Borgo San Nicola, alla periferia del capoluogo salentino, sui presunti ritardi e le carenze del sistema sanitario all’interno dell’istituto di pena. Le denunce sono confluite in un fascicolo assegnato al sostituto procuratore Giuseppe Capoccia, un magistrato che vanta tra l’altro una lunga esperienza professionale nel Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria). In particolare i detenuti lamentano liste d’attesa spesso lunghissime per le visite specialistiche, con tempi che vanno oltre un anno. Il paradosso è che in quest’arco tempi gli stessi detenuti possono essere trasferiti in un altro carcere o ottenere sconti di pena o misure alternative. A tutto ciò bisogna poi aggiungere la trafila burocratica che una visita presso una struttura ospedaliera prevede, dall’autorizzazione del magistrato competente alla necessità di reperire mezzi e uomini necessari per “accompagnare” il detenuto in ospedale. Le strutture presenti all’interno del carcere e i servizi specialistici praticati a livello ambulatoriale, non riescono a far fronte alla richiesta di una popolazione carceraria che ha raggiunto ormai le 1.500 presenze, a fronte di una capienza regolamentare prevista per 681 unità. Ad esempio, all’interno della casa circondariale di Lecce opera un solo oculista che presta servizio per quattro ore settimanali e deve far fronte alle centinaia di richieste che sono inoltrate settimanalmente. Quella della sanità carceraria, del resto, è sempre stata una delle grandi problematiche affrontate quotidianamente negli istituti di pena, resa ancor più complessa dal Decreto del presidente del consiglio dei ministri approvato il primo aprile del 2008 (entrato in vigore però alla fine del 2009) e riguardante il trasferimento al Servizio sanitario nazionale della sanità penitenziaria fino ad allora di competenza del Ministero della Giustizia. Nei giorni scorsi intanto, due detenuti di Borgo San Nicola, un 66enne di Tricase e una donna di 32 anni di Gallipoli, hanno presentato ricorso, attraverso il loro legale, l’avvocato Silvio Caroli, alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per chiedere il risarcimento del danno fisico e morale subito per detenzione inumana e degradante. Già nel luglio del 2009 l’Italia è stata condannata a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia, dividendo una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno. La Corte, nella sua decisione, ha rilevato come la superficie a disposizione del detenuto sia stata molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. Dati che ricordano molto da vicino quelli di Borgo San Nicola. Ragusa: De Benedictis (Pd) scrive ad Alfano; nel carcere ho visto gabbie per polli abitate da uomini di Stefania Zaccaria La Sicilia, 8 settembre 2010 In particolare, ogni qualvolta qualche detenuto ha rischiato la vita, ecco che il politico di turno si è sempre lanciato in un comunicato stampa di denuncia, in una missiva al ministro della Giustizia, o addirittura al presidente della Repubblica. Poi, il silenzio. Oggi, dopo l’ennesimo tentativo di suicidio avvenuto nel centro di prima accoglienza di Palermo, a scrivere direttamente al ministro Angelino Alfano è il deputato regionale del Pd in Sicilia, Roberto De Benedictis che, dopo aver fatto una panoramica generale sullo stato delle carceri nazionali, prende in esame le situazioni provinciali. Per niente positive le riflessioni del deputato Pd che riferisce delle condizioni degli istituti dopo averne visitato alcuni nell’ambito dell’iniziativa “Ferragosto in carcere”. Se quello di Siracusa non è di certo un’oasi di benessere, come si vive nelle celle di Ragusa? “Nella città iblea - ha scritto De Benedictis - ho visto gabbie per polli senza luce né aerazione diretta ma abitate da uomini. Questi si dividevano in due una cella nella quale, in 7 mq, devono trovare posto anche i letti, il locale di servizio igienico, un tavolino e due sedie: praticamente senza spazio residuo per potersi muovere”. In effetti, l’istituto penitenziario era già stato oggetto di qualche attenzione nel 2009 quanto cinque detenuti, tutti stranieri, hanno ingoiato lamette o pile elettriche in segno di protesta, o ancora da qualche mese quando un altro ragazzo aveva tentato il suicidio. Come dichiara De Benedictis “appare evidente la necessità di focalizzare l’attenzione sulla grave situazione degli istituti penitenziari all’interno dei quali le condizioni di vita sono intollerabili e degradanti”, sperando che, anche questa volta, non si tratti solo di parole. Pescara: quattro detenuti al lavoro per il Comune, riparano buche delle strade e curano aiuole Il Centro, 8 settembre 2010 Detenuti a lavoro: sono partiti ieri i primi interventi di manutenzione ordinaria nel centro della città effettuati da una squadra composta da 4 detenuti nell’ambito del progetto Senapa sulla giustizia riparativa. Il progetto è stato promosso dal Comune con la fondazione Caritas e il carcere. Gli operatori, con divise color arancio, hanno curato aiuole, alberi e si sono occupati anche delle piccole disconnessioni nella pavimentazione in betonella in via Chieti, via Rieti e via Latina. “Un intervento”, ha detto l’assessore ai Lavori pubblici, Alfredo D’Ercole, che ieri ha indossato anche lui la divisa, “che ha suscitato il plauso dei residenti e dei passanti”. L’obiettivo del progetto è da un lato incrementare gli interventi e i lavori di pubblica utilità per la manutenzione urbana di base e, dall’altro, utilizzare gli interventi di manutenzione come occasione di recupero sociale. Ieri, così, i quattro detenuti hanno ripristinato i cordoli dei marciapiedi spesso divelti dalle radici delle piante, le mattonelle sconnesse, chiuso buche e sistemato i cestini. Complessivamente, il progetto avrà la durata di sei mesi e costerà 20mila euro. Varese: manca il Magistrato di sorveglianza, agenti devono portare a Pavia i fascicoli dei detenuti Asca, 8 settembre 2010 Al tribunale di Varese manca il magistrato di sorveglianza da quasi due mesi. Per questo motivo, gli agenti devono portare i fascicoli con le richieste di permesso dei detenuti in auto fino al tribunale di Pavia, dove il Magistrato di sorveglianza fa le veci del collega varesino vacante. Inevitabili, quindi, disagi e ritardi non solo per i detenuti di Varese, ma per una buona porzione di quelli lombardi, visto che da Varese dipendono anche le carceri di Como, Lecco, Busto Arsizio e Sondrio. “Un disagio da risolvere al più presto - afferma il provveditore regionale alle carceri Luigi Pagano - , come credo che sarà fatto, visto che la mancata nomina dipende da alcuni intoppi decisionali e non da una volontà politica”. Se quello di Varese è un caso limite, ottenere i permessi è una odissea un po’ in tutta Italia, come spiega Antonella Maiolo, ex presidente della Commissione speciale sulla realtà carceraria della Lombardia: “Per ottenere permessi speciali di lavoro o la scarcerazione anticipata, i detenuti devono ottenere prima un resoconto positivo da parte degli educatori del carcere e poi l’approvazione del giudice di sorveglianza. Il problema è che entrambi gli istituti soffrono di una cronica mancanza di personale, perché il giudice si trova solo di fronte a centinaia di richieste, mentre gli educatori sono in numero irrisorio rispetto alle necessità perché da troppo tempo il ministero della Giustizia non indice nuovi concorsi per nominarne altri”. Genova: Uil; a Marassi detenuto magrebino ferisce un agente 9Colonne, 8 settembre 2010 “Intorno alle 14 di ieri un detenuto trentenne magrebino, I.F., ristretto alla prima sezione ha aggredito e ferito un agente di polizia penitenziaria. Il detenuto aveva cercato di immettersi in un cortile passeggio diverso da quello della sezione di appartenenza. Quando l’agente di sorveglianza lo ha invitato ad accedere al cortile di pertinenza il detenuto si è scagliato contro l’agente colpendolo ripetutamente. Il tempestivo intervento di altre unità di polizia penitenziaria ha evitato il peggio impedendo all’uomo di utilizzare la lametta che brandiva nelle mani. L’agente ha fatto ricorso alle cure mediche, riportando una prognosi di 10 giorni”. Ne dà notizia il segretario regionale della Uil Pa Penitenziari della Liguria, Fabio Pagani, che aggiunge ulteriori elementi all’ennesima giornata di violenza nel carcere genovese di Marassi: “Nella mattinata di ieri si è anche registrata una zuffa tra due detenuti: un ecuadoregno e un marocchino. Questi episodi di violenza sono all’ordine del giorno a Marassi . È probabile che l’insopportabile livello del sovraffollamento determini l’aumento delle aggressività e delle tensioni. In ogni caso a subire gli effetti delle violenze sono sempre gli uomini e le donne della polizia penitenziaria. Questa mattina Marassi conta la presenza di circa 785 detenuti a fronte di una capienza massima di 450, mentre il contingente di polizia penitenziaria continua ad essere gravemente sottodimensionato”, “Marassi è una bomba innescata e pronta a deflagrare, e noi non disponiamo degli artificieri per disinnescarla”. Padova: la polizia indaga sul traffico di droga scoperto alla Casa Circondariale Il Gazzettino, 8 settembre 2010 La droga è entrata in carcere attraverso la pancia di un detenuto. Senza dubbio, un marocchino. Uno degli individui che rischiano anche la morte pur di mettersi la droga in pancia. Lo straniero è stato arrestato con la droga dentro di se e l’ha liberata quand’era in cella. Da ieri mattina gli investigatori della Squadra mobile, diretti dal vicequestore Marco Calì, stanno indagando sul traffico di droga scoperto dietro le sbarre della casa circondariale di Strada Due Palazzi. Il pubblico ministero Roberto D’Angelo vuole che sia fatta subito chiarezza sull’incredibile scoperta. L’altra notte gli agenti della polizia penitenziaria hanno recuperato diciassette ovuli di sostanza stupefacente. Tre ovuli sono stati consegnati spontaneamente da un detenuto, scoperto con le mani nel sacco. Gli altri quattordici ovuli sono stati trovati all’interno di una cella dell’ex reparto d’isolamento, dove ci sono tre detenuti in attesa di giudizio. Tutto è accaduto domenica sera. Gli agenti della polizia penitenziaria avevano capito che c’era qualcosa che non andava. Insomma, avevano intuito che c’era della droga. Vistosi scoperto, un detenuto ha consegnato spontaneamente i tre ovuli che possedeva. È stato a questo punto che è scattato l’allarme. Com’era possibile che un recluso avesse tre ovuli di droga? E sono partiti gli accertamenti. La polizia ha controllato cella per cella. Tutta la casa circondariale è stata messa a soqquadro. E il resto della droga è stato recuperato in una delle celle dell’ex reparto di isolamento. Una cella dove sono detenuti un padovano, un siciliano e un marocchino. I quattordici ovuli di droga erano nascosti in una fessura del muro, vicino al telaio in ferro della finestra. Lecce: la Uil-Pa in piazza tra le sbarre, protesta contro il sovraffollamento del carcere di Federico Cartelli Il Manifesto, 8 settembre 2010 E per protesta le gabbie dei reclusi si montano in piazza. In quella principale della città. Il cuore di Lecce è piazza Sant’Oronzo, una delle più scenografiche e stratificate d’Italia con l’anfiteatro romano, edifici del ‘500 e architettura littoria che strizza l’occhio al funzionalismo. Nel bel mezzo dell’ovale pedonalizzato saranno costruite per iniziativa del sindacato Uil - penitenziari, appena giungerà l’autorizzazione ministeriale, due celle detentive in scala 1:1 arredate di letti a castello e circondate da sbarre sorvegliate da guardie carcerarie. È questa la rappresentazione - denuncia delle penose condizioni di vita dei reclusi, causa sovraffollamento, nel penitenziario di borgo San Nicola. I leccesi potranno assistere liberamente nel salotto buono della loro città a uno spaccato dal vero di vita carceraria. Oltre che ad attirare l’attenzione della gente, l’intento è di sensibilizzare le istituzioni sia sullo stato gramo dei detenuti sia sul lavoro massacrante, per carenza di organici, degli agenti di custodia. A fronte di una capienza di 650 detenuti, il carcere di Lecce ne contiene di fatto 1500. Il soprannumero, in costante crescita, lo sta facendo scoppiare: nello scorso febbraio, durante una nostra visita, si era a quota 1400. Lo spazio vitale che per ogni singolo in cella non dovrebbe scendere sotto i sette metri quadrati, stabiliti dal comitato permanente sulla tortura, si riduce a meno di tre metri. In alcuni casi anche a meno di due. Per rendere palesi queste angustie, è partita dal carcere una singolare vertenza che non ha precedenti fra i detenuti degli istituti penitenziari in Puglia: una ventina di reclusi, assistiti da un legale, ha presentato ricorso al tribunale di sorveglianza per trattamento inumano e degradante con richiesta di risarcimento di danno fisico e morale intorno a 500 - 600 euro per ogni mese di detenzione. Si tratta di una denuncia vera e propria (depositata a luglio e la cui prima udienza sarà fissata fra qualche giorno) per una condizione che lede la dignità di vita carceraria, venendo a mancare il parametro minimo sullo spazio vitale a persone costrette in cella per venti ore di fila con lacune igieniche che rasentano la sopravvivenza. La corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo ha già emesso una sentenza, lo scorso anno, con la quale lo stato italiano ha dovuto risarcire un detenuto straniero afflitto da logorio psico - fisico per essere rimasto per qualche mese rinchiuso in cella il cui spazio a disposizione era inferiore a tre metri quadrati. Come conseguenza di vite ai limiti, in borgo San Nicola si è giunti a tre suicidi solo in quest’ultimo anno, mentre i tentativi di farla finita si sommano ormai a decine. Difficoltà enormi anche per il personale di polizia penitenziaria, già pesantemente sotto organico: si demanda spesso a un solo agente, specialmente nelle turnazioni notturne, il controllo di 100 - 150 detenuti. Per fare uscire dai cancelli del supercarcere di Lecce una situazione così esplosiva, forse già sfuggita di mano, e porla sotto gli occhi della società civile, si ricorre dunque a questa sorta di provocazione - informazione delle gabbie in piazza. Che lo spettacolo, se pur triste, cominci. Roma: guasto alla caldaia centrale, da oltre 40 giorni il carcere di Regina Coeli è senza acqua calda Agi, 8 settembre 2010 Da più di quaranta giorni gli oltre mille detenuti del carcere romano di Regina Coeli sono senza acqua calda. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui il disguido sarebbe da attribuire alla rottura della caldaia centralizzata che serve l’intera struttura. Secondo il Garante, si legge in una nota, “i disagi dureranno fino a quando non si provvederà a sostituire l’impianto centralizzato con singole caldaie in grado di servire le singole sezioni”. Già lo scorso inverno i detenuti dello storico carcere di via della Lungara rimasero a lungo senza acqua calda e senza riscaldamenti a causa di disguidi e lungaggini burocratiche nella gestione dell’appalto per il rifacimento dell’impianto di riscaldamento e delle tubazioni del carcere. Realizzato nel 1654, Regina Coeli è forse il carcere più antico d’Italia. Attualmente ospita oltre mille detenuti, molti dei quali in attesa di giudizio, su otto sezioni (spesso in 4 o 6 in ogni cella) e in un Centro clinico. Secondo le ultime stime la sua manutenzione ordinaria costa 14 milioni e mezzo di euro all’anno. I lavori di ristrutturazione che in questi ultimi anni hanno interessato molte delle sezioni non sono riusciti a risolvere i problemi che affliggono il carcere. “Ancora una volta i problemi tipici di un carcere ultracentenario qual è Regina Coeli ricadono sui detenuti - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - Occorre prendere atto che Regina Coeli non è più in grado di garantire non solo il dettato costituzionale del recupero sociale del reo, ma soprattutto gli standard minimi di vivibilità, soprattutto in un periodo caratterizzato dal drammatico sovraffollamento di tutte le carceri italiane. Si potrebbero utilizzare gli ingenti fondi spesi ogni anno per cercare di far funzionare alla meno peggio Regina Coeli per realizzare un carcere più moderno. Allo stesso tempo, si potrebbe riconsegnare alla città la storica struttura di via della Lungara per farne, come da tempo dico, un polo artistico e museale di rilievo internazionale”. Cremona: detenuti poco sopra limite della capienza, ma pochi gli agenti di polizia penitenziaria Asca, 8 settembre 2010 Nel carcere di Cremona non c’è il problema del sovraffollamento, ma permane la cronica carenza di agenti di polizia penitenziaria. Sebbene i problemi esistano e siano di non facile soluzione, ci si è attrezzati per riuscire a sopperire alle carenze e fare addirittura economia nonostante i tagli. A Cremona, addirittura, si è riusciti a risparmiare: un esempio è costituito dalla palazzina del personale. Il primo piano è stato totalmente ristrutturato utilizzando il lavoro carcerario con un risparmio del 78%. Purtroppo la stessa cosa non è stata possibile per il secondo piano dove c’è la necessità di rifare il tetto e per questo si dovrà contattare una ditta specializzata che ovviamente costa. Molto spazio, all’interno del penitenziario cremonese, viene dato al lavoro: i detenuti fanno gli elettricisti, i falegnami, i restauratori, gli idraulici, i muratori, apicoltori e vivaisti. Per non parlare dei punti di eccellenza, come il trattamento dei detenuti, alcuni dei quali lavorano al Digit, il progetto del giudice di Cremona Pierpaolo Beluzzi sulla dematerializzazione degli atti di processi importanti. Ma purtroppo, come più volte è stato constatato, non c’è equilibrio tra domanda ed offerta. C’è ancora troppa diffidenza verso i detenuti. Non ci si fida. Da qui l’appello del direttore del carcere Ornella Bellezza di un lavoro di concertazione con le pubbliche amministrazioni e la Camera di Commercio per avere più sbocchi sul mercato. Per quanto riguarda invece la situazione carceraria vera e propria, i detenuti sono passati da 290 a 311, un lieve aumento, ma a Cremona (contro una capienza regolamentare di 300 persone) il fenomeno del sovraffollamento non c’è, diversamente dal resto dell’Italia: 69 mila detenuti su 70 mila posti. Sempre a livello nazionale, preoccupa invece il grave problema dei suicidi. Nei primi sette mesi del 2010 sono stati 40 contro i 31 dello stesso periodo dell’anno precedente. I detenuti con condanna definitiva sono 155 (132 nel 2009), mentre quelli in attesa di giudizio sono 156 (158 l’anno precedente). I tossicodipendenti sono 64 (121 nel 2009), in terapia metadonica 11 contro gli 8 dell’anno scorso, i sieropositivi sono 7, quelli affetti da epatite C 15, uno solo con patologie di tipo psichiatrico. Gli stranieri sono 178, i lavoranti dipendenti dell’amministrazione penitenziaria 57, i lavoranti in carcere per conto di imprese e cooperative sono 7, mentre 2 sono i detenuti “semiliberi” che lavorano alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Gli agenti di polizia penitenziaria sono 195, di cui 169 assegnati e 144 effettivamente in servizio. La pianta organica degli educatori, infine, è composta da 6 persone, di cui 5 assegnati e 4 effettivamente in servizio. Per il futuro è prevista l’apertura del nuovo padiglione che porterà al raddoppio del carcere. Si spera che la stessa cosa avverrà anche per il personale, cronica nota dolente insieme alla carenza di risorse economiche che gli ultimi provvedimenti del Governo hanno ulteriormente assottigliato. Milano: al carcere di Opera un nido aziendale per i figli delle guardie Redattore Sociale, 8 settembre 2010 Potrà ospitare fino a 40 bambini da 1 a 3 anni. L’assessore Pagani: “In questi mesi ho visitato le realtà carcerarie della nostra provincia. Solo lo stretto contatto con chi vive quella realtà può far capire l’urgenza di certi interventi”. Il carcere di Opera avrà un nido aziendale per ospitare fino a 40 bambini da 1 a 3 anni, figli delle guardie carcerarie che lavorano nella casa reclusione di massima sicurezza alle porte di Milano. Il provvedimento è stato approvato oggi dalla Giunta della Provincia di Milano all’interno del rapporto “Genitori sempre”, volto a garantire la tutela del rapporto tra detenuti condannati e figli. Con la delibera di oggi, l’assessorato alle Politiche sociali ha di fatto stanziato 50mila euro che vanno ad aggiungersi agli 80mila euro già erogati nel maggio del 2009, per il completamento del progetto. Il valore sociale dell’iniziativa “è indiscutibile - spiega l’assessore Massimo Pagani - . In questi mesi ho avuto modo di visitare più volte le realtà carcerarie della nostra Provincia, e solo lo stretto contatto con chi vive quotidianamente quella realtà può far capire realmente l’urgenza di certi interventi, per creare delle condizioni il più possibili normali, e parlo sia dei detenuti che del personale al servizio. Per questo l’azione della Provincia è sempre mirata a un miglioramento globale delle condizioni dei penitenziari. Con questo intervento, inoltre, la Provincia conferma la sensibilità per la tutela dei minori, che ha il suo fiore all’occhiello nell’Icam, l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri con prole fino a tre anni ospitato presso la sede di viale Piceno. Siamo noi a ringraziare la direzione della Casa di Reclusione di Milano - Opera che si conferma luogo privilegiato per politiche innovative”. Roma: aperta oggi la mostra fotografica “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane” 9Colonne, 8 settembre 2010 Denunciare la condizione dei bambini costretti alla reclusione in spazi inappropriati, questo l’obiettivo principale della mostra - reportage “Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane”, ospitata presso la Sala Santa Rita del Comune di Roma da oggi al 29 settembre. Alle immagini di 5 grandi fotografi - Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi - è affidato il compito di documentare la realtà, spesso sconosciuta o ignorata, della vita quotidiana delle donne detenute e dei loro bambini. La mostra è un’importante occasione per richiamare l’attenzione delle Istituzioni e dei parlamentari su questo problema e sollecitare la discussione sulla proposta di legge a “tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori” attualmente in discussione al Parlamento. Le foto sono state scattate in 5 Istituti penitenziari femminili: Roma - Rebibbia, Avellino - Bellizzi Irpino - Pozzuoli, Milano - San Vittore, Torino - Lo Russo e Cutugno, Venezia - Giudecca. Promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma, l’esposizione nasce dalla collaborazione tra Contrasto e l’Associazione di volontariato “A Roma, Insieme” con il sostegno della Provincia di Roma - Assessorato alle politiche Sociali e della Famiglia. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. All’inaugurazione, oggi, alle 18, saranno presenti l’Assessore alle Politiche Culturali e della Comunicazione Umberto Croppi, l’Assessore alle Politiche Sociali e per la Famiglia e ai Rapporti Istituzionali della Provincia di Roma Claudio Cecchini, il Presidente dell’Associazione - A Roma, Insieme - Onorevole Leda Colombini e il Direttore di Contrasto Roberto Koch. “A Roma, Insieme” è un’associazione di volontariato nata nel 1991 per sviluppare progetti sulle politiche sociali della città e dal 1994 ha concentrato la sua attività sul lavoro con le donne e i bambini in carcere. L’associazione, che si rappresenta con la frase “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”, dal 1994 promuove e realizza una serie di attività concrete per limitare i danni del carcere sui bambini e ad aiutare le donne a gestire il rapporto con i propri figli durante la detenzione e favorire il loro reinserimento sociale, ma allo stesso tempo mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e per attivare risposte adeguate da parte delle Istituzioni sia locali che nazionali. Iran: sospesa la condanna di Sakineh, il caso sarà sottoposto a revisione Il Velino, 8 settembre 2010 La sentenza di lapidazione di Sakineh Ashtiani è stata sospesa. Lo ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, in un’intervista alla Press tv. “Il verdetto riguardo la vicenda di tradimento extraconiugale è stata bloccato e il suo caso è stato sottoposto a revisione - ha affermato Mehmanparast. Comunque la difesa di una persona dall’accusa di omicidio non dovrebbe essere trasformata in una questione di diritti umani”. Per il portavoce, se così fosse, allora i paesi europei dovrebbero rilasciare in nome dei diritti umani tutti gli assassini incarcerati. La critica nei confronti della comunità internazionale, Italia e Francia, viene dopo che il Comitato diritti umani del Parlamento iraniano (Majlis) ha censurato il nostro paese e la Francia per la difesa di Sakineh. “Le posizioni adottate da Italia e Francia su questo caso - afferma Zohreh Elahian, membro del Majlis, in base a quanto riporta l’agenzia di stampa Irna - , sono un chiaro esempio della loro interferenza nel sistema giudiziario iraniano e nei nostri affari interni. Questi approcci - prosegue il politico, sono illegali e di mera propaganda contro la Repubblica islamica”. Nigeria: gruppo islamico assalta un carcere, 4 morti e 800 detenuti evasi Agi, 8 settembre 2010 Ottocento detenuti sono evasi dal carcere di Bauchi, capoluogo dell’omonimo stato nella parte settentrionale della Nigeria, un’area geopolitica a maggioranza musulmana. Il carcere, secondo il commissario di polizia dello stato di Bauchi, Danlami Yar’Adua, è stato assaltato nella tarda serata di ieri da un commando di Boko Haram, una setta estremista islamica che si batte per imporre la sharia in tutti e 36 gli stati in cui si suddivide la Repubblica federale. Attualmente la legge islamica è in vigore in numerose amministrazione del nord del Paese, seppur con alcune modifiche rispetto alle regole più ortodosse che ne attenuano gli effetti. Nel corso dell’attacco, ha affermato il governatore regionale, Rilwanu Suleyman Adamu, c’è stata una battaglia in piena regola che ha lasciato sul terreno quattro morti e diversi feriti, di cui sei in gravi condizioni. Tra gli evasi ci sono numerosi criminali comuni, ma anche diversi detenuti che erano stati arrestati nel luglio del 2009 nel corso di un’operazione dell’esercito nigeriano durante la quale furono uccisi più di 700 estremisti islamici. Lo stato di Bauchi confina con quello di Plateu, la cui capitale Jos è il centro degli scontri interreligiosi che da un decennio insanguinano la nazione. La Nigeria, che il primo ottobre celebrerà il cinquantesimo anniversario della propria indipendenza, è il Paese più popoloso del continente con oltre 150 milioni di abitanti, equamente suddivisi tra cristiani (Nigeria meridionale) e musulmani (al nord). La popolazione è suddivisa in una miriade di oltre 250 gruppi etnici, anche se alcuni studi arrivano a censirne quasi 600: i principali sono i Fulani e gli Hausa (Nigeria settentrionale), gli Ibo (sud - est) e gli Yoruba (sud - ovest). Secondo alcuni opinionisti l’assalto al carcere di Bauchi potrebbe essere legato alle prossime elezioni generali di inizio 2011 che stanno per mettere in fibrillazione il Paese: il confronto più aspro è sulla scelta del candidato del PDP, il partito di maggioranza che comanda sin dal 1999, l’anno del passaggio formale della Nigeria dalla dittatura a un regime democratico. A contendersi la poltrona di candidato, che con ogni probabilità sarà il futuro presidente, sono i leader dei gruppi cristiani del sud e quelli musulmani del settentrione. Afghanistan: il carcere-orfanatrofio dei bambini talebani, che “studiavano” da kamikaze Ansa, 8 settembre 2010 All’interno non ci sono sbarre né cancelli, solo porte aperte e corridoi nei quali ci si muove con una certa facilità. Eppure si tratta di un carcere, ma all’apparenza sembra un orfanotrofio o un collegio. Un posto quasi irreale per un paese occidentale figurarsi per l’Afghanistan, le cui carceri per l’immaginario collettivo devono essere l’equivalente dell’inferno. Il Children Correction Center di Herat in realtà è un carcere minorile, la casa di circa cento ragazzi e 25 ragazze, tutti di età compresa tra i dodici ed i diciotto anni. Il ministero della Difesa italiano ha finanziato i lavori di ristrutturazione. La direttrice, Shakoofa Bahishti, nominata quattro mesi fa, non è di molto più grande, ha solo 23 anni ma come succede in questo paese ne dimostra almeno venti di più. I reati? Dal piccolo furto, alla fuga da casa, all’adulterio, sempre da dimostrare, o anche quelli che per la giustizia afghana vengono definiti comportamenti antigovernativi, ossia kamikaze in erba. “Sono ragazzi che sono stati sorpresi a studiare come diventare dei suicidi - spiega all’Ansa la direttrice. Ora sembrano calmi ma quando sono stati portati qui avevano atteggiamenti violenti. Nel caso delle ragazze, invece, per la maggior parte dei casi sono scappate di casa o hanno avuto rapporti con un altro uomo al di fuori del marito o del promesso sposo. Se scappi di casa e c’è l’aggravante dell’adulterio la pena prevista è tre anni, se è solo la fuga qualche mese”. Trattandosi di minori non è consentito fotografarli, per la legge sono dei criminali, ma a guardarli si fa fatica a crederlo. L’odore dei corridoi e delle stanze del carcere è piuttosto fastidioso, il refettorio è uno spazio aperto e impregna le pareti. La direttrice fa strada accompagnata da una guardia, attraversa l’ala maschile. Il primo a parlare è Ahmad Shah, dice di avere 14 anni, ma con molta probabilità mente, potrebbe averne in realtà sedici. La guardia dice che è stato sorpreso mentre era a lezione dai talebani. Lui nega e dice di essere innocente. In ogni caso quando parla mostra l’innocenza tipica dell’adolescenza. “È qui da tre mesi - continua la direttrice - la giustizia sta ancora investigando. È facile ingannare questi ragazzi, i talebani inseriscono le loro materie durante le ore di lezione”. Spiega anche che ci sono tre gradi di giudizio e che ci vuole più o meno un anno per stabilire la verità. Nel frattempo Ahmad dice di aver paura, si trova in una prigione ed è lontano da casa. Accanto a lui c’è Borhanaddin, 15 anni, è stato sorpreso, dice l’accusa, a seppellire cadaveri di talebani. Prima di passare all’ala femminile, alle due soldatesse italiane presenti durante la visita arrivano le richieste da parte della direzione del carcere. La nostra Difesa ha fatto dei lavori di ristrutturazione e il Prt di Herat ha a disposizione dei fondi per finanziare altri progetti, per lo più si tratta di attività da far svolgere ai ragazzi. All’ingresso dell’ala femminile c’è una guardia, una donna, sdraiata sul pavimento, non armata. Molte ragazze hanno i figli con loro, sono tutti piccolissimi, come d’altronde lo sono loro, spose bambine. Sono poco inclini a parlare. Le loro storie sono quelle comuni a molte ragazze che vengono dai villaggi. Minorenni date in spose anche a sessantenni. Tra di loro ce n’è anche una di tredici anni data in sposa ad uno di nove. È orfana e la nonna l’ha venduta. È scappata subito dopo il matrimonio perché la famiglia dello sposo la trattava da schiava. Sfortunatamente gli anziani del suo villaggio l’hanno trovata e l’hanno portata in prigione, ma solo dopo averla frustata. Indonesia: concesso l’indulto a 39mila detenuti, per festeggiare la fine del Ramadan Adnkronos, 8 settembre 2010 Decine di migliaia di detenuti beneficeranno dell’indulto concesso dal governo in occasione della fine del Ramadan che cade venerdì prossimo in Indonesia, il paese a maggioranza musulmana più popoloso del mondo con 240 milioni di abitanti. Oltre 39mila reclusi otterranno uno sconto di pena e circa 1.300 di loro usciranno dal carcere, ha annunciato il portavoce del ministero della Giustizia e dei diritti umani.