Giustizia: il volontariato si mobilita; sit - in a Montecitorio per l’emergenza carcere Redattore Sociale, 7 settembre 2010 Giornata di mobilitazione indetta per il prossimo 24 settembre, promossa dalla Consulta penitenziaria del comune di Roma. Già raccolte le adesioni di circa 50 realtà del privato sociale. Sono oltre cinquanta le organizzazione del volontariato e del terzo settore, nonché i garanti regionali, che hanno già aderito alla giornata di mobilitazione indetta per il 24 settembre prossimo da alcune tra le realtà più impegnate nella difesa dei diritti dei detenuti per richiamare l’attenzione sull’emergenza carcere. A promuovere il sit in che andrà in scena a Montecitorio dalle ore 9.00 alle ore 14.00 del 24 settembre è stata, infatti, la Consulta Penitenziaria del Comune di Roma insieme alla Conferenza nazionale volontariato e giustizia, il Seac, Ristretti Orizzonti, l’Arci, il Cnca, il Gruppo Abele, la Uisp, Forum droghe, il Consorzio Open, la Fondazione Villa Maraini, la Lila, il Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e degli internati e Legacoopsociali nazionale. Alla manifestazione hanno già aderito numerose associazioni di volontariato e cooperative sociali e altre adesioni si attendono per i prossimi giorni. La richiesta di un intervento immediato parte dalla constatazione - scrivono gli organizzatori della manifestazione - che i recenti appelli del volontariato e del terzo settore, le mobilitazioni della polizia penitenziaria e gli scioperi della fame dei detenuti sono caduti nel vuoto e che “nessun provvedimento realmente utile a far fronte al sovraffollamento” è stato assunto “né da parte del governo né del ministro della Giustizia”. Molti i problemi (non affrontati) che - a giudizio delle organizzazioni promotrici della manifestazione - hanno condotto all’implosione del sistema e sui quali “occorre intervenire immediatamente”. Tra le questioni evidenziate, oltre al sovraffollamento e al dramma dei suicidi in carcere, i tagli alle spese, l’incompatibilità con il carcere da parte di detenuti tossicodipendenti e affetti da patologie psicofisiche, il “costosissimo e inutile” Piano straordinario per l’edilizia penitenziaria, la gestione “poco trasparente” dei fondi della Cassa ammende e i tagli ai trasferimenti sulla spesa sociale degli enti locali “che rendono impossibile il reinserimento sociale e lavorativo delle persone che escono dal carcere”. Per sostenere la manifestazione di protesta, oltre al sit in dinanzi a Montecitorio, la Consulta penitenziaria del Comune di Roma e le altre organizzazioni promotrici hanno deciso di effettuare diverse iniziative all’interno e all’esterno delle carceri, tra cui scioperi bianchi e un’Assemblea del volontariato che si terrà sempre il 24 settembre presso la sede della provincia di Roma. L’obiettivo del sit in e delle altre iniziative - scrivono i promotori - è quello di chiedere alle forze politiche di riavviare l’iter parlamentare per “apportare soluzioni al sovraffollamento rapide e condivise con chi in carcere lavora o opera a titolo di volontariato” e, soprattutto, di risolvere i problemi del sovraffollamento “attraverso la scarcerazione e l’inserimento in circuiti alternativi di detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli fino a tre anni, malati psichiatrici e detenuti affetti di gravi patologie. Giustizia: Cgil; con 69.000 detenuti nelle carceri in atto un'emegenza umanitaria Agi, 7 settembre 2010 "Siamo all'emergenza umanitaria". Cosi' la Cgil definisce la situazione nelle carceri italiane. "69.000 detenuti, mai cosi' in 60 anni, a fronte di 43.500 posti disponibili - spiega Francesco Quinti, responsabile nazionale Fp-Cgil del comparto sicurezza - rendono assai complessa, e in qualche caso precaria, la sicurezza e la vita nelle carceri, l'incolumità del personale e delle persone ristrette, come dimostrano le numerose risse, le aggressioni ai danni di poliziotti, i suicidi, i tentativi di fuga sventati solo grazie alla professionalità del personale di Polizia Penitenziaria. Mentre in tutta Europa ci si interroga sulle criticità del sistema penitenziario e si adottano misure contro il sovraffollamento, l'Italia si distingue per incapacità di intervento e assenza di progettualità. Come non rammentare - continua Quinti - il silenzio seguito alla dichiarazione di stato di emergenza annunciata dal Presidente del Consiglio Berlusconi con l'illustrazione del piano carceri e dei "tre pilastri" (edilizia penitenziaria, deflazione delle presenze in carcere, assunzione di 2000 agenti). In questi mesi, mentre in carcere si continua a morire e si rischiano rivolte e fughe di massa, è calato il silenzio: niente sul piano dell'edilizia, che richiede circa 1,5 miliardi di euro di investimenti, il ddl Alfano forse concluderà il suo iter nel mese di ottobre, producendo effetti modesti sul contenimento delle presenze, niente sul fronte delle assunzioni, malgrado si sconti una carenza di 6.000 poliziotti, a cui si aggiungeranno almeno 2500 pensionamenti nei prossimi 3 anni. Non servono le visite agostane in carcere dei parlamentari, ridotte a operazioni d'immagine, nè disposizioni tampone. Occorre un piano complessivo di intervento in grado di incidere sulla drammatica situazione delle carceri e l'avvio di una discussione parlamentare scevra dai soliti condizionamenti. Ma soprattutto occorrono investimenti, senza i quali ogni discussione si riduce a vile speculazione. Su questi temi il Governo, il Ministro Alfano e il Capo del Dap Ionta, commissario straordinario per l'edilizia penitenziaria, abbiano il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e ammettano il fallimento. Al Presidente Napolitano, garante della Costituzione italiana - conclude Quinti - chiediamo di esigere il rispetto dell'art. 27, confidando nella sua sensibilità istituzionale e personale affinchè solleciti l'apertura di un una discussione parlamentare risolutiva". Giustizia: quello che accade nelle carceri… quello che accade nel Paese di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 7 settembre 2010 Il 31 agosto, nelle carceri italiane c’erano 68.345 detenuti, a fronte di una capienza che a mala pena arriva a 42 posti. Ma a questi 68.345 detenuti vanno sottratte le tre persone decedute ultimamente a Bologna a Castelfranco Emilia e a Pisa. A conti fatti, vista l’irresponsabile e criminale indifferenza della politica, la morte sembra essere l’unica soluzione contro il sovraffollamento. Ma è sbagliato guardare a ciò che accade in carcere, senza volgere lo sguardo altrove. Si muore, se pur moralmente, in un aula di giustizia, nell’attesa di un processo. Si muore nella ricerca di un lavoro e nella speranza di essere curati. Gli esempi sono innumerevoli. Il carcere è solo un aspetto di un sistema politico che ambisce alla finanza e non al proprio dovere, che primeggia i sondaggi e annulla il valore delle persone. È la fine, o la mutazione malata, di una democrazia. Guardando al Governo o all’opposizione, una domanda non trova risposta: cosa o chi potrà invertire questo decadimento del Paese? Giustizia: la Commissione errori sanitari nelle carceri, a fine settembre visita ad Opera Dire, 7 settembre 2010 Il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta su errori e disavanzi sanitari, Leoluca Orlando, ha comunicato che “l’ufficio di presidenza della Commissione di inchiesta, dopo aver avviato una specifica indagine sulla tutela della salute e sulle condizioni di vita nelle carceri italiane, ha fissato un primo e organico programma di visite in alcuni istituti penitenziari sul territorio nazionale, che avranno luogo alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva”. Con “riserva di successiva conferma”, questo il calendario di massima individuato dall’Ufficio di Presidenza, lo scorso 28 luglio, per lo svolgimento di tali missioni: lunedì 27 settembre 2010: visita al carcere di Opera (Lombardia); venerdì 1 ottobre 2010: visita al carcere di Sollicciano (Toscana); lunedì 11 ottobre 2010: visita al carcere Ucciardone - Pagliarelli (Sicilia); lunedì 25 ottobre 2010: visita al carcere di Poggioreale (Campania). Sono stati altresì previsti sopralluoghi nel carcere romano di Rebibbia, nella struttura di Laureana di Borrello (Rc), che avrà luogo nell’ambito della missione a Reggio Calabria prevista nella prima settimana di lavoro parlamentare dopo la pausa estiva e, infine, nelle strutture di Bari e Trani, in occasione della nuova missione che la Commissione effettuerà in Puglia, come convenuto nel corso della recente visita a Castellaneta (Taranto). “La tutela della salute dei detenuti e, più in generale, nelle carceri - ha commentato il presidente della Commissione - deve essere nella agenda delle attenzioni delle istituzioni parlamentari e di governo”. Giustizia: pdl sulle detenute madri e minori, da domani alla Camera Asca, 7 settembre 2010 Tra i primi impegni che connotano la ripresa dei lavori parlamentari delle Commissioni della Camera figura il testo unificato 2011 contenente disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori prevedendo ipotesi agevolate di concessione degli arresti domiciliari o la reclusione in apposite “case protette” per le detenute con bambini piccoli che non possono fruire dei domiciliari per l’entità della pena alla quale sono state condannate. Mercoledì prossimo la Commissione Giustizia riprenderà l’esame procedendo ad un’audizione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Nella stessa giornata sarà sviluppato l’esame in sede referente - previsto anche nella giornata di giovedì - per consentire il passaggio in aula programmato per settembre. Il calendario dell’Assemblea prevede anche il seguito dell’esame del ddl 2008 A riguardante la istituzione del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Giustizia: tutti i danni “dell’allarme sicurezza”, intervista al giudice Piergiorgio Morosini di Paola Moroni www.dirittidistorti.it, 7 settembre 2010 Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari a Palermo e membro della Giunta dell’Associazione nazionale magistrati, è autore della prima sentenza del processo Gotha perché alcuni imputati hanno scelto il rito abbreviato e sono stati giudicati in fase di udienza preliminare. Ha fatto parte dal 2006 e fino al 2008, con il governo Prodi, della commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia. Quella commissione ha redatto una riforma del codice che giace dimenticata in Commissione giustizia al Senato. Partiamo dalla modifica del codice di procedura penale voluta dal ministro Carfagna che ha imposto l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere nel caso di reati di violenza sessuale e che è stata dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta... Si è trattato di un messaggio simbolico della politica alla richiesta emotiva dell’opinione pubblica. In questo caso la scelta è stata molto forte tanto da essere parzialmente bocciata dalla Corte Costituzionale. La modifica non andava ad inasprire le pene per il reato ma a toccare la custodia cautelare che è quella che si eroga a una persona che non ha ancora subito un processo e che quindi non è stata ancora condannata. La custodia cautelare in carcere per i reati comuni è prevista solo in tre casi: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove, reiterazione del reato. Nel nostro ordinamento giuridico la custodia cautelare in carcere è obbligatoria soltanto per i reati di mafia. Si è trattato di una risposta al bisogno di sicurezza più volte denunciato dai cittadini e cavalcato dalla politica… Una risposta che non opera una razionalità delle scelte. Il problema della sicurezza è concentrato soprattutto nella microcriminalità e il ventaglio di misure che andrebbero adottate dovrebbe prevedere degli investimenti soprattutto per la prevenzione dei reati anche attraverso il coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni. Non dimentichiamo che un terzo della popolazione detenuta è in attesa di giudizio e che i casi di assoluzione sono significativi. Il carcere per una persona innocente è una macchia indelebile che compromette rapporti familiari, lavorativi e sociali. Eppure tutta la nostra legislazione è sempre più “carcerocentrica” e i continui tagli economici alla giustizia hanno fatto sì che il reinserimento sociale, previsto dalla nostra Costituzione, non sia più attuabile e che addirittura non siano nemmeno garantite le condizioni minime di vivibilità. Per questo ogni anno la politica annuncia l’emergenza carcere e denuncia un sovraffollamento da democrazia non avanzata. Questo governo ha progettato la costruzione di nuovi edifici carcerari… Il nostro sistema penale risale al 1930 e sono almeno 30 anni che la politica risponde all’emergenza o con atti di clemenza o con piani di edilizia carceraria. Bisogna però pensare che una volta terminata la costruzione di nuove carceri, i detenuti saranno sempre troppi rispetto alla capienza degli edifici, proprio perché il nostro codice prevede che ad ogni reato corrisponda una pena carceraria e non una misura alternativa. Penso ai codici di altri Stati che invece, ad esempio, comminano interdizioni dallo svolgere professioni o dallo svolgere attività economiche, come accade negli Stati Uniti ad esempio. Sia chiaro, sono favorevole a investimenti nell’edilizia carceraria perché spero che almeno si ripristineranno condizioni di vita dignitose per i detenuti ma non è la soluzione al problema del sovraffollamento e della sicurezza. Negli anni 70 in Italia era stata scelta una strada che portava a investimenti per il reinserimento nella società dei condannati e con la legge Gozzini si è cercato di investire per evitare la recidività del reato. Una strada che è stata abbandonata a favore della sola neutralizzazione del soggetto pericoloso con il carcere. E questo ha provocato un cortocircuito: processi infiniti, carceri piene di detenuti in attesa di giudizio e paradossalmente boss mafiosi che escono dal carcere perché scaduti i termini di custodia cautelare. Una enorme contraddizione. Perché sulla macchina investigativa e giudiziaria grava anche la mancanza di investimenti (mancano mezzi e personale) quindi il giudizio non arriva in tempi brevi. Neppure il cosiddetto “processo breve” risolve l’inefficienza del sistema: è un provvedimento che adotta come soluzione l’assoluzione quando si “viola la durata ragionevole del processo”. È l’ennesima prova di quanto sia necessaria una riforma globale e condivisa del sistema penale invece di provvedimenti che sbarrano la strada all’azione investigativa tipo il decreto sulle intercettazioni. Faccio alcuni esempi: non avremmo scoperto gli autori del delitto D’Antona se non avessimo potuto utilizzare le telefonate fatte dai brigatisti dalle cabine telefoniche; non avremmo potuto catturare Provenzano se non fosse stato possibile intercettare conversazioni in ambienti dove non erano stati commessi dei reati. Quanto conta l’obiettività e quanto l’interpretazione del giudice nella formulazione di una sentenza… Sarebbe ipocrita non voler riconoscere che la propria cultura, il proprio vissuto non influenzi l’operato di un giudice, ma la sentenza deve rispondere alla legge e alla Costituzione e il nostro sistema prevede che se si commette un errore l’errore possa essere corretto. Credo che una maggiore trasparenza e quindi consapevolezza dei cittadini rispetto all’operato del giudice possa aiutare una coscienza critica del sistema giudiziario. Trovo necessario inserire nella motivazione della sentenza i motivi che hanno condotto ciascun giudice a quella scelta, questo sarebbe un atto di doverosa chiarezza. Ovviamente mi riferisco soprattutto alle corti collegiali e non al giudice monocratico. Succede che dei giudici operino delle scelte e si mascherino nel collegio. Ci sono casi in cui per arrivare a sentenza il collegio giudicante trova un compromesso e sentenze che hanno risentito di vere e proprie spaccature tra giudici. Sarebbe opportuno rendere pubblica l’opinione del dissenziente e quali motivazioni hanno guidato la corte a formulare quella precisa scelta. Penso al caso Welby ad esempio, o anche alla sentenza sul lodo Mondadori nella quale un solo giudice ha imposto la sua opinione agli altri due che non conoscevano gli atti. Sarebbe un atto di grande responsabilità della magistratura nei confronti dei cittadini che avrebbero così la possibilità di esercitare un pieno controllo critico. Questo consentirebbe anche ai giornali di pubblicare resoconti dei processi più dettagliati… Certo, anche perché il racconto ai cittadini di quanto succede durante un processo e quindi il racconto della “verità” sta in mano alla stampa e non ai giudici. Giustizia: Uil-Pa; da inizio anno101 detenuti hanno tentato suicidio Ansa, 7 settembre 2010 Dall’inizio del 2010 sono 101 i tentativi di suicidio in cella sventati dalla polizia penitenziaria. Lo afferma il segretario del sindacato della polizia penitenziaria, Uilpa, Eugenio Sarno. “È evidente che, nelle attuali condizioni, la sola attività possibile per la polizia penitenziaria è impedire le fughe. Non dalle carceri ma dalla vita. Purtroppo il sovrappopolamento e la grave (cronica) deficienza degli organici - afferma Sarno - non lasciano alternative. Di certo impressiona l’escalation degli atti auto soppressivi”. “Cinque tentativi si sono registrati nei soli ultimi tre giorni - ricorda Sarno - e occorre riflettere anche sulla giovane età dei detenuti che scelgono la strada “ dell’ evasione finale “ . Se assommiamo i 101 suicidi sventati ai 45 suicidi, purtroppo, portati a compimento, non possiamo non parlare di una vera e propria strage che si compie all’interno dei confini penitenziari. Purtroppo nemmeno questa sconvolgente realtà serve a smuovere il necessario impegno politico volto alla ricerca delle necessarie soluzioni. Di contro la società, ma la stessa stampa, appaiono indifferenti alla tragedia penitenziaria”. “Ieri, pochi minuti prima di mezzogiorno, un detenuto marocchino di 24 anni ha tentato di suicidarsi nella sua cella del carcere di Savona. Il giovane, però, è stato tratto in salvo dalla polizia penitenziaria prima che i devastanti effetti dell’impiccagione producessero l’ irreversibile esito di morte. Un’ora prima, sempre nel carcere di Savona, nell’infermeria tre detenuti extracomunitari erano venuti alle mani azzuffandosi tra loro. Anche nel carcere di La Spezia, l’altro ieri, un detenuto italiano di 20 anni è stato tratto in salvo dalla polizia penitenziaria che lo ha sottratto a morte certa per il tentativo di suicidio posto in essere. In Liguria dall’inizio del 2010 sono 11 i tentativi di suicidio sventati dalla polizia penitenziaria che di contro registra, in quella regione, 26 agenti feriti per atti violenti subiti da parte di detenuti”. “È desolante e deprimente dover prendere atto che all’eroico impegno degli uomini e delle donne della polizia penitenziaria si contrappone un’Amministrazione statica, incapace ed autoreferenziale. La disarticolata gestione del personale, l’illogica assegnazione dei mezzi, l’inerzia amministrativa, l’incapacità e definire una linea gestionale aggravano, per quanto possibile, l’irreversibile crisi del sistema penitenziario il cui encefalogramma è spietatamente piatto. In questo desolante quadro emergono con nettezza anche le responsabilità del Ministro Alfano. Mentre il Guardasigilli continua nella narrazione delle 2000 unità da assumere, chissà quando, il suo collega titolare del Viminale (evidentemente più aduso ai fatti che alle parole) porta a casa 1600 assunzioni in Polizia di Stato. Segno evidente - chiosa polemicamente il Segretario della Uil Penitenziari - che la differenza tra la Giustizia e l’Interno è segnata dalle capacità, dalla volontà, dall’impegno e dalle competenze delle rispettive amministrazioni”. Giustizia: “Cosa nostra” in crisi e i boss in cella si suicidano Il Giornale, 7 settembre 2010 Cosa Nostra in crisi e i boss in cella si Due psicoterapeuti dell’Università di Palermo hanno studiato le dinamiche interne agli affiliati di Cosa Nostra scoprendo come i colpi messi a segno dalle forze dell’ordine abbiano spinto i capiclan nel tunnel della depressione Nino Materi. Avete presente film come “Un boss sotto stress” e “Terapia e pallottole”? Ecco, quella è la versione comica di un fenomeno che invece, nella realtà, appare drammaticamente seria. Per uscire dalla depressione i capiclan di Cosa Nostra, Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta non si stendono infatti sul lettino dello psicanalista, ma finiscono direttamente sul marmo dell’obitorio: morti stecchini, anzi suicidi. Tra le grandi organizzazioni criminali gli affiliati che negli ultimi tempi hanno deciso di togliersi la vita sono aumentati in maniera clamorosa. A tenere la macabra contabilità - ma soprattutto a investigarne le cause - sono due psicoterapeuti dell’Università degli Sudi di Palermo, Franco Di Maria e Giorgio Falgares. Un estratto della loro ricerca si trova nell’ultimo numero della rivista scientifica Psicologia Contemporanea, diretta da Anna Oliverio Ferraris. Partiamo dalle prime due domande - chiave: chi sono gli “uomini d’onore” che si sono suicidati e perché lo hanno fatto? L’elenco dei nomi sarebbe lungo, per questo i ricercatori siciliani si soffermano sugli esempi emblematici di Francesco Pastoia, Tanino Lo Presti e Salvatore Bonanno. Tre storie tra loro diverse ma accomunate da un identico disagio: “La colpa intollerabile di aver parlato troppo, in modo imprudente e con persone sbagliate”. E quando si commettono simili errori “il suicidio può essere interpretato come un comportamento estremo di tipo espiatorio”. Boss quindi sull’orlo di una crisi di nervi per aver messo - loro malgrado - lo Stato in condizione di avere la meglio sul proprio gruppo di appartenenza. Le forze dell’ordine che disarticolano i le famiglie sequestrano i loro beni, arrestano i mammasantissima sono situazioni che gli “uomini d’onore” non possono tollerare perché minano i pilastri che sostengono potere e “È da diversi mesi - spiegano Di Maria e Falgares - che all’interno di Cosa Nostra si registrano numerosi casi di suicidio, che hanno coinvolto, in particolare, alcuni esponenti di spicco dei gruppi criminali vicini ai boss Provenzano e Lo Piccolo”. “Va chiarito - si legge nello studio ripreso da Psicologia Contemporanea - che le storie riportate sono accomunate dal fatto che chi si suicida non lo fa perché teme di essere ucciso o teme per la vita dei propri familiari. In effetti, non si tratta di collaboratori di giustizia, che temono per la propria vita e per questo chiedono aiuto allo Stato. Si evince nettamente, invece, che la scelta di togliersi la vita è espressione “tragica” e consapevole del proprio senso di devozione verso l’organizzazione, nei confronti della quale il mafioso ha involontariamente “mancato di rispetto” (in questo caso la morte è una vera e propria autopunizione)”. In questi casi - evidenziano i due psicoterapeuti palermitani, l’aspetto più sorprendente è l’estrema fragilità di questi soggetti (per i quali si può parlare di effettiva condizione depressiva), che sembra contraddire l’immagine stereotipata dell’uomo d’onore forte, senza paura e virile. Si tratta di un aspetto messo in luce dal magistrato palermitano Antonio Ingroia che, in un recente articolo, avanza l’ipotesi che i casi di suicidio svelino un’inedita fragilità dell’identità mafiosa, segno evidente di un profondo cambiamento nel rapporto con le organizzazione criminali, riconosciute ancora forti, ma anche profondamente segnate dall’efficace controffensiva dello Stato. E quanto più quest’ultimo mette a segno i suoi colpi, tanto più esso viene percepito da Cosa Nostra, Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta come “nemico”; non soltanto perché mette a rischio l’impunità, ma anche perché minaccia il proprio gruppo di appartenenza, vissuto come un’entità superiore, proprio come accade nelle subculture fondamentaliste di tipo religioso. “La cui forza totalizzante - concludono i ricercatori dell’Università di Palermo - si dimostra ancor più vincolante nei momenti di crisi, quando cioè lo Stato tenta di minacciarne, ad esempio attraverso gli arresti, l’esistenza o l’identità sociale”. Giustizia: pena di morte, Sakineh e le altre di Diego Ruggiano www.inviatospeciale.com, 7 settembre 2010 Insieme alla bagarre politica che sta attraversando i piani più alti della politica italiana, l’informazione nazionale sta seguendo con ansia la storia di Sakineh. Protagonista ormai di un vero e proprio ginepraio diplomatico dal quale sembra sempre più difficile venir fuori. I quotidiani europei, le associazioni contro la pena di morte e Amnesty International si sono schierati a spada tratta contro la giustizia iraniana che sta per portare alla lapidazione la donna accusata di adulterio e accusata e assolta per complotto nell’omicidio del defunto marito. Contemporaneamente, dall’altro lato dell’oceano, negli Stati Uniti d’America, in Virginia, una donna di nome Teresa Lewis, sta attendendo la sua condanna capitale fissata per il 23 settembre 2010. A Teresa però, nei nostri quotidiani, come nel resto di quelli europei, non è stato dedicato neanche un trafiletto. Bisogna infatti rifarsi ai siti d’informazione americana, o a qualche blogger di buona volontà, per trovare notizie su quest’ennesima vittima (5679 solo nel 2009) della pena di morte. Il problema, infatti, sembra non albergare solo nei Paesi islamici, ma anche nelle più evolute democrazie occidentali. Stando ai dati raccolti dalla lega internazionale “Nessuno tocchi Caino”, non v’è continente al mondo che si sia ancora liberato del tutto da questa terribile pratica. Neanche l’Europa. Visto che del tragico elenco fa parte anche la Bielorussia. Il percorso da seguire è tutt’altro che semplice: i Paesi che mantengono ancora la pena di morte, pur riducendo il campo di azione, relegandola quindi solo a determinati crimini, sono ancora 43. In quest’elenco spiccano Stati come la Cina, gli Usa, l’Iran, l’Autorità Nazionale Palestinese, il Giappone, Cuba, l’India e la tanto stimata, dal nostro attuale governo, Libia. I riflettori però, in questi giorni, sono puntati tutti sulla lapidazione di Sakineh, da fine luglio. Per quanto ci riguarda, dalla Farnesina le dichiarazioni sembrano avvertire la Repubblica Islamica dell’Iran, offrendole un improbabile riabilitazione della reputazione - crollata dopo il caso del nucleare e le dichiarazioni su Israele - sul piano globale: “Salvarla da questa sofferenza offrirebbe un’opportunità all’Iran per creare un nuovo clima di fiducia con la comunità internazionale. Al di là del motivo umanitario, riteniamo che non sia interesse dell’Iran giocarsi la propria reputazione su un caso come questo”. Mentre gran parte dei vertici europei si muovono pubblicamente, rilasciando dichiarazioni a destra e a manca, c’è chi, come il Vaticano, promette di agire mediante canali diplomatici, come ha assicurato padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede. Intanto, mentre si disquisisce su come salvare Sakineh, aldilà dell’oceano atlantico un comitato dal nome “Save Teresa Lewis” prova a battersi a livello locale contro il governatore della Virginia affinché conceda la grazia alla malcapitata e commuti la pena in ergastolo. L’ironia di questa storia è che nello stesso periodo, due donne, accusate entrambe di aver organizzato l’omicidio del proprio coniuge, assistono impotenti alla fine dei propri giorni per mano della propria nazione che, con attitudini demiurgiche, si erige a decidere della vita dei propri cittadini. Non ci si può non interrogare in merito al livello di barbarie che uno Stato può perpetrare. Se gli iraniani lapidano e frustano le donne che commettono adulterio, gli americani uccidono e torturano i presunti terroristi. Non si sta più discutendo di chi consuma questi delitti, ma del perché, in un mondo che guarda dall’alto verso il basso le tragedie del passato, come la Shoa, si continui a non rispettare in nessun modo il diritto alla vita. Sembra che l’equazione reato - uguale - correzione di un comportamento non esista ancora in alcun Paese. Perché, seppur tanti Stati non praticano più la pena di morte, molti non riabilitano in nessun modo i propri cittadini che si sono macchiati di questo o quel reato. Basta vedere la triste situazione che si vive nelle carceri italiane, spagnole o francesi, per capire che, seppur non ammazzando fisicamente, anche chi chiede l’abolizione della pena di morte fa sì che la vita dei propri detenuti abbia fine nelle carceri. Il dibattito potrebbe proseguire per giorni. Il problema è che oggi si chiama Sakineh e Teresa Lewis, ma domani avrà altre migliaia di nomi e la soluzione sembra essere sempre più lontana. Resta da riflettere sull’articolo numero 3 della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” promulgata nel 1948: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Fa per caso eccezione se un essere umano si macchia di un qualsivoglia reato? Giustizia: Ferrante (Pd); aumenta tragica contabilità dei morti in carcere, governo silente Apcom, 7 settembre 2010 “In carcere e di carcere si continua purtroppo a morire. Mentre la tragica contabilità di morti sospette e suicidi continua ad aggiornarsi, agli incessanti appelli e denunce sulla situazione insostenibile che giungono dalle associazioni, dai sindacati della polizia penitenziaria e dal Parlamento, il Governo non risponde. Al Governo Berlusconi, che sulla sicurezza ha fatto una propaganda tanto incessante quanto illusoria, è palesemente sfuggito di mano il controllo della situazione carceraria del Paese”. Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante. “La morte del cittadino tunisino nel penitenziario di Pisa, la centoventunesima dall`inizio dell`anno e in merito alla quale presenterò l`ennesima interrogazione parlamentare - assicura Ferrante - e lo sventato suicidio nel carcere di La Spezia, sono purtroppo notizie di un tragico bollettino giornaliero, che probabilmente il ministro Alfano e il Presidente del Consiglio Berlusconi, impegnati in altri affari sulla giustizia, non leggono nemmeno. Migliaia di agenti penitenziari ogni giorno affrontano una situazione drammatica, causata essenzialmente da un sovraffollamento carcerario indegno di un Paese civile”. “In nome del rispetto dei più elementari diritti umani e civili - conclude Ferrante - ci chiediamo quando e come questo Governo, che accoglie con tutti gli onori un dittatore che quei diritti li calpesta da decenni, vorrà affrontare seriamente una situazione ormai prossima al collasso”. Giustizia: Casellati; misure strutturali per il sistema penitenziario? andavano fatte prima Ansa, 7 settembre 2010 “La situazione nelle carceri è drammatica e la nostra consapevolezza è tale che abbiamo dichiarato lo stato d’emergenza. Il governo ha scelto la strada più difficile, che è quella degli interventi strutturali: abbiamo approntato provvedimenti che vanno dalla ristrutturazione di padiglioni già esistenti alla creazione di nuove carceri”. Così, come si legge in una nota, ai microfoni di CNRmedia il sottosegretario alla giustizia, Elisabetta Alberti Casellati, sull’emergenza nei penitenziari italiani, dopo l’ennesimo suicidio di un detenuto. “Certo, ci rendiamo conto che il tempo è il nostro peggior nemico perché tutto questo andava già fatto in passato - conclude - ma bisogna risolvere una volta per tutte e non con misure tampone come è sempre stato fatto”. Giustizia: Sappe; ancora tensioni nelle carceri, grave episodio a Voghera Il Velino, 7 settembre 2010 “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente, lo denunciamo ormai da molti mesi nella più silente indifferenza. Ogni giorno registriamo manifestazioni e proteste di detenuti sempre più violente. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. Dopo gli episodi di protesta e violenza avvenuti nelle scorse settimane in diversi penitenziari del Paese - Barcellona Pozzo di Gotto, Enna, Palermo, Genova Marassi, Ravenna, Torino, Sanremo, Arienzo Irpino, Trapani - registriamo una nuova aggressione qualche giorno fa a Voghera (un carcere sovraffollato e con gravi carenze di organico nel Reparto di Polizia) un detenuto italiano comune ha proditoriamente aggredito un Agente della Polizia Penitenziaria in servizio, ai quali va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, procurandogli lesioni e ferite varie guaribili in 15 giorni. Una aggressione violenta ed ingiustificata: la frequenza di questi gravi episodi un pò in tutta Italia ci allarma”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione all’ennesima aggressione di un appartenente alla Polizia Penitenziaria avvenuta nel carcere di Voghera. “Sgomenta constatare la frequente periodicità con cui avvengono queste aggressioni - sottolinea Capece. Credo servano provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse, anche per impedire un pericoloso effetto emulativo. In una situazione di emergenza, come è quella attuale, servono provvedimenti straordinari. Certo, se continua questo trend di ingressi in carcere e non si adotta alcun concreto provvedimento deflattivo, c’è il serio rischio che nelle prossime settimane le carceri diventeranno roventi e non solo per la calura estiva, con i soli poliziotti penitenziari - sempre più sotto organico - nella prima linea delle sezioni detentive a gestire le tensioni e le situazioni di pericolo. Voghera è un penitenziario in cui il 31 agosto scorso erano presenti 250 detenuti rispetto ai 163 posti letto regolamentari e in cui mancano circa 30 agenti dagli organici della Polizia Penitenziaria”. Giustizia: Sappe; delegazione tedesca visita istituti italiani per confronto su sistema penitenziario Adnkronos, 7 settembre 2010 È iniziata questa mattina, dal carcere di Padova, la visita di una delegazione sindacale di Polizia Penitenziaria tedesca aderente al Sindacato Bsbd (Bund der Strafvollzugsbediensteten Deutschlands). L’iniziativa avviene su iniziativa e invito del Sappe, sindacato della Polizia Penitenziaria. Il segretario generale Donato Capece, spiega che: “La visita della delegazione tedesca che inizia oggi dalla città patavina segue quella fatta dal Sappe in Germania a settembre del 2009. Lo scorso anno, infatti, una delegazione della nostra Segreteria Generale - fa notare - si recò nel Lander del Baden - Wurttemberg, dove visitò gli istituti di Heimsheim, Schwabisch Gmund e Stammheim, quest’ultimo diventato famoso per aver ospitato i due terroristi della banda Baader Meinhof, poi suicidatisi proprio in quel carcere. L’occasione è stata utile per conoscere il sistema penitenziario e le varie modalità di esecuzione della pena in Germania. Ora noi illustreremo agli amici e colleghi tedeschi la realtà italiana”. I poliziotti tedeschi proseguiranno la giornata odierna con la visita, nel pomeriggio, al carcere di Venezia Giudecca. Successivamente si recheranno a Roma, dove visiteranno nei prossimi giorni la sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la Scuola di Formazione del Corpo di Roma e la sede del Gruppo Operativo Mobile. In programma anche una visita alla Casa Circondariale di Velletri. L’occasione è utile conclude il segretario generale Sappe Capece “per trovare soluzioni comuni al sovraffollamento penitenziario, che è un problema non solo italiano ma europeo, e per mettere in campo delle sinergiche strategie di intervento sull’esecuzione della pena nei Paesi europei e sulle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari nei rispettivi Stati. L’obiettivo - conclude - è dare vita ad una Confederazione europea dei Sindacati autonomi della Polizia Penitenziaria, che abbia ascolto e rappresentanza nel Consiglio europeo, e organizzare un Convegno al Parlamento europeo sul ruolo, la professionalità e la funzione sociale delle Polizia Penitenziarie dei vari Stati. Lettere: il “manicomio criminale” non è un luogo di cura Ristretti Orizzonti, 7 settembre 2010 Le ispezioni che la commissione di indagine presieduta dal sen. Ignazio Marino ha effettuato presso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari pongono ancora una volta al centro dell’attenzione la grave condizione in cui si vengono a trovare in Italia, esclusi tra gli esclusi, i pazienti psichiatrici che hanno commesso un reato. A più di 30 anni dalla promulgazione della legge di riforma dell’assistenza psichiatrica, legge 180, all’inizio del terzo millennio la risposta ai bisogni di queste persone resta il nudo orrore dell’Opg. Purtroppo questa legge non riguardò gli Opg perché al fine del loro superamento doveva essere rivisto il codice penale nella materia dell’imputabilità e del vizio di mente. Il clima ottimistico degli anni settanta ci faceva illudere che a ciò si sarebbe giunti in breve! Gli Opg infatti scontano l’ambiguità - non solo semantica - di essere istituzioni deputate alla “ cura “ ed alla “ sorveglianza” delle persone che ospitano. Dunque sempre più gli Opg ci appaiono come scorie del passato, perché scontano le contraddizioni di un ordinamento penitenziario che, nato per evitare che persone sofferenti fossero recluse in carcere, pensò che gli Opg potessero rappresentare un luogo di cura e di riabilitazione. Queste contraddizioni permettono che una persona con disturbi mentali possa essere internato in Opg anche a causa di reati minori e restarvi per un tempo ben più lungo di un “normale” detenuto, perché troppo spesso gli Opg diventano il palcoscenico su cui si rappresenta l’abbandono dei Servizi psichiatrici delle Asl. Ma non è pensabile che la sopravvivenza in Italia di 6 Opg, che ospitano un migliaio di persone, sia genericamente dovuta alla necessità di dover sopperire alle carenze dei servizi territoriali di salute mentale, perché questo fornirebbe l’alibi alla nostra coscienza di uomini e di psichiatri che queste istituzioni totali, che sommano il peggio del carcere e del manicomio, costituirebbero il male minore, perché in una qualche misura rappresenterebbero l’unica possibilità di cura e di assistenza per l’umanità dolente che li abita. Ed a nulla vale il tentativo di psichiatri illuminati di provare a rendere gli Opg dei veri ospedali, perché non si tratta solo di una questione di risorse, anche se è indispensabile che esse siano sufficienti a dare un’assistenza decorosa, degna di una Nazione civile. Niente può apparirci più falsamente ipocrita: l’Opg è un universo da decostruire. Dunque va denunciato con forza l’antiterapeuticità degli Opg, che scoppiano perché sovraffollati, anche a ragione del fatto che le possibilità offerte l’ordinamento penitenziario sulle pene alternative al carcere non sempre sono tenute nel giusto conto anche dove le strutture della salute mentale sono decorose. Certo la loro chiusura ripropone la questione della modifica radicale del codice penale per quello che riguarda il concetto di imputabilità, ma di sicuro è possibile pensare da subito a forme alternative di assistenza. Perché laddove i servizi di salute mentale assolvono al loro compito, si vanno sempre più consolidando esperienze di ri-presa in carico degli utenti di competenza territoriale che hanno terminato il periodo di internamento, anche grazie all’attivazione di progetti di integrazione socio - sanitaria individuali, e praticamente azzerati sono gli invii in Opg di detenuti con problematiche psichiatriche dalle carceri ordinarie. Dott. Giuseppe Ortano Psichiatra Asl Caserta Comitato Direttivo Nazionale Psichiatria Democratica Sicilia: De Benedictis (Pd) ad Alfano; grave situazione negli istituti penitenziari Adnkronos, 7 settembre 2010 All’indomani dell’ennesimo grave episodio avvenuto nel centro di prima accoglienza di Palermo, dove un minorenne ha tentato di togliersi la vita, appare evidente la necessità di focalizzare l’attenzione sulla grave situazione degli istituti penitenziari all’interno dei quali, come molti parlamentari abbiamo potuto accertare durante le visite effettuate nell’ambito dell’iniziativa “Ferragosto in carcere” le condizioni di vita sono intollerabili e degradanti. Lo denuncia il deputato regionale del Pd in Sicilia Roberto De Benedictis, che in una lettera inviata al ministro Alfano all’indomani del tentativo di suicidio avvenuto nel centro di prima accoglienza d Palermo, illustra come in Sicilia siano reclusi 8.200 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5200 posti. “Nella provincia di Siracusa - scrive il deputato regionale - gli agenti in organico ad agosto dovevano essere 730 ma ve ne erano 524, il 30% in meno. Di contro, a fronte di una capienza regolamentare di 748 detenuti, i reclusi erano 1.472, il doppio! Fatte le proporzioni, ciò significa che per ogni 100 detenuti ci sono in servizio 35 detenuti invece dei 100 previsti per legge, cioè un terzo! Le conseguenze si traducono, quasi dappertutto, in vite esasperate, sia dei detenuti che degli agenti di polizia che vi operano. Nel carcere di Cavadonna - continua De Benedictis - la parola astratta sovraffollamento significa 12 persone in una cella prevista per 4. A Ragusa, nel braccio dei protetti, ho visto gabbie per polli senza luce né aerazione diretta ma abitate da uomini che si dividevano in due una cella nella quale, in 7 mq devono trovare posto anche i letto, il locale di servizio igienico, un tavolino e due sedie: praticamente senza spazio residuo per potersi muovere”. “Una situazione gravissima, indegna per un paese come il nostro, la cui soluzione in nessun caso può riguardare solo la mera costruzione di nuove carceri, senza interessare l’intero percorso della applicazione della giustizia e del trattamento carcerario - conclude De Benedictis - Senza cioè si interrompa l’uso indiscriminato della carcerazione preventiva, che si depenalizzino i reati minori, che si eroghino misure e pene alternative in tutti quei casi in cui possono rivelarsi più efficaci del carcere ai fini della rieducazione e del reinserimento sociale, senza che si offrano nel carcere possibilità di lavoro per i detenuti. E, soprattutto, senza che si proceda all’improcrastinabile adeguamento degli organici penitenziari”. Lazio: Cangemi; consegnati primi attestati professionali, un modo per dare futuro lavoro a detenuti Dire, 7 settembre 2010 “Nell’ambito della realizzazione di un sistema integrato di formazione professionale a favore della popolazione detenuta, la Regione Lazio in convenzione con Filas e con l’Ente Enaip Lazio che si aggiudicato il progetto didattico, ha predisposto dei corsi di formazione professionale, nelle strutture carcerarie della nostra regione, sia per adulti che per minori, finalizzato a costituire una strategia di inserimento, rieducazione e reinserimento del detenuto nel mercato del lavoro”. Lo ha detto Giuseppe Cangemi, assessore agli Enti locali della Regione Lazio, firmando i primi attestati di qualifica relativi all’esame di elettricista. “Le attività formative hanno avuto come obiettivo il consolidamento dei criteri di certificazione delle competenze, il miglioramento della flessibilità e della personalizzazione dei percorsi formativi, la progettazione e sperimentazione di nuovi modelli formativi, avvalendosi delle dotazioni informatiche e telematiche del sistema formativo già esistenti. Nello specifico si sono tenuti i primi corsi di Informatica, per la qualifica di elettricista, di operatore di produzioni vegetali e di recitazione - ha spiegato Cangemi. Abbiamo voluto implementare l’integrazione con il mondo del lavoro, indirizzando la formazione professionale sui fabbisogni del mercato del lavoro, puntando a una progressiva armonizzazione tra l’istruzione di base, la formazione professionale e l’inserimento al lavoro”. “In merito alle motivazioni che hanno spinto i detenuti a partecipare ai corso di qualifica professionale - ha concluso - si dimostra che le aspettative dei detenuti comunque sono medio - alte, in quanto si considerano i corsi un modo per conseguire un attestato per un futuro lavoro, pertanto un possibile reinserimento sociale”. Caserta: Uil-Pa; a Santa Maria Capua Vetere la situazione è esplosiva, può accadere di tutto Il Velino, 7 settembre 2010 La casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere tra i penitenziari più “affollati” in Italia e terza in Campania, dopo quelle di Napoli e Secondigliano. Il caso del sovraffollamento delle carceri, tocca inevitabilmente anche quella di Santa Maria Capua Vetere dove la cosiddetta “capienza tollerabile” è stata superata da anni. L’indice di sovraffollamento - informa una nota della Uil Pa Penitenziari a firma di Eugenio Sarno - è pari al 35 per cento. E su tutti gli istituti penitenziari il caso di Santa Maria Capua Vetere è quello che preoccupa di più. E non solo perché in una cella ci sono fino a dieci detenuti, ma anche per la “qualità” dei detenuti: manovali, gregari della camorra. È come se la geografia dei clan si stesse ridefinendo anche all’interno delle carceri soprattutto nel Casertano. Questi i numeri del sovraffollamento nelle quattro carceri campane: a Santa Maria Capua Vetere 837 detenuti contro i 547 previsti dalla massima capacità di ricezione (+ 290); (366 alta sicurezza di cui 30 donne; 360 in attesa di giudizio, circa il 40 per cento e quasi il 40 per cento di stranieri; 409 poliziotti penitenziari oltre a 102 del Nucleo Traduzioni Provinciale) ad Aversa (Opg) 301 contro i 259 (+ 42); a Carinola 372 contro i 332 (+40) e ad Arienzo 94 contro i 52 (+42). Il tutto a fronte di condizioni di sicurezza che, sottolinea il sindacato, rischiano di saltare: basta pensare che sono 438 gli agenti su 550 previsti, però, in merito ad una presenza detentiva normale. Complessivamente nelle sedici carceri campane sono 7424 i detenuti presenti (7.149 uomini e 275 donne), a fronte di una capienza regolare di 5.506. “Santa Maria Capua Vetere resta senza dubbio la situazione di maggior rischio e non solo per il sovraffollamento - avverte Sarno - mi pare chiaro che alla ripresa la situazione dell’istituto sammaritano va affrontata con i vertici dipartimentali e regionali dell’amministrazione”. Intanto, in ordine all’ennesimo caso di mancata erogazione dell’acqua nel carcere sammaritano (l’acqua viene portata anche con autobotti) per il quale sono stati destinati lo scorso anno un milione e 700 mila euro per un nuovo sistema idrico da 5 km da realizzarsi con un bando comunale, l’amministrazione sammaritana fa sapere in una nota che ci sono stati due incontri all’inizio di luglio con il Provveditorato alle Opere Pubbliche e il Ministero di Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria al quale dovrebbe fare seguito un protocollo di intesa della Direzione Generale del Ministero per un intervento risolutivo. Palermo: Sappe; detenuto minorenne tenta il suicidio, colpa del sovraffollamento Redattore Sociale, 7 settembre 2010 È accaduto nel Cpa di Palermo. Il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria chiede “iniziative concrete” da parte di governo e parlamento. I detenuti sono 69 mila per 43 mila posti, migliaia gli atti di autolesionismo. Ieri mattina, nel centro di prima accoglienza di Palermo, un giovanissimo migrante (ancora minorenne) ha tentato di impiccarsi. L’intervento di un agente di polizia penitenziaria che, sollevandogli le gambe ha impedito la morte per soffocamento, è stato provvidenziale. Ma non si tratta di un caso isolato. “Parliamo di una realtà, quella dei tentativi di suicidio in carcere, che preoccupa per la sistematica regolarità con cui avvengono - commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - E ci preoccupa particolarmente quando questi gravi episodi avvengono in strutture detentive per minorenni”. Il sovraffollamento è il principale imputato, per Capece, che insiste: “Con una popolazione di quasi 69 mila detenuti adulti, in carceri che ne possono contenere a mala pena 43 mila, accadono purtroppo questi episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del corpo di polizia penitenziaria che, in media, sventano 10 tentativi di suicidio di detenuti nei penitenziari italiani. I dati parlano chiaro. Lo scorso anno 2009, in cui nelle carceri italiane ci furono 58 suicidi di detenuti e 100 decessi per cause naturali di detenuti, ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo nelle carceri italiane che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al nostro tempestivo intervento. Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi. La polizia penitenziaria è allo stremo - conclude Capece - ma oggi servono iniziative concrete sia da parte dell’esecutivo che della sovrana attività parlamentare sulle criticità penitenziarie”. La Spezia: Sappe; sventato suicidio di un detenuto, apprezzamento al personale Il Velino, 7 settembre 2010 “Voglio esprimere l’apprezzamento del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del carcere di La Spezia che domenica intervenendo con prontezza, hanno sventato l’ennesimo atto disperato di un detenuto che ha cercato di togliersi la vita mediante impiccamento. Ancora una volta è solo grazie alla professionalità, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che si è sventata una ben peggiore tragedia in carcere (il detenuto è ancora in coma) ed al Reparto di Polizia Penitenziaria in servizio in via Fontevivo vanno le nostre espressioni di stima e gratitudine.” È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria), commentando il tentativo di suicidio avvenuto nel carcere di La Spezia. “I nostri Agenti, a La Spezia, sono intervenuti ancora una volta salvando la vita del detenuto” prosegue Martinelli. “Parliamo di una realtà, quella spezzina,in cui mancano ben 53 agenti di Polizia Penitenziaria negli organici del Reparto. L’eroico gesto dei nostri colleghi non deve passare inosservato perché è la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione: rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità.” “Con un sovraffollamento di 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila” conclude il Sappe “accadono purtroppo questi episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano 10 tentativi di suicidio di detenuti nei penitenziari italiani. I dati parlano chiaro. Lo scorso anno 2009, in cui nelle carceri italiane ci furono 58 suicidi di detenuti e 100 decessi per cause naturali di detenuti, ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo nelle carceri italiane (42 a Spezia, ai quali aggiungere anche 17 detenuti in sciopero della fame) che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al tempestivo intervento ed alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi, 2 dei quali avvenuti nel carcere spezzino. L’intero Corpo di Polizia Penitenziaria è allo stremo, ma oggi servono iniziative concrete sia da parte dell’Esecutivo che della sovrana attività Parlamentare sulle criticità penitenziarie: a cominciare dal fissare tempi ragionevoli e certi ai processi, per sapere se si è innocenti o colpevoli visto che circa il 50 per cento dei detenuti in Italia è imputato; prevedendo nuove assunzioni di Agenti di Polizia Penitenziaria e promuovendo un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione, con contestuale impiego in lavori socialmente utili in progetti di recupero del patrimonio ambientale e lavori di pubblica utilità“. San Gimignano (SI), detenuto italiano tenta di incendiare la cella durante la notte Ansa, 7 settembre 2010 All’una della notte tra sabato e domenica u.s. un detenuto italiano ha atteso le ore notturne per tentare di appiccare un incendio dall’interno della sua cella. Lo sventurato confidava di riuscire nell’intento, con il rischio concreto di estendere le fiamme a tutta la sezione, tanto da potersi compromettere l’incolumità della restante popolazione ivi detenuta. Tuttavia la Polizia Penitenziaria, con l’intervento di sole tre unità, a fatto si che il peggio non accadesse ed è riuscita a porre in sicurezza lo stesso detenuto oltre che l’intera sezione detentiva. La professionalità dei Poliziotti Penitenziari, unita al caso fortuito, ha fatto si che le conseguenza dell’insano gesto non giungessero ad estreme conseguenze ma ciò deve servire da monito per il futuro non solo della Casa di reclusione di San Gimignano (Si). La sicurezza delle carceri e nelle carceri passa soprattutto dalla Polizia Penitenziaria, che lamenta nel carcere di San Gimignano (SI) la carenza di 90 agenti a fronte dell’organico previsto di 233 unità e con un sovraffollamento del 40% dei soggetti ristretti, che dovrebbero, secondo quanto previsto, essere 235. Catania: grande richiesta di manufatti di creta realizzati dai detenuti del carcere di Giarre La Sicilia, 7 settembre 2010 Il problema delle carceri sovraffollate non risparmia la casa circondariale di Giarre. Per il direttore della struttura carceraria, Aldo Tiralongo, “nel reparto comune a media sicurezza le celle accolgono tre detenuti, a fronte di una capienza funzionale a una sola persona, al massimo due”. Ma quei detenuti riescono, comunque, a guardare al futuro e lo fanno, addirittura, incrementando la vendita di manufatti che vengono realizzati all’interno di laboratori dedicati alla lavorazione della creta. Sono stati 1010 i pezzi venduti ad associazioni e imprese solo nel 2009. “Chi lavora a questi progetti lo fa dietro richiesta e la richiesta, lo scorso anno, è aumentata sensibilmente - spiega Tiralongo - . Strutture come questa offrono ai detenuti un’opportunità spendibile, guardando nel contempo al loro recupero”. E per la prima volta, forse, l’attenzione delle Istituzioni nei confronti della casa circondariale di Giarre si concreta in un programma concertato tra la direzione della struttura e l’assessorato allo Sport, retto da Giuseppe Cavallaro. “Dopo lo spettacolo di poche settimane fa - annuncia l’assessore Cavallaro - e il risultato lusinghiero di questa iniziativa, abbiamo pensato a organizzare altri spettacoli. Una compagnia teatrale si occuperà di realizzare e portare dentro la struttura ancora un altro spettacolo. Non solo: la casa circondariale, o meglio quanti sono detenuti all’interno della struttura, saranno coinvolti in un vero e proprio programma ricreativo che prevede un torneo di calcio che dovrebbe concludersi con una partita giocata con la squadra del Giarre calcio. Anche questo significa guardare al recupero sociale dei detenuti”. “Ci siamo incontrati diverse volte con l’assessore Cavallaro - spiega Tiralongo - è la prima volta che concertiamo insieme con il Comune un programma di eventi”. Padova: operazione antidroga nella Casa Circondariale, ritrovato un etto e mezzo di cocaina Il Gazzettino, 7 settembre 2010 C’era un traffico di droga dietro le sbarre della casa circondariale di Strada Due Palazzi? È clamoroso. Gli agenti della polizia penitenziaria l’altra notte sono riusciti a sgominare un presunto spaccio nella casa circondariale. È stato recuperato un etto e mezzo di droga. Probabilmente cocaina. Diciassette ovuli di sostanza stupefacente che nessuno riesce ad immaginare come abbiano potuto superare i severi controlli che ci sono nella casa circondariale. Tre ovuli sono stati consegnati spontaneamente da un detenuto, scoperto con le mani nel sacco. Gli altri quattordici ovuli sono stati trovati all’interno di una cella dell’ex reparto d’isolamento, dove ci sono tre detenuti in attesa di giudizio. Le indagini della polizia penitenziaria sono coordinate dal pubblico ministero Roberto D’Angelo. Questa mattina il magistrato avvierà gli accertamenti per scoprire che gestiva lo spaccio in carcere. È la prima volta che si scopre un etto e mezzo di droga all’interno della casa circondariale Due Palazzi. Certo, qualcuno riesce a far passare attraverso le sbarre qualche dose di droga. Un po’ di sostanza stupefacente che viene occultata in qualche indumento, o nelle cose da mangiare che i familiari portano ai detenuti. Ma un simile quantitativo non si è neppure immaginato che potesse sfidare i controlli che ci sono all’ingresso del carcere. Il ritrovamento della droga è ancora coperto dal massimo riserbo. Tutto è accaduto domenica sera. Gli agenti della polizia penitenziaria avevano capito che c’era qualcosa che non andava. Insomma, avevano intuito che c’era della droga. Vistosi scoperto, un detenuto ha consegnato spontaneamente i tre ovuli che possedeva. È stato a questo punto che è scattato l’allarme. Com’era possibile che un recluso avesse tre ovuli di droga? E sono partiti gli accertamenti. La polizia ha controllato cella per cella. Tutta la casa circondariale è stata messa a soqquadro. E il resto della droga è stato recuperato in una delle celle dell’ex reparto di isolamento. Una cella dove sono detenuti un padovano, un siciliano e un marocchino. I quattordici ovuli di droga erano nascosti in una fessura del muro, vicino al telaio in ferro della finestra. Come si è detto, potrebbe trattarsi di cocaina. Di solito è la cocaina che viene nascosta in ovuli. Comunque, oggi le analisi riveleranno la natura dello stupefacente. Ma gli investigatori dovranno scoprire attraverso quale strada la droga è riuscita a superare le sbarre della casa circondariale. Milano: la Polizia penitenziaria arresta il secondo detenuto evaso dal carcere di Bollate Ansa, 7 settembre 2010 Pasquale Romeo, il secondo detenuto evaso lo scorso 11 agosto dal carcere di Bollate, e arrestato dal personale di polizia penitenziaria oggi in Largo Augusto (e non via in Senato) dopo un breve inseguimento, è stato riconosciuto da un tatuaggio. I tre agenti che lo hanno bloccato, nonostante avesse i capelli più lunghi e l’aspetto curato, hanno infatti notato il particolare disegno sul collo, sotto l’orecchio destro. Le indagini sull’evasione dal carcere di Bollate, avvenuta lo scorso 11 agosto, sono state condotte dal Nic, il Nucleo Investigativo Centrale della polizia penitenziaria, in collaborazione con la Squadra Mobile di Milano. Ora sono in corso accertamenti per individuare chi ha ‘copertò Romeo durante la sua fuga e gli ha fornito la carta di identità falsa che oggi gli è stata trovata addosso insieme a pochi spiccioli. Venezia: “Passi Sospesi”, il teatro in carcere diventa un video La Nuova Ferrara, 7 settembre 2010 L’Associazione Culturale ferrarese Balamòs sarà presente anche alla 67ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, domani, alle ore 17, nell”Area Incontri Digital Expo (Giardini Lido). In tale occasione verrà presentato il video di Marco Valentini, “Passi Sospesi”, un documentario relativo all’omonimo progetto teatrale che da anni Michalis Traitsis, sociologo, regista e pedagogo teatrale di Balamòs, conduce alle Case circondariali di Venezia. Il progetto teatrale Passi Sospesi è attivo dal 2006 ed è finanziato dal Comune di Venezia, U.O.C. Area Penitenziaria. La documentazione dell’ultimo video mostra una sintesi del percorso del laboratorio teatrale, illustrato da Michalis Traitsis e arricchito da alcune testimonianze dei collaboratori del progetto, Daniele Seragnoli, direttore del Centro Teatro Universitario di Ferrara, César Brie, attore e regista del Teatro De Los Andes, Enzo Vetrano e Stefano Randisi, attori e registi della Compagnia Diablogues, Irene Iannucci, direttore dell’ Istituto Penitenziario e dei detenuti. Mostra infine alcuni brani dello spettacolo Eldorado, che è stato presentato due volte all’interno dell’Istituto penitenziario, davanti ad un pubblico misto, composto da detenuti ed esterni: la prima volta dagli allievi del Centro Teatro Universitario di Ferrara e la partecipazione di due detenuti e la seconda da un gruppo misto, composto dagli allievi del Ctu e di tutti gli allievi detenuti dell’Istituto penitenziario. Questa seconda edizione di Eldorado è stato un lavoro particolare anche perché ha concluso il progetto. I due gruppi hanno lavorato separatamente per poi unirsi in una straordinaria occasione di incontro pedagogico, affrontando insieme attraverso uno studio teatrale il tema delle migrazioni odierne. Alla proiezione del video documentario seguirà una tavola rotonda dal titolo: “L’esperienza del progetto teatrale Passi Sospesi nella Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia”, con interventi di: Luigi Cuciniello (direttore organizzativo della Mostra del cinema), Sandro Simionato (vicesindaco di Venezia), Irene Iannucci (direttore Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore), Ferdinando Ciardiello (responsabile Area pedagogica della Casa Circondariale), Daniele Seragnoli (direttore del Ctu di Ferrara), Giuliano Scabia (scrittore, poeta, drammaturgo), Valeria Ottolenghi (vicepresidente dell’associazione nazionale critici di teatro), Donatella Massimilla (regista e drammaturga, Centro Europeo Teatro e Carcere), Vito Minoia (direttore rivista Teatri delle Diversità), Michalis Traitsis (responsabile del progetto Passi Sospesi). Alla tavola rotonda sarà presente anche un attore detenuto. L’ingresso alla proiezione e alla tavola rotonda è aperto a tutti (non è necessario avere il pass per la Mostra del Cinema). Info: 328 - 8120452. Mercoledì il documentario sarà presentato all’interno della Casa Circondariale e il 26 novembre a Ferrara nell’aula magna dell’Università. Immigrazione: il ministro Maroni si allinea a Sarkozy; espellere anche i comunitari Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2010 Espulsione anche per i comunitari. È la proposta sostenuta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni a Parigi, ospite del ministro francese dell’immigrazione Eric Besson, partecipando al seminario europeo sul tema dell’asilo e della lotta all’immigrazione irregolare. “L’espulsione e il rimpatrio devono essere previsti anche per i cittadini comunitari che non rispettano la direttiva europea 38 del 2004, che stabilisce a quali condizioni il cittadino comunitario può risiedere in un paese”. E l’annuncio non è altro che la proposta che il ministro porterà alla commissione europea per l’immigrazione. L’Unione europea - ha invitato il ministro - faccia “un passo ulteriore” in materia di immigrazione clandestina, dotandosi di “un sistema europeo uniforme da un punto di vista legislativo” che comprenda anche “le espulsioni e i rimpatri di cittadini comunitari” che non rispettano la legge. “Non è che il ministro dell’Interno è cattivo - aveva detto Maroni il giorno prima dell’annuncio - ma semplicemente che ci sono delle regole europee da rispettare, e se questo non accade gli Stati sono impotenti. Noi .chiederemo di poter espellere i cittadini comunitari che non rispettano queste regole per poterle applicare veramente”. Dopo la tanto criticata ondata di espulsioni dei Rom, targata Sarkozy, il nostro ministro dell’Interno si colloca sulla stessa linea. “Gli schematismi ideologici - ha subito commentato il presidente del veneto Luca Zaia - sono spesso il paravento per lavarsi le mani rispetto alla necessità di calarsi nella realtà per far rispettare a tutti le norme, nazionali ed europee. Il ministro Maroni ha giustamente portato alla ribalta un problema reale, nel segno di una politica che non vuole essere né punitiva né razzista, ma neppure miope o, peggio, cieca”. Anche il primo cittadino della capitale, Gianni Alemanno, presente al seminario, vede di buon proposito, e si dice d’accordo sulla proposta del ministro. “La direttiva europea è debole sul versante della legalità e della sicurezza - ha detto il sindaco Gianni Alemanno - l’impianto va bene ma bisogna rafforzarla in tre punti: introdurre l’allontanamento coatto in caso di reati gravi, l’obbligo di chiedere agli stati di origine i precedenti penali delle persone che arrivano creando una sorta di anagrafe europea e introdurre il divieto di ingresso in caso di allontanamento”. Precisando poi che bisognerà fare in modo di “obbligare il Paese di origine a trattenere” in patria connazionali espulsi da un altro Paese Ue. “I nomadi sono la più grande minoranza etnica dell’Unione europea. È assurdo che in Europa non ci sia una politica comune su questo tema”. Ma a storcere il naso, sul nuovo programma, sono le Acli, che denunciano le espulsioni dei comunitari perché “rischiano di contraddire i principi di quell’Europa solidale che traggono ispirazione dalle sue indelebili radici cristiane”. “La vera questione - spiegano le Acli - non riguarda l’espulsione del singolo comunitario che delinque, ma la limitazione per motivi di censo della libertà di movimento e di insediamento delle persone cui fa riferimento la stessa direttiva 38 del 2004 evocata dal Governo. Espellere i poveri equiparandoli ai delinquenti non può non contraddire i principi di giustizia e solidarietà sui quali si vorrebbe costruire l’Europa unita, in ossequio alle sue radici cristiane”. Le Acli dunque auspicano che prevalga, “nel giudizio della Commissione europea, anche in riferimento alle vicende francesi, la considerazione del principio di proporzionalità ribadito dalla direttiva 38 e contemplato dal Trattato europeo, secondo il quale in materia di libera circolazione delle persone non devono essere imposte condizioni eccessive per garantire l’esercizio della libertà di soggiorno, né sanzioni sproporzionate per il mancato rispetto di quelle formalità che fungono da ostacoli alla libera circolazione. Si tratta di capire - concludono le Acli - quale Europa vogliamo costruire per il futuro. L’Europa che torna a costruire frontiere e muri, oppure l’Europa dei cittadini liberi, nel rispetto della legalità e della giustizia”. Albania: italiano arrestato; domani incontro alla segreteria di Alfano per riportare l’uomo in Italia Il Tempo, 7 settembre 2010 Divide una cella con due detenuti albanesi, ma sottolinea che viene trattato bene da tutti, secondini e prigionieri. Michele Cusanno ha ricevuto ieri in carcere la visita della moglie e della madre Leda; il suocero è rimasto nella città costiera per fornirgli assistenza. Un’assistenza concreta e tangibile, perché il regime carcerario non prevede il vitto. Ovvero, il detenuto deve provvedere a se stesso acquistando cibo e acqua dallo spaccio, oppure deve intervenire la famiglia procurandogli per tempo i pasti dall’esterno. A Cusanno sono stati forniti viveri non deteriorabili e anche danaro per poter provvedere a se stesso. La madre e la moglie torneranno a Pescara giovedì, mentre il suocero rimarrà a Durazzo in attesa di buone notizie. Che potrebbero arrivare già domani, giorno in cui è in programma l’incontro presso la segreteria del ministro della Giustizia Alfano al quale prenderanno parte gli avvocati Angelo e Giovanni Scudieri. I legali faranno valere le ragioni del loro assistito affinché venga emesso un provvedimento di rimpatrio del quarantasettenne barista. In questo modo si eviterà che Cusanno possa essere consegnato alle autorità marocchine per scontare la condanna a cinque anni di reclusione. Ciò non gli eviterà, almeno nell’immediato, che per lui si spalanchino le porte del carcere a Pescara, ma faciliterà enormemente il lavoro di tutti, e degli avvocati in primo luogo, per passare al vaglio la sentenza passata in giudicato di cui si conosce solo la sintesi del dispositivo. Solo allora si potranno far emergere i motivi che possano consentire la riapertura del caso. Il pescarese si è sempre proclamato estraneo ai fatti e non ha mancato di dire e far sapere che lui di quella sentenza non solo non ha mai saputo nulla, ma anche di essere all’oscuro che nei suoi confronti fosse stato aperto un procedimento penale. I fatti contestati risalgono a cinque anni fa quando due conoscenti di Cusanno vennero fermati in Marocco in un’auto con i documenti irregolari: loro vennero processati e condannati, ma il pescarese non fu neppure sfiorato dall’inchiesta, tant’è che poté assistere gli altri due e poi tornare tranquillamente in Italia. Pochi giorni fa, mentre si recava in vacanza suocero a Durazzo per una battuta di caccia di 3 o 4 giorni, l’amara sorpresa arrivata col fermo da parte dei doganieri albanesi in esecuzione di una nota diramata dall’Interpol.