Giustizia: Cassazione; niente carcere ai malati gravi, anche se c'è possibilità di cura in detenzione Ansa, 5 settembre 2010 Ai malati gravi va evitata la prigione, anche se la patologia è compatibile con la detenzione e con le possibilità di cura fornite dalla struttura carceraria. La Corte di cassazione afferma la priorità della tutela della salute dei detenuti e invita i giudici a scegliere le misure alternative al carcere anche quando il tipo di reato non le contempla. Il caso esaminato dalla prima sezione penale di piazza Cavour riguardava un detenuto che aveva chiesto al tribunale del riesame di trascorrere la pena agli arresti domiciliari in attesa di essere sottoposto a un intervento per un tumore al cervello. Domanda che il tribunale della libertà aveva respinto basandosi su accertamenti medici che avevano affermato la possibilità di mantenere il regime carcerario almeno fino all’operazione. Responso negativo supportato anche dalla considerazione che per il tipo di reato commesso dal malato non è prevista la detenzione domiciliare. Diversa l’impostazione degli ermellini i quali specificano che la norma richiamata dal riesame lascia al giudice un margine di discrezionalità nella scelta della misura da applicare in caso di gravi infermità. Secondo la Cassazione la via da seguire è dunque quella del rispetto dei diritti umani e del divieto di mettere in atto trattamenti inumani e degradanti indicata anche dagli articoli 32 e 27 della Costituzione. Non c’è dubbio - spiega il supremo collegio - che anche in caso di patologie gravi il carcere, benché attrezzato per le cure, rappresenta una sofferenza aggiuntiva che può superare i limiti della umana tollerabilità. La Cassazione censura dunque la scelta, contraria al senso di umanità, del tribunale della libertà che non ha tenuto in debito conto i principi umanitari e costituzionali privando il ricorrente, condannato a una pena di soli cinque anni, della possibilità di trascorre in ambito familiare il tempo in attesa di un intervento da cui dipendeva la sua sopravvivenza. Giustizia: Sdr; applicare subito sentenza Cassazione su diritto salute detenuti Ansa, 5 settembre 2010 “L’immediata applicazione della sentenza della Corte di Cassazione che invita a non infliggere sofferenze aggiuntive ai detenuti, soprattutto a quelli in non facili condizioni di salute, consentirebbe a molti ristretti della Casa Circondariale di Cagliari ricoverati nel Centro Clinico e non solo di ottenere gli arresti domiciliari indipendentemente dalla compatibilità o meno. È evidente infatti che non è umano tenere in carcere un ammalato specialmente se deve sostenere una terapia antitumorale o ha gravi disturbi cardiovascolari”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” avendo appreso i contenuti della sentenza della prima Sezione penale della Suprema Corte che non solo riafferma il diritto alla salute dei cittadini privati della libertà ma sottolinea come si infligge una “sofferenza aggiuntiva” ogni qualvolta la pena è eseguita “nei confronti di soggetto non in perfette condizioni di salute”. “Occorre insomma - sottolinea Caligaris - uscire dall’equivoco del concetto di tollerabile per affermare quello della palese incongruità tra lo stato di malattia e la detenzione in un Istituto Penitenziario le cui caratteristiche strutturali, igienico-sanitarie e assistenziali non consentono di vivere il periodo di sofferenza con la prospettiva della guarigione”. “La nuova sentenza - conclude la presidente di Sdr - è stata emessa in un periodo particolarmente difficile per i detenuti e gli operatori penitenziari. Gli uni e gli altri accomunati per molti versi da una condizione insostenibile. L’auspicio è che anche questa norma non venga minimizzata e neutralizzata. Spetta ora ai Magistrati e ai Giudici accogliere la sentenza finalizzata all’umanizzazione della detenzione secondo quanto stabilito dagli articoli 32 e 27 della Costituzione”. Giustizia: Sappe; militari a presidio strutture, per stato tensione crescente Adnkronos, 5 settembre 2010 Deve fare seriamente il fatto che la presenza dell’ordigno poi ritrovato sul tetto di una unità mobile della Polizia parcheggiata al terminal traghetti di Genova avesse chiari riferimenti al sovraffollamento penitenziario. Riteniamo che ciò sia sintomatico della crescente tensione nel sistema carcere del Paese. Nonostante non si siano registrati per fortuna situazioni di pericolo per persone e cose, riteniamo sia il caso di tenere alta l’attenzione, intensificando le misure di sicurezza, al fine di garantire l’incolumità di quanti operano all’interno del carcere, ma anche dei cittadini, anche avvalendosi dell’impiego di militari per il presidio esterno delle strutture carcerarie. Lo scrive in una nota Roberto Martinelli, segretario aggiunto del Sappe, che chiede la presenza di militari a presidio esterno delle strutture carcerarie. Martinelli sottolinea come le manifestazioni di intolleranza verso l’istituzione penitenziaria sono sempre più frequenti. La situazione è sempre più critica per il sovraffollamento, con quasi 69 mila detenuti presenti. A pagare lo scotto di questa situazione, sottolinea il sindacalista, con condizioni di lavoro stressanti e pericolose, sono soprattutto gli agenti di polizia penitenziaria che in carcere lavorano nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24. Gli stessi devono garantire, oltre a quella interna, anche la sicurezza esterna delle strutture carcerarie pur con carenze di organico evidenti: in Italia mancano 6 mila agenti. Una prima soluzione urgente - conclude - potrebbe essere quella di impiegare i militari per la vigilanza esterna degli istituti penitenziari, a cominciare proprio da quello genovese di Marassi. Lettere: detenuto malato ottiene ricovero in ospedale, ma medici lo rimandano in carcere di Adriana Tocco (Garante dei diritti dei detenuti della Campania) Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2010 La signora Loredana Ciaramella, moglie del detenuto Giuseppe Mazzone, recluso nella Casa Circondariale di Poggioreale (Napoli) ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo aiuto per risolvere la gravissima situazione in cui versa il marito. Già nel mese di luglio scorso avevo affrontato la situazione del Mazzone, che da ben otto mesi, era costretto a portare il catetere per un problema alle vie urinarie. La denuncia pubblica, oltre all’impegno del direttore regionale del Prap dott. Tommaso Contestabile e del direttore del carcere di Poggioreale dott. Cosimo Giordano, aveva sortito l’effetto di far trasferire il detenuto presso l’Ospedale Cardarelli per affrontare la grave patologia. Quale terribile delusione per tutti familiari ed istituzioni, quando le autorità sanitarie del Cardarelli, dopo pochi giorni, hanno rimandato il Mazzone a Poggioreale, dichiarando di non potersi assumere la responsabilità dell’intervento e di consigliere ed inviare il detenuto all’ospedale di Arezzo, dove aveva già sostenuto un primo intervento per la stessa patologia. La moglie del Mazzone è disperata perché, si chiede, se per portare il marito da Poggiorale al Cardarelli, ci sono voluti otto mesi, quanto tempo ci vorrà per trasferirlo ad Arezzo. Nel frattempo Mazzone è ritornato in cella trascinandosi dietro il catetere e la sacca dell’urina, tra il fastidio ed i problemi igienici che una tale situazione crea a lui stesso e ai suoi compagni di sventura. A tal riguardo la Garante dei detenuti, ha coinvolto ancora una volta, altre istituzioni del Consiglio regionale della Campania, tra cui il Presidente della IV commissione speciale Donato Pica, per spingere l’amministrazione penitenziaria e il sistema sanitario, ad una veloce risoluzione della problematica in cui versa da sin troppo tempo il Mazzone, che tuttavia è uno dei tanti gravissimi casi campani. Abbiamo bisogno della massima sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso il prezioso contributo degli organi d’informazione. Ed è per questo che la Sig.ra Mazzone insieme ad altri familiari di detenuti che versano in condizioni di gravi problematiche sanitarie, terranno nei prossimi giorni un incontro con la stampa. Lombardia: detenuti di Varese, Busto Arsizio, Como, Lecco e Sondrio senza magistrato Varese News, 5 settembre 2010 A Ferragosto le carceri di tutta Italia erano state visitate da parlamentari dell’opposizione e anche a Varese Daniele Marantelli del Pd ha denunciato una situazione pesante: i Miogni sono stati progettati nell’800 per 90 detenuti al massimo. Oggi ne ospitano 117. E l’assenza di un magistrato di sorveglianza a Varese non aiuta a migliorare la situazione. Il magistrato di sorveglianza ha il compito di vigilare sull’esecuzione della pena nel rispetto dei diritti dei detenuti. Suo il compito di assegnare permessi premio, di concedere la semilibertà, la possibilità di lavorare al di fuori del carcere e altre misure alternative alla detenzione che potrebbero aiutare i detenuti nel reinserimento sociale. Una figura importante, soprattutto a Varese, dove i detenuti non hanno quasi mai pene superiori a tre anni. Spesso sono ragazzi molto giovani, condannati per piccolo spaccio di droghe leggere. Si tratta quindi di persone che con le attività alternative potrebbero reinserirsi abbastanza tranquillamente. Ma da metà luglio non c’è nessun magistrato che possa autorizzare queste misure. E la situazione di Varese si ripercuote su altre quattro carceri, Busto Arsizio, Como, Lecco e Sondrio, che dipendono dal tribunale di Piazza Cacciatori delle Alpi per il magistrato di sorveglianza. “A metà giugno è stata trasferita la dottoressa Rosella Ferrazzi - dicono dall’Ufficio di Sorveglianza di Varese - che ora fa parte della magistratura giudicante qui a Varese. Meno di un mese dopo, la dottoressa Francesca Ghezzi è entrata in maternità. Da allora, ci dobbiamo arrangiare con i magistrati applicati di Pavia”. Questo significa che alcuni magistrati pavesi fanno a turno per rispondere alle richieste più urgenti tra quelle che arrivano all’ufficio di Varese. I fascicoli con richieste improrogabili vengono mandati via fax. Per gli altri, quando si raggiunge un numero sufficiente di richieste, un addetto del tribunale di Varese li carica in auto e li porta personalmente a Pavia. Il tutto nell’era di internet, ed è facile immaginare di quanto si allunghino i tempi con questa procedura. Le richieste, una decina al giorno, si accumulano sulle scrivanie e i detenuti che si sono impegnati di più per dimostrare di meritarsi qualcosa di meglio di una cella piccola e sovraffollata non ottengono risposta. “Facciamo del nostro meglio - dicono ancora dall’Ufficio di Sorveglianza - e anche i magistrati di Pavia sono molto importanti. Ma non è certo come avere qui qualcuno che lavori a tempo pieno”. Intanto, nelle carceri di mezza Lombardia i detenuti aspettano di vedere rispettati i loro diritti. Manconi: illegalità sempre più diffusa nelle carceri Da metà luglio manca il magistrato di sorveglianza a Varese. Questo significa che i detenuti di mezza Lombardia (da Varese dipendono anche Busto Arsizio, Como, Lecco e Sondrio) fanno ancora più fatica ad ottenere permessi premio, semilibertà o ad avere accesso a misure alternative come il lavoro fuori dal carcere. Interviene sull’argomento il senatore Pd Luigi Manconi, presidente di “A buon diritto”, associazione che opera per la tutela dei diritti anche all’interno degli istituti di pena, e che i varesini conoscono per l’impegno profuso per fare luce sulla morte di Giuseppe Uva, il giovane varesino morto nel reparto psichiatrico del Circolo dopo una notte passata nella Caserma dei Carabinieri in via Saffi. “L’assenza del controllo dei magistrati di sorveglianza - dice Manconi - accentua la situazione di illegalità in cui si trovano le carceri italiane, lo stesso ministro della Giustizia Alfano lo ha ammesso. Il ruolo del magistrato di sorveglianza, quindi, è delicatissimo e fondamentale”. Ma la situazione di estremo disagio in cui si trova tutto il sistema della giustizia in Italia si riflette anche su questa figura. “Negli ultimi cinque anni - dice ancora il senatore - i detenuti sono cresciuti di 20mila unità, ma non c’è stato un proporzionale aumento dei magistrati di sorveglianza. Sono quindi rimasti sotto organico, con tutti i problemi che ne conseguono: gli arretrati si accumulano, e i carcerati non hanno un momento di respiro”. E questo, di fatto, annulla il concetto moderno di carcere, in cui il periodo di detenzione dovrebbe essere un momento in cui si rieduca la persona e la si aiuta a reinserirsi in società. Emilia Romagna: Pollastri (Pdl); serve Garante regionale dei diritti dei detenuti Dire, 5 settembre 2010 Procedere subito alla nomina del Garante regionale dei detenuti. Lo chiede Andrea Pollastri, consigliere regionale del Pdl, che ha preso carta e penna per scrivere al presidente dell’Assemblea Legislativa Matteo Richetti chiedendogli di procedere a calendarizzare questa nomina. Nella scorsa legislatura, infatti, una risoluzione approvata dall’Assemblea Legislativa aveva istituito questa figura prevedendo che proprio l’Assemblea la designasse. Durante la visita al carcere di Piacenza lo scorso ferragosto, informa una nota, Pollastri ha potuto rendersi direttamente conto delle condizioni dei detenuti delle “Novate”. In quell’occasione Pollastri aveva sottolineato “la necessità di avere un garante come tramite istituzionale tra loro e la Regione” che “non ha una competenza diretta ma si occupa soprattutto di sanità ed integrazione sociale”. Ad elezioni avvenute, prosegue l’azzurro, “è giunto il momento che l’Assemblea legislativa mantenga l’impegno espresso con la risoluzione e nomini, così come peraltro han già fatto numerosi Comuni emiliano-romagnoli, tra cui la stessa Piacenza, il Garante”. Al di là “delle polemiche sulla Giustizia- conclude- occuparsi della salute e del benessere dei detenuti è un dovere, tanto più da parte della Regione che può agire liberamente in questi campi”. Sicilia: Osapp; emergenza carceri, Lombardo convochi sindacati polizia penitenziaria Il Velino, 5 settembre 2010 “Continuiamo a segnalare che di carcere si parla, ma lo stato delle cose resta immutato. In ultimo l’onorevole Dino Fiorenza, confederato all’Ars, che segnala il disastro delle carceri siciliane. Altresì oggi è stata resa pubblica, dal Garante, una nota dei detenuti di Agrigento che parlano di ‘uno squarcio di vita offerto dal buio che nessuno guarda”. Noi dell’Osapp facciamo appello al Presidente della Regione affinché si parli meno e si agisca di più”. È quanto dichiara Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp. “Tante chiacchiere ma il carcere di Gela non apre da 2 anni e sembra che non se ne parlerà fino a tutto il primo semestre del 2011. Chiediamo a Raffaele Lombardo di convocarci tutti attorno allo stesso tavolo per studiare assieme ai componenti del Consiglio Regionale eventuali proposte al Governo Nazionale. A nulla vale - continua Nicotra - che ogni giorno politici di ogni genere vanno in giro per le carceri per poi commentare agli organi di stampa, se poi non fanno quanto in loro potere per modificare lo stato delle cose. Intanto il Ministro della Giustizia - sottolinea il sindacalista - tra le sue priorità, nonostante le parole, non sembra avere dimostrato che ci siano i penitenziari italiani e soprattutto le condizioni all’interno delle carceri ma anche della Polizia Penitenziaria, che si è ridotta ormai al minimo storico; altrimenti non si spiega come mai negli altri Corpi di Polizia che non è stata dichiarata emergenza vengono banditi nuovi concorsi e nella Polizia Penitenziaria aspettiamo da quasi 3 anni i 2000 nuovi agenti. Le scuole del Corpo - conclude Nicotra - sono vuote, non ci sono reclute: eppure i concorrenti sono stati esaminati, visitati… ma il Ministro lo sa?”. Bologna: detenuto morto; la Procura intende chiedere l’archiviazione del caso Ansa, 5 settembre 2010 La procura di Bologna ha intenzione di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta contro ignoti aperta dal pm Alessandra Serra per la morte di Pietro Folgieri, detenuto nel carcere Dozza di Bologna. Ma il suo difensore di fiducia, l’avvocato Michele Ferraro del foro di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), chiederà di avere la cartella clinica di Folgieri per farla vedere a un medico. L’uomo aveva 44 anni, era originario di Maddaloni (Caserta) ed era in carcere con le accuse di associazione a delinquere di tipo camorristico finalizzata alla ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi ed esplosivi, alla strage, al tentato omicidio. Il 5 marzo 2009 piazzò a Maddaloni un ordigno artigianale contro Lucia Picillo, vedova del boss Angelo Amoroso, che poi non esplose. A quel punto, probabilmente per paura di ritorsioni, si rifugiò da parenti nella provincia di Reggio Emilia dove a fine marzo 2009 fu fermato. E dopo una breve parentesi nel carcere di Reggio Emilia, fu trasferito alla Dozza. Il decesso è avvenuto lunedì sera dopo che aveva avvertito un dolore a un braccio. Come ha accertato l’autopsia disposta dal magistrato, Folgieri (che soffriva di ipertensione) è morto per un collasso cardiocircolatorio dovuto a una severa coronaropatia (il restringimento o ostruzione dei vasi che portano sangue al cuore) per la presenza di numerose placche. L’uomo aveva chiesto di essere visitato e, accompagnato in infermeria, gli era stata misurata la pressione. Subito dopo si era accasciato nel corridoio ed era intervenuto il medico (in servizio al piano di sotto) e un’ambulanza del 118 ma inutilmente. Da quanto risulta all’avvocato Ferraro, Folgieri non aveva gravi problemi di salute. L’ultima volta l’aveva visto ad aprile nel processo di primo grado, in cui era stato condannato a cinque anni. Intanto i familiari del detenuto, che hanno serie difficoltà economiche, hanno chiesto ai servizi sociali di Maddaloni un aiuto per il trasporto della salma nel comune casertano e per i funerali. L’avvocato: chiederò cartella clinica “Sicuramente farò richiesta di avere la cartella clinica del mio assistito, per capire se avesse o meno dei pregressi disturbi cardiaci e per verificare la tempestività dell’intervento di lunedì“. A parlare è l’avvocato Michele Ferraro di Santa Maria Capua a Vetere (Caserta), legale di Pietro Folgieri, il detenuto di 44 anni morto per un infarto lunedì sera all’interno del carcere della Dozza di Bologna. Il legale spiega che la famiglia di Folgieri ha gravi problemi economici (in questo momento sta chiedendo aiuto per racimolare i soldi per effettuare i funerali dell’uomo). Ferraro parlerà con loro nei prossimi giorni e, anche se la questione economica potrebbe essere un ostacolo non da poco, non esclude che in un secondo momento possa esserci da parte della famiglia la volontà di capire meglio la dinamica del decesso del loro familiare. “A me non risulta che Folgieri fosse malato di cuore”, dice il legale, che l’ultima volta lo ha incontrato ad aprile, in occasione di un’udienza del processo. L’autopsia, che ha evidenziato una ‘grave coronaropatià in presenza anche di placche, farebbe presupporre una malattia ad uno stato avanzato. “È proprio per questo che voglio chiedere la cartella clinica, per verificare lo stato di salute di Folgieri, se avesse ricevuto le cure opportune e la tempestività della visita di lunedì- dice il legale- quando l’avrò in mano la farò vedere a un medico di fiducia e poi vedremo il da farsi. Intanto parlerò anche con la famiglia per capire che intenzioni hanno”. Per ottenere la documentazione clinica, Ferraro avanzerà nei prossimi giorni una richiesta via posta, poi più avanti verrà anche a Bologna. Lecce: sovraffollamento; 20 detenuti chiedono risarcimento per trattamento disumano di Stefano Lopetrone Gazzetta del Mezzogiorno, 5 settembre 2010 Il tema del sovraffollamento delle carceri approda nei corridoi del Tribunale di Sorveglianza di Lecce. Un avvocato leccese, Alessandro Stomeo, ha presentato 20 ricorsi in rappresentanza di altrettanti detenuti (italiani e stranieri) contro l’amministrazione penitenziaria per trattamento disumano e degradante registrato nel carcere leccese di Borgo San Nicola: vengono chiesti indennizzi nell’ordine dei 600 euro per ogni mese di reclusione a titolo del risarcimento del danno morale e fisico subito. Alla base dell’azione legale un precedente di risarcimento riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ad un detenuto slavo (sentenza 16 luglio 2009), che puntava tutto sull’insufficienza dello “spazio vitale” nelle celle detentive in un carcere del Nord, dove furono registrati 3 metri quadrati a persona. Il Comitato permanente sulla tortura invece indica almeno 7 metri quadrati come soglia minima per ogni persona: a Lecce è stato constatato uno spazio calpestabile di appena 1.5 metri quadrati. Il che significa girare per la cella solo quando gli altri due compagni sono stesi nel letto. Un’alternanza che è un insulto per un Paese civile e democratico. A Borgo San Nicola sono ormai ospitati 1.488 detenuti, quando non dovrebbe contenerne più di 650. I carcerati sono rinchiusi in tre dentro celle da 11.5 metri quadrati; dormono in letti a castello (il materasso più in alto è a 50 centimetri dal soffitto); in cella c’è una sola finestra ed un bagno cieco senza acqua calda; il riscaldamento funziona d’inverno 1 ora al giorno; le grate sono chiuse per 18 ore al giorno; carta igienica, shampoo, bagno schiuma, detersivi solo per chi può comprarli nello spaccio interno. Tutto ciò in violazione della normativa italiana che regola il sistema penitenziario, della Costituzione (secondo la quale la limitazione della libertà dovrebbe avere come obiettivo la riabilitazione dell’uomo e il suo reinserimento in società) e gli orientamenti giuridici comunitari. Innovativo il ricorso al Tribunale di Sorveglianza, che prevede un contraddittorio con il ministero della Giustizia ed una sentenza impugnabile. L’idea dell’avvocato Stomeo è di investire il Tribunale di Sorveglianza di una giurisdizione esclusiva in materia di diritti sulla detenzione. Secondo i ricorrenti l’unico giudice deputato al controllo della lesioni di tali diritti è il magistrato di sorveglianza, sulla scorta di un procedimento che garantisca adeguati margini di tutela. Dunque con fissazione di apposita udienza, intervento delle parti e decisione con provvedimento impugnabile. Il ricorso è stato depositato a metà luglio ed è ora al vaglio del Tribunale di Sorveglianza, che potrebbe fissare l’udienza nelle prossime settimane. Gela (Cl): Osapp; il nuovo carcere aprirà forse a giugno 2011, bisogna intervenire La Sicilia, 5 settembre 2010 “Noi dell’Osapp facciamo appello al Presidente della Regione affinché si parli meno e si agisca di più per la situazione delle carceri in Sicilia”: è quanto dichiara Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp. In provincia di Caltanissetta si registra il sovraffollamento sia nella casa di reclusione di Caltanissetta, che in quella di San Cataldo. “Tante chiacchiere ma il carcere di Gela non apre da 2 anni e sembra che non se ne parlerà fino a tutto il primo semestre del 2011. Chiediamo a Raffaele Lombardo di convocarci tutti attorno allo stesso tavolo per studiare assieme ai componenti del Consiglio Regionale eventuali proposte al Governo Nazionale. A nulla vale - continua Nicotra - che ogni giorno politici di ogni genere vanno in giro per le carceri per poi commentare agli organi di stampa, se poi non fanno quanto in loro potere per modificare lo stato delle cose. Intanto il Ministro della Giustizia - sottolinea il sindacalista - tra le sue priorità, nonostante le parole, non sembra avere dimostrato che ci siano i penitenziari italiani e soprattutto le condizioni all’interno delle carceri ma anche della Polizia Penitenziaria, che si è ridotta ormai al minimo storico; altrimenti non si spiega come mai negli altri Corpi di Polizia che non è stata dichiarata emergenza vengono banditi nuovi concorsi e nella Polizia Penitenziaria aspettiamo da quasi 3 anni i 2000 nuovi agenti. Le scuole del Corpo - conclude Nicotra - sono vuote, non ci sono reclute: eppure i concorrenti sono stati esaminati, visitati......ma il Ministro lo sa?”. Messina: detenuta gravemente ammalata; la sorella scrive al ministro Alfano Ansa, 5 settembre 2010 Caterina Gaglioti, sorella di Mariangela, di 41 anni, detenuta nel carcere di Gazzi, a Messina, dopo essere stata arrestata l’8 giugno scorso nell’operazione “Cosa mia” della Dda di Reggio Calabria sui presunti illeciti negli appalti dell’A3, ha scritto una lettera aperta al Ministro della Giustizia protestando per il fatto che la congiunta non è stata trasferita in ospedale malgrado un provvedimento in tal senso emesso il 26 agosto scorso dal gip di Reggio Calabria, Vincenzo Pedone. “Mariangela, madre di quattro bambini - scrive Caterina Gaglioti nella lettera al Ministro Alfano - è cardiopatica e talassemica, patologie per le quali è stata ricoverata in passato negli Ospedali riuniti di Reggio Calabria”. Nell’ordinanza emessa dal gip Pedone, che Caterina Gaglioti allega alla lettera ad Alfano, si afferma che la cardiopatia ischemica post-infartuale e le altre patologie di cui è affetta Caterina Gaglioti, nonché le specifiche e pressanti necessità diagnostiche e terapeutiche, richiedono prudentemente, pur in costanza del regime cautelare in atto applicato, che Mariangela Gaglioti sia temporaneamente ricoverata in una struttura cardiologica pubblica esterna al circuito carcerario, in considerazione del fatto che le dette esigenze diagnostiche e terapeutiche non possono essere soddisfatte in ambito penitenziario. “Signor Ministro - scrive Caterina Gaglioti nella lettera ad Alfano - non voglio perdere l’unica sorella che ho ed i miei nipoti la loro mamma. La prego di intervenire al più presto perché non so quanto mia sorella potrà resistere nel carcere di Gazzi. Le autorità del carcere possono non prendere in considerazione le decisioni di un giudice? Perché tutto questo accanimento nei confronti di Mariangela?”. Asti: Osapp; sventato tentativo evasione di massa dalla sezione di “alta sicurezza” Adnkronos, 5 settembre 2010 Pressoché ogni giorno per i 39.800 poliziotti penitenziari, domandarsi da quale dei 230 istituti penitenziari, per adulti e per minori sul territorio nazionale, arriverà la notizia dell’ennesima aggressione, di una rissa o di un suicidio, ovvero di una evasione che, si spera, sia stata solo tentata e non portata a termine, equivale ad una tensione da roulette russa . Lo afferma il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) Leo Beneduci che aggiunge come in questo caso la notizia proviene da Asti. Lo scorso primo settembre - prosegue il leader dell’Osapp - è stato sventato sul nascere un tentativo di evasione che poteva essere di massa e con conseguenze inquietanti, visto che durante una perquisizione nella sezione ad Alta Sicurezza la polizia penitenziaria ha rinvenuto corde di quasi 5 metri di lunghezza, ricavate da strisce di lenzuola intrecciate. Dalla sezione in questione, peraltro - indica ancora il sindacalista - in cui sono ristretti detenuti classificati AS3 e con cognomi significativi quali Di Lauro, Strangio, Mancuso, Cordì, Schiavone e Tripodo, già nello scorso agosto era stato sventato un altro tentativo di evasione. Conclude, quindi, con amarezza Beneduci: Non sappiamo fino a quando, nelle carceri, si potranno conseguire così importanti risultati nell’interesse della Collettività, ma ogni giorno che trascorre nelle attuali condizioni di disagio e di abbandono, quanto di buono si ottiene dagli istituti di pena, è sempre meno merito della politica e dell’Amministrazione penitenziaria e sempre più frutto del sacrificio anche personale delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria. Torino: Osapp; suicidio sventato, riusciamo a salvarne 3 su 4, ma non abbiamo mezzi Apcom, 5 settembre 2010 Un detenuto italiano ha tentato il suicidio tramite impiccagione nell’istituto penitenziario di Torino Lorusso-Cotugno: all’una di questa notte il personale di Polizia penitenziaria che opera nella sezione detentiva B dell’Istituto ha sventato l’ennesimo atto disperato di un detenuto, che ha tentato di impiccarsi con i lacci della tuta che indossava. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che ricorda come nel carcere torinese, a fronte di 1.092 posti regolamentari, il 31 agosto scorso erano presenti oltre 1.630 detenuti mentre 305 sono gli agenti di polizia penitenziaria che mancano dagli organici. È un italiano di 42 anni il detenuto che, la scorsa notte nel carcere di Torino, ha tentato di impiccarsi alle sbarre della sua cella. Originario di Napoli l’uomo, arrestato nell’ottobre del 1998 e condannato a 15 anni per omicidio, strage e violazione delle leggi sulle armi, si trova ora in una camera di sicurezza del Casellario, piantonato a vista dalla polizia penitenziaria. Solo grazie al tempestivo intervento dei pochi agenti presenti in quel momento nell’istituto torinese - sottolinea il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - è stato possibile salvare il detenuto, ma non sappiamo fino a che punto riusciremo a farcela. Per un detenuto che purtroppo muore - aggiunge il sindacalista - almeno tre riusciamo a salvarli, ma non abbiamo uomini e mezzi. Una situazione sempre più grave soprattutto in Piemonte, ricorda, dove lo scorso 23 agosto l’Osapp ha indetto una manifestazione per segnalare ai politici che vanno in carcere a Ferragosto, ma poi se ne dimenticano per tutto il resto dell’anno, che non ce la facciamo più. Trani: Osapp; detenuto tenta suicidio, salvato da un agente Ansa, 5 settembre 2010 Ha tentato il suicidio, nell’infermeria del penitenziario di Trani dove si trovava da solo, un detenuto quarantenne che è stato salvato dall’intervento di un agente della polizia penitenziaria in servizio. L’uomo era recluso da circa una settimana per reati legati alla tossicodipendenza e pare avesse deciso di farla finita perché erano state respinte richieste di attenuazione della reclusione. Lo rende noto il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Mastrulli, per il quale a Trani sarebbero ristretti alla data odierna circa 260 detenuti in un solo plesso detentivo contro una forza generale di ricettività di 220 detenuti. A quanto rende noto Mastrulli, l’uomo aveva già legato il lenzuolo della propria branda alla finestra della cella e stava per impiccarsi quando è intervenuto l’agente di servizio che lo ha soccorso. Da tempo l’Osapp denuncia, ricorda Mastrulli, il degrado nelle carceri, la scarsa attenzione per i reclusi dell’assessorato regionale alla Sanità, la carenza cronica di personale di polizia penitenziaria, tanto che solo dieci persone al massimo risulterebbero operativamente in servizio mediamente nelle ore notturne. Mastrulli ricorda inoltre che Osapp continua a richiedere l’immediato rientro da tutti i servizi non istituzionali tra cui Tribunali, Procure, Scorte, Uffici epe, delle unità distaccati da tempo in ambito regionale in modo rinforzare gli organici in sede. Enna: agenti intossicati per cibo avariato, Alfano invierà un’ispezione al carcere La Sicilia, 5 settembre 2010 “Il ministro Angelino Alfano ha assicurato un interesse per l’episodio con la presenza di alcuni dirigenti del ministero nel carcere di Enna per una verifica dopo la vicenda del cibo avariato che ha interessato poliziotti penitenziari”. Queste le parole del consigliere provinciale del Pdl, Giuseppe Regalbuto che ha sentito per telefono il ministro e i suoi collaboratori sul fatto che dodici poliziotti penitenziari avevano accusato malori dopo aver consumato il consueto pranzo nel carcere di Enna, e sono stati dispensati dal servizio a causa di intossicazione alimentare. A darne notizia era stato alcuni giorni fa segretario nazionale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Filippo Garofalo, che aveva riferito che su dodici agenti a distanza di 24 ore soltanto due agenti sarebbero tornati in servizio mentre le altre 10 unità erano rimasti a casa. Il cibo avariato era uno spezzatino che, secondo Garofalo, avrebbe potuto fare altre “vittime” rimarcando che “la pietanza era stata conservata anche per la cena. Solo l’accortezza della cuoca ha evitato il peggio, decidendo di buttarlo per il cattivo odore che sprigionava. Non è la prima volta che accadono fatti simili. Infatti già nei mesi scorsi era accaduta la stessa cosa, solo grazie all’immediato intervento improvviso della commissione mensa si è evitata la somministrazione del cibo avariato”. Regalbuto aggiunge “mi sono fatto promotore di questa iniziativa anche perché la politica deve essere a supporto di queste problematiche”. Il giorno precedente di ferragosto avevano visitato il carcere di Enna, una delegazione con alcuni onorevoli del parlamento italiano, tanto che il dubbio di Filippo Garofalo era se “avevano visitato anche la mensa agenti o si fossero limitati a tutelare solo i detenuti come se fosse l’unico problema esistente nel mondo penitenziario”. Quindi è stata inoltrata una richiesta al ministro Alfano per un’ispezione e di individuare i responsabili con le relative conseguenze. Francavilla (Br): assolto nigeriano arrestato a seguito falsa accusa consigliere comunale di Gianni Cannalire Quotidiano di Puglia, 5 settembre 2010 Friday Osas, l’immigrato nigeriano 24enne, accusato di aver aggredito il 23 agosto scorso con un coltello il consigliere comunale Benedetto Proto, è stato ieri mattina assolto con formula piena nel corso del giudizio con rito abbreviato chiesto dal legale d’ufficio, Giulio Marchetti. Subito dopo la sentenza l’esponente del Pdl si è spostato presso l’ospedale di Francavilla dove presta servizio il sindaco Vincenzo della Corte per consegnare al capo dell’amministrazione la lettera di dimissione da consigliere. La bufera politica si chiuderebbe con quest’ultimo atto, ma se ne potrebbe aprire un’altra a livello giudiziario. Il pm Giuseppe De Nozza ha chiesto al giudice, la dottoressa Stefania De Angelis, la trasmissione degli atti alla Procura per accertare la posizione del consigliere comunale. Proto rischia di finire ora sotto processo per il reato di falsità. “Giustizia è stata fatta” - ha esordito felice l’avvocato Marchetti, francavillese, impegnato in attività di volontariato e membro del direttivo nazionale dell’Aifo. A fine udienza il pm De Nozza si è rivolto all’interprete chiedendo di porre al nigeriano “le scuse a nome della comunità”. Il legale nella sua difesa ha parlato di “ingiusta carcerazione” da parte del suo assistito. “Una persona che fugge perché impaurito e spaventato - ha detto Marchetti - non commette per questo alcun reato di resistenza a pubblico ufficiale. In aula la signora Latartara ha dichiarato quanto riferito già agli organi d’informazione. Quel giorno ha seguito l’evolversi dei fatti. Il mio assistito non aveva addosso alcun coltello, né Friday poteva capire cosa stesse dicendo il consigliere. Venuta meno l’ipotesi del dolo e non essendo stata opposta alcuna resistenza, non doveva essere arrestato”. Il pm De Nozza ha smontato nell’udienza ad uno ad uno i cinque capi d’accusa a carico del nigeriano: resistenza a pubblico ufficiale, minacce aggravate dall’uso di armi, lesioni a pubblico ufficiale, porto d’armi illegittimo e rifiuto di fornire le proprie generalità a pubblico ufficiale. Ha poi lo stesso pm stigmatizzato il comportamento del consigliere comunale lanciatosi all’inseguimento insieme ai vigili di “questo povero disgraziato”. Il nigeriano fu bloccato dopo un lungo inseguimento nelle vie del centro storico, nei pressi della scuola elementare. La mattina successiva il gip confermò la misura cautelare rinviandolo a giudizio. Decisiva è stata la testimonianza della panettiera, sempre convinta dell’innocenza del giovane. Proto, stando alla sua versione, avrebbe chiesto quel giorno al nigeriano di allontanarsi e di non molestare la gente con la richiesta di soldi. Ha sostenuto di essere stato minacciato dal mendicante con un coltello. La commerciante ha smentito questa sua versione dei fatti. Ha deciso di raccontare la verità dopo due notti passate in bianco, pensando a questo giovane immigrato detenuto ingiustamente. La giustizia ha ristabilito ora la verità assolvendo da ogni accusa Friday. Padova: alla Casa di Reclusione, spettacolo multimediale per ricordare Stefano Cucchi Dire, 5 settembre 2010 Stefano Cucchi al di là del caso giudiziario, delle polemiche, delle inchieste. Come raccontare la sua storia prima, e non solo durante, la detenzione e il controverso decesso? Attraverso la voce di chi gli ha voluto bene, dalla sorella al nipotino di dieci anni. Attraverso uno spettacolo multimediale che unisce poesia, testimonianze video, teatro. È questo l’esperimento dell’attore Ugo De Vita, che ha all’attivo molte altre esperienze di teatro civile, dal caso Welby all’uranio impoverito passando per Falcone. La prima nazionale di “In morte segreta. Conoscenza di Stefano” sarà allestita in una cornice d’eccezione, l’auditorium della casa di reclusione Due Palazzi di Padova, il 18 settembre con ingresso dalle 9.45. Le seguenti date saranno a Roma, Milano e Firenze. “Attraverso le parole dei genitori di Stefano, della sorella Ilaria e di chi più gli è stato vicino cerco di raccontare questo giovane che un giorno è uscito di casa per portare fuori il cane e vedersi con un amico e non è mai più rientrato. Arrestato e processato è stato riconsegnato alla famiglia cinque giorni dopo cadavere”, spiega De Vita. Il quale, al di là del caso giudiziario, sente l’esigenza e l’urgenza di raccontare perché “è importante che questa non rimanga una morte segreta”. Non c’è polemica tra le pieghe dello spettacolo - come annuncia ancora l’attore - perché “le responsabilità devono ancora essere chiarite e non è questo che volevo raccontare. Mi interessa più che altro conoscere e far conoscere Stefano, un ragazzo di cui tutti conosciamo il nome e la vicenda ma poco più. Voglio mettere in evidenza la natura di questo giovane, anche con testimoni di eccezione, come il nipotino di 10 anni. Ritengo che poter portare questa storia sul palcoscenico sia un regalo che viene fatto a me e al paese”. Ma i progetti di De Vita sul mondo del carcere non si esauriscono qui: “Ho in mente di rendere questo il primo episodio di una trilogia sulla realtà della detenzione. Sto scoprendo che c’è molto da dire e da far conoscere”. Lo spettacolo è aperto a un numero limitato di partecipanti (circa 40), per cui è necessario segnalare la propria adesione al direttore di Ristretti Orizzonti, Ornella Favero, all’indirizzo mail ornif@iol.it. Savona: mostra sulle carceri liguri, promossa dalla Conferenza Volontariato Giustizia Asca, 5 settembre 2010 Da oggi, fino a venerdì 10 settembre, nell’atrio del palazzo civico di Savona si svolgerà la mostra fotografica sulle 7 case circondariali presenti in Liguria promossa dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. “La mostra - dichiarano gli organizzatori - è esplicativa della situazione di sovraffollamento e di degrado in cui versano le carceri italiane, infatti ogni foto riporta a margine due dati numerici significativi: capienza massima ed effettiva presenza. L’argomento “carcere” in questi giorni è tornato d’attualità. Si susseguono le notizie non sempre positive sulla costruzione -ormai improcrastinabile- del nuovo carcere savonese. Il volontariato penitenziario, testimone quotidiano di questa realtà, vuole portare al di fuori delle “mura” la propria esperienza e vuol far sentire la propria voce, sensibilizzando l’opinione pubblica, con iniziative come questa mostra, nella speranza che istituzioni e governo ricevano sollecitazioni e possano trovare ed adottare adeguate soluzioni al problema. Ricordiamo che La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha organizzato nello scorso luglio una mobilitazione di protesta per denunciare proprio il sovraffollamento e le pessime condizioni di vita nelle carceri. A questa richiesta hanno aderito il Coordinamento Enti ed Associazioni di Volontariato Penitenziario (Seac) e la Conferenza Regionale del Volontariato Giustizia della Liguria (Crvgl).” Venezuela: 5.000 detenuti in sciopero della fame, protestano per maltrattamenti Ansa, 5 settembre 2010 Oltre cinquemila reclusi stanno attuando lo sciopero della fame in diversi penitenziari del Venezuela, protestando per i maltrattamenti che subiscono, il sovraffollamento a cui sono costretti nelle celle e per i ritardi dei processi contro di loro. Lo hanno reso noto oggi esponenti delle Ong che si occupano della situazione nelle carceri locali, ritenute da molti anni tra le più violente e più inadeguate dell’America Latina. Lo sciopero della fame ha preso il via ieri nel penitenziario di Tocoron (con 3.400 reclusi, pur se ha una capacità di appena 600) e si è poi esteso ad altre carceri. Attualmente i reclusi in tutto il Paese sono quasi 33.000 e, secondo una di queste Ong, l’Osservatorio venezuelano delle prigioni (Ovp), nel corso del 2009, per lo più in scontri tra bande rivali, 366 di essi hanno perso la vita in modo violento. Dallo scorso gennaio ad oggi le morti violente sono state 221, il 25% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Iran: donna condannata a lapidazione per adulterio, sottoposta anche a pena di 99 frustate Adnkronos, 5 settembre 2010 La nuova condanna a 99 frustate a carico di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana già condannata alla lapidazione per adulterio, “è già stata eseguita”. Lo riferisce il figlio della donna, Sajjad Ghaderzadeh, in un’intervista telefonica. “In seguito alla pubblicazione sul Times di Londra della foto di una donna senza velo erroneamente attribuita a lei, mia madre è stata condannata da un giudice speciale di Tabriz, a 99 frustate. Secondo le nostre fonti, la sentenza è stata eseguita, mia madre è stata frustata pochi giorni fa”. “Questo è un fatto insopportabile, che mi indigna veramente”, dice Sajjad, che da Tabriz, dove vive, continua a denunciare all’estero le “atrocità ingiustificate” a cui è sottoposta la madre, cambiando quasi quotidianamente la scheda del suo cellulare, per paura di essere intercettato e punito dalle autorità del suo paese. Il giovane non conosce le condizioni di salute della madre, perché non gli è permesso di incontrarla “da più di due settimane, dal momento che è stata costretta a rilasciare un’intervista alla tv di Stato - spiega - Sono molto preoccupato, spero di poterla incontrare giovedì, ma non sono sicuro che mi daranno l’autorizzazione”. L’avvenuta esecuzione delle 99 frustate nei giorni scorsi - pena che Sakineh ha subito anche quattro anni fa, all’inizio della sua vicenda giudiziaria - è confermata dall’avvocato della donna, Javid Houtan Kian. “Secondo la testimonianza di due detenute scarcerate venerdì dalla prigione di Tabriz, Sakineh ha subito in carcere un processo per direttissima in cui è stata riconosciuta colpevole di corruzione morale per aver autorizzato la pubblicare di una sua foto senza velo - spiega ad AKI l’avvocato - Dopo la condanna, è stata subito frustata per 99 volte”. “Tutto questo è incredibile - prosegue l’avvocato, che è costantemente in contatto con i figli di Sakineh - anche perché la foto pubblicata dal Times non era la sua”. Quindi ripercorre la vicenda: “Io stesso, dopo aver rilasciato un’intervista al quotidiano britannico, su loro richiesta ho inviato una foto di Sakineh con il velo, mentre si occupava dei suoi alunni nell’asilo in cui lavorava”. “Ma purtroppo il Times non ha pubblicato quella foto, ha diffuso un’altra immagine, che ritrae un’altra donna, presumendo erroneamente che fosse Sakineh - prosegue. Si tratta di un errore e non è accettabile che la mia cliente sia stata condannata e frustata per la sbaglio commesso da qualcun altro”. Avvocato: è solo primo caso, 150 donne attendono lapidazione “L’accanimento contro Sakineh è motivato dalla volontà dell’autorità giudiziaria di dare il via a un nuovo ciclo di lapidazioni di donne condannate a morte”. Ne è convinto Javid Houtan Kian, avvocato di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio. “Secondo le ultime stime, in Iran ci sono circa 150 donne in attesa di essere lapidate - spiega in un’intervista telefonica. Con il caso di Sakineh, la Repubblica Islamica vuole esaminare la reazione della comunità internazionale nei confronti del ricorso a una pratica primitiva come questa”. “Se dovesse ritenere che l’impatto delle campagne internazionali non è poi così forte, allora procederebbe senza indugi alla lapidazione di tutte queste donne”, dopo che la pratica non è stata messa in atto per alcuni anni. Per questo motivo, a suo giudizio, l’attivismo internazionale è “molto utile”, in quanto può salvare non solo Sakineh, ma anche tante altre donne Vaticano: caso Sakineh seguito con molta attenzione Autorevoli fonti vaticane hanno riferito che la Santa Sede sta seguendo da giorni con molta attenzione quanto sta avvenendo in Iran a proposito del caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna detenuta che rischia la lapidazione e che, secondo quanto ha riferito, è sottoposta a torture fisiche e psicologiche. La Santa Sede - spiegano in Vaticano - conferma la propria contrarietà alla pena di morte, quindi anche in questo caso. Nei sacri palazzi, data la delicatezza della situazione si sta valutando se intervenire in modo ancora più esplicito sulla questione. Il figlio di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, ha rivolto tramite Aki-Adnkronos International un appello al Papa e al governo italiano per fermare l’esecuzione della madre. “Esorto il capo della Chiesa, papa Benedetto XVI - ha detto - a intervenire per salvare la vita di mia madre, per fermare le atrocità ingiustificate cui è sottoposta. Capezzone (Pdl): vicenda Sakineh mostra cosa sia regime Ahmadinejad La vicenda di Sakineh non solo ci commuove, ma ci mostra cosa sia il regime di Ahmadinejad. L’uso violento dell’estremismo religioso come strumento di oppressione politica; la pretesa di impedire qualunque libertà civile e politica; una pervasiva e feroce intrusione dello stato nella vita delle persone. Così Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. Speriamo che, in extremis - aggiunge - sia possibile salvare una vita. In ogni caso, ancora una volta il mondo vede come il regime teocratico iraniano opprima gli uomini e le donne di quel paese. Angelilli (Pdl): accogliere appello disperato figlio Sakineh È un appello disperato che va accolto con grande senso di responsabilità. Bisogna fare di più, non bastano la solidarietà, le prese di posizione e gli appelli: bisogna che l’Europa come istituzione e poi i singoli Stati membri, in primo luogo l’Italia, alzino la voce. Lo dice la vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, commentando l’appello, al Papa e al governo italiano, rivolto tramite Aki-Adnkronos International da Sajjad Ghaderzadeh, il figlio di Sakineh Mohammadi Ashtiani, per fermare l’esecuzione della madre. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini - aggiunge l’europarlamentare Pdl - continui a far valere la forza della nostra diplomazia e l’autorevolezza di uno Stato europeo. La diplomazia è importante, ma in questo momento bisogna mettere sul piatto degli argomenti decisivi. Servono parole di chiarezza, perché non possiamo permettere che questa sentenza vada avanti, in nessun modo. Bisogna avere coraggio e forza - rimarca Angelilli - ma Sakineh deve essere salvata a tutti i costi. L’Iran deve sapere che se questo non avverrà, ci saranno delle conseguenze. In Europa - fa notare - abbiamo chiesto un dibattito e una risoluzione sulla vicenda, ma ora bisogna anticiparlo: occorre una condanna urgente da parte del Parlamento europeo. Tutto questo è importante - conclude Angelilli - soprattutto per l’opinione pubblica iraniana, vogliamo far capire che siamo dalla loro parte e non si devono sentire soli nella lotta contro la paura e la negazione dei diritti delle donne. Orlando (Idv): governo ascolti appello del figlio Il governo italiano ascolti l’appello del figlio dell’iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani e intervenga per fermarne la lapidazione. Lo afferma il portavoce dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando. Quella di Sakineh Mohammadi Ashtiani aggiunge è una vicenda drammatica che racchiude un concentrato di violenza, tortura, pena di morte e discriminazione verso le donne. L’Italia deve ostacolare con ogni mezzo la sua esecuzione perché costituisce una intollerabile violazione dei diritti umani.