Giustizia; Ionta (Dap); con ddl in discussione arresti domiciliari per 8mila detenuti Agi, 29 settembre 2010 Sono circa 8mila - per l’esattezza 7.992 - i detenuti che potranno lasciare il carcere e scontare la loro pena ai domiciliari, una volta che le Camere approveranno il ddl in cui si prevede la detenzione domiciliare per chi ha una pena residua inferiore a un anno. La stima è stata fornita dal Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, nel corso di un’audizione in Commissione Giustizia del Senato, che sta esaminando il disegno di legge. “La platea di riferimento del ddl - ha spiegato Ionta - è di 10.436 persone, da cui abbiamo prudenzialmente sottratto gli extracomunitari che non risultano avere fissa dimora”. Si arriva quindi a 7.992 detenuti, sui quali il Dap ha già chiesto ai vari istituti penitenziari di “preparare dossier”, per inviarli, al momento dell’approvazione della legge, alla magistratura di sorveglianza incaricata di vagliarne le posizioni prima di concedere loro la pena alternativa. Questi dossier riguarderanno, ha rilevato il capo del Dap, “il percorso penitenziario del detenuto, la sua condotta in carcere, elementi sulla sua pericolosità e i suoi contatti esterni, e, soprattutto, l’effettività di un domicilio”. In tal modo, secondo Ionta, “i tribunali di sorveglianza potranno pronunciarsi sui singoli casi in tempi rapidi, altrimenti un iter giudiziario più lungo vanificherebbe ogni effetto della legge”. Ionta ha infine ricordato la situazione di sovraffollamento delle carceri italiane: “abbiamo superato i 68mila detenuti - ha detto alla Commissione di Palazzo Madama - di questi 3mila sono donne, delle quali 56 con prole. Dall’estate del 2006 (quando fu approvato in Parlamento il provvedimento di indulto, ndr) a oggi, i detenuti sono aumentati di circa 29mila unità”. Entro tre anni undici nuove strutture penitenziarie In base al piano straordinario sull’edilizia penitenziaria “nell’arco di tre anni verranno costruiti 20 nuovi padiglioni detentivi all’interno delle strutture carcerarie già esistenti e 11 nuove strutture”. Lo ha annunciato il capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, oggi in’audizione al Senato, alla Commissione Sanità. Nell’illustrare il piano carceri, Ionta ha sottolineato come da agosto siano state avviate “intese con le Regioni”, per avviare al piú presto procedure di gara per gli appalti sulle costruzioni. Mancano 6mila agenti penitenziari Il Corpo di Polizia penitenziaria attualmente risulta “carente di 6mila unità”, con un totale di circa 39mila agenti. Lo ha sottolineato il capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, nel corso di un’audizione al Senato. Il provvedimento sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena residua inferiore a un anno, oggi all’esame della Commissione Giustizia di Palazzo Madama, sarà “importante - ha rilevato Ionta - anche perché permetterà l’assunzione di 1.800 poliziotti penitenziari”. Giustizia: Pd; nelle carceri c’è emergenza umanitaria, il governo intervenga subito Apcom, 29 settembre 2010 Il Pd lancia l’allarme sull’emergenza umanitaria delle carceri italiane e chiede al governo di intervenire con urgenza. “La situazione delle carceri è al collasso, siamo in una situazione di vera e propria emergenza umanitaria”, dichiarano la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, e il deputato democratico sardo Guido Melis, che hanno presentato una interrogazione al ministro della Giustizia Alfano per fare luce su quanto avvenuto nella notte tra domenica 19 e lunedì 20 settembre nel penitenziario di Tempio Pausania dove un detenuto malato ha avuto bisogno d’essere soccorso con urgenza per il sopravvenire di una grave crisi respiratoria. “Risulta infatti - sottolineano i due deputati - che quella notte per custodire 58 detenuti presenti nelle celle, fossero in servizio solo due agenti, sicché l’intervento (per fortuna efficace) di entrambi ha in pratica interrotto totalmente il servizio di sorveglianza. Alfano - concludono - dovrebbe intervenire con urgenza”. Giustizia: Sappe; giusta priorità a riforme, ma mettere mano anche a sistema carcerario Il Velino, 29 settembre 2010 “È certamente importante porre la riforma della giustizia tra i cinque punti chiave del programma di rilancio dell’azione di governo da realizzare nei restanti tre anni della legislatura, come sottolineato oggi autorevolmente dal presidente del Consiglio dei ministri e leader del Pdl Silvio Berlusconi. Abbreviare i tempi della giustizia, ad esempio, è fondamentale se si considera che già oggi, nelle carceri italiane, abbiamo più di 30mila persone imputate (perché in attesa di primo giudizio, appellanti e ricorrenti). Altrettanto importante è però che la maggioranza del Paese ed il suo legittimo governo mettano concretamente mano alla situazione penitenziaria del Paese, ormai giunta ad un livello emergenziale. La situazione di tensione che si sta determinando in molti istituti penitenziari del Paese, fatta di aggressioni a Personale di Polizia Penitenziaria, risse e manifestazioni di protesta dei detenuti, rischia di degenerare. Credo quindi che l’esecutivo Berlusconi non possa perdere ulteriore tempo ma debba prevedere interventi urgenti e non più procrastinabili, considerato anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di 6mila unita e che oggi ci sono in carcere quasi 69mila detenuti - che diventeranno più di 70mila entro la fine dell’anno - a fronte di circa 44mila posti letto. È il numero più alto di detenuti mai registrato nella storia dell’Italia”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione alle dichiarazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulle priorità di intervento dell’esecutivo. Capece aggiunge: “Il Sappe auspica una urgente svolta bipartisan di governo e Parlamento per una nuova politica della pena, quanto più possibile organica e condivisa. Quella della sicurezza penitenziaria è infatti una priorità per chi ha incarichi di governo ma anche per chi è all’opposizione parlamentare. È una priorità per tutti. Per questo motivo noi rinnoviamo - per il bene del Paese - l’auspicio di una svolta bipartisan di governo e Parlamento per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria”. Giustizia: Cisl; nelle carceri un’emergenza che può sfociare in ribellione Dire, 29 settembre 2010 “Solo nel Lazio vi sono più di 6.300 detenuti, quasi 2.000 in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti della regione. Una vera emergenza che, unita al taglio dei stanziamenti e alla carenza cronica di personale, può sfociare in una vera e propria ribellione. Un dato, quello degli oltre 6.000 detenuti delle carceri del Lazio, che preoccupa ancora di più perché quasi il 50% di questi è in attesa di un giudizio definitivo, e che dimostra quanto sia urgente affrontare seriamente la riorganizzazione del sistema giudiziario”. Lo afferma, in una nota, il coordinatore regionale Lazio Fns Cisl, Massimo Costantino, commentando i dati del garante dei detenuti. “È insopportabile vedere strutture penitenziarie come quelle di Rieti e Velletri sotto utilizzate per mancanza di personale, o realtà dove il personale è estremamente insufficiente Rebibbia, Viterbo, Frosinone - prosegue. I dati parlano chiaro: la differenza tra numero di addetti sulla carta e presenze reali, unito al sovraffollamento, si traduce in stress da lavoro, ore di lavoro straordinario non retribuite, aggressioni subite. Condizioni insopportabili per il personale della polizia penitenziaria che, oltre ad essere mal pagato, lavora in strutture fatiscenti. Occorre intervenire, non si può più aspettare oltre, il governo metta da parte gli annunci promozionali e affronti con atti concreti questa emergenza”. Giustizia: Uil; basta con gli sprechi, al Dap o sono incompetenti o sono complici Ansa, 29 settembre 2010 “O il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è un agglomerato di incompetenti o si profila un quadro allarmante di complicità nello spreco che va immediatamente indagato e perseguito”. Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, sottolineando che di fronte alla “ostinata volontà del Dap di non affrontare le criticità risolvibili” al sindacato non resta altra strada “segnalare le deficienze amministrative , in sede centrale o periferica, alle varie sezioni della magistratura contabile”. “Qualcuno dovrà pur rendere conto degli sprechi e dello sperpero di danaro pubblico” dice Sarno, elencando i casi più clamorosi: automezzi adibiti al trasporto detenuti che appena solo dopo poche settimane dall’acquisto perdono le portiere, divenendo inutilizzabili; le nuove manette modulari che sono state acquistate in confezioni da cinque coppie ma con solo due chiavi, non riproducibili, disponibili; le missioni che si pagano a circa 50 dirigenti penitenziari per dirigere altrettante carceri, pur disponendo di circa 650 figure professionali abilitate alla direzione di un istituto penitenziario; il carcere di Lucca dove si è costruito un tetto nuovissimo su una struttura inagibile. La Uil ribadisce, inoltre, con preoccupazione che ogni giorno il personale di polizia penitenziaria paga le spese - subendo aggressioni dai detenuti - dell’ emergenza provocata dal sovraffollamento: “Tutto ciò - osserva Sarno - nel complice immobilismo dei vertici dipartimentali assolutamente incapaci di metter freno alla violenza dilagante”. Giustizia: Osapp; questo non è il governo “del fare”… ma il governo “del dire” Il Velino, 29 settembre 2010 “Le dichiarazioni di Fabrizio Corona, ieri sera, in occasione della consegna del tapiro da parte del giornalista di Striscia la Notizia, offendono e umiliano la polizia penitenziaria”. Lo dichiara Mimmo Nicotra, vicesegretario generale dell’Osapp. La gravità sta nel fatto che altri casi simili potrebbero accadere e ben più gravi se dovessero riguardare i detenuti mafiosi. Purtroppo ogni giorno i numeri dei poliziotti presenti nelle carceri scendono e parallelamente quelli dei detenuti crescono, questo è quello che denunciamo all’opinione pubblica - dice Nicotra. Ci dispiace, ma non è colpa della polizia penitenziaria se ciò accade, ma di un governo che ormai ascolta solo se stesso. Cito testualmente, ciò che è stato detto fino a ieri: “per il carcere femminile di Venezia sono in arrivo due milioni e mezzo di euro da destinare alle ristrutturazioni”. L’annuncio - spiega Nicotra - è stato dato dal sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Ci piacerebbe ascoltare le loro dichiarazioni in occasione di inaugurazioni - attacca il sindacalista, che invece non arrivano mai. Da due anni, invece, assistiamo a proclami di assegnazioni ma nessun fatto ancora all’orizzonte, nessuna conquista. Solo promesse. Proviamo vergogna - conclude - per quello che accade nelle carceri: questo non è il governo del fare, ma il governo del dire”. Da domani mancano 5 provveditori, è emergenza Il provveditore regionale del Lazio per l’amministrazione Penitenziaria, Angelo Zaccagnino, oggi ha dato i saluti perche da domani collocato a riposo. Ne dà notizia Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp, che sostiene “la gravità dell’assenza di un altro dirigente generale che va a sommarsi a quegli altri mancanti: Calabria-Puglia-Basilicata-Sardegna. Da domani - aggiunge - anche il Lazio”. Continua Nicotra: Il ministro della Giustizia Angelino Alfano probabilmente vuole creare anche l’emergenza provveditori, considerato che fino a oggi non ha provveduto a nominare i nuovi. Oppure non ha il coraggio di dirlo a Berlusconi?”. Lettere: Conferenza regionale Volontariato Giustizia; ancora un suicidio nelle carceri venete Ristretti Orizzonti, 29 settembre 2010 La Conferenza regionale Volontariato Giustizia del Veneto denuncia con grande angoscia l’ennesimo suicidio nella nostra regione. Noi non siamo in grado di dire se ci siano responsabilità particolari rispetto a questo suicidio, ci poniamo però alcune domande: perché, nonostante le morti in carcere abbiano raggiunto da tempo livelli intollerabili in una società civile, notiamo una assenza di risposte da parte delle istituzioni, a cominciare dal Ministero della Giustizia per arrivare alla nostra Regione, dove addirittura si tagliano i fondi per finanziare le attività socio educative svolte dal volontariato e dal terzo settore? Ma anche al Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria (Prap) chiediamo quanto stia vigilando sull’applicazione delle circolari del Dap, soprattutto le ultime che stabiliscono un’attenzione particolare ai detenuti nuovi giunti, con misure speciali, e aperture significative alle attività del volontariato, che possono essere messe in atto facilitando gli ingressi per colloqui, corsi, iniziative, e prolungando la permanenza dei volontari negli istituti addirittura fino alle 18.30. In particolare, per il carcere di Belluno, chiediamo alla direzione di permettere a volontari, soprattutto associati, di entrare per colloqui di sostegno, perché da tempo segnaliamo grandi difficoltà che il volontariato incontra per vedere riconosciuto il suo ruolo. È sicuramente vero che il sovraffollamento è il primo responsabile del profondo disagio che le carceri stanno vivendo, ma solo con l’impegno ed il contributo di tutti, mettendo a frutto le risorse disponibili del territorio, si può pensare di provare ad arginare questo stillicidio di vite. Emilia Romagna: Uil; 3 suicidi, 17 tentati suicidi, 319 autolesionismi e 7 aggressioni Dire, 29 settembre 2010 Tre detenuti si sono suicidati, in 17 ci hanno provato, sette hanno aggredito le guardie penitenziarie e in 319 casi, dietro le sbarre, si sono registrati atti di autolesionismo. Queste cifre arrivano dalle 12 carceri dell’Emilia-Romagna e sono dati riferiti ai primi nove mesi di quest’anno. A renderli noti è il sindacato della Uil Pubblica amministrazione, che in un comunicato punta il dito contro la drammatica situazione di sovraffollamento (che in regione ha un tasso dell’85,7%) e contro la “disattenzione politica” e il “silenzio” del Guardasigilli Angelino Alfano. “Le incivili, disumane e degradate condizioni di detenzione cui si coniugano penalizzanti ed infamanti condizioni di lavoro- scrive Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pubblica amministrazione- fanno della questione penitenziaria una vera emergenza sanitaria, umanitaria, sociale e di ordine pubblico”. Stando ai dati rilevati dalla Uil al 20 settembre, nelle carceri dell’Emilia-Romagna sono rinchiusi 4.444 detenuti a fronte di una capacità ricettiva di 2.388: l’indice del sovraffollamento è dell’85,7% e “colloca l’Emilia-Romagna in testa alla graduatoria nazionale”. Guardando la classifica per città, sette istituti della regione sono tra i 30 posti: ha la peggio Ravenna che si trova al nono posto; seguono Bologna al 13esimo, Piacenza al 15esimo, Rimini al 19esimo, l’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia al 20esimo; il carcere di Reggio al 21esimo e Modena al 29esimo. Per Sarno sono dati che testimoniano dello “stato comatoso in cui versano gli istituti penitenziari”. Quanto ai drammatici episodi di cui dà conto il sindacato della Uil, due suicidi sono avvenuti nel carcere di Reggio Emilia e uno a Parma; i tentativi di suicidio, invece, “sventati dal personale di Polizia penitenziaria, sono stati: tre a Bologna; quattro a Piacenza; due a Modena; due a Parma; due al carcere di Reggio Emilia e due all’Ospedale psichiatrico; uno a Forlì e uno a Rimini. Ancora più pesante il bollettino dei casi di autolesionismi: 108 episodi alla Dozza di Bologna; 70 a Piacenza; 51 a Parma; 28 a Modena; 15 a Rimini; 11 al carcere di Reggio Emilia; otto a Ferrara; sei a Forlì; quattro a Ravenna e quattro all’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia; tre a Castelfranco Emilia e uno, infine, a Saliceta. Infine, gli episodi di aggressioni alla Polizia penitenziaria: due casi sono avvenuti a Bologna, tre a Parma, uno e Piacenza e uno a Ravenna. Per Sarno della Uil, questi numeri danno “un quadro reale e fedele delle difficoltà in cui è costretto a operare il personale” e di fronte a questa situazione “il silenzio del Guarda sigilli disorienta e sconcerta”. Infatti, davanti allo “sfascio ed inefficienza che caratterizza l’Amministrazione penitenziaria è necessario un suo intervento, semprechè ritenga che il dramma penitenziario rientri nelle sue competenze”. Sicilia: Uil; nelle carceri regionali più di 8mila detenuti, indice sovraffollamento al 55,1% Agi, 29 settembre 2010 Nelle carceri della Sicilia sono detenute 8.055 persone a fronte di una capacità ricettiva di 5.193, per un indice di sovraffollamento del 55,1% che colloca la regione al nono posto nella graduatoria nazionale del sovraffollamento penitenziario. Ma due penitenziari siciliani, quelli di Caltagirone (Catania) e di Mistretta (Messina) sono al primo e secondo posto della graduatoria nazionale degli istituti più affollati, in cui figura anche, al quinto posto, quello di Piazza Armerina (Enna). I dati risultano dalla rilevazione nazionale effettuata alle ore 17 del 20 settembre scorso dalla Uil Pa Penitenziari, che ne rende noti oggi i numeri regionali. A sottolineare la situazione difficile delle carceri siciliane, il sindacato segnala inoltre che dal primo gennaio a oggi si sono verificati sette suicidi, altri 15 reclusi hanno tentato di uccidersi senza riuscirvi grazie all’intervento della polizia penitenziaria. Si sono registrati pure 327 atti di autolesionismo e 31 aggressioni contro agenti di custodia. “Abbiamo lanciato da tempo l’allarme sulla complessa e pericolosa situazione penitenziaria della Sicilia. È ora che qualcuno si dia una mossa prima che tutto diventi irrecuperabile”, ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno, secondo il quale “le incivili, disumane e degradate condizioni di detenzione cui si coniugano penalizzanti ed infamanti condizioni di lavoro fanno della questione penitenziaria una vera emergenza sanitaria, umanitaria, sociale e di ordine pubblico”. Sardegna: la Regione rischia sanzioni per il mancato passaggio della sanità penitenziaria Agi, 29 settembre 2010 “Il mancato trasferimento alle aziende sanitarie locali della medicina penitenziaria rischia di essere pagato caro dalla Regione. Se infatti non provvederà ad attuare la norma entro il 2010 subirà una sanzione pecuniaria. La Corte dei Conti insomma farà sentire la sua autorevole voce”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che, secondo quanto stabilito dal ministero della Salute, la sanità penitenziaria sarà inserita nei nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) e costituirà il punto di vista critico della valutazione dei servizi ai cittadini. “È ormai improcrastinabile - aggiunge Caligaris - un atto di responsabilità da parte delle istituzioni considerando che la disciplina non ammette eccezioni neanche per le regioni a statuto speciale. Sorprende inoltre che nonostante l’emergenza derivante anche dal grave disagio vissuto dai detenuti, dagli agenti e dai medici penitenziari non si sia provveduto a un puntuale monitoraggio sui bisogni di ogni singolo istituto. La situazione sanitaria negli istituti si è aggravata. In alcune carceri sono state sospese le visite specialistiche, mentre in altre sono aumentate le liste d’attesa e anche i farmaci sono garantiti esclusivamente agli indigenti. La mancata apertura del reparto protetto di Is Mirrionis a Cagliari pesa ulteriormente sulla situazione”. “Nonostante i dati diffusi dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria affermino un contenuto sovraffollamento nella complessità delle strutture carcerarie isolane (2.368 detenuti a fronte di 1.970 posti regolamentari - pari al 20% in più della norma) è evidente - rileva ancora la presidente di SdR - che esistono situazioni insostenibili. Basti pensare a Lanusei (Ogliastra) dove anzichè 31 detenuti ce ne sono 65 (+109,68%), Tempio Pausania 58 invece di 29 (+100%), Macomer 85 al posto di 46 (+84,78%) e Cagliari 542 invece dei regolamentari 345 (+57,10%). Il numero di ristretti e la tipologia incide pesantemente sulla qualità della vita. Non si può infatti dimenticare che lo stato detentivo è di per sé una condizione che genera malattie”. “La salute dei cittadini - conclude Caligaris - è un diritto costituzionalmente garantito. Sarebbe bene quindi chiudere al più presto questa partita augurandosi che la Sardegna non arrivi all’ultimo momento ad affrontare un tema delicato e importante per quanti operano nelle strutture ma soprattutto per tutti quelli che nei penitenziari trascorrono una parte considerevole della loro esistenza per essere rieducati e reinseriti nella società seriamente accuditi nei bisogni che la salute impone”. Belluno: si è impiccato nel carcere di Baldenich, aveva 27 anni e si chiamava Mirco di Stefano Galieni Liberazione, 29 settembre 2010 Si è impiccato nel carcere di Baldenich a Belluno, aveva 27 anni e si chiamava Mirco. Proveniva da un paesino della provincia, aveva patteggiato una condanna a 2 anno e 20 giorni per un furto d’auto, era detenuto da un anno circa e ieri avrebbe dovuto presentarsi di fronte ad un giudice per una vecchia storia. Doveva rispondere, in una “udienza filtro” per il reato di resistenza e ingiurie nei confronti di due carabinieri, contestatogli nel 2006. Alcuni mesi fa - senza che se ne conoscano le ragioni - Mirco aveva chiesto di essere trasferito in una cella di isolamento, una condizione di solito riservata o a detenuti responsabili di reati molto gravi o a chi teme per la propria sicurezza. Lo hanno trovato all’alba quando era già morto da un ora, con un cappio al collo realizzato con le lenzuola e appeso fra le sbarre della cella. Il parroco del paese di cui era originario Mirco, Cesiomaggiore e i genitori del ragazzo non riescono a comprendere le ragioni del gesto. Dal penitenziario sembrano dare per scontata la tesi del suicidio, comunque è stata aperta una inchiesta dalla Procura della Repubblica per capire come siano realmente andati i fatti e in tempi brevi verrà predisposta l’autopsia. Ma c’è un altro buco nero ancora senza risposta: come è possibile che per un reato lieve si venga condannati ad una simile pena, peraltro patteggiata? È entrata in ballo la norma Cirielli sulla “recidiva” che aggrava le condizioni detentive di chi ha già subito altre condanne o si è semplicemente messa in atto una forma di tolleranza zero in una cittadina in cui anche temi come la sicurezza faticano a poter essere evocati? Fatto sta che sembra - in evidente contraddizione con la richiesta di stare in isolamento - Mirco aveva presentato cinque mesi fa la richiesta di misure alternative alla pena, respinte dal tribunale della libertà. Si tratta comunque della cinquantunesima persona che si toglie la vita in un carcere italiano dall’inizio dell’anno. Un macabro record a cui si sommano gli innumerevoli tentativi sventati, almeno altri 124 potevano avere esito letale, e la prassi sempre più diffusa dell’autolesionismo. Di solito accade per carenze strutturali dei penitenziari, violenza interna diffusa, sovraffollamento, condizioni di degrado che spesso portano a crollare. A Belluno il carcere non presenta apparentemente tali aspetti. Ma che qualcosa non vada per il verso giusto è innegabile: “Abbiamo inutilmente finora provato a stabilire un rapporto di collaborazione con la direttrice del carcere - racconta Camilla Emili- neopresidente di una associazione di volontariato Extramoenia che si occupa di detenuti. Ci è stato negato il diritto ad entrare, a noi come ad altre associazioni eppure pensiamo di poter renderci utili”. Camilla Emili sta lavorando ad un progetto di formazione per volontari in grado di portare assistenza nel penitenziario soprattutto alle 30 transessuali detenute, vorrebbe coinvolgere in questo progetto anche gli stessi operatori carcerari ma finora nessuna risposta. “Noi vogliamo insistere - conclude - anche perché speriamo che quanto accaduto non debba mai più ripetersi. Ora ci aspettiamo risposte e non l’ennesima porta chiusa”. La direttrice: un giovane che preferiva stare solo “Era un ragazzo gioviale e pronto allo scherzo, ma aveva i suoi momenti di tristezza. Forse la sua giovane età non lo ha aiutato”. Nel giorno del dolore e degli interrogativi, la direttrice del carcere di Belluno, Immacolata Mannarella, racconta di un giovane che “preferiva stare da solo”. Una storia delicata quella di Mirco, delicata come tutte quelle storie che finiscono in maniera tragica. Sarebbe quasi da non parlarne se non fosse per il contesto nel quale una decisione di questo tipo è maturata. Il 27enne cesiolino è il 51º morto suicida nelle carceri italiane da inizio anno. Certo non sarà facile capire se Mirco sia stato vittima di un sistema - che spesso finisce sui giornali per le sue oggettive inefficienze - o di se stesso. Forse, di entrambi. “La vita in carcere è dura”, la premessa di Mannarella. “Noi mettiamo a disposizione psicologici, educatori e psichiatri, ma ognuno reagisce a suo modo”. La direttrice invita a non vedere il suicidio del giovane come un qualcosa di “ineluttabile”. “In carcere ci sono difficoltà, ma bisogna andare avanti”. Mannarella non vuole entrare nel merito della vicenda, ma lascia trasparire le motivazioni che hanno convinto la direzione ad accogliere la richiesta di isolamento avanzata dal giovane: “La vita in comune è difficile e un compagno di cella uno non se lo può scegliere”. Un discorso che Mannarella sottolinea essere “generale” e che va al di là del “sovraffollamento”. L’ultimo suicidio risale a poco tempo fa, nel frattempo altri sono stati scongiurati all’ultimo momento. Lo dimostrano gli encomi distribuiti agli agenti nel corso dell’ultima festa della polizia penitenziaria. Mery Baschiera della Cgil-Funzione pubblica si dichiara dispiaciuta e scossa, ma sottolinea come i detenuti siano seguiti passo passo: “Ci siamo noi che spesso raccogliamo i loro sfoghi e c’è il personale medico. Non sono lasciati soli. In questi anni di attività ho capito che è impossibile entrare nella testa delle persone. Magari è la persona più sorridente quella che poi tenta di farla finita”. Ma il problema per Baschiera deve essere anche ribaltato: “Massimo rispetto per il ragazzo morto, ma ricordo che anche tra noi guardie c’è un alto tasso di suicidi. Il clima è pesante, lo viviamo anche noi con la sola differenza che nessuno ci aiuta”. Il problema di Belluno è quello di tutte le altre case circondariali: carenza di organico - con conseguenti orari pesanti - e strutture inadatte: “Va detto che ci sono situazioni peggiori della nostra”. E ancora: “Trovare un detenuto morto suicida è uno shock che ci portiamo dentro”. Padova: detenuto con tumore a polmoni denuncia “stavo male da un anno, mai stato curato” Apcom, 29 settembre 2010 Aveva un tumore ai polmoni e alla spina dorsale, ma nonostante avesse più volte chiesto ai medici del carcere Due Palazzi di Padova, dove era detenuto, di essere sottoposto ad un esame radiologico, non è stato curato. A denunciare la vicenda, ai microfoni della rubrica Radiocarcere di Radio Radicale, è Graziano, ex detenuto del carcere padovano: “Stavo malissimo - racconta - e per un anno ho passato le mie giornate in cella tra atroci dolori. Poi finalmente, qualche giorno fa, mi hanno portato dal carcere all’ospedale di Padova dove mi è stato diagnosticato un tumore ai polmoni e alla spina dorsale”. “Non solo non mi facevano fare esami clinici o radiografie - continua Graziano - ma per un anno i medici del carcere Due Palazzi di Padova si sono limitati a darmi una piccola pastiglia di antidolorifici e basta”. Poi le condizioni di salute sono ulteriormente peggiorate, tanto che intorno al 20 agosto l’uomo era paralizzato dalla pancia in giù e non riusciva neanche a urinare. “Ma anche vedendomi in quelle condizioni i medici del carcere non hanno fatto nulla per me, ed anzi, uno di loro più mi ha detto “Eh, quella è l’età”. E pensare che ho solo 48 anni”. “Solo verso la fine di agosto - conclude - si sono decisi di portami in ospedale, dove appunto mi hanno diagnosticato un tumore in stato avanzato. Un tumore che se mi fosse stato diagnosticato prima sarebbe stato curabile”. Cagliari: il nuovo carcere verrà inaugurato tra nove mesi, ha posto per 700 detenuti L’Unione Sarda, 29 settembre 2010 Quella data, novembre 2010, è ormai da dimenticare. I tempi per la chiusura del cantiere del nuovo carcere sardo che sta sorgendo a Santa Lucia, periferia estrema dell’area industriale di Macchiareddu che guarda verso Monte Arcosu, tra un gigantesco impianto per la produzione di energia eolico-solare e l’azienda agricola di Camp’e Luas per il recupero dei tossicodipendenti, si sono dilatati. L’impresa “Opere pubbliche” che sta eseguendo le opere e che si era aggiudicata l’appalto, è stata dirottata a La Maddalena costringendo il cantiere a una momentanea fermata. Per il battesimo bisognerà aspettare ancora. Nove mesi esatti. “I lavori - spiega Gianfranco Pala, direttore di Buoncammino - devono essere conclusi, come da contratto, entro il prossimo giugno”. Ma quel giorno Uta, stando almeno a quanto dichiarato da Giuseppe Pibia, sindaco dalla scorsa primavera, non esulterà di gioia. “Al taglio del nastro non ci sarò, quel carcere l’abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione, non è una nostra scelta”. Neppure tanti giri di parole per raffigurare un progetto che Pibia dice di non condividere. Ma che comunque va avanti, cresce, e su cui l’amministrazione comunale di Uta dovrà inevitabilmente confrontarsi. Non foss’altro perché la casa circondariale di Santa Lucia, che dovrebbe mandare a riposo l’istituto di pena cagliaritano accogliendo i detenuti gli agenti di polizia penitenziaria (condizionale d’obbligo “visto che nessuna decisione è stata ancora presa ufficialmente su Buoncammino”, avverte il direttore Pala), è ormai a pieno titolo una struttura inserita nel territorio comunale di Uta. Nove mesi per la fine dei lavori. Ben altro ci vorrà perché si completino i collaudi dell’intero caseggiato. Per questo le previsioni parlano di ulteriori mesi d’attesa per la definitiva apertura e l’ingresso dei settecento, settecentocinquanta detenuti. Poco oltre i quattrocento quelli cosiddetti comuni, un centinaio ad alta sicurezza, una trentina di posti per le donne e altrettanti per i detenuti in semilibertà. I problemi non sono certo pochi perché il carcere di Uta possa davvero entrare a regime. A ricordarlo sono stati innanzitutto i sindacati di categoria della polizia penitenziaria, che ancora una volta stigmatizzano l’inadeguatezza del numero di agenti sperando nei nuovi concorsi di cui però non si intravede alcuna certezza. Da fare ci sarà parecchio, dalle parti di Santa Lucia. Intanto nel campo delle infrastrutture. Una viabilità degna di questo nome per poter consentire ai mezzi pubblici e privati di raggiungere il carcere e servizi per rendere meno disagiate le attese ai parenti dei detenuti. Intanto resta ancora irrisolto il problema dei due immensi vasconi realizzati per ospitare le ceneri di risulta dell’impianto del Tecnocasic, oggi ancora inutilizzati e colmi d’acqua piovana. Distano neppure cinquecento metri dal muro di recinzione del carcere e per legge dovrebbero restare lontani un chilometro. Ad affermarlo è stata Maria Grazia Calligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti e riforme” che ha anche insistito sulle condizioni del territorio su cui sta venendo su il nuovo carcere. “Una landa desolata e maleodorante per i miasmi provenienti dallo stabilimento di macellazione delle carni dell’ex Valriso”. Viterbo: assistenza sanitaria penitenziaria, un corso per medici, infermieri e psicologi Il Messaggero, 29 settembre 2010 L’assistenza sanitaria penitenziaria richiede, oltre alle necessarie capacità professionali, anche una conoscenza profonda del pianeta carcere, a partire dall’ordinamento penitenziario stesso, fino alle condizioni ambientali e alle malattie che possono contrarre i detenuti. Per venire incontro all’esigenza di approfondire queste tematiche specifiche, oggi nella Casa circondariale di Mammagialla di Viterbo si è svolto il primo corso Ecm a cui hanno partecipato 25 infermieri, 5 medici e 2 psicologi. L’iniziativa, voluta fortemente dal dirigente sanitario della struttura, Franco Lepri, anche per l’attenzione e la richiesta avanzata dagli operatori sanitari stessi, sarà ripetuta a breve. All’incontro di questa mattina hanno partecipato il direttore sanitario della Ausl di Viterbo Marina Cerimele, e il direttore della Casa Circondariale, Pierpaolo D’Andria. “La Direzione strategica aziendale - ha detto la dottoressa Cerimele - in questi mesi, pur nelle ristrettezze economiche che tutti conosciamo, si sta impegnando sensibilmente nel potenziamento dell’assistenza medica, infermieristica e tecnica a Mammagialla. Un’assistenza che necessità di una preparazione specifica perché si tratta di operare in un ambiente particolare, come quello carcerario. Intendiamo proseguire su questa strada, anche a sostegno delle necessità dei detenuti, che devono potere usufruire delle prestazioni sanitarie nazionali, nel rispetto della normativa in vigore”. “Queste occasioni di formazione - ha poi aggiunto il direttore D’Andria - sono importanti perché permettono di realizzare un momento di confronto tra la componenti sanitaria e penitenziaria, ciascuna delle quali ha esigenze specifiche che devono, però, poter trovare un punto di incontro. Ringrazio la Ausl di Viterbo per aver risposto, in maniera propositiva e fattiva, a quelle che sono state le nostre richieste in termini di assistenza sanitaria all’interno della nostra struttura”. “L’iniziativa odierna - ha poi concluso Franco Lepri - intende fornire agli operatori sanitari della Ausl degli strumenti normativi, di approfondimento sanitario e psicologico, necessari per poter operare all’interno del nostro carcere. Abbiamo, poi, sfruttato l’occasione per consegnare ai partecipanti la Guida ai servizi che abbiamo redatto di recente: uno strumento semplice ed esaustivo che sarà consegnato ai detenuti affinché possano conoscere i servizi sanitari presenti nella Casa circondariale e possano accedere in maniera più semplice agli stessi”. Nuoro: Fp-Cgil: è contraria all’arrivo dei 41-bis nel carcere di Badu ‘e Carros La Nuova Sardegna, 29 settembre 2010 Ad affermarlo una nota, firmata dal segretario Michelangelo Gaddeo: “Noi abbiamo più volte sottolineato - spiega Gaddeo - che il carcere di Nuoro è una importante risorsa per il territorio. La risorsa consiste nei posti di lavoro e soprattutto nell’indotto che producono un fatturato mensile di oltre un milione di euro. Noi riaffermiamo questo concetto specialmente in questo momento di grave crisi economica e di arretramento generale dello Stato e della Regione in Provincia di Nuoro, dove la povertà, la disoccupazione, lo spopolamento e gli ammortizzatori sociali la fanno da padrone, riaffermando allo stesso tempo la nostra contrarietà alla presenza dei mafiosi del 41 bis nel carcere cittadino. Badu ‘e Carros - chiude il segretario della Fp - e non i mafiosi, è una risorsa importantissima per Nuoro, a cui auspicabilmente si aggiungerà la nuova caserma di Pratosardo ed il campus universitario, per il quale la Cgil Funzione Pubblica ha notoriamente espresso ampio favore”. Aversa (Ce): all’Opg un internato pestato a sangue da altri detenuti Agi, 29 settembre 2010 Lunedì nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa “alcuni internati hanno pestato a sangue un loro compagno al punto da spedirlo in rianimazione con prognosi riservata”; ieri a Lecce l’incendio del controsoffitto in polistirolo del locale teatro ha causato l’intossicazione di alcuni agenti penitenziari; sempre ieri a Lanciano un detenuto ha colpito al volto un agente penitenziario che doveva simultaneamente controllare il passeggio e la sezione”. Lo denuncia in una nota il segretario generale della Uil penitenziari Eugenio Sarno per il quale “Il bollettino di guerra sui campi di battaglia che sono le nostre prigioni deve, quindi, aggiornarsi. Sono, infatti, 183 gli agenti penitenziari che in questo 2010 hanno riportato ferite a causa di aggressioni subite da parte di detenuti. Tutto ciò nel complice immobilismo dei vertici dipartimentali assolutamente incapaci di metter freno alla violenza dilagante”. Per il rappresentante sindacale della polizia penitenziaria “Il personale, purtroppo, non deve subire solo le violenze dei detenuti quant’anche fare i conti con gli abusi e i soprusi che tanti dirigenti penitenziari compiono nella certezza della più completa impunità. Dai turni e agli orari di servizio modificati unilateralmente senza alcun confronto sindacale, al mancato pagamento del lavoro straordinario imposto dall’Amministrazione, alla mancata osservanza della norma sulle visite fiscali, alle penalizzazioni ingiustificate dei punteggi valutativi, alle organizzazioni del lavoro scriteriate, illogiche ed antieconomiche”. “Su tutto il territorio si assiste ad un fiorire di atti illegittimi che - evidenzia Sarno - pur puntualmente denunciati trovano quale risposta l’assordante silenzio e la pietrificante complicità di chi sarebbe preposto al controllo. È indicativo l’esempio di Bolzano dove pur in presenza di video controllo si continua a ricorrere , in un quadro di deficienze organiche, alla sentinella armata che deve prestare servizio in un tugurio assolutamente invivibile e non protetto cui vengono preposti frequentemente , tra l’altro, le unità con maggiore anzianità di servizio”. “Considerata l’ostinata volontà del Dap di non affrontare le criticità risolvibili non ci resta altra strada che segnalare le deficienze amministrative, in sede centrale o periferica, alle varie sezioni della magistratura contabile. Qualcuno dovrà pur rendere conto degli sprechi e dello sperpero di danaro pubblico”. Pesaro: agenti uomini a vigilare le detenute, esplode di nuovo la protesta del Sappe Il Messaggero, 29 settembre 2010 La sezione femminile viene controllata da agenti maschi e sul carcere riesplode la polemica. Dopo la denuncia del sindacato, nell’agosto scorso, nella casa circondariale di Villa Fastiggi ieri è accaduto nuovamente che agenti di polizia penitenziaria di sesso maschile fossero inseriti nei turni di sorveglianza della sezione femminile. “Oltre ad essere assurdo da un punto di vista “umano”, come può essere facilmente comprensibile per chiunque, è assolutamente vietato dalla legge che degli agenti uomini controllino delle detenute - tuona il segretario regionale del Sappe Aldo Di Giacomo - Pesaro è l’unico carcere in Italia dove si verificano cose del genere. È davvero inaudito”. La sezione femminile del carcere pesarese è al momento occupata da 15 detenute, mentre gli agenti donna sono solo 13. Per ogni turno vengono impiegate 4 poliziotte, ma ieri erano appena 3 quelle disponibili e così il “buco” è stato riempito da un collega uomo. Considerando turni da 6 ore, permessi, riposi settimanali e ferie, secondo il sindacalista occorrerebbero almeno 24 agenti donna. Ed è proprio questa la richiesta che invierà al Prefetto, ma che probabilmente resterà lettera morta. “Sono anni che mi batto contro la carenza organica ed il sovraffollamento del carcere di Pesaro - continua Di Giacomo - purtroppo ben poco è cambiato. Dopo la “battaglia” dell’estate scorsa arrivarono 10 agenti distaccati dalle loro sedi, ma nel corso dell’anno ben 12 sono quelli andati in pensione, dunque oggi la situazione è peggio di prima: ci ritroviamo con 121 agenti in organico sui 169 previsti, in compenso abbiamo 312 detenuti contro 178 di capienza massima prevista. Scriverò al prefetto con cui mi incontrerò la prossima settimana, parlerò con il procuratore capo della repubblica, con il magistrato di sorveglianza ed anche con il garante dei detenuti ma non sono, purtroppo, ottimista”. Tra un paio di giorni, però, arriverà un agente di polizia penitenziaria donna. “Purtroppo non basta - continua Di Giacomo - la situazione ottimale vedrebbe almeno 24 agenti donna, ma già se riuscissimo ad arrivare a 18/19 potrei dire che l’emergenza è finita ma 13 o 14 purtroppo cambia poco. Non è accettabile che degli uomini sorveglino le detenute e questo accadrà anche domani (oggi ndr). Gli agenti devono controllare le recluse tutta la giornata, in bagno, sotto la doccia, mentre dormono, quando sono in cella. È giusto scontare la pena ma nel rispetto della dignità di ciascuno”. E per protestare contro una situazione “mai vista in tanti anni di attività sindacale” il segretario Di Giacomo sta organizzando una manifestazione di fronte al carcere di Villa Fastiggi. “L’8 ottobre - conclude il sindacalista - siamo pronti a protestare per la grave carenza organica e il problema del sovraffollamento. Stiamo contattando vari esponenti del mondo politico che verranno a manifestare insieme a noi”. Tempio Pausania: interrogazione Pd; domenica a solo 2 agenti per 58 reclusi Apcom, 29 settembre 2010 “Nel carcere di Tempio Pausania (58 detenuti), nella notte tra domenica 19 e lunedì 20, un detenuto è stato molto male e per assisterlo gli unici due agenti presenti quella notte hanno dovuto trascurare la sorveglianza del resto del carcere”. È quanto denuncia il deputato Guido Melis (Pd) che ha presentato con Donatella Ferranti una interrogazione sul caso in Commissione giustizia. Melis ricorda che il carcere di Tempio “dovrebbe custodire solo 25 detenuti, mentre ne ha ospitato sino a 60, e che gli agenti in servizio sono solo 20, quando l’organico (per altro già superato dalle esigenze) ne prevederebbe 32”. “La direttrice dottoressa Mascolo e i sindacati degli agenti - prosegue Melis - hanno più volte denunciato lo stato di grave carenza di personale, ma la politica dei tagli del Governo Berlusconi-Tremonti ha sinora impedito qualunque rimedio”. L’interrogazione presentata da Melis e dalla Ferranti chiede al ministro Alfano “di provvedere immediatamente e di dare notizie certe circa l’apertura del nuovo carcere di Nuchis e la destinazione alla nuova struttura di un personale numericamente adeguato”. Lanciano (Ch): agente penitenziario aggredito a Lanciano Agi, 29 settembre 2010 Anno “orribilis” al supercarcere Lanciano dove nel 2010 si sono susseguite varie aggressioni nei confronti degli agenti della Polizia Penitenziaria. La Uilpa provinciale denuncia ora un altro caso attraverso il segretario Ruggero Di Giovanni. “Questa mattina - dice il sindacalista - durante le operazioni di immissione dei detenuti ai locali “passeggi”, per la consueta ora d’aria, un detenuto che avrebbe dovuto far rientro in cella ha improvvisamente aggredito l’agente della sezione colpendolo con un manrovescio al viso e costringendolo a ricorrere alle cure del medico. Fortunatamente la situazione non è degenerata”. I casi di aggressione sono legati sia al sovraffollamento dei detenuti che alla cronica mancanza di agenti situazione già denunciata e al centro dello stato di agitazione degli agenti da un anno. “Come al solito - dice Di Giovanni - l’agente in servizio era costretto a svolgere contemporaneamente sia la funzione di vigilanza della sezione che quella di vigilanza ingresso”. Nella classifica nazionale degli istituti sovraffollati Lanciano è al 30° dice la Uilpa. Iran: Sakineh sarà giustiziata, non morirà per lapidazione ma per impiccagione di Marco Berti Il Messaggero, 29 settembre 2010 Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana condanna alla pena capitale per adulterio e per complicità nell’uccisione del marito, non morirà per lapidazione ma per impiccagione. E questo avverrà con ogni probabilità quando l’attenzione dei media sul suo caso si attenuerà e quando la mobilitazione internazionale segnerà il passo. Ieri il procuratore generale di Teheran, Gholamhossein Mohseni-Ejei, smentendo lo stesso presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che in una intervista alla tv americana “Abc” aveva negato che esistesse una sentenza di lapidazione per Sakineh, non solo ha confermato che c’è una sentenza di condanna a morte per lapidazione, ma che ne esiste un’altra, per impiccagione, per complicità nell’uccisione del marito. E quest’ultima ha la precedenza sulla prima. Poche ore dopo Mohseni-Ejei è stato a sua volta smentito dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, secondo cui il procedimento nei confronti di Sakineh è ancora in corso. Non vi sono, dunque, certezze, non c’è chiarezza sulla sorte della donna, tanto più che in Iran la condanna a morte la deve comminare la Corte Suprema e, a quanto pare, l’iter giudiziario non è ancora arrivato a quel livello. È evidente che ci si trova davanti a un gioco al massacro fatto sulla pelle di Sakineh, una donna di 43 anni che nel terzo millennio è ancora vittima di leggi barbare e tribali, rinchiusa in carcere da quattro anni, torturata, senza che le sia concesso di vedere i suoi figli o il suo avvocato, il cui destino è quasi certamente segnato. Un gioco al massacro finalizzato a confondere le acque, a mischiare le carte in tavola per ingenerare disorientamento nell’opinione pubblica, con una tecnica cinica e spregiudicata, in attesa che sulla vicenda cali il silenzio per poi lasciare mano libera al boia. Un gioco al massacro che si intreccia con una lotta di potere fra il presidente Ahmadinejad e il clero ultra-conservatore fedele alla Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei. Ed è per questo che i figli di Sakineh (anche grazie a loro la vicenda è uscita dai confini dell’Iran) fanno di tutto per mantenere viva l’attenzione sulla caso della madre. Ieri il maggiore dei due, Sajjad Ghaderzadeh, si è detto sicuro che le autorità iraniane annunceranno ufficialmente la condanna a morte di Sakineh fra due settimane e ha rivolto un appello al nostro Paese. “Chiediamo all’Italia di intervenire per salvare mia madre”, ha detto all’agenzia Aki-AdnKronos. “Auspichiamo fortemente che la condanna a morte nei confronti di Sakineh possa essere rivista. Il governo continuerà ad adoperarsi con la massima determinazione”, ha risposto la Farnesina. Un appello per la vita di Sakineh è stato lanciato anche dal presidente dei “Musulmani Moderati in Italia”, Gamal Bouchaib. Per rendersi conto di come le speranze di salvare la vita di Sakineh siano decisamente esigue, basta sfogliare le pagine dell’ultimo rapporto sulla pena di morte nel mondo di “Nessuno tocchi Caino”. L’Iran è al secondo posto nella classifica degli stati-boia con 402 condanne a morte eseguite nel 2009. Lo precede solo la Cina con almeno 5.000. Lo seguono Iraq (77), Arabia Saudita (69) e Stati Uniti (52). “L’impiccagione in Iran si legge - avviene tramite gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari quali la fustigazione e l’amputazione degli arti”. Negli Stati Uniti il boia non è comunque da meno che in Iran. Domenica scorsa a Jackson, in Georgia, è stato ucciso con una iniezione letale un uomo di 31 anni, Brandom Joseph Rhode, che 1 settimana fa aveva tentato di suicidarsi in cella tagliandosi la gola con una lametta. Brandom era stato condannato a morte nel 2000 per tre omicidi. Al boia sono serviti 30 minuti di prove prima di trovare le vene dove iniettare il cocktail mortale che ha impiegato 14 lunghi minuti prima di fare effetto.