Giustizia: celle sovraffollate e pochissime attività, ecco le cause di una strage annunciata di Livia Ermini Il Messaggero, 27 settembre 2010 Quasi 70mila in carcere a fronte di una capienza di 44 mila. Le associazioni di volontariato: “L’abbandono il vero problema”. Quello di ieri è solo l’ultimo dei suicidi in carcere che si sono registrati dall’inizio dell’anno lungo tutta la penisola. E questa volta estate e temperature torride non c’entrano. Se l’allarme è stato dato più volte, se si sono usati i termini di scandalo e strage, delle soluzioni non si vede l’ombra. Provvedimenti tampone e annunci spot non risolvono. Il 24 settembre scorso le associazioni di volontariato che lavorano con i detenuti sono scese in piazza con un sit - in davanti a Montecitorio per chiedere alla politica un intervento serio contro il sovraffollamento. Secondo i dati del Ministero dell’Interno i detenuti sono 68.749 a fronte di una capienza di 44 mila, di cui la metà (37 mila) in attesa di condanna definitiva. 12 mila 500 quelli di nazionalità straniera. I rappresentanti di Antigone, Ristretti Orizzonti, Forum per la salute dei detenuti hanno poi denunciato in un’audizione in Commissione Giustizia alla Camera le questioni più urgenti e spinose. “Il sovraffollamento non è il problema principale - sostiene Ornella Favero di Ristretti Orizzonti - ma l’abbandono in cui i reclusi sono lasciati per 24 ore al giorno. I suicidi avvengono perché le persone non sono seguite, gli operatori sono così pochi che non fanno in tempo ad accorgersi del disagio. Molti detenuti mi scrivono che riuscirebbero a sopportare di vivere in celle minuscole con altre sei persone se durante al giorno avessero delle attività che li impegnano, potessero imparare un mestiere. Invece oggi il carcere è un parcheggio”. Sotto accusa anche il Piano carceri per cui sono stati stanziati 661 milioni di euro e che prevede entro il 2012 la costruzione di 11 nuovi penitenziari e 20 nuovi padiglioni per ampliare le strutture già esistenti creando un totale di 10 mila posti in più. “Non c’è una progettualità complessiva - prosegue Favero - come ad esempio in Spagna dove le costruzioni completamente nuove sono pensate in vista di un percorso di reinserimento sociale. Da noi si costruisce all’interno delle carceri già esistenti, sfruttando aree vuote, si ristrutturano i padiglioni vecchi restringendo ancora di più gli spazi”. C’è poi il problema del Ddl Alfano che consente di scontare ai domiciliari pene inferiori ad un anno. Svuotato durante l’iter parlamentare. “La nuova bozza esclude dai beneficiari i sottoposti all’articolo 4bis, che hanno commesso rapine o reati di analoga gravità. Persone che hanno già scontato quasi l’intera pena e uscirebbero comunque entro pochi mesi. Impedisce così la messa in libertà di alcune migliaia di persone, che sarebbe già un primo passo”. Intanto il Sappe, Sindacato di polizia penitenziaria, dopo l’ennesimo appello per la drammatica carenza di personale ( - 6.500 agenti rispetto alla normale pianta organica) ha inviato una lettera al Ministro Alfano denunciando: “Da mesi si assiste solo ad affermazioni verbali dei vertici governativi e ministeriali, ma, in sostanza, non succede nulla: nessuna integrazione degli organici, nessun incremento economico, anzi, le prestazioni straordinarie, sempre più ordinarie, non vengono più retribuite per carenza dei fondi di bilancio”. L’Italia inoltre è sotto la lente della Commissione Europea. Secondo Viviane Reading, commissario a Giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza, le “condizioni di detenzione inaccettabili possono costituire una violazione dell’articolo 3 della Carta europea dei diritti dell’uomo (proibizione della tortura) anche in assenza di una deliberata volontà di umiliare o degradare il detenuto”. La Reding ha annunciato un Libro Verde sulla detenzione che dovrebbe guidare le politiche dei Paesi membri nei settori della giustizia, della libertà e della sicurezza fino al 2014. Giustizia: Bernardini (Ri); le carceri versano nell’illegalità, servono amnistia e indulto Apcom, 27 settembre 2010 Solo la concessione automatica dei domiciliari a chi ha un residuo di pena di un anno da scontare “può dare efficacia deflattiva” al ddl cosiddetta svuota - carceri “evitando l’aggravio del lavoro per i giudici di sorveglianza”. Lo sostiene la deputata radicale Rita Bernardini parlando in una nota del provvedimento, approvato alla Camera e ora all’esame del Senato, che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari ma solo previa decisione del tribunale di sorveglianza. “Purtroppo - sottolinea Bernardini - non tutti nel Pd la pensano così, visto l’affossamento che hanno contribuito a determinare dell’originario ddl Alfano che, oltre alla norma che prevedeva di far scontare alla detenzione domiciliare gli ultimi 12 mesi di pena, introduceva nel nostro ordinamento anche l’istituto della messa alla prova, già applicato con successo nella giustizia minorile”. “Quello che la classe politica non sembra voler comprendere - conclude - è che la situazione attuale delle carceri pone lo Stato in una condizione di patente illegalità: un delinquente professionale, se si considerano i tanti anni nei quali ha letteralmente promosso una politica che causa maltrattamenti, tortura, morte, cioè tutto il contrario di quanto prescritto dall’ordinamento penitenziario e dalla nostra Costituzione. Solo un provvedimento di Amnistia e indulto può consentire di porre un alt a quest’emorragia di legalità e di vita”. Giustizia: Uil-Pa; 51 detenuti suicidi da inizio anno… ma c’è qualcuno a cui importa? Apcom, 27 settembre 2010 Il suicidio del 27enne detenuto nel carcere di Belluno verificatosi ieri, fa salire l’asticella delle auto soppressioni in cella, nel solo 2010, a 51 morti. Avendo già più e più volte parlato e commentato di questa strage silenziosa, senza peraltro sortire alcun effetto significativo di attenzione e/o di soluzioni, intendiamo corredare alla conta funebre altri numeri che meglio definiscono ciò che l’esimio Presidente Ciampi ebbe a definire il “dramma” penitenziario. Dopo aver osservato un breve periodo di volontario silenzio sul fenomeno dei suicidi in carcere, la Uil Pa Penitenziari torna a parlarne fornendo dati da brivido. “Per un quadro d’insieme e più veritiero - afferma Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - occorre ricordare che alle 51 persone che hanno deciso di evadere permanentemente dalla vita ve ne sono state altre 123 che hanno tentato lo stesso percorso. 104 di queste (92 %) sono state tratte in salvo dagli agenti della polizia penitenziaria, 19 si sono salvate grazie all’intervento di compagni di detenzione o altri motivi. È quindi lecito affermare che la polizia penitenziaria svolge la propria attività con il precipuo compito di salvare vite. I 51 suicidi, infatti, si sono verificati in 39 istituti penitenziari, mentre i 123 tentati suicidi in 62 strutture detentive. Le strutture che in questo 2010 hanno fatto registrare il maggior numero di suicidi (tre a testa) sono Siracusa, Padova Due Palazzi e Roma Rebibbia. Gli istituti in cui sono verificati in numero maggiore i tentati suicidi sono : Genova Marassi (6), Lecce e Sulmona (5), Piacenza e Busto Arsizio (4)”. Ad aggravare lo scenario di morte e violenza che si registra nelle prigioni italiane contribuisce anche l’esorbitante numero di atti autolesionistici posti in essere da detenuti ed internati, nonché i tanti episodi di aggressione in danno degli agenti penitenziari. “Dal 1 gennaio al 20 settembre 2010 - comunica Sarno - sono stati ben 4.216 gli atti di autolesionismo ufficialmente registrati. Firenze Sollicciano (241), Lecce ( 147), Perugia (109), Bologna (108) e Milano San Vittore (105) gli istituti in cui ci si autolesiona con maggior frequenza. Nello stesso periodo sono 236 gli atti di aggressione che i detenuti hanno perpetrato in danno di personale della polizia penitenziaria. Gli agenti feriti che hanno riportato lesioni giudicate guaribili in periodi superiori ai 5 giorni sono 186. In Lombardia (34), Campania (29), Sicilia (28) e Piemonte (27) il maggior numero di atti violenti verso i poliziotti penitenziari.” Anche sul fronte della sicurezza le cifre forniscono elementi di preoccupazione “ In quest’anno sono evasi 11 detenuti da istituti penitenziari, 2 da strutture giudiziarie e 2 da plessi ospedalieri. A testimonianza - sottolinea il Segretario della Uil Pa Penitenziari - che il continuo assottigliarsi degli organici di polizia penitenziaria , cui si coniuga una gestione delle risorse scriteriata ed illogica, incide notevolmente sui livelli di sicurezza che si possono garantire. Oggi in tutte le strutture (comprese quelle che ospitano detenuti al 41 - bis) si opera ben al di sotto dei livelli minimi previsti o richiesti. Nonostante ciò si lavora con dedizione e professionalità. Le 17 tentate evasioni da istituti penitenziari, non portate a termine per l’intervento dei baschi blu, ne sono una puntuale conferma. Le evasioni extra - moenia, invece, sono molto più contenute con percentuali assolutamente minime e sostenibili. Infatti sono 2 gli evasi dal lavoro all’esterno, 51 da arresti o detenzione domiciliare, 8 dalla semilibertà, 23 da permessi premio. Anche su questo c’è molto da riflettere, sempreché ci sia ancora qualcuno cui interessa la questione penitenziaria e le condizioni in cui vivono i detenuti e lavorano gli operatori. Giustizia: Sappe; finora nulla di fatto per l’emergenza carceri, chiediamo un incontro al Ministro Ansa, 27 settembre 2010 Un incontro urgente con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano a nove mesi dall’approvazione del Piano carceri del Governo e dalla dichiarazione dello stato nazionale d’emergenza per le criticità penitenziarie: a chiederlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. “La situazione nelle carceri è ogni giorno sempre più allarmante, con un numero di detenuti mai raggiunto prima (quasi 69mila i presenti), carenze organiche di poliziotti gravissime (oltre 6mila e 500 agenti in meno) e gravi eventi critici ogni giorno (primi tra tutti i suicidi di detenuti e le aggressioni agli agenti). Nel gennaio scorso il Ministro Alfano, in un incontro con i Sindacati del Corpo, aveva parlato della previsione di edificare 18 nuove carceri, di cui 10 “flessibili” (di prima accoglienza o destinate a detenuti con pene lievi) e di 47 nuovi padiglioni affiancati a strutture carcerarie già esistenti e dell’assunzione di 2.000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria in tempi rapidissimi, con riduzione dei corsi di formazione a sei mesi. Rispetto a tutto ciò, espressi la fiducia del Sappe nel piano carceri chiesi al Ministro ed al Governo un ulteriore sforzo per una riforma strutturale del sistema penitenziario con più misure alternative, braccialetto, il ricorso all’edificazioni di padiglioni con il sistema modulare che garantisce tempi rapidi di costruzioni e costi più contenuti rispetto al ricorso esclusivo al cemento e soprattutto espulsioni come già avviene in Spagna. Di fatto, però, non si è ancora visto nulla di concreto. Né nuove assunzioni, né nuove carceri, né una nuova politica della pena. Le carceri sono ogni giorno sempre più invivibili, per chi ci lavora e per chi sconta una pena, e il prossimo 31 dicembre ha termine il decreto del Governo di emergenza nazionale sulle carceri. Quali sono stati realmente gli interventi adottati? Quali risultati ci si prefigge di raggiungere? Quali prossimi urgenti provvedimenti intendono assumere Ministero della Giustizia e Governo? Un confronto con il Ministro della Giustizia Alfano su questi temi è urgente e prioritario, atteso che oggi abbiamo quasi 70mila detenuti in carceri nate per ospitarne poco più di 42mila, controllati da agenti di polizia penitenziaria che sono ben 6mila e 500 rispetto agli organici previsti.” Giustizia: Osapp; sui morti in carcere il Ministro non ha nulla da dire? Il Velino, 27 settembre 2010 “Continua a dire dei risultati delle forze di polizia, cui per primi siamo orgogliosi. Nulla purtroppo da parte del ministro della giustizia per i morti in carcere, dichiara Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp - sindacato di Polizia Penitenziaria. Se si considera che a suicidarsi nelle carceri non sono i “mafiosi” che tutti vogliamo in galera, ma giovani che commettono reati comuni o extracomunitari che hanno la colpa di essere giunti nel nostro paese da clandestini. Non credo - continua Nicotra - che gli italiani volessero questo dal Governo Berlusconi. Ma certamente non lo vuole la Polizia Penitenziaria che è costretta ad assistere in carcere, all’arroganza dei mafiosi come Giovanni Brusca che in cella si può permettere il computer e ben altro. E invece - conclude Nicotra - questi ragazzi, sventurati, che vengono da altri paesi sperando di risollevare le sorti della loro vita si trovano abbandonati in celle spoglie e senza un agente in sezione che possa impedirgli di fare gesti estremi. Il piano carceri è ormai noto che fa parte delle tante promesse del Ministro Alfano. In Sicilia non si stanno costruendo le carceri nuove ed è gravissimo che sono state abbandonate quelle esistenti”. Giustizia: Osapp; sezioni detentive aperte senza agenti per farle funzionare, dov’è il Ministro? Adnkronos, 27 settembre 2010 “Dopo Rieti e Trento anche a Parma aumentano i posti per i detenuti senza poliziotti penitenziari: l’armiamoci e partite nell’Amministrazione penitenziaria ha raggiunto il culmine”. Così Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria, commenta la prossima riapertura di 5 sezioni detentive negli istituti penali di Parma, senza unità di personale aggiuntive. “Per Parma la carenza di organico è già di 80 unità - prosegue - e se si aggiungono, come sembrerebbe, altri 350 posti di poliziotti penitenziari ne mancheranno addirittura 150, pari a quasi il 50% dell’attuale organico. Accadrà così per Parma, quanto già occorso per il nuovo istituto di Rieti consegnato all’amministrazione penitenziaria da un anno e funzionante per meno della metà dei posti previsti - aggiunge il sindacalista - o come avverrà a novembre per il nuovo istituto di Trento in cui per oltre 300 agenti in organico ce ne potranno essere, nel massimo, 106 anche se in questo caso i soldi ce li ha messi la Provincia”. Per questo, annuncia il sindacalista, “è previsto il prossimo 30 settembre un sit - in con volantinaggio dei sindacati davanti alla Prefettura di Parma, ma il problema oramai è soprattutto politico - conclude Beneduci - visto che al di là delle gravi pecche del Dap la reiterata assenza del ministro Alfano a tali problemi indica che in Italia, oltre al ministro per lo Sviluppo economico manca un ministro per le carceri”. Giustizia: caso Cucchi; la famiglia decide di non costituirsi parte civile Avvenire, 27 settembre 2010 I congiunti di Stefano non condividono la tesi del pubblico ministero, che accusa della morte del ragazzo i medici del “Pertini” e non gli agenti che lo pestarono La famiglia Cucchi “sta seriamente pensando a non costituirsi parte civile” nel processo per la morte di Stefano. La sorella Ilaria e i genitori non condividono affatto l’impostazione dell’accusa, che indica solo nei medici del Pertini, e non anche negli agenti penitenziari accusati solo di lesioni, i Stefano Cucchi responsabili della morte del giovane. “Stefano - ripete Ilaria Cucchi - se non fosse stato pestato da quegli agenti penitenziari non sarebbe mai finito all’ospedale Pertini dove è stato lasciato morire da alcuni medici”. La speranza di Ilaria Cucchi, ora, è che il gip - che il 26 ottobre chiude le udienze preliminari chieda ai pm di rivedere le accuse. Ilaria Cucchi confessa il suo sconforto: “So che almeno uno degli agenti penitenziari chiederà il rito abbreviato. Andare al dibattimento con la sola accusa di lesioni, per loro, è un invito a nozze. Noi abbiamo visto il corpo di Stefano, sappiamo che non è morto di malattia”. Allora perché imputare solo ai medici la morte del geometra romano? “Non riesco a capirlo. Chiedo ai pm che il capo di imputazione dei medici sia esteso anche agli agenti penitenziari”. La sorella del giovane ricorda tutte le contro - perizie che hanno confermato le gravi lesioni interne ed esterne subite dal giovane in camera di sicurezza al tribunale di Piazzale Clodio. “Lo abbiamo documentato: prima dell’arresto - dice Ilaria Cucchi - mio fratello stava bene. La mia famiglia ne ha sentite di tutti i colori: che Stefano era morto di morte naturale, che le fratture erano pregresse... Noi per primi ci siamo messi in discussione ed è stata una grande fatica e un grande dolore. Alla fine la dinamica è stata chiarita. Ma con un’accusa così non si arriverà alla verità”. I colpevoli della morte di Stefano, ripete Ilaria, “sono gli agenti che l’hanno pestato. Senza di loro non sarebbe successo nulla, non sarebbe finito al Pertini dove, è vero, è stato lasciato morire. Trovarmi in tribunale davanti a quegli agenti che rischiano ben poco non mi va affatto”. Le prossime udienze del giudice per le indagini preliminari sono previste per il 5, il 19 e il 26 ottobre. “Spero davvero che in questa occasione il gip chieda ai pm di rivedere l’impianto accusatorio. Non sarebbero obbligati a farlo, ma sarebbe un pronunciamento importante”. Indicare solo nei medici, dice la famiglia, i responsabili della morte racconta solo metà della verità: “Lo sappiamo benissimo, il meccanismo che ha innescato il processo che ha portato alla morte di Stefano - dice Ilaria - è stato il pestaggio. Mio fratello non è arrivato al Pertini per un intervento di chirurgia estetica. Se non si parte da qui, mai potrà essere fatta giustizia”. Certo, dice la donna, “il ruolo dei medici è gravissimo. Non abbiamo nulla da obiettare alle accuse sul loro conto, l’avrebbero potuto salvare, rabbrividisco quando ci penso. Ma ci sono responsabilità altrettanto grandi da parte di altri”. Ilaria ripete la sua gratitudine a chi in questi mesi ha indagato. “Siamo grati ai pubblici ministeri - puntualizza - per il lavoro svolto. Guardando a casi analoghi ci rendiamo conto che non sempre è scontato arrivare a un processo. Penso a Lucia Uva, la sorella di Giuseppe, (ucciso a Varese in circostanze analoghe, ndr) che da due anni va chiedendo giustizia. Noi, a un anno dalla morte di Stefano, abbiamo già raggiunto un grande risultato. Ora dai pm mi aspetto che con la stessa serietà rivedano i capi di imputazione. Non si renderebbe giustizia e non si arriverebbe alla verità”. Lazio: Cgil; occorre ristabilire la legalità nel sistema penitenziario Comunicato stampa, 27 settembre 2010 La Fp-Cgil di Roma e Lazio domani mattina sarà al fianco delle associazioni del volontariato delle carceri al sit - in presso Montecitorio, per chiedere al governo risposte chiare sull’emergenza penitenziari nel nostro paese. Solo nel Lazio vi sono più di 6.300 detenuti, quasi 2.000 in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti della regione. Un dato, quello degli oltre 6.000 detenuti delle carceri del Lazio, che impressiona ancora di più perché quasi il 50% di questi è in attesa di un giudizio definitivo, e che dimostra quanto sia urgente affrontare seriamente la riorganizzazione del sistema giudiziario. Una vera emergenza che, unita al taglio dei finanziamenti e alla mancanza cronica di personale, può sfociare in una vera e propria rivolta sociale. Disastroso, inoltre, è il trattamento sanitario riservato ai detenuti, a cui viene negato nei fatti il diritto alla salute. È insopportabile vedere strutture carcerarie come quelle di Rieti e Velletri sottoutilizzate per mancanza di personale, o realtà dove il personale è estremamente insufficiente. I dati parlano chiaro: la differenza tra numero di addetti sulla carta e presenze reali, unito al sovraffollamento, si traduce in stress da lavoro, ore di lavoro straordinario non retribuite, aggressioni subite. Condizioni insopportabili per il personale della polizia penitenziaria che, oltre ad essere mal pagato, lavora in strutture fatiscenti. Occorre intervenire, non si può più aspettare oltre, il governo metta da parte gli annunci propagandistici e affronti con atti concreti questa emergenza. Lorenzo Mazzoli Segr. Gen Fp Cgil Roma e Lazio Marche: emergenza carceri, il Garante dei detenuti convoca i direttori degli istituti Agi, 27 settembre 2010 Un incontro organizzato per il 7 ottobre in cui si affronteranno varie tematiche, in particolare la situazione in cui vivono i carcerati. Si chiede anche di rivedere la legge Bossi - Fini per l’immigrazione Ancona, 27 settembre 2010 - Un incontro con tutti i direttori pentinenziari delle Marche promossa da Ombudsman e da Italo Tanoni, garante dei detenuti, per affrontare varie problematiche negli istituti. È quanto è stato organizzato ad Ancona per il 7 ottobre, per esaminare la situazione dei detenuti nella regione. Un incontro a cui prenderà parte anche il presidente del consiglio regionale Vittoriano Solazzi. Parteciperanno ovviamente i direttori delle carceri, i direttori sanitari e una rappresentanza degli agenti di custodia. “Non chiediamo un provvedimento di clemenza - ha detto Tanoni - ma di rivedere alcune leggi come la Bossi - Fini per l’immigrazione, la Fini - Giovanardi per le tossicodipendenze e l’ex Ciriello sulla recidiva. Senza la riforma di queste leggi le carceri si riempirebbero di nuovo”. Non solo Ancona e Fermo: il Garante ha visitato anche la Casa circondariale di Pesaro - Villa Fastiggi, dove ha incontrato la Direttrice Claudia Clementi e il vice comandante della polizia penitenziaria Tiziano Tontini Belluno: detenuto di 27 anni si impicca, è il 51° suicidio dell’anno nelle carceri italiane Il Gazzettino, 27 settembre 2010 Si è tolto la vita in cella, impiccandosi con un paio di pantaloni. Mirco Sacchet, 27 anni, di Cesiomaggiore (Belluno), detenuto nel carcere di Baldenich dal gennaio 2009 per il furto di un’auto, si ucciso ieri mattina alla vigilia di un nuovo processo che oggi lo avrebbe visto alla sbarra per resistenza a pubblico ufficiale. Forse lo spettro di una nuova condanna che avrebbe allungato la sua già lunga permanenza in carcere, è stato il disperato movente di un gesto così drammatico. Inutile il tentativo di rianimarlo. All’ospedale è giunta solo la salma, trasferita nell’obitorio dove, questa mattina, sarà effettuata l’autopsia disposta dal magistrato di turno. È morto ieri mattina alle 6. Ogni tentativo di salvarlo è stato inutile. Mirco Sacchet, 27 anni, di Cesiomaggiore, con alle spalle diversi precedenti penali prevalentemente per reati contro il patrimonio, si è impiccato nella sua cella, usando un paio di pantaloni. Una fine tragica, alla vigilia dell’ennesimo processo a suo carico che avrebbe dovuto aprirsi questa mattina in tribunale a Belluno. Gli contestavano una resistenza a pubblico ufficiale e ingiurie. I due carabinieri del radiomobile di Feltre, contro i quali Sacchet avrebbe opposto resistenza, figurano come parti civili. Un processo che, con buona probabilità, rischiava di allungare la sua già lunga permanenza in carcere. Sacchet, infatti, avrebbe dovuto uscire tra tre mesi dopo 21 mesi di detenzione. Una nuova eventuale condanna gli sarebbe costata altri mesi da passare drammaticamente dietro le sbarre. Ma sono solo ipotesi, perché il giovane non avrebbe lasciato alcun biglietto di spiegazione del suo gesto. Forse la migliore spiegazione arriva dai dati nazionali secondo i quali, dall’inizio dell’anno ad oggi, sono stati già 50 i casi di suicidio dietro le sbarre. E con il cesiolino fanno 51. I due terzi avevano meno di 40 anni e la maggior parte di loro si è tolta la vita per impiccagione. Mirco era stato arrestato il 16 gennaio 2009, mentre viaggiava a bordo di una Opel Astra risultata rubata a Sedico, in via Montale. Con lui anche un complice del quale non si è mai saputo nulla. Da allora Sacchet sarebbe sempre rimasto in carcere. Ieri mattina l’epilogo. Sul posto è arrivata un’ambulanza del pronto soccorso. I sanitari hanno provato a rianimarlo sul posto, ma non c’è stato nulla da fare. La sua salma è stata quindi trasferita all’obitorio dell’ospedale dove è stato raggiunto dai familiari. Oggi sarà effettuata l’autopsia. Disperazione, solitudine e senso di emarginazione sono forse il movente più credibile, capace di piegare anche gli spiriti più ribelli. O forse solo apparentemente ribelli. Ancona: ancora mistero sulla morte in cella di Ajoub Ghaz, la direzione del carcere indaga Il Resto del Carlino, 27 settembre 2010 Ufficialmente l’amministrazione penitenziaria non prende posizione su questa morte misteriosa di cui il Carlino ha dato notizia nell’edizione di ieri. Ma da fonti interne al carcere di Montacuto sembra che il maghrebino, che doveva scontare una pena per spaccio di droga e ricettazione, non avesse preso nelle ultime ore alcun farmaco. Il giovane sarebbe stato solito alzarsi sempre verso mezzogiorno. Sabato i suoi compagni di cella sono usciti più o meno a quell’ora per andare in cortile. Lo hanno lasciato in cella a dormire. Quando sono rientrati, verso le 14.30 circa, i detenuti che dividevano la cella con Ghaz si sarebbero accorti che l’uomo era ancora nella stessa posizione di prima, pancia sotto e viso schiacciato sul cuscino. Si sono insospettiti e hanno scosso il corpo, come a voler ricevere una reazione da parte del nordafricano. Ma si sono ben presto dovuti rendere conto che il corpo era rigido. Ghaz era morto già da un po’, probabilmente il decesso risale al primo mattino o alla nottata precedente. Sarà l’autopsia, già disposta dalla Procura di Ancona e che verrà eseguita questa mattina all’ospedale di Torrette, a determinare l’ora del decesso e soprattutto a svelare le cause. Il sanitario della medicina legale dell’ospedale di Torrette che ha effettuato una prima ispezione cadaverica, avrebbe constatato l’assunzione di farmaci da parte di Ghaz. Ora sarà chiaramente l’esame autoptico a stabilire a quando risale l’assunzione di medicinali e soprattutto se c’è una correlazione tra i farmaci e il decesso. L’amministrazione penitenziaria ha aperto un’inchiesta interna, come è prassi in casi simili. I compagni di cella di Ghaz sono stati già ascoltati e avrebbero confermato che il tunisino, a quanto risultava loro, non aveva assunto un mix di farmaci. Una cosa molto strana, visto che i primi accertamenti medici avevano fatto chiaramente intendere che l’uomo non era morto per cause naturali. Resta da chiedersi, allora, come sia possibile che i farmaci siano arrivati così facilmente in cella visto che i detenuti possono assumere i medicinali solo alla presenza di personale medico e infermieristico e per reali esigenze di salute. “Con la morte di Ajoub Ghaz nel carcere di Ancona salgono a 50 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane da inizio 2010 - comunica in una nota l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. In nemmeno nove mesi è stato così eguagliato il numero di suicidi avvenuti nell’intero anno 2006 e superato quelli degli anni 2007 (45 casi) e 2008 (46 casi). Il 2009 è stato l’anno del tragico ‘record’, con 69 suicidi (72 secondo alcune fonti), che quest’anno potrebbe essere superato”. Gorizia: il carcere di via Barzellini cade a pezzi. personale di custodia ridotto all’osso Il Piccolo, 27 settembre 2010 Struttura degradata, carenza di personale di custodia, una sezione aperta su tre. Questo, in brevissima sintesi, il “ritratto” della sgangherata Casa circondariale di via Barzellini. “Dopo il carcere di Pordenone, quello di Gorizia è uno dei peggiori d’Italia. È fatiscente, inadeguato e nessuno sembra interessarsene”. È il consigliere regionale Giorgio Brandolin a lanciare l’allarme. E ricorda il sopralluogo effettuato nell’agosto scorso. “Tutta la politica comunale e provinciale deve prendere posizione: quel carcere deve essere chiuso e individuata una nuova sede. Capisco che ci sono tanti problemi da risolvere ma questo è, sino a prova contraria, uno Stato civile. E quel carcere è una struttura in cui regna l’inciviltà”. Ad accogliere la delegazione in quella visita agostana fu il comandante del reparto Polizia penitenziaria Alessandro Bracaglia. L’ispezione evidenziò che nel carcere goriziano, la cui capienza è di 30 posti, erano ospitati a quella data 47 detenuti: di questi, 30 erano detenuti comuni, 7 con condanna definitiva, 27 in attesa di giudizio, 7 in appello e 6 ricorrenti. Venti i tossicodipendenti, sei dei quali sotto metadone. Il questionario compilato nel corso della visita rivelò poi che nella popolazione carceraria sono due i casi di epatite C, sette quelli psichiatrici, 24 gli stranieri e 9 i detenuti dipendenti dall’amministrazione penitenziaria. Gli esiti del sopralluogo sono contenuti nel blog di Giorgio Brandolin. “Le condizioni dall’ambiente carcerario si sono rivelate difficili: ogni cella ha 21 metri quadrati, con bagno separato, acqua calda e luce naturale (ma le condizioni generali sono definite “cattive”). Buone le docce comuni, appena rifatte. Le ore passate in cella sono 20, le ore d’aria 4. La visita rivelò che, nonostante i lavori effettuati sull’edificio una decina di anni fa, piove ancora dal tetto, mentre la sala - riunioni non è agibile per problemi strutturali al solaio”, sottolinea Brandolin. Ma il problema più grande è che l’edificio non è più ristrutturabile: “Il Comune di Gorizia avrebbe dovuto indicare da tempo un luogo alternativo (anche dismesso o da recuperare) in cui trasferire il carcere, ma ancora non l’ha fatto. Purtroppo - accusa il consigliere regionale - registro il più totale disinteresse riguardo alla struttura carceraria goriziana. Mi aspettavo qualche intervento ma tutti se ne sono stati zitti. Al momento, quindi, due terzi della struttura non sono agibili e questo aggrava i problemi di sovraffollamento. Come rilevo anche nel mio blog su Internet, l’aspetto positivo è la grande e profonda umanità che abbiamo riscontrato tra guardie e detenuti”. Da ricordare che nel luglio scorso ci fu un altro sopralluogo. “Il carcere di Gorizia attualmente è una struttura degradata: probabilmente una delle più degradate d’Italia”. Ad affermarlo fu il consigliere regionale Roberto Antonaz. Accompagnato da Simone Santorso dell’associazione Antigone, effettuò una visita nella Casa circondariale di via Barzellini a Gorizia. E il resoconto, una volta di più, fu tutt’altro che incoraggiante. Sassari: convenzione tra l’Università e il Tribunale di Sorveglianza per la giustizia riparativa La Nuova Sardegna, 27 settembre 2010 Quei quattro fogli della convenzione li hanno firmati con il sorriso sulle labbra. Un po’ perché quando si trovano accordi c’è sempre da essere felici, molto di più perché c’era la consapevolezza di concretizzare qualcosa di realmente importante. L’Università di Sassari e il Tribunale di Sorveglianza lavoreranno in sinergia nell’interesse della giustizia ma anche nella delicata fase che punta al reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti. Ieri le firme del rettore Attilio Mastino e del presidente dell’organo giudiziario sassarese Maria Antonia Vertaldi. La convenzione, che coinvolge direttamente anche le carceri di San Sebastiano e Alghero ha delle finalità molto nobili, tra le quali favorire lo sviluppo culturale e la formazione universitaria delle persone detenute e promuovere la ricerca scientifica per migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena. “L’Università, nel suo fondamentale ruolo sociale deve sentire la responsabilità di collaborare con le istituzioni”, dice Attilio Mastino. La convenzione tra i due enti si aggiunge a quella già firmata con il Comune di Sassari per sviluppare progetti che contrastino attività criminose recidivanti e che sostengano l’inserimento di ex detenuti nel mondo del lavoro. “Spesso il Tribunale di Sorveglianza - spiega il presidente Vertaldi - viene equivocato come l’istituto che non garantisce la certezza della pena sottovalutando il suo fondamentale ruolo sociale”. Attraverso il documento, sarà attivato un osservatorio sui percorsi di inserimento sociale con una banca dati costantemente aggiornata e un monitoraggio degli interventi attuati nei confronti dell’autore del reato. Saranno sostenute, inoltre, iniziative per prevenire il rischio psicosociale, il disagio e la devianza. Ultimo punto, anche questo molto importante, previsto nella convenzione è quello di avviare iniziative in materia di “giustizia riparativa” per sensibilizzare i cittadini e incentivare gli operatori del diritto a promuovere una diversa cultura in tema di “gestione del conflitto”. Ma anche smuovere i detenuti intorno ai temi della richiesta del perdono, del risarcimento del danno e della comprensione del dolore non solo delle vittime ma anche delle loro famiglie. Brindisi: l’associazione “Famiglie fratelli ristretti” si ricrede; questo carcere è ok www.senzacolonne.it, 27 settembre 2010 L’associazione brindisina “Famiglie fratelli ristretti” era stata la prima realtà a cui uno sparuto gruppo di detenuti s’era rivolto per denunciare i disagi vissuti all’interno del carcere di via Appia. In una lettera con dichiarazioni al vetriolo si raccontavano, per filo e per segno, le cose che non andavano. Oggi, a distanza di due settimane, il presidente dell’associazione Renato De Giorgi e il segretario Francesco Nardelli, non se la sentono più di sostenere la tesi dei disservizi nel carcere brindisino. Lo stesso Nardelli, dopo un lungo colloquio con il comandante della polizia carceraria Giuseppe Levante, dichiara di aver constatato, con i propri occhi, che la situazione non è affatto così critica. “Ho avuto il piacere di confrontarmi con il comandante Levante. Dopo quella segnalazione riguardo una serie di problemi nel carcere abbiamo voluto verificare la situazione di persona, anche alla luce di una smentita firmata da tanti altri detenuti che invece affermavano il contrario”. Nardelli sottolinea l’ottima impressione ricevuta in occasione della sortita di qualche giorno fa nel carcere. “Abbiamo riscontrato che molte delle “accuse” riportate in quella lettera non avevano ragione di esistere. Anzi. La situazione c’è sembrata particolarmente buona, soprattutto relativamente al rapporto tra detenuti e agenti. Il comandante ci ha mostrato tante lettere scritte dai detenuti e indirizzati alla direzione del carcere con le quali si esterna tanta gratificazione per il trattamento ricevuto e per le tante iniziative intraprese a favore di chi sconta una pena in quelle celle”. Si tratta di una circostanza importante che dimostra la sincera intenzione dell’associazione brindisina di fotografare la realtà carceraria obiettivamente, senza accettare distorsioni o, come potrebbe apparire, amplificando le situazioni. E tutto pare risultare il risultato di una precisa scelta, proprio come conferma Nardelli: “La nostra funzione è quella di interfacciarci al meglio con chi lavora in ambito carcerario. E questa collaborazione può essere consolidata solo lavorando all’unisono e per il bene della verità. Ecco perché abbiamo voluto verificare personalmente se fosse vero quello che veniva denunciato in quella lettera. E abbiamo compreso che forse s’era trattato dello sfogo di un singolo oppure di una constatazione occasionale che, in ogni caso, non corrisponde a verità”. Sarebbe ipocrita, comunque, ammettere, che il carcere di Brindisi sia davvero scevro di problemi. I problemi di sovraffollamento restano e sono, costantemente, denunciati. Così come sono puntualmente segnalate le difficoltà nella conduzione delle strutture carcerarie a causa dei pochi finanziamenti statali che da anni ormai non consentono di gestirle al meglio. “Rinnoviamo in questa circostanza - spiega Nardelli - il nostro massimo impegno per superare i piccoli grandi problemi. Almeno quelli che possono essere superati. Il comandante Levante, ad esempio, ci ha segnalato la mancanza di un calciobalilla nel carcere. Si tratta di un passatempo che nelle condizioni vissute dai detenuti può rivelarsi essenziale per sollevare l’umore e per migliorare la vita in un luogo in cui non si devono solo pagare gli errori fatti, ma si deve ricercare la serenità per ricominciare a vivere rettamente”. Porto Azzurro: solidarietà dei detenuti al direttore indagato per le attività della coop San Giacomo Il Tirreno, 27 settembre 2010 Una lettera firmata da cinque detenuti, i dipendenti della Cooperativa San Giacomo che lavorano nel ristorante di Pianosa. Poche righe per esprimere solidarietà al direttore del carcere di Porto Azzurro, Carlo Mazzerbo, e alla moglie, Claudia Lorenzini, coinvolti nell’indagine condotta dalla Guardia di Finanza sulle attività della cooperativa. Un’inchiesta articolata, conclusa poche settimane fa, e cominciata nel 2008 - a seguito di una denuncia da parte di un detenuto di Porto Azzurro - che oggi coinvolge 13 persone (tra cui anche l’educatore del carcere Domenico Zottola) a vario titolo per reati che vanno dalla concussione alla truffa all’appropriazione indebita fino a reati ambientali contestati per attività edilizie portate avanti dalla società. “I dipendenti della cooperativa San Giacomo che lavorano nel ristorante di Pianosa - scrivono i cinque detenuti - colgono l’occasione per esprimere la propria solidarietà verso il dottor Mazzerbo e sua moglie in merito alla vicenda balzata alla cronaca ultimamente, fiduciosi nella loro estraneità al riguardo. Inoltre vogliamo proprio ringraziarli di quanto fatto per noi fino ad ora e che queste poche righe possano servire a sostenerli nel proseguo di questa complicata vicenda”. Sulmona: detenuto morto per overdose, sotto accusa un compagno che gli avrebbe ceduto l’eroina Il Centro, 27 settembre 2010 A incastrarlo sono stati alcuni flaconi ritrovati nella cella durante la perquisizione ordinata dalla Procura subito la morte di Domenico Cardarelli. È Ciro Ciotola, 43 anni di Napoli, secondo il procuratore Federico De Siervo, il detenuto che ha ceduto a Cardarelli la dose letale di eroina alla quale il fisico debilitato del recluso 39enne di Roma non ha resistito. L’uomo è stato arrestato su ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del tribunale di Sulmona. Le accuse sono di omicidio colposo, cessione di sostanze stupefacenti e morte come conseguenza di reato. Il provvedimento è stato notificato in carcere nei giorni scorsi con il risultato che Ciotola è stato immediatamente trasferito dalla sezione internati a quella dei detenuti in attesa di giudizio. Il detenuto napoletano che stava scontando la pena aggiuntiva nella casa di lavoro, sempre secondo la ricostruzione della Procura e avallata dal gip nell’ordinanza di arresto, sarebbe rientrato ai primi di aprile da una licenza premio portando con sé la droga che avrebbe poi ceduto a Cardarelli. Sulla vicenda è ancora in corso l’inchiesta interna aperta dalla direzione del carcere per scoprire le modalità con cui è entrata la droga ed eventuali responsabilità del personale destinato al controllo al rientro dei detenuti. Ragusa: l’Associazione Laica per gli Immigrati attiva nuovi servizi rivolti ai detenuti stranieri La Sicilia, 27 settembre 2010 Sottoscritto dalla Provincia un importante protocollo d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Direzione Casa Circondariale di Ragusa e l’Associazione Laica per gli Immigrati (Ali). Il protocollo prevede un progetto di organizzazione ed espletamento di mediazione culturale per detenuti stranieri, sulla base delle esigenze e delle emergenze che attualmente interessano il carcere di Ragusa. “Èstata individuata una mission - ha spiegato Piero Mandarà assessore provinciale alle Politiche Sociali - del progetto Pedagogico d’Istituto 2010 denominato “I detenuti stranieri ed extra comunitari: interventi specifici per favorire la loro integrazione”. Saranno attivati interventi socio - trattamentali utili a facilitare la loro integrazione come ad esempio: servizi di consulenza per agevolare la comprensione delle norme ed il funzionamento delle istituzioni italiane, assistenza linguistica, istruzione di procedimenti amministrativi, organizzazione di attività culturali e ricreative, creazione di un ponte di comunicazione tra le varie etnie presenti in istituto e conoscenza delle varie usanze gastronomiche.” “L’idea, inoltre, - dichiara Maria Monteiro presidente dell’Ali - è quella di favorire la comprensione e l’integrazione tra detenuti italiani e stranieri, così da prevenire e meglio gestire l’insorgenza di eventuali tensioni tra i diversi gruppi etnici ristretti all’interno dell’istituto”. “Una sinergia perfetta - conclude Piero Mandarà - che ha lasciato molto soddisfatto anche il direttore della casa Circondariale di Ragusa, Santo Mortillaro”. Venezia: Casellati; in arrivo 2,5 mln di euro per ristrutturare il carcere femminile della Giudecca Ansa, 27 settembre 2010 Per il carcere femminile di Venezia sono in arrivo due milioni e mezzo di euro da destinare alle ristrutturazioni. L’annuncio è stato dato dal sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, al termine della visita all’istituto di pena dell’isola della Giudecca. La cifra verrà impiegata in particolare per il progetto Icam, destinato alle mamme detenute con figli piccoli, e per il restauro dei due fabbricati situati verso il rio esterno, attualmente non utilizzati. Data la loro collocazione, gli immobili non potranno essere destinati a ospitare nuove celle, ma consentiranno la realizzazione di strutture di custodia attenuata, che permetteranno anche la disponibilità di ulteriori spazi da dedicare alle attività di riabilitazione delle detenute. Enna: Sappe; nel carcere inapplicata legge 626 sulla sicurezza, sezioni allagate dopo un temporale Il Velino, 27 settembre 2010 Carcere di Enna, il delegato provinciale del Sappe, Filippo Bellavia, scrive in una nota che “l’amministrazione ha avuto un’intera stagione estiva per correre ai ripari e porre rimedio alle forte infiltrazioni d’acqua che invadono i corridoi, gli uffici, e alcune sezioni detentive ogni qual volta piove ma non c’è alcun interesse a farlo. Solo parole, parole che non bastano per eliminare le condizioni di disagio e rendere più dignitoso l’ambiente lavorativo per il personale che vi opera”. Il sindacato dichiara lo stato di agitazione, riservandosi di informare l’autorità giudiziaria, sanitaria e del lavoro. Secondo Bellavia presso il Reparto della Polizia Penitenziaria di Enna gli agenti lamentano una forte carenza igienico sanitaria, strutturale e seri problemi operativi che causa stress psicofisico, l’intera caserma, versa in pessime condizioni igieniche, i servizi igienici sporchi e puzzolenti, gli arredi assenti o guasti da diversi anni. Inoltre la struttura presenta evidenti segni di deterioramento, pareti e soffitti sono scrostati e pieni di muffa, l’umidità è costantemente presente, in più parti l’intonaco è crollato, l’applicazione della Legge 626 è inesistente, infatti vi sono cavi elettrici situati alla meno peggio, a volte gli stessi subiscono corti circuiti con forte fiammate e seri rischi per il poliziotto che vi opera; un solo agente di polizia deve ricoprire diversi posti di servizio per via della mancanza di poliziotti. “Nonostante i disagi e lo stress a cui vengono sottoposti gli agenti - conclude la nota - l’amministrazione penitenziaria rimane assente ed insensibile, obbligando gli operatori ad espletare attività lavorativa straordinaria, che non viene messa in pagamento, a cambi turno di servizio senza tener conto degli impegni familiari, obbligando gli agenti a recarsi presso i Reparti della Polizia Penitenziaria di fuori distretto”. Carcere allagato: agenti in servizio con stivali Un violento acquazzone ha colpito stanotte la provincia di Enna. In seguito alle abbondanti piogge, le sezioni della casa circondariale di Enna sono tutte allagate. Il personale di polizia penitenziaria è in servizio con gli stivali per muoversi nei corridoi del piano terra e del primo piano. L’intera postazione all’ingresso della sezione totalmente. Altro che emergenza carceri, a Enna già negli anni scorsi sono intervenuti anche i vigili del fuoco dopo le piogge per risucchiare l’acqua e, nonostante gli annunci di lavori alle strutture, a Enna nulla è cambiato. Reggio Calabria: a Locri una manifestazione per ricordare Paolo Quattrone www.newz.it, 27 settembre 2010 Il Sindaco della Città di Locri, Francesco Macrì, invita i Cittadini e gli Organi di Stampa a presenziare alla manifestazione di commemorazione “Ricordo Di Paolo Quattrone, Servitore dello Stato” che si terrà lunedì 27 Settembre alle ore 10.00 presso “Giardino Di Zaleuco”, accanto alla Casa Circondariale di Locri. L’appuntamento è organizzato dal Centro Servizi Al Volontariato Dei Due Mari Reggio Calabria, dalla Città di Locri e dalla Casa Circondariale di Reggio Calabria e di Locri. Il programma della manifestazione prevede l’introduzione della dottoressa Patrizia Delfino, Direttore Casa Circondariale di Locri, a seguire gli interventi di Mario Nasone, Presidente del Centro Servizi Al Volontariato Dei Due Mari Reggio Calabria, di Francesco Macrì Sindaco della Città di Locri. ed ancora le testimonianze di Giuseppe Cusato, agente di Polizia Penitenziaria; Attilio Tucci, Assessore Politiche Sociali Provincia di Reggio Calabria; Stefania Grasso Associazione “Libera”; Nicola Gratteri Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Coordina Antonio Condò giornalista di Gazzetta del Sud e di Rai 3 Calabria. Alle ore 12.00 presso al Cappella della Casa Circondariale è prevista la proiezione di un video e, a seguire, sarà celebrata la Santa Messa officiata da S.E. Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Vescovo della Diocesi Locri - Gerace. “Definire Paolo Quattrone servitore dello Stato è il miglior modo per commemorare la figura del compianto provveditore dell’amministrazione penitenziaria calabrese - ha dichiarato il sindaco Macrì - , il quale, nella sua opera di sensibilizzazione rispetto alla problematica delle carceri, ha inteso promuovere e sostenere un ampio progetto di recupero sociale e morale di coloro i quali hanno pagato il loro debito con la giustizia e che, senza alcuna aprioristica preclusione, hanno dimostrato la propria volontà di reinserirsi nella società”. “Ricordo con affetto l’uomo Paolo Quattrone come amico e come amministratore anche perché ha rappresentato un punto di riferimento per la nostra città - ha sottolineato il sindaco di Locri - , perché con lui abbiamo realizzato importanti iniziative quali il Patto Penitenziario della Locride, sottoscritto da Ministero della Giustizia, Comune di Locri, Prefettura, Provincia di Reggio Calabria, Fondazione Zappia ed al quale ha aderito successivamente anche l’Azienda sanitaria. Ricordo anche la nascita dell’ Agenzia d’inclusione sociale intitolata a “Vincenzo Grasso” e, attraverso l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia, abbiamo attivato lo Sportello Informativo per la Locride che fornisce informazioni, consulenze ed orientamento a ex - detenuti, a famiglie di detenuti ed in generale a persone con problemi di giustizia, al fine di facilitare i percorsi di reinserimento lavorativo e sociale delle persone che hanno scontato il loro debito con la giustizia e che hanno la volontà di rientrare nella legalità”. “La scelta di tenere la manifestazione in ricordo del dottore Quattrone nel “Giardino di Zalueco” non è casuale - ha concluso il sindaco Francesco Macrì - , perché proprio questo luogo vicino alla restaurata casa circondariale di Locri è stato realizzato grazie al nostro impegno ma, soprattutto, all’ottimo rapporto con l’amico Paolo che ha portato alla realizzazione nascita di uno spazio verde giunto a coronamento della modernizzazione di tutta l’area compresa intorno al carcere, compreso il rifacimento dei marciapiedi e le panchine. Per tutti questi motivi mi farò promotore, presso il Ministero della Giustizia, per intitolare a Paolo Quattrone la Casa Circondariale di Locri”. Aosta: alla Cittadella dei Giovani si discute di “emarginazione e carcere” Aosta Sera, 27 settembre 2010 Oggi alle ore 17.30, prende il via la decima edizione della Festa del Volontariato con una tavola rotonda alla presenza dell’Assessore alla Sanità Lanièce, Don Aldo Armellin, Direttore della Caritas, Domenico Minervini, Direttore del Carcere di Aosta. È la tavola rotonda “Dall’emarginazione al carcere, dal carcere all’emarginazione. Solidarietà o riconoscimento dei diritti?” la prima iniziativa della decima edizione della Festa regionale del volontariato. All’incontro, in programma oggi, lunedì 27 settembre alle ore 17.30 presso la Cittadella dei giovani di Aosta, interverranno Albert Lanièce, Assessore regionale alla Sanità, Salute e Politiche sociali, Don Aldo Armellin, Direttore della Caritas Diocesana e Presidente dell’Associazione Diakonia, Piera Asiatici, Presidente dell’Associazione Valdostana Volontariato Carcerario, Odetta Bonin, Presidente Associazione DIAPSI, Domenico Minervini, Direttore della Casa Circondariale di Aosta e Liala Todde, Avvocato penalista del Foro di Torino. A precedere l’appuntamento sarà l’inaugurazione dell’esposizione “Il Volontariato carcerario valdostano al servizio del detenuto”, allestita dai volontari dell’Avvc presso la Cittadella e visitabile fino al 30 settembre con orario dalle 17 alle 20. La mostra sarà visitata dal 28 al 39 settembre da alcune scuole superiori e medie della Valle, alle quali l’associazione di volontariato carcerario proporrà dei laboratori interattivi. Genova: un palcoscenico oltre le sbarre, i detenuti - attori tornano a teatro La Repubblica, 27 settembre 2010 È l’unica compagnia teatrale italiana composta di attori - detenuti che escono dal carcere, in permesso speciale (e non in regime di articolo 21, ovvero semilibertà), per salire sul palcoscenico. Giovedì prossimo (repliche venerdì e sabato) alle ore 11 e alle 20.30, al teatro Duse, sedici detenuti del carcere di Marassi, con alcuni studenti del Dams dell’ Università di Genova, vareranno il loro quarto spettacolo in cinque anni: “Endurance”, un musical che riporta in scena una vicenda reale, della spedizione “transantartica” del capitano Ernest Shekelton, nel 1914. La nave venne intrappolata, e poi stritolata dai ghiacci, e grazie al talento e al lavoro di squadra impostato dal capitano, tutti i partecipanti alla spedizione si salvarono. “Una metafora dell’ esperienza della detenzione - spiega il direttore del carcere di Marassi, Salvatore Mazzeo - il progetto del teatro in carcere e gli spettacoli all’ esterno, certo, comportano dei rischi, ma hanno un profondo valore pedagogico cui non vogliamo rinunciare”. E lancia l’ allarme, il regista di “Endurance”, Sandro Baldacci: “Senza uno spazio per provare, rischiamo di dover concludere l’esperienza teatrale”. Il regista è membro dell’ associazione Teatro Necessario Onlus, fondata un anno e mezzo fa da una delle insegnanti della scuola interna a Marassi (che dipende dall’ istituto Vittorio Emanuele Ruffini), Mirella Cannata, anima profonda di ogni iniziativa che sfondi le pareti della casa circondariale e dia opportunità di emancipazione ai detenuti. Anche i reclusi del settore di alta sicurezza hanno contribuito alla realizzazione di “Endurance”, preparando le t-shirt con il logo dello spettacolo. Invece delle maschere, giovedì, ci saranno 30 agenti della polizia penitenziaria a presidiare il teatro Duse, in sala, poi, i parenti: “I genitori vedranno i figli finalmente protagonisti di qualcosa di positivo - indica Mazzeo - questo servirà sia alle famiglie sia ai ragazzi, per ritrovare fiducia”. È una grande opera corale dove ciascuno, dagli agenti (che non hanno fatto una piega, davanti agli straordinari domenicali per permettere lo svolgimento delle prove) agli insegnanti della scuola del carcere, dal regista alla scenografa Laura Benzi, fino ai detenuti, ciascuno ha messo ciò che poteva a disposizione degli altri. “Non è un modo per distrarre i detenuti - aggiunge Milò Bertolotto, assessore provinciale alle carceri - ma è un percorso prezioso, che la Provincia continuerà a sentire come propria competenza e a sostenere, anche se il decreto Calderoli e la finanziaria tentano di cancellare questo impegno”. “In teatro, si innescano percorsi di condivisione tra pubblico e attori - indica il consigliere regionale Nicolò Scialfa - è un’ opportunità per tutti, questo spettacolo”. Unione Europea: voce troppo bassa contro la pena di morte di Franco Venturini Corriere della Sera, 27 settembre 2010 Essere orgogliosi dell’Europa, oggi, può apparire paradossale. L’Unione Europea attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia e infondo al tunnel non si vede alcuna luce. Eppure proprio oggi, dopo l’uccisione di Teresa Lewis in un penitenziario femminile della Virginia, io sono fiero di essere europeo. Per un motivo semplice quanto moralmente cruciale: in Europa la pena di morte non esiste, e se un Paese vuole aderire alla Ue deve prima abolirla. Sbaglio a vantare questo sentimento di superiorità civile in un mondo dove 91 Paesi prevedono ancora la pena capitale e non hanno intenzione di vietarla? No, non credo. In Europa esistono certo comportamenti anche governativi al limite del rispetto dei diritti umani (soprattutto in tema di lotta all’immigrazione clandestina), ed esistono, come ben sappiamo in Italia, organizzazioni criminali che non esitano a versare fiumi di sangue. Ma lo Stato non uccide. La Legge non uccide. Ed è questo spartiacque etico e giuridico a dividerci da una massa di Paesi che comprende democrazie e totalitarismi, dagli Usa alla Cina, dall’Iran al Giappone o all’Arabia Saudita. Orribili, nella maggioranza di questi Stati, sono anche le procedure previste per la pena capitale. La lapidazione nel mondo islamico più radicale, beninteso. Ma in Giappone le famiglie vengono avvisate soltanto ad esecuzione avvenuta. In Cina le famiglie pagano il costo della pallottola che ha sfondato il cranio del loro congiunto. E in America, ieri, la giornalista ammessa a seguire l’esecuzione per poi riferire ai colleghi raccontava in tv come sul lettino dove era stata legata Teresa Lewis le cinghie fossero inizialmente troppo strette, come uno dei boia, prima di praticare le iniezioni mortali, tentasse di tranquillizzare la condannata dandole dei colpetti sulla spalla sinistra, come la gamba destra, dopo le iniezioni, avesse avuto ancora dei sussulti. Questo andava in tv, perché ormai non aveva più importanza che Teresa Lewis, rea confessa di aver ingaggiato due sicari per uccidere il marito e suo figlio, fosse al limite del quoziente previsto per determinare chi è mentalmente ritardato. Non aveva più importanza che in Virginia nessuna donna fosse stata messa a morte da quasi un secolo. Non aveva più importanza che i due sicari, gli assassini, fossero stati invece condannati all’ergastolo. Ebbene sì, oggi ci sentiamo, con tutti i nostri mali profondi, più civili della democratica America. E bisogna avere il coraggio di dirlo, mentre giustamente ci battiamo per salvare la vita di Sakineh nel tirannico Iran. Bisogna riconoscere che Ahmadinejad ha sì strumentalizzato il caso della Lewis, ma non ha in alcun modo influenzato la sua vicenda. Bisogna far pesare la nostra indignazione sull’America ben sapendo che l’America non è l’Iran. Bisogna insistere nel rigetto della pena di morte pur sapendo che in Usa essa ha origini storiche, e che l’opinione pubblica la vuole. Solo così capiremo, senza ipocrisie, che oggi abbiamo il diritto di sentirci fieramente diversi. Tanto diversi che quanto è avvenuto in Virginia - ma parliamo di un caso per parlare di tanti altri, come avviene per Sakineh - rappresenta per noi una sconfitta. Avvolta nel silenzio, in un silenzio avvilente, e per questo ancora più bruciante. Non occorre, invece, ricordare le motivazioni che spingono noi e tanti altri ad essere nemici della pena di morte. Sacralità della vita umana, dubbia efficacia contro il crimine, pericolo di errori giudiziari non più rimediabili, ognuno può scegliere tra questi e altri motivi di riflessione. Ma visto che siamo europei, e che oggi siamo orgogliosi di esserlo, dobbiamo anche chiederci perché contro la pena di morte chi è contrario non faccia di più. Perché la voce degli abolizionisti non sia più alta, perché questo tema, invece di diventare una bandiera, provochi di solito un imbarazzato buonismo. Certo, basta scorrere l’elenco dei Paesi che applicano la pena di morte per capire chi abbiamo davanti. Ma in campo etico le grandi potenze non dovrebbero esistere. E lo hanno dimostrato quei Paesi - tra questi una impegnata Italia - che si sono a lungo battuti per la firma di una moratoria in sede Onu, e che direttamente o indirettamente sono riusciti a scuotere settori delle opinioni pubbliche altrui favorendo un parzialissimo calo del numero delle esecuzioni. Bene, ma siamo sicuri che quell’impegno continui? L’Italia presenterà come ogni anno la sua proposta di risoluzione all’Onu. Ma non c’è forse, nella nostra diplomazia, la comprensibile quanto sbagliata tendenza a sorvolare sull’argomento per evitare contrasti con l’interlocutore? Non è forse vero che gli europei della Ue, tutti nemici della pena di morte, non riescono tuttavia a prendere sulla scena internazionale una iniziativa davvero unitaria che favorirebbe quella identità comune tanto difficile da raggiungere? E l’Italia, perché non porta questo argomento in Consiglio europeo con la forza necessaria, perché non impone questo tema a Bruxelles? Delle 5600 esecuzioni capitali registrate nel 2009, l’88 per cento ha avuto luogo in Cina. Il Premier cinese Wen Jiabao sarà in Italia tra pochi giorni: gli ricorderanno, i nostri politici, che a noi la pena di morte non piace? Santo Domingo: 3 cittadini italiani detenuti nel carcere di San Cristobal in condizioni drammatiche Secondo Protocollo, 27 settembre 2010 Si è svolta mercoledì mattina una visita in carcere agli italiani detenuti a Santo Domingo nella struttura di San Cristobal onde verificare sia la loro situazione, specie dopo la nostra denuncia del 14 settembre, sia le condizioni di detenzione. Ad effettuare l’importante visita sono stati Annalisa Melandri, giornalista e attivista dei Diritti Umani che collabora con diverse Ong sudamericane e con le più importanti Istituzioni mondiali, e il Dr. Manuel Mercedes, presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani della Repubblica Dominicana, nonché avvocato. Il quadro emerso da questa visita è a dir poco drammatico. Annalisa Melandri e il Dott. Mercedes hanno incontrato i tre detenuti italiani presenti nella struttura, Ambrogio Semeghini, Luciano Vulcano e N.M. (il nome al momento è omesso per ragioni di privacy) e li hanno trovati “estremamente provati dalla detenzione”. Non solo, da questa visita emerge un quadro a dir poco vergognoso sul comportamento del Consolato Generale italiano che oltretutto fornisce informazioni incomplete e “fuorvianti” sul suo operato allo stesso Ministero degli Affari Esteri. Ma di questo ne parleremo più avanti. Ora la situazione dei tre detenuti. Ambrogio Semeghini, il detenuto che ha fatto lo sciopero della fame citato nell’articolo del 14 settembre, durante lo sciopero è andato subito in disidratazione tanto da essere posto in ricovero. Annalisa ci informa che “il Sig. Semeghini non vede da un occhio, che aveva perso già prima di entrare in carcere ma gli addetti del Patronato (una specie di Ong che ha un piccolo ufficio in carcere e che si occupano delle loro condizioni e situazione, sono volontari) hanno detto che rischia di perdere l’altro e che avrebbe bisogno di visite specialistiche ma che non gli vengono fornite. Gli mancano quasi tutti i denti, almeno dalla parte anteriore e, se le cose non cambieranno, riprenderà lo sciopero della fame lunedì prossimo. Il responsabile dei detenuti dell’Ambasciata italiana lo ha visto la prima volta dopo 59 giorni di detenzione e lo vede una volta ogni tre/quattro mesi. In totale, da quando è detenuto, lo ha visto tre volte. È in carcere dal 19 dicembre 2009 ed è in attesa di giudizio. Luciano Vulcano, anche lui in attesa di giudizio da 11 mesi, è in una situazione di salute “molto compromessa”. Ha contratto diverse infezioni in carcere e prende antibiotici da maggio, ha inoltre problemi di ritenzione idrica dovuti alla scarsa qualità dell’ acqua. Come gli altri è costretto a dormire in terra e a comprare l’acqua ma non sempre lo possono fare perché non hanno i soldi per farlo. Sono costretti quindi a bere l’acqua malsana del carcere. È stato arrestato con una accusa del tutto inventata il 23.10.2009 ed è stato visitato la prima volta 33 giorni dopo il suo arresto. Da quando è in carcere ha avuto solo due visite consolari. N.M. è l’unico dei tre che ha una pena definitiva. Ha avuto tre pre-infarti e le sue condizioni di salute sono del tutto precarie (per non dire gravi). È a soli quattro mesi da fine pena ma se fosse stato minimamente assistito (non dico nemmeno degnamente) sarebbe fuori dl carcere da un anno e mezzo usufruendo della condizionale. Le condizioni igienico sanitarie in cui vivono i tre - continua Annalisa nel suo rapporto - sono terribili, dormono in terra a meno di non pagare 1.500 pesos al mese, bevono acqua igienicamente malsana a meno di non comprare bottigliette, le medicine di cui hanno bisogno in gran quantità le devono comprare a proprie spese, devono pagare per andare in bagno e per tutto.