Giustizia: al Senato rapido iter del ddl su pene domiciliari, ma usciranno solo in 1.500 Asca, 25 settembre 2010 In Commissione Giustizia del Senato è stato effettuato un rapido approfondimento, dopo il lungo confronto che si è sviluppato alla Camera, del ddl 2313 che prevede l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Sono esclusi dal beneficio i colpevoli condannati per mafia, terrorismo e altri gravi reati. È prevista l’assegnazione in strutture di sostegno per i condannati - soprattutto se assegnati a programmi di recupero dalla droga - che non abbiano un proprio domicilio. Il Presidente Berselli ha proposto una eventuale assegnazione del provvedimento in sede legislativa rinviando, però, la decisione in merito a dopo la programmata audizione del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Giudiziaria, Franco Ionta. Questa audizione dovrebbe svolgersi la prossima settimana e subito dopo sarà deciso se chiedere la sede legislativa, ma sul testo sono state espresse varie riserve da parte di alcuni senatori di opposizione, in particolare da Della Monica del Pd e da Ligotti di IdV secondo il quale è incomprensibile la introduzione di un nuovo istituto considerando che il beneficio domiciliare e già contemplato dall’ordinamento sia pure con diverse procedure. Il senatore Maritati del Pd ha rilevato l’opportunità di prevedere un automatismo nella concessione del beneficio per evitare un aggravio del lavoro per i giudici di sorveglianza, ma il Sottosegretario Caliendo ha rilevato che una disposizione in merito - prevista nel testo originario - è stata eliminata nel dibattito alla Camera. Lo stesso Caliendo ha precisato che, alla luce delle numerose limitazioni previste per la concessione dei domiciliari, saranno 1.500 - 1.700 i detenuti che potranno fruire delle nuove norme (rispetto alla originaria previsione di 4.000 - 5.000 potenziali beneficiari) concorrendo, quindi, solo in parte alla soluzione del problema del sovraffollamento carcerario. Giustizia: Casellati; presto legge sulle detenute madri e assunzione di 2.000 agenti Ansa, 25 settembre 2010 Il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, in occasione della sua visita al carcere veneziano della Giudecca, riguardo alla carenza di personale nelle carceri italiane ha parlato di 2.000 nuove assunzioni. Il sottosegretario Casellati ha quindi parlato di un progetto per migliorare la situazione delle strutture penitenziarie, in particolare dei servizi igienici. Si è quindi soffermata sulla questione delle detenute madri: “Arriverà presto in aula un progetto che elevi da tre a sei anni l’età dei bambini ammessi, in strutture senza sbarre alle finestre, con personale non in divisa e senza porte chiuse col tintinnio delle chiavi”. Rispetto ai problemi di sovraffollamento e dei suicidi, ha detto: “Non credo che siano strettamente legati. Per evitare il primo, bisogna migliorare le strutture esterne alle celle, per limitare al minimo la permanenza all’interno delle stesse, ampliando gli spazi per la socializzazione. Quanto al secondo problema, pur non entrando nell’ambito che non mi spetta della psicologia umana, credo che sia necessario rendere la vita dei reclusi più impegnata, non precludendo nel contempo la loro vita una volta usciti dal carcere”. Con il sopralluogo al carcere femminile della Giudecca in occasione della “Festa dell’orto 2010”, il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha proseguito le visite agli istituti di pena italiani. “Gli obiettivi - ha spiegato - sono due: verificare la situazione dei singoli istituti, cercando di capire cosa si può fare per migliorare la situazione, e capire laddove elementi di qualità, specie sotto il profilo della riabilitazione, possono offrire spunti anche per altre carceri, nel tentativo di elaborare un progetto complessivo attraverso le esperienze dei vari istituti”. A tal riguardo, dopo aver incontrato le detenute nelle celle, il sottosegretario ha potuto visitare i laboratori e l’orto del carcere veneziano, in cui la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri tiene corsi di formazione e laboratori attrezzati. “Il concetto di carcere - ha proseguito Casellati - deve essere rivisitato, passando sempre più da luogo di detenzione a occasione per il reinserimento nella società. Dell’esperienza veneziana, mi piace sottolineare il livello dell’offerta al pubblico di quanto prodotto in carcere, che offre alle detenute anche una prospettiva lavorativa dopo l’uscita dall’istituto, rendendo più proficuo il percorso di vita svolto in occasione della pena ed evitando così anche il pregiudizio”. Giustizia: lo sciopero dei volontari, per il “ripristino della legalità” nelle carceri di Dina Galano Terra, 25 settembre 2010 Il mondo del no profit ha protestato ieri a Roma per chiedere il “ripristino della legalità” nei penitenziari italiani. Sovraffollati oltre ogni tollerabilità, si sono trasformati in “luoghi del disagio sociale”. Se il mondo del volontariato si fermasse definitivamente, il sistema carcere patirebbe una drammatica perdita. La maggior parte delle attività previste per legge per la cura e il reinserimento dei detenuti, infatti, sono ormai state appaltate al sociale e al no profit. Anche quelle che spetterebbero a figure professionali ben determinate, come psicologi e assistenti sociali. Ieri, quel mondo ha deciso di scioperare e riunirsi davanti a Montecitorio “per il ripristino della legalità”. I motivi della protesta sono tanti e, rammentano gli operatori, si possono respirare nella “disperazione”, nella “tensione” che domina negli istituti. Le condizioni di vivibilità già gravi sono ulteriormente esasperate dal sovraffollamento delle strutture, che ospitano quasi 70mila persone contro una capacità inferiore ai 45mila posti letto. L’Osservatorio di Ristretti orizzonti, tra le sigle presenti oggi in piazza, dall’inizio dell’anno ha contato già 45 suicidi in carcere, mentre il totale dei detenuti morti, considerando chi si è tolto la vita, le malattie e le “cause da accertare”, è arrivato a 126. Nel 90 per cento delle celle manca la doccia, in oltre la metà il bagno alla turca è accanto al letto. Le condizioni igienico-sanitarie e di manutenzione sono spesso al limite dei principi d’umanità. Sandro Margara, già a capo dell’Amministrazione penitenziaria in un triennio che in molti ricordano “illuminato”, parla di “strutturazione del sovraffollamento”. Aderendo alla manifestazione, spiega che “da come si sono messe le cose, non potrà facilmente allentarsi. L’affollamento è l’effetto di politiche dissennate, indifferenti a problemi già vecchi, di cui sono responsabili tutti i governi che finora si sono succeduti”. Anche l’iniziativa di Ferragosto di portare i parlamentari nelle carceri, per il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, “non si è tradotta in nessuna iniziativa legislativa concreta ed è l’ennesima manifestazione dell’inerzia di questo governo”. “Occorre intervenire immediatamente” avverte la Consulta penitenziaria di Roma che, insieme a tante associazioni come Arci, Cnca, Gruppo Abele, Uisp, Forum Droghe e Lila, ha promosso il sit in. Affinché, spiegano, “lo scarto tra la realtà carceraria e le leggi che hanno riempito a dismisura le strutture detentive sia colmato con la riforma di alcune norme”. Il riferimento va alla ex Cirielli sulla recidiva, alla Bossi-Fini in materia di immigrazione e alla Fini-Giovanardi sulle droghe, che hanno trasformato i luoghi di restrizione in asili, sovraffollati oltre il tollerabile, per le categorie più deboli. Detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli fino a tre anni, malati psichiatrici, persone detenute affette da gravi patologie. “Questo è un carcere fuori dal dettato costituzionale”, denuncia la presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, Elisabetta Laganà, rilanciando l’idea di “un piano straordinario di azione sociale”. Orientato a logiche di coordinamento e trasparenza, costituirebbe l’ultima frontiera per fornire “dall’esterno e con l’impegno di tutti i soggetti, delle vere risposte laddove è possibile”. Lillo Di Mauro: la politica ci ascolti Lillo Di Mauro, presidente della Consulta penitenziaria di Roma e responsabile carcere dei Verdi: “Servono soluzioni rapide e condivise con chi opera tutti i giorni in questa realtà sempre più in difficoltà”. Non si tratta di un vero sciopero perché mai vorremo privare i detenuti anche del nostro intervento”. Lillo Di Mauro, presidente della Consulta penitenziaria di Roma e responsabile carcere dei Verdi, precisa le ragioni della mobilitazione di oggi nei penitenziari. Oggi il mondo del volontariato in carcere incrocia le braccia. Una decisione obbligata? Considerate le condizioni gravissime in cui versano i penitenziari dove sono negati i diritti essenziali ai detenuti ma anche ai lavoratori del carcere, il volontariato non poteva restare a guardare. Dalle sporadiche e individuali iniziative si è passati all’unione di tutte le realtà significative che intervengono in carcere per dare vita a una protesta che non si limiterà al sit in ma intende proseguire con iniziative in tutti gli istituti fino a quando il governo e il Parlamento non apporteranno le necessarie modifiche e gli indispensabili interventi. Quanta parte giocano associazioni e cooperative nella tutela dei diritti dei detenuti? Si può dire che essi ne sono gli interpreti principali. Basti pensare che i detenuti non troverebbero lavoro se non ci fossero le cooperative di tipo B e che, se all’interno dei penitenziari non operassero volontari e operatori delle cooperative con azioni di recupero e reinserimento che vanno dall’aiuto personale alla formazione, alle attività culturali, sociali e sanitarie, tutto il sistema imploderebbe. Il sovraffollamento è un aggravante di tanti problemi. Con che realtà vi scontrate? Innanzitutto con l’esasperazione degli operatori che sono costretti a intervenire in pochi su una moltitudine di persone portatrici di problematiche complesse, con regole che a volte vanificano gli interventi programmati. Come avviene con quei detenuti che frequentano un’attività di formazione oppure lavorativa che, a causa del poco personale di polizia penitenziaria che deve aprire le celle ed accompagnarli, arrivano tardi e a volte non arrivano proprio. Ma a questo si deve aggiungere la fatiscenza degli istituti. Quali sono le vostre richieste e quali misure dovrebbero essere prese nell’immediato? Per risolvere il problema del sovraffollamento bisognerebbe di nuovo pretendere un provvedimento urgente e dall’effetto immediato come l’indulto. Tuttavia non è questa la nostra richiesta perché siamo consapevoli che sarebbe osteggiata dalla maggioranza e anche da gran parte dell’opposizione. Ma soprattutto non risolverebbe i problemi strutturali che dipendono da leggi come la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, la cosiddetta ex Cirielli sulla recidiva. Chiederemo alle Commissioni giustizia di Camera e Senato di intervenire con una diversa modalità di applicazione della custodia cautelare, per l’assunzione di psicologi e educatori, di mediatori culturali, di rivedere i tagli alla spesa sociale. Di avviare, insomma, l’iter parlamentare per offrire soluzioni al sovraffollamento, rapide e condivise con chi in carcere opera quotidianamente”. Cecchini: clima politico non favorevole L’assessore alle Politiche sociali della provincia di Roma intervenuto all’assemblea delle organizzazioni che si occupano di carcere: “Il governo affaccendato in altre faccende, il Pd impegnato nella guerre interne”. Non vi è un clima favorevole per discutere ciò riguarda il problema carcere. Questa l’opinione dell’assessore alle Politiche sociali della provincia di Roma, che è intervenuto all’assemblea delle organizzazioni che si occupano di carcere in corso in queste ore a Roma a Palazzo Valentini. “Il governo è in tutt’altre faccende affaccendato - ha detto Cecchini - e l’opposizione, e il Pd in particolare, sta dando più l’immagine di un partito impegnato nelle guerre interne che quella di un partito che sappia mettere al centro dell’agenda i veri problemi dei cittadini”. Nel corso dell’assemblea le organizzazioni presenti - tra cui Consulta penitenziaria del comune di Roma, Forum droghe, Ristretti Orizzonti, Conferenza nazionale volontariato e giustizia, Arci, associazione A Roma insieme - hanno concordato sulla necessità di creare un coordinamento che comprenda anche le cooperative sociali per intervenire sui temi più scottanti relativi al carcere. Giustizia: Osapp: servono direttive per garantire la sicurezza degli agenti penitenziari Adnkronos, 25 settembre 2010 Salvaguardare la sicurezza degli agenti di polizia penitenziaria disciplinando con apposite direttive i servizi nelle carceri, in particolare le modalità di trasferimento dei detenuti da un carcere all’altro e la composizione delle relative scorte. È la richiesta avanzata dall’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria) ai direttori delle carceri del Piemonte e della Valle d’Aosta in una lettera nella quale si denuncia il sovraffollamento dei reclusi e la scarsità di personale. Nella missiva il sindacato chiede “ai direttori degli istituti penitenziari, quale loro preciso dovere, in quanto datori di lavoro, e ai sensi della precisa normativa sulla sicurezza, di emanare con immediatezza e senza omissione alcuna, attenendosi scrupolosamente alla vigente normativa in materia di sicurezza, le necessarie disposizioni operative”. Questo “a mezzo di chiari ordini di servizio che disclipinino dettagliatamente le procedure da seguire, la frequenza delle operazioni preventive in seno ai reparti detentivi e di tutte le unità operative esterne ad essi, le modalità di traduzione e la composizione delle scorte adibite a tale servizio, le modalità di intervento in caso di evento critico, tutto ciò solo ed esclusivamente a tutela di tutti i nostri colleghi”. Sardegna: stanziati 1,1 milioni di euro per il reinserimento detenuti Redattore Sociale, 25 settembre 2010 I fondi andranno ad associazioni di volontariato e onlus. Altri 80 mila euro stanziati per il recupero di chi sconta una pena nel carcere minorile di Quartucciu, e 120 mila euro serviranno per corsi scolastici e di formazione. Scadono a fine mese, il 30 settembre, i termini per la presentazione delle domande d’adesione ai progetti per il reinserimento sociale dei detenuti. Lo ha annunciato la Regione che, in una nota, ha sottolineato come anche quest’anno le associazioni senza scopro di lucro, le onlus ed il mondo del volontariato, potranno ancora usufruire di contributi per i progetti di recupero socio-lavorativo delle persone sottoposte a provvedimenti penali. A stanziare i fondi è l’Assessorato regionale dell’Igiene e sanità e dell’assistenza sociale finanzierà il programma: oltre ai detenuti (o comune le persone sottoposte ad altre misure) che stanno scontando una pena, potranno accedere anche quelli che si trovano in licenzia premio, oppure gli ex carcerati che vogliono essere reinseriti nel mondo del lavoro. A disposizione ci sono un milione e 100 mila euro, mentre altri 80 mila euro sono destinati ai progetti per i giovani detenuti del carcere minorile di Quartucciu. Altri 120 mila euro, infine, serviranno per gli interventi personalizzati rivolti a detenuti giovani che al momento del reinserimento necessitano di particolari percorsi di risocializzazione o corsi scolastici di formazione. Le iniziative dovranno essere gestite dalle associazioni in raccordo con gli uffici del provveditorato regionale, il Centro per la giustizia minorile e le rispettive magistrature di sorveglianza. I progetti saranno valutati da un’apposita commissione, in base a vari criteri: le caratteristiche del richiedente (ossia attività realizzata negli ultimi 5 anni), la dimensione organizzativa, il livello di integrazione con i servizi dell’amministrazione penitenziaria e la capacità progettuale. A conti fatti, la regione finanzierà un primo 80% in seguito alla comunicazione di avvio del progetto, mentre il restante 20% sarà assegnato una volta presentato il rendiconto relativo al 70% delle somme già erogate. Gli enti beneficiari dovranno presentare una relazione sulle attività svolte, entro due mesi dalla conclusione del progetto, e la rendicontazione finale. Lazio: finanziati corsi per migliorare la qualità del lavoro degli operatori penitenziari Dire, 25 settembre 2010 “Tra i provvedimenti approvati dall’ultima Giunta vi è una delibera che finanzia i corsi incentrati sull’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro degli operatori penitenziari attraverso l’acquisizione di nuovi e più efficaci modelli operativi”. È quanto afferma, in una nota, Giuseppe Cangemi, assessore alla Sicurezza della Regione Lazio, commentando l’iniziativa che si terrà presso l’Istituto regionale di Studi giuridici del Lazio ‘Arturo Carlo Jemolò che coordinerà e gestirà i corsi. “Con sempre maggiore chiarezza appaiono oggi evidenti le numerose problematiche personali, di comunicazione e organizzazione, che affliggono le strutture complesse. L’istituto penitenziario è una di queste - continua Cangemi. In esso interagiscono una molteplicità di operatori secondo il diverso ordine gerarchico e funzionale risultando, ad un tempo, il prodotto e il riflesso tipico delle problematiche che afferiscono alle strutture complesse. Una educazione alla cultura della comunicazione non può non affrontare i problemi correlati alla conflittualità, allo stress, al burnout, al wornout, al mobbing, oltre che tutte quelle anomalie comportamentali inerenti le relazioni tra gli stessi operatori, tra gli operatori nell’ambito dell’ordine gerarchico e tra questi ultimi e i detenuti”. “Presupposto per la riuscita del corso è che i partecipanti siano portatori di motivazione personale, ed inoltre che dimostrino capacità di apertura rispetto al cambiamento ed allo sviluppo organizzativo, lavorando in gruppo e per processi - conclude Cangemi. Altresì importante che sviluppino capacità di ascolto e di mediazione, dimostrando disponibilità al confronto positivo con sé stesso e con gli altri, maturando il possesso della visione d’insieme sui diversi ruoli all’interno del sistema carcere, usando la comunicazione come metodo di risoluzione dei conflitti”. Venezia: niente autopsia per il giovane detenuto morto, si è certamente suicidato La Nuova di Venezia, 25 settembre 2010 Niente autopsia per Naib, il 22enne tunisino che si è impiccato nella sua cella nel carcere di Santa Maria Maggiore tre giorni fa. Ieri, infatti, il pubblico ministero Francesca Crupi l’ha ritenuta inutile, visto che il primo accertamento medico sembra sufficiente: il giovane detenuto è morto per strangolamento. Le indagini, invece, proseguono per stabilire se fosse un detenuto da tenere particolarmente d’occhio, visto che aveva già tentato il suicidio almeno una volta e si era procurato anche lesioni e ferite. Certo è che l’organico degli agenti di custodia, anche in considerazione del numero dei detenuti, non permette certo di controllare celle e sezioni come si dovrebbe. Non ha lasciato alcun messaggio o biglietto per spiegare il suo gesto: ha atteso che i suoi due compagni di cella uscissero per andare nella sala giochi e che l’agente della Polizia penitenziaria della sezione fosse occupato, quindi ha arrotolato le lenzuola e le ha appese alle sbarre della finestra del bagno. A spingerlo a questo gesto la disperazione: era già stato condannato in primo grado per traffico di sostanze stupefacenti e temeva per il processo di secondo grado. Firenze: a Sollicciano ci sono 1.010 detenuti, ma la capienza è solo di 476 www.nove.firenze.it, 25 settembre 2010 Sovraffollamento a Sollicciano, 1.010 detenuti rispetto ad una capienza per 476 persone. L’assessore provinciale alle Politiche sociali Antonella Coniglio aveva chiesto nel mese di giugno di aprire un tavolo di confronto con l’Amministrazione penitenziaria (il Provveditorato che ha sede a Firenze). Alla richiesta scritta e formalizzata, il Provveditorato ha risposto “dichiarandosi al momento impedito all’incontro formale per motivi di ferie in corso”. Sollecitato successivamente, “non ci ha incontrato”. Nel frattempo la Provincia di Firenze è entrata a far parte dell’Osservatorio del settore carcerario, anche in rappresentanza dell’Upi Toscana. Anche dall’ultimo incontro in quella sede, è emerso che anche la Regione ha provato a cercare di affrontare il problema e neanche il Ministero ha risposto. “Gli Enti locali - ha detto Coniglio, rispodendo a una domanda d’attualità presentata in Consiglio da Rifondazione comunista (Andrea Calò e Lorenzo Verdi) - stanno vigilando ma lo stesso interesse non pare essere dimostrato da Ministero e Provveditorato”. “Su sovraffollamento, scuola, reinserimento - ha commentato Calò - noi ci aspettiamo che tutti i tavoli decisi siano portati avanti per contrastare le carenze e le condizioni disumane che vi sono in carcere”. Sassari: psichiatria al collasso, a rischio l’assistenza nel carcere di San Sebastiano L’Unione Sarda, 25 settembre 2010 Assistenza sanitaria a rischio estinzione nel carcere di San Sebastiano. Medici di guardia, sanitari incaricati, specialisti e infermieri sanno di poter assistere i detenuti fino al 31 dicembre. Dal 1° gennaio 2011 non hanno certezze sul loro ruolo all’interno degli istituti penitenziari. In pratica, non è chiaro se il Ministero metterà a disposizione della Regione i soldi necessari per finanziare l’attività sanitaria al servizio dei detenuti. L’incertezza è un effetto collaterale del passaggio della sanità penitenziaria dalle mani del Ministero a quello delle Regioni e quindi delle Asl. “In questo momento persiste una situazione di stallo preoccupante”, commenta Marco Puggioni, segretario regionale della Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria onlus), e medico carcerario con esperienza ventennale. “La Commissione regionale ha subordinato l’approvazione del passaggio di competenze ad alcune condizioni che dovranno essere ora valutate dalla commissione paritetica Governo-Regione, e siamo in attesa di risposte. Al momento non esiste nessuna certezza sul futuro della sanità penitenziaria in Sardegna”, continua Puggioni. “Se prima della fine dell’anno non dovessero arrivare notizie rassicuranti, è possibile che il 2011 sarà per le carceri sarde un anno senza assistenza medica”. Il dilemma riguarda circa duecento cinquanta operatori sanitari (fra medici e infermieri) in tutta l’Isola, ma la situazione è più tesa nel carcere sassarese di San Sebastiano. Senza lo stanziamento finanziario necessario, non ci potrà essere assistenza. La svolta decisiva per stemperare gli animi e programmare con sicurezza l’attività anche per gli anni a venire, dovrebbe arrivare nei prossimi giorni: “Per la prossima settimana aspettiamo una nota della Commissione paritetica con cui sarà data risposta alle condizioni avanzate dalla commissione regionale”, spiega il consigliere regionale del Pdl, Nanni Campus, relatore designato per l’esposizione al Consiglio regionale della Sardegna della direttiva con cui l’assemblea dovrà decidere se accogliere o meno la norma nazionale. “Le condizioni sono che lo Stato garantisca anche per gli anni a venire i finanziamenti necessari al funzionamento del sistema sanitario penitenziario”. Trento: per i detenuti trasloco nel nuovo carcere di Spini di Gardolo a fine novembre Il Trentino, 25 settembre 2010 Ancora due mesi. Tanto bisognerà aspettare per vedere ultimato il trasloco del carcere da via Pilati alla nuova struttura di Spini di Gardolo. L’annuncio lo ha dato lunedì scorso il provveditore di Padova ai sindacati ufficializzando in questo modo la tabella di marcia che porterà i detenuti nella nuovissima struttura che è stata paragonata - con i dovuti distinguo - ad un albergo a cinque stelle. Soprattutto rispetto alla struttura attuale che risale all’impero austro ungarico. Il termine ultimo utile che è stato fornito per il “trasloco” è il 30 novembre ma forse i carcerati dovrebbero essere trasferiti già qualche giorno prima. La prima data importante per la nuova struttura, è quella del 30 ottobre. Fra pochi giorni, infatti, la Provincia - che si è occupata della costruzione della struttura - metterà nelle mani del ministero il carcere. E in quel momento decadranno, di conseguenza, tutti gli obblighi per l’ente pubblico territoriale. E quindi smetterà, ad esempio, di occuparsi della vigilanza che fino a quel momento è affidata da una ditta specializzata. Da ciò ne consegue che dal primo ottobre anche i controlli sulla struttura dovranno essere a carico del ministero e, potenzialmente, della polizia penitenziaria. La seconda data importante è quella del 31 ottobre. Entro quel giorno, infatti, ha assicurato il provveditore, arriveranno a Trento 25 nuovi agenti. Pochi rispetto a quelli attesi visto che la richiesta, per far funzionare la nuova struttura, e di altri 200 poliziotti penitenziari. “Ci è stato detto - ha spiegato Antonio Mazzarese, sindacalista del Sinappe - che non si tratta di una cifra definitiva, e che altri agenti potrebbero arrivare in futuro magari sotto le forme di distaccamenti o missioni”. Secondo i sindacati, per come sono messe le cose in questo momento, la chiusura del carcere di Rovereto non dovrebbe essere dietro l’angolo. “Ci hanno spiegato - dice ancora Mazzarese - che solo se nei 25 nuovi colleghi ci saranno almeno 15 donne, si potrà pensare ad un immediato trasferimento della sezione femminile. Se così non sarà (e sembra difficile che lo sia) la sezione resterà aperta a Rovereto”. Davanti a queste date e a questi numeri, il commento del Sinappe è di due toni diversi. Da una parte c’è un certo sollievo in vista dell’atteso trasferimento. Ma c’è sempre il problema del personale. “Noi vogliamo andare nella nuova struttura - spiega sempre Mazzarese - con la garanzia di fare un orario di lavoro normale, ossia le 6 ore giornaliere previste dal contratto e non le 8-12 cui siamo costretti vista la penuria di agenti. Se le cose non si sistemeranno, siamo pronti a scendere nuovamente in piazza”. Tempio Pausania: nuovo carcere a rischio, Comuni e Provincia temono un altro scippo La Nuova Sardegna, 25 settembre 2010 L’allarme lanciato dalla Cgil Funzione Pubblica sulla grave situazione del carcere gallurese della Rotonda, e l’ipotesi di uno slittamento dell’apertura del nuovo carcere di Nuchis, suona come un “déja vu” per amministratori pubblici e operatori della giustizia. Fedele Sanciu, senatore e presidente della Provincia, ha già presentato un’interpellanza al ministro della Giustizia, e i sindaci di Olbia e Tempio, Gianni Giovannelli e Romeo Frediani, dichiarano d’essere vigili e “pronti ad evitare l’ennesimo scippo per la Gallura, magari a favore di altri territori”. “Ho chiesto al ministro della Giustizia Angelino Alfano e dal Dap - dice il senatore del Pdl e presidente della Provicia Olbia-Tempio, Fedele Sanciu - di conoscere l’attuale stato di avanzamento dei lavori dell’istituto di Nuchis e i tempi previsti per la sua apertura. Per contro ribadisco che la casa circondariale della Rotonda, essendo stata ristrutturata con finanziamenti erogati dai comuni di Olbia e Tempio, su richiesta del Dap, deve restare, e resterà operativa, sin quando non verrà aperto il nuovo carcere. Le infrastrutture che sono indispensabili per l’amministrazione della giustizia hanno priorità assoluta. Se nel carcere di Tempio vi sono problemi di sovraffollamento lo si deve risolvere al più presto, e le soluzioni sono due: o si aumenta l’organico della polizia penitenziaria, o si diminuiscono gli ospiti. E questo per garantire un trattamento civile e umano a coloro che vi sono ristretti e un lavoro sereno e digitoso per chi vi opera con tanta abnegazione”. Romeo Frediani, sindaco di Tempio, sostiene che la situazione “troverà uno sbocco ottimale. Ho ottenuto rassicurazioni in tal senso dalla direttrice del carcere. Ma se così non fosse l’amministrazione è pronta ad aprire la vertenza giustizia, certa che avrà al suo fianco tutti gli amministratori e la popolazione gallurese”. Gianni Giovannelli, che sulla sicurezza ha investito buona parte delle risorse economiche del Comune per avviare i lavori di ampliamento e ristrutturazione della sede olbiese del tribunale o offerto a costo zero gli standard pubblici per costruire il nuovo commissariato e la caserma della guardia di finanza, salta sulla sedia. “Si è cominciato così anche la volta scorsa quando, inopinatamente e senza preavviso, venne chiusa la Rotonda, creando notevole disservizio all’apparato giudiziario, ai detenuti e loro familiari e agli operatori di giustizia. Sia ben chiaro che, questa volta, non ci lasceremo trarre in inganno: il carcere gallurese aprirà nei tempi previsti, senza se e senza ma. Gli investimenti pubblici per dotare di nuove e accoglienti strutture penitenziarie il nord Sardegna sono importanti, nell’ordine di 150 milioni di euro, e Nuchis non diventerà l’ennesima cattedrale nel deserto delle strutture pubbliche della Gallura. Abbiamo il sostegno di tutte le amministrazioni, su questo fronte”. Il presidente delle camere penali della Gallura, l’avvocato Domenico Putzolu, si dice certo che c’è “più di una istituzione che rema contro l’apparato giudiziario gallurese. Se a Tempio vengono inviati più detenuti dalla capienza appare evidente che la struttura ha la sua importanza, nell’ambito della organizzazione del provveditorato regionale. I sindacati dovrebbero, a questo punto, impegnarsi per un potenziamento della struttura attuale e per quella futura di Nuchis, anche perché lo scopo del sindacato è quello di mantenere e incrementare i posti di lavoro, non chiedere, anche se provocatoriamente, la chiusura dei penitenziari”. Il penalista Mario Perticarà storce il naso. “La situazione, nel carcere della Rotonda, peggiora di giorno in giorno. La polizia penitenziaria deve sobbarcarsi in doppi e tripli turni, mentre la popolazine carceraria aumenta, inspiegabilmente, ora dopo ora. Eppure ci sono strutture penitenziarie, nell’isola, che hanno sovrabbondanza di personale e non dico scarsità ma presenza di detenuti nella norma. Mi chiedo perché il provveditorato regionale continui ad inviare detenuti a Tempio, la cui struttura, piccola e non più fatiscente, sta per scoppiare. Non vorrei, ma spero che sia soltanto una mia sensazione, che sia l’anticamera per dichiararne la chiusura. Com’è già avvenuto in passato, per ragioni diverse, ma finalizzate a penalizzare la Gallura”. Bologna: Cgil; all’Ipm situazione drammatica per la mancanza di personale Ristretti Orizzonti, 25 settembre 2010 La scrivente O.S. Cgil Fp Polizia Penitenziaria, è costretta a denunciare la situazione a dir poco drammatica che in questi giorni sta vivendo il personale di Polizia Penitenziaria, ridotto ormai a numeri che sono ben al di sotto di ogni soglia minima di sicurezza. Infatti le n° 25 unità complessive, in dotazione all’Istituto Penale in questione, si sono ulteriormente ridotte negli ultimi giorni, facendo calare drasticamente il numero di personale necessario per svolgere servizio giornalmente, infatti da un minimo di n° 13 unità al giorno si è scesi a circa 10 unità giornaliere. Quanto segnalato sta incidendo pesantemente sul personale di Polizia Penitenziaria che sta prestando servizio in questi giorni, e che con enormi sacrifici sta portando avanti la vita dell’Istituto senza conseguenze sullo svolgimento delle attività di trattamento previste per i minori detenuti. La situazione descritta va ormai avanti da diversi mesi, e malgrado tutti gli sforzi messi in atto da parte del Comandante di Reparto e da tutto il personale in servizio presso l’Istituto in oggetto, non è più pensabile tentare di sostenere una situazione simile, infatti al già pesante orario di lavoro svolto su tre quadranti (otto ore al giorno) sempre più spesso il personale deve sostenere prestazioni di lavoro straordinario che lo portano a superare abbondantemente le 9 ore di servizio al giorno, tamponando con i cosiddetti “rientri” alla carenza di personale, rientri che purtroppo non sono effettuati nei soli periodi di cosiddetta emergenza, ma stanno rischiando di divenire una prassi normale nello svolgimento del servizio. La scrivente O.S. non può più assolutamente accettare che le citate condizioni di lavoro per il personale di Polizia Penitenziaria continuino a persistere, considerato anche che più volte abbiamo formalmente richiesto l’invio di personale di P.P. anche in missione presso la citata sede, richieste che hanno come di consuetudine visto assoluto silenzio da parte dei vertici del Dipartimento Giustizia Minorile. Oggi la situazione rischia di diventare drammatica, il personale è fortemente stanco e provato dall’enorme mole di lavoro che giorno dopo giorno lo vede impegnato a fronteggiare mille difficoltà più volte da questa O.S. denunciate, e che non vogliamo più ripetere, in quanto l’Amministrazione ne è ben consapevole. La Cgil Fp Polizia Penitenziaria chiede quindi che sia messo in atto ogni sforzo possibile per eliminare di fatto il ricorso ai “rientri”, ed in assenza di segni concreti da parte del Dipartimento Giustizia Minorile alla presente nota, si dichiara pronta ad intraprende azioni di protesta, quali una nuova rottura delle trattative e l’inizio di un nuovo stato di agitazione, oltre ad ogni possibile manifestazione di protesta consentita dalla Legge che tenga alta l’attenzione da parte dell’opinione pubblica sulle problematiche che da troppo tempo affliggono il personale dell’Istituto Penale per Minorenni di Bologna. Maurizio Serra Cgil-Fp Polizia Penitenziaria Massa: borse di lavoro agli ex detenuti, la giunta finanzia il progetto Il Tirreno, 25 settembre 2010 Ex detenuti e persone svantaggiate: la giunta ha rifinanziato il progetto che si era arenato per la mancanza di copertura assicurativa. “Grazie all’impegno dello staff dell’ufficio sociale e del neo assessore Pietro Lazzerini, con la collaborazione del comune di Seravezza, il quale contribuisce economicamente per due soggetti residenti nel loro territorio, continua il percorso di recupero per le persone svantaggiate e ex detenuti”, spiega Nando Melillo. Attualmente sono inserite 11 persone (8 maschi e 3 femmine fascia di età da 42 a 52 anni) che sono state collocate in diverse attività lavorative del comune, come il taglio dell’erba, innaffiamento fiori e assistenza presso le officine meccaniche del comune. Persone impegnate sul territorio, quattro ore al giorno per sei giorni che ricevono un contributo di 500 euro mensili. Alcuni di queste persone sono in carico presso il Progetto Comunità Aperta dove sono assistiti da medici specialisti (una Psicologa un Medico e due Psichiatri) inoltre durante la settimana i ragazzi sono sottoposti a controlli per la ricerca di sostanze stupefacenti. Ferrara: semilibero aveva mezzo chilo di dinamite in auto, arrestato assieme al cognato Ansa, 25 settembre 2010 Stava trasportando quasi mezzo chilo di “dinamite gelatina” l’11 aprile del 2007, appena uscito dal carcere di Ferrara dove era detenuto in semilibertà, e dopo essere tornato da una licenza di cinque giorni a Napoli: la piccola Fiat 600 che guidava saltò in aria fatti pochi metri, davanti al carcere. Ma non era stato un attentato: la colpa di Salvatore Rho, detenuto semilibero di Napoli, oggi in carcere a Piacenza, era stata quella di aver manovrato in modo maldestro quella gelatina esplosiva. Lui si salvò per miracolo, ora però è stato arrestato su ordinanza di custodia cautelare del gip Piera Tassoni per la detenzione dell’esplosivo e con lui è stato anche arrestato, per il concorso in cessioni di cocaina, il cognato Giuseppe De Gaetano, che da Napoli faceva il pendolare per rifornire di droga la piazza di Ferrara. È questo l’epilogo dell’indagine condotta dalla polizia e dai carabinieri di Ferrara che in due anni di inchiesta, coordinati dal pm Barbara Cavallo, hanno escluso la prima ipotesi (già scartata) dell’attentato, mentre prove e test medico-legali hanno evidenziato la fortuna sfacciata di Salvatore Rho, che rimase ferito ma si salvò mentre la Fiat 600 saltò in aria e si aprì come una scatola di sardine. Il cognato di Rho, Giuseppe De Gaetano è stato arrestato anche lui su ordine di cattura a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, ed è accusato di detenzione a fine di spaccio e cessione di cocaina, che ogni 15 giorni portava su a Ferrara da Napoli. Dunque gli accertamenti di Polizia e Carabinieri hanno accertato che lui stesso aveva messo l’esplosivo sulla propria auto: perché avesse la dinamite, dove la dovesse portare e a chi dovesse consegnarla sono dubbi che restano e sui quali gli inquirenti stanno lavorando. “Sono in corso indagini - hanno sottolineato il comandante Gruppo Carabinieri Ferrara, Antonio Labianco, il tenente-colonnello Vittorio Bartemucci, nuovo comandante del Reparto operativo e il capo di gabinetto della questura Emanuela Napoli - e attendiamo al più presto nuovi sviluppi di questa seconda tranche. Quello che possiamo affermare, e sostenere con estrema sicurezza per tranquillizzare la città è che questo è un fatto isolato, a se stante: Ferrara non è coinvolta in progetti di spessore di grande criminalità e la situazione in città e provincia è sotto controllo, non vi sono segnali di infiltrazioni o penetrazioni della criminalità, e la prova di questi arresti dopo due anni di indagini sono la conferma dell’efficacia delle attività investigative messe in atto”. Libri: “Cape guastate”, di Piero Rossi; la misera epopea nel cuore di Bari Gazzetta del Sud, 25 settembre 2010 Chi sono queste cape guastate? Come capita sovente nel leggerne le “gesta”, sono quei personaggi che, istintivamente, ti suscitano simpatia. Pur se indolenti, pasticcioni, approfittatori. Difficile, del resto, sottrarsi a sentimenti indulgenti verso la miseria umana di chi, ex detenuto, prova (ma ci prova poi davvero?) ad emanciparsi da strade poco pulite. È Piero Rossi, avvocato barese, a trascinarci dentro questa storia di straordinaria, raccontando l’ascesa e, soprattutto, la caduta di una cooperativa destinata a pilotare il reinserimento lavorativo di personaggi dalle storie impensabili. Sotto la spinta di Don Mimmo la cooperativa si scontra con piccole e grandi difficoltà, in cui tra teorie de “gli amici degli amici” o del “tanto per oggi abbiamo lavorato abbastanza” le cose non possono che finire male. E allora si torna al concetto iniziale: con “Cape guastate” si ride, certe volte di gusto grazie agli inserti linguistici in barese stretto. Una lingua dura, che si attorciglia su sé stessa. Che ti colpisce in piena faccia con la violenza di uno schiaffone improvviso. Ma quello che ha fatto Rossi (con risultati soddisfacenti) è stato unire e cucire tanti microcosmi disperati e sconfitti, creando una tela fitta di suggestioni letterarie ma che (e questo è bene sottolinearlo) non si rifugiano mai nel grottesco per cancellare la realtà, specie se dura o violenta. Anzi, il grottesco diventa chiave di lettura alternativa per restituirci un mondo che non ci appartiene, che non vogliamo vedere. Ed è questo il problema. Questo mondo esiste eccome: scorre a pochi passi da noi, ma non sempre siamo pronti a vederlo. Immigrazione: “Siamo tutti clandestini”, ieri in piazza l’Italia antirazzista di Stefano Galieni Liberazione, 25 settembre 2010 Ieri giornata di protesta promossa in quasi 60 città dal settimanale “Carta”. Contro Cie, espulsioni e sgomberi. Eventi, azioni comunicative, manifestazioni e incontri in quasi 60 città italiane per ricordare che nessuna persona è clandestina nel móndo. Così è stato celebrato ieri “Clandestino Day”, un appuntamento annuale che è divenuto anche un logo, stampato su magliette, felpe e striscioni, sfondo nero, scritte bianche e rosse e il segno di una impronta. Ideazione, promozione e coordinamento degli eventi realizzati - lasciando spazio alla inventiva delle almeno 300 realtà antirazziste che ne hanno condiviso l’impostazione politica - nascono dal settimanale “Carta”, da sempre schierato nelle battaglie antirazziste, un altro strumento di informazione che attraversa forti difficoltà economiche. La giornata di ieri è stata caratterizzata da una volontà di denuncia in cui le tematiche territoriali si sono intrecciate con gli aspetti più generali delle leggi sulll’immigrazione. In alcune regioni si è confluiti in manifestazioni. A Rovigo, una parte consistente delle realtà anitirazziste venete” unite nel “Coordinamento no Cie” ha organizzato un corteo contro il previsto utilizzo di una base Nato dismessa - presso Zelo, frazione di un Comune di 1800 abitanti, Ceneselli - per la realizzazione di un centro di identificazione ed espulsione. La base si trova fra Rovigo e Verona, anche il sindaco di Ceneselli, di centro destra, ma scettico sull’utilità dei Cie, ha offerto la sala consiliare del municipio per un dibattito serale. Lì dovrebbe sorgere una struttura che secondo Maroni e il suo partito è in Veneto “necessaria”. La stessa provincia di Rovigo, retta da una maggioranza di centro sinistra, si oppone alla realizzazione di tale vergogna; mentre per le varie realtà che si stanno strutturando in Veneto come rete lo slogan per quanto riguarda i Cie resta il vecchio e sempre valido “Né qui, né altrove”. Una analoga mobilitazione si sta sviluppando in tutta la Toscana con iniziative in varie città ieri ed una mobilitazione oggi a Firenze dove partirà una raccolta di firme per dire un secco no a qualsiasi ipotesi di Cie, promosso dalla Rete antirazzista toscana. A Genova la mobilitazione si è svolta in un contesto speciale. Nei magazzini del cotone, una splendida struttura in Piazza Caricamento, nei pressi degli spazi expo, il ministro Brunetta ha ricordato i 100 anni della nascita di Confindustria. Migranti, antirazzisti e operai della Fiom hanno dato vita ad un presidio e hanno appeso un enorme striscione recante la scritta “Cento anni di sfruttamento non c’è niente da festeggiare”. Il tema ricorrente era riassunto da una frase “Contro l’arroganza e lo strapotere di Confindustria, siamo tutti clandestini”. Come beffa finale migranti e antirazzisti hanno dato vita ad una partita di calcio nel piazzale. Tornei antirazzisti si sono svolti in varie città: Castel Volturno, Amandola (nelle Marche) e in altre città d’Italia. Nella culla della Lega, a Varese molte persone hanno partecipato al “gioco del clandestino” una grottesca ma realistica rappresentazione delle mille insidie e difficoltà a cui va incontro chi vuole mantenere un permesso di soggiorno, tradotta in una specie di “Monopoly” con le persone che diventavano pedine. Nella sede del Forum sociale abruzzese c’è stato un incontro con le Brigate di solidarietà attiva che hanno portato l’esperienza realizzata questa estate a Nardo in Puglia con i lavoratori nell’agricoltura. In molte città ci sono state iniziative nelle scuole, in molte le tematiche antirazziste hanno trovato interconnessione con le politiche generali del governo, scuola, lavoro nero, crisi, dimostrando concretamente come alcune battaglie non siano esclusivamente una questione di solidarietà ma mettano in gioco elementi come la giustizia sociale e la democrazia che dovrebbero garantire ogni essere umano. Numerosi poi i registi, giornalisti, scrittori che hanno partecipato ad incontri, da Marco Rovelli (Massa Carrara) a Fabrizio Gatti (Palermo). Ad attivarsi sono state anche realtà nazionali come la FdS, Sei, la Cgil e in alcuni casi l’intero centro sinistra. Nella capitale si è scelto di disvelare il cosiddetto “piano nomadi”, la politica di espulsioni e sgomberi che accomuna Francia e Italia e che trova a Roma e a Milano punti di altissima tensione. Oltre cento attivisti -centri sociali, associazioni come Po-pica onlus, Arci, forze politiche, FdS - si sono radunati per una conferenza stampa davanti all’ex cartiera che sorge fuori dal centro abitato sulla Via Salaria, accanto all’aeroporto dell’Urbe. Una struttura fatiscente sin dall’ingresso, come denunciato dall’associazione 21 luglio, dove vengono temporaneamente tenuti i nuclei familiari rom soggetti a sgombero. Il centro costa al Comune 12 mila euro al giorno, ieri c’erano circa 300 ospiti, 70 i minori che in gran parte hanno dovuto abbandonare un percorso di scolarizzazione intrapreso. La conferenza è divenuta occasione per far conoscere agli automobilisti che transitavano i risultati distruttivi di tale percorso, molti gli uomini e le donne rom che hanno testimonialo di come la propria vita non possa continuare in spazi di quel tipo. La richiesta comune era un “basta con i campi e si ad una politica della casa per tutti”. All’ingresso sono stati depositati gli zainetti scolastici dei bambini come Valentin che non possono più andare a scuola e a cui è negato il diritto al futuro. Immigrazione: dal Cie di via Corelli arriva una richiesta di soccorso www.amisnet.org, 25 settembre 2010 Si è rotto la gamba e l’infermeria l’ha visitato solo dopo due giorni. Ora Mohammed, recluso nel centro di identificazione e di espulsione di Milano, ha fortissimi dolori, è costretto a stare immobile e nessuno si preoccupa di portargli da mangiare o aiutarlo ad andare in bagno. “L’altro giorno sono scivolato sul bagnato e sono svenuto per cinque minuti, se non fosse stato per alcuni amici non so quanto sarei rimasto là per terra” così ci racconta Mohammed al telefono. Rinchiuso da otto giorni nel Cie, il giovane si è rotto una gamba giocando a calcio, ma gli infermieri non hanno voluto ascoltare le sue richieste di soccorso, e solo dopo due giorni l’hanno condotto a fare una lastra, da cui è risultata la frattura dell’osso. “Nessuno mi porta da mangiare, dicono che se ho fame posso andare in mensa, ma io non riesco neanche ad alzarmi”. Mohammed è stato fermato alla stazione del pullman, mentre tornava a casa dal lavoro; quando le forze dell’ordine hanno visto che non aveva i documenti lo hanno portato nel Cie di via Corelli. Il centro quest’estate è stato oggetto di rivolte. I detenuti protestavano contro le condizioni di vita, il cibo pessimo, la lunghezza delle pene (fino a sei mesi per chi non ha i documenti in regola). Iran: tre trafficanti di droga sono stati impiccati nel carcere di Yazd Ansa, 25 settembre 2010 Lo riferisce l’agenzia d’informazione “Isna”, che non precisa quando le esecuzioni hanno avuto luogo né rivela le identità delle vittime. Già ieri due trafficanti di droga e un omicida sono stati impiccati nel carcere di Kazeron, nella città di Ahwaz, nel sud-ovest dell’Iran. Non accenna a placarsi quindi l’ondata di esecuzioni capitali nella Repubblica Islamica, mentre oggi il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha sollevato una nuova polemica riguardo al trattamento riservato dai media occidentali al caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio. Ahmadinejad, da New York, ha accusato i media di interessarsi solo al caso di Sakineh e di tacere su Teresa Lewis, la donna americana disabile mentale che giovedì sarà giustiziata in Virginia per omicidio.