Giustizia: carceri verso la catastrofe umanitaria, facciamo largo a Comuni e Regioni di Stefano Anastasia Il Manifesto, 23 settembre 2010 “Passata la festa, gabbato lu Santu”. Il ferragosto si allontana e la sensazione che il precetto evangelico sia stato seguito ritualmente sembra ogni giorno più forte: dal carcere continuano ad arrivare notizie di morti e disperazione e non abbiamo notizie di un sussulto di iniziativa da parte delle centinaia di parlamentari che sono andati a visitare i carcerati. In Senato pende il disegno di legge per la detenzione domiciliare a fine pena, mentre la Camera discute delle alternative al carcere per le detenute madri: progetti pure condivisibili nell’ispirazione, ma nulla che possa raddrizzare quel piano inclinato che da due anni sta facendo scivolare il sistema penitenziario italiano verso la catastrofe umanitaria. Balliamo sul litanie e magari qualcuno al Ministero della giustizia starà pensando che una bella crisi di Governo potrà alleggerirlo dalle proprie responsabilità per azioni e omissioni di atti d’ufficio. Hanno ragione, quindi, Franco Corleone (Fuoriluogo, “il manifesto” del 25 agosto) e Mauro Palma (Fuoriluogo, “il manifesto” del 15 settembre) a richiamarci a uno sforzo di elaborazione ulteriore, a partire dall’Ordinamento penitenziario, dal Regolamento del 2000 e da una revisione critica delle “grandi riforme” del sistema, come quella che smilitarizzò gli agenti di custodia e ne fece il nuovo Corpo di polizia penitenziaria. Parto proprio da qui per farne un’altra, di proposta. Non si può disconoscere che di strada ne è stata fatta: chi ricordi i vecchi “secondini” ante-riforma non può non apprezzare la qualità professionale della gran parte dei nuovi “poliziotti penitenziari”. Ma i problemi del Corpo di polizia penitenziaria restano e sono i problemi del sistema penitenziario. In deroga al blocco delle assunzioni nel settore pubblico, negli ultimi venti anni l’Amministrazione penitenziaria ha assunto prevalentemente agenti di polizia, affidando loro le mansioni più disparate, in nome del “trattamento penitenziario” e del fatto che anche loro dovessero parteciparvi. Da qui una tendenza bulimica del Corpo (come quella del sistema penitenziario nei confronti dei detenuti) e lo slabbrarsi della qualificazione professionale dei poliziotti, che in carcere sono agenti della sicurezza, del trattamento, della disciplina, dell’amministrazione, della contabilità, delle relazioni con il pubblico, ecc. ecc., e comunque mai sufficienti alla bisogna. Sarà anche stato un cattivo sindacalismo a portarci fin qui, ma forse una spiegazione va cercata nella stessa ispirazione del nostro sistema penale e penitenziario. Nonostante le diverse tendenze di molti Paesi comparabili al nostro, il sistema penitenziario italiano resta un sistema “carcere-centrico”, nel quale le altre possibilità sanzionatone (e le professionalità non custodiali) restano delle “alternative” solo eventuali. Tanto più eventuali quanto più la loro stessa attuabilità sia ormai estranea alle competenze delle amministrazioni dello Stato. Non bisogna dimenticare, infatti, che la riforma costituzionale del 2001 ha affidato alle Regioni e agli enti locali, oltre che le competenze sanitarie, quelle sull’organizzazione dell’offerta di istruzione, sulla formazione professionale, sulle politiche attive del lavoro, sulle politiche sociali. Di tutto ciò che ha a che fare con il reinserimento sociale dei detenuti e con la possibilità che i condannati scontino la loro pena all’esterno del carcere l’Amministrazione statale non sa più nulla, e meno che mai ne sa quel suo piccolo pezzo da cui dipende la gestione delle carceri. In questa prospettiva, per potenziare le alternative al carcere, per emanciparle dalla loro condizione di minorità, non avrebbe più senso riconoscere che il sistema penitenziario è il frutto del concorso di più livelli e di più competenze tra Stato ed enti territoriali, e quindi riconoscere i confini oltre i quali l’amministrazione della giustizia non può andare e lasciare operare più efficacemente Regioni ed Enti locali? Perché gli Uffici dell’esecuzione penale esterna, con i loro assistenti sociali impegnati tra carcere e territorio, non possono passare direttamente alle dipendenze delle Regioni e degli Enti locali? Non ne sarebbe facilitata la presa in carico dei condannati sul territorio e, magari, le alternative al carcere? Giustizia: in Commissione alla Camera audizione del volontariato sulle carceri italiane AgenParl, 23 settembre 2010 “Per la prima volta il volontariato si unisce perché qui c’è tutto il volontariato italiano, per porre all’attenzione del Parlamento il grave problema del carcere” ha dichiarato Lillo Di Mauro, Presidente Consulta Penitenziaria Comune di Roma, all’AgenParl ha proposito dell’Audizione che si è tenuta oggi in Commissione Giustizia, alla Camera. Pubblichiamo, quindi, la lettera inviata al Presidente della Commissione Giulia Bongiorno. “Illustre Presidente, alcune tra le più importanti realtà del volontariato e della cooperazione sociale impegnate nella difesa dei diritti dei detenuti: Consulta Penitenziaria del Comune di Roma, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Seac, Ristretti Orizzonti, Arci Nazionale, Cnca, Gruppo Abele, Uisp, Forum Droghe, Consorzio Open, Fondazione Villa Maraini, Lila, Forum Nazionale per la Tutela della Salute dei Detenuti Legacoopsociali Nazionale, hanno promosso una giornata di mobilitazione con un sit - in per il giorno 24 settembre dalle ore 09.00 alle ore 14.00 in piazza Montecitorio e scioperi programmati in tutte le carceri per sollecitare provvedimenti che ristabiliscano la legalità nel sistema penitenziario. La richiesta a tutte le forze politiche e al Parlamento è di riconsiderare la necessità di avviare l’iter parlamentare per apportare soluzioni al sovraffollamento rapide e condivise con chi in carcere lavora e opera a titolo di volontariato, e soprattutto si chiede che le Commissioni Giustizia di Camera e Senato si adoperino perché lo scarto tra la realtà carceraria e le leggi che hanno riempito a dismisura le strutture detentive esistenti sia colmato con la riforma di alcune norme, che consenta di risolvere strutturalmente i problemi del sovraffollamento attraverso la scarcerazione e l’inserimento in circuiti alternativi di: detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli fino a tre anni, malati psichiatrici, persone detenute affette da gravi patologie. Con il sit- in si intende inoltre: evidenziare i problemi di reinserimento dovuti ai troppi tagli alla spesa sociale, che stanno costringendo molte realtà della cooperazione e del volontariato a chiudere le proprie attività, vanificando di fatto i principi e i benefici previsti dalla Legge Gozzini; chiedere con forza che interventi appropriati ed immediati vengano messi in atto al fine di restituire dignità e serenità alle migliaia di persone private della propria libertà; chiedere la definitiva chiusura degli Opg e la piena applicazione in tutte le regioni della riforma della medicina penitenziaria sostenere la protesta civile e silenziosa che da mesi viene portata avanti dalle persone recluse negli istituti di pena”. Giustizia: i volontari alla Camera; basta con l'equazione "+ carcere = + sicurezza" Redattore Sociale, 23 settembre 2010 Tra i membri della delegazione Ornella Favero di Ristretti Orizzonti e Aldo Morrone, direttore del Forum per la salute. L'autocritica: "Manca la coesione". Domani durante il sit in davanti al Parlamento sarà lanciata la proposta di un congresso. Salute, dipendenze, volontariato, piano carceri: sono stati molti i temi sul tavolo della commissione Giustizia della Camera, dove oggi si è svolta un'audizione sulle condizioni degli istituti penitenziari italiani. A raccontare storie, problemi, prospettive ed emergenze delle carceri una delegazione composta da alcuni dei principali attori del volontariato penitenziario e non solo, tra cui Ornella Favero di Ristretti Orizzonti, Franco Corleone e Aldo Morrone, direttore scientifico del Forum nazionale per la salute delle persone detenute. Ad ascoltare gli interventi e le sollecitazioni, alcuni membri della commissione presieduta da Giulia Bongiorno, presente all'incontro. "Durante l'audizione sono stati toccati molti temi delicati - racconta Favero - tra cui quello, che a noi sta molto a cuore, della salute in carcere e della tempestività della diagnosi. In generale, abbiamo portato all'attenzione della commissione il quadro disastrato ed espresso le nostre opinioni su alcuni punti all'ordine del giorno". A partire dal piano carceri e dal controsenso di creare nuovi istituti quando ce ne sono alcuni nuovi, come quello di Trento, fermi per mancanza di personale. "Abbiamo anche chiesto che vengano attuati interventi a breve termine per alleviare la condizione detentiva come, ad esempio, aumentare la possibilità di colloqui con i familiari, per far stare meno peggio i detenuti". Al centro del dibattito anche la "misurina" dell'ultimo anno di pena ai domiciliari, che correrebbe il rischio di essere svuotata: "La nuova bozza esclude dai beneficiari i sottoposti all'articolo 4bis, che hanno commesso rapine o reati di analoga gravità. Ma quello che si dimentica è che queste persone, che si sono già fatte molti anni di carcere, comunque uscirebbero entro pochi mesi o al massimo un anno. Per cui non ha senso non ammetterle, svuotando così di fatto una legge che avrebbe potuto far uscire qualcuno". Il problema pero', secondo Favero, è ancora più a monte: "Finchè la politica e l'informazione insistono con l'equazione "+ carcere = + sicurezza" ogni nostra proposta sarà stoppata. Si guardi anche alla situazione dei tossicodipendenti che stanno riempiendo le carceri e che non dovrebbero star lì: manca la volontà politica di intervenire". L'invito alla politica, dunque, è di tenere maggiormente da conto l'opinione di chi quotidianamente vive a contatto con il pianeta carcere. "Tutte le ultime circolari del Dap incentivano l'ampliamento degli spazi dei volontari, prevedendo un nostro contributo perfino per la prevenzione dei suicidi. Allora, se ci riconoscete una certa importanza ascoltateci di più! Noi siamo quelli che puntellano una situazione allo sfacelo". Ma ci sono anche motivi per fare una seria autocritica: "Manca una coesione nel volontariato penitenziario italiano: anche in appuntamenti come quelli di oggi arriviamo sempre in ordine sparso. Per cui domani durante il sit in davanti al Parlamento lancero' la proposta di un congresso nazionale del volontariato, per arrivare a definire obiettivi comuni". Giustizia: la Regione Emilia Romagna sostiene la protesta dei volontari penitenziari Redattore Sociale, 23 settembre 2010 L’assessore alla Politiche sociali dell’Emilia Romagna si schiera a fianco di coloro che domani manifesteranno davanti a Montecitorio. “Condivido pienamente le richieste che presenteranno”. La regione Emilia Romagna si schiera con i volontari che lavorano in carcere, e che domani saranno in piazza davanti a Montecitorio. “La manifestazione di domani richiama il governo al proprio dovere - spiega l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi: agire adesso, senza attendere ancora e inutilmente, per affrontare il dramma senza fine delle carceri italiane. Carceri riempite a dismisura, dove i detenuti, anziché compiere un cammino verso il reinserimento nella società, vivono in condizioni indegne e disumane”. L’Emilia Romagna è fra le regioni italiane in cui il sovraffollamento si fa più sentire. L’indice di affollamento qui arriva all’85,7%. Nelle carceri della regione vivono 4.444 detenuti (dati di Uil penitenziari), mentre la capienza massima è di 2.400 posti. “All’interno delle carceri - prosegue l’assessore Marzocchi - i volontari svolgono un ruolo prezioso di accompagnamento dei detenuti, di assistenza nel disbrigo di pratiche, di attività culturali, ricreative e sportive, impegnandosi quotidianamente a rendere più sopportabile una situazione umanamente intollerabile. Per questo sono vicina alle associazioni dei volontari, e condivido pienamente le richieste che domani presenteranno, a partire dall’inserimento in circuiti alternativi per i detenuti che ne hanno i requisiti riconosciuti dalla legge; in particolare tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli piccoli, persone affette da disagio psichico e detenuti con gravi patologie”. Giustizia: Osapp; 100 detenuti in più in un solo giorno, agenti aggrediti, Governo assente Ansa, 23 settembre 2010 In un solo giorno i detenuti nelle sovraffollate carceri italiane sono aumentati di 100 unità, e oggi sono 68.763, mentre “arriverà sempre troppo tardi” il momento in cui “la politica italiana deciderà di occuparsi anche dei poliziotti penitenziari”. A sottolinearlo è il sindacato penitenziario Osapp che rende noti due recenti e gravi episodi di aggressione ai danni dei baschi azzurri (a Saluzzo e a Lucera), tanto da insistere nel chiedere il passaggio dei 39.700 agenti in servizio nelle carceri alle dipendenze del ministero dell’Interno. “Due giorni or sono a Saluzzo un detenuto, in palese stato di ubriachezza, ha aggredito e ferito 3 agenti con un coltello rudimentale di plastica su cui era innestata una lametta del tipo consentito in carcere - afferma in una nota il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci. Si tratta dello stesso detenuto che qualche mese fa a Cuneo si era arrampicato su una gru, richiedendo l’intervento dei vigili del fuoco”. E ancora: “alcuni giorni fa, a Lucera, durante il trasporto da un istituto all’altro e sempre con una lametta del tipo consentito, un altro detenuto ha ferito alcuni agenti - aggiunge Beneduci. Lucera riesce funzionare nonostante 262 detenuti presenti per 175 posti tollerabili, mente in Puglia, dove si è tocca il massimo sovraffollamento del territorio nazionale (+16% con 4.658 presenze rispetto a 4.007 posti tollerabili) il provveditore regionale non c’è più da 9 mesi perché non designato dal capo dell’amministrazione Ionta e dal Ministro Alfano”. Giustizia: Desi Bruno confermata portavoce del Coordinamento dei Garanti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2010 Il Coordinamento dei Garanti si è riunito a Bologna lo scorso 17 settembre e in via preliminare ha ribadito la decisione di affidare la rappresentanza del Coordinamento stesso a Desi Bruno, non solo in segno di stima per l’azione svolta in questi anni ma anche per continuare la battaglia per l’affermazione di figure di garanzia e per il garante nazionale. Con altro comunicato sono annunciate le prossime iniziative di fronte alla situazione sempre più drammatica delle carceri italiane. Il Coordinamento ha deciso che l’incarico di portavoce a Desi Bruno si eserciti, fino alle prossime elezioni comunali, assumendo l’impegno di chiedere al prossimo Consiglio Comunale di mettere all’ordine del giorno la nomina del Garante dei diritti dei detenuti come uno dei primi atti dell’ amministrazione. Giustizia: a lezione di diritti nel nome di Cucchi, alla “Scuola del sociale” di Roma Corriere della Sera, 23 settembre 2010 Cinque giorni di lezione in ricordo di Stefano Cucchi. Da mercoledì a sabato 25 settembre, sui banchi della Scuola del sociale della Provincia di Roma 25 operatori penitenziari studieranno le tecniche per la promozione e la protezione dei diritti delle persone private della libertà. Una “cultura dell’ accoglienza” sempre più necessaria alla luce dei fatti di cronaca (il caso Cucchi ne è un triste esempio) e del cronico sovraffollamento delle carceri italiane che rende difficile la sopravvivenza dei detenuti e delle stesse guardie carcerarie. “Il fatto che qui si formeranno operatori del sociale, che potranno fare tesoro del dramma di nostro figlio, ci fa coraggio” ha detto Giovanni Cucchi lo scorso luglio quando è stata apposta nella Scuola Agorà una targa dedicata alla memoria di Stefano Cucchi, il ragazzo deceduto il 22 ottobre all’ospedale Pertini a seguito delle percosse ricevute in carcere. “Vogliamo contribuire, con la nostra formazione, allo sviluppo di una reale cultura dell’ accoglienza – ha detto l’ assessore al lavoro Massimiliano Smeriglio - e della presa in carico delle fragilità, affinché quello che è successo a Stefano Cucchi e ad altri non si ripeta”. In Italia ci sono 206 istituti penitenziari che potrebbero ospitare in tutto 43.327 detenuti. Oggi, invece, nelle carceri sopravvivono più di 68mila persone. “Il 13 gennaio 2010, per la prima volta nella storia italiana, il governo ha dichiarato lo “stato di emergenza nazionale” per il sovraffollamento delle carceri. Da allora la situazione si è ulteriormente aggravata, senza che ci sia stato nessun intervento sostanziale”, ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone che ha aperto il ciclo di lezioni. “Per questo è importante costruire momenti di formazione interdisciplinari sui diritti umani, in questo momento storico in cui assistiamo a politiche interne e internazionali che li mettono sempre più a rischio”. La Scuola del Sociale, inaugurata nel giugno 2009, è una struttura pubblica e gratuita, aperta a tutti coloro che lavorano nel sociale, nel terzo settore e nella pubblica amministrazione. In poco più di un anno ha formato più di 1.400 persone offrendo corsi gratuiti e di qualità destinati a figure professionali importanti nella società, come gli assistenti sociali, personale paramedico, gli operatori penitenziari. Il Corso intitolato a Stefano Cucchi porterà in cattedra undici relatori che affronteranno il tema della tutela dei diritti delle persone private dalla libertà. Tra questi Stefano Anastasia, Cristiana Bianco, Antonio Marchesi, Franco Corleone, Carlo Fiorio, Daniela De Robert, Stefano Transatti, Sergio D’Elia, Iñaki Rivera Beiras. Giustizia: arrestati a Napoli otto poliziotti, derubavano gli spacciatori di denaro e droga La Repubblica, 23 settembre 2010 Trattenevano per sé metà della droga che veniva sequestrata durante i blitz. In casa dei pusher prendevano tutto ciò che trovavano NAPOLI - Prendevano quello che trovavano. Droga, soldi, occhiali da sole. Razzie in casa degli spacciatori, altro che regolari perquisizioni di polizia giudiziaria. Quindi compilavano i verbali riducendo le quantità della roba sequestrata, versavano il denaro in una cassa comune e davano ai loro confidenti parte degli stupefacenti. Infine, quando trascrivevano le intercettazioni ambientali in carcere degli spacciatori che avevano arrestato, facevano sparire ogni frase sospetta. Ossia commenti e critiche sul loro operato, su quello che avevano rubato. Frasi come: “Ma quei poliziotti, non si vergognano di quello che fanno?”. Quei poliziotti - otto, in servizio al commissariato di Secondigliano, due con il grado di ispettore - sono stati arrestati ieri dai colleghi della squadra mobile su ordinanza di custodia cautelare in carcere. Le accuse: falso, peculato, detenzione di droga. In tre capitoli di reato la storia dei loro comportamenti criminali. Secondo quanto ricostruito con le indagini, gli otto poliziotti venivano a sapere dove potevano trovare droga da alcuni confidenti tossicodipendenti in cambio della promessa di consegnare loro le dosi gratuitamente. Quindi i blitz. E le cifre dimezzate. Se venivano trovate centocinquanta dosi di eroina, sui verbali erano ridotte a settanta. Le altre sparivano, consegnate agli informatori. Quindi i soldi. Cercati ovunque nelle case degli spacciatori. Denaro che non necessariamente era provento dello spaccio, come nel caso dei risparmi del figlio di una spacciatrice. Soldi presi da borsellini e comodini, dai vestiti appesi nell´armadio. Anche qui cifre dimezzate sui verbali e i versamenti in una cassa comune. Tutto è reso possibile dalla paura degli spacciatori, che non denunciano i comportamenti irregolari delle divise. Ma che parlano, commentano durante i colloqui in carcere. Uno di loro, ad esempio, raccomanda alla madre di non fare entrare più la polizia in casa perché ruba. Conversazioni che sono gli stessi poliziotti delle razzie ad ascoltare. Devono trascriverle su delega della magistratura, lo fanno ma solo parzialmente. Frasi e commenti spariscono dai verbali alla voce “incomprensibile”. Verranno poi riascoltati dai periti della Procura. E accusano gli otto poliziotti senza dubbio. Emilia Romagna: la Conferenza regionale volontariato giustizia aderisce alla protesta Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2010 Chiedono “legalità” nelle carceri italiane, cioè nei luoghi che proprio per mandato costituzionale dovrebbero “riportare” alla legalità persone che l’hanno calpestata Chiedono pene alternative per i detenuti tossicodipendenti, i migranti, i malati di Aids, le madri con figli fino a tre anni, i malati psichiatrici e i malati di gravi patologie Chiedono alle istituzioni e alla politica di prendere provvedimenti realmente utili, strutturali, condivisi con le persone che a vario titolo lavorano e operano come volontari in carcere, affinché si possa immediatamente porre rimedio all’inaccettabile sovraffollamento e prevenire ulteriori suicidi. Sono i volontari di tante associazioni e della cooperazione sociale che hanno deciso di fare sentire la loro voce domani 24 settembre a Roma davanti al Parlamento e con successive audizioni alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, chiedono con forza che il tempo della pena possa assumere una reale funzione di risarcimento e di reinserimento autentico, senza privare la persona dei diritti di cittadinanza. Con questa mobilitazione, cui aderisce anche la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia dell’Emilia Romagna, i cittadini volontariamente impegnati nelle carceri intendono: evidenziare i problemi del reinserimento sociale e lavorativo dovuti ai troppi tagli alla spesa sociale; chiedere con forza che gli interventi previsti dal Regolamento del 2000 vengano messi in atto al fine di restituire dignità alle migliaia di persone private della propria libertà; chiedere la definitiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e delle Case di Lavoro come anacronistica misura di sicurezza e la piena applicazione in tutte le regioni della riforma della medicina penitenziaria. La Conferenza Regionale Volontariato Giustizia dell’Emilia Romagna costruirà nei prossimi mesi iniziative locali e regionali di sensibilizzazione e informazione. Marche: Ombudsman regionale visita il carcere di Ancona; fra gli Istituti più collassati Ansa, 23 settembre 2010 Italo Tanoni, nuovo Ombudsman regionale e Difensore dei detenuti, ha visitato il carcere di Montacuto ad Ancona, riscontrando “condizioni di estremo disagio per i detenuti, stipati in cella oltre il numero massimo consentito”. Rispetto alla capienza regolamentare di 172 reclusi, la casa circondariale ne ospita 313, quasi il doppio. Di questi, il 50% circa è composto da extracomunitari. Considerando che l’organico effettivo degli agenti di custodia è di 132 persone (201 la dotazione prevista), ne consegue che Montacuto “è una delle situazioni carcerarie più collassate della regiono”. Anche se, ha riconosciuto Tanoni, il sistema sanitario è buono, così come il livello delle iniziative e la fruibilità degli spazi d’aria per le attività motorie. Tanoni si è trattenuto con la direttrice del carcere Santa Lebboroni e il vice comandante della polizia penitenziaria Gianni Cardinale, oltre ai referenti del servizio sanitario, e dei servizi socio assistenziali. A breve riunirà i dirigenti e responsabili dei servizi di tutti gli istituti delle Marche per valutare lo stato dell’accesso alle attività lavorative, soprattutto per i detenuti in regime di semilibertà. Lucera (Fg): Osapp; detenuto ferisce agente penitenziario con una lametta da barba Asca, 23 settembre 2010 Ha ferito al volto con una lametta da barba un agente penitenziario, mentre veniva tradotto sotto scorta dal carcere di Lucera in un’altra sede fuori Regione per motivi precauzionali e disciplina. Protagonista dell’aggressione un detenuto che stava salendo sul mezzo blindato. Nonostante fosse tenuto a grande sorveglianza, sotto adeguata scorta “Baschi azzurri”, l’uomo ha tirato fuori dalla bocca una lametta nascosta si presume sotto la lingua ed aggredito i poliziotti, quale atto di rifiuto alla partenza. Gli agenti di scorta polizia penitenziaria sono riusciti ad immobilizzarlo e sequestrare la lametta. A denunciare l’episodio, l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), che lamenta il sovraffollamento del carcere del centro federiciano: oltre 240 detenuti contro una forza ricettiva pari a 150/180 posti letto. “La polizia penitenziaria - si legge nella nota dell’Osapp - opera sotto organico di almeno trenta unità con turni a volte di otto e dieci ore lavorative così come il gruppo delle scorte viaggia con pochi uomini ed il proprio lavoro straordinario così come il servizio di missione dallo scorso gennaio non sarebbero corrisposte per intero”. Osapp ricorda che la Puglia su una popolazione di 68.400 nazionale detiene il secondo negativo posto con 4616, invece, che 2551 pari ad un sovraffollamento dell’80,9 %. “I poliziotti - conclude la nota - sono 2.700 circa ne mancano oltre duecento poliziotti nei reparti detentivi si chiede l’immediato rientro da tutti i servizi esterni ed uffici a salvaguardia della sicurezza dei penitenziari”. Sulmona: i detenuti avviano una raccolta di fondi per le carceri ugandesi Il Centro, 23 settembre 2010 I detenuti del carcere di Sulmona hanno avviato una raccolta di fondi a sostegno del progetto della Comunità di Sant’Egidio “Liberate i prigionieri in Africa”. L’iniziativa, avviata anche in altri carceri italiane, è stata presentata ieri mattina nell’Aula magna del supercarcere peligno dai rappresentanti della Comunità, impegnati da anni nella lotta per migliorare le condizioni dei detenuti nel continente africano. “Si tratta di detenuti per lo più giovani”, hanno spiegato ai reclusi peligni e agli agenti di polizia penitenziaria “costretti a una vita in carcere particolarmente dura. Alla privazione della libertà si aggiungono in primo luogo gravi carenze igienico-sanitarie. L’alimentazione è insufficiente e tutti quelli che non hanno parenti soffrono la fame”. Nel corso della presentazione del progetto si è esibito il gruppo musicale composto dai detenuti “I figli del vento” che ha suonato insieme ai Discanto, un gruppo sulmonese di musica etnica abruzzese. La direzione del carcere ha contribuito al progetto donando un’ambulanza in dotazione a Sulmona a un carcere dell’Uganda. L’iniziativa sarà ripetuta nelle prossime. Milano: Fondazione Milan regala pulmino ai volontari carcerari di “Incontro e presenza” Ansa, 23 settembre 2010 L’associazione attiva nelle carceri milanesi ha ricevuto il dono dalla Fondazione Milan durante la manifestazione “Technogym Beach Volley Challenge Adidas Cup” Al Palauno di Milano nell’ambito della manifestazione sportiva “Technogym Beach Volley Challenge Adidas Cup”, l’associazione Incontro e Presenza ha ricevuto la donazione di un pullmino da parte della Fondazione Milan a nome delle aziende che hanno contribuito alla realizzazione del progetto. Prima dell’inizio delle gare previste dal torneo, Fondazione Milan con due testimonial d’eccezione come Paolo Maldini e Nelson Dida, ha consegnato ai rappresentanti dell’associazione Incontro e Presenza il pullmino Volkswagen Caravelle da 9 posti che consentirà all’associazione di poter svolgere al meglio il proprio lavoro a sostegno dei detenuti delle Carceri di San Vittore, Monza, Opera, Bollate e Beccaria. Contestualmente alla donazione del pullmino sono stati regalati anche capi d’abbigliamento sportivo che serviranno in modo particolare all’adempimento del Progetto Dignità portato avanti dall’associazione da oltre 15 anni all’interno del carcere di San Vittore, attraverso la consegna annuale di circa 30mila capi di vestiario nuovo ed usato destinati ai detenuti indigenti. Le aziende che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto partecipando al Torneo sono: Technogym, adidas Group, Caffè Barbera, Down Town Palestre, Fondiaria Sai, F.lli Della Fiore, Infront, Liotontrauma, Nivea For Men, One Shot Sport & Management, Palauno, Radio Italia, Resentin, Sisal, Studio Legale Morelli, Sun Devices System e The First Outsourcing. Immigrazione: domani a Rovigo il “Clandestino Day”, tutti in piazza contro i Cie Asca, 23 settembre 2010 Scendono in piazza venerdì 24 settembre i contrari ai Cie, né a Zelo, né in Veneto, né altrove. Iil ministro Roberto Maroni ha rassicurato che il Cie nell’ex base militare di Ceneselli resta solo un’ipotesi, ma non è sufficiente ad abbassare la guardia: lo stesso ministro ha confermato che il Cie si farà, qui o in un’altra provincia del Veneto. Un motivo in più per ribadire il messaggio lanciato dal coordinamento No Cie, nato in Polesine e ormai esteso ad altre province venete: il punto non è dove verrà costruito, ma l’ingiustizia e l’inutilità di queste strutture, carceri di fatto per persone che non hanno commesso alcun crimine, “campi di concentramento che ledono la dignità umana”, per citare le nette parole del vescovo di Adria-Rovigo, Lucio Soravito De Franceschi. Il Comitato No Cie, nato dal tam tam spontaneo di associazioni polesane e venete, porta in piazza una proposta alternativa: tornare a parlare di politiche dell’immigrazione che non perdano di vista i diritti e la dignità umana, e che anzi si pongano come obiettivo la costruzione di percorsi di integrazione, inserimento e confronto tra culture e civiltà destinate a incontrarsi. Venerdì 24, alle 17 si inizia con un sit in piazza Matteotti, cui interverranno rappresentanti delle associazioni che compongono il coordinamento, testimoni e cittadini. Saranno presenti anche delegazioni da altre province, in cui già sono in cantiere analoghe iniziative. L’appello contro il Cie di Zelo e tutti i Cie, promosso dal coordinamento, verrà diffuso in tutte le province. In queste settimane è divenuto una petizione, che può essere firmata anche online (http://clandestinodayrovigo.wordpress.com). Alle 18 i manifestanti sfileranno in corteo lungo il corso e per le vie del centro verso piazza D’Armi, da cui partirà una carovana alla volta di Ceneselli, attraverso Lendinara, Badia Polesine, Giacciano con Baruchella e Zelo. Per finire, un momento di informazione e dibattito ospitato alle 21 nella sala consiliare di Ceneselli, dal tema “Apriti Cie”. A documentare e testimoniare la realtà dei Cie, quattro relatori da non perdere: don Albino Bizzotto dei Beati costruttori di Pace; Andrea Bellavite della comunità d’accoglienza “Arcobaleno” di Gorizia; Livio Ferrari, garante delle persone recluse; Nicola Grigion del progetto Melting Pot Europa. Sabato 25, nella sala consiliare di Stienta, infine, l’Associazione Il Fiume tornerà ad affrontare l’argomento con don Andrea Gallo, della comunità San Benedetto al Porto di Genova. L’invito a partecipare è rivolto a tutti i cittadini e a tutti coloro interessati a vario titolo a conoscere meglio cos’è un Cie e quali sono le conseguenze per le persone delle politiche sull’immigrazione approvate in questi anni. La storia del coordinamento, l’appello e molto altro sono sul sito http://clandestinodayrovigo.wordpress.com. Mondo: la pena di morte mai… ma l’America non è l’Iran di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 23 settembre 2010 Nessuna luce è stata ancora accesa per impedire l’esecuzione di Teresa Lewis in Virginia. Ahmadinejad ha avuto la sfrontatezza di rinfacciare il suo caso alla comunità internazionale che aveva protestato per la lapidazione di Sakineh. Ma la battaglia contro la pena di morte è troppo importante per lasciarsi intrappolare dalle furbizie dell’autocrate iraniano. È giusto farsi sentire adesso, fino a che una sola speranza può impedire l’iniezione letale. È davvero paradossale che il caso di Teresa Lewis, la donna minata da forti disturbi mentali e condannata per aver indotto l’amante a uccidere il figlio e il figliastro, si sia imposto sulla scena internazionale sulla scia della parole di Ahmadinejad. E la colpa del movimento per l’abolizione della pena capitale è quella di suscitare un’attenzione solo episodica sulle vicende dei condannati a morte in America. Attraversando tortuosi e indecifrabili itinerari psicologici e mediatici, alcuni casi sono seguiti con allarme e apprensione: le piazze del mondo si mobilitano, si illuminano i monumenti più famosi che fanno da scenario di veglie e fiaccolate, si moltiplicano appelli e petizioni, si firmano manifesti, si organizzano concerti e sit-in. In altre occasioni, come questa, cala il silenzio, domina la disattenzione, l’indifferenza, addirittura il fastidio per notizie moleste e ripetitive. Si esulta quando l’Onu, anche grazie alla tenacia internazionale dei radicali italiani, si pronuncia per una “moratoria” della pena di morte. Ma non si vigila sull’applicazione di quei princìpi, si considera normale che in Virginia venga uccisa con il sigillo dello Stato una donna tormentata da una grave instabilità psichica. E si lascia ai lapidatori di Teheran il compito di ricordare alle democrazie del mondo che, purtroppo, la pena di morte non è una prerogativa dei sistemi più simili a quello iraniano. Ma se la colpevole disattenzione dell’opinione pubblica democratica appare sconcertante, appare davvero ridicolmente pretestuoso l’accostamento che Ahmadinejad suggerisce tra il sistema iraniano e quello americano. La pena di morte rappresenta un orrore, sempre. Ma le atroci discussioni a Teheran sulla realizzazione “tecnica” della lapidazione (la condannata viene sepolta fino alla testa o le pietre possono raggiungere anche il busto della lapidata?) sono una specialità vergognosa che rendono il caso iraniano imparagonabilmente più feroce di quello americano. Così come le impiccagioni sulla pubblica piazza. Così come la lapidazione delle donne, condannate per reati “morali” di gran lunga meno gravi di quello commesso da Sakineh. Così come l’uso della tortura in carceri spaventose dove sono violati sistematicamente i più elementari diritti umani. Così, come l’inesistenza assoluta di ogni parvenza di Stato di diritto, con gli imputati che non possono difendersi, gli avvocati imbavagliati, le procedure stracciate, le garanzie cancellate del tutto. La forca e la lapidazione sono due elementi essenziali della scena politica di Teheran. I corpi degli impiccati che penzolano nel vuoto sono usati come immagine di terrore che dovrebbero convincere gli iraniani a non ribellarsi al loro regime. C’è una frontiera morale e politica tra l’autoritarismo iraniano e la democrazia americana che non può essere sbriciolata da analogie usate come arma di ricatto morale per far cadere l’Occidente democratico in contraddizione con se stesso e con i princìpi che professa. Ma sono proprio i democratici che dovrebbero neutralizzare la beffa di Ahmadinejad: opponendosi, sempre, ai sistemi feroci e disumani di Teheran, e manifestando, sempre, contro la pena di morte ancora operante nella democrazia americana. Sempre, non a singhiozzo, o a seconda delle circostanze e delle convenienze. Indignarsi quando le forche vengono allestite sulle pubbliche piazze di Teheran o viene inscenato il macabro spettacolo della lapidazione (oltre a Sakineh, sono almeno sette le previste prossime esecuzioni di condannati a morte in Iran). E non smettere mai di richiedere la “moratoria” sulla pena di morte siglata dalle Nazioni Unite. Anche a Washington dove c’è la libertà di manifestare il proprio dissenso. A Teheran no: la differenza è tutta qui. Stati Uniti: Teresa Lewis, è la notte del boia; a morte la detenuta minorata psichica di Anna Guaita Corriere della Sera, 23 settembre 2010 Stasera alle nove, quando in Italia sarà notte fonda, Teresa Lewis sarà messa a morte. La sua ultima speranza di ottenere un rinvio è crollata ieri quando la Corte Suprema ha rifiutato di studiare il suo caso. Il giorno prima, il governatore della Virginia, Bob McDonnell aveva a sua volta rifiutato la grazia dichiarando che la sua decisione era “definitiva”. La reazione dell’avvocato difensore, James Recap, è stata molto triste: “Una persona fondamentalmente buona verrà messa a morte”. Il caso di Teresa Lewis ha attratto molta attenzione nel mondo, ma negli ultimi giorni sI è parlato di lei anche di più in seguito al fatto che il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ha preso il suo caso a esempio del fatto che nell’Occidente esistono due pesi e due misure: si guarda alla condanna di Sakineh Ashtiani come a un orrore e non si protesta altrettanto per la condanna di Teresa. La Lewis ha ricevuto la pena capitale per aver orchestrato l’omicidio del marito e del figliastro, allo scopo di incassare i 250 mila dollari della loro assicurazione sulla vita. Durante il processo si è però capito che la signora aveva un quoziente di intelligenza ai limiti della normalità, e per l’abuso di farmaci ipnotici questa condizione si era anche aggravata. Invece uno dei due sicari, Matthew Shallenberg, che era anche l’amante di Teresa, era uomo di spiccata intelligenza. La difesa aveva dunque insistito che il piano doveva essere stato organizzato da Schallenberg, e che Teresa era stata “manipolata”. E infatti qualche anno dopo, prima di suicidarsi in prigione, Schallenberg ha scritto una lettera in cui riconosceva che le cose erano andate in quel modo. Ma per Teresa era troppo tardi. Se i giudici sono stati più severi con lei, e hanno comminato solo a lei la pena di morte mentre hanno dato l’ergastolo ai due sicari, si deve a quei 45 minuti durante i quali la donna è stata seduta accanto al marito morente, senza aiutarlo. Solo quando lui era oramai alla fine, ha chiamato la polizia, denunciando “un’aggressione”. Ma con il suo ultimo respiro, il marito ha accusato: “Lei sa chi mi ha ucciso”. In carcere, in isolamento, Teresa ha riscoperto la sua fede. Grazie a una bellissima voce, si è consolata cantando inni gospel. E nella sua ultima intervista, a una stazione radio, ha cantato più che parlare. Ma con voce serena ha anche chiesto perdono per il suo “atto crudele”, e ha detto che stasera spera di “essere ricongiunta con Cristo”. Roberto Della Seta (Pd): la pena di morte è una barbarie, ovunque venga eseguita "è evidente che ogni paragone tra Stati Uniti e Iran in materia di rispetto diritti umani e stato di diritto sia improponibile. Ma cio' non toglie che la pena di morte è una barbarie sia che venga eseguita a Teheran sia che avvenga, come purtroppo in centinaia di altre occasioni, sul territorio e sotto le leggi di una delle più antiche democrazie del mondo." Lo dichiara il senatore del Pd Roberto Della Seta, membro della Commissione speciale per i diritti umani, quando mancano poche ore all'esecuzione capitale di Teresa Lewis in un penitenziario della Virginia. "Il carattere inaccettabile e moralmente ripugnante della pena di morte - sostiene Della Seta - è patrimonio di settori sempre più vasti dell'opinione pubblica mondiale, come dimostra anche moratoria richiesta dall'Onu nel 2007. L'Italia, che si è sempre battuta, qualunque fosse il governo, per affermare tale principio, da paese amico e alleato degli Usa, ha il dovere e il diritto di chiedere ad alta voce la fine delle esecuzioni, a cominciare - conclude Della Seta - dalla sospensione della sedia elettrica per Teresa Lewis".