Giustizia: sette detenuti morti in due settimane, quando il carcere è condanna a morte di Dimitri Buffa L’Opinione, 21 settembre 2010 Sette morti in poco più di due settimane. Questo è il bilancio del “settembre nero” del 2010 nelle carceri italiane. Di questo passo finire in galera equivarrà a una vera e propria condanna a morte preventiva, senza bisogno di processo o di altro. Ma a forza di non decidere, e grazie all’ostracismo di Idv e Lega Nord da una parte, e di spezzoni non garantisti del Pd e del Pdl dall’altra, di fatto neanche il provvedimento “svuota carceri”, fortemente voluto da Alfano, è stato varato ancora. E nel frattempo la capienza di tutte le carceri italiane deve sopportare il peso di quasi 70 mila detenuti di fronte ai circa 45 mila che potrebbero esservi invece ospitati. Così, tra “piani carceri” che non decollano, sindacati di polizia penitenziaria che protestano (anche tra loro il numero dei suicidi è impressionante) e ministri pieni di buona volontà di fatto depotenziati dalle ottuse burocrazie ministeriali, il macabro bilancio va ogni giorno peggiorando: 7 detenuti sono morti negli ultimi in 10 giorni. Tre suicidi, tre per cause ancora da accertare, uno per malattia. Inoltre dall’inizio anno sono già 44 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (37 impiccati, 5 asfissiati col gas, 1 avvelenato con dei farmaci e 1 auto sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 125. Le ispezioni di massa che hanno toccato 200 strutture su 213 lo scorso Ferragosto, a iniziativa di Marco Pannella e Rita Bernardini, e con la partecipazione di quasi duecento tra parlamentari, senatori, consiglieri regionali e magistrati di sorveglianza, hanno avuto il merito di sbattere la cosa in faccia all’opinione pubblica. Ma tutto qui. Ora, in pieno clima di campagna elettorale, con le manette e le derive securitarie che di nuovo si agitano in tv per amore della bassa propaganda populista che da tempo contraddistingue senza eccezioni la politica italiana, tutto si è di nuovo fermato. A questo punto qualcuno dovrebbe avere la onestà intellettuale di dire alla gente che “dei detenuti il Paese può fare a meno dì interessarsi” e che possono marcire e morire in quelle strutture fatiscenti, un po’ come per anni si è lasciato maturare e poi marcire il problema dei rifiuti cittadini in città come Napoli e Palermo. I rifiuti umani della società non vanno tutelati e la loro vita o la loro morte non devono interessare la politica italiana, specie in vista delle elezioni politiche. Così chi vuole aggiorni pure questo macabro “Spoon river” di morti ammazzati, suicidi o per malattia, ma senza speranza che qualcosa si muova. Per la cronaca, e per rendere omaggio alle ultime sette vite spezzate da questa infame situazione, riportiamo i nomi e le vicende umane di ciascuno di loro. Torino, 16 settembre 2010 - Placido Caia, 64 anni viene ritrovato morto in cella nel carcere delle Vallette. Caia affiliato alla ‘ndrangheta calabrese, avrebbe finito di scontare la pena nel 2016. Dalle prime indiscrezioni pare che la morte sia dovuta a cause naturali. Prato, 15 settembre 2010 - Un detenuto 40enne di origini campane muore in una cella della Dogaia, presumibilmente per un problema cardiaco. L’uomo viene trovato già cadavere e tutti i soccorsi sono vani. Torino, 14 settembre 2010 - Rodolfo Gottardo, 50 anni, in libertà vigilata, si uccide davanti ai Carabinieri che volevano riportarlo in carcere, da dov’era uscito dopo aver scontato 20 anni di pena per tentato omicidio e rapina. Tossicodipendente e sieropositivo, lavorava come magazziniere in una cooperativa. In carcere aveva anche recitato per il film “Tutta colpa di Giuda”, regista Davide Ferrarlo, protagonista Luciana Littizzetto. Napoli, 8 settembre 2010 - Francesco Consolo, 34 anni, di origini pugliesi, detenuto nella Sezione Transessuali del carcere di Poggioreale, si uccide asfissiandosi con il gas dalla bomboletta data in dotazione ai detenuti per cucinare in cella. La Spezia, 8 settembre 2010 - Ivan Maggi, 22 anni, si impicca in cella la notte del 5 settembre. Viene soccorso ancora in vita, ma le sue condizioni appaiono subito gravissime, a causa dei danni cerebrali provocati dall’anossia. Ricoverato al centro di Rianimazione dell’ospedale Sant’Andrea, il giovane non sopravvive. Viene dichiarato clinicamente morto dopo 3 giorni di coma. Pisa, 5 settembre 2010 - Moez Ajadi, tunisino di 33 anni, detenuto presso il carcere Don Bosco di Pisa, accusa problemi respiratori e dolori polmonari, perciò viene ricoverato al Centro clinico penitenziario. La sua situazione clinica comincia a peggiorare e ne viene disposto il trasferimento immediato presso una struttura civile più attrezzata, l’Ospedale Santa Chiara, ma muore in ambulanza ancor prima di arrivare al pronto soccorso. Napoli, 5 settembre 2010 - Giuseppe Coppola, 60 anni, detenuto nel carcere di Poggioreale accusa forti dolori al petto. In infermeria gli somministrano un antidolorifico e lo rimandano in cella. Dopo un paio d’ore Coppola ha un nuovo malore e sviene. L’uomo muore durante il tragitto verso l’ospedale. Giustizia: Camera; bloccato pdl sulle detenute madri, giovedì audizione operatori sociali Asca, 21 settembre 2010 Le riserve espresse da vari deputati, anche di maggioranza, sul testo unificato 2011 riguardanti la tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori ha bloccato sul filo di lana la conclusione dell’iter referente. La scorsa settimana è stato deciso di procedere ad un ulteriore approfondimento rinviando di una quindicina di giorni l’esame già programmato in Assemblea a partire da oggi. Il Comitato ristretto della Commissione torna, infatti, a discutere il progetto normativo nelle riunioni programmate per oggi e domani. Situazione delle carceri: la Giustizia ha all’ordine del giorno giovedì una serie di audizioni sulla situazione degli istituti penitenziari con particolare riguardo a quelli di Roma. Saranno ascoltati rappresentanti della Consulta penitenziaria romana e di varie organizzazioni sociali che operano nel settore. Giustizia: Sappe; dal Governo solo affermazioni verbali, ma da mesi non succede nella www.sappe.it, 21 settembre 2010 Continuano, secondo una cadenza quasi giornaliera, i suicidi dei detenuti; e continuano, senza tregua, i sacrifici del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, senza che si assista effettivamente a provvedimenti di sostegno. Da mesi, infatti, si assiste solo ad affermazioni verbali dei Vertici governativi e ministeriali, (altro che “Res non verba”), ma, in sostanza, non succede nulla: nessuna integrazione degli organici, nessun incremento economico, nessun aggiornamento professionale, nessun riconoscimento a personale che collabora alla sicurezza nazionale, che affronta quotidianamente disagi enormi, che, da tempo, andrebbe adeguatamente sostenuto; anzi, le prestazioni straordinarie, sempre più ordinarie, non vengono più retribuite per carenza dei fondi di bilancio. Il Sappe ha più volte rappresentato la criticità del sistema: quando arriverà una risposta chiara e foriera di risultati? Lettere: pacchetto sicurezza e obbligo denuncia; ordine assistenti sociali scrive a Maroni Ristretti Orizzonti, 21 settembre 2010 Legge 15 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” - obbligo di denunzia in capo all’assistente sociale pubblico dipendente. Eccellenza, è trascorso ormai un anno da quando, con nota 15 settembre 2009, rivolta al Suo Capo di Gabinetto, il Consiglio Nazionale da me presieduto - in rappresentanza di oltre 35.000 iscritti - ha richiesto alla Sua Amministrazione di voler chiarire - tramite circolare od altro atto ritenuto opportuno - se, alla luce delle disposizioni introdotte dalla legge n. 94/2009, sussista nell’ordinamento vigente un obbligo di denunzia in capo all’assistente sociale pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, in ragione del suo ufficio o dello svolgimento del proprio servizio, entri in contatto con un immigrato clandestino. La richiesta è stata reiterata in data 18 febbraio 2010, nonché in data 8 aprile 2010, ma, nonostante se ne fosse rappresentata l’urgenza, nessuna risposta è fin’ora pervenuta, né sono state in alcun modo evidenziate le ragioni di tale contegno. Mi rivolgo pertanto a Lei, signor Ministro, per evidenziare l’assoluta necessità di un Suo autorevole intervento. Alcune recenti pronunzie della Corte costituzionale, pur contribuendo a chiarire altri profili della materia - mi riferisco alla sentenza 226/2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità della previsione per cui, oltre a questioni di sicurezza pubblica, le “associazioni di volontari” segnalano anche “situazioni di disagio sociale”; alla sentenza 249/2010, che dichiara incostituzionale la previsione della condizione di immigrato irregolare quale circostanza aggravante; alla sentenza 250/2010, che conferma la legittimità costituzionale del reato di immigrazione clandestina - non offrono elementi dirimenti in ordine alla nostra problematica. Il Consiglio nazionale, in difetto di qualsiasi indicazione da parte delle Sua amministrazione, dovrà in ogni caso farsi carico di fornire indicazioni in merito ai Consigli regionali dell’ordine nonché ai propri iscritti, giacché la situazione di incertezza venutasi a creare non è oltremodo tollerabile. Non si potrà mancare peraltro di evidenziare all’attenzione degli iscritti e della opinione pubblica che il Ministero dell’interno, più volte interpellato, ha mancato di svolgere la propria funzione di ausilio ed interpretazione, a fronte di una normativa ampia ed articolata, e, in alcuni passaggi, oggettivamente complessa. Spero vivamente, Sig.Ministro, in un Suo autorevole intervento: sono infatti sicura che ad Ella stia particolarmente a cuore la corretta applicazione della disciplina, e che vorrà comprendere la necessità di non lasciare soli gli operatori di fronte alle scelte anche difficili che l’esercizio di una professione di aiuto, quale la nostra, inevitabilmente comporta. Le sarò pertanto grata, Sig.Ministro, se vorrà ricevermi al fine di poterle adeguatamente illustrare la situazione che si è venuta a creare, nonché le esigenze di chiarezza che la nostra categoria avverte come impellenti e non più rinviabili. Con l’occasione porgo i più cordiali saluti del Consiglio Nazionale, oltre che i miei personali. La Presidente Franca Dente Veneto: cala la paura della criminalità, ma i reati sono in diminuzione da dieci anni di Enzo Pace Il Gazzettino, 21 settembre 2010 Non abbiamo più paura; ci sentiamo tutto sommato più sicuri. Almeno a sentire gli abitanti del Nordest. Se nel resto d’Italia le cose vanno meglio, qui molto di più, rispetto a cinque anni fa. C’è un nesso fra tutto ciò e il calo complessivo, a livello nazionale, dei delitti? Stando ai dati del ministero degli Interni tra il 2007 e il 2008 siamo passati da 2.933.146 a 2.694.811 casi. Un anno non fa primavera, nel senso che, quando si parla di andamento della criminalità, occorre allo stesso tempo guardare indietro e avanti, per capire se siamo di fronte a un’effettiva inversione di tendenza. Vale la pena riflettere perciò su due ulteriori dati, che possono utilmente aiutare a comprendere il fenomeno, senza dover pagare sempre e necessariamente dazio alla polemica politica. Quando alla fine di un anno si contano quanti sono stati complessivamente i reati commessi dagli italiani (dagli omicidi alle rapine, dalle violenze sessuali ai furti e così via), è bene fare mente locale al peso che tali crimini hanno rispetto alla popolazione residente. Se, dunque, nel 2008 i casi delittuosi sono stati in totale più di due milioni e mezzo, la cifra lì per lì potrebbe apparire enorme. In realtà, essa rappresenta solo il 4,8% rispetto all’intera popolazione. Una percentuale questa non elevata che nel corso degli ultimi venti anni si è mantenuta pressoché costante, con leggere oscillazioni per alcuni tipi di reato (in particolare furti e rapine). Essa è comunque più bassa rispetto alla Francia e all’Inghilterra. In Italia il picco della criminalità c’è stato fra il 1990 e il 1992, poi si sono cominciati a registrare lente, ma progressive diminuzioni del numero complessivo di reati. Del resto il nostro Paese ha uno dei più alti indici di forze dell’ordine per abitante: 5,5 ogni mille abitante. Contrariamente ai tanti luoghi comuni che sentiamo dire (“sono pochi, non preparati, non ben addestrati e così via”), le forze dell’ordine hanno saputo in tutti questi anni contrastare le numerose forme di vecchia e nuova criminalità. Da quello spicciola a quella organizzata. C’è stato un indubbio aumento del tasso di professionalità, che spiega come alla lunga gli effetti si vedano. Un contributo positivo è stato dato dal ricorso alle nuove tecnologie, che ha permesso di potenziare l’azione investigativa e di repressione. Basti riflettere alle discusse intercettazioni e alla tracciabilità delle telefonate con i cellulari, tanto per citare un mezzo di controllo, in fondo, semplice. Il ministro degli Interni ha più volte ripetuto che non c’è un’emergenza sicurezza in Italia. Sarebbe più giusto dire che non c’è mai stata forse negli ultimi venti anni, quando, da un lato le grandi organizzazioni criminali hanno cambiato strategia, infiltrandosi non più solo a Sud, ma anche nel Nord del nostro Paese, nel mondo degli affari e degli appalti pilotati, senza dover più ricorrere sistematicamente al delitto come impresa, e dall’altro il terrorismo nostrano è stato sconfitto. Napoli: accordo tra il Tribunale e la Provincia per il recupero sociale dei detenuti Il Velino, 21 settembre 2010 È stato sottoscritto oggi, dal presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, e dal presidente del Tribunale di Napoli, Carlo Alemi, un accordo per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità in linea con l’invito rivolto dal ministero della Giustizia per una migliore definizione dei ruoli degli uffici di esecuzione penale esterna. L’accordo, che prevede la possibilità di espiare la sanzione al di fuori delle strutture penitenziarie, mediante lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità, è rivolto a tutti i condannati per reato di spaccio di sostanze stupefacenti, violazioni colpose al codice della strada, a coloro i quali sia stato applicato l’istituto della conversione della pena e ai condannati che abbiano già goduto del beneficio della sospensione condizionale della stessa. Inoltre possono richiedere di svolgere un lavoro di pubblica utilità i condannati per reati rientranti nella competenza del Giudice di Pace. Tali attività, non retribuite, saranno coperte da assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali a totale carico della Provincia di Napoli, e saranno rivolte ai condannati che risiedono nel territorio della provincia di Napoli, ad esclusione della città capoluogo, per la quale sarà predisposta un’ulteriore convenzione. La Provincia di Napoli accoglierà fino a un numero massimo di 10 persone che potranno essere impiegate in vari settori, particolarmente ecologico e di sostegno ai disabili, con l’esclusione degli istituti scolastici o degli enti ospedalieri. Cesaro si è impegnato altresì ad individuare imprese artigianali e commerciali, associazioni o cooperative che si rendano disponibili ad accogliere i lavoratori di pubblica utilità. “Tali attività - ha affermato Cesaro - sono tese ad un moderno ed efficiente reinserimento sociale del condannato. La forte valenza educativa insita nel provvedimento rappresenta un valore aggiunto per l’ente provinciale. L’impegno che ci assumiamo è serio e meritevole di grande attenzione, perché mira ad offrire non soltanto una seconda possibilità a chi ha sbagliato, ma - ha concluso il presidente - anche ad indicare il percorso da seguire per chiudere in maniera definitiva la propria negativa esperienza delinquenziale”. Il presidente del Tribunale di Napoli Alemi ha chiarito che “si tratta dell’applicazione da parte del giudice penale di pene alternative a quelle detentive, così da consentire finalmente di sviluppare la funzione rieducativa della pena. Inoltre - ha aggiunto il presidente Alemi - una struttura congiunta costituita dal Tribunale e dalla Provincia di Napoli verificherà e sottoporrà a monitoraggio l’espletamento di tale nuova attività”. La convenzione tra Provincia di Napoli e Tribunale avrà la durata di un anno e potrà essere rinnovata alla scadenza. Bari: il Sindaco; nel Piano cerceri 40 milioni per costruzione di un nuovo istituto Ansa, 21 settembre 2010 "Siamo in grado anche di annunciare che nel Piano delle carceri che è stato predisposto dal Ministero è inserito anche un nuovo carcere a Bari per un importo di 40 milioni e mezzo di euro", ha annunciato ai giornalisti il sindaco di Bari, Michele Emiliano, nel corso di una conferenza stampa convocata per il problema dell'edilizia giudiziaria e sulla possibile nuova sede della Procura, sottolineando che la possibilita' è giunta "oggi, grazie alla collaborazione con il ministro Alfano, che ha avuto un ruolo nel consentirmi oggi di fare questo sopralluogo, e grazie alla collaborazione del dottor Ionta, direttore degli istituti di prevenzione e pena". Il nuovo palazzo che potrebbe essere anche il frutto, anche per aumentare la dotazione del progetto, secondo il sindaco di Bari, "di un accordo di programma con il Comune di Bari che riqualifichi il quartiere Carrassi e sposti il carcere da quell'area, consentendo al Ministero della Giustizia di mettere insieme il danaro attraverso questa operazione, sia per rinforzare il nuovo carcere, sia per la ristrutturazione del Tribunale". Per quanto riguarda i tempi di costruzione, secondo il sindaco Emiliano, non da tecnico ma da "magistrato in aspettativa, dal punto di vista strutturale è abbastanza meno complesso di un tribunale, quindi - ha concluso - puo' essere realizzato in un tempo assai minore di una nuova sede giudiziaria", quindi, anche meno di 2 anni. Padova: Cgil; alla Casa Circondariale situazione drammatica, non ci sono più materassi Il Gazzettino, 21 settembre 2010 Ritorna difficile la situazione alla casa circondariale di via Due Palazzi. D’altronde, basta un pattuglione delle forze dell’ordine che i detenuti, anche solo per una notte o due, aumentano a dismisura. “Da tempo denunciamo la situazione insostenibile delle carceri di Padova - sottolinea Salvatore Livorno, sindacalista della Fp Cgil: strutture al collasso, detenuti ammassati, operatori del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria costretti a lavorare in condizioni indecenti”. Situazione che è nuovamente precipitata: “In queste ultime ore - riprende Salvatore Livorno -, presso la Casa Circondariale, le persone “ospitate” sono arrivate ad essere 274, sino al punto di non avere più materassi disponibili, con conseguenti forti tensioni tra i detenuti. Tali incivili condizioni hanno, in alcuni casi, comportato anche delle conseguenze drammatiche”. Insomma, per Livorno non c’è tempo da perdere, bisogna intervenire: “Occorrono misure urgenti se vogliamo evitare il ripetersi di fatti gravi, pertanto chiediamo al Prefetto ed al Sindaco di Padova un incontro al fine di aprire un tavolo istituzionale per l’adozione di alcune misure che reputiamo indifferibili”. Verbania: chiuso l’Uepe, nell’ultimo anno si era occupato del reinserimento di 300 detenuti Ansa, 21 settembre 2010 Il distaccamento della Magistratura di Sorveglianza di Novara soppresso per decreto. La protesta della Cgil: “Ora ci sarà un aggravio di costi per le trasferte da Novara. Il servizio si occupava di 300 casi l’anno. Non si vuole puntare sul decentramento” Per effetto di un Decreto Ministeriale emanato l’11 giugno 2010, il Ministero della Giustizia ha deciso di chiudere l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) della sede di Verbania. Questo servizio è sede distaccata da Novara, operativa dall’aprile del 2009, e dipendente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, situata all’ interno della Scuola di Formazione del Personale della Polizia Penitenziaria di Verbania. Questo servizio ha gestito sino ad oggi, nell’ambito della provincia del Vco, l’esecuzione delle misure alternative, svolgendo una funzione di consulenza alla Magistratura di Sorveglianza di Novara e gli operatori assegnati hanno finora svolto un collegamento tra il carcere di Verbania e la società esterna, rivolgendosi a persone maggiorenni che hanno subito una condanna penale in via definitiva sovrintendendo all’ esecuzione delle pene in misura alternativa e sostenendo le persone condannate nel percorso di reinserimento sociale. Sono stati predisposti, in collaborazione con gli Enti pubblici del Vco e del privato sociale, progetti individualizzarti di trattamento ed inclusione sociale per soggetti in misura alternativa alla detenzione, facilitando così il reinserimento nella vita libera degli ex detenuti, contribuendo così alla crescita del livello di sicurezza sociale. Nell’ultimo anno preso ad esame (15 agosto 2009 - 15 agosto 2010) il servizio ha gestito complessivamente oltre 300 casi di cui una novantina le misure alternative attuate. Prima dell’apertura della sede di Verbania, il lavoro sul territorio del Vco era svolto da operatori sempre in missione da Novara, sia per il lavoro sul territorio e sia per i contatti con l’ utenza ed i servizi di zona, con un eccessivo dispendio economico. Oggi questa soppressione dimostrerà di non voler più investire nel decentramento di questi importanti e delicati servizi, nonostante i risultati ottenuti, e che hanno anche contribuito ad alleviare il notevole disagio ed il malessere, tuttora presente, tra gli agenti della Polizia Penitenziaria del Carcere di Verbania, strutturato per una settantina di detenuti, mentre ne ospita un centinaio, in presenza di una grave carenza di organico del personale, sia degli agenti e sia delle altre figure professionali, e che costringono il personale a continuo lavoro straordinario e conseguente salto dei turni di riposo. Chiediamo così alle Amministrazioni Locali ed alle istituzioni politiche del Vco di far sentire al Ministero della Giustizia ed al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria la propria voce, a difesa di questo importante pezzo della Pubblica Amministrazione che viene tolto al Verbano-Cusio-Ossola, e che mette sempre più questa Provincia a rischio della propria capacità ed autonomia amministrativa. Vicenza: un forno artigianale attivato in carcere dalla cooperativa Sociale San Bernardo Giornale di Vicenza, 21 settembre 2010 Il progetto del San Pio X è ideato dal presidente della cooperativa sociale San Bernardo insieme ad Engim. Superati i problemi logistici della struttura ora si attendono le prime pagnotte per metà ottobre impastate da alcuni detenuti. Vicenza. Il conto alla rovescia è già iniziato. Fra poco meno di tre settimane dal carcere di San Pio X usciranno calde pagnotte cresciute grazie al lievito madre (batteri naturali e non chimici) e prodotte con farine solamente biologiche. Un forno d’eccellenza per un prodotto che vorrebbe non solo offrire un’opportunità a chi sta dietro le sbarre, ma anche una professione una volta esaurita la pena da scontare. “Attraverso il pane - spiega Alessandro Zonato, presidente della cooperativa sociale San Bernardo e ideatore del progetto assieme all’Engim, Ente nazionale Giuseppini del Murialdo - vorremmo far sì che il carcere si trasformasse in una sorta di multimpresa. Questa sarà la prima iniziativa, ne seguiranno altre, sempre legate a professioni manuali e del settore artigianale”. L’idea annunciata nell’aprile di quest’anno ha avuto qualche rallentamento perché all’interno di San Pio X si dovevano trovare i locali per sistemare il forno, dovevano essere predisposti in conformità a tutte le leggi esistenti e, soprattutto, c’era bisogno di spazio che, nella casa circondariale cittadina, non è molto, visti i problemi di sovraffollamento di cui si parla da anni. “Abbiamo dovuto ricavare - spiega Zonato - una stanza di almeno100 metri quadrati, sistemare mattonelle a norma sia sui muri che sul pavimento. In questi giorni verrà portato il forno e gli addetti fin dall’inizio saranno cinque. Tutti detenuti che hanno già sostenuto il corso. All’inizio verranno prodotti alcuni quintali di pane, quattro serviranno per il fabbisogno interno, poi vedremo di guardarci attorno e di capire come vendere quello che resterà”. I panificatori che aderiscono all’associazione Artigiani si sono già messi in contatto con i fautori dell’iniziativa. “Non so - spiega Zonato - forse temevano una sorta di concorrenza. Sta di fatto che non abbiamo alcuna intenzione, almeno per ora, di mettere il pane sul mercato. Inizialmente quello che verrà prodotto in più servirà ad una cooperativa sociale. Forse l’allarme, se così lo possiamo definire, nasce dal fatto che non vogliamo fabbricare pane industriale, bensì artigianale. E questo significa usare lievito madre che ci verrà fornito dal Molino Quaglia di Vighizzolo d’Este, che ci ha voluto proporre una formula alternativa. In pratica non ci sarà nulla di chimico negli impasti che produrremo e questo permetterà al pane di essere più digeribile, soffice, buono e, soprattutto, durerà di più”. A vigilare sull’iniziativa anche il direttore di S. Pio X, Fabrizio Cacciabue. “Mi pare che tutti i problemi logistici siano stati superati. Ora - afferma - si tratta di sistemare solo piccoli accorgimenti e poi anche San Pio X come è accaduto con il Due Palazzi di Padova potrà trasformarsi in una sorta di bottega artigiana di alto livello. Ma quello che più conta sono i detenuti: motivati quando lavoreranno all’interno e altrettanto determinati quando lo potranno “impastare” all’esterno una volta scontata la pena. Questa è sicuramente la strada da percorrere per far sì che, anche una casa circondariale, abbia una veste di normalità perché è vero che contiene persone private della libertà, ma sempre di individui si tratta”. Il progetto è stato finanziato dalle banche del Credito cooperativo che hanno messo a disposizione 30 mila euro. “Ci sarà un supervisore che vigilerà sul progetto - conclude Zonato - come è giusto che sia. Soprattutto perché l’iniziativa possa proseguire e diventare un punto di riferimento per tutti i detenuti che vogliono ripartire da un elemento primario. Quello che per eccellenza contribuisce a dare la vita: il pane”. La prima pagnotta è attesa per il 15 ottobre. Ivrea (To): progetto Circus, ha messo “in rete” i soggetti che si occupano del reinserimento La Sentinella, 21 settembre 2010 Sbagliare, finire in carcere. E trovare, in un percorso di ritorno alla normalità dell’esistenza evidenziato anche dalla Costituzione, una strada per la “riparazione sociale”. Non è facile parlare di giustizia riparativa così come non è facile, in tempi di ristrettezze economiche, parlare di carcere. Paolo Dallan, assessore alle Politiche Sociali, forte di un’esperienza trentennale di attenzione e volontariato in città, ha provato a mettere insieme i pezzi di una riflessione che si è anche trasformata in sperimentazione. Il progetto si chiama Circus e giovedì, in sala Cupola, ne è stato tracciato un bilancio. Bilancio positivo, a cominciare dal fatto che hanno partecipato attivamente vari soggetti, da Inrete e Ciss 38 al Sert dell’Asl To4, dalla casa circondariale di Ivrea all’ufficio di esecuzione penale esterna di Vercelli e Biella, passando per il Comune di Ivrea. Una quindicina le realtà sul territorio che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere persone “in attività riparativa”, tre i detenuti che lo hanno già fatto. Ad oggi, la “giustizia riparativa” non è un’alternativa al carcere, ma un percorso dentro e con le associazioni e i servizi sociali per prepararsi a riprendere in mano le redini della propria vita. L’importanza (e la complessità) di questi percorsi individuali inseriti in progetti più ampi, dove molta parte è degli operatori che agiscono con passione nonostante risorse sempre più risicate, è stata sottolineata sia dai referenti di Circus, come Carlo Zarmati del Sert e Daniela Stratta, dell’ufficio esecuzione penale esterna di Vercelli e Biella, che dallo stesso Aldo Fabozzi, provveditore dell’amministrazione penitenziaria Piemonte e Valle d’Aosta. Il carcere è un mondo complesso, fatto di legge e burocrazia. Circus ha rafforzato e consolidato la rete tra operatori, enti e associazioni e insieme credono nel valore di un confronto che deve continuare. Non è tutto. L’assessore Dallan osserva come Circus abbia avuto almeno tre pregi: “È stato creato un humus di energie tale per cui istituzioni, associazioni, privato sociale non sono solo capaci a riflettere ed analizzare, ma anche a passare ad una fase pratica. L’argomento della giustizia riparativa è stato affrontato con esperti di elevato livello e davvero sono contento che il progetto sia riuscito a concretizzare anche la fase pratica, certamente la più difficile. Il carcere, come ho già avuto modo di dire in varie occasioni, non è uno spazio di extraterritorialità, ma un luogo che ci riguarda tutti. Cinque sono i progetti in corso, due dei quali appena conclusi”. Certo, ci sono le difficoltà. Elena Demuro, in servizio alla casa circondariale di Ivrea, ha sottolineato le ristrettezze economiche in cui vivono i detenuti: “C’è poco lavoro e si devono basare su quanto può passare loro la famiglia. E anche sostenere il costo del bus per andare a prestare volontariato, nell’ambito di questi progetti, può essere una spesa insostenibile”. Imperia: Sappe; detenuti aizzano Polizia penitenziaria e sniffano gas delle bombolette Ansa, 21 settembre 2010 “Non posso che valutare con preoccupazione quanto è avvenuto ieri sera nel carcere di Imperia, dove alcuni detenuti hanno posto in essere e messo in atto atteggiamenti aggressivi nei confronti del Personale di Polizia. Tutto ha avuto inizio ieri sera alle 21 circa, quando un detenuto, dopo aver buttato addosso ad un Assistente Capo del Corpo una bottiglia d’acqua per futili motivi, si è barricato in cella insieme ad altri due suoi compagni. Gli agenti di servizio, che hanno tenuto sotto controllo la situazione, hanno detto che i detenuti hanno trascorso parte della notte sniffando gas dalle bombolette che possono legittimamente detenere in cella in loro presenza, istigandoli e provocandoli. Uno di questi è poi stato immediatamente trasferito in altro Istituti, ma è palpabile la crescente tensione che caratterizza le nostre carceri, che ricade principalmente sulle già gravose, pericolose e stressanti condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che lavorano a contatto con i detenuti e nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”. È il commento di Roberto Martinelli, Segretario Generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione a quanto avvenuto questa notte a Imperia. “Quello di Imperia è un penitenziario con molte criticità, nonostante l’encomiabile lavoro che ogni giorno svolge il Personale di Polizia penitenziaria. Infatti, a fronte di una capienza regolamentare di 78 posti, sono presenti oggi circa 120 detenuti, il 64% dei quali sono stranieri. Mancano ben 23 unità agli organici della Polizia Penitenziaria, e questo determina carichi di lavoro pesanti e stressanti per gli agenti in servizio. È ovvio che in questo situazione di sovraffollamento della struttura ogni protesta è foriera di problemi, soprattutto di sicurezza per chi nelle sezioni detentive lavora come i poliziotti penitenziari. Il fatto che i detenuti questa notte inalavano il gas della bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario, impone di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. Parma: il carcere di via Burla scoppia, sindacati in fermento Gazzetta di Parma, 21 settembre 2010 Tutto esaurito in via Burla. Nemmeno la moltiplicazione dei letti (nelle sezioni nelle quali è stato possibile si sono trasformate in doppie le celle singole) basta più. Dove dovrebbero stare 350 detenuti ce ne sono 550: ormai siamo al quasi “vietato arrestare” per mancanza di posti. Sovraffollamento da un lato delle sbarre, carenza d’agenti della Polizia penitenziaria dall’altro. “Siamo sotto organico di duecento uomini - ricorda Tammaro Uccero, segretario provinciale del sindacato Cnpp. E la situazione dura da molto tempo”. Ma ora la coperta in un carcere come quello di via Burla (nel quale sono reclusi anche numerosi detenuti sottoposti al regime speciale del 41 bis) non è più solo corta: sembra piena di falle. “Sono stati tagliati i fondi - sottolinea Enrico Maiorisi, del Sappe - e gli straordinari ai quali siamo costretti per il funzionamento della struttura non vengono corrisposti. In media, su quaranta ore al mese ne vengono pagate 15”. Anche questo è causa di non pochi malumori, anche di questo si parlerà nell’incontro che le organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria avranno con e il rappresentante del ministero il prossimo mese. Ma in prospettiva, la situazione rischia di farsi ancora più pesante. Perché una “buona” notizia potrebbe avere come conseguenza la necessità di affrontare altre difficoltà. Sono ormai finiti i lavori di miglioramento delle quattro sezioni e del centro clinico chiusi da anni. Manca solo il collaudo per l’apertura di questi spazi. In tutto, potranno accogliere altri duecento detenuti. Ma se da un lato ci saranno più posti, dall’altro aumenteranno i vuoti nell’organico. Una sproporzione che potrebbe accentuarsi nel giro dei prossimi anni, quando dovrebbe essere pronto il nuovo padiglione previsto dal Piano carceri. Il terreno c’è e il progetto è alla fase dell’appalto. La fine dei lavori è prevista per il 2013. Tempio Pausania: la notte ci sono solo 2 agenti in servizio, salvano un detenuto malato L’Unione Sarda, 21 settembre 2010 Dura presa di posizione del sindacato Sinappe, è stata già annunciata una nuova manifestazione di protesta delle sigle che rappresentano gli agenti. Vedi le foto G li agenti sono arrivati appena in tempo, l’uomo che aveva chiesto aiuto ormai non respirava più. Dalla cella segnalata ai poliziotti penitenziari arrivavano soltanto i rantoli del detenuto in fin di vita. È stato salvato dal personale in servizio alla Rotonda. Due soli agenti intervenuti per rianimare la persona colta da malore e allo stesso tempo responsabili della sorveglianza di altri 57 detenuti. Una situazione pericolosa e inaccettabile, dicono tutti i sindacati che da settimane chiedono un incontro urgente con il Provveditore regionale alle carceri. L’ultima emergenza è stata affrontata dai poliziotti penitenziari della Rotonda ieri notte. Come succede ormai da tempo i turni di servizio sono coperti da due o tre poliziotti. Non ci sono alternative a questo assetto della sorveglianza. Qualche giorno fa la Cgil aveva parlato di una condizione di lavoro che mette in discussione i diritti fondamentali del personale. Il mese di settembre si era aperto con un sit-in davanti all’istituto e tutte le più importanti sigle sindacali avevano incontrato la direttrice del carcere Teresa Mascolo per denunciare ancora una volta la situazione del personale. Nella notte tra domenica e lunedì è arrivata l’ennesima prova di quanto denunciato da Cgil, Cisl, Sappe, Sinappe e Uil. Un detenuto malato ha chiesto aiuto. Rantolava e altre persone nelle celle si sono accorte del dramma che si stava consumando per un malato che forse non può stare in un carcere come la Rotonda. Si parla dell’ennesima crisi respiratoria, questa volta stava per essere l’ultima. I poliziotti hanno ovviamente lasciato tutti gli altri servizi, compresi quelli di sorveglianza. L’intervento è riuscito perfettamente, ma ancora una volta il personale in divisa nel carcere tempiese ha dovuto fare una scelta lasciando da parte importanti compiti per affrontare un’emergenza. Televisione: su Rai 2 arriva “Sbarre” un nuovo programma, girato nelle carceri Apcom, 21 settembre 2010 “Su Raidue nel 2011 faremo una volta alla settimana la serata Crime, tutta dedicata al crimine”. “Si tratta - ha spiegato il direttore di Raidue Massimo Liofredi, a Torino per Prix Italia - di una decina di puntate, seguendo la filosofia dell’autore del libro “Delitti rock”, Ezio Guaitamacchi. Inizieremo con “Criminal minds”, poi “Delitti rock” con Morgan e per concludere un nuovo programma, “Sbarre”, girato nelle carceri”. “Non abbiamo ancora scelto il giorno - ha spiegato Liofredi - ma la grande novità è “Sbarre”. “Stiamo pensando di far trascorrere, a un ragazzo che, per esempio, ha il vizio di compiere dei furti, una giornata in carcere, in cella con un veterano. In modo che impari che cosa significa delinquere e quali sono le conseguenze”. Immigrazione: condanne ed espulsioni agli istigatori delle rivolte nel Cie di Gradisca d’Isonzo Il Piccolo, 21 settembre 2010 Un cittadino dell’Honduras fuggito il 15 agosto scorso dal Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Gradisca d’Isonzo è stato bloccato dalla polizia a Treviso al Pronto soccorso dell’ospedale “Cà Foncello”, dove si era recato per una medicazione. L’uomo, che durante l’evasione si era ferito ad un braccio, aveva fatto ricorso quello stesso giorno alle cure dei medici dell’ospedale di Gorizia, i quali avevano avvertito la Questura. All’arrivo degli agenti, però, lo straniero era già scappato. Per l’immigrato è scattato il decreto di espulsione ed è stato quindi accompagnato alla frontiera. Secondo le forze dell’ordine il 29 enne honduregno E.T. il 15 agosto scorso aveva architettato un’evasione di massa dal Cie. L’uomo si trovava nella struttura in seguito a una condanna a tre anni di carcere per rapina. Nei tumulti di Ferragosto gli immigrati avevano appiccato degli incendi ed in una ventina avevano approfittato della baraonda per scappare. Una cosa organizzata anche con altri Cie sparsi per la Penisola. Durante la fuga, però, si era ferito in maniera seria ad un braccio con il filo spinato. Il giorno dopo si era presentato come detto all’ospedale di Gorizia per essere medicato. I sanitari avevano avvertito le forze dell’ordine, ma lui era riuscito a scappare nuovamente. Da lì si era spostato in provincia di Treviso, dove ha dei parenti. La polizia l’ha atteso per gironi al Cà Foncello, dove si sapeva prima o poi sarebbe arrivato per farsi medicare la profonda ferita. L’honduregno è rimasto di stucco quando si è trovato i poliziotti ad aspettarlo: non ha neppure provato a scappare. Immediata l’attuazione della procedura per l’espatrio. Sono invece stati condannati nei giorni scorsi a otto mesi di reclusione, senza condizionale, i due maghrebini accusati di aver capeggiato la rivolta scoppiata nella notte fra il 28 e il 29 agosto al Cie di Gradisca, che ha causato sei feriti tra i militari di guardia. La sentenza ha riconosciuto gli imputati colpevoli del reato di violenza a pubblico ufficiale: caduti invece i capi di imputazione relativi a lesioni e danneggiamento, dei quali erano stati accusati in un primo momento gli immigrati. Il processo è stato celebrato al Tribunale di Gorizia con la formula del rito abbreviato. L.A., 24enne marocchino, e G.N., 25enne tunisino sono detenuti nella casa circondariale di via Barzellini. I due erano già stati condannati lo scorso anno a otto mesi di reclusione per violazione della Bossi-Fini. Iran: altre venti donne come Sakineh, dobbiamo riuscire a salvarle tutte La Repubblica, 21 settembre 2010 Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana condannata alla lapidazione per adulterio e complicità in omicidio, è diventata un’icona planetaria. Ma non è solo per lei che l’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, lotta senza posa. “In Iran - ricorda - almeno altre 24 persone attendono la stessa sorte”. Signora Ebadi, cosa pensa della mobilitazione internazionale per Sakineh? “Non posso che rallegrarmene. Tanto più che Sakineh è totalmente innocente. L’adulterio, il primo capo di imputazione a suo carico, non è né un crimine né un delitto. Quanto all’accusa di presunta complicità nell’omicidio del marito, si basa su confessioni che le sono state estorte sotto tortura psicologica e fisica. Ma oltre a Sakineh, almeno altre 20 donnee4 uomini attendono la stessa crudele sorte: la morte per lapidazione. Nelle carceri iraniane ci sono anche oltre 800 prigionieri politici, diverse decine dei quali condannati a morte. Non si tratta, dunque, della sola Sakineh”. Chi altro? Ha nomi da segnalare? “Gli esempi sono numerosi. C’è Shiva Nazarahari, giovane giornalista accusata di “cospirazione contro Dio” (morahebeh in farsi) per il solo fatto di avere scritto degli articoli contro il regime. Le è stata concessa la libertà su cauzione, ma nulla garantisce che, a fine processo, non venga condannata a morte. C’è l’avvocatessa per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, arrestata per “propaganda contro lo Stato”. Le esecuzioni si svolgono quasi quotidianamente: una al giorno dopo l’ascesa al potere di Ahmadinejad”. Anche gli omosessuali rischiano la pena di morte in Iran... “È il caso di Ebrahim Hamidi di soli 18 anni, che rischia di essere impiccato da un momento all’altro. La sua situazione è ancora più precaria di quella di Sakineh, perché se ne parla molto meno”. Lei lotta anche per mettere fine alle leggi che in Iran colpiscono molto duramente adolescenti e bambini. “L’età della responsabilità criminale in Iran è fissata a nove anni per le bambine e a 15 per i bambini. Questo significa che se una bambina di 10 anni commette un crimine sarà condannata con la stessa durezza che un uomo di quarant’anni. È per questo motivo che l’Iran detiene il triste primato del più alto numero al mondo di esecuzioni di minori”. Cosa può fare l’Occidente? “Continuare senza posa questa lotta per i diritti umani. Sradicare questa violenza degli organi politici, religiosi e giudiziari dell’Iran. Per questo faccio appello non solo agli intellettuali, ma anche ai leader mondiali perché si battano per mettere fine a questa pena barbara e crudele che è la lapidazione. Ma anche all’impiccagione o a qualsiasi altra forma di pena capitale”. È favorevole a sanzioni economiche nei confronti dell’Iran? “Non potrebbero che avere conseguenze positive. A condizione, ovviamente, che non colpiscano la popolazione. Bisogna indebolire i dignitari del regime. Bisognerebbe procedere, per esempio, al congelamento di tutti i loro averi nei Paesi democratici, impedirgli di viaggiare negando loro il visto e boicottare i loro incontri o discorsi in seno agli organismi politici internazionali”. Pensa che Sakineh sarà risparmiata dalla giustizia iraniana? “Non ho nessuna fiducia nell’attuale governo iraniano. Solo il capo del potere giudiziario ha il diritto di presentare una domanda di grazia. E questa va presentata alla Guida suprema: l’ayatollah Khamenei. È a lui che conviene indirizzare i nostri appelli alla clemenza”. Albania: liberato dopo 20 giorni di carcere l’italiano arrestato su richiesta del Marocco Ansa, 21 settembre 2010 È stato scarcerato e dovrebbe ripartire questa sera per rientrare in Italia, Michele Cusanno, 47 anni, di Cepagatti (Pescara), arrestato all’inizio del mese a Durazzo, appena sbarcato per una vacanza insieme alla famiglia, perché ricercato in Marocco. L’uomo risulta condannato a cinque anni di reclusione per traffico di auto rubate. Ma la condanna, emessa da un tribunale marocchino, non gli sarebbe - secondo quanto reso noto all’Ansa dal suo avvocato, Emanuele Ferretti - mai stata notificata. Il legale spiega che in base al diritto marocchino il reato sarebbe già prescritto, anche se continuava a permanere il mandato di cattura di Rabat. ciò ha comportato - ha aggiunto Ferretti - la illegittimità del procedimento di estradizione e dello stesso arresto. Il legale poi aggiunge che: Cusanno dichiara di non aver mai avuto notifica, prima dell’arresto, da parte dello stato del Marocco dell’esistenza di un procedimento penale a proprio carico e di non aver mai avuto quindi la possibilità di difendersi da un’accusa che egli, fra l’altro, contesta. Sul caso si sono attivati anche i canali diplomatici italiani, l’ambasciata d’Italia a Tirana in particolar modo, ed anche quella a Rabat in Marocco. Cusanno ed il suo difensore hanno voluto evidenziare anche la professionalità e l’efficacia con la quale le autorità albanesi hanno gestito il caso. Stati Uniti: il web è entrato in carcere, per rieducazione ma anche per business Galileo, 21 settembre 2010 Con le masse sempre più immerse nel web, anche i luoghi di tradizionale isolamento, come i penitenziari, iniziano ad aprirsi alla rete. In questo gli Stati Uniti rappresentano un laboratorio interessante, in cui si mischiano esigenze di bilancio (le prigioni in Usa sono un business, come illustra magnificamente il web-documentario Prison Valley) e politiche di rieducazione. L’Ufficio Federale per le Carceri, per esempio, ha adottato da alcuni anni in una ventina di penitenziari il sistema TruLincs, Trust Fund Limited Inmate Computer System. È un sistema che consente ai detenuti di crearsi, dietro approvazione dell’istituto, una lista di contatti di altri detenuti con cui scambiarsi posta elettronica al costo di cinque centesimi per ogni ora di collegamento. Il sistema non prevede la connessione al web e i messaggi sono sottoposti ad un controllo che scatta in presenza di determinate parole-chiave considerate sospette o pericolose. Nello stato del Kansas, invece, i detenuti possono scambiarsi email, svolgere video-conferenze con parenti ed effettuare operazioni di e-banking attraverso JPay, un sistema apposito per trasferire denaro per i detenuti. Si tratta, nel complesso, di servizi a pagamento, finanziati privatamente, che dovrebbero alleggerire i bilanci dei penitenziari a favore di attività educative. Accanto ai motivi economici si affianca la possibilità per i detenuti di raccontare al mondo la vita dietro le sbarre, sviluppando una coscienza condivisa con altri nella propria situazione, dal modo in cui sono finiti “dentro” fino al modo in cui usciranno “fuori”. Il “blogging behind the bars”, il blogging dietro le sbarre, può dunque rivelarsi dunque un’attività socialmente utile. È il caso di Michael Santos, condannato a 45 anni di carcere perché vendeva cocaina. Ha creato un blog intitolato “Criminal Justice” che è diventato anche un punto di riferimento per le proposte di riforma della giustizia. Un esempio più noto (e più contraddittorio) è quello del rapper afroamericano Lil Wayne, che dallo scorzo marzo sta scontando otto mesi di reclusione a Rikers Island, un carcere di New York, per possesso illegale di arma da fuoco. Wayne scrive sul suo blog, dove ovviamente compare un timer col conto alla rovescia per il suo rilascio, tramite mail dal carcere che poi vengono ripostate sul blog dal suo staff. Ogni post scatena quasi un centinaio di commenti, molti dei quali esprimono un chiaro biasimo per la condanna inflitta al rapper. Il caso di “Lord Black” è ancora più ambiguo. Al secolo Conrad Moffat Black, nato nel 1944, “Lord Black” è un lord inglese ed era il terzo editore al mondo, possedendo prestigiose testate come il Daily Telegraph e il Jerusalem Post. Nel 2007 una corte americana lo ha condannato a sei anni e mezzo di carcere per frode e sottrazione di fondi, salvo poi essere graziato nel 2010. Mentre era in cella, Lord Black scriveva piccanti editoriali contro Rupert Murdoch per il Daily Beast, un sito web di grido, che fa molto rumore a New York e negli Usa. Da notare che nella breve biografia di presentazione di Black non viene fatta menzione della sua condanna. Stati Uniti: bracciali, cavigliere e cinture elettroniche… questo sarà il carcere del futuro di Antonino Neri www.nextme.it, 21 settembre 2010 Negli Usa (come in Italia) c’è l’allarme “affollamento carceri”, ovvero i detenuti sono più di quelli che un penitenziario nella media è in grado di “accogliere”. E ciò, oltre che gravare sui bilanci federali, secondo un articolo riportato su “The Atlantic” a firma di Graeme Wood, inciderebbe anche su eventuali ore lavorative perse, sia dai detenuti, che dei secondini che li sorvegliano. Per questo il giornalista descrive un nuovo prototipo di prigione che potrebbe eliminare la costrizione economica (e, per i detenuti, psicologica) dal sistema carcerario: liberare la maggior parte dei carcerati. Poi, utilizzare la tecnologia per monitorare ogni loro mossa. Questo nuovo mondo coraggioso di criminali in libertà si basa fortemente sulle soluzioni tecnologiche ma - obiettano gli avvocati - sfocerà in un sistema carcerario fallito in cui “la gente rispettabile che è finita in conflitto con la legge potrebbe uscire di prigione inveterata, più violenta e con un gran numero di nuovi amici conosciuti nelle celle”. Per Wood, invece, “facendo uscire di prigione criminali insignificanti, li si può far lavorare, tenendoli tra influenze positive come la famiglia (una relazione in cui i benefici sono spesso reciproci) e lontani dai guai”. Ma come fa il sistema a tenerli fuori dai guai? Wood segnala al riguardo il braccialetto da caviglia targato ExacuTrack della Andersen. Il sistema a combinazione ed il transponder Gps (portato in vita come un cellulare) tengono infatti tabelle in tempo reale sul suo proprietario, assicurando che faccia il suo dovere e che stia lontano dalle zone rosse dettate dal governo. Ad esempio, un agente di polizia potrà decidere una rigido lavoro di routine per un detenuto “in libertà”, assicurandosi che si attenga al suo piano di lavoro, si presenti al servizio civile e stia alla larga dalle scuole o da quel locale sulla 2nd Street in cui tutto ebbe inizio. Ma non solo: il sistema di localizzazione può assicurare che il detenuto stia lontano da altri detenuti che indossano il dispositivo, e quindi da un futuro crimine (del resto, chi prenderebbe come partner in un crimine uno che ha un localizzatore Gps attaccato alla cintura?). Al momento, secondo quanto si legge in una nota della stessa multinazionale, la tecnologia in questione è inoltre già capace di esaminare il sudore di un detenuto alla ricerca di tracce di alcol, “ma le versioni future potranno monitorare anche altre sostanze più pesanti”. E, “man mano che i dispositivi wireless progrediscono - assicura la ExacuTrack - di pari passo progredirà anche la tecnologia di sorveglianza, ad esempio controllare i tipi di prodotti che i prigionieri sono soliti rubare”. Tuttavia, scrive ancora Wood, “avremo sempre bisogno di spazi dove mettere quei cittadini che rappresentano delle minacce per la società ma, dato che oggi gli Stati Uniti hanno più di 2 milioni di persone che deperiscono dietro le sbarre (una popolazione della grandezza di Houston), l’idea di lasciar girare tra di noi i criminali meno pericolosi non sembra così male”. Libano: il carcere femminile di Zahle ristrutturato con i finanziamenti della Farnesina Il Velino, 21 settembre 2010 Si è svolta con una cerimonia l’inaugurazione della Prigione femminile di Zhale (Valle della Beqaa), ristrutturata grazie agli interventi finanziati dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina e realizzati dalla Ong italiana Ricerca e Cooperazione (Rc) e da quella libanese, “Dar El Amal”, in collaborazione con la polizia di Beirut e delle municipalità locali. I lavori hanno interessato gli spazi interni ed esterni del centro penitenziario, attraverso interventi che hanno permesso la riabilitazione delle aree in comune, la creazione di due nuovi spazi a disposizione delle detenute e di un cortile esterno, la realizzazione di un piccolo atelier dove saranno organizzati corsi di formazione sartoriale e l’equipaggiamento di una nuova cucina della lavanderia. L’iniziativa mira a garantire dignitose condizioni di vita durante il periodo di detenzione, sensibilizzando nel contempo l’opinione pubblica sull’importanza e sull’utilità di una pena a carattere riabilitativo e non repressivo. Il progetto conclude una iniziativa di più ampio respiro, realizzata dal 2007 dalla Ong Italiana Rc grazie a finanziamenti della Cooperazione Italiana, che ha visto la creazione di un centro per le donne nella Beqaa che offre servizi legali, psicologici e di orientamento lavorativo, oltre che un supporto specifico in materia di violenza domestica. Libano: conclusa rivolta in carcere, detenuti rilasciano gli agenti presi in ostaggio Ansa, 21 settembre 2010 Si è conclusa la rivolta in un carcere nel Nord del Libano in cui una trentina di detenuti avevano ieri preso in ostaggio 6 poliziotti. Solo uno degli ostaggi è stato leggermente ferito al momento della rivolta. I detenuti chiedevano di ottenere migliori condizioni di vita all’interno dell’istituto di Qebbe, in cui sono detenute circa 600 persone. Gli ostaggi sono stati rilasciati dopo che le loro richieste sono state accolte. Già trasferiti 15 detenuti in un carcere più grande.