Giustizia: per il sistema penitenziario un’emergenza perpetua Il Velino, 1 settembre 2010 “Nel quadro di una affermata emergenza nazionale che investe la totalità degli istituti penitenziari, vi sono strutture che rappresentano la fedele sintesi delle criticità che seppelliscono il sistema penitenziario sotto il magma dell’inumanità, dell’inciviltà e dell’illegalità: Milano San Vittore, Bologna, Asti, Lecce, Genova Marassi, Lucca, Bolzano, Catania Piazza Lanza, Sassari, Santa Maria Capua Vetere giusto per limitarci agli esempi più eclatanti. Purtroppo i tanti allarmi lanciati, da tempo e per tempo, da questa organizzazione sindacale non sono riusciti a scalfire l’indifferenza della politica rispetto al dramma che si consuma all’interno delle nostre prigioni. Nonostante tutto non abdichiamo al nostro diritto-dovere di informare e denunciare sulle invivibili condizioni di detenzione e sulle infamanti condizioni di lavoro. Il nostro auspicio è cha alla ripresa dei lavori parlamentari i deputati e i senatori che hanno constatato de visu la tragedia penitenziaria possano, sappiano e vogliano tradurre quei momenti di certificazione in un percorso di proposte e soluzioni”. Così il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ripropone all’attenzione la crisi che attanaglia l’universo penitenziario. “Il sovrappopolamento delle carceri (circa 68.500 detenuti per 43.800 posti disponibili) è l’elemento primario che connota negativamente il nostro sistema penitenziario. Esso genera promiscuità, rarefazione degli spazi e difficoltà gestionali. Ma non bisogna dimenticare le altre criticità: la mancanza di lavoro (che pure sarebbe obbligatorio) che produce ozio forzato; la cronica e grave deficienza degli organici di polizia penitenziaria che determina condizioni di lavoro stressanti ed incompatibili oltre ad abbassare i livelli di sicurezza oltre i limiti minimi. Analogamente - continua Sarno - anche la penuria di figure addette al trattamento intramurario afferma un percorso detentivo di mera custodia che esclude percorsi rieducativi e risocializzanti. Tutto ciò ha concorso, concorre e concorrerà ad un carcere sempre più luogo di violenza e università del crimine e sempre meno a luogo di ravvedimento”. La Uil Pa Penitenziari fornice alcuni dati sugli eventi critici determinatisi in questo 2010. “Se i numeri hanno un senso, e l’hanno occorre ricordare: i 44 suicidi, i 96 tentati suicidi sventati dalla polizia penitenziaria, i 13 evasi, le 12 evasioni sventate e i 172 agenti penitenziari feriti (con prognosi superiore ai 5 giorni). Questi numeri sono gli indicatori più fedeli di un sistema alla deriva e fuori controllo. Nel solo mese di Agosto si sono verificati 5 suicidi, 21 tentati suicidi sventati dal personale, una doppia evasione da Bollate, 2 tentate evasioni sventate dalla polizia penitenziaria, 31 agenti feriti da detenuti”. Lunedì 6 settembre Eugenio Sarno sarà in visita alla Casa Circondariale di Santa Maria C. Vetere. “La struttura sammaritana rappresenta una delle realtà più a rischio del territorio nazionale e non solo in ambito penitenziario - afferma seccamente - per questo è necessario proporla all’attenzione generale”. Giustizia: Annamaria Franzoni in permesso per il funerale del suocero Ansa, 1 settembre 2010 Anna Maria Franzoni è tornata in libertà per un giorno. La mamma di Cogne, condannata a 16 anni per l’omicidio del figlio Samuele, ha ricevuto un permesso dal giudice di sorveglianza per poter partecipare ai funerali del suocero Mario Lorenzi. La donna, sotto scorta e protetta dal cordone di agenti penitenziari, parenti e amici, ha assistito alla funzione e alla tumulazione del suocero e, dopo essere tornata a casa, a Ripoli, adesso è in carcere. Tutte le operazioni si sono svolte in un clima teso. A giornalisti e fotografi è stato impedito l’ingresso nella chiesetta e nel camposanto, e sono stati tenuti a distanza anche dalla casa. La donna, insieme a parenti e amici, si è intrattenuta nel giardino, ma al riparo da sguardi e obiettivi indiscreti. La donna era stata arrestata dai carabinieri nel maggio 2008, quando divenne definitiva la sentenza della Corte d’Assise di appello di Torino. Ad Anna Maria era stato negato invece, giorni fa, il permesso di uscire dal carcere per poter fare visita, per l’ultima volta, al padre del marito, ricoverato in ospedale. La donna era molto legata al suocero, che spesso assisteva i nipoti Davide di 15 anni e Gioele di 7. Mario Lorenzi ha sempre detto di esser convinto fermamente dell’innocenza della Franzoni. Lettere: il carcere così com’è non riabilita e non rieduca La Sicilia, 1 settembre 2010 Dal primo gennaio del 2010 ad oggi, si sono registrati ben 41 casi di suicidi all’interno delle carceri italiane, un dato inquietante che porta a riflettere non solo sull’efficienza del servizio carcerario ma anche del depauperamento in cui si trovano queste strutture. Bisogna entrare nell’ottica di un sistema riabilitativo e educativo, per spingerci oltre il concetto carceri, che porterebbe il tutto a minimizzare la pena alla sola permanenza in tali strutture. Se così fosse lo sforzo da parte delle forze dell’ordine, della magistratura, e di tutti quegli enti competenti, sarebbe vanificato dal fatto che i detenuti all’interno della loro prigionia non hanno modo di rivalutare, prendere coscienza e riprogettare una vita diversa da quella intrapresa fino a quel momento, dato che gli mancano tutti quegli input di cambiamento; quindi questi detenuti alla fine della pena, una volta fuori riprenderebbero la loro vita di sempre commettendo atti delinquenziali. E da chi, se non da un personale competente può arrivare l’input: educatori, psicologi, guardie carcerarie e preti, figure che vanno a ricoprire un ruolo fondamentale nella riprogettazione di vita di questi uomini; ma non solo ci vorrebbero oltre ai soggetti anche delle attività, dei laboratori, dei luoghi di cultura, che vanno ad incentivare un miglioramento di vita dei detenuti. Sicuramente la carenza del personale, il sovraffollamento, la collocazione tal volta mista dei detenuti, sono dei fattori che recano danni e impossibilità di realizzare un sistema riabilitativo e educativo. A mio avviso le carceri dovrebbero essere delle strutture che oltre a servire per scontare una pena, dovrebbero fungere da luogo di riflessione e meditazione su una vita sbagliata, e soprattutto a rivalutare tutti quei valori che spesso non diamo peso, come per esempio la vita, la libertà, il lavoro,l’amore,ecc. Mi auguro che dopo la visita dell’on. Pagano all’interno dei carceri del nostro territorio qualcosa possa cambiare. Giuseppe Losardo Lettere: la vicenda di Ramon Berloso; un parere da dentro il carcere Messaggero Veneto, 1 settembre 2010 Voglio porre i più sinceri sentimenti di cordoglio e di stima alla mamma di Ramon Berloso che nonostante gli sconvolgenti avvenimenti di cui è stata investita ha saputo mantenere con decisione e fermezza, con umiltà e consapevolezza un’encomiabile dignità. Le sono vicino con il cuore e cerco di comprendere più che posso il sentimento di tristezza e delusione che sta provando in questo travagliato periodo. Per queste cose non ci sono altre parole. Il silenzio è il miglior conforto, ma a ogni modo sentivo il bisogno di esternarle questo pensiero in quanto come detenuto di questo penitenziario - in questa fase della mia vita - sono rimasto colpito e toccato da vicino da questa triste vicenda. Parole invece ce ne sono, e tante anche, per i benpensanti che sicuramente avranno esultato per questo suicidio e per tutte quelle persone (magistrati di sorveglianza, educatori, psicologi, operatori vari) che dall’alto delle loro lauree e delle loro posizioni non hanno saputo svolgere il loro compito che era quello di aiutare Berloso con un programma adeguato completo e incisivo già prima del suo rilascio in società alla scarcerazione del primo e grave reato. I benpensanti. Quelli che la domenica mattina vanno in chiesa ad ascoltare la messa e che poi durante la settimana si atteggiano a inquisitori. Abbiate il coraggio almeno di essere coerenti. Al di là della gravità inaudita che ha posto in essere Ramon con le uccisioni delle due ragazze, fiumi d’inchiostro sui giornali non sono andati a fondo del perché di tutto questo dal punto di vista psichiatrico della mente del giovane, ma solo a mere questioni di carattere morboso. Dove sono i magistrati di sorveglianza che erano preposti al rilascio del giovane Ramon quando scontò la prima carcerazione? Perché non gli hanno prescritto al momento del rilascio un trattamento psicologico obbligatorio importante vista la particolarità del soggetto e della gravità del reato che aveva espiato? Magari introducendo nel programma forme di meditazione che richiedono impegno e consapevolezza certa da parte del detenuto. E qui dentro in carcere ce ne sarebbe bisogno per molte persone. Per tutti. Questo messaggio anche a tutte quelle persone che pensano che il carcere sia un “albergo”. Loro non sanno il dolore dell’abbandono che regna qua dentro, dell’indifferenza e delle richieste di aiuto che quotidianamente sono fatte e inevitabilmente inevase, sia per mancanza di personale, sia per l’inadeguatezza dello stesso. Ma attenzione! Forse il capro espiatorio a questa morte, l’ennesima tra l’altro, negli istituti di pena dello Stato, si è trovato. È quel povero assistente di polizia penitenziaria che gravato più del doppio da monotone e massacranti ore di sorveglianza nell’interminabile susseguirsi dell’incedere del tempo (il più temibile dei carcerieri) in un attimo di distrazione (è un essere umano!) libera dalla coscienza chi non ha saputo gestire in passato una personalità fragile e complessa come quella appunto di Ramon. E chi ha capito si faccia un esame approfondito della coscienza e si ripassi il codice deontologico perché il foglio di carta della laurea appeso dietro la scrivania può tramutarsi in ghigliottina. Siete voi i colpevoli, voi che vi credete di essere la società. Perché siete voi a preparare il delitto, il delinquente non fa altro che compierlo. E ricordate signori, e di questo ne sono assolutissimamente convinto, che quando il carcere non prepara i detenuti al loro rilascio, diventa esso stesso un elemento destabilizzante per la società. Fabio Scagliola, detenuto presso la Casa Circondariale di Udine Bologna: detenuto di 44 anni muore dopo un malore, in carcere non c’era il medico Dire, 1 settembre 2010 Un detenuto di 44 anni è morto ieri sera all’interno del carcere della Dozza dopo essersi sentito male. L’uomo, ucciso probabilmente da un infarto, è caduto a terra mentre stava rientrando nella propria cella poco dopo essere uscito dall’infermeria, dove era stato appena visitato dagli infermieri: poco prima aveva infatti chiesto di essere controllato perché aveva dei dolori e non si sentiva bene. Durante la visita, però, non è stato riscontrato nulla di particolare e così l’uomo stava tornando in cella, quando all’improvviso si è accasciato al suolo ed è morto. A riferirlo, in una nota, è il segretario aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante: “Ieri un detenuto italiano di 44 anni ristretto nel carcere di Bologna è deceduto per cause naturali” si legge nella nota. Durante ricostruisce i fatti così: “Il detenuto, imputato, ha chiesto di essere visitato dopo essersi sentito male. L’agente della Polizia penitenziaria lo ha accompagnato in infermeria, dove è stato visitato dal medico che, pare, non abbia riscontrato niente di particolare. Il detenuto, mentre stava facendo rientro in cella, è caduto a terra ed è morto”. La direttrice del carcere, però, Ione Toccafondi, spiega che in infermeria il detenuto non è stato visitato dal medico, ma solo dagli infermieri. “In quel momento il medico non era all’interno dell’infermeria, c’erano solo gli infermieri, che hanno provato la pressione al 44enne, non riscontrando nulla di anomalo”. A quanto riferisce Toccafondi, l’uomo lamentava “dolore” e diceva di non sentirsi bene. Non era il caso di far intervenire un medico? “Evidentemente non hanno ritenuto ci fossero le condizioni per chiamare il medico, che si trovava al piano di sotto. E guardi che di solito lo chiamano continuamente”. Secondo quanto riferito da Toccafondi, l’uomo dopo essere uscito dall’infermeria si è accasciato al suolo mentre stava facendo rientro alla cella, a pochi passi di distanza. “È caduto in corridoio, davanti a molte persone, è stata una cosa fulminante. Sono intervenuti i medici ed è stata chiamato anche il 118, ma non c’è stato nulla da fare”. Il 44enne, riferisce la direttrice del carcere, era imputato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed si trovava rinchiuso alla Dozza da marzo: era finito in carcere dopo l’arresto effettuato a Reggio Emilia, nell’ambito di un’inchiesta di competenza non regionale. “In passato non aveva manifestato problemi cardiaci - dice Toccafondi - ma soffriva di pressione arteriosa elevata”. Il controllo effettuato ieri sera in infermeria, però, aveva dato esito negativo in questo senso. La salma è stata messa a disposizione dell’autorità giudiziaria, aggiunge Toccafondi, che ora dovrà chiarire l’accaduto. “La morte di una persona è qualcosa che ci sconvolge sempre - afferma Toccafondi - tanto più che si trattava di una persona giovane. Siamo rimasti tutti sconvolti, soprattutto perché stata una cosa fulminante, che non ha permesso nessun tipo di intervento, probabilmente quando si è accasciato al suolo era già morto”. L’infermeria, chiarisce Toccafondi, “si trova a dieci passi dalla sua cella” e il 44enne vi è stato accompagnato subito, dal momento in cui aveva lamentato dolore. Poi, dopo la visita da parte degli infermieri, “nemmeno il tempo di uscire di lì ed è caduto a terra” conclude la direttrice. Il segretario del Sappe, dopo l’accaduto, torna a sottolineare il tasto dolente del sovraffollamento: “I detenuti alla Dozza sono circa 1.100, all’inizio dell’estate erano circa 1.180”. Invece, “mancano circa 200 agenti di Polizia penitenziaria”, conclude. Verona: a Montorio l’emergenza si chiama ancora sovraffollamento L’Arena di Verona, 1 settembre 2010 “È vero che facciamo cronaca, ma se debbo essere sincero questa è stata una delle estati più tranquille che abbiamo mai vissuto nella casa circondariale di Montorio”. Antonio Fullone è il direttore della struttura veronese che la settimana scorsa per due volte è balzata agli onori della cronaca per un salvataggio di un detenuto che s’era appeso con la sua maglietta alle sbarre della cella ed è stato salvato dagli agenti e per una rissa tra detenuti marocchini e tunisini sedata dai poliziotti. Tre feriti in divisa, sei tra i carcerati. Le notizie dal carcere sempre più spesso arrivano dalle segreterie nazionali dei sindacati che rappresentano la categoria, per sottolineare quanto la situazione stia degenerando. Lunedì Montorio ha toccato il record in positivo: 872 detenuti, di cui 52 donne. Sono 384 i definitivi, 22 le donne; 310 i tossicodipendenti, 20 i sieropositivi , altri 188 in attesa di giudizio. Ci sono anche detenuti con patologie psichiatriche compatibili con il regime carcerario, ben 51 e tre sorvegliati a vista. ma quelli in trattamento psichiatrico sono ben 200 e questo la dice lunga sul quanto sia comunque pesante una restrizione della libertà. In 35 hanno commesso atti autolesionistici, un detenuto s’è suicidato. Lo scorso anno gli agenti vittime di aggressioni sono stati 11, quest’anno, per ora 7. “La situazione sta migliorando”, aggiunge Fullone, “anche a livello strutturale. Il primo piano del femminile è stato svuotato per sistemare le docce. Da ottobre potrà essere utilizzata di nuovo la palestra. Stiamo inoltre sistemando la sala colloqui e approntando una ludoteca, perché oltre a chi sta in carcere a scontare la pena ci sono i familiari. Altri lavori sono stati appaltati per il rifornimento di acqua calda. I lavori erano già stati appaltati tempo addietro e si stanno ultimando. Questo era stato uno dei problemi storicid ella struttura”. Uno dei problemi maggiori resta quello dell’organico: “Restiamo in carenza costante di personale. Ne manca un terzo, abbiamo 303 unità rispetto alle 407 che dovrebbero essere per 600 detenuti, che invece sonos empre di più. ne abbiamo avuti fino a mille. questo significa fare tanti sacrifici e lavorare in situazioni stressanti”. Se a questo si aggiungono le risse della settimana scorsa tra tunisini e marocchini: “Quella situazione s’è risolta, Le parti hanno messo nero su bianco che la situazione s’è tranquillizzata e già la sera stessa avevano recitato le preghiere tutti insieme. Siamo in sovraffollamento”, aggiunge Fullone, “non possiamo tenere le etnie divise tra loro. Tra l’altro con le nuove leggi abbiamo tipi disparati di reato e di persone, dai grafittari agli stalker, dagli spacciatori ai rapinatori e non possiamo dividere i detenuti per reato o etnia, non c’è spazio. Chi poi non ha nulla da perdere perché fuori non ha chi lo aspetta o gli dà una mano non esita a mettere in discussione i benefici e quindi diventa più difficile da trattare. Io li chiamo i dannati della povertà, ma noi cerchiamo di fare in modo che scontare la pena sia anche utile per il reinserimento successivo”. Perugia: disagio dietro le sbarre, incontro in consiglio provinciale Adnkronos, 1 settembre 2010 Il disagio nelle carceri è stato il tema al centro di un partecipato incontro organizzato lunedì scorso dalla terza commissione consiliare permanente. Al centro dell’approfondimento e del dibattito due ordini del giorno. Il primo presentato dal capogruppo dell’Italia dei Valori Franco Granocchia aveva ad oggetto il sovraffollamento della casa circondariale di Capannè, l’altro, presentato dai consiglieri provinciali del Partito democratico Laura Zampa e Massimiliano Capitani, puntava l’obbiettivo sulla ‘situazione critica della casa di reclusione di Maiano. L’incontro, presieduto dal vicepresidente della terza commissione Luigi Andreani, è iniziato con un intervento della consigliera Zampa, che ha parlato di dignità violata della persona, problema apparso prepotentemente agli occhi dei consiglieri durante una visita al su Una situazione drammatica - ha spiegato la Zampa - collegata sia al sovraffollamento che all’organico inferiore delle guardie carcerarie, alle quali vengono anche negate o ridotte ferie e straordinari. Il carcere è stato concepito per 450 unità, ora ce ne sono già 600 e probabilmente arriveranno presto a 750. I fondi relativi però sono per il numero previsto e non per l’attuale: di conseguenza la Caritas ha dovuto fornire per esempio sapone e carta igienica. E mancando il personale carcerario non è possibile attuare neanche il recupero, in quanto il detenuto non può essere accompagnato nei laboratori. Fondamentale dunque - ha concluso la consigliera del Pd - un’attenzione da parte della Provincia affinché questa situazione sia portata a livello ministeriale e che l’Ente possa interagire per l’integrazione. Il consigliere Edoardo Alunni, Partito della Libertà, ha parlato quindi di una serie di tentativi di interventi già attuati in questo senso. ‘Ben venga però - ha spiegato - il lavoro di un ente come il nostrò. In concordanza con l’introduzione della Zampa, le parole dell’assessore provinciale Donatella Porzi, che ha sostenuto come ‘bisogna capire che la situazione di Spoleto e quella di Perugia sono diverse. Nella prima sono ammessi i detenuti comuni e quelli del famoso 41bis. A Capanne c’è più un andirivieni di carcerati per reati comuni, anche perché sono state chiuse alcune carceri del Sud. La super presenza comunque inibisce sicuramente l’uso di palestre e di strutture di recupero. In seguito alla denuncia del direttore del carcere abbiamo comunque attivato vari corsi di formazione, come quello di tessitura con il personale del museo di Sant’Anatolia di Narco e attivato incontri su cucina, cura del verde e falegnameria. Ci vorrebbero però altre risorse. Il consigliere Bruno Biagiotti, Partito della Libertà, ha poi proposto una visita della commissione al carcere di Capanne, questione già sollevata durante l’incontro stesso dal consigliere Franco Granocchia dell’ Italia dei Valori. L’assessore Porzi si farà ora promotore della richiesta per la visita della terza commissione al carcere di Capanne. Pordenone: nel Comune di Porcia detenuti assunti per lavori socialmente utili Messaggero Veneto, 1 settembre 2010 La giunta comunale di Porcia continua ad aprire le porte dell’organico municipale a personale esterno. Ricorre cioè a operatori a basso costo impiegandoli in settori operativi della macchina amministrativa e in questo modo offre loro la possibilità di integrare la disoccupazione pagata dall’Inps nel caso dei cassintegrati piuttosto che - è una novità di questi giorni - di agevolare il loro reinserimento in società nel caso dei detenuti. La giunta Turchet, sulla scia di un’esperienza, quella dei lavoratori socialmente utili, che si sta rivelando positiva, ha dato il nulla osta anche alla sottoscrizione della convenzione con il tribunale di Pordenone per l’impiego all’interno della propria struttura di detenuti del carcere cittadino nell’ambito di attività di manutenzione e cura del patrimonio comunale, di assistenza ad anziani o soggetti deboli. La convenzione avrà durata di cinque anni per un massimo di 10 detenuti. “Si tratterà di soggetti con a carico pene lievi e per questo non pericolosi - assicura il vicesindaco Dorino De Crignis -. L’amministrazione ha dato la propria disponibilità. Sarà il tribunale a decidere quando e chi inviarci”. Tali soggetti si andranno ad aggiungere ai sette in cassa integrazione o mobilità che da dicembre sono impiegati in municipio in lavori di cura del verde, conservazione del patrimonio comunale, aiuto in biblioteca e al centro diurno comunale. “Il bilancio è positivo - dice in merito l’assessore al patrimonio Maurizio Arban - in quanto grazie a queste persone abbiamo realizzato diversi interventi di manutenzione della cosa pubblica, sgravando i nostri operai”. “Le qualità che questi lavoratori dimostrano anche nel settore sociale e culturale - conferma Alessandro Moras, assessore per il sociale - sono notevoli. Intendiamo proseguire su questa linea, tanto che già ci stiamo interessando con gli enti superiori che stanziano i fondi”. Nel caso dei cassintegrati, i costi a carico dell’amministrazione comunale sono minimi, mentre per i carcerati dovrebbero essere limitati alle sole coperture assicurative. Bologna: detenuti al Presidente del Tribunale di Sorveglianza, denunciamo grave malessere Agi, 1 settembre 2010 Una lettera per manifestare “il grave malessere, che si è creato negli ultimi anni a causa delle sempre più restrittive e afflittive condizioni detentive e penitenziarie”. È quanto scrivono i detenuti della casa circondariale bolognese al presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna Francesco Maisto: lettera inviata nello scorso luglio e riconsegnata il 27 agosto alla Garante dei detenuti di Bologna, avvocato Desi Bruno, affinché venisse portata all’attenzione pubblica. “Lei è celebre per aver attivamente aderito alla stesura della famosa Legge Gozzini”, ricordano i detenuti nello scritto indirizzato a Maisto, lamentando però la scarsa applicazione della stessa legge per quanto riguarda le misure alternative, in un carcere che soffre in maniera particolare del sovraffollamento. “Torniamo a chiedere sentitamente che l’esecuzione della pena - concludono i detenuti - abbia luogo nel rispetto della persona e nello spirito della legge in modo da venire incontro alle esigenze di umanità costituzionalmente sancite e garantite e garantore l’attuazione di un percorso concreto di recupero individuale”. Giarre (Ct): un laboratorio per la ceramica e i detenuti diventano “artigiani” La Sicilia, 1 settembre 2010 L’VIII commissione consiliare provinciale “Sviluppo economico e artigianato” presieduta da Nello Cutuli, ha ascoltato ieri la relazione del direttore della casa circondariale di Giarre, Aldo Tiralongo, accompagnato dal dirigente sanitario Sebastiano Russo, in merito al progetto-laboratorio di ceramica in atto nel penitenziario, grazie a un finanziamento della Provincia. “Nell’istituto - ha spiegato il direttore - è stato sempre attivo un laboratorio di ceramica. Mentre prima i detenuti decoravano prodotti acquistati, grazie al corso potranno realizzare loro stessi i prodotti”. Il corso, di 300 ore, si concluderà a metà settembre. I detenuti, su ordinazione, realizzano vasi, bomboniere e oggetti simili. “L’intervento, reso possibile da una variazione al bilancio sull’esercizio finanziario 2010, da me proposta - ha detto il consigliere provinciale del Pd, arch. Salvo Patanè - ha aperto la strada alla collaborazione tra istituto e Provincia. Il primo bilancio delle attività è assolutamente positivo; la qualità della docenza, l’interesse dei detenuti, l’interdisciplinarietà dei contenuti aperti anche all’aspetto medico-sanitario, sono lo specchio di un’azione che è solo al primo step. Esporremo i prodotti realizzati dai detenuti nelle piazze nei prossimi mesi; i vasai e i decoratori formati dal corso, daranno dimostrazione dal vivo delle loro abilità artigiane”. Patanè ha anche proposto la costituzione di un fondo a favore degli ex detenuti che volessero intraprendere un’attività artigiana. Lecce: costituito il “Comitato di solidarietà ad Alì Orgen”, contro il rimpatrio forzato www.agoramagazine.it, 1 settembre 2010 Amici, persone che lo conoscono, associazioni, sindacati, partiti, singoli cittadini, nonché la redazione di “Radio Popolare Salento - Popolare Network” si stanno mobilitando per solidarizzare con Alì Orgen, il ragazzo curdo arrestato dalla Questura di Taranto su mandato di un tribunale Turco il 18 agosto scorso, che adesso rischia l’estradizione nell’inferno delle prigioni della Turchia. Già nella giornata di mercoledì 25 è partito il volantinaggio per le strade della città, nei prossimi giorni ci sarà un presidio nel centro di Taranto. Questo è il testo del comunicato del Comitato di Solidarietà a cui va aggiunta l’enorme adesione, oltre 500 contatti in quattro giorni, al gruppo creato in internet sul social network Facebook, oltre a un “sito internet blog”. Non si può capire l’arresto e la richiesta di estradizione di Ali Orgen se non parliamo del Kurdistan, un paese negato che invece ha un suo popolo, suoi confini, una sua lingua, una sua cultura. Un paese di quaranta milioni di persone che ha subìto e subisce il genocidio perpetrato da quegli stati che, come la Turchia, ma anche l’Iran, l’Iraq e la Siria, ne occupano le terre e ne vogliono distruggere la storia. Ali Orgen è di Bismil. Quotidianamente la Turchia, paese occupante, incarcera, tortura, ammazza, usa armi chimiche, reprime tutti i curdi che lottano per l’indipendenza e per la creazione di una società nuova. Per il solo fatto di parlare il curdo, si rischia la prigione. Ogni formazione politica curda è bandita. Del resto, Amnesty International e altre “ong”, giuristi democratici, parlamentari di tutto il mondo, hanno denunciato e denunciano ripetutamente questo sistema repressivo turco nei confronti dei curdi. Ali Orgen ha scelto come tanti altri curdi di manifestare e lottare per la liberazione del proprio popolo, il riconoscimento dei suoi diritti e l’indipendenza dallo Stato turco. Per questo, nel novembre del 1996 è stato arrestato. Dopo tre anni di carcere duro, in cui è ripetutamente torturato, è condannato a morte, benché non sia mai stato accusato di alcun fatto di sangue. La condanna è poi tramutata in ergastolo e poi in sei anni di reclusione. È un processo farsa, che si svolge senza un avvocato difensore. Al momento della condanna, ad Ali manca da scontare un residuo di pena, ma gli è abbuonato. Dal 2003 Ali vive in Italia. Ha scelto di vivere a Taranto, città in cui ha sempre lavorato e in cui ha creato solide e molteplici relazioni sociali. Da un paio d’anni aveva aperto un phone center, il primo della città, per permettere a tutti gli stranieri di chiamare a prezzi modici nei propri paesi. Il centro, ribattezzato “Alicenter”, è diventato un punto di riferimento per tutti i migranti di Taranto e provincia. Nel 2005, in sua assenza, il processo è riaperto, e in base alla riforma del codice penale turco, è condannato a scontare quel presunto residuo. Quando quest’anno richiede un nuovo passaporto turco per rinnovare il permesso di soggiorno, per tutta risposta insieme al diniego arriva la richiesta di estradizione. La mattina del 18 agosto Ali è arrestato. Su di lui pende una richiesta di estradizione totalmente ingiustificata. Ali rischia di finire nelle carceri turche, in cui perdurano le torture, in cui i curdi sono detenuti in condizioni disumane e spesso vengono uccisi. Questo è Ali Orgen. Non quello dipinto come un “terrorista” dai mass media imbeccati dalle note dell’Interpol e dell’Ucigos, silenziosi complici, insieme al governo italiano, del sistema repressivo turco. Per ulteriore chiarezza ribadiamo che Ali Orgen non è affatto coinvolto nell’inchiesta sul cosiddetto “terrorismo curdo” in Italia, che peraltro si è conclusa in un nulla di fatto, né su questo si basa la sua richiesta di estradizione. Negli anni novanta Ali è stato vittima di un processo ingiusto. Oggi è vittima di un’ingiusta richiesta di estradizione che si basa sull’assurda applicazione di una nuova legge liberticida. Per questi motivi è nato il Comitato di Solidarietà ad Ali Orgen. Questo comitato porrà in essere una serie d’iniziative pubbliche per la sua scarcerazione e invita i singoli cittadini e tutte le organizzazioni che sostengono i diritti umani e i diritti dei popoli ad attivarsi per sostenere questa causa e per impedire l’estradizione. Venezia: iniziative sul carcere alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Ristretti Orizzonti, 1 settembre 2010 Continua anche per il 2010 il Progetto Papillon, nato dalla collaborazione tra la Direzione degli Istituti di pena veneziani, il Comune di Venezia – Direzione Politiche Sociali, Partecipative e dell’Accoglienza – Servizio Promozione Inclusione Sociale – UOC Area Penitenziaria e i soggetti del Terzo Settore, con l’obiettivo di creare un ponte tra carcere e territorio, organizzando momenti di scambio durante un evento così importante per la città, come la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. E’ prevista la consueta apertura dello Stand N° 9 per tutta la durata della Mostra presso l’Area Garden del Lido per l’esposizione e la vendita dei prodotti realizzati in carcere, gestito dalle Cooperative “Rio Terà dei Pensieri” e “Il Cerchio”. Il giorno 4 settembre ci sarà presso lo stand la possibilità di timbrare la posta in uscita con un annullo postale creato per l’occasione. L’importante novità di quest’anno è l’evento “Cella in Mostra”. Dal 3 al 5 settembre dalle ore 13 alle ore 20, presso il parcheggio di Via Lamberti adiacente al Palabiennale del Lido, sarà allestita una cella costruita dai detenuti di Verona, che riproduce nelle dimensioni e nell’arredamento la cella di un istituto di pena, al fine di far comprendere alla cittadinanza la fondatezza delle preoccupazioni dei volontari, degli operatori sociali, degli operatori penitenziari e delle famiglie rispetto alla vivibilità in carcere e per chiedere al governo soluzioni efficaci e tempestive. I dati non sono infatti confortanti: la capienza regolamentare delle carceri italiane è di 44.568 posti con un limite tollerabile di 67.772, contro i 69.000 detenuti ad oggi presenti negli Istituti Penitenziari. Dall’inizio dell’anno sono 116 i detenuti morti in carcere tra suicidi, malattie e cause “da accertare”, senza contare gli atti di autolesionismo quotidiani. Per confrontarsi, riflettere e sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche è stato organizzato, il 3 settembre alle ore 15.30 in prossimità della “cella”, un incontro pubblico in cui si affronteranno le problematiche attuali del carcere. Immigrazione: Saro (Pdl); sicurezza Cie di Gradisca da equiparare a quella delle carceri Agi, 1 settembre 2010 “Serve una profonda revisione della struttura, tanto nelle forme di vigilanza quanto nel numero delle forze dell’ordine e nei poteri loro assegnati”. Esprime profonda preoccupazione il senatore Ferruccio Saro(Pdl) sulle recenti, violente, rivolte scoppiate al Cie di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), tanto che ritiene “non rinviabile un radicale rafforzamento della sicurezza, sia quanto a uomini e mezzi impiegati sia quanto a strumenti anti-evasione e deterrenti a qualsiasi tipo di ribellione”. Il senatore Saro ricorda “di aver presentato ben tre interrogazioni parlamentari, ancora senza risposta”, ma assicura il suo impegno “ad esercitare pressing nei confronti del ministero dell’Interno in modo da rendere il Cie nella pratica un luogo equiparato, quanto a misure di sicurezza, ad un carcere”. Secondo Saro “il problema principale riguarda lo status amministrativo del Centro quando invece gli ultimi fatti di cronaca fanno ben capire che siamo di fronte a situazioni che richiedono trattamenti sovrapponibili a quelli carcerari”. Francia: Frattini; un’autopsia anche in Italia per l’italiano morto in carcere La Repubblica, 1 settembre 2010 A Nizza l’esame, senza medico di parte, sul cadavere del giovane deceduto dopo l’arresto in Costa Azzurra. Il ministro degli Esteri chiede nuove analisi al rientro della salma in patria. La madre: “Voglio la verità”. “Mio figlio è irriconoscibile, ha il volto gonfio, dei segni rossi sulla guancia destra che paiono essere stati lasciati da uno schiaffo. E sul naso una macchia scura, forse è rotto...”, dice Cira Antignano con la voce gonfia di rabbia sulla porta del “Laboratoire de Medicine Legal” dell’ospedale Pasteur di Nizza. Ieri Jean Michel Cailliau, procuratore capo aggiunto di Grasse, dopo le pressioni del console generale di Nizza, Agostino Alciator Chiesa, ha permesso che i familiari più stretti di Daniele Franceschi, misteriosamente morto il 25 agosto in una cella del carcere di Grasse, di poter finalmente vedere la salma prima che i due medici legali della Procura iniziassero l’esame autoptico. “Un fatto straordinario, credo che sia la prima volta che questo accade nella storia giudiziaria francese”, spiega il console Chiesa che per ha tartassato di telefonate i magistrati francesi, battendosi come un leone affinché Cira Antignano potesse vedere il cadavere del figlio prima dell’autopsia. Il console avrebbe voluto anche che all’esame necroscopico assistesse Lorenzo Varetto, il medico legale italiano da lui scelto per seguire l’inchiesta scientifica sulla morte di Daniele. La Procura di Grasse però su questo punto è stata irremovibile: non solo Varetto non ha potuto presenziare all’autopsia iniziata oggi alle 9,30, ma gli è stato rifiutato anche il permesso di accompagnare console e familiari nell’ufficio del procuratore capo quando saranno resi note le prime e sommarie conclusioni dell’autopsia. Ora la Farnesina sta cercando di ottenere “che al rimpatrio della salma sia possibile mantenere integro il corpo ed eventualmente realizzare una seconda perizia in Italia”, ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Gli unici dati sullo stato del corpo di Daniele quindi Varetto, diventato celebre dopo che le sue analisi hanno scagionato Alberto Stasi dal delitto di Garlasco e Elena Romani, l’hostess di Vercelli, dall’accusa di aver ucciso la figlia Matilda, li ha potuti avere dal confuso racconto di Cira Antignano e di Tiziano Franceschi, fratello maggiore del giovane detenuto italiano, gli unici ad essere ammessi nella camera settoria dell’istituto di medicina legale dell’ospedale di Nizza. “Dicono che mio figlio è morto per infarto ma io non ci credo - continua Cira Antignano che da sabato scorso è a Nizza per capire perché ha perso improvvisamente un figlio - Conosco quel tipo di morti, i segni che ha mio figlio sul corpo sono di tipo diverso. Voglio sapere che cosa gli è successo veramente”. Sessantasette anni, vedova dal 1990 di un marito morto suicida, 650 euro al mese di pensione, Cira Antignano si sta battendo contro il sistema giudiziario francese per sapere la verità sulla morte del figlio, finito nel carcere di Grasse il 18 febbraio scorso dopo essere stato sorpreso dalla gendarmeria mentre tentava di incassare delle fiches al Casinò di Cannes con una carta di credito rubata. Francois Gonzales, l’avvocato di Nizza a cui la donna si è affidata, ammette: “In Francia per un reato del genere si può restare in carcere anche un anno senza essere processati”. Il caso Franceschi in effetti sta mettendo in rilievo le discrepanze tra il codice di procedura penale francese e le norme europee. Oltralpe è infatti ancora in vigore il gardè a vue, la possibilità di tenere in cella per più di quarantottore un sospetto senza contatti con un legale o con parenti. Il sistema giudiziario che a differenza di quello italiano ha mantenuto la figura del giudice istruttore permette al magistrato di insistere sulle indagini sulla base del suo esclusivo convincimento di colpevolezza. “Negli ultimi anni - spiegano gli avvocati francesi - la giustizia francese è stata condannata dodici o quindici volte dalla Corte Europea per aver leso i diritti della difesa”. Ai detenuti stranieri nei carceri francesi viene chiesto se vogliono che i paesi di origine siano messi a conoscenza della loro situazione. “Per rispetto della privacy” sottolineano le autorità di Parigi. In realtà delle decisioni dei prigionieri non resta traccia. Il console italiano generale di Nizza qualche mese fa ha scritto all’ambasciata d Parigi affinché “suggerisse” all’autorità giudiziaria francese di far firmare queste decisioni. “Non abbiamo però avuto risposta”, ammettono i diplomatici italiani. Nel carcere di Grasse, una cittadina a venti chilometri da Cannes, più nota per essere la capitale dei profumi, ci sono attualmente dieci detenuti italiani. “Arrestati per reati minori come scippi, furti e truffe. Nessuno di loro è collegato a fatti di sangue” spiegano al consolato italiano di Nizza. I primi risultati dell’autopsia dovrebbero essere comunicati nelle prossime ore. “Più probabilmente domani mattina”, dice il console Chiesa. Il ministro degli Esteri Frattini segue la vicenda con grande interesse. L’ultima sua telefonata è arrivata a mezzogiorno al consolato di Nizza. In attesa degli esiti dell’esame necroscopico effettuato dai medici legali della Procura francesa la famiglia Franceschi sta studiando una nuova strategia per capire che cosa è veramente accaduto a Daniele. Una volta riportato il corpo del figlio in Italia Cira Antignano probabilmente presenterà un esposto alla Procura della Repubblica di Lucca che permetterà di effettuare una nuova autopsia sul cadavere del giovane misteriosamente morto nel carcere di Grasse. Libia: Amnesty; nel Paese praticata tortura e pena di morte, 100 frustate alle adultere di Susan Dabbous Terra, 1 settembre 2010 Ripartito ieri il presidente libico, restano le polemiche e il silenzio sui diritti umani. Amnesty: “Nel Paese è praticata la tortura e la pena di morte. Le donne vengono condannate per i rapporti extraconiugali”. Fine dello spettacolo, restano le polemiche. E il silenzio istituzionale sulla violazione dei diritti umani in Libia di cui non si è parlato in questi giorni di festeggiamenti, veline islamizzate a pagamento e caroselli berberi. Il presidente libico Gheddafi è tornato a Tripoli col suo aereo decollato ieri alle 13 dall’aeroporto di Ciampino. Dopo una visita romana di 48 ore, a soffiare sul fuoco una fitta schiera di politici e giornalisti: dalla Lega Nord, ai finiani, passando al Pd e all’Avvenire che definisce l’amicizia italo-libica un vero e proprio boomerang. Mentre i verde Angelo Bonelli punta il dito dritto contro il premier: “Berlusconi è responsabile di aver concesso al dittatore libico Gheddafi una platea per un’estorsione ai danni dell’Europa a cui il Colonnello chiede 5 miliardi di euro per pagare i lager per gli immigrati”. La minaccia del leader libico all’Ue (“se non ci date 5 miliardi l’anno vi riempiremo il continente di africani”) è arrivata lunedì sera. Un messaggio diretto a Bruxelles che il rais ha pensato bene di mandare da Roma e non da Tripoli. Ora l’Italia deve gestire una situazione imbarazzante. A chiedere spiegazioni è l’eurodeputato del Pd David Sassoli: “Sarebbe auspicabile - ha detto - che il governo smentisse quanto affermato dal leader libico, su una questione dirimente come quella dell’immigrazione e dei diritti umani”, in ballo secondo l’ex mezzobusto del Tg1 c’è “il ruolo che intendiamo giocare nel futuro dell’Europa”. Per il momento l’Ue ha scelto di non commentare le parole del Colonnello. Sulla questione immigrazione, poi, Bonelli rincara la dose: “Gheddafi utilizza il dramma dei migranti per ricattare l’Unione europea, per questo andrebbe denunciato alla Corte per i diritti dell’uomo, altro che accoglienza da eroe”. A un anno e mezzo dall’inizio dei respingimenti (siglati nell’accordo italo-ibico) “abbiamo imparato bene cosa comporta questa pratica”, denuncia anche Riccardo Noury di Amnesty International. “Diverse centinaia di persone sono state respinte con procedure sommarie: donne e bambini inclusi”. L’associazione domenica scorsa ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Berlusconi, per chiedergli, in qualità di partner privilegiato di aiutare Amnesty a fare chiarezza sul rispetto dei diritti umani in Libia. Nessuna risposta per il momento. “Durante la visita nelle carceri di Tripoli che siamo riusciti a fare a maggio 2009 abbiamo potuto appurare che nel Paese viene ancora praticata la tortura e vige la pena di morte”. In particolare è in uso la pratica delle bastonate sotto i piedi. Le donne però a detta del Colonnello se la passano benone, meglio delle occidentali. “Una legge in vigore del 1973 - spiega Noury - prevede pene fino a cento frustate, e/o la detenzione fino a 7 anni, per il reato di zina, l’adulterio. Nel 2009 - continua - in una prigione di Tripoli c’erano 6 donne condannate per adulterio e altre 32 in attesa di condanna”. Di loro nessuna notizia, così come delle persone negli impenetrabili carceri del Sud della Libia. Iran: un ragazzo di 18 anni sarà impiccato per “presunta omosessualità” di Tamara Gallera www.osservatoriosullalegalita.org, 1 settembre 2010 Dopo Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata alla lapidazione per adulterio (e successivamente accusata di complicità nell’omicidio del marito, confessione che sarebbe stata estorta con la tortura), l’Iran conferma la condanna a morte per impiccagione di un ragazzo sospettato di omosessualità, Ebrahim Hamidi, 18 anni. In Iran l’omosessualità è un crimine abominevole punito con la pena di morte. La pena sarebbe già di per sè disumana, ma pare anche che la tendenza sessuale del giovane sia frutto di un insieme di drammatiche sovrapposizioni: ne sono coinvolti altri detenuti che avrebbero ottenuto promesse di rilascio mentre Ebrahim avrebbe confessato sotto tortura e durante il processo non aveva diritto ad alcuna rappresentanza legale. Il verdetto è stato pronunciato da un giudice che ha invocato una formula utilizzata quando non ci sono prove formali e quando l’accusa è venuta meno (nel mese di luglio la presunta “vittima” di Ebrahim Hamidi ha riconosciuto di aver portato false accuse contro di lui sotto la pressione dei suoi genitori) la pena non è stata modificata. Anche per Hamidi, come per Sakineh, si sta generando una mobilitazione internazionale. In ogni caso - al di là del fatto che qualora non fosse omosessuale, egli verrà ucciso per una incapacità della giustizia di accertare la verità e di fare marcia indietro di fronte alle prove contrarie - il caso di questo ragazzo dimostra quale sofferenza debbono subire in Iran le persone con tendenze sessuali diverse, costrette a negare la propria identità per non perdere la vita. Brasile: il presidente Lula orientato a non concedere l’estradizione di Cesare Battisti Ansa, 1 settembre 2010 Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva avrebbe deciso di non concedere l’estradizione dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, detenuto in Brasile, e avrebbe già ottenuto il consenso a riguardo del premier Silvio Berlusconi in occasione dell’incontro fra i due a San Paolo nel giugno scorso. Lo scrive oggi il quotidiano Estado de S. Paulo senza però citare alcuna fonte. Interpellate dall’Ansa sulla questione, fonti di Palazzo Chigi rimandano a quanto già affermato in occasione della visita del premier in Brasile, ovvero che della questione Battisti i due presidenti non avevano affatto discusso.