Giustizia: il 24 settembre manifestazione dei volontari carcerari davanti al Parlamento Apcom, 18 settembre 2010 I volontari si mobilitano per l’emergenza carcere. Il 24 settembre davanti al Parlamento, in piazza Montecitorio, tante associazioni che operano negli istituti di pena, si riuniranno per ribadire “la richiesta a tutte le forze politiche è di riconsiderare la necessità di avviare l’iter parlamentare per apportare soluzioni al sovraffollamento rapide e condivise con chi in carcere lavora o opera a titolo di volontariato”. Alla manifestazione hanno aderito dalla Consulta penitenziaria del Comune di Roma alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, dal Seac a Ristretti Orizzonti, dall’Arci al Gruppo Abele, dal Forum Droghe al Consorzio Open, dalla Fondazione Villa Maraini alla Lila; dal Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e degli internati alla Legacoopsociali nazionale. Alle 15,30 del 24 settembre, nella Sala della Pace di Palazzo Valentini, verranno illustrate le proteste e annunciati gli scioperi programmati in tutte le carceri. Oltre alle organizzazioni del volontariato e del terzo settore, hanno aderito alla protesta anche molti garanti regionali, comunali e provinciali. Tra i promotori spicca il nome di Lillo Di Mauro. Con le diverse istanze - si sottolinea in una nota - “si chiede che le Commissioni Giustizia di Camera e Senato si adoperino perché lo scarto tra la realtà carceraria e le leggi che hanno riempito a dismisura le strutture detentive esistenti sia colmato con la riforma di alcune norme, che consenta di risolvere strutturalmente i problemi del sovraffollamento attraverso la scarcerazione e l’inserimento in circuiti alternativi di detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli fino a tre anni, malati psichiatrici, persone detenute affette da gravi patologie”. Giustizia: problemi di copertura finanziaria, slitta l'esame del pdl sulle detenute madri Agi, 18 settembre 2010 L'esigenza di approfondire varie disposizioni e i problemi ancora aperti relativi alla copertura finanziaria ha provocato uno slittamento della conclusione dell'iter referente del testo unificato 2011 contenente disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori prevedendo ipotesi agevolate di concessione degli arresti domiciliari o la reclusione in apposite 'case protettè per le detenute che hanno figli piccoli, ma non possono fruire dei domiciliari per l'entità della pena alla quale sono state condannate. In particolare vari deputati hanno sottolineato l'esigenza di valutare meglio la concessione di benefici a detenute per reati mafia o terrorismo. Si è, quindi, deciso di far tornare il testo in Comitato Ristretto per rivedere alcune norme e di chiedere un rinvio di 15 giorni dell'esame in aula già previsto per martedì prossimo. Giustizia: pene ridotte, domiciliari e indulto… niente carcere per i crac all’italiana Corriere della Sera, 18 settembre 2010 Basterebbe questo: per incontrare il “Madoff” italiano, Calisto Tanzi - dieci anni di carcere comminati in secondo grado dal tribunale di Milano per aggiotaggio - è sufficiente seguire le indicazioni di Google Maps che portano alla villa di Vigatto dove l’ex patron della Parmalat si occupa, secondo le ultime notizie, di muffin e succhi di frutta. In tutto ha fatto 104 giorni di prigione. Poi un po’ di arresti domiciliari sempre nella villa con ampio giardino dove ha ricevuto qualche anno fa la visita di Beppe Grillo e dove, fino a poco tempo fa, poteva rifarsi gli occhi anche con alcuni Monet, Van Gogh e Picasso sequestrati dai finanzieri lo scorso dicembre. Certo: si potrebbe dire che su lui e altri due condannati (il manager Giovanni Bonici e il commercialista Luciano Silingardi) grava la spada di Damocle dei 100 milioni che devono trovare per ripagare i creditori. Ma tanto è tutto teorico: l’ex imperatore del latte in polvere che - come hanno ricordato i magistrati a Parma dove il processo più rilevante, quello per bancarotta, è appena iniziato - poteva far fallire l’intera isola di Cuba risulta tecnicamente nullatenente. E la villa appartiene alla moglie. Copione quasi scontato. A concludere il quadro ci sono i 71 anni e la salute, strani amuleti che hanno scongiurato il pericolo di finire sul serio dietro le sbarre per l’ex Cavaliere di Gran Croce. Alla finestra centinaia di migliaia di obbligazionisti che hanno visto parte dei propri denari con il risanamento dell’azienda ma che, certo, hanno dovuto dimenticare il grosso di quei 7,2 miliardi investiti. Tutto ex lege, chiaro. Ma l’amara conclusione è che chi sbaglia, soprattutto nei reati finanziari, in Italia di riffa o di raffa non paga con la prigione. Almeno per adesso è questo il paradosso della lugubre lista dei crac italiani: Parmalat, Cirio, Italtractor, Giacomelli, Finpart, i più recenti Viaggi del ventaglio e Mariella Burani. L’unica certezza è la carcerazione preventiva nei primi mesi, quella uguale per tutti: colpevoli e altri che, magari, dopo risulteranno innocenti. A ricordarlo alle decine di migliaia di italiani che avevano acquistato bond Cirio ci sono anche le scatole di pelati sempre sugli scaffali dei supermercati (il ramo d’azienda è ora controllato dalle coop di Conserve Italia quindi non c’è pericolo che quei soldi vadano a Sergio Cragnotti). Per l’ex manager Montedison, già attivo dietro le quinte ai tempi del crac Ferruzzi, dopo i sei mesi nel 2004 di carcere preventivo a Regina Coeli e di arresti domiciliari si è aperta una lunga stagione di attese che gli ha permesso anche di scrivere e pubblicare con Fazi la propria autobiografia: “Un calcio al cuore”. Triste gioco di parole che vorrebbe ricordare gli anni gloriosi alla guida della Lazio, quando veniva portato in campo come un re dai calciatori, e i “torti subiti” con il crac Cirio. Più che altro suona come “un calcio” ai risparmiatori che stanno aspettando ancora 1,1 miliardi e che per adesso hanno visto rimborsi anoressici. Nel frattempo? Il processo milanese per aver organizzato una finta cordata di salvataggio con i turchi Cukurova è stato archiviato. E quello doppio a Roma per il caso Eurolat e la bancarotta Cirio è praticamente a metà del primo grado. Intanto, a 8 anni dal fallimento, Cragnotti ha compiuto 70 anni. Tra le fotografie della stagione dei crac c’è anche quella della “dark-lady”, Gabriella Spada, 44 anni, prima pluripre-miata donna manager per la crescita dei negozi Giacomelli come funghi e poi raggiunta dall’ordine di cattura mentre era alle Maldive. La Spada, il Cui ruolo nel crac è stato onestamente ridimensionato rispetto alle accuse iniziali, è stata condannata in primo grado a 6 anni, ridotti di un terzo a 4 anni. Ma essendo il crac precedente al 2006 è calato l’indulto con lo “sconto” di tre anni. In sostanza per tutti i reati finanziari precedenti al 2 maggio del 2006 fino a 6 anni non si va in prigione (per gli altri 3 anni si possono chiedere al tribunale di sorveglianza le misure alternative, cioè i servizi sociali). Per finire, vi ricordate di Gianpiero Fiorani e la scalata dei furbetti del quartierino alla Bnl e all’Antonveneta? Il “banchiere popolare” ha avuto 3 anni e 6 mesi a Lodi in primo grado. A Milano ha patteggiato 3 anni e 3 mesi. Il processo principale è in corso. Grazie all’indulto è nella sua villa di Arzachena, in Sardegna. Giustizia: l’ex senatore Pdl Di Girolamo patteggia cinque anni di pena e lascia il carcere Corriere della Sera, 18 settembre 2010 Torna a casa dopo sei mesi e mezzo di carcere, ma con ogni probabilità dovrà dire addio alla vita politica. E ai milioni di euro accumulati con la truffa dei telefoni che ha coinvolto anche Fastweb e Telecom Italia Sparkle. L’ex senatore (Pdl) Nicola Di Girolamo ha deciso di patteggiare la pena: se il tribunale dirà di sì l’ex parlamentare non potrà più candidarsi. Di Girolamo ha ottenuto gli arresti domiciliari ieri pomeriggio. Glieli ha concessi il gip Maria Luisa Paolicelli, accettando la richiesta che i difensori, Carlo Taormina e Pierpaolo Dell’Anno, avevano presentato qualche giorno fa. Favorevole il parere della procura: l’aggiunto Giancarlo Capal-do e i pm Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti hanno sottolineato che le esigenze cautelari sono diminuite sia perché l’ex parlamentare ha collaborato (riempiendo centinaia di pagine di verbali), sia perché ha scelto il patteggiamento. “Una soluzione tecnica corretta”, sottolinea Dell’Anno. Se il 2 novembre, quando inizierà il processo, il tribunale ratificherà l’accordo fra accusa e difesa (cosa che in genere accade), Di Girolamo sarà dunque condannato a cinque anni di carcere e a restituire quattro milioni e 700 mila euro. I conti correnti sequestrati in Svizzera, a Hong Kong e a Singapore durante l’inchiesta, saranno confiscati. E così pure un casale in Toscana. Nella trattativa i difensori hanno cercato di ottenere un mese in meno di carcere, ma i magistrati non hanno ceduto. Perché è dai cinque anni in su che scatta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E quindi il divieto di candidarsi sia in Parlamento, sia nelle amministrazioni locali. Di Girolamo si era dimesso il 3 marzo scorso, dopo che la Procura aveva chiesto al Senato l’autorizzazione all’arresto e subito prima che i colleghi votassero sì. A determinare la sua caduta, non tanto l’accusa di associazione a delinquere e riciclaggio di 30 milioni di euro, quanto quella di essere stato eletto con i voti della ‘ndrangheta. Fra qualche mese, chiusa la parabola giudiziaria, l’ex senatore tornerà probabilmente a fare l’avvocato, come accadeva prima che Gennaro Mokbel, il capo dell’organizzazione al centro dell’inchiesta, decidesse di farne la sua longa manus a Palazzo Madama. Con la moglie Giorgia Ricci e un altro arrestato, Luca Breccolotti, nel ruolo di portaborse stipendiati grazie ai rimborsi destinati ai parlamentari. Lettere: l’ingiusta archiviazione della vicenda di Carmelo Castro di Simona Filippi (Difensore civico dell’Associazione Antigone) Terra, 18 settembre 2010 Lo scorso 27 luglio, il Giudice del Tribunale di Catania ha messo la parola fine, almeno per ora, sulla triste vicenda della morte del giovane Carmelo Castro avvenuta un anno e mezzo fa nel carcere della città. Il decesso di Carmelo, come quello di molti altri che muoiono in carcere, è rimasto nell’ombra e ancora oggi le circostanze che hanno preceduto il terribile evento restano poco chiare. Torniamo indietro: il 24 marzo dell’anno scorso Carmelo Castro viene fermato insieme ad altri due ragazzi ritenuti responsabili di una rapina. Viene portato nella caserma dei Carabinieri di Paternò e da lì in carcere. Dopo l’arresto, ci raccontano i genitori, i tre giovani sarebbero stati “massacrati di bastonate” così come rivelerebbero le foto segnaletiche in cui il figlio” aveva “gli occhi neri, l’orecchino strappato e le labbra ferite”. Al momento del suo ingresso in carcere, Carmelo si trova in un evidente stato di agitazione, tanto che a seguito del colloquio di primo ingresso gli viene prescritto un tranquillante e viene sottoposto al regime di “grandissima sorveglianza”, la cui funzione primaria è proprio quella di prevenire il verificarsi di gesti autolesionistici in soggetti a rischio e che comporta - essenzialmente - che la persona venga osservata 24 ore su 24. In quella cella, guardato a vista 24 ore su 24, Carmelo si sarebbe impiccato la mattina del 28 marzo, quattro giorni dopo essere entrato in carcere. L’allarme, un passaggio in infermeria e quindi il trasporto con un auto di servizio all’Ospedale più vicino (5 minuti di viaggio), dove Carmelo però arriva senza vita. Secondo il Giudice che ha disposto l’archiviazione non sono ravvisabili gli estremi per configurare responsabilità penali da parte di terzi. Noi insistiamo nel sostenere che molte circostanze che hanno contornato la morte di Carmelo sono poco chiare e nessuna di queste è stata con serietà chiarita nella ordinanza dello scorso luglio: a partire dalla dichiarazione di totale assenza sul corpo di Castro di “traccia di colluttazione o comunque di violenza esterna”, all’impossibilità per i consulenti di visionare il lenzuolo con cui il giovane si sarebbe impiccato, al sostenere che Carmelo stava in isolamento giudiziario che si accompagna alla mancanza del registro dell’altissima sorveglianza così come alla decisione di portarlo in ospedale con un auto di servizio e non con l’ambulanza sino all’impossibilità per la madre di poterlo incontrare a colloquio. La decisione di archiviare con queste motivazioni, contraddittorie e farraginose, la morte di un giovane avvenuta in un carcere ci amareggia e soprattutto rafforza la nostra convinzione di intervenire presso le Autorità ed insistere affinché venga celebrato un processo per chiarire le circostanze e le eventuali responsabilità che hanno determinato la morte di Carmelo. Lettere: i volontari del carcere di Lucca; vanno superate le condizioni disumane Il Tirreno, 18 settembre 2010 Interveniamo con l’auspicio che non si spengano, dopo i fuochi agostani, i riflettori accesi sulle varie questioni discusse ed anzi interviene per rilanciare proponendo un tavolo allargato che veda coinvolti l’istituzione carceraria, la Regione, i parlamentari lucchesi, la Provincia, il comune di Lucca, i comuni della Piana, l’istituzione ecclesiale e i soggetti sociali, che come noi, si occupano da anni di carcere. È tempo di passare dalla denuncia e dalle analisi, pur necessarie, a scelte concrete. Sarebbe l’occasione per dimostrare ai cittadini che è veramente possibile, superando i distinguo, costruire insieme attingendo alle competenze, alle professionalità, ai ruoli di ciascuno. Il gruppo ritiene necessario indicare da subito, sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema carcere-sicurezza, quali sono, a suo parere, le priorità: il lavoro dentro e fuori del carcere; il miglioramento delle condizioni di vita carceraria in base ai concreti bisogni dei detenuti; gli interventi sulla struttura di San Giorgio. Frequentiamo il carcere quotidianamente con propri volontari e ne conosce i bisogni; conosciamo altresì gli sforzi che con le sempre insufficienti risorse economiche e umane l’istituzione carceraria sta facendo sul fronte dell’accompagnamento psicologico, della mediazione culturale, del trattamento. Le guardie carcerarie dimostrano da sempre grande umanità e disponibilità, tanto che è notorio l’auspicio dei detenuti di altri carceri di essere trasferiti a Lucca. È vero, i problemi restano, ma appare ingiusta la titolazione che abbiamo visto su di un articolo di stampa apparso in questi giorni: “Il carcere di Lucca è un inferno”. Lucca, con la sua storia, la sua sensibilità civica, la sua solidarietà incarnata nelle opere, ha da sempre accolto il carcere di San Giorgio, una casa circondariale a misura di città. In una situazione di crisi economica, quale quella attuale, ci parrebbe doveroso cercare di rispondere ai problemi con i minori costi possibili per la collettività. Perché allora non si pensa a chiedere il completamento dell’ala del carcere di San Giorgio che da anni attende di essere ultimata? Perché non si chiede di procedere alle opere di manutenzione ordinaria necessarie? È certo che creare oggi condizioni di miglior vivibilità in carcere non deve significare far rientrare dalla finestra ciò che si è fatto uscire dalla porta e cioè si deve pretendere che, ripristinati i nuovi spazi di vivibilità, non si dilati ulteriormente, innalzandone la ricettività, la capienza del carcere di San Giorgio. Il carcere di S. Giorgio è un carcere che la città ha accolto e custodito nel tempo con una consapevolezza civica alta di ciò che significa la pena nell’ineludibile rapporto vittima-condannato. L’emergenza carceraria ripropone congiuntamente e con forza anche il tema della espiazione della pena e delle misure alternative, percorsi anch’essi obbligati per superare l’emergenza carceraria. Avvertiamo una situazione di precarietà diffusa che può essere superata solo creando una cordata della società civile e delle istituzioni su scelte condivise. La nostra associazione dopo 23 anni di impegno, anche attraverso l’opera della Casa di accoglienza carcerati ed ex di piazza S. Francesco e della Cooperativa di lavoro la Mongolfiera, si trova in emergenza: la sede di piazza S. Francesco è stata venduta. Auspichiamo una soluzione. Gruppo Volontari del Carcere di Lucca Puglia: laboratori e formazione in carcere, così la Regione combatte la devianza minorile La Repubblica, 18 settembre 2010 “In Italia c’è il pieno dei garantisti quando ci si occupa dei garantiti. Mentre per i deboli, per i bambini, i poveri non c’è garanzia”: durissima l’analisi del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, al convegno “Dal recupero sociale all’imprenditoria giovanile”, organizzato dal Dipartimento giustizia minorile per la Puglia e al quale, in Fiera, hanno partecipato anche gli assessori regionali Elena Gentile (welfare) e Alba Sasso (formazione). “In ogni parte delle politiche pubbliche - ha detto il governatore pugliese - la cultura dell’infanzia continua a regredire. E adesso siamo in una polveriera, perché si è affidato al codice penale il compito di orientarsi nell’ingorgo della complessità, di inseguire la realtà. E mentre i reati dei colletti bianchi sono stati depenalizzati, quelli “normali” sono sovrapenalizzati. E non esiste più un circuito penitenziario, ma esistono solo volgari galere. Le carceri sono volgari discariche sociali e deposito di tutti i fantasmi, mentre difficilmente un malato di cancro in carcere incontra un magistrato di sorveglianza che lo liberi”. Un contesto difficile nel quale per i minori a rischio è sempre più difficile emergere per integrarsi. “Eppure - ha proseguito Vendola - i ragazzini, i bambini che sono ristretti in carcere, negli istituti, spesso solo allora incontrano lo Stato che si occupa di loro. E’una gigantesca contraddizione. “Ma - ha concluso - tra mille virgolette, dimmi come stanno i tuoi bambini devianti e ti dirò che tipo di società sei. Gli operatori che lavorano con i minori a rischio sono un baluardo, unici a dare coraggio e trovare talenti tra chi non ha mai avuto coraggio e non è mai stato cercato per il suo talento”. Da parte sua, la Regione Puglia ha messo sul tappeto una serie di progetti: “Proseguiremo i laboratori didattici nel carcere minorile avviati dalla passata amministrazione con esiti molto positivi. Inoltre saranno pubblicati bandi per la formazione di figure professionali specifiche, destinate a lavorare negli istituti minorili”, ha chiarito Alba Sasso. Le iniziative non mancano. Come il progetto pilota nazionale “Mitico”, finanziato da un fondo dell’amministrazione penitenziaria, che punta alla formazione professionale e che in Puglia lavora a Lecce. I ragazzi vengono coinvolti in attività di tipografia, gelateria, restauro, lavanderia e creazione di siti web e sistemi software e hardware che si concludono con la firma di un contratto di lavoro. In Puglia sono 10 i giovani che potranno beneficiarne. Altro progetto è “Nostos” che realizza laboratori di falegnameria negli istituti penali minorili per costruire un particolare modello di barca pieghevole, “Paper8”. C’è la collaborazione dell’Unione italiana vela solidale. “Dodici ragazzi dell’istituto di Lecce sono all’opera già da luglio. La fase sperimentale dell’iniziativa durerà almeno quattro mesi” ha chiarito Cosma Cafueri, presidente del Cedisa che, da dieci anni, gestisce un analogo laboratorio con i ragazzi di Bari vecchia. Torino: giallo sulla morte di un detenuto disabile, debilitato dall’infermità e dai malanni La Repubblica, 18 settembre 2010 Di carcere, in carcere, si continua a morire. Alle 7.58 di giovedì gli agenti della penitenziaria, poi pronti a dire che “alla conta della mezzanotte era tutto a posto”, hanno trovato senza vita un detenuto calabrese debilitato dall’infermità e dai malanni, dal non starci più con la testa, dallo stare a centinaia di chilometri dalla famiglia. Era accasciato sulla sua sedia a rotelle in una cella a due posti del padiglione A del Lorusso e Cutugno, quarto piano, sezione ad alta sicurezza e a sorveglianza più stretta, in teoria. Non respirava più,è uscito di galera con i piedi davanti. Si chiamava Placido Caia, aveva 64 anni, stava scontando una pena per associazione mafiosa, ritenuto un uomo di punta della ndrangheta di Seminara, già condannato anche per sequestro. “Il predetto - recita testualmente comunicazione fatta avere alla vedova, Maria, attraverso i carabinieri - è deceduto presso questo istituto per cause presumibilmente naturali tuttora in corso di accertamento”. I familiari e i legali non la fanno così semplice. Al contrario. Sono arrabbiati, agguerriti, decisi a scavare a fondo. Oggi arriveranno a Torino per presentare un espostodenuncia contro il carcere, i medici, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E affiancheranno i loro consulenti agli specialisti indicati dalla procura per autopsia e esami tossicologici. “Sono troppe le cose che non tornano, da cui discendono responsabilità gravi”, ripete l’avvocato Domenico Putrino, mentre dalle Vallette arrivano solo “no comment”. “Caia dentro non ci doveva stare. Era invalido al cento per cento, non autosufficiente, bisognoso di quotidiana assistenza”. Solo poche ore prima del decesso, mercoledì, il difensore aveva inviato un preoccupato fax alla direzione per chiedere conto delle condizioni dell’assistito e sollecitare una copia della cartella clinica. “Nel 1978 - ricorda l’avvocato - si era dato fuoco, in un altro istituto, per respingere l’accusa di sequestro. Da allora, ustionato e inabile, con mille altri malanni fisici e mentali, non era più lui. Per dieci anni ha avuto il differimento della pena, per motivi di salute”. Poi è stato riarrestato ed è cominciata la girandola di trasferimenti. Secondigliano. Sulmona. Torino, a fine giugno. “Non abbiamo mai saputo il perché di tutti questi spostamenti. E per capire come è stato trattato basti dire che, all’ultimo viaggio, la sua sedia a rotelle è rimasta a Sulmona”. Non è tutto. “È strano che fosse sulla carrozzina e non in branda”. E ancora: “I parenti lo hanno incontrato per l’ultima volta a luglio, poi è stato detto loro che aveva scritto una dichiarazione per rifiutare i colloqui. Essendo analfabeta, non avrebbe potuto farlo”. Nuoro: un’interrogazione alla Camera sull’ipotesi del ritorno dei detenuti 41 bis L’Unione Sarda, 18 settembre 2010 Dopo l’allarme lanciato dal sindaco di Nuoro Alessandro Bianchi sul rischio di un ritorno al supercarcere, arriva in Parlamento la spinosa questione del potenziamento del penitenziario di Badu e Carros. In una interrogazione al ministro della Giustizia il deputato del Pd Antonello Soro, primo firmatario insieme ai colleghi Melis, Calvisi, Fadda, Marrocu, Parisi, Pes e Schirru, parte dai lavori di sbancamento in atto per rilevare che il nuovo padiglione in costruzione potrebbe essere destinato ai detenuti in regime 41/bis, cioè in regime di sorveglianza speciale considerati di “massima pericolosità”. “In passato proprio a Nuoro - si legge nell’interrogazione - la presenza di detenuti in simile stato ha generato conseguenze tragiche, sia sul piano dell’ordine interno al carcere sia su quello della diffusione in Sardegna di inediti reati di banda armata, terrorismo e associazione mafiosa”. Dopo aver sottolineato le pesanti servitù che aggravano la crisi economica e sociale e un’intesa mai applicata per far scontare la pena in loco (“sui 2.206 sardi custoditi in Italia solo 1.165 sono nelle carceri sarde”), chiedono al ministro Alfano di “confermare o smentire recisamente (come ci si augura vivamente) le voci raccolte dal sindaco di Nuoro e se possa assicurare la Camera che non saranno destinati a Badu e Carros, data la delicata situazione del Nuorese, detenuti sottoposti al regime del 41 bis” Bologna: Cgil; che fine hanno fatto gli agenti promessi dal Capo del Dipartimento? Comunicato stampa, 18 settembre 2010 Abbiamo appreso dagli organi di informazione della visita del Capo Dipartimento e abbiamo atteso invano per l’occasione un segnale, almeno un cenno, che rianimasse il solenne impegno preso dal medesimo con le parti sindacali oramai nel lontano novembre 2009 di potenziamento degli organici. Noi per carattere e temperamento non siamo dei guastafeste, tutt’altro, ma riteniamo doveroso abbattere il velo di ipocrisia che ha avvolto quest’ultima iniziativa oscurando i veri termini della questione. Si inaugurino pure nuove attività e il campetto di calcio, ci mancherebbe, ma si dica pure con altrettanta chiarezza come si intenda far funzionare la struttura con un personale ridotto ai minimi termini, ovvero a 25 unità compreso il Comandante di Reparto ! Noi non ci stancheremo di “martellare” l’Amministrazione sulla necessità di inviare del personale aggiuntivo in missione, come già è avvenuto altrove in situazioni di emergenza analoghe. Non ci vorremmo ritrovare a breve a dover registrare l’ennesimo “incidente”, magari più grave, esercitandosi disinvoltamente nell’individuazione del capro espiatorio di turno. Ironia della sorte, la struttura è teatro di continui transiti di minori a vario titolo, anche questo stillicidio di assegnazioni deve se non cessare almeno ridursi drasticamente. Fp/Cgil Bologna Maurizio Serra Porto Azzurro (Li): alla Casa di reclusione un anno difficile, tra rivolte e manifestazioni Il Tirreno, 18 settembre 2010 L’istituto di Porto Azzurro nella bufera. Un anno difficile, il 2010, per il carcere, per i detenuti e soprattutto per chi lavora dentro le mura di Forte San Giacomo. Troppo spesso finito in prima pagina per problematiche legate alle condizioni di vita di chi sconta qui la sua pena, all’origine di una rivolta con il sequestro di due agenti della polizia penitenziaria nell’aprile scorso. Ma anche per le difficoltà e i pericoli che il personale di sorveglianza deve correre quotidianamente a causa di una cronica carenza di organico. Tanto che i sindacati della polizia penitenziaria, nel maggio scorso, sono scesi in piazza per manifestare il proprio disagio e la propria preoccupazione. Troppo rischioso restare in 9 durante la notte a controllare l’intero istituto. Da allora qualche passo per migliorare le condizioni degli agenti è stato fatto. Ma gli standard di qualità per chi vive e lavora dietro quelle mura non sono certo a livelli ottimati. Tra rivolte e proteste, poi, anche due indagini. La prima solo marginalmente legata al carcere e relativa al coinvolgimento di agenti della penitenziaria in un traffico di droga. Ipotesi di reato a quanto pare rapidamente sgonfiata. Ora le attività della cooperativa San Giacomo: una realtà che vive dentro e fuori le mura del forte ma che incarna uno degli aspetti più qualificanti dell’attività dell’istituto: la rieducazione e il reinserimento dei detenuti. Ragusa: stato di agitazione della Polizia penitenziaria; turni di servizio troppo pesanti La Sicilia, 18 settembre 2010 Le condizioni di lavoro del reparto di polizia penitenziaria di Ragusa sono giunte veramente al limite della tolleranza. Lo sostiene, in una nota, il segretario generale provinciale della Fns-Cisl, Biagio Carrieri. “Un compito istituzionale fondamentale per la sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini, quello di garantire l’esecuzione penale di coloro che delinquono - afferma Carrieri in una nota - risulta gravemente ignorato dagli organi governativi competenti. Una gravissima carenza di organico su base regionale, oltre che nazionale, costringe gli operatori di polizia a svolgere turni di servizio pesanti, stressanti e privi della necessaria sicurezza per l’incolumità personale degli agenti e dell’intero penitenziario. Gli ultimi due anni di Governo si sono caratterizzati per le reiterate promesse di assunzione di almeno 2000 nuovi agenti e della costruzione di nuovi penitenziari, proclami sino ad oggi totalmente disattesi. Tale grave condizione lavorativa è ancor di più avvalorata dal fatto che, oggi, nemmeno il pagamento del lavoro straordinario è garantito presso la casa circondariale di Ragusa”. Reggio Emilia: uno dei due detenuti evasi a Festareggio è stato catturato in Campania Agi, 18 settembre 2010 Giuseppe Tomasone, uno dei due detenuti che erano evasi dal carcere di Reggio Emilia, è stato catturato questa mattina dalla Polizia di Stato in Campania, ad Aversa. Tomasone era stato condannato per l'omicidio di un tabaccaio ed avrebbe finito di scontare la pena nel 2017. Aveva ottenuto dal magistrato il permesso di lavorare alla festa del Pd che si stava svolgendo a Reggio Emilia, ma lunedì sera non aveva fatto rientro in carcere. "Accogliamo con piacere la notizia del suo arresto - afferma Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe - ma come sindacato dobbiamo evidenziare ancora una volta la necessità di rivedere i meccanismi di concessione dei benefici previsti dalla legge penitenziaria, nel senso di dare maggior importanza all'attività di osservazione della polizia penitenziaria, l'unica forza di polizia che opera in carcere e che è in grado di conoscere bene i detenuti. Noi siamo a contatto con i reclusi 24 ore al giorno e quindi conosciamo la loro indole e siamo in grado di indicare se effettivamente hanno compiuto quel percorso rieducativo necessario affinchè possano ottenere i benefici previsti dalla legge 354 del 1975. Una legge sicuramente all'avanguardia, ma i cui meccanismi di concessione dei benfici stessi vedono la polizia penitenziaria in un ruolo di eccessiva subordinazione rispetto alle altre figure. Speriamo che al più presto venga catturato anche l'altro evaso - conclude Durante - alle cui ricerche sta partecipando anche il Nic (Nucleo Investigativo Centrale) della polizia penitenziaria". Verona: anche i detenuti nella giuria del Premio Letterario “Emilio Salgari” 2010 Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2010 Ieri mattina la Giuria di 30 lettori detenuti presso la Casa Circondariale di Montorio, a Verona, ha festeggiato in anteprima la premiazione della terza edizione del Concorso Letterario Premio “E. Salgari”. Mino Milani, Alfredo Colitto e Pino Cacucci durante l’estate hanno incontrato “L’Altra Platea” e, presentando i loro libri, hanno dialogato con loro. È stata una inedita occasione di partecipazione delle persone detenute ad un evento normalmente destinato ad un pubblico esterno. Più spesso sono testi scritti da detenuti ad essere valutati e scelti in vari concorsi nazionali e locali. L’esperienza di essere parte di una giuria e di esprimere una preferenza a testi letterari è stata coinvolgente e sorprendente per questi lettori che per la prima volta sono stati dall’altra parte del tavolo. Come sottolineato dall’Assessore alla Cultura del Comune di Verona che ha partecipato ai due momenti organizzati nel carcere, alla sezione maschile con alcune detenute lettrici, e alla sezione isolati e protetti, questa iniziativa costituisce una inaugurazione alla partecipazione del carcere alle prossime edizioni del Premio “E. Salgari”. L’evento promosso dalla dott.ssa Forestan, neoeletta dal Comune Garante dei diritti delle persone detenute, è stato realizzato da MicroCosmo con il Consorzio Pro Loco Valpolicella. Il Dir. Antonio Fullone e il Comandante hanno accolto gli ospiti e festeggiato assieme ai componenti della Giuria, agli organizzatori e ai rappresentanti istituzionali del territorio, con un buffet a base di prodotti tipici della Valpolicella offerti dal Consorzio stesso. I detenuti sono stati informati in anteprima sull’esito del Concorso, tutti solidali nella riservatezza fino all’evento pubblico che si terrà a Negrar domani sera. Agli scrittori verrà consegnato fresco di stampa un nuovo numero di MicroCosmo, pubblicazione dal carcere di Verona, che riporta uno Speciale con la trascrizione dei dialoghi con i lettori e testimonianze dei detenuti e degli stessi scrittori. La Giuria di Montorio ha deciso di assegnare una Menzione Speciale ad uno degli scrittori che verrà letta da un detenuto in permesso premio nell’occasione della premiazione ufficiale alla Galleria Vason Caprini. Come dice Maurizio della Giuria: “Il carcere, per quanti muri e stereotipi possa costruire, finisce sempre, se vogliamo che accada, per unire anziché separare le persone. Lo sforzo condiviso stabilisce un forte legame che va oltre i giudizi e i pregiudizi. Perché il carcere sia esperienza di vita, un luogo che non genera solo dolore ma fornisca anche la cura”. Per la Redazione di MicroCosmo, Paola Tacchella Immigrazione: è nato “No Cie - Coordinamento contro i Cie, né qui né altrove” Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2010 Il neonato “No Cie - Coordinamento contro i centri identificazione ed espulsione, né qui né altrove” di Rovigo, composto dalle associazioni e dalla società civile del Polesine, sta attuando una serie di iniziative per affermare la propria contrarietà a luoghi che non tutelano i diritti delle persone e anzi diventano di sopraffazione, come quello ipotizzato per Zelo. Tra queste, il 24 settembre a Ceneselli, un incontro pubblico di informazione e dibattito con don Andrea Bellavite, don Albino Bizzotto e Livio Ferrari. Appello del coordinamento “No Cie” Il ministero dell’Interno ha recentemente annunciato l’intenzione di costruire nell’ex base militare di Zelo il primo Centro di identificazione ed espulsione per immigrati irregolari del Veneto. Sono numerose le posizioni contrarie espresse in seguito alla notizia, ma la maggioranza esprime la visione del Cie come problema locale. Come coordinamento di associazioni, movimenti e rappresentanti della società civile, vogliamo invece esprimere e valorizzare un punto di vista diverso: quello della persona rinchiusa, sofferente e privata dei diritti fondamentali, non per avere commesso reati aberranti, ma per il solo fatto di essere nella condizione di “straniero senza documenti”. Persone arrivate in Italia spesso per fuggire dalla miseria o dalla persecuzione delle dittature, vengono rinchiuse come criminali e quindi rimandate a forza in paesi in cui rischiano carcere, torture o morte. Si susseguono i casi drammaticamente esemplari di immigrate irregolari vittime di violenze ed espulse dall’Italia dopo avere denunciato il proprio aguzzino. Numerose associazioni umanitarie, infine, hanno rilevato abusi e violenze anche all’interno di queste strutture. Crediamo che l’eventuale insediamento del Cie a Zelo non sia un’emergenza esclusivamente locale, ma riguardi tutti coloro che ritengono ingiusti e immorali questi centri di detenzione per persone semplicemente sprovviste di un pezzo di carta. E’ vitale rafforzare un messaggio chiaro: no al Cie, né in Polesine, nè in Veneto, né altrove. Sì invece a politiche sull’immigrazione che abbiano come punti fermi il rispetto della dignità umana, l’inclusione e la promozione dell’individuo. Il 24 settembre la rivista “Carta” promuove il Clandestino Day, una giornata dedicata all’immigrazione con centinaia di iniziative in tutta Italia. Il tema di quest’anno è la scuola, luogo di possibile, ma oggi più che mai difficile, inclusione e integrazione tra popoli. Il coordinamento aderisce alla giornata, conscio tuttavia che in Polesine oggi l’urgenza è un’altra: ribadire il fermo “no” non solo a questo Cie, ma a tutti i Cie, strutture indegne di esistere in una società civile. Francia: morte in carcere di Daniele Franceschi, spunta un testimone Il Tirreno, 18 settembre 2010 È uscito di carcere pochi giorni fa. E, appena riacquistata la libertà, ha subito raccontato alla Procura della Repubblica di Grasse ciò che ha visto nel penitenziario il giorno in cui è morto Daniele Franceschi, l’operaio viareggino di trentasei anni deceduto nella prigione francese in circostanze ancora tutte da chiarire. Ad annunciarlo è Marco Antignano, zio di Daniele, che sarebbe stato informato della notizia dall’avvocato François Gonzales, il legale francese che sta curando gli interessi della famiglia. Secondo quanto riferito dallo zio, il testimone - un ex vigile del fuoco francese che si trovava nella stessa sezione del penitenziario in cui si trovava Daniele - avrebbe parlato con i magistrati transalpini del mancato utilizzo del defibrillatore che si trovava all’interno del carcere perché nessuno sapeva correttamente usarlo. Specificando che quel giorno si era offerto per usarlo in modo da salvare la vita all’operaio viareggino, ma che sarebbe stato ripreso dal personale del carcere e invitato a non occuparsi di affari che non lo riguardavano. Una ricostruzione, questa fornita dall’ex vigile del fuoco, che getterebbe nuove inquietanti ombre su quanto accaduto dentro il carcere di Grasse. Intanto, dall’Italia, i familiari di Daniele Franceschi - assistiti dagli avvocati Aldo Lasagna e Maria Grazia Menozzi - stanno muovendosi con la magistratura italiana per le procedure di rimpatrio della salma (ancora custodita all’obitorio di Nizza). Oggi è previsto un contatto con il procuratore Cicala, mentre lunedì o martedì la madre di Daniele, Cira Antignano, dovrebbe tornare in Costa Azzurra sia per farsi consegnare la cartella clinica del figlio che per incontrare il console italiano a Nizza, Agostino Alciator Chiesa, che tanto si è prodigato per aiutare la famiglia nei giorni immediatamente successivi alla morte dell’operaio viareggino. Infine, dalla Farnesina arriva la conferma che per il rimpatrio della salma di Daniele sarà utilizzato un Falcon dell’Aeronautica militare che trasporterà la bara fino a Pisa. Una volta in Italia, il corpo dovrebbe essere sottoposto ad una nuova autopsia alla quale prenderà parte anche il dottor Lorenzo Varetto, medico legale di fiducia della famiglia che non ha potuto assistere alla prima autopsia eseguita a Nizza. La famiglia: vogliamo la verità “Siamo sempre più convinti che sulla morte di Daniele le autorità francesi non abbiano detto tutto. Sicuramente ci sono state molte contraddizioni”. Così Mario Antignano, zio di Daniele Franceschi, morto nel carcere di Grasse il 26 agosto scorso, rivela al settimanale “Gente”, in edicola da lunedì prossimo, quali saranno le mosse della famiglia per cercare di fare piena luce sul decesso del ragazzo. Le autorità francesi hanno sempre sostenuto che Franceschi, detenuto per falsificazione e uso improprio di carte di credito, e’ da ricondurre a cause naturali. La famiglia di Daniele, per accertare la verità, ha deciso di affidarsi a Lorenzo Varetto, noto anatomopatologo, perché effettui lui l’autopsia sul cadavere del ragazzo appena la salma sarà restituita ai familiari dalle autorità francesi. Varetto in passato si è occupato anche dei casi Cogne e Garlasco. “La nostra non e’ un’impressione nata dal dolore e dal fatto di non voler accettare la morte di Daniele - spiega Antignano - più passano i giorni e più siamo convinti che sia accaduto qualcosa. Perché - si chiede lo zio del giovane - le autorità francesi non hanno voluto che i nostri periti fossero presenti all’autopsia di Daniele? E perché sono state date diverse versioni sul ritrovamento del corpo di mio nipote?”. Stati Uniti: test del Dna scagiona due detenuti dopo 30 anni di carcere Ansa, 18 settembre 2010 Hanno fatto 30 anni di carcere nelle galere del Mississipi per lo stupro e l’omicidio di una donna che non avevano mai commesso: ora, il test del Dna ha scagionato i due uomini, in prigione dal 1979, ed un giudice della Forrest county li ha rimessi in libertà. Per Bobby Ray Dixon e Phillip Bivens (59 anni) la vita ricomincia ora, dopo la condanna 30 anni orsono per l’assassinio e la violenza su Eva Gail Patterson: un crimine orrendo a cui aveva assistito il figlio della vittima, un bimbo di 4 anni. Anche un terzo uomo, Larry Ruffin - condannato anch’esso nel 1979 per il crimine - è stato scagionato dalle analisi del Dna condotte sullo sperma raccolto a suo tempo sul cadavere. Ma Ruffin era già morto in prigione nel 2002. Il piccolo testimone dell’omicidio aveva sempre sostenuto che l’assassino della madre era un solo uomo, ma nessuno gli aveva creduto. Ed i tre arrestati - Bivens, Ruffin, Dixon - avevano confessato il crimine. Oggi, i due ex carcerati ammettono: “volevamo evitare la camera a gas”. L’associazione americana Innocence Project, che ha riesumato il caso in rappresentanza dei due detenuti, fa presente che le false confessioni per evitare la pena di morte sono tutt’altro che rare: ben 63 presunti rei confessi sono stati scagionati dal Dna negli ultimi anni. Il test nel caso in questione ha collegato lo sperma rinvenuto sulla donna ad Andrew Harris: un uomo già condannato all’ergastolo per uno stupro avvenuto nel 1981. Paraguay: scandalo pedopornografico in carcere, sospeso il direttore Apcom, 18 settembre 2010 Il direttore della maggiore prigione del Paraguay è stato sospeso dalle due funzioni in relazione a uno scandalo pedo-pornografico. Alcune immagini a sfondo sessuale, girate all’interno dei locali della prigione, sono state ritrovate su un computer del carcere. Protagoniste dei video, delle ragazzine minorenni, contattate dai detenuti via chat, e poi obbligate sotto ricatto a visitarli. Il direttore della prigione, Julio Acevedo, ha respinto le accuse e sostenuto di non essere al corrente dei video, precisa la Bbc online. Ma secondo il procuratore, Teresa Martinez, le misure di vigilanza delle attività dei carcerati all’interno della prigione di Tacumbu, sono chiaramente carenti se non addirittura assenti. La settimana scorsa il ministro della giustizia aveva annunciato l’intenzione di chiudere il carcere e trasferire i detenuti in strutture lontane dalla capitale.