Giustizia: nelle carceri italiane sono rinchiusi 10mila detenuti musulmani di Fausto Biloslavo Panorama, 17 settembre 2010 Insultano per provocare lo scontro, dandoci dei fascisti, dei razzisti, dei servi degli americani. E quando sono morti sei soldati italiani in un attentato a Kabul, nel settembre scorso, si sono messi a esultare urlando “Allah u akbar” (Dio è grande)”. Scuote la testa Giampiero Longu, comandante della polizia penitenziaria nel carcere di Macomer, in mezzo alla Sardegna. Si riferisce ai detenuti della Sezione di alta sicurezza 2, dove sono isolati 17 islamici duri e puri coinvolti nel terrorismo internazionale Fra questi c’è Adel Ben Mabrouk, uno dei tre tunisini ex prigionieri di Guantanamo che la Casa Bianca ha spedito in Italia. Nelle carceri italiane sono 9.742 gli “ospiti” che si dichiarano musulmani, su circa 24 mila stranieri. In gran parte si tratta di delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre, ma il pericolo del radicalismo è sempre in agguato. Per questo motivo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha deciso di concentrare l’ottantina di detenuti islamici con reati di terrorismo in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Per la prima volta Panorama entra nell’istituto sardo dove corre la prima linea dell’Islam dietro le sbarre. L’ultima aggressione a una guardia è del 14 agosto. La sezione è un corridoio di piccole celle con le porte blindate Un agente apre uno spioncino e un detenuto legato adAl Qaeda guarda in cagnesco. Nel mese del Ramadan, il digiuno islamico terminato il 10 settembre gli accusati di terrorismo hanno pregato nella zona d’aria: un rettangolo di cemento armato. “Questa sezione è un carcere dentro il carcere. L’isolamento fa solo aumentare l’odio” sostiene Jamal Housni, un marocchino classe 1983, condannato a 7 anni perché faceva parte di una cellula che reclutava volontari per la guerra santa nel nord dell’Iraq. Sbarbato, occhialini da intellettuale si dice innocente: “Dopo l’11 settembre gli islamici sono sotto tiro ovunque Non sono un tenorista, come i fratelli in galera con me”. Jamal dovrebbe essere già libero perché ha finito di scontare la pena, ma una volta fuori verrebbe espulso in Marocco, dove teme maltrattamenti e torture “Voglio solo tornare a una vita normale” sostiene Housni “e finire il liceo scientifico”. Oltre all’ex di Guantanamo è ospite a Macomer il convertito francese Raphael Gendron, arrestato a Bari l’11 novembre 2008 assieme all’imam Bassam Ayachi. Gendron ha assunto il nome islamico Ab-del Raouf. Barba e capelli neri lunghi, sembra un Cristo musulmano che guida la preghiera nel torrido agosto sardo. Quando la pattuglia di integralisti arrivò, nel maggio 2009, la tensione rimase alta per un bel po’. I detenuti per terrorismo facevano pubblicare lettere di protesta su siti antagonisti in cui parlavano di Macomer come di una Guantanamo sarda. Lo stesso Housni ammette “di essere in contatto per posta con i fratelli nelle altre carceri e con le associazioni islamiche che si occupano dei detenuti musulmani in Francia e Gran Bretagna”. Ora la situazione è migliorata, si è instaurato un dialogo, ma ogni tanto scoppia una scintilla come il giorno prima di Ferragosto. Il 15 doveva venire una parlamentare del Pd in visita, poi rimandata. Uno dei detenuti avrebbe dato un pugno a un agente e la reazione della polizia penitenziaria ha scatenato la protesta. Fra giornali bruciati, “Allah è grande” e “battitura” delle sbarre la sezione è diventata incandescente Solo l’intervento negoziale del comandante Longu ha evitato il peggio, ma chi sgarra viene trasferito e sottoposto a un regime ancora più duro. “Cerchiamo di concedere il possibile come la saletta di svago trasformata in luogo di preghiera. Stiamo acquistando attrezzi da palestra, che ci hanno richiesto i detenuti per tenersi in forma. La tattica è di gettare acqua sul fuoco, ma nessuno di questi signori è dentro per reati di opinione” spiega Giovanni Monteverdi, direttore di Macomer. Nelle carceri ha vissuto fin dagli anni di piombo: “Il loro radicalismo mi ricorda, per certi aspetti, le Brigate rosse”. I detenuti per terrorismo non permettono agli agenti di toccare il Corano, che ognuno possiede Si sospetta che il libro sacro dell’Islam possa essere usato per nascondere pizzini. Una volta hanno inutilmente protestato per la croce al collo di un agente “Alcuni non si fanno visitare dalle donne e volevano che le infermiere indossassero il velo” racconta Massimo D’Agostino, responsabile medico. Secondo l’arabista Sergio Bianchi, si tratta “di una polveriera. Ci vogliono corsi di formazione sull’Islam per la polizia penitenziaria, imam nelle carceri, come i cappellani cristiani, e mediatori culturali preparati”. Fondatore dell’ong Agenfor, ha scritto La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee, un rapporto di 364 pagine per la Commissione europea. La stragrande maggioranza di islamici nelle carceri, compresa Macomer, è composta da detenuti comuni: più numerosi sono i marocchini (5.249), seguiti da tunisini (3.167) e algerini (951), anche se non tutti si sono espressamente dichiarati musulmani. Nel penale di Padova sono oltre 150 quelli che seguono rigorosamente il Ramadan. L’amministrazione fornisce carne “halal”, secondo le regole islamiche Non solo, in occasione del mese di digiuno un’aula scolastica è stata trasformata in temporanea moschea. “La fede è una speranza, un appiglio a cui ci aggrappiamo. Invochiamo Allah per trovare la serenità e superare la dura prova del carcere” afferma Enhaji Abderrahman, un marocchino di 34 anni. In galera per omicidio, è un imam fai da te perché conosce meglio degli altri il Corano. “La jihad in carcere è una battaglia dentro te stesso per migliorare e non cadere in tentazione” osserva Abderrahman, nella sua tunica color crema, dopo la preghiera con i compagni di cella. Sulla guerra in Iraq, Afghanistan e Palestina concordano “che è un diritto dei musulmani difendersi dagli occupanti”. Però Ibrahim Higal, un egiziano, condanna con fermezza i kamikaze: “Il Corano proibisce il suicidio. Piuttosto che ammazzare civili vadano a combattere a viso aperto con il kalashnikov in pugno”. Altri sostengono che “a Guantanamo ci sono anche innocenti”. Cinzia Sattin, educatrice con gli occhi azzurri, ascolta le storie più terribili. A.W., 25 anni, iracheno, dentro per reati legati alla droga, è arrivato da poco. “Mi ha raccontato della sua casa distrutta da un terrorista suicida. Sotto le macerie ha perso tutta la famiglia” informa Sattin. “Appena chiudeva gli occhi mi diceva che si vedeva anche lui imbottito di tritolo e avrebbe voluto farsi saltare in aria”. La casa circondariale di Rimini è un porto di mare con 1.900 entrate e uscite l’anno. Per oltre metà i detenuti sono stranieri, 68 sono islamici osservanti. “Stiamo molto attenti a rispettare tutto l’anno il vitto islamico e alla fine del Ramadan, il 10 settembre, c’è stata una festa con dolci e datteri” sottolinea Maria Benassi, direttrice con 28 anni di servizio. “Gli facciamo una “terapia femminile”“ scherza, ma non troppo. “Le infermiere sono tutte donne, come le insegnanti per i corsi scolastici”. Qui Jalal Trabeisi, tunisino, dice di “cercare rifugio nella preghiera”. E vive in cella con Besmir Metuelaj, un albanese che ha il fratello imam ma non si genuflette verso la Mecca. Non sono mancati i fiori d’arancio, nella speranza di ottenere gli arresti domiciliari. Un tunisino ha sposato in carcere una ragazza di Ravenna. Al rito (civile) la direttrice ha fatto da testimone dello sposo. Giustizia: Vendola; non esiste più un circuito penitenziario, esistono solo volgari galere Ansa, 17 settembre 2010 Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola è intervenuto ieri, con gli assessori Alba Sasso (Formazione) e Elena Gentile (Welfare) al convegno “Dal recupero sociale all’imprenditorialità giovanile”, organizzato dal Dipartimento giustizia minorile - centro giustizia minorile per la Puglia. “In ogni parte delle politiche pubbliche - ha detto - la cultura dell’infanzia continua a regredire. E adesso siamo in una polveriera, perché si è affidato al codice penale il compito di orientarsi nell’ingorgo della complessità, di inseguire la realtà. E mentre i reati dei colletti bianchi sono stati depenalizzati, quelli “normali” sono sovra penalizzati. E non esiste più un circuito penitenziario, ma esistono solo volgari galere. Le carceri sono volgari discariche sociali e deposito di tutti i fantasmi, mentre difficilmente un malato di cancro in carcere incontra un magistrato di sorveglianza che lo liberi. E in Italia c’è il pieno dei garantisti quando ci si occupa dei garantiti. Mentre per i deboli, per i bambini, i poveri non c’è garanzia”. “Eppure - ha proseguito - i ragazzini, i bambini che sono ristretti in carcere, negli istituti, spesso solo allora incontrano lo Stato che si occupa di loro. È una gigantesca contraddizione”. “Ma - ha concluso - tra mille virgolette, dimmi come stanno i tuoi bambini devianti e ti dirò che tipo di società sei. Gli operatori che lavorano con i minori a rischio sono un baluardo, unici a dare coraggio e trovare talenti tra chi non ha mai avuto coraggio e non è mai stato cercato per il suo talento. Spesso gli operatori sono derisi e vilipesi dalle politiche pubbliche, ma dobbiamo continuare a riaffermare principi e buone pratiche, perché ogni ragazzino salvato è un vero e proprio capitale sociale salvato”. Giustizia: Osapp; dopo annuncio sull’assunzione di 2mila agenti ci fondi solo per 250 Adnkronos, 17 settembre 2010 L’assunzione di duemila poliziotti penitenziari annunciata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano è “a rischio”. Lo dice l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), secondo cui i proventi del contributo unificato istituito con la Legge finanziaria 2010 che devono essere utilizzati per l’operazione sono meno del previsto: “non 80 milioni di euro ma solo 8 milioni, utili ad assumere non duemila ma, al massimo, 250 unità”. Il sindacato ipotizza anche un possibile fallimento del nuovo piano carceri, visto che si parla di strutture bloccate da anni per difficoltà legate a terremoti e esondazioni, quali quella di Pordenone in Friuli per 450 posti, oppure di penitenziari da costruire in luoghi ameni ma lontani dalle strade di grande comunicazione. “Non possiamo che augurarci - conclude il segretario, Leo Beneduci - che i fatti smentiscano le nostre previsioni”. Giustizia: tenta il suicidio l’imprenditore Arcangelo Martino, in carcere per inchiesta P3 di Dario Del Porto La Repubblica, 17 settembre 2010 Oggi l’imprenditore interrogato per l’inchiesta Cosentino. I magistrati di Napoli gli contestano pure l’associazione camorristica. Ha tentato il suicidio alla fine di agosto, annodandosi un lenzuolo al collo nella cella del carcere napoletano di Poggioreale dove è rinchiuso da luglio. L’imprenditore Arcangelo Martino, uno dei protagonisti dell’inchiesta sul caso P3, è stato salvato dall’intervento immediato di un agente di polizia penitenziaria che ha soccorso l’indagato prima che il gesto potesse rivelarsi fatale. Un momento di sconforto dettato, più che dalla tensione determinata complessa situazione giudiziaria di Martino, soprattutto dalla preoccupazione per la malattia della moglie aggravatasi fino alla scomparsa di una decina di giorni or sono. A metà agosto la donna aveva inviato un telegramma in carcere al marito per informarlo del suo stato salute e chiedendo di vederlo. Da quel momento il gip di Roma, preso atto della situazione apparsa subito molto difficile, ha più volte autorizzato Martino a vedere la consorte. Al ritorno da uno di questi incontri, i nervi dell’imprenditore hanno ceduto per un attimo e l’uomo ha provato a farla finita. Tentativo per fortuna subito sventato dal personale del carcere presente in quel momento nel reparto. Qualche giorno prima, il 19 agosto, Martino era stato interrogato dal pm Rodolfo Sabelli e dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, riempiendo il verbale dove, per la prima volta dall’inizio della clamorosa inchiesta, vengono forniti una serie di chiarimenti rispetto al contenuto delle intercettazioni ritenuti significativi dall’accusa. Dopo questo faccia a faccia i legali di Martino, gli avvocati Simone Ciotti e Giuseppe De Angelis, avevano chiesto la scarcerazione del loro assistito. Il giudice di Roma invece ha rigettato l’istanza e confermato la custodia in carcere nonostante il parere favorevole della Procura alla concessione degli arresti domiciliari. Contro il provvedimento la difesa ha presentato ricorso al Riesame, l’udienza è fissata per il 30 settembre. Questa mattina invece Martino, che negli anni ‘90 era stato assessore socialista al Comune di Napoli, sarà interrogato dai magistrati napoletani Giuseppe Narducci e Alessandro Milita, titolari dell’indagine per concorso esterno in associazione camorristica avviata nei confronti dell’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino. Le intercettazioni sul caso P3 avevano fatto emergere una serie di tentativi posti in essere dal gruppo per influire sull’iter del ricorso in Cassazione presentato da Cosentino contro l’ordinanza cautelare (che poi la Suprema Corte confermerà) emessa nei suoi confronti dalla magistratura napoletana e rigettata dal Parlamento. Da qui la decisione dei pm Narducci Milita, che mercoledì hanno incontrato a Roma i colleghi di Piazzale Clodio, di estendere anche a Martino la contestazione di concorso in associazione camorristica ipotizzata nei confronti di Cosentino. Reato, quest’ultimo, indicato nell’avviso inviato dalla Procura di Napoli all’indagato. Nei prossimi giorni sarà interrogato nell’ambito dell’indagine napoletana anche un altro protagonista del caso P3, il geometra e giudice tributario Pasquale Lombardi, che come Martino viene ritenuto in grado di fornire chiarimenti sulle pressioni dirette a incidere sul cammino del ricorso in Cassazione. Ma c’è anche un altro aspetto che i magistrati napoletani potrebbero essere intenzionati ad approfondire con Lombardi: il ruolo ricoperto nel consiglio di amministrazione del consorzio sulla gestione dei rifiuti Ce4, lo stesso finito sotto la lente della Procura nelle indagini sulle infiltrazioni della camorra nel settore dello smaltimento della spazzatura e anche nelle pagine dell’ordinanza sui presunti rapporti fra Cosentino e il clan camorristico dei Casalesi. Al momento la Procura di Napoli non sembra invece orientata a interrogare Flavio Carboni. Compagna (Pdl): su Martino mosse pm corrette? Alfano verifichi “Come riportano oggi alcuni giornali Arcangelo Martino, in carcere dall’8 luglio in quanto facente parte della presunta P3, avrebbe tentato il suicidio nello scorso agosto. Un gesto drammatico sventato dal pronto intervento della Polizia Penitenziaria. Se queste notizie fossero confermate getterebbero un’ombra ancora più lunga e preoccupante sulla gestione dell’intera vicenda legata alla cosiddetta loggia P3 ed in particolare sull’utilizzo del sistema della carcerazione preventiva”. Lo dichiara il senatore del Pdl Luigi Compagna. “Io stesso - continua Compagna - ho denunciato l’uso disinvolto e soprattutto spregiudicato della custodia cautelare da parte del dottor Capaldo, il titolare dell’inchiesta P3, al punto da configurare un comportamento scorretto, incostituzionale. Ed i fatti stanno confermando i miei timori. Perciò ho presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano, insiemi ai colleghi senatori Paolo Amato, Anna Cinzia Bonfrisco, Francesco Casoli, Riccardo Conti e Elio Massimo Palmizio, affinché valuti se esistano elementi sufficienti per attivare le procedure per l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti della Procura di Roma”. Per il senatore Pdl “è evidente, infatti, che la custodia cautelare di Martino non sarebbe stata affatto dettata dalle esigenze prescritte dall’articolo 274 del codice di procedura penale (per specifiche modalità e circostanze del fatto o per la personalità dell’indagato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il pericolo concreto che questi commetta gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede), ma piuttosto finalizzata per ottenere dall’indagato determinate dichiarazioni. Inoltre si spiegherebbe così il parere favorevole alla concessione dei domiciliari espresso dalla Procura a seguito dell’interrogatorio sollecitato da Martino dopo quaranta giorni di carcere preventivo e consistente, secondo la stampa, in una vera e propria confessione su chi fosse il Cesare ricorrente nelle intercettazioni. Perciò per queste ragioni - conclude Compagna - ritengo che sia opportuno un intervento del ministro Alfano al fine di verificare la legittimità e la legalità delle iniziative assunte dalla Procura di Roma”. Lettere: i detenuti di Poggioreale; qui viviamo tra affollamento, violenze e diritti negati www.radiocarcere.com, 17 settembre 2010 Cara Radiocarcere, indirizziamo a te una lettera che abbiamo scritto al direttore del carcere di Poggioreale sperando che almeno la senta attraverso Radiocarcere su Radio Radicale, perché noi, nonostante le condizioni critiche in cui viviamo, non riusciamo a parlarci. “Vogliamo informare il direttore di Poggioreale che il 31 luglio, intorno alle 22, un nostro compagno di cella veniva picchiato dagli agenti di turno solo perché chiedeva un medico in quanto aveva mal di denti. E questo è solo uno dei tanti episodi di violenza che avvengono quasi ogni giorno nel carcere di Poggioreale. Vogliamo informare il direttore di Poggioreale che siamo costretti a vivere in 10, 12 e anche di più all’interno di celle sporche e fatiscenti, celle dove rimaniamo chiusi per 22 ore al giorno senza avere la possibilità di fare o imparare un lavoro. Inoltre vogliamo informare il direttore di Poggioreale che sia i colloqui che l’ora d’aria, invece di durare un ora li fanno durare 50 minuti, il che non ci sembra giusto. Per non parlare del sistema sanitario che è del tutto carente ragion per cui qui chi sta male muore e basta! Facciamo presente al direttore di Poggioreale che più volte abbiamo chiesto di poterci parlare ma è stato inutile”. Ringraziamo Radiocarcere per la disponibilità Un gruppo di detenuti nel padiglione Napoli del carcere Poggioreale Lazio: il Garante; nelle carceri di Velletri e Rieti sezioni inutilizzate per mancanza di agenti Dire, 17 settembre 2010 “In una regione come il Lazio, quarta in Italia per numero di detenuti e con un sovraffollamento penitenziario che sfiora il 40%, due strutture carcerarie all’avanguardia che potrebbero ospitare oltre 300 detenuti, realizzate a Rieti e Velletri, restano inesorabilmente chiuse o sottoutilizzate per la mancanza degli agenti di polizia penitenziaria necessari a farle funzionare”. La denuncia arriva dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che, sull’argomento, ha chiesto un incontro urgente al Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Angelo Zaccagnino. Nel carcere di Velletri - entrato in servizio nel 1992, che attualmente ospita 365 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 208 - è stato da tempo ultimato, su un’area di 12 ettari, un nuovo padiglione con 16 celle di 19 metri quadri (ognuna delle quali dotate di bagno e doccia) ed una per portatori di handicap, per piano, per un totale di circa 200 nuovi posti. Il padiglione (costato 8,6 milioni di euro) è in grado di raddoppiare la capienza dell’istituto ed alleviare il sovraffollamento della struttura. Tuttavia, come certificato dai collaborati del Garante, nessuno parla di aprire il nuovo padiglione di Contrada Lazzaria. “All’inizio - continua Marroni - il problema era legato all’allaccio della struttura al depuratore, poi risolto. Oggi, invece, il nodo è la mancanza degli agenti di polizia penitenziaria necessari a far funzionare il padiglione visto che, come detto dalle organizzazioni sindacali di categoria, a Velletri vi sarebbero gravi carenze di organico quantificabili in alcune decine di unità in meno”. Ancor più paradossale il caso di Rieti, dove per mancanza di agenti di polizia penitenziaria, il nuovo carcere da 306 posti è attualmente utilizzato a meno di 1/3 delle sue possibilità, con 113 reclusi ospitati nelle sole due sezioni aperte da 78 posti disponibili e dunque sovraffollate. La Casa circondariale di Rieti, che si estende su 60.000 metri quadrati, ha le carte in regola per essere un istituto all’avanguardia visti gli spazi destinati ad accogliere detenuti comuni e di alta sicurezza, e attività formative e trattamentali. Oggi sono in funzione due sezioni nel solo dei due padiglioni detentivi aperti. I reclusi sono così stipati in celle singole o doppie, comprese le sei di isolamento. Nel padiglione ancora chiuso ci sono invece tre reparti, ognuno dei quali con tre sezioni. “I casi di Velletri e a Rieti sono l’emblema della lontananza della politica dalla realtà- conclude Marroni- L’emergenza carceri in Italia si potrebbe affrontare cominciando col rendere pienamente operative le strutture esistenti e inutilizzate, usando i fondi altrimenti destinati alla costruzione di nuove carceri per reintegrare il personale che manca. Abbiamo perso due anni a discutere dei piani straordinari di edilizia carceraria e di project financing quando, invece, basterebbe molto meno per migliorare il sovraffollamento e la qualità della vita in carcere”. Marche: interrogazione dei Consiglieri Bucciarelli e Binci sulle condizioni delle carceri Ansa, 17 settembre 2010 I consiglieri regionali della Federazione della Sinistra Raffaele Bucciarelli e di Sel Massimo Binci hanno presentato un’interrogazione sul sovraffollamento e il trattamento dei detenuti nelle carceri marchigiane. Dopo una visita dell’ombudsman regionale alla Casa circondariale di Fermo, con la partecipazione di deputati, assessori e consiglieri regionali, Rosalba Ortenzi (Pd) ha presentato una mozione su quella struttura, che - segnalano Bucciarelli e Binci - non è stata ancora discussa dall’Assemblea legislativa delle Marche. Per altro nelle Marche le presenze negli istituti di pena, al 28 giugno 2010, erano 1.082 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 762 unità. E sostanzialmente in tutte le strutture penitenziarie del territorio regionale si verificano le medesime condizioni, che ostacolano le attività di formazione e quelle di istruzione, causando difficoltà anche agli agenti di polizia penitenziaria. Bucciarelli e Binci chiedono al presidente della giunta regionale quali azioni abbia intenzione di portare avanti per agevolare gli interventi formativi e lavorativi per i detenuti; per informare la collettività sulla vita che si svolge dietro ai cancelli dei penitenziari, svolgendo così una funzione educativa ed informatrice e a che punto sia l’iter per trasferire la sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale, iniziato nel 2009. Lecce: una “class action” per i detenuti, l’iniziativa è di Nessuno tocchi Caino Asca, 17 settembre 2010 Il Carcere di Lecce figura al primo posto nella triste classifica nazionale del “sovraffollamento carcerario”. I detenuti presenti sono circa 1.500, quasi 900 in più della “capienza regolamentare” e oltre 400 rispetto anche a quella considerata “tollerabile”. Nei locali destinati al pernottamento, di neanche 12 metri quadrati, originariamente previsti per ospitare un solo detenuto, ne sono allocati 3 su letti a castello a tre piani dove il materasso più in alto è a 50 centimetri dal soffitto. Pertanto, tenuto conto dello spazio occupato da servizi igienici, letto e suppellettili, ogni detenuto dispone di una superficie media di appena 1,75 metri quadrati di spazio calpestabile, il che gli consente di muoversi per la cella solo quando gli altri due sono stesi sul letto. Nel corso della conferenza stampa, promossa da Nessuno tocchi Caino, dall’Associazione radicale Diritto e Libertà e dall’Associazione Famiglie Fratelli Ristretti, verranno presentate le azioni legali per il ripristino della legalità nel carcere leccese di Borgo San Nicola e nelle altre carceri pugliesi. In particolare verranno illustrate due “azioni collettive”: quella dell’avvocato Alessandro Stomeo, che ha presentato 20 ricorsi per conto di altrettanti detenuti (italiani e stranieri) contro l’amministrazione penitenziaria per trattamento disumano e degradante per il quale si richiede un risarcimento del danno morale e fisico subito; e quella dei Radicali rivolta al Magistrato di Sorveglianza perché provveda a che l’amministrazione penitenziaria adotti le misure necessarie e urgenti dirette ad eliminare le violazioni dei diritti dei detenuti nel carcere leccese. “Class action” dei detenuti per il ripristino della legalità nel carcere di Lecce (e non solo). Venerdì, 17 settembre. ore 11 - Hotel President - Via Antonio Salandra, 6 - Lecce. Partecipano: Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino; Alessandro Stomeo, Avvocato; Giuseppe Napoli, Presidente di Diritto e Libertà; Franco Nardelli, Segretario di Famiglie Fratelli Ristretti; Davide De Giuseppe, Avvocato. Roma: Celli (Lista civica) in visita a Rebibbia; c'è una situazione molto difficile Dire, 17 setembre 2010 "Ho visitato il carcere di Rebibbia accompagnato dalle associazioni dei volontari ed ho potuto constatare che la situazione per i detenuti non e' delle migliori. Oltre alla questione cronica del sovraffollamento, infatti, tra i detenuti scarseggiano anche di beni di consumo elementari come sapone o dentifricio. I volontari cercano di alleviare la situazione, che comunque resta problematica". Lo dice in una nota il capogruppo regionale della Lista Civica Cittadini/e, Giuseppe Celli. "Tra i detenuti, chi non ha familiari non puo', ad esempio, ricevere vestiti, e quando esce dal carcere non ha praticamente niente- spiega Celli- Per questo si puo' pensare di rilanciare il modello dello zainetto, sperimentato alcuni anni fa, un kit contenente strumenti per affrontare i primi giorni fuori dal carcere: buoni pasto, biglietti dell'autobus numeri telefonici utili per l'assistenza e l'accoglienza". "A Rebibbia, poi, ci hanno detto che solo un quarto dei detenuti lavorerebbe regolarmente - continua Celli. Il lavoro e' una questione nodale sia per chi e' in carcere, come mezzo di reinserimento sociale; sia per chi finisce la pena, per il superamento definitivo dei modelli comportamentali delinquenziali. La sicurezza negli istituti e' legata agli stimoli positivi che si riescono a proporre dentro e, poi, fuori dalle mura carcerarie". "Il sovraffollamento delle carceri e' un problema reale, ma quello che emerge dalla visita e' l'assoluta necessita' di attuare interventi finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti nonche' di politiche per facilitarne la rieducazione ed il reinserimento sociale, anche attraverso percorsi alternativi al carcere e con il coinvolgimento delle associazioni dei volontari- conclude Celli- Iniziative che, in qualita' di consigliere regionale, intendo portare avanti nell'ambito delle problematiche che investono la popolazione carceraria". Catania, Osapp; nel carcere Bicocca lavori di ristrutturazione finanziati ma non partono Il Velino, 17 settembre 2010 Alla Casa circondariale di Catania Bicocca i lavori di ristrutturazione delle celle stentano a partire. Lo dice Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp: “Sono stati stanziati 174 mila euro da Roma per i lavori di adeguamento al regolamento penitenziario delle celle di Catania Bicocca per le docce nelle 54 celle del blocco sinistro - continua Nicotra: questo consentirebbe di rilassare l’attuale situazione di stress che dentro le carceri esiste per il sovraffollamento. L’istituto era stato sfollato per effettuare i lavori e invece ogni giorno si sta affollando nuovamente. Il rischio è che a fine anno i soldi ritornino indietro. Bicocca avrebbe così perso ancora una volta una occasione”. Siracusa: Ugl; nelle carceri organico ridotto all’osso, il sindacato degli agenti non ci sta Blog Sicilia, 17 settembre 2010 Condizioni di vita intollerabili e degradanti, alla pari dei tanto discussi servizi igienico sanitari; sovraffollamento con numeri da brivido (1.472 detenuti in tutta la provincia, nel mese di Agosto, a fronte di una capienza regolamentare di 748 posti); organico di polizia penitenziaria ridotto ai minimi, con una differenza di oltre il 30% in meno tra gli agenti necessari e quelli effettivamente impiegati. Le conseguenze di questa triste realtà, su cui incombono nuove proteste, si traducono in condizioni di vita esasperate, sia per i detenuti che per gli agenti di polizia. Il sindacato di Polizia Penitenziaria Ugl ha infatti diffuso la notizia del mancato pagamento dell’indennizzo relativo agli straordinari che gli agenti di polizia del carcere di Augusta, avrebbero effettuato nel mese di Luglio. “Chiediamo urgenti provvedimenti e spiegazioni - ha detto il vice Segretario nazionale dell’Ugl P.P., Sebastiano Bongiovanni - non possiamo accettare che nel silenzio della politica e delle istituzioni, alla Casa di reclusione di Augusta ci sia una carenza di organico di 130 unità e si continui a mandare personale distaccato, presso altre sedi meno svantaggiate, costringendo il personale ad effettuare straordinario, che poi addirittura non si paga”. Tanti i parlamentari regionali che anche grazie a “Ferragosto in carcere”, sono intervenuti sulla triste attualità delle case di reclusione provinciali e regionali; tante le proteste fatte pervenire al ministro della Giustizia Angelino Alfano; ma ancora nulla di fatto. Nell’attesa una soluzione la individua la segreteria regionale del sindacato chiedendo al direttore del carcere di Augusta, la sostituzione del Responsabile Ufficio Servizi, alla luce della precaria situazione relativa alla gestione delle risorse umane, pur le carenze d’organico, “Riteniamo - scrive Salvatore Gagliani - che sia giunto il momento di cambiare qualcosa, nello specifico il Responsabile dell’Ufficio Servizi. Manca il dialogo costruttivo da parte di chi è deputato a coordinare l’ufficio e gran parte del personale”. Intanto dopo un’estenuante trattativa, è stato concordato ieri nel pomeriggio, dalle organizzazioni sindacali, rappresentanza dei carabinieri e co.ce.r. Finanza e Marina, con esclusione dei co.ce.r. forze armate, l’aumento mensile del contratto, compreso tra circa 87 e 117 euro medie, tra parametro e indennità pensionabile. Cagliari: Sdr; detenuto con manie suicide ancora rinchiuso a Buoncammino L’Unione Sarda, 17 settembre 2010 “Non sono ancora terminate le peripezie si un detenuto di 38 anni, di Genoni, incompatibile alla detenzione, ma che continua a subire il carcere ormai da dieci mesi. L’uomo, affetto da un grave disturbo depressivo cronico, con manie suicide, è nuovamente detenuto in una cella del Centro diagnostico terapeutico di Buoncammino dove viene costantemente monitorato attraverso una telecamera. Le sue condizioni sono peggiorate in seguito alla permanenza per oltre 90 giorni nell’Istituto di Pena di Torino. Un caso che inspiegabilmente non trova una positiva soluzione”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti riforme. Caligaris ha segnalato la vicenda del detenuto che è invalido all’80 per cento “proprio per la psicopatologia di cui è portatore, dichiarato incompatibile dai periti del Tribunale anche all’Ospedale psichiatrico giudiziario. L’uomo, con una condanna a 20 anni, ha scontato 13 anni e mezzo di carcere”. Lunedì mattina Anna Maria Busia e Gabriella Massidda, le due componenti sarde dell’organismo incaricato di predisporre il passaggio di consegne tra Stato e Regione in materia di Sanità penitenziaria, incontreranno il resto della Commissione paritetica. In programma, così come richiesto dalla Prima commissione del Consiglio regionale, la modifica delle norme di attuazione. Fossombrone: carcere sempre più fatiscente, camminamenti del muro di cinta non sono sicuri Corriere Adriatico, 17 settembre 2010 Carcere di Fossombrone “malato” sempre più grave: il servizio di sentinella dal camminamento del muro di cinta è stato trasferito a terra in duplice postazione, una fissa e l’altra mobile. Stanno per essere avviati i necessari interventi di consolidamento. Specie per le garitte messe a dura prova dagli eventi atmosferici. Bisogna che tutti gli interventi di risanamento, ristrutturazione e consolidamento siano inquadrati in un piano organico di interventi - ribadisce l’on. Massimo Vannucci - che ha appena consegnato l’interrogazione in sede parlamentare. Della quale si è fatto promotore. Le preoccupazioni maggiori riguardano il fatto che l’intervento nei camminamenti non vada ad inficiare gli altri lavori indispensabili. È stata programmata la realizzazione di una nuova cucina e di un reparto per i reclusi in stato di semilibertà. Da aggiungere la precarietà del tetto della sezione ovest. Così come non è più rinviabile una manutenzione ordinaria delle capriate in legno che sostengono tutta quanta la copertura dello stabile. I timori di decurtazioni e stralci di piani economici in termini di edilizia carceraria forse non sono del tutto infondati. La strategia da adottare è quella di attivare un osservatorio in seno al quale possa svolgere il suo ruolo anche il Comune. L’onorevole Massimo Vannucci, intanto, ribadisce la sua piena disponibilità a favore del carcere. Ben sapendo anche lui quello che l’istituto di pena rappresenta per Fossombrone in termini economici. Per giunta va maturando anche l’intesa tra amministrazione penitenziaria e Comune per proseguire nell’inserimento lavorativo di alcuni detenuti che evidentemente si trovano nella situazione idonea. Potenza: l’Uepe e l’associazione Psi&Co la Minerva per il reinserimento sociolavorativo Ristretti Orizzonti, 17 settembre 2010 L’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Potenza in collaborazione con l’associazione Psi&Co la Minerva nell’ambito delle attività finalizzate al reinserimento sociale e lavorativo dei condannati in area penale esterna, ha partecipato all’inserimento di quattro persone affidate in prova al servizio sociale, in due importanti eventi del territorio. Nello specifico gli affidati partecipano: - al Cinespettacolo “La Storia Bandita”, in programmazione presso il parco della Grancia a Brindisi di Montagna (Pz), il sabato e la domenica a partire dal 7 agosto fino al 12 settembre c.a. (è il racconto delle rivolte e delle insorgenze contadine meridionali, vissute attraverso le vicende tragiche della famiglia di una capo brigante; risorgimento e il brigantaggio vengono osservati con lo sguardo dei ceti più umili; è una trasposizione in chiave lirica ed epica del desiderio di riscatto di un popolo alla ricerca dell’amore e della libertà contro l’arroganza e gli abusi del potere; la tradizione storica e culturale di una intera comunità viene raccontata in questo straordinario spettacolo dove cinema, musical, teatro si intersecano su una scena di 20.000 metri quadrati), gli affidati partecipano quali figuranti interpretando i diversi ruoli (briganti, guardie, contadini) che saranno raccontati in un successivo incontro con l’Uepe e Psi&Co la Minerva; - “Fuochi sul Basento”, XXII Festival Nazionale di Arti Pirotecniche, in programmazione in C.da San Luca Branca - Potenza, il 04 e 05 Settembre c.a.; gli affidati saranno coinvolti nella gestione dell’evento e nella collaborazione all’allestimento degli stands. Porto Azzurro (Li): l’indagine sulle presunte truffe tocca anche la coop San Giacomo Il Tirreno, 17 settembre 2010 Un quadro accusatorio complesso, fatto di singoli episodi ricostruiti attraverso un lavoro di indagine che ha investito, a 360 gradi e per un intero anno, l’attività della cooperativa San Giacomo. A 48 ore dall’ufficializzazione dell’invio di 13 avvisi di garanzia cominciano a emergere, con più chiarezza, alcuni dei fatti contestati nell’ambito dell’indagine della guardia di finanza e il contesto nel quale ha preso il via l’inchiesta sulla cooperativa, legato a rapporti non sempre sereni tra l’area trattamentale dell’istituto, con a capo uno degli indagati, Domenico Zottola, e quella più strettamente legata alla polizia penitenziaria. Prima denunce e ispezioni del provveditorato regionale della penitenziaria. Poi l’inchiesta, partita nel luglio del 2009 a seguito della denuncia di un detenuto fino a poco tempo prima impiegato nella cooperativa. Al termine la richiesta - respinta dal gip Gianmarco Marinai del tribunale di Livorno sulla base di un’ampia valutazione dell’impianto accusatorio - di misure cautelari per tre degli indagati: Zottola, il direttore del carcere Carlo Mazzerbo e l’assistente capo della penitenziaria Sergio Madonna. Infine gli avvisi di garanzia sulla base di tre filoni d’indagine. Il rapporto con i detenuti. Da un lato c’è il presunto sfruttamento nei confronti di alcuni detenuti (14 in tutto): la minaccia di licenziamento o di revoca dei benefici di legge rispetto al regime detentivo per farli lavorare in condizioni di scarsa sicurezza o oltre l’orario previsto. Il pm a capo dell’indagine, il dottor Massimo Mannucci, ipotizza il reato di concussione nei confronti di Mazzerbo, Zottola, il socio lavoratore della cooperativa Nicola Paradiso, l’impiegato della stessa Paolo Piga e di Madonna. L’ipotesi di concussione è poi attribuita a Zottola per aver ottenuto, secondo l’ipotesi dell’accusa, beni materiali da uno degli indagati, Paradiso, in cambio del beneficio della semilibertà. Stessa accusa per Madonna che avrebbe abusato dei propri poteri per ottenere da un detenuto un computer e l’incasso della vendita di olio e frutta. Ancora nei confronti di Zottola l’ipotesi di appropriazione indebita perché avrebbe ottenuto da Paolo Piga risorse economiche destinate all’acquisto di prodotti elettronici. I corsi. Il secondo filone dell’indagine è invece legato ai corsi di formazione organizzati dalla cooperativa per i quali i docenti avrebbero percepito stipendi per un monte ore in alcuni casi superiore a quello effettivamente svolto. In pratica, per l’accusa, un’ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche dato che i corsi - nello specifico per la lavorazione del vetro e della ceramica e per la produzione editoriale rivolta ai disabili visivi - la cooperativa avrebbe ottenuto finanziamenti da vari enti per oltre 100mila euro. A questo proposito sono coinvolti nell’indagine in qualità di docenti e tutor dei corsi Michelangelo Meola, Elena Pascale, Paolo Talucci, Vincenzo Camaretta, Riccardo Rebua e Claudia Lorenzini. I lavori. Infine il filone che potremmo definire edilizio. Da un lato l’ipotesi di reato ambientale, che coinvolge un professionista elbano, Alessandro Bigio, per aver scaricato e sotterrato in un campo di Porto Azzurro materiali nocivi provenienti da un cantiere edile. Dall’altro l’assegnazione dei lavori di disboscamento a Pianosa, in relazione a una gara del Parco dell’Arcipelago nell’ambito del progetto Life-Natura, in maniera non regolare, cioè sulla base di un progetto che riportava la firma, falsa, dell’allora presidente della cooperativa. Ma la cooperativa guarda avanti: supereremo le difficoltà “Coinvolti solo in modo marginale e sicuramente non per responsabilità dei suoi principali organi dirigenziali”. Con queste parole gli attuali vertici della cooperativa San Giacomo intervengono in merito all’indagine della Guardia di Finanza sulla società che si occupa del reinserimento sociale, attraverso il lavoro, dei detenuti. All’indomani della bufera giudiziaria il cda della cooperativa intende dare una prospettiva per il futuro alle proprie attività e confermare l’intenzione di andare avanti, superando le difficoltà. “Fermo restando il fatto che saranno i dibattimenti processuali a determinare le eventuali colpe - si legge nella nota della società - la cooperativa, per salvaguardare la sua reputazione e rimarcare la sua buona fede, già nei primi momenti delle indagini aveva provveduto a rinnovare il consiglio di amministrazione e ad iniziare una nuova gestione”. Restano inalterati gli obiettivi e le finalità della cooperativa, sostenuta in questi anni da enti pubblici e numerosi singoli privati, che fa febbraio ad oggi “hanno assicurato e garantito opportunità di impiego, manifestato apprezzamento per i risultati ottenuti, auspicato e prospettato impegni futuri. È in questa direzione che il consiglio di amministrazione intende continuare il suo cammino, affrontando le difficoltà in conformità alle regole nella certezza degli obbiettivi”. Busto Arsizio: “Dolci Libertà”, cioccolatini prodotti in carcere arrivano a Eurochocolate Ansa, 17 settembre 2010 Sarà presente con un proprio stand a Perugia alla prossima edizione di Eurochocolate (15-24 ottobre), l’azienda Dolci Libertà, costituita nell’ambito di un progetto rieducativo del carcere di Busto Arsizio in collaborazione con l’Agenzia regionale per il lavoro penitenziario Art. 27 del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Milano. Ad essere impiegati nella lavorazione sono 40 detenuti (dopo sei mesi di formazione), ai quali si aggiungono sei addetti esterni, per produrre cioccolata, cioccolatini e dolci al cioccolato. “Dolci Libertà - spiega Rita Gaeta, responsabile dell’area educativa del carcere di Busto, in un comunicato di Eurochocolate - assumerà come dipendenti tutti e 40 i detenuti coinvolti nel progetto”. Il laboratorio sarà ufficialmente inaugurato il prossimo 4 ottobre, ma la produzione è già cominciata ed appena possibile comincerà anche la distribuzione sull’intero territorio nazionale e anche via internet. Il direttore di Eurochocolate, Bruno Fringuelli, che ha visitato nei giorni scorsi il laboratorio, definisce “di ottima qualità e con un packaging curato” le produzioni dell’azienda. A Eurochocolate i rappresentanti dell’azienda e della casa circondariale di Busto Arsizio saranno tra i relatori dell’incontro internazionale dal titolo In the Hearth of Chocolate: where cocoa meets chocolate, il 20 ottobre prossimo. Libri: “Passeggiando con Amanda”, ex detenuta racconta la vita in carcere di Amanda Knox Apcom, 17 settembre 2010 “Passeggiando con Amanda”, libro scritto dalla brasiliana Florisbela Inocencio de Jesus, racconta la vita dietro le sbarre dell`americana Amanda Knox. De Jesus, 58 anni, ha convissuto con Amanda nel carcere di Capanne vicino Perugia, ed è stata testimone della trasformazione psicologica e fisica della Knox: da studentessa a detenuta indurita dalla vita nel carcere. La ragazza americana sta attualmente scontando una condanna di 26 anni per l`omicidio, commesso con l’aiuto di Raffaele Sollecito e Rudy Guede, della sua coinquilina inglese, Meredith Ketcher. Nel cortile della prigione, racconta il libro, l`americana si riconosceva subito: per la sua bellezza, e per la chiara inesperienza nei rapporti con le altre detenute. Per questi, e altri motivi, era stata isolata. Il `processo di Perugia`, come i media nazionali ed internazionali hanno battezzato l`omicidio della Ketcher, era seguito da tutte le carcerate, ma nessuna osava parlare con la ragazza. Con il passare del tempo, però, la Knox si è integrata di più nella vita della prigione. Oltre a quello della brasiliana, è uscito un altro libro sulla vita della 23enne americana. Si intitola “Io vengo con te”, e l’ha scritto l`onorevole Rocco Girlanda. Senegal: Amnesty denuncia violenze e torture nelle carceri Agi, 17 settembre 2010 Il rapporto di Amnesty International “Senegal, terra d’impunità”, presentato a Dakar, punta il dito conto il governo senegalese. Per l’organizzazione di difesa dei diritti umani, la tortura è una pratica corrente nel paese. Durante gli ultimi 6 anni, almeno sei persone sono morte in detenzione. Per Amnesty nel Paese c’è una cultura dell’impunità molto diffusa. Il rapporto che si basa sulle missioni svolte in Senegal negli ultimi 12 anni, ha raccolto molte testimonianze e fotografie delle vittime del conflitto in Casamance, di prigionieri comuni, ma anche di prigionieri politici. Ci sono uomini e donne che affermano di essere stati torturati dagli agenti di sicurezza con scariche elettriche, violentati, bruciati o asfissiati durante la loro detenzione. E se l’interrogatorio torna al dramma con la morte del detenuto, non ci sono indagini, e qualora vengono avviate sono superficiali e inconcludenti, afferma Amnesty. Un portavoce dell’organizzazione sottolinea: “non ci sono stati deterioramenti del sistema giudiziario nel paese, ma neanche progressi negli ultimi 30 anni”. Inoltre il governo fa di tutto per proteggere gli agenti colpevoli di violazioni. Prima di essere stato reso pubblico, il rapporto è stato inviato a giugno da Amnesty International, al presidente, Abdoulaye Wade e al ministro della Giustizia, Cheikh Tidiane Sy, ma senza aver ricevuto nessun commento nonostante i solleciti dell’organizzazione. Messico: autorizzati primi matrimoni tra lesbiche in carcere www.queerblog.it, 17 settembre 2010 Sei coppie di lesbiche hanno contratto matrimonio in un penitenziario di Città del Messico. Si tratta delle prime nozze tra persone dello stesso sesso celebrate in una prigione messicana. La cerimonia è avvenuta nel Centro de Readaptación Social Santa Martha Acatitla insieme al matrimonio di altre tredici coppie eterosessuali. Al termine del matrimonio collettivo la sottosegretaria del Sistema Penitenziario della Capitale, Celina Oseguera, ha sottolineato sia l’importanza di eventi come questo che evidenziano il rispetto verso la diversità sessuale sia gli effetti benefici che produce nella vita delle persone recluse il poter formalizzare una relazione di coppia. Tra i presenti alla cerimonia anche Alma Cecilia Romo, coordinatrice degli educatori dell’Istituto Femminile di Città del Messico che ha detto: “Con questo atto voi costituite per la società, nel suo insieme, un grande esempio di libertà: il diritto ad amare, esercitato come atto di autonomia individuale, è un esempio di speranza e di fiducia per il futuro”.