Giustizia: sprechi e inefficienze nella gestione delle carceri, indagine della Corte dei Conti di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 16 settembre 2010 La Corte dei conti, in piena estate (deliberazione n. 19/2010/G del 4 agosto) ha reso nota la sua inchiesta sugli interventi pubblici nel settore dell’edilizia penitenziaria. Ha esaminato nel dettaglio lo stato di attuazione dei programmi, i criteri e le modalità di assegnazione delle risorse disponibili, le modificazioni che sono intervenute nel medio e breve periodo nella pianificazione dell’edilizia penitenziaria. L’indagine ha riguardato il periodo che va dal 2003 al 2009, nel quale la popolazione reclusa è cresciuta di circa 15 mila unità. L’Ordinanza della Corte dei conti è di natura prescrittiva e prevede che entro sei mesi le amministrazioni interessate relazionino circa le misure adottate. In un momento storico nel quale si parla molto di Piano carceri (attualmente in stand by) e di nuovi programmi edilizi, l’Ordinanza della Corte esprime un giudizio inequivocabile sul passato, ritenuto inefficiente e sprecone. La Corte parla di “cronica insufficienza dei finanziamenti”, di “tortuosi meccanismi di assegnazione delle risorse disponibili”, di “lungaggini procedurali”, del “frequente e rapido mutamento delle esigenze e degli obiettivi”, della “dilatazione dei tempi nella fase esecutiva di costruzione delle nuove strutture penitenziarie dovuta anche al sorgere di contenziosi”. Nonostante sia stata prevista la possibilità di ricorrere alla finanza di progetto e alla permuta, non se ne è fatto praticamente ricorso. Nel caso del project financing, scrivono i giudici contabili, “in quanto, trattandosi di uno strumento che prevede l’affidamento della gestione dell’opera al privato che ha investito per la realizzazione della stessa, soltanto alcuni servizi avrebbero potuto essere affidati in gestione (es. lavanderia, cucina), con scarse potenzialità di rendita ed un inevitabile cospicuo intervento finanziario dell’Amministrazione ad integrazione”. Nel caso della permuta “è stata di fatto non utilizzata poiché il valore dell’immobile in dismissione risulta essere sempre inferiore al costo di costruzione del nuovo edificio”. La locazione finanziaria ha avuto invece leggermente più fortuna. La Corte si è soffermata sulle spese effettuate per ammodernare e costruire nuove carceri. Due i centri di spesa, il Ministero della giustizia e quello delle Infrastrutture. I pagamenti partiti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono risultati ben inferiori rispetto alla massa spendibile. I lamentati effetti negativi erano dovuti alla norma, contenuta nell’art. 46 della legge n. 448/2001, che prevedeva che i finanziamenti provenissero dal fondo investimenti iscritto nello stato di previsione del Ministero della Giustizia al capitolo 7020, in gestione al Gabinetto del Ministro, e venissero ripartiti fra i tre dipartimenti (Amministrazione penitenziaria, Giustizia minorile e Organizzazione giudiziaria) al termine di una complessa procedura. Dal 2008 i tempi si sono leggermente ridotti grazie al cambiamento di alcune norme contabili. Sardegna, Lazio e Abruzzi sono le regioni dove si è riusciti a spendere di più. Visto quanto accaduto in passato, la Corte richiede un forte impulso delle attività di costruzione di nuovi istituti penitenziari e di ampliamento di quelli esistenti, sostenendo inoltre che un tale impulso vada accompagnato da altre misure volte al buon funzionamento delle nuove strutture. La Corte si sofferma sulla grave carenza di personale penitenziario, che avrebbe già causato la sottoutilizzazione di alcuni istituti, fra cui quello nuovo di Rieti. La Corte ricorda che le alternative ai Piani di edilizia carceraria sono la periodica adozione di provvedimenti di clemenza, la depenalizzazione dei reati di minore allarme sociale o l’introduzione di misure diverse dalla detenzione per i detenuti condannati o in attesa di giudizio per reati minori. Anche per quanto riguarda la gestione della Cassa delle ammende la Corte, in altro provvedimento, afferma che, nonostante vi fosse una cospicua presenza nel bilancio dell’ente di somme non utilizzate, esse non sono state spese. Giustizia: sette detenuti sono morti negli ultimi 10 giorni, tra suicidi e malasanità carceraria Ristretti Orizoznti, 16 settembre 2010 7 detenuti sono morti negli ultimi in 10 giorni: 3 suicidi, 3 per cause ancora da accertare, 1 per malattia. Da inizio anno sono già 44 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (37 impiccati, 5 asfissiati col gas, 1 avvelenato con dei farmaci e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 125. Torino, 16 settembre 2010 - Placido Caia, 64 anni viene ritrovato morto in cella nel carcere delle Vallette. Caia affiliato alla ‘ndrangheta calabrese, avrebbe finito di scontare la pena nel 2016. Dalle prime indiscrezioni pare che la morte sia dovuta a cause naturali. Il suo cadavere è stato trovato questa mattina intorno alle 8 nel padiglione A della quarta sezione dei detenuti in regime di alta sicurezza. Era sulla sedia a rotelle sulla quale era costretto da qualche tempo. Prato, 15 settembre 2010 - Un detenuto 40enne di origini campane muore in una cella del carcere Dogaia, presumibilmente per un problema cardiaco. L’uomo viene trovato già cadavere e tutti i soccorsi sono vani. Tocca poi ai servizi funebri della Misericordia trasportare la salma all’Istituto di anatomia patologica, dove verrà eseguita l’autopsia, su disposizione del sostituto procuratore Sergio Affronte. Torino, 14 settembre 2010 - Rodolfo Gottardo, 50 anni, in libertà vigilata, si uccide davanti ai Carabinieri che volevano riportarlo in carcere, da dov’era uscito dopo aver scontato 20 anni di pena per tentato omicidio e rapina. Tossicodipendente e sieropositivo, lavorava come magazziniere in una cooperativa. In carcere aveva anche recitato per il film “Tutta colpa di Giuda”, regista Davide Ferrario, protagonista Luciana Littizzetto. Fuori non ha saputo cambiare il copione di una esistenza alla deriva. Napoli, 8 settembre 2010 - Francesco Consolo, 34 anni, di origini pugliesi, detenuto nella Sezione Transessuali del carcere di Poggioreale, si uccide asfissiandosi con il gas dalla bomboletta data in dotazione ai detenuti per cucinare in cella. Lo ritrovano steso sulla branda, con un sacchetto di plastica in testa e la bomboletta di gas accanto. La Spezia, 8 settembre 2010 - Ivan Maggi, 22 anni, si impicca in cella la notte del 5 settembre. Viene soccorso ancora in vita, ma le sue condizioni appaiono subito gravissime, a causa dei danni cerebrali provocati dall’anossia. Ricoverato al centro di Rianimazione dell’ospedale Sant’Andrea, il giovane non sopravvive. Viene dichiarato clinicamente morto dopo 3 giorni di coma. Pisa, 5 settembre 2010 - Moez Ajadi, tunisino di 33 anni, detenuto presso il carcere Don Bosco di Pisa, accusa problemi respiratori e dolori polmonari, perciò viene ricoverato al Centro clinico penitenziario. La sua situazione clinica comincia a peggiorare e ne viene disposto il trasferimento immediato presso una struttura civile più attrezzata, l’Ospedale Santa Chiara, ma muore in ambulanza ancor prima di arrivare al pronto soccorso. La procura ha aperto un’inchiesta, per fare piena luce sul fatto e per stabilire se vi sono eventuali responsabilità. Napoli, 5 settembre 2010 - Giuseppe Coppola, 60 anni, detenuto nel carcere di Poggioreale accusa forti dolori al petto. In infermeria gli somministrano un antidolorifico e lo rimandano in cella. Dopo un paio d’ore Coppola ha un nuovo malore e sviene. Viene chiamata l’autoambulanza, ma l’uomo muore durante il tragitto verso l’ospedale. Giustizia: ottomila firme per l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano Terra, 16 settembre 2010 Ottomila firme consegnate al vicepresidente del Senato Emma Bonino. Tale è il numero dei cittadini italiani e di altri stati europei che hanno sottoscritto la petizione promossa dall’Acat Italia (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura) per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. Con l’appello, lanciato nel dicembre del 2009 in occasione del 61° anniversario della dichiarazione dei diritti umani, i promotori dell’iniziativa chiedono “a1 Presidente dalla Repubblica, ai Presidenti della Camera e del Sanato, al Presidente del Consiglio dei Ministri, di adoperarsi affinché si introduca nel diritto penale italiano il reato di tortura, dando positivo sbocco alle specifiche proposte di legge giacenti nei due rami del parlamento, superando le resistenze che finora hanno impedito la loro approvazione”. Così facendo l’Italia manterrebbe fede agli impegno internazionali assunti quando sottoscrisse e ratificò la Convenzione dell’Onu contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani e degradanti. Emma Bonino che è anche presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, ha auspicato che l’appello promosso dall’Acat possa contribuire a far riemergere da qualche cassetto i vari progetti di legge. Nel corso dell’incontro i membri del comitato organizzativo di Acat (Maria Elisa Tittoni, Maria Vittoria Zaffino e Massimo Corti) hanno avuto modo di illustrare l’attività dell’associazione. Giustizia: ricordo di Paolo Quattrone, l’eredità morale di un servitore dello Stato di Eleonora Delfino Gazzetta del Sud, 16 settembre 2010 L’eredità morale di un uomo che ha servito lo Stato fino all’ultimo, quello Stato da cui probabilmente si è sentito abbandonato. Nel giorno che doveva celebrare il suo pensionamento, si ricorda la figura di un “fuoriclasse” come lo definiscono gli agenti della polizia penitenziaria. Un uomo che ha inciso, all’insegna della parola dignità, un solco profondo nella storia dell’Amministrazione penitenziaria, una strada che la famiglia, gli amici, i collaboratori vogliono percorrere per dare esecuzione al suo testamento morale. Lui avrebbe voluto così. “Un servitore dello Stato non muore mai invano, specialmente se ha operato per difendere i valori umani, civili e morali di cui questo nostro Paese ha tanto bisogno. Muore invano se le idee, le passioni vengono dimenticate: guai all’istituzione che perde una memoria storica”. Il messaggio inviato dal provveditore Paolo Quattrone alla vedova di Sergio Cosmai, vittima della ‘ndrangheta sono un lascito. “Manteniamo questo impegno e facciamo tesoro dell’eredità che abbiamo ricevuto. Non è un ricordo fine a se stesso, abbiamo un tesoro da custodire e da far fruttare” la voce della direttrice della casa circondariale, Carmela Longo stenta non è ferma come al solito. Le commosse testimonianze di chi ha lavorato gomito a gomito con il professionista che ha cambiato il sistema carcerario calabrese tracciano il profilo di un uomo deciso, determinato. “Un uomo che si spendeva senza riserve, un caduto del lavoro” afferma Mario Nasone, presidente del Csv Dei due mari. “Paolo ha sempre agito secondo la massima per cui la pena non è vendetta”. “Un uomo non compreso abbastanza dalle istituzioni che dovevano proteggerlo, da Cosenza è partita un’accusa infamante” tuona mons. Salvatore Nunnari “Lui che fu uomo di speranza, che diventò un padre per diversi giovani detenuti, entrò nella depressione”. Quello di mons. Nunnari è un ricordo sentito, vibrato “Davanti al mistero della vita la Chiesa non giudica, ma prega”. A ricordare gli anni di minacce e bombe passati a lavorare insieme è il magistrato Maurizio Arcadi che con la voce rotta dall’emozione ricorda: “Paolo era l’uomo dei fatti”. Nel corso dell’incontro moderato dal giornalista Pietro Melia, Antonio Morelli presidente della conferenza regionale volontariato giustizia ricorda uno dei meriti speciali di Paolo Quattrone “è riuscito a creare un ponte tra la case circondariali e il territorio”. Testimonianze, aneddoti attraverso cui si ricostruiscono i tanti traguardi che hanno fatto del sistema calabrese un modello, come lo definì il ministro della Giustizia. Adesso incalza Francesco Macrì sindaco di Locri “dobbiamo continuare le cose che lui ha cominciato, in qualsiasi posto arrivava, Paolo, creava qualcosa. A Locri ha realizzato il primo centro d’inclusione sociale d’Italia”. L’operazione che ha tradotto un’intuizione in una sfida vincente è stata quella di Laureana di Borrello, una vicenda che il sindaco Domenico Ceravolo racconta. “Nel 2002 era solo cemento, scrissi all’Amministrazione penitenziaria e dopo qualche giorno arrivò il provveditore Quattrone che si mise subito all’opera. Decise di creare nel cuore della Piana un carcere di recupero per i giovani”. Una sorta di sfida per la ‘ndrangheta “quando venne inaugurata quella casa circondiariale c’era un ricco parterre di autorità, quei rappresentanti istituzionali non ricordo di averli più visti accanto a Paolo. Qualche giorno prima del 22 luglio l’ho sentito mi raccontava dei problemi e delle difficoltà che riscontrava per la struttura di Arghillà. Noi abbiamo pensato di intitolargli la strada che porta al carcere”. “Ma - incalza Pasquino Crupi - ricordare vuol dire anche assolvere a un impegno, al dovere della verità. In molti hanno taciuto sulla “procurata morte” di Paolino, un uomo che non morirà mai, un uomo che non appartiene alla prosa ma alla poesia”. “. Ma l’eredità degli insegnamenti di Quattrone ha attecchito, Deborah Cartisano, di Libera inserisce Quattrone nelle persone “che parlano anche quando non ci sono, attraverso i fatti”, Luciano Squillaci coordinatore regionale del Csv ribadisce: “Non dobbiamo lasciare che la commozione tolga spazio allo sdegno. Dobbiamo continuare proprio da Arghillà”. “Ci sono uomini che quando arrivano in un posto fanno avvertire la loro presenza anche se non parlano, Paolo Quattrone era uno di questi” a dirlo sono i detenuti “noi che siamo stati beneficiati del suo impegno ci auguriamo che l’energia di rinnovamento non si esaurisca con la sua assenza”. Le parole della signora Guglielma, la vedova di Quattrone suonano come una promessa e una rassicurazione “la tempesta sgualcisce i fiori ma non disperde i semi. Siamo attoniti, ma non inermi sentiamo che insieme possiamo dare un senso alla sua morte”. Giustizia: la ricaduta di due ex ladri tornati a rubare per bisogno di Federica Cravero La Repubblica, 16 settembre 2010 Lo dice il proverbio, ed è stato proprio così. L’occasione ha fatto l’uomo ladro. Anzi, una coppia di ladri che, dopo essersi lasciati alle spalle alcuni precedenti risalenti agli anni della gioventù, avevano rigato dritto per anni. Rappresentante di commercio in pensione uno, levigatore di marmi l’altro. Sessant’anni tutti e due. Famiglie che ormai scommettevano sulla loro integrità. Gli anni del carcere sembrano lontani, ma arriva la crisi. La pensione non basta. L’amico non ha lavoro. Basta un attimo perché la vita si riavvolga all’indietro come un nastro. Gli occhi di entrambi vengono catalizzati dal portone di un’abitazione rimasto aperto. In men che non si dica i due sono in casa. E finiscono di nuovo in manette. Sono due ladri di ritorno, Salvatore e Franco. Torinesi, una serie di precedenti concentrati tra il 1972 e il 1983. Soprattutto rapine e reati contro il patrimonio Salvatore, che nel corso degli anni avrà due “ricadute”, una nel 1990, l’altra nel 2002. Ben più concisa la carriera criminale di Franco, che si conclude nel 1981 con due condanne per resistenza e favoreggiamento. Non agivano assieme e anche come singoli non erano conosciuti come altri. Poi la parentesi con la giustizia si chiude. Fino a martedì, quando i carabinieri di Ivrea li arrestano. Non è un buon periodo per Franco. Come ha raccontato al giudice, difeso dai legali Silvana Fantini e Andrea Lichinchi, “c’erano le rate del condominio da pagare, il mutuo, le bollette. Non ce la facevo più con i soldi. L’ultimo lavoro è stato a gennaio, il prossimo doveva arrivare solo ad ottobre”. Così incontra Salvatore, assistito dall’avvocato Celere Spaziante. Vorrebbe chiedere a lui un prestito. Ma bastano poche parole per capire che anche l’amico naviga in cattive acque. Ma trascorrono ugualmente la mattinata insieme. Salvatore ha male al collo, l’altro conosce un buon ortopedico a Ivrea e partono. Ma quando arrivano là il medico si è trasferito. È sulla strada del ritorno che la loro vita fa di nuovo una curva brusca all’indietro. Nel quartiere Bellavista di Ivrea vedono il portone di una casa aperto e si infilano. Tra i vari appartamenti scelgono quello di un’anziana che non risponde al campanello perché è al piano superiore dalla figlia. I due scassinano il nottolino della porta, arraffano dal comò un portagioie pieno di collane e braccialetti e scappano. Per dividere la refurtiva si mettono a passeggiare lungo il viale che costeggia l’Itis Olivetti. Una pattuglia passa di lì e loro non riescono a rimanere indifferenti. Franco getta via il sacchetto del bottino, Salvatore accelera il passo. E finiscono in manette. Raccontano subito dell’appartamento e riconsegnano i gioielli. Un atteggiamento che il giudice ha premiato. Ieri mattina li ha scarcerati, imponendo solo l’obbligo di firma. Lettere: la carenza di personale nelle carceri e l’annunciata assunzione di 2.000 poliziotti Ristretti Orizzonti, 16 settembre 2010 Siamo operatori dell’Amministrazione penitenziaria e vogliamo fare pubblicamente una proposta, che necessita di una breve premessa: a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali, sembra che tutti ignorino che la carenza di personale dirigenziale e tecnico amministrativo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (dirigenti, educatori, assistenti sociali, contabili, formatori, tecnici vari e operatori amministrativi) è molto più alta rispetto alla carenza di personale di polizia penitenziaria, rispettivamente: -3.056 su 9.487 (-32,21%) e -3.029 su 41.268 (-7,3%) (dati Dap al 31 maggio 2010). Possiamo comprendere che il cosiddetto allarme “sicurezza” induca il Ministro ed i vertici del Dipartimento a prestare maggiore attenzione ai numeri di quegli operatori che hanno il compito primario di garantire la sicurezza e l’ordine rispetto agli altri, il cui compito primario è invece rispettivamente quello di dirigere, coordinare, orientare risorse umane e gestire risorse materiali, di garantire sostegno, osservazione e trattamento per quasi il doppio dei detenuti previsti, di destinare oculatamente i pochissimi fondi assegnati, di garantire la manutenzione delle strutture fatiscenti, di fornire supporto amministrativo per tutti questi compiti, ecc. In tempi di “emergenza”, del resto, non si può troppo sottilizzare, si dirà, né perdere tempo a ragionare sulla natura e la qualità degli interventi che lo Stato può mettere in campo per garantire la sicurezza dei cittadini. Ci adeguiamo. Non possiamo o non riusciamo a fare altro, fermo restando l’impegno costante e a volte vano di tentare di garantire almeno l’irrinunciabile. Ci pare però opportuno evidenziare un dato, che a noi sembra significativo e che tutti gli addetti ai lavori conoscono, ma che non produce stranamente pensieri e proposte conseguenti: moltissime unità di polizia penitenziaria lavorano all’interno dei tanti uffici dell’amministrazione, sia nelle strutture periferiche, cioè gli Istituti penitenziari, sia soprattutto nei Provveditorati regionali e più ancora presso lo stesso Dipartimento a Roma, negli uffici del Ministero o in altre sedi le più varie, per un totale di circa 9.000 unità (da un articolo di Andrea Garibaldi sul Corriere della Sera del 24 agosto 2009). Perché? Fra gli altri motivi, perché la carenza di personale amministrativo è tale, che si rende necessario distogliere gli agenti dalle sezioni detentive per permettere l’espletamento delle indispensabili pratiche amministrativo - burocratiche, ferma restando l’impossibilità di sostituire personale di certi ruoli con ruoli diversi. Il numero reale è uno strano mistero sul quale non si riesce neanche dal di dentro a fare luce. Stima la Uil (sempre secondo quanto riportato dall’articolo summenzionato), che circa 2.500 unità di polizia penitenziaria sono impiegate negli istituti all’interno degli uffici, senza quindi contare quelle distaccate presso i Provveditorati o il Dipartimento o altre sedi. Già soltanto questo numero è maggiore delle duemila assunzioni annunciate dal Ministro Alfano. La nostra proposta è molto semplice e praticabile: assumere duemila operatori amministrativi invece dei duemila poliziotti penitenziari. I motivi sono molti: i poliziotti presenti negli uffici potrebbero finalmente tornare a svolgere i loro compiti istituzionali, supportando i loro colleghi che oggi affrontano un carico di lavoro molto pesante, come giustamente sottolineato quotidianamente dai sindacati, dalla stampa e dalla stessa Amministrazione; gli uffici amministrativi riceverebbero supporto per svolgere la pesantissima mole di pratiche necessarie all’andamento degli istituti, quel supporto oggi offerto dalle unità di polizia penitenziaria distolte dal servizio istituzionale; soprattutto lo Stato, e quindi i cittadini, ricaverebbero un risparmio enorme, che non siamo in grado di quantificare, ma il Ministro Tremonti saprebbe farlo, poiché - e questa ci sembra la ciliegina sulla torta - un poliziotto penitenziario - già all’inizio della sua carriera ed anche se lavora di fatto in compiti amministrativi - costa molto di più di un operatore del comparto ministeri e gode di benefici contrattuali dal punto di vista normativo oltre che economico che sono una chimera per gli operatori cosiddetti “civili” dell’amministrazione penitenziaria. Oggi, se non è chiaro, lo Stato paga quotidianamente per le prestazioni amministrative cifre molto più alte di quelle che pagherebbe se le stesse mansioni fossero svolte dalle categorie di personale previsto dalla legge, lasciando scoperte le sezioni detentive ed erogando parallelamente centinaia di migliaia di euro di straordinario ai poliziotti che in sezione ci lavorano. Insomma, converrebbe a tutti assumere personale civile nell’Amministrazione penitenziaria. La carenza di organico di polizia penitenziaria è - almeno in parte - “virtuale”, è cioè la conseguenza della carenza di personale amministrativo, oggi sostituito dai poliziotti. È l’uovo di Colombo. Eppure nessuno ci aveva pensato. Era nostro dovere di cittadini farlo presente. Personale “civile”. Che il Ministro Brunetta sappia che nell’amministrazione pubblica operano molte persone “civili”, non solo fra le forze dell’ordine. Un gruppo di operatori del Prap della Toscana Sardegna: la Giunta regionale stanzia 1.300.000 euro per il reinserimento dei detenuti Asca, 16 settembre 2010 La Giunta Regionale della Sardegna, su proposta dell’assessore regionale della Sanità e dell’Assistenza Sociale, Antonello Liori, ha deliberato di destinare 1.300.000 euro al finanziamento di un programma di attività finalizzate al recupero e al reinserimento socio-lavorativo di persone con provvedimenti penali a carico. I progetti, spiega una nota di Regione Sardegna, potranno essere presentati da associazioni di volontariato e da associazioni Onlus e dovranno avere come finalità il reinserimento sociale e lavorativo di persone sottoposte a provvedimenti penali detentivi o in esecuzione penale esterna; l’accoglienza in strutture dedicate di detenuti stranieri in licenza premio; il reinserimento sociale e lavorativo di ex detenuti; il reinserimento sociale di minori entrati nel circuito penale. Già nel biennio 2009-10, con il programma “Ad Altiora”, prosegue la nota, la Regione ha destinato al recupero e al reinserimento socio-lavorativo altri 6.167.493 euro, dei quali 3.175.493 euro riservati a misure di contrasto del disagio minorile e a minori sottoposti a misure giudiziarie. Si tratta, precisa l’assessore Liori, di percorsi riabilitativi che, prevedendo si possa scontare la pena in modo alternativo alla detenzione, diventano indispensabili per il reinserimento sociale, e che si possono svolgere dentro e fuori le carceri, mediante l’interscambio con la famiglia, con interventi alternativi alla detenzione, residenziali e non, e con il coinvolgimento delle associazioni che operano nel settore. Sardegna: approvata con riserva norma attuazione sul passaggio della sanità penitenziaria L’Unione Sarda, 16 settembre 2010 “Approvazione condizionata”. Questo il parere della Prima commissione del Consiglio regionale che ieri ha preso in esame le norme di attuazione sul passaggio della Sanità penitenziaria dallo Stato alla Regione. L’organismo consiliare, presieduto da Mario Floris, ha ascoltato le varie fasi per la transizione delle competenze esposte dalle due componenti regionali della commissione paritetica Anna Maria Busia e Gabriella Massidda. “Abbiamo chiesto delle integrazioni per noi necessarie”, spiega il presidente Floris. “La spesa deve essere garantita negli anni, non solo per assicurare il giusto trattamento sanitario, ma anche per migliorare l’assistenza ai pazienti-detenuti”. Floris ha poi messo l’accento su un altro aspetto spinoso: il personale. “Abbiamo chiesto chiarimenti sulle assunzioni di medici e infermieri ora in carico al ministero di Giustizia e sui contratti che stanno per scadere”. Verranno rispettai i tempi prefissati dall’assessore alla Sanità? “Penso di sì, domani (oggi per chi legge) firmerò la pratica. Non spetta a me stabilire i tempi in Consiglio, ma vista l’urgenza, il relatore della norma Nanni Campus la discuterà a breve. Entro l’anno - assicura Floris - la legge sarà pubblicata”. L’avvocato Anna Maria Busia, ha curato gli aspetti tecnici del passaggio di competenze. “Il problema è per i detenuti non sardi, che sono circa un quarto della popolazione carceraria (2400). La Prima commissione ci ha chiesto garanzie da parte dello Stato”. Tradotto? “Nel 2009 alla Sardegna sono stati assegnati 5.175.581 euro per la sanità penitenziaria. Ebbene - aggiunge il legale - la Prima commissione vuole che venga confermata questa cifra anche per i prossimi anni”. Scoppia la polemica tra il Dipartimento sanità del Pd e l’assessore regionale Liori sui detenuti rinchiusi nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Per il Pd occorrerebbe “un percorso, graduale e cadenzato, di presa in carico degli internati in Opg da parte della Regione e delle Asl territorialmente competenti”. Per il dipartimento è necessario “lanciare un vasto programma di interventi per la salute mentale nel territorio, senza la realizzazione di un solo Opg, ma potenziando i servizi territoriali”. Decisa la replica di Liori. “Nessuno ha parlato di costruire in Sardegna ospedali psichiatrici giudiziari, bensì ho parlato di strutture da non più di 15 posti dove ospitare i circa 50 pazienti sardi attualmente ricoverati nella struttura di Montelupo Fiorentino”. Campania: presentata una Guida multilingue sui diritti e sui doveri dei detenuti Il Velino, 16 settembre 2010 Una guida multilingue sui diritti e sui doveri dei detenuti in diecimila copie negli istituti penitenziari della Campania: è l’iniziativa promossa dal Garante dei detenuti della Regione Campania e dell’Associazione “Il Carcere Possibile”, in sinergia con l’Amministrazione penitenziaria della Campania e l’istituto Universitario L’Orientale. Stamani la presentazione dell’iniziativa, presso la sede del Consiglio Regionale della Campania, con il presidente, Paolo Romano, la Garante dei Detenuti, Adriana Tocco, il presidente del “Il Carcere possibile”, Riccardo Polidoro, il presidente della Commissione consiliare contro ogni forma di discriminazione, Donato Pica, il consigliere regionale del Pd, Corrado Gabriele, il provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Tommaso Contestabile, la docente dell’ Istituto Universitario “Orientale”, Luigia Melillo, e la scrittrice Valeria Parrella. La guida, redatta in italiano, inglese, francese, arabo, rumeno e albanese, è finalizzata a fornire ai detenuti italiani e stranieri nelle carceri campane uno strumento agile e maneggevole per conoscere i diritti e i doveri fondamentali della condizione carceraria, il regolamento della struttura carceraria, le regole della vita carceraria, dai rapporti con il difensore e con i familiari, dalle modalità per presentare richieste alla magistratura di sorveglianza, ai rapporti con l’esterno, dall’alimentazione all’assistenza sanitaria, al reinserimento sociale del detenuto. “Il tema dei diritti umani è fondamentale per la nostra Regione e, per questo, siamo ben lieti di sostenere, nell’ambito delle risorse destinate al Garante dei Detenuti, questa iniziativa che è finalizzata alla tutela dei diritti fondamentali delle persone sottoposte a pene detentive” - ha sottolineato Romano. “Personalmente ho potuto constatare la realtà delle strutture carcerarie della Campania e la drammatica situazione di sovraffollamento e di carenza di assistenza sanitaria - ha aggiunto Romano - e, nella convinzione costituzionale che la pena detentiva non debba sottrarre i diritti fondamentali ma rieducare e reinserire nella società, promuoverò ogni iniziativa politica e legislativa affinché il Consiglio regionale, nell’ambito delle competenze in materia sanitaria, possa esercitare un controllo e un intervento più efficace per garantire migliori condizioni sanitarie per i detenuti. Per questo - ha proseguito Romano - chiederò alla Commissione Regionale Sanità di farsi carico di questo progetto affinché la Regione possa essere maggiormente incisiva nella tutela dei diritti fondamentali della persona”. Per Pica “l’istituzione consiliare deve impegnarsi fortemente per la tutela dei diritti umani e contro ogni forma di discriminazione - ha evidenziato il presidente della Commissione speciale competente Donato Pica - collaborando con le altre Istituzioni per mettere in campo maggiori risorse e mezzi per rimuovere le situazioni di debolezza sociale e per contribuire a migliori condizioni di vita per i detenuti. In tal senso - ha proseguito - proporrò un’azione istituzionale e politica sinergica per verificare le condizioni di vita dei carcerati e la costituzione di un tavolo di concertazione con la partecipazione della rappresentanza nazionale per risolvere i problemi fondamentali delle carceri, da quelli manutentivi, a quelli dell’edilizia carceraria a quelli di assistenza sanitaria”. Reduce, proprio stamani, da una visita ispettiva al carcere di Poggioreale, il consigliere regionale del Pd, Corrado Gabriele, ha sottolineato che “da alcune settimane, il principale istituto di pena della Campania è privo degli ambulatori per la microchirurgia e per la chirurgia odontoiatrica con il risultato che circa il 10% della popolazione carceraria è in attesa di piccoli interventi che rendono la condizione carceraria ancora più difficile”. L’ex Assessore regionale al Lavoro ha, quindi, evidenziato che “va rafforzato l’istituto del Garante dei Detenuti, anche attraverso maggiori risorse e strutture, affinché possa svolgere al meglio il delicato ruolo cui è chiamato e affinché possa intervenire in maniera efficace sulla situazione carceraria”. Napoli: visita del Consigliere Pd Gabriele a Poggioreale; tra sovraffollamento e richiesta di cure Ansa, 16 settembre 2010 Oggi è giorno di visita: davanti al carcere di Poggioreale, sono in fila i parenti dei detenuti in attesa che tocchi a loro entrare nella stanza dei colloqui. Sono da poco passate le 9.30 quando comincia una nuova visita nella struttura penitenziaria del consigliere regionale del Pd Corrado Gabriele, dopo quella de giugno scorso, e in seguito al decesso di un detenuto transessuale 34enne avvenuta proprio in carcere qualche giorno fa. La cella nella quale era rinchiuso, nel padiglione Roma, ora è sotto sequestro. Intorno ci sono le altre stanze: i detenuti si affacciano alla finestrella che dà sul corridoio, per vedere chi arriva. Accompagnati dalle guardie carcerarie, il giro comincia proprio dal padiglione Roma, celle sovraffollate, letti, per lo più a castello, sistemati a incastro lungo le pareti, armadietti, qualche sgabello, la tv e alle sbarre qualche indumento messo ad asciugare. Gabriele osserva, si affaccia in qualche cella. I detenuti invitano ad entrare, a vedere come stanno. “Scusate il disordine - dice uno di loro - questa è come casa nostra, prego entrate”. Sono in nove nella cella, e quello del sovraffollamento, lamentano, non è l’unico problema. Ci sono i prezzi del listino per la spesa che sono troppo elevati e poi chiedono più assistenza sanitaria. A Poggioreale, da qualche tempo sono chiusi l’ambulatorio odontoiatrico e di microchirurgia. Ora, se un detenuto ha bisogno di un intervento occorre fare richiesta a un ospedale. Al momento, fanno sapere dalla direzione del carcere, ci sono tra le 150 e 200 richieste inevase, con il risultato che circa il 10% della popolazione carceraria è in attesa di piccoli interventi. Il giro al padiglione Roma finisce quando dalle celle cominciano a diventare insistenti le voci dei detenuti che reclamano ‘il passeggiò, l’ora d’aria del mattino. Negli altri reparti forse c’è più luce, più colore alle pareti. La situazione di disagi, però, è la stessa: sovraffollamento, poca privacy, i bagni. I più fortunati, se così possono esser definiti, hanno la doccia in cella, altrimenti devono utilizzare quelle sul piano il che significa al massimo due docce a settimana. Ovunque odore acre, la luce che filtra appena dalle finestre, le celle piene dove tutto è a incastro e dietro le sbarre i volti e le storie di chi sta pagando i propri errori con la libertà. Bollate (Mi): la direttrice; qui cerchiamo di rispettare il più possibile i diritti dei detenuti Asca, 16 settembre 2010 Lucia Castellano è spesso sui giornali. da Direttore della Casa Circondariale di Bollate ha onori e oneri. Se i primi sono più frequenti, i secondi fanno, ahinoi, più notizia. Tempo fa, la vicenda delle evasioni - conclusesi peraltro con la cattura dei due fuggiaschi - ha dato modo a parecchi cecchini di sparare addosso al carcere modello. “Troppa la libertà (!) concessa ai detenuti” berciavano alcuni, dimenticando che in dieci anni sono state due le evasioni da questa struttura. Abbiamo raggiunto Lucia Castellano, per chiederle a chi, oggi, vengano negati diritti fondamentali: “Lo straniero clandestino è l’emblema dei diritti negati. Niente diritto di cittadinanza, nessuna possibilità di inserimento. I Centri di Permanenza temporanea (Cpt) sono l’esemplificazione di questo concetto. Qui vengono recluse persone prive di permesso di soggiorno, senza che abbiano commesso alcunché”. Solo da poco, in effetti, esiste il reato di clandestinità. E poi ci sono i detenuti: “Nel nostro carcere si cerca quanto più possibile di rispettare i diritti di chi sta dietro le sbarre, tutelando al contempo le esigenze di chi, in uno spazio peculiare come il carcere, lavora”. Paginate di quotidiani, trasmissioni tv che parlano dell’affollamento carcerario e l’esiguità del personale penitenziario non possono che entrare nella chiacchierata: “Bollate non vive le situazioni infernali di Poggioreale a Trapani o Canton Mombello a Brescia, eppure il problema esiste”. Continua: “Ai detenuti vanno garantiti i diritti fondamentali di cui gode ogni altro essere umano: mi riferisco all’affettività e della sessualità, da tener presenti anche in uno spazio di reclusione in cui la privacy è abolita. Nessun luogo cancella il diritto alla riservatezza quanto il carcere. Tutti i momenti - anche i più intimi - sono esposti, visibili”. Alla cronaca carenza di personale va aggiunta una riflessione geografico-sociologica, mi spiega la direttrice. “Il nostro è un mestiere da terroni: io vivo a Milano, ma sono originaria del Sud, come tantissimi agenti. Per molti di loro il desiderio di tornare a casa - dove vive la famiglia e la vita costa meno - è forte. Così, appena possono, chiedono il trasferimento”. Castellano parla di problemi che conosce bene, mi racconta di aver fatto il concorso nel 1991, quasi vent’anni fa: “E noi ragazze eravamo la metà di tutti i presenti”. Usa il noi spesso, Lucia Castellano, si riferisce alla squadra che coordina, di cui va molto fiera, lo si capisce. Quando riferisco di aver ascoltato parole di elogio nei suoi confronti da parte dei detenuti, si schernisce. Domando come si fa ad essere apprezzati, magari ammirati: “Io non voglio essere ammirata, voglio essere creduta”. Le chiedo quale sia la sua ricetta e risponde lapidaria: “Basta non fingere”. Ci pensa su un attimo e spiega: “Il carcere è un posto dove fingono tutti, per tante ragioni. Io dico sempre le cose come stanno. Non prendo in giro i detenuti, né li tratto da sciocchi. Quando devo, dico dei no, ma cerco sempre di essere credibile”. Come un genitore, azzardo: “Sì, beh, un’istituzione come il carcere deve essere anche didattica. Se le persone che la rappresentano non rispettano questo presupposto, è l’istituzione stessa che abdica al suo ruolo”. Brindisi: e stata riaperta la sezione infermeria della Casa circondariale Ansa, 16 settembre 2010 “Si tratta di un reparto nuovo e completamente arredato”. Lo ha detto Salvatore Acerra, provveditore reggente della Puglia dell’Amministrazione Penitenziaria. “Se oggi l’infermeria funziona - spiega Acerra - è grazie all’impegno del sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che avendo visitato la struttura in estate, aveva avviato un percorso volto a rendere operativa l’assistenza sanitaria ai detenuti”. “Domani - ha concluso il provveditore - si terrà una riunione con il direttore generale della Asl competente per territorio, i direttori del Sert e del Sim, per attivare un accordo che preveda un miglioramento dei servizi infermieristici all’interno della casa circondariale”. Vitali (Pdl): infermeria Brindisi prova fatti governo L’ultimazione dei lavori di quella che sarà l’infermeria del carcere circondariale di Brindisi dimostra come questo Governo sia capace di passare dalle parole ai fatti. Lo ha detto l’on. Luigi Vitali, responsabile nazionale dell’ordinamento penitenziario del Pdl. Il problema carcerario, infatti, nel nostro Paese - ha aggiunto - non è legato soltanto al superaffollamento di detenuti, per il quale si sta alacremente lavorando nella cornice del piano carceri varato dal governo, ma è anche un problema dei servizi fruibili da parte della popolazione detenuta. Com’è noto, l’assistenza sanitaria penitenziaria è stata trasferita dal ministero della Giustizia alle regioni e per loro alle Asl competenti. Mi auguro - ha detto ancora il parlamentare pugliese, che il direttore generale della Asl di Brindisi, del quale per altro conosco la serietà, la sensibilità e l’impegno per questi problemi, sappia predisporre quanto di sua competenza, per avviare il servizi sanitario all’interno dell’istituto di Brindisi e non vanificare il lavoro fatto dal governo centrale. Tempio Pausania: protesta della Cgil per la carenza di personale “chiudete il carcere” L’Unione Sarda, 16 settembre 2010 Nessuno si occupa del penitenziario di Tempio, gli agenti sono pochissimi e allora è meglio chiuderlo: anche la Cgil sceglie la linea dura e rivolgendosi direttamente al Provveditore regionale alle carceri propone un provvedimento drastico e definitivo. “In sostanza - dice la segretaria provinciale della funzione pubblica Luisella Maccioni - si stanno mettendo i poliziotti penitenziari nelle condizioni di non poter svolgere appieno il loro lavoro”. Agli inizi di settembre erano arrivate le prime bordate contro il Provveditore, ora la Cgil parla apertamente di chiusura. I detenuti sono 60 e dovrebbero essere 29. Continuano ad entrare nel carcere, mentre gli agenti sono 25. Troppo pochi e la direttrice dell’ istituto Teresa Mascolo aveva proposto turni da otto ore e l’utilizzo massiccio degli straordinari. I sindacati hanno bocciato l’iniziativa della direttrice e dopo l’incontro convocato a Tempio, il caso Rotonda è diventato una vertenza nazionale. Il primo a chiedere la chiusura del penitenziario è stato il responsabile nazionale del Sappe Donato Capece. Al Ministro della Giustizia Angelino Alfano è stata raccontata la storia paradossale di un carcere ristrutturato ma senza personale. La Cgil ha rincarato la dose, con un protesta particolarmente dura che riguarda anche la mancata convocazione dei sindacati a Cagliari. “Il silenzio del Provveditore - scrive Luisella Maccioni - è fragoroso e da questo atteggiamento consegue una forte responsabilità della struttura regionale su un problema che non riguarda soltanto l’organizzazione del lavoro ma anche la qualità della vita dei dipendenti del Ministero e la rieducazione dei detenuti”. Ivrea (To): giustizia riparativa, incontro conclusivo del Progetto Circus Asca, 16 settembre 2010 Questa mattina, presso la Sala Cupola del Centro Congressi La Serra, si è svolto l’incontro conclusivo del progetto Circus acronimo che raccoglie le sigle delle istituzioni coinvolte: Comune di Ivrea, Ciss 38 di Cuorgnè, Consorzio Servizi Sociali In.Re.Te di Ivrea, Casa Circondariale di Ivrea, Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Vercelli e Biella e Ser.T. Asl TO4 di Ivrea. Il Progetto, nato come azione del Tavolo Adulti del Piano di Zona del Consorzio In.Re.Te. di Ivrea e realizzato grazie al contributo della Regione Piemonte, ha come obiettivo la promozione sul territorio del tema della Giustizia Riparativa, definita come una forma di risposta al reato. La giustizia riparativa promuove l’attenzione nei confronti della vittima offrendo un modello di giustizia che “mette in relazione” vittima, reo e comunità; dà alla persona che ha commesso un reato la possibilità di risarcire la società per il danno causato dal suo gesto svolgendo un’attività di volontariato presso associazioni ed enti locali. “Siamo molto soddisfatti - commenta Paolo Dallan, Assessore alle Politiche Sociali della Città di Ivrea - dell’esito del progetto, che al termine del suo percorso ha visto l’adesione di nove associazioni, due cooperative e una fondazione onlus, rientranti nei territori del Consorzio Servizio Sociale In.Re.Te di Ivrea e del Servizio Socio Assistenziale Ciss 38 di Cuorgné. Queste si sono rese disponibili ad accogliere presso le loro strutture persone ancora detenute, ma libere di uscire dal carcere alcune ore al mese per svolgere attività di volontariato oppure persone che stanno scontando una pena in misura alternativa alla detenzione”. Dal mese di agosto 2009 a oggi le persone ad aver intrapreso un percorso di attività riparativa finalizzato a far acquisire al detenuto l’abitudine al lavoro e il superamento dell’emarginazione sociale. Dopo i saluti delle autorità, alla presenza del Sindaco della Città di Ivrea Carlo Della Pepa e dell’Assessore alle Politiche Sociali Paolo Dallan, il programma della giornata prevede una tavola rotonda con la partecipazione, tra gli altri, di Aldo Fabozzi Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria Piemonte e Valle d’Aosta. Catanzaro: Ugl; l’Ipm ristrutturato è pronto a riaprire, ma il personale è insufficiente Asca, 16 settembre 2010 Dopo vari ed accurati lavori finalmente la vecchia e storica struttura dell’Istituto Penale per Minorenni Silvio Paternostro di Catanzaro sarà presto ultimata e pronta ad ospitare, nell’ambito del circuito penale, altri ragazzi provenienti da tutto il territorio nazionale. Lo annuncia in una nota l’Ugl, secondo la quale questo ulteriore tassello va a costituire quello che per l’Ugl Polizia Penitenziaria, primo sindacato di categoria della provincia di Catanzaro, ha sempre rappresentato il presupposto per la realizzazione di una cittadella giudiziaria minorile, senza dubbio il fiore all’occhiello della giustizia minorile in Italia. Non può tacersi però su quello che preoccupa in questo particolare momento e cioè la gravissima situazione relativa alla carenza di personale di polizia penitenziaria all’interno della struttura minorile. È stato più volte segnalato al superiore dipartimento (in qualità di responsabile nazionale del settore minorile), che per garantire la sicurezza dell’ istituto e delle altre strutture circostanti, nonché, per assicurare il normale svolgimento delle attività dovrebbero essere assegnate un numero adeguato di agenti, (un’integrazione di almeno 20 unità rispetto all’organico presente) ma, purtroppo, ad oggi nessun riscontro - conclude l’Ugl - su quanto segnalato è giunto, e pertanto si continua a sperare rimanendo in uno stato di speranza e attesa. Sulmona (Aq): Uil; in arrivo commesse del piano carceri, ma manca videosorveglianza Ansa, 16 settembre 2010 “In un supercarcere dove mancano dispositivi di videosorveglianza, allarmi di antiscavalcamento e ricetrasmittenti per gli agenti, il ministero della giustizia vorrebbe dirottare nel laboratorio di falegnameria tutte le commesse legate ai nuovi istituti da costruire, previsti nel famigerato piano carceri”. È il ritratto in chiaroscuro emerso dal lungo sopralluogo che il responsabile nazionale della Uil penitenziari Eugenio Sarno, ha fatto stamattina nella casa di reclusione sulmonese, assieme al segretario regionale Pino Giancola, Giuseppe Ventresca e Mauro Nardella, segretario provinciale del sindacato. La visita, che arriva a 24 da quella fatta nel penitenziario di Lanciano, è durata circa 4 ore, in cui ogni sezione è stata visionata e in cui sono emerse le note criticità dell’istituto sulmonese. Dalle più banali, come quella delle lampadine nelle celle a 24 watt, ormai obsolete e introvabili, che i detenuti staccano la notte per andare in bagno, o quella delle torce elettriche che gli agenti si portano da casa per le perlustrazioni notturne; alle più serie che vanno sotto il nome di carenza di personale di polizia e sanitario (con un solo psichiatra che presta servizio per 60 ore al mese) e di sovraffollamento. “ma ci sono anche positive - ha detto Sarno - ci sono 225 detenuti che lavorano, seppur parttime, l’annuncio di impiegare il laboratorio di falegnameria per le commesse legate ai nuovi istituti del piano carceri, cosa che dovrebbe trovare anche conferma dalla negazione alla nostra richiesta di spostare la casa lavoro, il che ci induce a pensare che il lavoro dovrà arrivare. Anche se gli stessi imprenditori e amministratori locali potrebbero adoperarsi di più per far arrivare commesse all’interno dell’istituto”. Per quanto riguarda le proposte Sarno ha aggiunto: “oltre a rinnovare la richiesta di maggior dialogo con la direzione, chiediamo una nuova organizzazione del lavoro, che non penalizzi gli straordinari e tenga conto delle effettive necessità di nuovi turni. Non si può ricattare moralmente il personale penitenziario con rendiconti bassi nei rapporti di fine anno. Si deve tener presente che i dei 60 agenti in malattia questa estate la gran parte di loro ha sulle spalle 27 anni di servizio, 27 anni in galera”. Immagine attiva”Il vero problema di questo istituto sono gli internati che non lavorano e che mettono in atto episodi autolesionistici - ha aggiunto Nardella (foto 3) - speriamo che Sarno riesca a ad arrivare alle orecchie dell’amministrazione penitenziaria, che anziché darci una mano continua a diminuire il numero degli agenti assegnati alla struttura”. A parlare in questo caso, come detto dallo stesso Sarno, però, sono più i numeri, snocciolati da lui stesso all’inizio del colloquio con la stampa, tenutosi come sempre fuori dai cancelli dell’istituto. A fronte di una capienza massima di 275, i detenuti sono arrivati a quota 454, di questi 149 sono in regime di alta sicurezza, 168 sono internati (di cui 2 con articolo 41 bis) e 15 collaboratori di giustizia di fascia 1 (quella precedente alle misure di protezione); 165 di loro soffre di patologie psichiche e legate alla tossicodipendenza. Solo quest’anno sono stati 2 suicidi, 11 i tentativi e 79 gli episodi autolesionistici svenati dagli agenti. Questi ultimi sono 278 effettivi, più 16 distaccati (294 in totale, quando la pianta organica ne prevede più di trecento). Il sindacalista invierà il resoconto della sua visita al prefetto, al procuratore e al direttore generale della Asl. Federica Pantano. Lecce: Cisl; bene la creazione del tavolo di lavoro per le problematiche del sovraffollamento Ansa, 16 settembre 2010 Da mesi, ormai, in tanti stanno mettendo in evidenza ognuno a secondo della propria competenza e punto di osservazione, la grave situazione in cui versa il Carcere di Lecce sotto tutti i punti di vista. A tal proposito, pubblichiamo integralmente il comunicato della segreteria provinciale Cisl Fps Lecce che dopo l’incontro avuto con la direttrice del carcere lascia intravedere qualche spiraglio di luce. Si legge nel comunicato: “La segreteria Provinciale della Cisl Fp interviene sulla polemica innescata sulla funzionalità del supercarcere di Lecce e sulle relative responsabilità. È palese a tutti ormai che la situazione che sta vivendo il Carcere di Lecce è senza precedenti infatti non si era mai raggiunto un numero così alto di detenuti e questa situazione ha determinato da parte di chi nel carcere opera un super lavoro che nei mesi estivi è stato avvertito in maniera più pesante in particolare dal corpo di Polizia Penitenziaria dagli Educatori e ancora di più dal settore Sanitario. Detto questo l’altra notizia è che tutte le carceri italiane vivono questo dramma. La differenza con il resto dell’Italia è che a Lecce tutti gli addetti ai lavori (Amministrazione, Sindacati, associazioni di volontariato ecc..) hanno lavorato sin dal primo momento per tentare di rendere meno pesante vivere nel carcere. A questo serviva la riunione richiesta per venerdì 10 settembre scorso dalla dottoressa Maria Rosaria Piccinno direttrice del Carcere di Lecce e questo è avvenuto, con soddisfazione dei partecipanti si sono chiusi i lavori stabilendo di istituire un tavolo permanente tra l’Amministrazione e tutti gli altri soggetti interessati che già nei prossimi giorni dovrà convocarsi per passare ad una fase operativa rispetto al problema dell’affollamento del carcere. Questa la cronaca, quella vera. Tentare di demolire ciò che con tanta fatica si sta tentando di costruire magari utilizzando la disinformazione come mezzo di propaganda è facile magari servirà a chi disinforma no di certo a chi lavora seriamente né tantomeno a risolvere il problema”. Bologna: al carcere minorile ragazzi in cucina, per imparare un lavoro Redattore Sociale, 16 settembre 2010 Pane, pizza, gelato, pasticcini, lasagne. Sono alcuni dei prodotti preparati da “Provarci gusto”, laboratorio aperto all’interno del carcere minorile del Pratello. L’assessore Marzocchi: “Formazione a un lavoro vero e facilmente spendibile”. L’Istituto penale minorile inaugura la nuova cucina del laboratorio di ristorazione Provarci gusto, allestito ex-novo a carico della Fondazione del Monte. Obiettivo del progetto, nato nel settembre 2009 su iniziativa del Centro di giustizia minorile per la regione col contributo della Fondazione del Monte, è quello di attivare percorsi di formazione professionale rivolti ai 22 ospiti dell’istituto penale per minorenni (Ipm) di Bologna. Il laboratorio garantirà l’attività formativa per almeno 10/15 anni a ragazzi di età compresa trai i 14 e i 21 anni, di diversa origine che, grazie all’apprendimento di regole e competenze e una qualifica professionale nella ristorazione, potranno trovare un’occupazione e inserirsi adeguatamente nel mondo del lavoro una volta usciti dal carcere. Dal mese di giugno il Fomal, ente di formazione accreditato dalla regione Emilia-Romagna, ha avviato il percorso formativo che prevede l’adozione di metodologie innovative strutturate in base ai brevi tempi di permanenza (generalmente 2-3 mesi) dei ragazzi nell’Ipm. I corsi di formazione riguardano in particolare profili di cucina (panetteria, pizzeria, pasticceria), gelateria e yogurteria, tutti riconducibili alla qualifica regionale di Operatore della ristorazione. “Si tratta di un lavoro vero facilmente spendibile all’esterno” commenta l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, congratulandosi del lavoro svolto in maniera concertata da tutte le istituzioni e del grande investimento di risorse ed energie pubbliche e private. “Questo modello funziona perché va in direzione di un’apertura del carcere verso la società bolognese. Per l’Ipm è fondamentale il rapporto con la città, come dimostra il suo cancello aperto su via del Pratello. - prosegue Marzocchi - Credo che il carcere minorile possa diventare una risorsa che eviti il difficile percorso carcerario nell’età adulta. Se si lavora bene a questo livello, con modalità volte al reinserimento, sipuò intervenire anche sul grande problema dell’affollamento delle carceri”. Varese: i ragazzi andranno a scuola con il pulmino guidato dai detenuti Varese News, 16 settembre 2010 È l’ultima idea del Comune di Malnate (Va) per potenziare il servizio di scuolabus reinserendo nel contempo in società persone con difficoltà a trovare un lavoro. Collaborare con cittadini sottoposti a restrizioni della propria libertà personale non è una novità da queste parti. Il sindaco Sandro Damiani, infatti, alcuni mesi fa propose di utilizzare i detenuti per svolgere diverse attività sul territorio partendo dai lavori di manutenzione di cui molte parti del paese necessitano. Così, nel corso del tempo i cittadini inseriti nel progetto comunale, nato con la collaborazione del Ministero di Grazia e Giustizia, sono già stati impiegati per piccole attività di manutenzione ordinaria. “L’obiettivo - spiega il sindaco Damiani - è quello di poter offrire un servizio sul territorio cercando di rispondere anche una finalità di tipo sociale e cioè il reinserimento nella società di persone che in passato hanno avuto dei problemi con la giustizia”. Nessun problema, insomma, e tanta voglia di andare avanti alimentando un progetto che potrebbe portare altre novità in futuro. L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di utilizzare un pulmino da otto posti, simile a quello già in uso come Bus Navetta del sabato, che potrebbe essere consegnato al Comune in caso di esito positivo del bando a cui l’ente ha preso parte e che scade gli ultimi giorni di settembre. Porto Azzurro (Li): inchiesta sulla truffa ai fondi europei, detenuti sfruttati e ricattati Il Tirreno, 16 settembre 2010 Avrebbero incassato i soldi dell’Unione Europea per corsi di formazione inesistenti e avrebbero ricattato i detenuti: niente proteste per straordinari non pagati, giorni di riposo non concessi e misure di sicurezza inesistenti, pena la perdita dei benefici di legge sulla detenzione agevolata (cioè la possibilità di lavorare fuori del carcere). Almeno in un caso, poi, sarebbero riusciti ad ottenere lavori in appalto truccando la gara con un ribasso irregolare. Questi alcuni dei fatti contestati a vario titolo ai 13 indagati (ma un quattordicesimo avviso di garanzia sarebbe in arrivo) nella maxi inchiesta condotta dalla guardia di finanza sulle attività della cooperativa sociale San Giacomo. Tra le persone coinvolte il responsabile della cooperativa e dei servizi educativi del carcere di Porto Azzurro, Domenico Zottola, e il direttore dell’istituto penitenziario, Carlo Mazzerbo le cui posizioni, insieme a quelle degli altri 11 coinvolti, sono ora al vaglio del giudice per le udienze preliminari. La società di Porto Azzurro al centro dell’inchiesta da anni si occupa del reinserimento lavorativo dei detenuti del carcere di Forte San Giacomo, i cui vertici, insieme a numerosi impiegati, collaboratori e consulenti esterni nonché un agente della polizia penitenziaria, sarebbero nei guai per concussione, truffa, appropriazione indebita, falso, turbativa d’asta, e in alcuni casi anche per reati di tipo ambientale. Nello specifico le Fiamme gialle hanno sequestrato un terreno, a Porto Azzurro, dove la cooperativa avrebbe interrato illegalmente inerti e materiali nocivi, tra cui eternit, per evitare i costi dello smaltimento. Il filone più consistente dell’inchiesta riguarda tuttavia alcuni corsi di formazione rivolti ai detenuti per i quali l’Unione europea aveva concesso finanziamenti che non sarebbero mai stati utilizzati, però, per lo svolgimento delle lezioni. Per questo nell’indagine sono finiti anche i docenti di quei corsi. A questo si aggiunge l’ottenimento in appalto di lavori di disboscamento sull’isola di Pianosa sulla base, però, di una gara che sarebbe stata truccata con un ribasso irregolare. Da qui l’ipotesi di reato di turbativa della libertà degli incanti. Le indagini sono state condotte, per oltre un anno, tramite perquisizioni domiciliari, intercettazioni, sequestri ed anche verifiche fiscali. Tra gli indagati, oltre a Domenico Zottola e Carlo Mazzerbo, un socio lavoratore della cooperativa, Nicola Paradiso, ex detenuto di Porto Azzurro, e consulenti esterni e impiegati tra cui Paolo Piga, Elena Pascale, Giovanni Zottola (figlio di Domenico), Paolo Talucci, Vincenzo Camaretta, Riccardo Rebua, Claudia Lorenzini, Alessandro Bigio e Michelangelo Meola. Milano: due agenti penitenziari a processo per aver stuprato due trans in carcere Affari Italiani, 16 settembre 2010 Chiesto il processo per due agenti della polizia penitenziaria accusati di aver stuprato dei detenuti transessuali nelle carceri di San Vittore e di Bollate, abusando dei propri poteri. La richiesta è stata formulata dal pubblico ministero Isidoro Palma che contesta ai due agenti i reati di concussione sessuale e violenza sessuale con l’aggravante di averli commessi ai danni di persone sottoposte alla limitazione della libertà personale e in qualità di pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni. L’udienza preliminare si terrà a dicembre. Il primo agente, un ispettore superiore in servizio a San Vittore di 56 anni, nel luglio 2008 in due occasioni avrebbe convocato un primo detenuto transessuale nel proprio ufficio. Rimasto solo con lui, gli avrebbe detto di essere il “comandante delle guardie”, pretendendo un rapporto sessuale. Tra il giugno e il settembre dello stesso anno avrebbe riservato quattro volte lo stesso trattamento a un altro transessuale. Ancora, avrebbe convocato il detenuto nell’ufficio, ricordato chi è che comanda e richiesto rapporti sessuali in cambio della promessa di soddisfare rapidamente le richieste di ricevere vestiti in cella presentate dal trans. Il secondo imputato è invece un assistente di polizia penitenziaria, che avrebbe violentato le stesse due vittime. La prima a San Vittore e la seconda a Bollate. Se le ipotesi di reato sono le stesse del collega, diverse, però, le modalità delle presunte violenze. Avrebbe avvicinato il primo transessuale nel settembre 2008, intimandogli di non creare problemi e costringendolo a un rapporto attraverso le grate della sua cella alla presenza degli altri detenuti. In una seconda occasione, nell’estate del 2009, si sarebbe chiuso con lui nella cella. Poi avrebbe riservato lo stesso trattamento al secondo trans nell’agosto del 2009, una volta trasferito con l’altro transessuale nel carcere di Bollate, dove le due vittime condividevano la stessa cella. L’inchiesta aveva preso il via dalle confidenze della prima vittima a un operatore del carcere che aveva fatto aprire una prima indagine della stessa polizia penitenziaria. I due transessuali nei mesi scorsi hanno confermato le accuse in sede di incidente probatorio. Libri: “Mondo recluso. Vivere in carcere in Italia oggi”, di Davide Pelanda La Civiltà Cattolica, 16 settembre 2010 Tra le varie gravi questioni che affliggono l’opinione pubblica italiana, e che richiedono sempre più urgentemente un intervento, spicca quella delle carceri. Il volume del Pelanda - insegnante, giornalista e autore di cinque libri, tutti legati alle principali tematiche sociali, italiane e non - è tra le analisi più recenti e inquietanti. Mondo recluso è sostanzialmente un viaggio compiuto non sulla base di freddi dati numerici, bensì attraverso il sentire e le considerazioni di quanti, a vario titolo, “lavorano nelle carceri italiane”, sperimentando ogni giorno quel vivere disumano - strutturale, ma anche psicologico ed emotivo - in una realtà sempre più tragica. Questo volume ha il merito di dare voce a quelli che, per motivi diversi, hanno “incontrato il carcere” nella loro vita: ossia, non soltanto chi - in quanto detenuto - vive sulla propria pelle una realtà fisica e morale sempre più lontana dai valori basilari dovuti alla persona, ma anche chi, lavorando ogni giorno nelle tante case circondariali - guardie carcerarie, membri dell’amministrazione penitenziaria, volontari, cappellani, psicologi ecc. -, manifestano la frustrazione per un impegno sempre più arduo e ben poco incisivo. Quella carceraria, d’altronde, è una realtà che non può essere liquidata soltanto attraverso numeri e dati, peraltro necessari se si vuole avere la dimensione anche quantitativa di una situazione giunta ormai al collasso. Dietro quelle drammatiche cifre vi sono infatti storie di esseri umani, percorsi diversi, vicende e culture differenti (basti pensare al numero crescente di immigrati presenti nelle carceri italiane): tutte specificità che non possono essere disattese. In queste pagine colpisce soprattutto l’intreccio tra detenuti e operatori del carcere, e l’allarme conseguente per una situazione non solo opposta alle indicazioni della Costituzione (art. 27), ma anche esposta al rischio concreto di sfociare in esiti pericolosi, se non drammatici. In tal senso fanno riflettere le parole dei due direttori intervistati, come pure i colloqui con quattro dei tanti volontari che a diverso titolo sono coinvolti nelle lodevoli iniziative presenti in alcune carceri; per tacere delle storie di alcuni detenuti: in particolare tre donne alle prese con l’ulteriore gravosa situazione di essere state madri in carcere. Le esperienze che l’A. ha pazientemente raccolto hanno in comune la “variamente gridata” necessità di una riforma, di un cambiamento che va attuato oggi e non in un generico futuro, come troppo spesso la classe politica va ripetendo. Se infatti la direttrice della Casa circondariale di Reggio Calabria insiste sul mandato riabilitativo, “che il penitenziario deve adempiere, impegnandosi a fornire all’adulto strumenti ed elementi perché possa riappropriarsi della propria dignità di persona e di uomo” (p. 51), gli fa eco la precisa testimonianza di un ergastolano, il quale - a proposito della sua vita segnata dalla condanna “fine pena mai” - afferma: “Per sopravvivere alla torsione del tempo è decisivo costruire un tempo per sé caratterizzato da un proprio fare autodeter-minato, cosa non facile. [...] Di notte quando si chiudevano le celle mi lasciavo andare alla pittura usando la terra del Campetto di calcio del carcere di “Rebibbia” e altre materie colorate che avevo in cella per cucinare, lo zafferano ad esempio” (p. 63). Ma, di fronte a esperienze in qualche modo di rinascita, l’A. non tralascia le parole di chi invece ha una visione opposta, fatta di sfiducia e disillusione: “Ora sono un ex. Ex detenuto, disadattato, arrabbiato, sfiduciato dall’istituzione carceraria, che giudico più criminale dei detenuti che ospita. Non sopporto più la vicinanza di qualcuno, non dormirò mai in una stanza con un’altra persona” (p. 3 s). L’orizzonte di questo libro però, giova rimarcarlo, non è quello di una sterile e inutile polemica, ma quello di mettere in evidenza le necessità e priorità che un cambiamento radicale, in termini legislativi, dovrebbe fare proprie. Le riflessioni dell’A. - eco dei protagonisti di questo libro - offrono al lettore un quadro complessivo che non va disatteso né sminuito. E che, anzi, chiama in causa la responsabilità di tutti, senza alcuna tentazione di delega o deresponsabilizzazione. Le carceri, e soprattutto le persone che ne vivono la dura realtà, sono un aspetto ineliminabile della società, e quindi tutti devono prenderle in considerazione: poiché anch’esse sono - dovrebbero essere - società civile e umana. “Il carcere dunque non riguarda solo gli altri, quelli che hanno sbagliato, quelli rinchiusi tra le mura, comprese le guardie carcerarie che, per lavoro e spesso senza strumenti adeguati, si trovano in una situazione estrema di stress. Ciò che avviene dentro le mura riguarda ognuno di noi” (p. 5). In breve, questo libro è uno strumento di conoscenza e approfondimento, come pure di sensibilizzazione circa una problematica che deve (dovrebbe) interessare tutti. Russia: 14 giorni di carcere a leader dell’oppositore, per manifestazione non autorizzata Ansa, 16 settembre 2010 Un leader dell’opposizione di San Pietroburgo è stato condannato a 14 giorni di carcere per aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata e per resistenza a pubblico ufficiale. Si tratta di Andrei Pivovarov, capo della sezione locale dell’Unione democratica popolare, il movimento politico creato dall’ex premier Mikhail Kasianov. “È un caso senza precedenti. Nessuno è stato arrestato in Russia così a lungo per aver partecipato ad un evento politico”, ha commentato Ielena Dikun, una portavoce del movimento. Pivovarov è stato sanzionato anche con una multa di 2.000 rubli (50 euro). Il noto avvocato Genri Reznik, parlando con Radio Eco di Mosca, ha sostenuto che la punizione è troppo severa per il tipo di violazione e che la corte avrebbe dovuto solo multare l’interessato. Pivovarov aveva partecipato ad una delle manifestazioni - non autorizzate - tenute alla fine di ogni mese per richiamare l’attenzione sull’articolo 31 della Costituzione, che garantisce il diritto di libertà di assemblea. Russia: caso Magnitsky; l’indagine scagiona i medici del carcere Ansa, 16 settembre 2010 I medici del carcere non sono responsabili della morte di Sergei Magnitsky. Questo il risultato dell’indagine russa sul caso dell’avvocato 37enne che lavorava per William Browder e che è deceduto in circostanze misteriose e tragiche alla fine dello scorso anno, in un ospedale penitenziario. In base a informazioni precedenti, Magnitsky è morto in una camicia di forza, afflitto dal dolore (pancreatite o addirittura necrosi del pancreas). Dopo un’agonia di oltre un’ora. L’inchiesta a suo carico lo vedeva accusato di evasione fiscale pari a oltre 500 milioni di rubli. Il suo caso rimanda al più ampio ‘dossier Browder’, ossia l’investitore che denunciò episodi gravi di corruzione nell’elite finanziaria moscovita. Di conseguenza Hermitage Capital Management, società di Browder, venne esclusa dal territorio russo. I suoi legali avevano intentato una “causa penale” contro “il capo della prigione e il medico della prigione” per “negligenza”, “abbandono” e “assenza di cure mediche adeguate”.