Giustizia: dai fallimenti del passato deve arrivare una spinta per ripensare il carcere di Mauro Palma Il Manifesto, 15 settembre 2010 Qualche ventosa giornata ricorda a tutti l’arrivo dell’autunno e, ai consueti problemi della ripresa, si aggiunge l’affanno di un’estate in cui lo scontro politico istituzionale ha avuto la meglio su quello politico sociale. Scenari multipli sono stati proposti per gli equilibri dell’assetto dei partiti e delle loro alleanze, ma nessuno scenario è stato proposto per altri problemi; in primis, per quello di una società che non è in grado di misurarsi con le proprie contraddizioni. E misurarsi non è darne una mera descrizione, bensì ipotizzare modalità concrete per ridurre la loro drammatica incidenza nelle condizioni di vita dei soggetti e nelle culture in cui esse si collocano. Così, l’enfasi descrittiva di un’estate in cui anche i disattenti si sono resi conto delle condizioni di vita in carcere e dell’impossibilità delle pene che là si scontano di rispondere al senso di umanità e al dettato costituzionale, rischia di lasciare il campo a stanche e rituali ripetizioni: stesse analisi, stessi dibattiti, stesse inefficaci proposte. Proprio su queste pagine però si è manifestata, nel mese scorso, la volontà di aprire una riflessione diversa su questi temi - da ultimo lo ha fatto Franco Corleone (25/8). Partendo da alcuni fallimenti, inclusi quelli che riguardano provvedimenti su cui molto si era puntato in passato: la riforma della polizia penitenziaria, il nuovo regolamento, la definizione delle professionalità operanti in carcere. Aspetti, questi, che, integrandosi, determinano nel concreto la vita detentiva. Può, quindi, essere utile aprire una discussione su di essi. Il primo, il carcere in Italia difetta anche plasticamente e architettonicamente di spazi che diano senso a una pena volta al reinserimento: questo anche nelle situazioni non sovraffollate (qualora ce ne fossero). Perché è centrato su due modelli: quello panottico delle vecchie costruzioni e quello lineare adottato dagli anni settanta. Entrambi interpretano una visione occhiuta e deresponsabilizzante del tempo detentivo e, quindi, dello spazio dove esso scorre: luogo dove sostanzialmente controllare e custodire soggetti “infantilizzati” a cui si chiede solo di aderire a una routine quotidiana, distante dalla complessità della scena esterna; luogo dove si ritrovano mescolate persone che attendono gli esiti dell’indagine, persone che avrebbero più bisogno di tutela sociale che non di punizione, persone che hanno commesso gravi reati. Già la distinzione tra indagati e condannati stenta a essere praticata e tutti sono insieme, fruitori della stessa attesa inerte. Il secondo riguarda l’identità professionale di chi in carcere lavora. Non credo si possano giudicare positivamente gli esiti della ormai ventennale smilitarizzazione del corpo degli agenti di polizia penitenziaria senza interrogarsi se nei fatti si siano dati solo nomi diversi a situazioni pre-esistenti e se l’attuale fisionomia non finisca in fondo per deprimere proprio la connotazione professionale. Bandiere, scudetti e cerimonie del “corpo” non sostituiscono di certo l’identità che chi lavora in questo settore richiede. Che si costruisce invece con formazione, numeri non esorbitanti, distinzione di funzioni e riduzione di quelle strettamente di controllo a un più ristretto sottoinsieme. Colpisce vedere, in alcune esperienze ben funzionanti fuori Italia, i numeri molto più contenuti degli addetti alla sicurezza e un ben più ampio settore di coloro che svolgono funzioni di tipo diverso. Il terzo aspetto riguarda l’esterno del carcere, cioè le misure alternative che oggi sembrano disegnate sulla logica dell’interno, seppure senza sbarre. Il territorio resta muto supporto e non attore. Anche qui intervengono gli spazi: perché non recuperare il patrimonio territoriale, spesso non utilizzato, per un progetto di esperienza abitativa esterna, controllata, ma non piegata al ritorno a sera tra le mura e alle sue logiche? E riguarda anche il personale: la funzione di assistenza sociale di giustizia deve continuare a rimanere diversa da quella sociale tout court o non integrarsi con essa, fino a un completo mescolamento? Aspetti su cui vale la pena discutere se la promessa estiva del voltare pagina la vogliamo declinare oltre che sull’emergenza , che ovviamente richiede risposte urgenti, anche su un più generale ripensamento. Giustizia: le storie di ordinaria “distrazione” dell’amministrazione penitenziaria di Dimitri Buffa L’Opinione, 15 settembre 2010 “Le cose strane dell’amministrazione penitenziaria”. Ovvero: sprechi, privilegi, auto blu, burocrazia parassitaria, cavalli senza cavalieri e navi senza marinai e altre cosette poco chiare. Roba che fa un po’ arrabbiare vista l’attuale condizione carceraria italiana e la acclarata impossibilità di venirne a capo. Tutte denunciate da un sindacalista sul proprio blog. Eugenio Sarno è infatti il segretario del sindacato degli agenti di custodia della Uil. Ha un blog, che si chiama “Eugenio”, come lui, e lo usa come strumento prediletto per queste denunce, all’interno del portale www.baschiblu.info. Difficile derubricare questi scandali e queste denunce nella categoria dello spirito “sfoghi di un agente di custodia frustrato”. Sarno perché scegliere un blog per fare queste denunce? Perché ormai l’informazione viaggia in rete e perché i media tradizionali non sempre sono così disponibili. Quali sono le cose strane che ha visto nell’amministrazione che si occupa di carceri? Capita che a Lucca si può costruire un tetto nuovo di zecca su un edificio dismesso o costruire una carraia dalla quale non transiterà mai nessun mezzo o anche disporre di nuovissimo rilevatore a raggi X per il controllo degli effetti e non utilizzarlo. Altre ingiustizie? Capita anche che un dirigente offenda e vilipenda il Corpo della polizia penitenziaria e continui non solo ad esercitare ma anche a rimanere nella propria sede. Capita che molti dirigenti violino le disposizioni in materia di formulazione di giudizi annuali nella certezza che mai alcun addebito verrà loro contestato. Capita che le disposizioni dipartimentali emanate dal capo del Dap vengano puntualmente disattese. Avete notizia di qualche provvedimento disciplinare? Capita che al Ced si sbagli incidendo negativamente sulle buste paghe dei lavoratori e che mai nessuno renda conto. Nella nostra amministrazione capita anche che pur disponendo di circa 800 unità abilitate, circa 50 istituti siano privi di un direttore titolare”. Ci sono anche episodi esilaranti di spreco di denaro pubblico, non è così? Esilaranti sì, ma c’è poco da ridere: come il fatto che il Dap istituisca il reparto a cavallo. Non avendo possibilità di maneggi idonei trasferisca i cavalli in Sardegna e appiedi i cavalieri che sono fermi e a disposizione del Caga. Così come capita che si istituisca il servizio navale ma si tengano le motovedette in rimessa e i pol-pen marinai a sorvegliare le barche ferme. È vero che hanno sbagliato l’appalto delle manette? Sì, è successo anche che il Dap abbia speso ingenti somme per l’acquisto di mezzi e strumenti che alla prova dei fatti si rivelano inutilizzabili. È il caso delle nuove manette modulari. Non solo sono poco funzionali perché eccessivamente ingombranti e pesanti (tanto da rappresentare veri e propri oggetti contundenti capaci di arrecare seri danni fisici) ma sono anche diversamente utilizzabili. Della serie compri 5 e ne usi 2. Proprio così. Perché qualche dirigente illuminato del Dap ha autorizzato l’acquisto di manette confezionate in valigette (stile James Bond) da 5 coppie. Ma si da il caso che in ogni valigetta siano disponibili solo due chiavi per cinque coppie di manette. C’è da aggiungere altro ?” Altri sprechi da segnalare? Al Nucleo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti di Caserta abbiamo potuto constatare de visu come i nuovi mezzi protetti adibiti al trasporto detenuti siano già fermi dopo solo poche settimane dalla messa in strada. Motivo? Cedono le cerniere delle portiere che si incastrano nella carrozzeria. Ma qualcuno del Dap avrà formulato giudizio positivo in sede di collaudo? Anche qui abbiamo ragionevole certezza di prevedere che nessuno sarà chiamato a fare ammenda”. Poi c’è il caso delle auto blu… Esatto: dal 15 settembre le auto di servizio saranno fruibili solo per i Dirigenti Generali dell’Amministrazione. Questo dovrebbe significare che tanti dirigenti superiori e moltissimi direttori d’istituto dovranno far ricorso alla propria autovettura. Noi crediamo che vedremo tantissime auto blu della pol-pen adibite al trasposto e all’accompagnamento dei dirigenti superiori e dei direttori d’istituto”. Giustizia: incostituzionale il carcere come unica misura cautelare nei reati sessuali Altalex, 15 settembre 2010 È incostituzionale prevedere il carcere quale unica misura cautelare possibile nei reati sessuali. È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza 265/2010, con la quale si è negato che sia possibile estendere automaticamente ai reati di natura sessuale quanto previsto dal codice di procedura penale per i delitti di mafia, senza considerare misure meno “afflittive”. “Ciò che rende costituzionalmente inaccettabile la presunzione stessa” continua il giudice delle leggi “è per certo il suo carattere assoluto, che si risolve in una indiscriminata e totale negazione di rilevo al principio del “minore sacrificio necessario” anche quando sussistano specifici elementi da cui desumere, in positivo, la sufficienza di misure diverse e meno rigorose della custodia in carcere”. La Corte costituzionale, pur bollando come “odiosi e riprovevoli” i delitti a sfondo sessuale, nega che questi possano essere sottoposti al medesimo trattamento dei crimini mafiosi. La deroga al principio che impone la valutazione di una gamma di misure è stata imposta, nel caso della mafia, dalla necessità di troncare i rapporti tra l’indiziato e “l’ambito delinquenziale di appartenenza”. Con particolare riguardo alla tutela penale della libertà sessuale, viene evidenziato come si tratti, frequentemente, di fenomeni di devianza individuale che si manifestano attraverso condotte della più diversa gravità, spesso conseguenti a patologie, le quali possono, in un non trascurabile numero di casi, risultare contenibili, sul piano cautelare, con misure diverse dalla custodia in carcere. Da ciò il bisogno di differenziare, sulla base dell’analisi delle circostanze del caso concreto, i vari fatti riconducibili al paradigma legale astratto. È principio costante, nella giurisprudenza costituzionale, quello secondo cui, in ossequio al favor libertatis che ispira l’art. 13 Cost., la discrezionalità legislativa nella disciplina della materia considerata deve orientarsi verso scelte che implichino il “minore sacrificio necessario”. Con la conseguenza che nel caso in cui la compressione dei principi di “adeguatezza” e “graduazione” non trovi coerente ragione giustificatrice nel corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti, essa costituisce lesione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza, attraverso un uso distorto della discrezionalità legislativa. Sardegna: Pd contro costruzione 3 Opg per trasferire internati da Montelupo Fiorentino Adnkronos, 15 settembre 2010 “Scopriamo che per i malati psichiatrici sardi, ora detenuti nell’Ospedale psichiatrico giudiziario toscano di Montelupo Fiorentino, l’Assessore Liori (Sanità, ndr) prevede la costruzione di tre Opg in terra natale dove raccoglierli e custodirli; a detta dell’assessore la scelta è obbligata, anche in ragione dei costi che il mantenimento di questi internati implica”. Lo afferma in una nota il dipartimento Sanità del Pd Sardegna. “Vogliamo ricordare all’Assessore Liori - si legge nella nota del Pd - che nel 2004 la Sardegna deteneva il primato nazionale degli internamenti in Opg, 4,48 ogni 100mila residenti, più del doppio della media nazionale, che è di 2,22 per 100mila residenti. Dal 2004 al 2008, questo tasso si è ridotto a 2.15. In quegli anni ci si è impegnati a lanciare un vasto programma di interventi per la salute mentale nel territorio, senza la realizzazione di un solo OPG, ma potenziando i servizi territoriali e rendendoli capaci di assicurare la conduzione di programmi personalizzati di intervento basati sulla valutazione dei bisogni delle persone (pazienti, familiari, vittime) poi tradotti in percorsi di cura e di riabilitazione”. “Il principio dell’universalità del diritto alla salute - prosegue il Pd - che riguarda tutti i cittadini inclusi quelli in stato di detenzione, è stato ribadito come passo decisivo di civiltà dal Decreto del 1 aprile 2008 che regolamenta il trasferimento della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario delle Regioni. In esso - ricorda il Pd sardo - si sottolinea che l’ambito territoriale costituisce la sede privilegiata per affrontare i problemi della salute, della cura, della riabilitazione delle persone con disturbi mentali. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso un percorso, graduale e cadenzato, di presa in carico degli internati in Opg da parte delle Regioni e delle Asl territorialmente competenti”. “Nel declinare i principi e le procedure per il trasferimento delle funzioni sanitarie dell’Amministrazione penitenziaria - prosegue il dipartimento Sanità del Pd sardo -, il decreto dedica una attenzione particolare al problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, strutture che, come evidenziato dalla Commissione sul Sistema Sanitario guidata da Ignazio Marino, ripropongono ancora oggi il quadro agghiacciante dei manicomi criminali. Questo decreto non è stato, tuttavia, ancora attuato in Sardegna, in quanto mancano norme di attuazione, da definirsi in un accordo Stato-Regione che ci auguriamo venga approvato quanto prima”. “Ben tre anni prima dell’approvazione del Decreto del 2008 - concludono i responsabili democratici della Sanità -, la Sardegna si era mobilitata per superare la vergogna del suo triste primato, raggiungendo risultanti eclatanti. Oggi dobbiamo prendere atto che l’Assessore è tornato alla preoccupante logica primordiale del questi dove li metto! e utilizza tre milioni di euro per costruire tre piccoli, possibilmente poco visibili, ospedali psichiatrici giudiziari”. Toscana: Radicali; la Regione nomini il Garante dei diritti dei detenuti Adnkronos, 15 settembre 2010 “Matteo Renzi è il primo fra 15 sindaci interpellati dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto, che ha intimato, con provvedimento dirigenziale all’amministrazione del carcere di Sollicciano, di intervenire immediatamente per porre rimedio ai gravi problemi che rendono il penitenziario insalubre per i detenuti, agenti e operatori. Mentre plaudiamo all’iniziativa del Sindaco di Firenze siamo ancora in attesa che il Presidente della Regione Enrico Rossi provveda alla nomina del Garante regionale dei detenuti”. Lo scrive, in una nota, l’associazione radicale Andrea Tamburi, aderente a Radicali Italiani. “La legge regionale n. 69 del 19 novembre 2009 - ricordano i Radicali - ne prevede la nomina fin dal 1° gennaio scorso ed i nostri continui solleciti rivolti al Presidente sono a tutt’oggi rimasti senza riscontro”. Toscana: Idv; all’Opg di Montelupo serve innanzitutto più personale sanitario Il Tirreno, 15 settembre 2010 Più che investimenti sulla struttura, l’Opg di Montelupo ha bisogno di più personale sanitario. Gli agenti carcerari non possono fare il lavoro che spetterebbe agli infermieri. In una struttura che accoglie 170 persone invece di 120, il personale sanitario è composto da solo 10 infermieri e 6 psichiatri, di cui 3 partime. Data la particolare fragilità di questo tipo di detenuti e la necessità che hanno di cure e assistenza, è evidente che il personale sanitario non basta a far fronte a tutte le esigenze dei reclusi, che sono, al tempo stesso, anche dei pazienti dell’istituto. Al momento è più urgente investire per riequilibrare il rapporto tra sicurezza e sanità. Spesso gli agenti di sicurezza si trovano coinvolti in funzioni che non gli sono proprie, funzioni di vigilanza dei detenuti-pazienti. Andrebbe potenziato l’aspetto sanitario, sacrificato rispetto a quello carcerario, rafforzando il percorso di cura e recupero delle persone. Se la civiltà di un paese si giudica da come vengono trattati detenuti e malati, allora c’è ancora della strada da fare. Ci vuole più attenzione verso questo istituto, sia da un punto di vista economico che da quello umano verso i detenuti. Se venisse chiuso l’istituto bisogna che venga individuata una sede più idonea, altrimenti non si capisce dove possano andare queste persone, che sono le prime a sperare che non gli venga negato quello che considerano l’unico posto dove poter stare. Marta Gazzarri e Maria Luisa Chincarini, consigliere regionali Idv Campania: il Garante dei detenuti presenta una guida multilingue sui diritti in carcere Asca, 15 settembre 2010 “Una guida multilingue per favorire la conoscenza da parte dei detenuti italiani e stranieri dei loro diritti e doveri”. Sarà presentata domani, giovedì 16 settembre, l’iniziativa del Garante delle Persone sottoposte a pene detentive della Regione Campania, Adriana Tocco, in sinergia l’associazione “Il Carcere possibile”. All’incontro di domani, spiega una nota di Regione Campania, prenderanno parte il presidente del Consiglio Regionale, Paolo Romano, il Garante dei detenuti della Regione Campania, Adriana Tocco, il presidente dell’associazione “Il Carcere possibile”, Riccardo Polidoro, il presidente della Commissione consiliare contro ogni forma di discriminazione, Donato Pica, il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Tommaso Contestabile, la docente dell’ Istituto Universitario “Orientale”, Luigia Melillo, e la scrittrice Valeria Parrella. Firenze: il direttore di Sollicciano; carcere sovraffollato e con poco personale Ansa, 15 settembre 2010 “Ieri i detenuti erano 1.013, oggi siamo sulla stessa cifra. Da tempo ormai superiamo le mille unità, con problemi molto seri anche per quanto attiene la carenza di personale”. Lo ha detto il direttore del carcere fiorentino di Sollicciano, Oreste Cacurri, a margine di un incontro sul taglio di classi scolastiche all’interno dell’istituto. La capienza regolamentare del penitenziario è di 476 detenuti. “Il personale qui fa sforzi sovrumani - ha aggiunto Cacurri -. Il sovraffollamento è certamente una questione di carattere nazionale e va risolto: non dipende da questo o da quell’altro Governo, ormai dura da tempo, da anni”. A Sollicciano era presente anche Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, che, in merito alla possibilità di intraprendere uno sciopero della fame per denunciare il sovraffollamento, ha spiegato: “Sto valutando cosa fare perché la situazione è fuori controllo, è drammatica. Il mio appello è di far uscire al più presto un numero significativo di tossicodipendenti e pensare anche a misure alternative, magari per quelle persone che sono all’ultimo mese di detenzione. La situazione è esplosiva - ha concluso - e occorrono interventi straordinari: tutti pensano che non sia grave perché non ci sono state ancora proteste”. Pordenone: la pena si sconta svolgendo lavori non retribuiti di pubblica utilità Il Friuli, 15 settembre 2010 In dieci sconteranno i loro reati svolgendo lavori non retribuiti di pubblica utilità per conto dell’Amministrazione provinciale. È quanto stabilisce la convenzione triennale firmata stamattina nel Palazzo Sbrojavacca dal presidente della Provincia, Alessandro Ciriani, e dal presidente del Tribunale di Pordenone, Francesco Pedoja. “Una convenzione - ha affermato Ciriani - per dare una mano al Tribunale e per assegnare a queste persone lavori realmente utili alla collettività”. La convenzione, ispirata alla normativa nazionale, prevede che in determinati casi e reati il giudice possa applicare la pena dei lavori utili alla collettività anziché le tradizionali pene detentive o pecuniarie. E comunque “questa pena alternativa - ha precisato subito Pedoja - non viene applicata ai soggetti detenuti”. Diversi i casi per i quali il giudice può decidere la pena alternativa: reati lievi di uso personale e spaccio di stupefacenti; reati gestiti dal giudice di pace, tra cui gli omicidi colposi in violazione del codice della strada (in questo caso però la sanzione del lavoro di pubblica utilità è accessoria e non sostituiva); alcuni reati relativi alla guida in stato di ebbrezza. Un’ ulteriore caso prevede che il giudice possa concedere la sospensione condizionale della pena subordinandola proprio allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità. Le dieci persone verranno inserite nel corso dei tre anni di durata delle convenzione. “Le pene sostitutive non sono state finora molto frequenti, ma è molto probabile che aumentino in seguito all’inasprimento delle pene per la guida in stato di ebbrezza” - hanno affermato Pedoja e Lorenza Martina, dirigente del tribunale, anch’essa presente alla firma. I condannati ai lavori di pubblica utilità svolgeranno il loro impiego per un periodo e con le modalità stabilite dalla sentenza di condanna e di concerto con la Provincia. “Chiaro che, per esempio, non faremo pulire le scuole a chi ha commesso reati di droga - precisa Ciriani - d’altra parte è possibile che ci siano, tra chi ha alzato troppo il gomito solo per una sera, persone con un lavoro e una professionalità da spendere. Valuteremo caso per caso - ha concluso - per tenere conto delle competenze personali e far svolgere a ciascuno il lavoro giusto e utile alla collettività”. I lavoratori opereranno sotto la supervisione dei dirigenti della Provincia, che fungeranno da tutor. Al termine della pena, i tutor dovranno redigere una relazione al giudice che documenti l’assolvimento degli obblighi del condannato. L’ente locale dovrà anche garantire l’integrità fisica e morale dei condannati e fare in modo che la prestazione professionale si svolga nel rispetto delle norme che tutelano i lavoratori. La loro opera sarà inoltre sottoposta a controlli periodici disposti dal giudice. Il quale, in caso di violazione, ordina la revoca dei lavori di pubblica utilità e il ripristino della pena “tradizionale”. Nei prossimi giorni Gianfranco Marino (dirigente provinciale politiche al lavoro) e Frida Miotto (funzionaria della Provincia) incontreranno i vertici del tribunale per definire ulteriori dettagli. Roma: inglese con problemi psichici in carcere per furto libro di preghiere e abito talare Asca, 15 settembre 2010 Condannato per aver rubato un libro di preghiere e un abito talare, un inglese di 22 anni è rinchiuso in isolamento nella sezione G 12 del carcere di Rebibbia N.C. dove, in circa un mese di reclusione, nessuno è ancora riuscito a ricostruire compiutamente la sua vicenda. La denuncia è del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Lo scorso 26 luglio Stephen Michael Marland (nato a Manchester) era entrato nella Basilica di San Giovanni dei Fiorentini di Roma, aveva rubato un libro di preghiere, indossato una stola con ricami dorati e, benedicendo i fedeli, si era avviato verso l’uscita, dove era stato bloccato dai carabinieri. È stato condannato per direttissima a un anno di reclusione per resistenza, furto e lesioni. In carcere per agenti, medici, psicologi e psichiatri Stephen è un “povero cristo” con un forte disagio; alla sua prima esperienza in carcere ha avuto bisogno di diversi colloqui di sostegno ed è stato presto sottoposto a grandissima sorveglianza terapeutica. Secondo uno psichiatra “... non comprende la lingua italiana, appare a tratti smarrito, poco sintonico alla realtà che sta vivendo, ..., dice di non avere bisogno di aiuto ma non riesce ad esprimere e a formulare alcuna richiesta.” Agli operatori, agli educatori e ai mediatori il giovane ha raccontato (a fatica visto che parla inglese con forte accento africano) di essere in Italia in vacanza, ma non è stato in grado di dare i recapiti della famiglia. Per questo l’area educativa e il Consolato hanno avviato ricerche con Facebook. In questo mese il giovane si è comportato in maniera contradditoria: si isola, si rannicchia all’aria e nei sottoscala, nasconde la testa negli angoli del muro, alterna momenti di digiuno e di preghiera. Al mediatore ha raccontato “di sogni e di una chiamata di Dio”. Poi, il 9 settembre, Stephen ha dato vita ad un tentativo di fuga attraverso da una feritoia rotta e per questo è finito in isolamento, in attesa del Consiglio di disciplina e delle decisioni del magistrato. “Quella di Stephen è una storia di fortissimo disagio - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - e tutti ci stiamo adoperando affinché si trovi una soluzione alla vicenda. Questo, tuttavia, non è un caso isolato: nelle carceri ci sono decine di detenuti con problemi di questa gravità. Per questo la domanda che dobbiamo porci è se davvero il carcere sia la sola risposta possibile per questo tipo di situazioni. Come può, in casi come questo, la pena tendere alla rieducazione se non va di pari passo con la tutela della salute?”. Napoli: Saccomanno (Pdl); interrogazione per denunciare situazione a Secondigliano 9Colonne, 15 settembre 2010 “Il 22 luglio scorso, in occasione del sopralluogo della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, non ho potuto fare a meno di notare la presenza di una folla di persone, tra cui donne e bambini, che aspettano ore e ore sotto il sole per accedere all’istituto penitenziario di Secondigliano per la visita ai detenuti”. A dirlo è il senatore Michele Saccomanno, capogruppo Pdl della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, in un’interrogazione indirizzata al Ministro della Giustizia in cui descrive ciò che avviene abitualmente fuori dai cancelli del carcere di Napoli Secondigliano. Soluzioni e iniziative, quali il monitoraggio della quantità di persone in visita o l’assistenza di un garante per i detenuti prima e durante i colloqui, sono le richieste del Senatore Saccomanno per evitare il ripetersi di tali circostanze anche in vista dei mesi invernali e a fronte alle più varie condizioni metereologiche “Non aggiungiamo - conclude il senatore - l’umiliazione al disagio delle code, delle intemperie e dei tempi di attesa che i familiari dei detenuti sopportano ogni mattina davanti ai cancelli del carcere aspettando di fare visita ai propri cari. É fondamentale in quest’ottica l’impegno delle istituzioni per garantire il rispetto della persona umana”. Nuoro: Cgil; i detenuti speciali a Badu ‘e Carros aiuterebbero l’economia del territorio La Nuova Sardegna, 15 settembre 2010 “Badu ‘e Carros? Un modello da imitare. E una fonte di guadagno per il territorio. E non uno spauracchio da agitare per far fare operazioni di immagine a politici e parlamentari”. Così la funzione pubblica della Cgil, che interviene sul dibattito scatenatosi dopo l’ipotesi dell’arrivo dei 41-bis nel carcere nuorese. “È falsa l’affermazione che a Badu ‘e Carros ci sia un sovraffollamento di detenuti - scrive la Fp in una nota - o che sia pieno di terroristi islamici, così come non è suffragata da nessuna notizia certa che il nuovo padiglione sia destinato ad accogliere i 41 bis. Ma se anche fosse vero, qual è il problema? Visto che da anni a Badu e Carros sono rinchiusi i peggiori criminali della malavita organizzata italiana (oltre 80% dei detenuti presenti appartengo all’Alta Sicurezza) e per i quali, nonostante le nostre denunce, nessuno ha mai avuto nulla da ridire”. “È vero invece - continua il documento firmato da Michelangelo Gaddeo e Sebastiano Poddighe - che anche il carcere nuorese contribuisce a produrre economia perché oltre agli stipendi degli operatori e dell’indotto, ci sono i tanti familiari dei detenuti, soprattutto quelli dell’alta sicurezza che provengono dal continente e che pernottano a Nuoro”. “Certo questo non può bastare - continua la nota - perché siamo convinti che occorra un piano di intervento in grado di incidere e migliorare la situazione complessiva, finalizzato anche ad incrementare e sostenere gli organici - spiega la nota - (mancano 36 poliziotti penitenziari su una pianta organica di 211), la qualificazione, la formazione e le condizioni di lavoro. Ma soprattutto occorrono investimenti. Però è utile segnalare che a Badu ‘e Carros, dopo anni di battaglie sindacali, vi è da due anni un direttore stabile, capace e motivato. Che ha garantito una presenza costante, facendo fronte alle effettive esigenze, assieme ad una reale volontà di affrontare i problemi, non solo quelli quotidiani ma anche sindacali, sociali e culturali che hanno consentito di affermare il recupero di ragionevole efficienza della struttura e la riduzione delle condizioni d’emergenza e di precarietà, sia sulla sicurezza che sulle condizioni igieniche e sul degrado e abbandono in cui versava l’istituto di pena”. “Inoltre - continua la nota - attraverso un confronto costruttivo con gli operatori, ai quali è stato riconosciuto professionalità e attaccamento al dovere, con i sindacati si stanno creando le condizioni per poter rendere possibile la riduzione delle malattie, la gestione delle ferie, dei permessi e dei riposi, restituendo aspettative credibili ai lavoratori”. “Non a caso mentre in altri carceri si continua a morire - chiude il documento - e si rischiano rivolte e fughe di massa, e a livello politico si parla soltanto di sicurezza, di stranieri, di carcere duro, di costruzione di nuove carceri e i mass media amplificano queste voci allarmate e allarmanti, qui a Nuoro si attuano anche politiche di investimento edilizio e culturale, per un carcere più umano, che umanizza, che riabilita e dà speranza. Tanto è vero che nel carcere nuorese, oltre alle numerose manifestazioni culturali e ricreative tenutesi in questi ultimi due anni, ormai divenute una costante, è stato messo in atto un importante progetto per stimolare la creatività dei detenuti, compresi quelli dell’Alta Sicurezza”. Tempio Pausania: la nuovissima Casa circondariale di Nuchis aprirà nel giugno del 2011 La Nuova Sardegna, 15 settembre 2010 I cancelli elettronici e videosorvegliati della nuovissima Casa circondariale di Nuchis rimarranno ancora chiusi per diversi mesi. I tempi tecnici necessari per il completamento della struttura sono agli sgoccioli: la struttura è quasi ultimata, mancano soltanto le rifiniture, ma bisogna riempirla di personale e attrezzature. Il tutto, ovviamente, con procedure coperte dal segreto di Stato. I lavori, iniziati dalla “Gia.Fi.” di Firenze sono andati avanti speditamente, senza intoppi di sorta. La “Rotonda 2” di Nuchis, che presto sostituirà il vetusto carcere tempiese occupa una ventina di ettari sui quali è stato edificato di tutto, dalle nuove celle per 150 detenuti (anche in questo caso i numeri sono tutti da verificare, essendo la struttura ritenuta obbiettivo sensibile) e sarà consegnata, così coma da capitolato d’appalto, chiavi in mano. Sarà un penitenziario di media sicurezza, come aveva affermato la progettista, Mariella Mereu, ingegnere del ministero delle infrastrutture, destinato a sopperire alle esigenze di giustizia del nord Sardegna. Nell’area sono state realizzate strutture ricreative, le zone verdi, gli alloggi per il personale e un modernissimo centro servizi. La complessa costruzione - il cantiere è da sempre off limits a chiunque, per ragioni di sicurezza - sarà consegnata al Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il 31 dicembre di quest’anno, sei mesi prima del giugno 2011, data ultima fissata nel capitolato d’appalto. Poi ci sarà da “riempire” di risorse umane la nuova struttura - agenti di polizia penitenziaria, amministrativi, personale sanitario e altre figure professionali - mentre per gli ospiti non c’è che l’imbarazzo della scelta, avendo la Sardegna una popolazione carcerarie che supera di gran lunga i posti a disposizione. Sull’apertura della struttura, con l’indotto economico che ne consegue, c’è molta aspettativa da parte dei commercianti e ristoratori della zona. Si è calcolato che le presenze aumenteranno giornalmente di circa 300 unità, senza considerare le forniture di prodotti alimentari e di servizi che il nuovo carcere assorbirà dal tessuto produttivo locale. - Giampiero Cocco Forlì: il carcere scoppia, un contatto con l’esterno solo tramite la scuola Romagna Oggi, 15 settembre 2010 “L’anno scorso hanno preso il diploma di scuola media in nove. Noi siamo un punto di contatto con l’esterno perché dentro, a causa del sovraffollamento, diventa difficile fare qualche attività”. Parla Giovanna Tarantola, 36 anni, che da 5 insegna ai detenuti del carcere di Forlì. Un’insegnante di scuola media che dedica il suo tempo anche a questo, tramite il Centro territoriale permanente educazione adulti. “Spesso si tratta di persone che sono nate nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Nella casa circondariale di Forlì vengono organizzati corsi per il conseguimento della licenza media nella sezione maschile, di italiano per stranieri in quella maschile, femminile ed in quella protetta ed anche un corso per ragionieri. Inoltre laboratori, ad esempio di arteterapia. “Noi non facciamo parte del sistema - non siamo guardie e non siamo detenuti, siamo un’apertura sul mondo esterno. Un contatto. Diamo un’opportunità per potere costruire qualcosa”. Sì, perché il sovraffollamento si percepisce, “dai racconti dei detenuti della sezione maschile, dentro la quale noi non accediamo - continua l’insegnante - mentre in quella femminile vediamo le celle molto piccole ed affollate”. Questo provoca anche un’impossibilità, o in ogni caso l’opportunità ma con tempi lunghissimi, di fare qualunque attività lavorativa. Il disagio viene manifestato”. Ai corsi la maggior parte dei partecipanti è straniera. “A volte sono più determinati e riescono meglio. Gli italiani che partecipano si trovano spesso in condizioni estremamente disagiate e quindi per loro diventa più difficile riuscire a conseguire un risultato”. “Io ho iniziato per caso - racconta Tarantola - poi la cosa è diventata interessante. Bisogna capire che in moltissimi casi non si tratta di persone diverse da noi. C’è qualcuno che è abituato alla delinquenza, altri che sembrano arrivati qui per caso e che prima avevano una vita normale. Sono solo nati nel posto sbagliato al momento sbagliato”. L’Aquila: visite della Uil-Pa Penitenziari alle carceri di Lanciano e Sulmona 9Colonne, 15 settembre 2010 Oggi e domani il segretario generale della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno si recherà in visita presso gli istituti penitenziari di Lanciano e Sulmona, dove domani mattina incontrerà la stampa. A Lanciano da circa un anno le OO.SS. della polizia penitenziaria hanno proclamato lo stato di agitazione e da circa undici mesi il personale non si reca a consumare i pasti presso la mensa di servizio. All’origine di tali proteste la grave deficienza organica. La casa circondariale di Lanciano, infatti, nella particolare graduatoria del rapporto tra detenuti presenti e contingente di polizia penitenziaria è tra le ultime in Italia (1 a 0,43 rispetto alla media nazionale di 1 a 0,72). Non meno facile la situazione che vive la casa di reclusione di Sulmona: “Sovraffollamento, promiscuità, carenze organiche e gestione discutibile delle risorse umane - afferma Sarno. Di certo aver individuato Sulmona come istituto ospitante di una sezione per internati non solo si è rilevata una scelta infelice, quanto ha inciso molto negativamente sull’equilibrio generale della gestione, di per se già molto complessa. Sulmona, infatti, ospita diverse categorie di detenuti (Comuni, Alta Sicurezza, Elevato Indice di Vigilanza, Internati, Collaboratori di Giustizia e 41-bis). E per ogni categoria occorre applicare percorsi trattamentali e di sorveglianza differenziati”. A Lanciano sovraffollamento Una situazione grave per quanto riguarda il sovraffollamento, la carenza di agenti di custodia in servizio e la mancanza di assistenza sanitaria notturna. Positiva, invece, sul fronte degli atti di autolesionismo tra i detenuti: nessun suicidio e nell’ultimo anno solo 2 detenuti si sono autoinflitti delle ferite, fortunatamente senza conseguenze. È il quadro tracciato da Eugenio Sarno, segretario nazionale della Uil Penitenziari, che oggi pomeriggio ha visitato la casa circondariale di Lanciano (Chieti), dove ormai da un anno gli agenti di custodia sono in stato di agitazione per protestare contro le carenze di personale che si registra nella struttura. “La situazione è preoccupante - ha sottolineato Sarno - sotto il profilo delle risorse umane e anche economiche, visto che non vengono eseguiti interventi strutturali che pur sarebbero necessari. La vertenza del personale è ferma da un anno, ma siamo ottimisti nella ripresa delle trattative: la direzione del carcere ha già dato la propria disponibilità a riaprire il confronto con i sindacati”. Il carcere di Lanciano, entrato in funzione alla fine degli anni Ottanta, era stato progettato per ospitare 181 detenuti in celle singole. Oggi i reclusi sono 371, di cui 280 in regime di alta sicurezza. Gli agenti di custodia, invece, sono 163, ma per garantire gli standard minimi di sicurezza ne occorrerebbero almeno 177. Domani Eugenio Sarno visiterà il carcere di Sulmona (L’Aquila). Reggio Emilia: due detenuti evadono dopo permesso per partecipare a Festareggio Apcom, 15 settembre 2010 Hanno sfruttato un permesso speciale emesso dal tribunale di Sorveglianza che permetteva loro di partecipare ad un progetto di reinserimento durante lo svolgimento di Festareggio. Ma, invece che rientrare in carcere, sono svaniti nel nulla. Così sono evasi, il 30enne Giuseppe Tomassone, originario di Aversa in provincia di Caserta, e Zouita Adbelgnai, marocchino di 33 anni. Tomassone era rinchiuso in cella dopo aver confessato l’omicidio di un tabaccaio durante una rapina finita nel sangue, mentre lo straniero doveva scontare una pena per resistenza a pubblico ufficiale e spaccio di sostanze stupefacenti. Il giovane casertano il 31 luglio del 2001, uccise Giovanni Tonziello, 45 anni, titolare di una ricevitoria a Trentola, nel Casertano. Tonziello fu ucciso mentre era in auto e accanto a lui c’era Enzo, il figlio di allora dieci anni. Era stato proprio il bambino a dare l’allarme, telefonando alla madre con il cellulare del padre. Il 3 agosto, fu lo stesso Tomassone ad ammettere, dopo essere stato bloccato dai carabinieri, di aver ucciso il commerciante. Condannato a 20 anni di carcere, il 30enne casertano era stato trasferito alla Pulce dove sarebbe dovuto rimanere fino al 2017. Il 6 febbraio del 2007, la guardia di finanza di Reggio arrestò Zouita Adbdelghani, sorpreso insieme ad un complice con oltre mezzo chilo di cocaina. I finanzieri avevano bloccato i due giovani spacciatori marocchini all’interno della loro auto lungo la via Emilia, in direzione di Modena. La coppia, che per cercare di eludere i controlli aveva speronato l’auto dei militari (per due finanzieri si erano rese necessarie piccole medicazioni al pronto soccorso), stavano cercando di trasferire nel Modenese un carico di mezzo chilo di cocaina. I due evasi ora sono ricercati in tutta Italia. Tomassone aveva ottenuto un permesso speciale valido solo per domenica 12 settembre. Un’autorizzazione che scadeva all’1.30 di lunedì, ora in cui il giovane, insieme al 33enne straniero, sarebbe dovuto rientrare in carcere. Entrambi invece sono spariti. I due erano infatti impiegati nelle cucine di un ristorante della kermesse al Campovolo. Probabilmente approfittando di un attimo di distrazione anche degli altri detenuti - con loro erano presenti altre sette persone facenti parte del progetto di reinserimento - si sono allontanati facendo perdere le proprie tracce. Da quel momento sono iniziate le loro ricerche in un’indagine coordinata dalla squadra mobile che ha subito organizzato posti di blocco per intercettare i fuggitivi. Torino: alle Vallette poliziotto aggredito da un detenuto con le stampelle Ansa, 15 settembre 2010 Ennesima aggressione al carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Lo denuncia l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Due giorni fa un detenuto marocchino di 21 anni, condannato per concorso in rapina con fine pena aprile 2013, ha chiesto di essere visitato in infermeria. Quando gli è stato risposto di attendere perché era in corso la visita di un altro detenuto, il ragazzo ha sbattuto le stampelle che aveva con sé contro i vetri e ha colpito ai genitali l’assistente di polizia penitenziaria in servizio. Al poliziotto, ricoverato all’ospedale Maria Vittoria di Torino, sono state riscontrate contusioni al testicolo destro con dieci giorni di prognosi. “Si lavora nelle sezioni come nel Bronx - dichiara Gerardo Romano, segretario regionale Osapp - abbandonati a se stessi, senza tutela e con orari di lavoro straordinario disumani imposti dall’amministrazione. Solo a Torino mancano circa 200 agenti rispetto all’organico, sono presenti 1.613 detenuti a fronte di una capienza di 1.023”. “Inoltre - aggiunge Romano - questo mese non saranno nuovamente pagate 7.500 ore di lavoro straordinario obbligato. E da tempo non vengono pagati i servizi di missione. A Biella, il problema dei topi in mensa è stato affrontato con la derattizzazione, ma da una settimana la mensa è chiusa e il pasto continua ad essere improvvisato con panini. E da domani sarà installato il terzo posto letto nelle celle singole”. Firenze: molesta un’arrestata, poliziotto indagato per violenza sessuale Ansa, 15 settembre 2010 Ha denunciato di aver subito molestie sessuali da un poliziotto mentre era detenuta in una cella di sicurezza in una caserma di Firenze, e ha raccontato tutto ad altri agenti che hanno avviato indagini sul collega. Vittima delle molestie, una venezuelana di 29 anni, che era stata arrestata la settimana scorsa per furto. La vicenda viene riportata oggi da alcuni quotidiani fiorentini. Secondo quanto appreso, il poliziotto che avrebbe compiuto le molestie è stato identificato. Gli accertamenti sono condotti dalla squadra mobile della questura. Il reato ipotizzato è di violenza sessuale, aggravata dallo status di pubblico ufficiale del presunto violentatore e dal fatto che le molestie avrebbero riguardato una persona privata della libertà personale. Aperta anche un’indagine disciplinare interna alla questura di Firenze. Il fatto risalirebbe alla notte tra venerdì e sabato scorso. La venezuelana era stata arrestata nel pomeriggio per aver rubato vestiti in una boutique e doveva trascorrere la notte in una cella di sicurezza all’interno della caserma Fadini della polizia di Stato. Il piantone di turno l’ha fatta uscire dalla cella - circostanza già confermata dalle indagini - per ospitarla al corpo di guardia, locale dove poi sarebbero state compiute le molestie. Il piantone l’avrebbe palpeggiata finché si è interrotto quando sono arrivati altri due agenti che, sorpresi dal fatto che la donna fosse fuori dalla cella di sicurezza, avrebbero chiesto spiegazioni al collega aprendo con lui una forte discussione avendo intuito che era accaduto qualcosa di anomalo. Al mattino seguente, la venezuelana ha raccontato quanto avrebbe subito ai poliziotti delle volanti, che hanno quindi raccolto la sua denuncia, facendo scattare l’indagine della squadra mobile fiorentina. Radio: domani si parla di carceri a “28Minuti”, programma in onda alle 13.00 su Rai2 Il Velino, 15 settembre 2010 Domani giovedì 16 settembre si parla di carceri a “28Minuti”, il programma di approfondimento quotidiano in onda alle 13.00 su Rai Radio2. Barbara Palombelli incontra in studio Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, per discutere della situazione dei detenuti, del problema del sovraffollamento, della detenzione preventiva e delle tante emergenze che riguardano il sistema carcerario italiano. Droghe: Corleone; alcuni anni fa la depenalizzazione era vicina, ora il vento è cambiato Terra, 15 settembre 2010 Alessandro De Pascale intervista Franco Corleone, segretario di Forum Droghe. Franco Corleone di Forum droghe ed ex sottosegretario alla Giustizia col governo Prodi, nel 1998 presentò una proposta di legge antiproibizionista che venne firmata anche da Roberto Maroni. Nel marzo 1997 alla seconda conferenza nazionale sulle droghe di Napoli per la prima volta si parlò di una completa depenalizzazione dell’uso personale, del consumo di gruppo e della coltivazione domestica di cannabis. Franco Corleone, oggi alla guida dell’associazione Forum Droghe ma all’epoca sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi, presentò alla Camera una proposta di legge per legalizzare la cannabis, sottoscritta da ben 125 parlamentari, compreso l’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il centrosinistra quando nel 2006 tornò al governo con l’Unione nel suo programma si era impegnato ad abrogare la Fini-Giovanardi, cancellando le sanzioni per i consumatori. Infatti il 28 aprile 2006 quella proposta di legge venne ripresentata alla Camera, sottoscritta da vari deputati dei partiti del centrosinistra, ma non si riuscì ad approvare. In Italia verranno mai depenalizzate le droghe leggere? Il nostro Paese ha avuto diversi movimenti, a seconda delle varie stagioni politiche. In alcuni momenti siamo arrivati vicini alla legalizzazione, soprattutto alla presentazione della mia proposta di legge, la più sottoscritta. Poi le opinioni sono cambiate. Ora il clima si è però rovesciato. Servirebbe un movimento autorevole per spingere in questa direzione. A Milano un giudice ha recentemente assolto un giovane che in casa coltivava sette piante di marijuana. Una sentenza importante e coraggiosa, perché spiega che quella domestica non può essere equiparata alle coltivazioni industriali. Quale dovrebbe essere il nostro punto d’arrivo? L’Italia deve depenalizzazione tutte le sostanze. Per poi legalizzare e regolamentare, con diversi regimi, le varie droghe. Anche perché le galere sono piene di tossicodipendenti, arrestati per piccolo spaccio o consumo. Il problema è solo politico. E nel resto del mondo? Il modello olandese resta molto valido. Contrariamente a quello che molti proibizionisti dicono, il livello di consumo ad Amsterdam è inferiore a Paesi o città dove c’è una forte proibizione o sanzioni elevate. Perché la legalizzazione normalizza il consumo e lo smitizza. In Svezia come a San Francisco. Infatti anche negli Stati Uniti si sta muovendo qualcosa e importanti economisti suggeriscono la regolamentazione, attraverso la tassazione. Tanto che in California ora si terrà un referendum sulla canapa, proprio per aumentare gli introiti fiscali. Se vincerà il sì lo scenario nel Nord America e forse anche in Europa cambierà notevolmente. Anche in Sudamerica la Democracy and drug democracy, presieduta dai presidenti di tre Paesi (Colombia, Messico e Brasile), vuole mettere fine alla guerra alla droga e legalizzare le varie sostanze in modo differenziato. Anche per fermare la repressione dei contadini che coltivano le piante di coca. Intorno a noi ci sono molte realtà in movimento. Molti Paesi europei ora ad esempio consentono di fatto la coltivazione della canapa per uso personale oppure incentivano politiche di riduzione del danno e del rischio, a differenza dell’Italia. India: il carcere di Tihar arriva Tj, il brand dei detenuti Affari Italiani, 15 settembre 2010 Che le prigioni possano avere al loro interno atelier produttivi che permettano ai detenuti di ricostruirsi una vita per quando saranno liberi non è una novità, ma di certo poche prigioni possono vantare un proprio brand riconosciuto, una catena di negozi e un sito di vendite on-line come il carcere di Tihar, presso Nuova Delhi, in India. I marchio TJ, che sta per Tihar Jail, può essere trovato su mobili, snack, prodotti da forno e vestiti, che da quest’anno sono venduti anche in molti negozi della metropoli. Forti però della grande espansione nelle loro vendite e in generale nell’economia indiana (che cresce dell’8,5% all’anno) i responsabili di TJ vogliono espandere il mercato utilizzando i potenti mezzi di internet: entro un mese dovrebbe aprire il loro negozio online. Ogni giorno la prigione sforna 1200 pani, tre quintali di patatine, cinque di salatini e oltre 90 chilogrammi di biscotti. L’anno scorso sono stati anche fabbricati oltre mille banchi per le scuole della città. A produrli circa un migliaio di detenuti le cui pene vanno dalla microcriminalità all’omicidio: tra loro anche noti militanti radicali accusati di atti violenti. I detenuti/operai, che lavorano otto ore al giorno, sei giorni alla settimana, vengono pagati in base alle loro abilità e competenze, mentre i profitti derivanti dalla vendita dei prodotti vengono destinati alle spese correnti di mantenimento del penitenziario. “In questo modo i detenuti possono guadagnare qualcosa e fare una valida esperienza lavorativa”, spiega Jagmohan Kashyup, assistente in uno dei negozi TJ. Anche se Tihar viene elogiato per lo sforzo di ammodernamento che sta compiendo, per vari osservatori le condizioni di vita ne carcere sono lontane dall’ottimale: con dodicimila detenuti, i problemi di sovraffollamento sono enormi e comuni a tutte le prigioni indiane.