Giustizia: un quinquennio di politiche penitenziarie è finito sotto la lente della Corte dei Conti di Dina Galano Terra, 12 settembre 2010 In una dettagliata relazione, la magistratura contabile esamina la spesa finanziaria stanziata per l’edilizia penitenziaria negli ultimi 5 anni. Tra interventi rinviati e scelte irragionevoli, è ancora emergenza. Un quinquennio di politiche penitenziarie è finito sotto la lente della Corte dei Conti per verificare, con l’inopponibilità dei calcoli matematici, che fine hanno fatto i soldi stanziati per l’edilizia carceraria. Mancanza di trasparenza, erronee valutazioni di convenienza, frequenti virate di programmazione sono alcuni degli elementi che hanno guidato la gestione del pacchetto penitenziario e che sono state denunciate dalla magistratura contabile. In un dettagliato rapporto, la Corte attraversa gli ultimi anni di interventi finanziari disposti al fine di migliorare la condizione di vivibilità degli istituti di pena. Dal 1977, quando 400 miliardi di lire erano stati stanziati per il primo programma edilizio, non si trova traccia evidente di un reale avanzamento qualitativo: le carceri sono sovraffollate, lo si ripete da tempo, mentre altre strutture restano inutilizzate. Montagne di denaro pubblico per ritrovarsi in una situazione di assoluta emergenza riconosciuta dallo stesso ministero della Giustizia. A quell’emergenza è poi corrisposto l’ultimo “piano carceri”, diretta emanazione del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che allo scopo ha ricevuto poteri straordinari. Un piano che sembra destinato a non veder mai la luce, dopo oltre un anno e mezzo dalla sua prima presentazione. E che è simbolo di una programmazione che la Corte dei Conti non ha esitato a definire “tortuosa”. Accanto alla “cronica insufficienza di finanziamenti”, infatti, il dossier riconosce “lungaggini procedurali, frequente mutamento delle esigenze e degli obiettivi, la dilatazione dei tempi nella fase esecutiva”. Un quadro che denuncia modalità di azione pressoché uniformi negli anni, ma che il Capo del Dap proprio non vuole addebitate anche alla propria gestione. “Evidentemente - ha reagito Ionta - la Corte la Corte non ha preso in esame il piano straordinario varato nel frattempo dal governo, approvato lo scorso giugno”. Undici nuove carceri e ventidue padiglioni aggiuntivi a quelle esistenti che risultano finanziati in parte dalla legge finanziaria (per 500 milioni di euro, come ricorda la stessa relazione della Corte) e per il resto dalla Cassa delle ammende (per legge deputata a sostenere le attività per detenuti). Ma Ionta ha schivato anche la critica sull’intempestività delle misure: “Abbiamo utilizzato il mese di agosto per sondare la disponibilità delle Regioni interessate - ha fatto sapere - , ora passeremo ai piani di fattibilità. Nel giro di 2, 3 mesi puntiamo a far partire le gare, quantomeno per la costruzione dei nuovi padiglioni”. Eppure esistono esempi inequivoci della lentezza dell’adeguamento. Ci sono questioni “incombenti”, accusa la magistratura: l’individuazione di quegli istituti non utilizzati o sottoutilizzati che pure esistono e l’accertamento del personale effettivamente disponibile. Inutile, suggerisce la Corte senza troppa enigmaticità, prevedere nuove strutture se non si vanta un organico adeguato. E poi l’elenco degli istituti abbandonati, di cui si chiede alla dirigenza del Dap “puntuale e circostanziata informativa”: il carcere di Morcone a Benevento, ultimato, abbandonato, ristrutturato e mai aperto; il Busachi in Sardegna, costato 5 miliardi di lire e mai in funzione; Castelnuovo della Daunia a Foggia, perfino “arredato inutilmente da cinque anni”; il Revere a Mantova, con i lavori fermi al 2000 e i cui locali sarebbero stati saccheggiati. “La realizzazione delle nuove strutture carcerarie è in forte ritardo”, conclude la Corte mentre è “estremo il bisogno generato dal continuo aumento del numero dei detenuti”. Se si è toccata quota 70mila, è anche perché in carcere ci si finisce, nella metà dei casi, prima di aver ricevuto una sentenza di condanna. O per reati minori previsti dalla normativa sulla droga e sull’immigrazione irregolare. Una situazione che sfugge quotidianamente al controllo e che ha indotto i magistrati contabili a suggerire la riesumazione delle vecchie case mandamentali :con i loro massimo 30 posti letto, sono state dismesse perché anti - economiche. Oggi, per la Corte, potrebbero arginare qualche emergenza. Giustizia: alla Camera un rapido iter per il pdl su detenute madri in carcere con figli Asca, 12 settembre 2010 Prossimo alla conclusione l’iter referente del testo unificato 2011 contenente disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori prevedendo ipotesi agevolate di concessione degli arresti domiciliari o la reclusione in apposite “case protette” per le detenute con bambini piccoli che non possono fruire dei domiciliari per l’entità della pena alla quale sono state condannate. La Commissione Giustizia ha ripreso l’esame procedendo ad un’audizione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Ha poi proseguito la discussione fissando per lunedì prossimo il termine per la presentazione di eventuali ulteriori emendamenti oltre a quelli già ampiamente esaminati prima della sospensione per le ferie estive. La Presidente Giulia Bongiorno ha rilevato l’esigenza di rapida conclusione dell’esame preliminare tenendo conto che il provvedimento è in calendario in aula dal 21 settembre. Giustizia: il 30% dei suicidi in carcere avviene nella prima settimana di detenzione Redattore Sociale, 12 settembre 2010 Il 30% dei suicidi in carcere avvengono nella prima settimana di detenzione e il 25% alla fine della pena. Il 10 settembre è la Giornata internazionale per la prevenzione dei suicidi, promosso dall’International association for suicide prevention e dall’Organizzazione mondiale della sanità. “Nelle carceri italiane c’è un tasso di suicidi 20 volte superiore a quello nell’intera popolazione”, spiega Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti, l’osservatorio che ha condotti studi anche su questo tema. Da gennaio al 9 settembre 2010 i suicidi sono stati nelle carceri italiane 44, nel 2009 69. Il calo più vistoso si è visto negli anni 2007 (45 suicidi) e 2008 (46) perché c’era stato l’indulto. “Il sovraffollamento ha il suo peso, perché deteriora la qualità della vita - spiega Francesco Morelli. Ma poi conta anche quanto sostegno e aiuto possono trovare: ogni detenuto ha oggi a disposizione circa 10 minuti di colloqui con lo psicologo all’anno”. Ma è soprattutto la mancanza di speranza a indurre al suicidio. “Per questo i suicidi accadono all’inizio della carcerazione o alla fine della pena - spiega Francesco Morelli. Nei primi giorni, soprattutto chi è messo in isolamento, lo sconforto può essere devastante. Quando manca poco ad uscire, perché si ha paura di non farcela a ricostruirsi una vita fuori”. Giustizia: transessuali in carcere; il “reparto speciale” è sinonimo di ghetto Ansa, 12 settembre 2010 Aumentano i suicidi in carcere di persone appartenenti a minoranze sociali, tra cui transessuali. Esistono dei reparti speciali per la detenzione delle transgender, ma questa divisione dei reclusi è “una forma di ghettizzazione”. Lo sostiene Leila Daianis, presidente dell’Associazione Libellula, secondo cui la separazione non è la soluzione. Più della metà della comunità trans in Italia, infatti, è composta da persone provenienti dai paesi del Sud America, che per arrivare nel nostro paese si indebitano con gli aguzzini, rimanendo intrappolate nel giro dello sfruttamento della prostituzione. “La situazione psicologica in cui vivono le trans nelle carceri è drammatica” dichiara Leila Daianis presidente dell’Associazione Libellula, che offre assistenza psicologica ai detenuti del settore speciale per trans G8 del carcere romano di Rebibbia. Dopo la notizia del suicidio di Francesco Consolo, detenuto della sezione transex del Padiglione “Roma” di Poggioreale, si riflettere sulla difficile situazione psicologica in cui vivono i carcerati transgender. È proprio tra i reclusi appartenenti alle minoranze sociali, come quella degli immigrati, dei tossicodipendenti e delle transessuali, che si conta il più altro numero di suicidi nelle celle. La Daianis definisce i “reparti speciali” come “un carcere nel carcere. Reparto speciale è sinonimo di emarginazione, è una forma di ghettizzazione”. L’operatrice denuncia l’assoluta “mancanza di un’assistenza psicologica e medica adeguata per i transgender. Queste persone vengono escluse persino dalle attività ricreative per i pregiudizi degli altri detenuti. Entrano così in una fase di disperazione”. Gran parte dei reati commessi dalle trans è legato alla prostituzione e alla droga. Oggi in Italia la comunità raggiunge le 40mila persone. La maggioranza proviene dal Sud America e per necessità economiche contrae debiti con aguzzini che già da tempo risiedono nel nostro paese. L’unico modo per saldare è la prostituzione. “Il fenomeno della prostituzione non riguarda tutte le trans - precisa la presidente dell’Associazione Libellula - . Purtroppo sono vittime di uno sfruttamento, perché il mondo della prostituzione transessuale è marginale, sotterraneo: è un sub - mondo e per entrarci sei costretto a chiedere dei favori a chi già c’è”. La soluzione alla tratta delle trans per la Daianis risiede nello stato sociale: “Se la società e le istituzioni offrissero più possibilità ai transgender, diminuirebbero i loro problemi e si eviterebbero i reati”. Lettere: un’emergenza carceri soltanto dichiarata, nessuno la affronta perché a nessuno interessa di Adriana Tocco (Garante dei detenuti della Camapnia) La Repubblica, 12 settembre 2010 Tre morti in pochi giorni a Poggioreale. È questa ancora una notizia? Ha ancora un senso parlare di suicidi, di morti per incerte cause, di suicidi sventati, di atti cruenti di autolesionismo? Interessa a qualcuno? Qualcuno se ne preoccupa? In estate sono fiorite le iniziative, si sono sprecati gli articoli, con il loro seguito di polemiche a catena. L’Inferno di Poggioreale è stato sempre in primo piano, raccontato in cento modi, attraverso tanti occhi, tanti punti di vista, le famiglie, i passanti, i detenuti. I deputati hanno trascorso il Ferragosto visitando le carceri. Cose utili, ma poi? Tutto con l’autunno rientra nella normale routine, il tormentone della politica nazionale riprende il sopravvento, elezioni sì, elezioni no, e tutto quello che si è fatto, notato, raccolto, denunciato viene spazzato via insieme con le prime foglie cadute. Poniamoci allora qualche domanda più concreta: che senso ha avere dichiarato l’emergenza carceri. Se un’emergenza c’è, evidentemente deve essere affrontata, non può essere solo dichiarata. Dove è finito il decreto Alfano, che doveva inviare alla detenzione domiciliare i detenuti che scontavano l’ultimo anno di pena, dove sono finiti i soldi per assumere 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria, perché non viene espletato il concorso per gli educatori, perché non si aumenta il numero degli psicologi? E il problema sempre assillante della sanità, per la quale occorrono risorse umane e finanziarie, come s’intende risolverlo? Perché non generalizzare l’applicazione della sentenza della Cassazione che ha ampliato le possibilità di accesso alla sospensione della pena o alla detenzione domiciliare per motivi di salute, adottando il criterio della “umana tollerabilità” in luogo del freddo dato delle indicazioni diagnostiche che dichiarano astrattamente la compatibilità con il regime di detenzione? Si tratta di problemi e interventi concreti, di fronte ai quali anche la denuncia appare uno spento rituale, sembra svuotarsi di significato, non sai più come intervenire per coinvolgere un’opinione pubblica sempre più distratta, sempre più lontana. Credo che abbia avuto ragione Valeria Parrella nell’articolo su “Repubblica” del 19 agosto, quando ha scritto che la dignità dei liberi si misura sulla dignità di quelli che della libertà sono privi. La Parrella aggiungeva anche di poter solo immaginare il carcere, non avendolo mai conosciuto e di aver tratto le sue riflessioni osservando la fila dei disperati in attesa di colloquio a Poggioreale. Chi invece ha imparato a conoscerlo, chi frequenta i detenuti, chi conosce il loro tempo colorato solo di attesa, chi ne vede l’infinita sofferenza troppo spesso è costretto a domandarsi dove sia finito il rispetto dei diritti, se e in quale modo almeno l’umanità venga rispettata. Credo dunque che tutti coloro che nel periodo appena trascorso si sono impegnati in varie forme debbano insieme assumere un atteggiamento costruttivo, ognuno a partire dalla sua competenza e dalla sua responsabilità. Creare un’iniziativa comune che incalzi il ministro sul terreno delle misure alternative, dell’aumento degli organici, della depenalizzazione di alcuni reati. Sarà questo compito anche della conferenza nazionale dei garanti che chiederà un incontro urgente al ministro della Giustizia e al capo del Dap. Lettere: la storia di un detenuto “trasferito transitorio” di Simona Filippi (Difensore civico dell’Associazione Antigone) Terra, 12 settembre 2010 A luglio vi avevamo raccontato della vicenda di V.G. e di tutti quei detenuti che come lui chiedono garantito il loro diritto a trascorrere il periodo di detenzione vicino ai familiari. Sono più di dieci anni che V. gira per gli istituti penitenziari e mai, se non per periodi brevissimi, si è trovato in un carcere vicino alla famiglia. V. ha presentato decine di istanze di trasferimento, sempre rigettate con risposte spesso ricorrenti, offerte in poche righe di linguaggio burocratese di cui è difficile, a volte impossibile, comprenderne il senso. In uno degli ultimi provvedimenti, l’amministrazione penitenziaria sosteneva che il periodo di osservazione di V. presso l’attuale istituto fosse “troppo breve”. Anche la sorella di V. ha chiesto all’amministrazione che il fratello venisse mandato in un istituto a lei vicino per poterlo incontrare. La richiesta è stata rimandata al mittente perché le istanze di trasferimento sono “atti personali” e devono essere inoltrate dallo stesso detenuto. Qualche cosa da questa estate è successo: la scorsa settimana, dopo lunghi anni di attesa e decine di istanze presentate, V.G. è stato trasferito presso un carcere del nord Italia vicino alla sorella. L’Amministrazione penitenziaria ha finalmente applicato quel Principio, definito in modo chiaro e semplice dall’art. 42 della Legge che chiede venga “favorito” il criterio di destinare i detenuti in istituti prossimi alle residenze delle famiglie. Difficile comprendere cosa abbia spinto l’amministrazione a compiere questo passo: sicuramente la costanza di V. e dei suoi familiari, le continue insistenze del Difensore civico di Antigone nonché le molteplici certificazione dei medici del carcere che oramai da anni certificavano che per le sue condizioni di salute V. deve stare vicino ai familiari, Ma ancora oggi non è arrivato il momento di mettere la parola fine a questa vicenda. Il mondo carcerario è per eccellenza luogo di contrasti e di contraddizioni, dove le situazioni che dovrebbero cambiare restano immobili e dove i risultati ottenuti raramente vengono tutelati. E ancora una volta questa storia ci è da esempio: V. è “trasferito transitorio”. L’amministrazione penitenziaria lo ha trasferito sì ma soltanto per un mese, dopo il quale verrà di nuovo trasferito nell’istituto di provenienza o in qualche altro istituto ancora. E con quale stato V. affronterà i colloqui con la sorella che non vede da anni con la consapevolezza che potrà vederla soltanto per quattro volte per un totale di quattro ore? Questa domanda noi ce la poniamo e soprattutto intendiamo porla a chi ha competenza per poter intervenire: all’Amministrazione penitenziaria innanzitutto e anche al Magistrato di Sorveglianza per richiamarlo ad una delle sue funzioni originarie, oramai pressoché dimenticata, di garante dei diritti dei detenuti così come previsto dalla legge. Napoli: inferno Poggioreale; nove detenuti in celle di 18 metri quadri, tre morti in pochi giorni La Repubblica, 12 settembre 2010 L’ennesima morte nel carcere di Poggioreale ha riportato l’attenzione sul caso del sovraffollamento degli istituti penitenziari. Situazione particolarmente esplosiva quella del carcere napoletano dove attualmente sono presenti 2.602 detenuti a fronte di una capienza di 1.658 posti. Ma anche nel resto della regione le cose non vanno meglio: basti pensare che ci sono 7.613 reclusi quando la capienza massima prevista è di 5.506 posti. Secondo i dati dell’Osservatorio sulla condizione della detenzione di Antigone questo è il nono decesso registrato nel 2010, il terzo a Poggioreale. Proprio nel carcere partenopeo le condizioni di vita sono particolarmente dure con anche nove detenuti costretti a convivere in una cella di 18 metri quadrati. Negli ultimi 18 mesi, in Campania, si sono registrati 25 morti. Associazioni e sindacati chiedono al ministro Alfano di intervenire. Forse è stato un suicidio, forse voleva solo stordirsi usando il gas di una bomboletta come stupefacente. Il dato sicuro è che quella di Francesco Consolo è la terza morte avvenuta in pochi giorni nell’inferno chiamato Poggioreale. Il fatto è accaduto mercoledì sera ma si è venuto a sapere soltanto ieri mattina. L’uomo, 34 anni, in attesa dell’appello dopo aver subito una condanna per furto, è stato trovato senza vita nella sezione “Roma”, quella che ospita tossicodipendenti e omosessuali, con un sacchetto di plastica vicino al volto e con accanto la bomboletta di gas data in dotazione ai detenuti per cucinarsi in cella. Sarebbe caduto dalla brandina dopo aver aspirato la sostanza da un sacchetto di carta. Morto per aver preso quella sorta di “droga dei poveri”, molto usata nelle carceri dei italiane. La tragedia di Consolo, che era stato trasferito a Napoli da poco, riaccende le polemiche sul sovraffollamento dell’istituto partenopeo. “Bisogna evitare di archiviare queste morti con superficialità, ma comprenderne le cause. Solo il 24 agosto scorso nello stesso reparto Roma era deceduto Luigi Scotti, di 32 anni”, affermano Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’Associazione Antigone, e Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione La Mansarda. Durissima anche la presa di posizione dei sindacati della polizia penitenziaria: “Nelle carceri - accusa Pasquale Montesano, segretario regionale dell’Osapp - ci sono disperazione, poca sicurezza e un vergognoso sovraffollamento. Riteniamo responsabile di questo sfascio il governo e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che continua non voler affrontare realmente il problema”. Dello stesso tenore le parole di Emilio Fattorelli, Sappe: “Siamo testimoni di un’illegalità quotidiana che si consuma sulla pelle dei detenuti ma anche degli agenti. Abbiamo più volte sollecitato l’amministrazione penitenziaria affinché vietasse l’uso delle bombolette da cucina, ma i nostri appelli cadono nel vuoto”. Della vicenda si occupa anche il consigliere regionale del Pd, Corrado Gabriele: “Il governo continua a non intervenire con atti concreti per migliorare le condizioni disumane dei reclusi”. Brindisi: il carcere esplode, dal 15 settembre i detenuti inizieranno la protesta Senza Colonne, 12 settembre 2010 Scrivono ancora, stavolta sono tutti compatti perché le precedenti lamentele non sono state ascoltate. E impongono un ultimatum, una data neppure troppo lontana. Se non verranno presi in considerazione entro il 15 settembre scorso faranno sciopero. Sono i detenuti della casa circondariale di Brindisi che avevano già denunciato il sovraffollamento delle celle e che tornano a battere il pugno, all’unanimità, con una lettera indirizzata a Senza Colonne, agli esponenti politici che più hanno a cuore la condizione dei carcerati, quelli di fede radicale e all’associazione Nessuno tocchi Caino. “Scrivo a nome di tutta la Casa Circondariale di Brindisi - si legge nella missiva - e con la medesima intendo farvi sapere le nostre condizioni inerenti al regime carcerario e inoltre a cosa siamo disposti a fare se, entro e non oltre il 15 settembre 2010, non verrà applicata alcuna legge che risolva in maniera celere il problema del sovraffollamento delle carceri italiane”. Ma i problemi dell’intero Paese affliggono anche coloro che sono reclusi in via Appia: “Parliamo ora - proseguono - delle problematiche che impegnano la casa circondariale di Brindisi. Le assidue “conte”, ossia il controllo dei detenuti cella per cella, in vari orari della giornata, che d’altronde nessuno rispetta e a causa di ciò, delle volte veniamo sorpresi senza la maglia e quindi sottoposti a provvedimenti disciplinari, poiché al momento del controllo bisogna farsi trovare in piedi e vestiti”. Reggio Calabria: Giordano (Idv); completare presto carcere di Arghillà, è in costruzione dal 1996 Agi, 12 settembre 2010 “Il Ministro della Giustizia, invece di attaccare periodicamente i magistrati, tacciandoli come spendaccioni sull’utilizzo delle intercettazioni ambientali e telefoniche (che oltre a portare all’arresto dei criminali fanno rientrare nella disponibilità dello Stato ingenti somme e capitali provenienti dalle attività illecite) farebbe meglio a controllare la spesa del suo Ministero e in particolare quella dell’edilizia carceraria”. Lo afferma Giuseppe Giordano, capogruppo di Italia dei Valori in Consiglio regionale, in ordine alla telenovela infinita del costruendo penitenziario di Arghillà la cui prima pietra è stata posata nel lontano 1996. “La Corte dei Conti - aggiunge Giordano - ha messo a nudo le disfunzioni da parte delle amministrazioni competenti sulle lungaggini procedurali e la cronica insufficienza dei finanziamenti per una struttura penitenziaria che appare sempre più fondamentale nella nostra realtà territoriale, stante le difficili condizioni in cui operano gli agenti di polizia penitenziaria nell’attuale casa circondariale di Reggio Calabria. Purtroppo tale situazione determina condizioni inumane sia per i detenuti sia per la polizia penitenziaria e sarebbe ora, conclude Giordano, che il Ministro ponga, quale priorità nella sua agenda, il completamento della struttura di Arghillà mettendo fine ad una vergogna che rappresenta un monumento allo spreco”. Messina: detenuta gravemente ammalata, nasce conflitto tra medici sulle sue condizioni di salute Gazzetta del Sud, 12 settembre 2010 “La mia forza sei tu. La mia forza sono i miei bambini”. Con queste parole dettate da Mariangela Gaglioti, detenuta nel carcere di Gazzi a Messina, comincia la conferenza stampa convocata dalla sorella Caterina. Figlia di un padre assassinato, sorella di Carmine detenuto a Torino, cognata di Antonino Costantino rinchiuso nelle carceri di Palermo. Alla conferenza erano presenti, tra gli altri, i carabinieri con i marescialli Ricci e Rocchi, l’avvocato Antonio Massimo Attinà, sostituto dell’avvocato Antonio Managò, personale della polizia di Stato del commissariato di Palmi. Caterina ripete con toni forti le richieste d’aiuto agli organi di Governo, affinché si interessino della vicenda umana della sorella. Ha già scritto al ministro Angelino Alfano, al presidente Napolitano, al presidente del consiglio Berlusconi. Ha intenzione di rivolgersi al Vaticano e perfino al presidente degli Usa. “Mia sorella sta male - esordisce Caterina - è cardiopatica e talassemica, patologie per le quali è stata ricoverata in passato negli Ospedali riuniti di Reggio Calabria. In questo senso è stata avanzata una richiesta di scarcerazione, fondata sui motivi di salute e sulla relativa incompatibilità con il regime della custodia cautelare in carcere”. Caterina Caglioti ripercorre la vicenda che l’ha spinta a esporsi in prima persona, illustrando pubblicamente il caso: “Mia sorella è stata più volte sottoposta - prosegue Caterina Gaglioti - a numerosi esami clinici, visite specialistiche richieste dalle parti e dal Ctu indicato dal giudice; dai risultati scaturiva un’ordinanza che dava atto della impossibilità di somministrare le cure opportune in ambito carcerario, ammettendola ad un ricovero sotto piantonamento presso una struttura ospedaliera pubblica. Tuttavia, nonostante siano trascorsi molti giorni, la situazione non è affatto cambiata. Continua a rimanere in carcere, con conseguenze inquietanti per la sua psiche e il suo fisico. E se le condizioni di mia sorella dovessero peggiorare - rimarca Caterina - se dovesse accusare un ulteriore malessere che nessun medico del carcere potrebbe curare con tempestiva assistenza? Ci si rende conto di quanto grande sia la responsabilità che si sta assumendo la struttura di Gazzi che di fatto non ha ancora eseguito il provvedimento di un giudice della Repubblica?”. In realtà dopo un breve periodo di ricovero al policlinico di Messina, è stata rispedita in carcere perché i sanitari avrebbero certificato che la stessa può essere adeguatamente curata presso la struttura penitenziaria. Emerge così un conflitto tra la diagnosi del perito del giudice, dott. Giuseppe Strati, supportato dal consulente di parte, dott. Enrico Adornato, e ciò che hanno stabilito i medici del Policlinico di Messina. Resta il fatto che - come sottolineano i difensori della donna, avvocati Antonio Managò, Antonio Attinà (sostituto) e Domenico Alvaro, “c’è un’ordinanza di un giudice che non viene rispettata”. Caterina Gaglioti ieri ha posto angosciosi interrogativi, chiedendo altresì alle istituzioni che la sorella venga affidata a lei, magari agli arresti domiciliari, per poi ribadire con forza anche la sua estrema volontà di prendere il posto della sorella in carcere: “Io vado dentro e mia sorella esce”. L’intervento di Caterina Gaglioti termina con un ringraziamento agli organi di stampa a tutti i media che la seguono in questa sua battaglia. Mariangela Galioti, 41 anni, è stata arrestata l’8 giugno scorso nell’operazione “Cosa mia” della Dda di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta presunti illeciti negli appalti dell’A3. Messina: il “nuovo carcere” di Rometta, dopo 30 anni di lavori è abbandonato e preda di vandali Gazzetta del Sud, 12 settembre 2010 Giace ancora lì, in balìa degli eventi atmosferici e del lento deterioramento del tempo, il carcere di Rometta. Erano gli anni 70 quando il Ministero di Grazie Giustizia fece abbattere l’edificio storico risalente all’epoca borbonica per realizzare una nuova struttura più funzionale e moderna. Una situazione paradossale proprio nel momento in cui cresce l’esigenza di aumentare la disponibilità di istituti di pena, per fare fronte all’aumentato numero di detenuti e agli oggettivi disagi del personale carcerario. Appare dunque uno sperpero di pubblico denaro, il mancato intervento a fronte del decadimento progressivo della struttura di Rometta che sembra non interessare nessuno. Una struttura, composta da tre piani più un garage, rimasta al rustico e con i sanitari ormai distrutti dai vandali o dai nullafacenti che la notte trasformano il carcere in un discutibile “parco giochi”. Gli amministratori locali riversano ogni responsabilità sul Ministero e spiegano che ogni intervento di merito appare oggi pressoché impossibile. Tanto vale, dicono, la riconversione dello stabile per altri usi, in modo che i cittadini romettesi possano usufruirne (ad esempio una biblioteca o un museo). L’ultima volta che la vicenda del carcere di Rometta balzò agli onori della cronaca era il 1997, quando Pino Visalli, attuale segretario di Forza Nuova, insieme a Rosa Maria Giordano, occupò la struttura per sensibilizzare le istituzioni affinché si attivassero per dare nuovo impulso. “Fa male - dice oggi Visalli - il disinteresse ed il silenzio da parte di tutti. È evidente che a nessuno interessano né le sorti di questo edificio né l’economia di Rometta che potrebbe avere nuovi sbocchi nel caso in cui qualcuno si interessasse a questa struttura. Mi auguro che presto qualcuno se ne ricordi e decida cosa farne”. Un tempo il carcere era visto anche come fonte di sostegno alla grama economia locale. Anche per la ricaduta delle visite dei familiari dei carcerati. Cosa che accadeva fino al 1972, anno in cui il vecchio carcere fu chiuso definitivamente ed insieme ad esso, vennero soppressi via via, negli anni successivi, la Pretura, l’Ufficio Registro, il Collegio delle suore per bimbi orfani e l’istituto “Santa Maria”. Ma al di là delle polemiche, è chiaro che l’infrastruttura non può restare in questo stato. Va perseguita una nuova destinazione d’uso. C’è una proposta. Manco a dirlo la fa Pino Visalli, che sta portando avanti una lunga protesta. “Se lo stabile appartiene al Comune - afferma Visalli - perché spendere soldi per l’affitto di Rometta Marea della stazione dei carabinieri e non farla qui?”. Ma è solo una proposta indiretta. Pesaro: il tetto del carcere di Fossombrone rischia di crollare, trasferiti trenta detenuti Corriere Adriatico, 12 settembre 2010 Il carcere ha bisogna di lavori urgenti di manutenzione. A cominciare dal tetto del braccio di ponente. Per la precarietà in cui è ridotto è stato necessario trasferire una trentina di detenuti. L’onorevole Massimo Vannucci, dopo la prima interrogazione, sta seguendo il caso e alla luce delle nuove emergenze che si sono determinate stilerà un secondo quesito. “Ritengo - ha detto - che la vicenda del carcere di Fossombrone vada seguita con la massima attenzione. Per questo proseguo nell’impegno che mi sono assunto anche con il sindaco Pelagaggia. Serve un impegno comune e deciso per inserire il carcere in un progetto di risanamento che potrà avvenire anche a stralci”. Intanto il nuovo garante regionale Italo Tanoni ha visitato il carcere annunciando che presto terrà un incontro con i responsabili dell’Asur incaricati del servizio medico. “Un servizio - ha detto - che a Fossombrone è abbastanza efficiente, ma non raggiunge un livello adeguato. Tanoni si è incontrato con il direttore del carcere Maurizio Pennelli e con il comandante della polizia penitenziaria Andrea Tosoni. Con loro ha effettuato un sopralluogo nella struttura. Ha incontrato alcuni detenuti, che gli hanno prospettato le loro esigente. Il Garante studia anche un intervento nel settore degli educatori e delle figure di supporto ai reclusi”. Trapani: progetto per la formazione professionale di 20 detenuti, lavoreranno nei cantieri navali Il Velino, 12 settembre 2010 È stato firmato venerdì, a Palazzo Riccio di Morana, l’accordo per l’associazione temporanea di scopo tra il presidente della Provincia regionale di Trapani, Mimmo Turano, Maria Anna De Vita presidente del consorzio “Solidalia”, Giuseppina Giacalone, presidente dell’associazione “Mimosa” e Ilenia Amato, della coop La Sorgente. Il progetto denominato “Per.For.Ma.Re”, finanziato dalla Regione Siciliana, ha come obiettivo l’inclusione sociale di soggetti adulti in esecuzione penale. L’importo complessivo erogato è di 678.621,54 euro. L’Amministrazione provinciale assicurerà attraverso il suo operato la promozione dei diritti dei detenuti inseriti nel progetto e il controllo dell’intero programma didattico. Obiettivo primario dell’Ats Per.For.Ma.Re è quello di formare 20 soggetti in esecuzione penale, avviandoli al lavoro con il metodo Work Esperience presso cantieri navali del territorio provinciale, con la competenza di maestro d’ascia. Il reperimento dei soggetti coinvolti verrà fatto in collaborazione con L’Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) del Ministero di Grazia e Giustizia - distaccamento di Trapani. Il progetto avrà una durata di 24 mesi e prevede una breve parte teorica a cui farà seguito, successivamente, la formazione pratica presso i cantieri navali Mecanav di Mazara del Vallo, Parrinello di Marsala e Stabile di Trapani. Sulmona (Aq): troppe assenze dal lavoro per malattia, agli agenti decurtati “punti” nel curricolo Il Centro, 12 settembre 2010 Pagelle molto basse per gli agenti di polizia penitenziaria di Sulmona. Troppe assenze dal lavoro, tant’è che si sono visti decurtare molti punti sul rapporto informativo di fine anno stilato dalla direzione del carcere. Un giudizio che ha spinto il personale di uno dei carceri più turbolenti d’Italia a presentare ricorso contro la valutazione negativa. In loro soccorso il sindacato. “Settembre 2010 sarà ricordato a Sulmona per essere stato il mese con il maggior numero di ricorsi contro i giudizi inerenti i rapporti informativi di fine anno, le pagelle per intenderci, da parte dei poliziotti penitenziari”, spiega il vice segretario della Uil penitenziari, Mauro Nardella. “Molti degli agenti hanno visto drasticamente ridotto il giudizio complessivo sulle prestazioni offerte nell’ambito della loro professione nel 2009. L’aspetto che incuriosisce di più sta nel fatto che la perdita di 4 punti in media nella pagella di fine anno coincide proporzionalmente con il numero di giorni in meno lavorati nel corso dell’anno lavorativo”. Ma le “lunghe malattie” sarebbero sempre correlate, a detta della Uil, a stati d’ansia o disagio psicologico dovuti alla particolare situazione di disagio che si vive nel carcere di Sulmona. Secondo la direzione del carcere, si tratterebbe invece di astensionismo vero e proprio. E per contrastare un fenomeno che stava assumendo proporzioni preoccupanti, il direttore Sergio Romice, così come avrebbe fatto un bravo maestro, ha assegnato agli agenti assenteisti un bel 7 in condotta. Ora, la Uil penitenziari sta lavorando molto sui ricorsi nella speranza che vengano accolti e che i giudizi siano rivisti. Allo stesso tempo i sindacalisti hanno chiesto alla direzione del carcere sulmonese di rivedere la politica di lotta all’astensionismo, utilizzando forme diverse con interventi volti al benessere del personale. “Un personale”, sottolinea Nardella “che svolge una professione tra le più logoranti dal punto di vista psicologico. La stessa professione, cioè, che ha bisogno di essere riveduta e corretta magari con una riforma che tuteli l’interesse legittimo di chi non è disposto ad ammalarsi di pazzia passando 35 anni della loro vita all’interno di un contesto che, per la brutalità del ruolo che svolge, non è sminuente dire che è secondo solo all’inferno”. Ora non resta che attendere l’esito dei ricorsi della polizia penitenziaria. Secondo la Uil, la valutazione fatta dalla direzione è in contrapposizione alle circolari dipartimentali. Un dato è certo: da quando sono state rese note le “pagelle”, la presenza degli agenti nel carcere di via Lamaccio sembra aumentata. Siracusa: De Benedictis (Pd); 12 detenuti nelle celle previste per 4 e manca il 30% degli agenti Il Velino, 12 settembre 2010 “All’indomani dell’ennesimo grave episodio avvenuto nel centro di prima accoglienza di Palermo, dove un minorenne ha tentato di togliersi la vita, appare evidente la necessità di focalizzare l’attenzione sulla grave situazione degli istituti penitenziari all’interno dei quali, come molti parlamentari hanno potuto accertare durante le visite effettuate nell’ambito dell’iniziativa Ferragosto in carcere, le condizioni di vita sono intollerabili e degradanti”. Lo denuncia il deputato regionale del Pd Roberto De Benedictis, che in una lettera inviata al ministro Alfano all’indomani del tentativo di suicidio avvenuto nel centro di prima accoglienza di Palermo, illustra come in Sicilia siano reclusi 8.200 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5200 posti”. “Nella provincia di Siracusa - scrive il deputato regionale - gli agenti in organico ad agosto dovevano essere 730 ma ve ne erano 524, il 30 per cento in meno. Di contro, a fronte di una capienza regolamentare di 748 detenuti, i reclusi erano 1472, il doppio! Fatte le proporzioni, ciò significa che per ogni 100 detenuti ci sono in servizio 35 detenuti invece dei 100 previsti per legge, cioè un terzo! Le conseguenze si traducono, quasi dappertutto, in vite esasperate, sia dei detenuti che degli agenti di polizia che vi operano”. “Nel carcere di Cavadonna - continua De Benedictis - la parola astratta “sovraffollamento” significa 12 persone in una cella prevista per quattro. A Ragusa, nel braccio dei protetti, ho visto gabbie per polli senza luce né aerazione diretta ma abitate da uomini che si dividevano in due una cella nella quale, in sette mq devono trovare posto anche il letto, il locale di servizio igienico, un tavolino e due sedie: praticamente senza spazio residuo per potersi muovere”. “Una situazione gravissima, indegna per un paese come il nostro, la cui soluzione in nessun caso può riguardare solo la mera costruzione di nuove carceri, senza interessare l’intero percorso della applicazione della giustizia e del trattamento carcerario. Senza cioè si interrompa l’uso indiscriminato della carcerazione preventiva, che si depenalizzino i reati minori, che si eroghino misure e pene alternative in tutti quei casi in cui possono rivelarsi più efficaci del carcere ai fini della rieducazione e del reinserimento sociale, senza che si offrano nel carcere possibilità di lavoro per i detenuti. E, soprattutto, senza che si proceda all’improcrastinabile adeguamento degli organici penitenziari”. Torino: Osapp; tre poliziotti aggrediti al Lorusso e Cutugno, a Biella mensa infestata dai topi Apcom, 12 settembre 2010 Tre agenti penitenziari sono stati aggrediti da un detenuto italiano lo scorso martedì al carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Lo denuncia l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Si tratta del ventesimo evento aggressivo - dichiara Leo Beneduci, segretario generale - avvenuto nelle carceri piemontesi nel giro di un mese. Nel padiglione B, decima sezione, un detenuto italiano di 29 anni ha aggredito, mentre stava ritirando le lenzuola, tre poliziotti. Uno di questi è dovuto rimanere due giorni al pronto soccorso”. “Al carcere di Biella, inoltre - aggiunge - Beneduci - l’8 e il 9 settembre la mensa è stata chiusa per la presenza di topi e i poliziotti sono rimasti a digiuno”. “Quando si fanno chiacchiere e promesse - conclude Beneduci riferendosi al ministero della Giustizia - e nessun fatto concreto avviene, il prezzo più alto lo pagano sempre gli ultimi”. Roma: martedì presentazione del recital diretto da Ugo De Vita per ricordare Stefano Cucchi Agi, 12 settembre 2010 “In morte segreta - conoscenza di Stefano Cucchi” è in programma per martedì prossimo 14 settembre e sarà preceduto da una conferenza stampa dove col regista e autore dello spettacolo De Vita, ci sarà la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi. Ne dà notizia una nota dei Radicali dove si precisa che con De Vita e la sorella di Cucchi ci sarà Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio, Luigi Manconi Presidente di A Buon Diritto e i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Sergio D Elia ed Elisabetta Zamparutti. Lo spettacolo che è promosso dalle associazioni Nessuno tocchi Caino, Ristretti Orizzonti, A Buon Diritto e patrocinato dal Garante dei detenuti del Lazio e dalla Nazionale Italiana Cantanti, sarà portato nelle prossime settimane a Padova, Roma e Milano. La prima rappresentazione si svolgerà il 18 settembre nell’Auditorium della Casa di Reclusione di Padova. Il Recital, della durata di sessantacinque minuti, si compone della proiezione di un video con la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, e la mamma Rita. È poi proposta una celebre aria del Mefistofele e una lettura da Aspettando i barbari del premio Nobel 2003 J. M. Coetzee, poi alcune liriche e il monologo Il Sogno , una scrittura musicale fuori da ogni riferimento alla cronaca giudiziaria che ha portato a tredici rinvii a giudizio. La prosa privilegia invece i pensieri, i ricordi, i sogni, le contraddizioni, le emozioni del giovane Cucchi. La parte musicale è affidata alle improvvisazioni di un sax soprano e ad alcune registrazioni dal repertorio della canzone italiana. Palermo: “Centro Padre Nostro” e Crvg organizzano cineforum in Casa Circondariale Pagliarelli Comunicato stampa, 12 settembre 2010 “Vedere un film è bello, ma il vero piacere è stato quello di aver rivisto, dopo tanto tempo, il cielo stellato!”. Basterebbe questa semplice frase espressa da un detenuto a dare un senso all’iniziativa messa in atto dall’associazione di volontariato “Centro Padre Nostro” e della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Sicilia in collaborazione con la direzione della Casa circondariale “Pagliarelli”. In un periodo durante il quale si parla tanto di sovraffollamento delle carceri, di condizioni disumane dei detenuti, i volontari del Centro creato da Padre Pino Puglisi hanno offerto l’ opportunità di vivere qualche ora relax a coloro che sono obbligati a stare dietro le sbarre 24 ore su 24. “Nuovissimo Cinemissimo Paradisissimo”, è stato il titolo del cineforum organizzato grazie alla disponibilità della direttrice della casa circondariale “Pagliarelli”, dottoressa Francesca Vazzana, ed alla preziosa collaborazione della Polizia Penitenziaria; dal 9 al 27 agosto nel cortile passeggio del carcere dove i detenuti fruiscono dell’ora d’aria si sono susseguite proiezioni di film con l’unica finalità di regalare due ore di svago a coloro che, sono costretti a vivere reclusi spesso in condizioni disumane; è stato un piccolo segno per cercare di sorridere alla vita, anche soltanto guardando le stelle. Film per lo più comici (Salemme ha vinto su tutti), hanno dato un senso diverso alle serate di queste persone, che grazie ai volontari del “Centro Padre Nostro”e della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia si sono sentiti veramente al cinema - arena, con la degustazione di un gelato nell’intervallo tra il primo ed il secondo tempo. Il personale di polizia penitenziaria si è impegnato al massimo per permettere a tutti la partecipazione alla manifestazione, garantendo il servizio d’ordine fino alle 23. Non è stato da meno l’impegno profuso dagli educatori della casa circondariale “Pagliarelli” coordinati dal dott. Nicola Sposito. L’iniziativa ha riscosso il consenso di tutti i detenuti, i quali non hanno lesinato i ringraziamenti sia ai volontari che agli operatori (educatrici, agenti penitenziari) che hanno dedicato quest’ultima parte di agosto alla manifestazione; i film sono stati proiettati in tutte e 15 le sezioni al fine di permettere alle persone recluse di godere della manifestazione. Considerato il successo, anche coloro che appartengono al circuito penitenziario di alta sicurezza hanno avuto la possibilità di partecipare alla manifestazione (in cinque specifiche serate, dal 6 al 10 settembre). Un’iniziativa sicuramente lodevole che non ha l’obiettivo di risolvere i problemi delle carceri italiane, ma soltanto dare un segno di solidarietà ed allo stesso tempo di supporto a coloro che, spesso, espiano la loro pena in ambienti non consoni alla vita di un essere umano. Attualmente nel secondo carcere di Palermo (avviato nel 1995) sono recluse 1300 persone, quasi il doppio di quanto ne dovrebbe contenere, al punto che coloro che dividono la stanza possono usufruire della doccia soltanto una volta ogni tre giorni ed in base a turni prestabiliti; molto spesso, al fine di riscaldare l’acqua e lavarsi giornalmente i carcerati sono costretti ad infilare le bottiglie all’interno delle sbarre delle finestre per sfruttare il calore del sole. La frase con la quale un detenuto ha ringraziato la direttrice del carcere (che abbiamo menzionato all’inizio), riflette l’importanza sociale dell’iniziativa, che ha permesso di donare ai reclusi due ore di “normalità” all’interno di una vita fatta di costrizioni e sofferenza. Ovviamente tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la sensibilità della dottoressa Vazzana, la quale ha sposato subito il progetto promosso dal presidente del Centro Padre Nostro e della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia, Maurizio Artale, dicendosi altresì pronta a sostenere in futuro altre iniziative di questo tipo che hanno il solo obiettivo di promuovere condizioni di vivibilità per le persone all’interno del penitenziario. Il carcere, in teoria, dovrebbe avere una doppia funzione sociale: da un lato punire chi ha commesso un reato nei confronti della collettività e dall’altro rieducare i detenuti affinché a fine pena possano reintegrarsi nella società civile con uno spirito ed un animo diverso; il cineforum, nel suo piccolo, può contribuire a raggiungere quest’obiettivo. La manifestazione, che si è svolta a ridosso del XVII anniversario dell’uccisione del Servo di Dio Padre Pino Puglisi, è servita anche a ricordare il sacrificio compiuto dal parroco di Brancaccio, che ha pagato con la vita pur di indirizzare verso un percorso di legalità gli abitanti del popoloso quartiere palermitano. La degna chiusura del cineforum, infatti, si avrà giorno 18 settembre nel teatro della casa circondariale Pagliarelli quando, alla presenza dell’arcivescovo Paolo Romeo e del Provveditore dell’amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo e il Prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, verrà proiettato il film - tv “Brancaccio” che racconta la vita e l’opera di padre Puglisi. In quell’occasione la direzione della Casa Circondariale farà partecipare alcuni detenuti(circa 250) che saranno ammessi alla visione del film, permettendo loro di godere di qualche ora di socialità ed allo stesso tempo di riflettere sul sacrificio del parroco palermitano. Alla proiezione, organizzata sempre dai volontari del Centro Padre Nostro, parteciperanno: l’Arcivescovo di Palermo, S.E. Paolo Romeo, il Prefetto di Palermo S.E. Giuseppe Caruso, il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Dott. Orazio Faramo, la Direttrice del Pagliarelli, la Dott.ssa Francesca Vazzana, il regista Gianfranco Albano e l’attore Ugo Dighiero (che interpretò Padre Puglisi) i quali testimonieranno in presa diretta sulle sensazioni vissute durante la realizzazione della pellicola. Matteo Stornanti e Maurizio Artale Immigrazione: ecuadoregno arrestato con l’accusa di avere organizzato evasione dal Cie di Gradisca La Tribuna di Treviso, 12 settembre 2010 Venti immigrati incendiano il centro di identificazione ed espulsione e fuggono. E lui, il capo e organizzatore di quella rivolta sfociata in una maxi - evasione, viene arrestato a Treviso. Protagonista Eduardo Turcios, ecuadoregno, 29 anni. La polizia lo ha preso ieri all’ospedale Cà Foncello, dove si era presentato per farsi curare alcune profonde ferite ai tendini, che si era procurato sul filo spinato durante la fuga. Era il giorno di ferragosto. Approfittare della sonnolenta domenica d’estate per fuggire: questa l’idea che aveva unito, sotto una regia comune, molti immigrati detenuti in diversi centri di espulsione (Milano, Brindisi, Gorizia). Il “capo” della rivolta nel Cie goriziano di Gradisca d’Isonzo era stato proprio Turcios, detenuto lì in vista d’espulsione dopo essere uscito a giugno dal carcere di Treviso, dove aveva scontato tre anni per rapina. Un’evasione cruenta, come quella messa in atto negli altri Cie: incendi appiccati, violenza, poi la fuga. Da Gradisca sono scappati in venticinque. Eduardo, in quelle fasi concitate, si è lesionato i tendini delle braccia contro il filo spinato. Ha guadagnato la libertà, ma è stato costretto a fare ricorso alle cure mediche. Lo aspettavano, in ospedale: nei primi giorni a Gorizia, e infatti lui si è presentato. Quando ha visto la polizia, però, è fuggito. L’ecuadoregno ha parenti a Treviso, dove lui stesso risiedeva prima dell’arresto, e da qui è scattato il paziente piano della questura di via Carlo Alberto: aspettarlo al varco. Ieri, pensando che le acque si fossero calmate, Turcios è andato al Cà Foncello per farsi medicare di nuovo le braccia. Questa volta, oltre alle garze, ad attenderlo ha trovato le manette. Ieri l’uomo è stato scortato fino a Milano, dove in serata è stato imbarcato su un volo che lo ha riportato nel suo Paese d’origine. Mondo: sono 2.905 gli italiani detenuti all’estero, nelle carceri tedesche oltre 1.000 italiani Ansa, 12 settembre 2010 Sono circa tremila persone prigioniere del silenzio sparse per il mondo. Lo sostiene l’associazione “Prigionieri del silenzio”, la quale disperatamente cerca di portare all’attenzione delle disattente autorità italiane le loro storie. Oltre l’80 per cento degli italiani detenuti all’estero si trova in carceri europee, prime tra tutte quelle tedesche che ne ospitano ben 1.079. Seguono le prigioni spagnole (458), quelle francesi (231), belghe (202), del Regno Unito (192) e della Svizzera (131). Negli Stati Uniti troviamo 91 connazionali detenuti, in Venezuela 66, in Perù 58, in Brasile 54, in Colombia 30. Sono30 anche quelli presenti nelle carceri australiane. Tra Asia e Oceania ne troviamo 55. Stati Uniti: pena di morte; venerdì esecuzione nello stato di Washington Ansa, 12 settembre 2010 Il detenuto Cal Coburn Brown è stato messo a morte venerdì nello stato di Washington con una iniezione dopo avere trascorso 16 anni in attesa dell’esecuzione. Brown era stato condannato a morte per avere stuprato, torturato ed ucciso una ragazza di 21 anni, Holly Washa. Quattro familiari della vittima erano tra gli spettatori della esecuzione avvenuta nel Washington State Penitentiary. Prima di morire Brown ha protestato per l’ingiustizia del sistema penale Usa sottolineando che persone che hanno commesso omicidi multipli hanno ricevuto il carcere a vita. “Io ho ucciso solo una persona - ha detto Brown poco prima di morire - Questa non è vera giustizia: spero che in futuro le cose siano modificate”. I familiari della vittima hanno detto di essere dispiaciuti di avere dovuto aspettare 16 anni prima di veder morire Brown. Stati Uniti: distributori di preservativi installati in un carcere di San Francisco Ansa, 12 settembre 2010 Distributori di preservativi in carcere, questa la novità americana che fa discutere. Le autorità hanno recentemente installato ben 16 macchine per i 750 detenuti nonostante il sesso tra i detenuti sia ufficialmente illegale, solo che si tende sempre più a chiudere un occhio. Lo sceriffo Michael Hennessey, intervistato dal San Francisco Chonicle, ha fatto sapere che questa scelta deve essere vista assolutamente come un messaggio educativo che inviti tutti ad avere rispetto della propria salute. “A questo punto, se mettere a disposizione dei detenuti i preservativi può essere utile a salvare delle vite, ne vale la pena” questo il punto di vista di Kate Monico Klein del Dipartimento di Sanità Pubblica. Messico: evasione di massa; in fuga 85 detenuti, si sospetta complicità delle guardie Adnkronos, 12 settembre 2010 Ben 85 detenuti sono evasi da un carcere nello stato settentrionale messicano di Tamaulipas. Lo ha confermato Antonio Garza Garcia, ministro per la Sicurezza di questo Stato, aggiungendo che si sospetta la complicità delle guardie. Al momento sono stati arrestati tutti i 44 secondini che erano in servizio al carcere della città di Reynosa al momento dell’evasione di massa. La maggior parte dei detenuti fuggiti appartenevano a gang di trafficanti di droga. Reynosa si trova vicino al confine con gli Stati uniti e il suo carcere fu teatro di un’altra maxi evasione nel 2001. Il mese scorso 40 detenuti sono fuggiti dal carcere della vicina città di Matamoros. Il carcere ospita quasi esclusivamente membri del narcotraffico. Questi episodi di evasioni collettive non sono rari in Messico e sono facilitati per lo più dalla complicità “comprata” di membri del personale carcerario. A fine marzo altri 41 detenuti erano riusciti ad uscire a piedi dalla porta principale di un altro carcere dello stato di Tamaulipas, accompagnati da due guardie penitenziarie.