Giustizia: il 24 settembre volontariato penitenziario sit-in a Montecitorio per i diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 10 settembre 2010 Il volontariato del carcere convoca per il 24 settembre un sit in a Montecitorio e un’assemblea nazionale per chiedere al governo di far fronte al problema del sovraffollamento “e per ristabilire la legalità nel sistema penitenziario”. Scioperi programmati in tutte le carceri. La Consulta penitenziaria del comune di Roma, la Conferenza nazionale volontariato giustizia, Seac, Ristretti Orizzonti, Arci nazionale, Cnca, Gruppo Abele, Uisp, Forum Droghe, Consorzio Open, Fondazione Villa Maraini, Lila, Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e degli internati, Legacoopsociali nazionale, promuovono un sit in a Montecitorio il 24 settembre dalle 9 alle 14 e scioperi programmati in tutte le carceri per sollecitare provvedimenti che ristabiliscano la legalità nel sistema penitenziario. Alle 15,30 dello stesso giorno, dopo il sit in, c’è l’assemblea nazionale del volontariato in carcere, presso la sede della Provincia di Roma (Palazzo Valentini, via IV Novembre). Questo il documento che invita all’iniziativa e che ne spiega le ragioni: Appelli del volontariato e della società civile, mobilitazioni della polizia penitenziaria, scioperi della fame dei detenuti non sono in alcun modo riusciti a sollecitare nessun provvedimento realmente utile a far fronte al sovraffollamento, né da parte del governo né del ministro della Giustizia. Restano aperte tutte le problematiche di un sistema, quello dell’esecuzione della pena, ormai imploso, e oggi sono gravissimi i problemi che vivono le persone detenute ma anche gli operatori e i lavoratori del carcere. La tensione nelle carceri sale vertiginosamente e vi si respira una disperazione diffusa. Se non si trovano rapidamente delle soluzioni le carceri rischiano, nonostante le civilissime proteste dei detenuti, di diventare una polveriera come lo furono, per chi ha memoria, quelle di prima della riforma del 1975. Occorre intervenire immediatamente. Questo fallimento, perché di fallimento si tratta, è da attribuire a tutta la classe dirigente che non è riuscita a trovare risposte in sede legislativa alla richieste che da più parti sono state espressamente fatte per adeguare il sistema penale agli standard europei. Il problema oggi più che ieri si ripropone con forza perché il sovraffollamento, i tanti suicidi, l’incompatibilità con il carcere di alcune tipologie di detenuti (soprattutto quelli affetti da patologie psicofisiche e i tossicodipendenti), i tagli alla spesa sul programma dell’Amministrazione penitenziaria di 18.592.537 euro di cui 7.402.666 alle spese di mantenimento assistenza e rieducazione dei detenuti, il “Piano straordinario per l’edilizia penitenziaria” costosissimo e inutile, se solo si pensa che ci sono carceri nuove e inutilizzate per mancanza di personale, il decreto Alfano su “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”, che mirava ad alleggerire il sovraffollamento ed è stato del tutto svuotato in nome di una “certezza della galera” che crea solo insicurezza, la gestione poco trasparente dei fondi della Cassa Ammende, i tagli ai trasferimenti sulla spesa sociale degli enti locali che rendono impossibili il reinserimento sociale e lavorativo delle persone che escono dal carcere, tutto ciò sta rendendo il nostro sistema carcerario simile a quello di paesi dittatoriali e sottosviluppati. Per tutto ciò tantissime realtà del volontariato e della cooperazione sociale hanno deciso una serie di iniziative all’esterno e all’interno degli istituti penitenziari, compresi scioperi bianchi, che hanno l’obiettivo di manifestare l’urgenza di riconsiderare tutte le possibili soluzioni in grado di fare del carcere una realtà democratica, in cui il tempo della pena possa assumere una reale funzione di risarcimento e di reinserimento autentico, senza privare la persona dei diritti di cittadinanza. Che cosa chiediamo? Chiediamo a tutte le forze politiche di riconsiderare la necessità di avviare l’iter parlamentare per apportare soluzioni al sovraffollamento rapide e condivise con chi in carcere lavora o opera a titolo di volontariato, e soprattutto chiediamo che le Commissioni Giustizia di Camera e Senato si adoperino perché lo scarto tra la realtà carceraria e le leggi che hanno riempito a dismisura le strutture detentive esistenti sia colmato con la riforma di alcune norme, che consentano di risolvere strutturalmente i problemi del sovraffollamento attraverso la scarcerazione e l’inserimento in circuiti alternativi di: detenuti in attesa di giudizio, tossicodipendenti, migranti, malati di Aids, madri con figli fino a tre anni, malati psichiatrici, malati gravi. Con questo sit-in intendiamo inoltre evidenziare i problemi di reinserimento dovuti ai troppi tagli alla spesa sociale, che stanno costringendo molte realtà della cooperazione e del volontariato a chiudere le proprie attività, vanificando di fatto i principi e i benefici previsti dalla Legge Gozzini; e chiedere con forza che interventi appropriati e immediati vengano messi in atto al fine di restituire dignità e serenità alle migliaia di persone private della propria libertà; chiedere la definitiva chiusura degli Opg e la piena applicazione in tutte le regioni della riforma della medicina penitenziaria; sostenere la protesta civile e silenziosa che da mesi viene portata avanti dalle persone recluse negli istituti di pena. Hanno fin qui aderito: Alessandro Margara, Aldo Morrone, il coordinamento dei garanti territoriali, i garanti territoriali Desi Bruno [Bologna], Mariapia Brunato (Torino), Livio Ferrari (Rovigo), Franco Corleone (Firenze), Nessuno Tocchi Caino, Antigone, Il detenuto Ignoto, Radio carcere - Riccardo Arena Ora D’Aria, Circolo Libellula - Arci Trans, Iismas, Il Granello di Senape, Circolo Cultura Omosessuale Mario Mieli, Non Solo Chiacchiere, A Roma Insieme, Papillon Rebibbia, NO.DI, Donne Brasiliane, Uisp Roma, Aspic, Punto e a Capo, Arte Studio, Lila Roma,Vo.La.Re, Vic - Volontari in carcere onlus, Legacoopsociali Lazio, Cecilia, 29 Giugno, Pid, Ape, Parsec, Magliana 80, Villa Maraini, Il Cammino, L’Araba Fenice, Arca di Noè, Forum Salute del Piemonte, del Lazio, della Toscana, della Campania. Giustizia: la Corte dei conti mette sotto accusa la gestione dell’edilizia penitenziaria Ansa, 10 settembre 2010 Poche risorse e lungaggini burocratiche hanno messo a dura prova le carceri in Italia. I soldi arrivano con il contagocce e quando arrivano spesso l’emergenza è da un’altra parte. Ci sono poi casi limite, come quello del nuovo penitenziario di Reggio Calabria: la prima pietra è stata messa nel 1996, quattordici anni fa, ma il carcere ancora non ha aperto i battenti. A fotografare la situazione in cui versa l’edilizia carceraria in Italia è la Corte dei Conti che ha svolto un’indagine sui piani e sugli interventi degli ultimi cinque anni, dal 2004 al 2009. La Corte sottolinea che le pesanti difficoltà della gestione complessiva dell’edilizia penitenziaria si inseriscono in un contesto non facile, caratterizzato dal sovraffollamento delle carceri a seguito del crescere della cosiddetta “criminalità di importazione”, come la definisce la stessa Corte dei Conti. L’intera gestione in materia di edilizia penitenziaria negli ultimi cinque anni risulta dunque contrassegnata da pesanti difficoltà di attuazione per varie ragioni, fra le quali emergono particolarmente - sottolinea la Corte - la cronica insufficienza dei finanziamenti, i tortuosi meccanismi di assegnazione delle risorse disponibili, le lungaggini procedurali, il frequente e rapido mutamento delle esigenze e degli obiettivi, la dilatazione dei tempi nella fase esecutiva di costruzione delle nuove strutture penitenziarie dovuta anche al sorgere di contenziosi. Tutto ciò nel mentre si assiste al progressivo e inesorabile peggioramento della situazione di sovraffollamento delle carceri, che diventa sempre più grave - rilevano ancora i magistrati contabili - con il passare del tempo per il continuo incremento della popolazione detenuta, alla cui formazione concorre, in maniera consistente e crescente, la criminalità d’importazione, che si aggiunge a quella nazionale. La Corte invita dunque l’amministrazione a “incombenti istruttorie” per capire l’origine delle disfunzioni. Un cenno infine alle carceri-fantasma sulle quali la Corte chiede “una puntuale e circostanziata informativa”. Si tratta del carcere di Morcone (Benevento), che sarebbe stato ultimato, abbandonato, poi ristrutturato e mai aperto; il carcere di Busachi (Sardegna), che sarebbe costato 5 miliardi di lire e non avrebbe mai funzionato; l’istituto di Castelnuovo della Daunia (Foggia), che sarebbe arredato inutilmente da 15 anni; il penitenziario di Revere (Mantova), ancora incompleto, i cui lavori sarebbero fermi dal 2000 e i locali sarebbero stati saccheggiati. Giustizia: Ionta (Dap); la Corte dei conti ha ragione, ma non si riferisce al mio Piano carceri Ansa, 10 settembre 2010 “La Corte dei Conti dice cose sacrosante e cioè che esiste un problema di sovraffollamento penitenziario e che c’è bisogno di nuove strutture e di più personale; ma è proprio quello che il governo e il Dap stanno cercando di fare”. Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, commenta così i risultati critici dell’indagine della magistratura contabile sui piani degli interventi dal 2004 al 2009. “Evidentemente - aggiunge Ionta, raggiunto dall’Ansa - la Corte dei Conti non ha preso in esame il piano straordinario varato nel frattempo dal governo, approvato lo scorso giugno dal comitato di vigilanza intergovernativo composto dai ministri della Giustizia e delle Infrastrutture, Angelino Alfano Altero e Matteoli, nonché dal capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. In base a quel piano - di cui Ionta è responsabile in quanto nominato commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria - entro il 2012 saranno costruiti 11 nuovi carceri e 20 padiglioni in altrettanti penitenziari già esistenti, per un totale di circa 660milioni di euro, di cui 500 milioni provenienti dallo stanziamento ad hoc dell’ultima finanziaria e i rimanenti dai capitoli di bilancio ordinario del Dap e della cassa delle Ammende. Ma dal momento che la Corte dei Conti ha lamentato lungaggini burocratiche sino ad oggi alla base della rallentata costruzione delle carceri, quando verranno realizzate quelle nuove con le procedure straordinarie? “Abbiamo utilizzato il mese di agosto per sondare la disponibilità delle Regioni interessate dal piano - risponde Ionta - , ora passeremo ai piani di fattibilità e poi alle gare”. Quando si comincerà allora a mettere il primo mattone? “È tutto in movimento, i tempi - afferma il Capo del Dap - non sono facilmente prevedibili. Ma - conclude - nel giro di 2 - 3 mesi puntiamo a far partire le gare, quantomeno per la costruzione dei nuovi padiglioni”. Giustizia: sovraffollamento e polizia penitenziaria sotto organico, aumentano le evasioni di Ferdinando Pelliccia www.direttanews.it, 10 settembre 2010 Anche ieri si è registrato l’ennesimo tentativo di evasione da un carcere italiano. Tentata un’evasione dal carcere di Rebibbia, nuovo complesso. L’episodio sarebbe da mettere in relazione alle forti carenze d’organico della polizia penitenziaria e all’ormai cronico sovraffollamento degli Istituti carcerari italiani. A tentare l’evasione un detenuto marocchino che dopo aver eluso i controlli ha tentato di evadere calandosi in un tombino e arrivando nei sotterranei. Per fortuna gli agenti accortisi della sua sparizione hanno avviato varie ricerche anche nei sotterranei e il detenuto è stato rintracciato e fatto rientrare in cella. “Si deve solo alla professionalità, alle capacità e all’attenzione del personale di polizia penitenziaria se è stata impedita l’evasione del detenuto da un carcere italiano”, ad affermarlo Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Sappe che ricorda anche che: “A Rebibbia nuovo complesso, gli agenti lavorano costantemente in condizioni difficili. Basti pensare che i detenuti presenti sono circa 1.700 dei 1.100 letti regolamentari e gli agenti di Polizia Penitenziaria che mancano in organico sono ben 255!”. Quello che più impensierisce è il fatto che un analogo episodio si era già verificato due mesi fa con un altro detenuto protagonista. Di tentativi riusciti o meno di evasioni se ne sono registrati numerosi negli ultimi mesi. Vercelli, Pisa, Orvieto, Asti, Cuneo, Firenze, Milano, Alessandria e Torino. L’ultimo episodio risaliva allo scorso due settembre quando è stato sventato un tentativo di evasione da parte di due detenuti al carcere di Vercelli. Un carcere dove a fronte di 200 posti disponibili vi sono detenuti 400 persone. Un sovraffollamento a cui devono fare fronte, invece, gli agenti di polizia penitenziaria in sotto organico. È stato stimato che mancano almeno 57 unità come denunciato dal Sappe. Però, è stato l’episodio accaduto il primo settembre a far scattare un altro allarme. Quello che della criticità delle carceri italiane se ne possano avvantaggiare detenuti di particolare pericolosità e quelli sottoposti al 41 bis. Nel carcere di Asti è stato sventato sul nascere un tentativo di evasione che poteva essere di massa e con conseguenze inquietanti. Durante una perquisizione nella sezione ad Alta Sicurezza la polizia penitenziaria ha rinvenuto corde di quasi 5 metri di lunghezza, ricavate da strisce di lenzuola intrecciate. Una sezione in cui i detenuti sono classificati AS3, dove per AS si intende Alta Sicurezza, e che hanno cognomi ‘significativì quali Di Lauro, Strangio, Mancuso, Cordì, Schiavone e Tripodo, già lo scorso mese di agosto era stato sventato un altro tentativo di evasione di uno degli uomini di un clan di spicco di Palermo. “Non sappiamo fino a quando, nelle carceri, si potranno conseguire così importanti risultati nell’interesse della Collettività, ma ogni giorno che trascorre nelle attuali condizioni di disagio e di abbandono, quanto di buono si ottiene dagli istituti di pena, è sempre meno merito della politica e dell’Amministrazione penitenziaria e sempre più frutto del sacrificio anche personale delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria”, ha spiegato il segretario dell’Osapp. La frequenza di questi gravi episodi un po’ in tutta Italia e l’assenza di concreti provvedimenti per il sistema carcere da parte delle Istituzioni e della politica preoccupa profondamente il Sappe. Il sindacato denuncia che il personale di polizia penitenziaria continua a diminuire di circa mille unità all’anno, e che allo stato attuale mancano oltre 6mila agenti rispetto alle piante organiche previste dal decreto ministeriale del 2001. Sono 39.800 agenti penitenziari che ogni giorno devono vigilare sui 230 istituti penitenziari distribuiti sul territorio nazionale dove sono detenute ormai 68.435 persone. Di questi gli extracomunitari sono circa 25mila pari al 37 per cento della popolazione carceraria. Una realtà questa che ha spinto Capece a lanciare una proposta che ha anche il sapore di una forte provocazione alle istituzioni. “Bisogna accelerare le previste assunzioni di 2mila nuovi Agenti. Ma nel frattempo, un’ottima soluzione potrebbe essere quella di impiegare i militari delle Forze Armate per i servizi di vigilanza esterna degli istituti penitenziari”. A conferma della criticità della situazione nelle carceri italiane le stime dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, Osapp, secondo cui in Italia sono ormai 68.435 le persone detenute nelle carceri. Di fatto quasi 24mila in più dei posti disponibili ossia siamo al + 53,55 per cento. Tra le regioni che hanno superato persino la capienza tollerabile spiccano la Puglia con 651 detenuti in più , la Lombardia, 505, l’Emilia Romagna, 400, il Veneto, 358 e la Sicilia, 255. Questa sovrappopolazione crea forti tensione nelle carceri facendo aumentare, con le criticità connesse al grave sovraffollamento, il rischio di eventi critici sempre più gravi come aggressioni ad agenti o risse tra detenuti. “Dopo la pausa estiva, il trend di crescita delle popolazione detenuta è ripreso inarrestabile e visto che dal Governo e dal Ministro Alfano sono mancati del tutto correttivi ed interventi, entro la fine dell’anno saranno assolutamente ingestibili gli attuali istituti penitenziari”, denuncia l’Osapp. Per il segretario del sindacato, Leo Beneduci: “Un disastro inevitabile dimostrato anche da quanto sta accadendo nei nuovi istituti di Rieti e Trento: a Rieti delle previste 270 unità di polizia penitenziaria ce ne sono solo 108; e nel nuovo carcere di Trento, non si raggiungeranno più di 130 poliziotti, mentre ne erano previsti 350”. Una dichiarazione che dimostra che alla fine a subire gli effetti di questa situazione sono soprattutto gli uomini e le donne della polizia penitenziaria. Secondo l’Osapp: “si corre il rischio che tutto questo diventi normalità. Una normalità di un sistema fallace che bolla come ordinari fatti del genere davanti i quali ci sono un’amministrazione e un ministro della Giustizia che non sanno più che emergenze affrontare. A questo s’aggiungono i congegni di allarme malfunzionanti in gran parte degli istituti penitenziari, i turni di servizio che non hanno termine e che i colleghi oramai soffrono da tempo, gli straordinari non pagati, i continui ricoveri da stress che gli agenti richiedono per una situazione che non può andare ancora oltre”. Giustizia: nelle carceri 153 biblioteche idonee, ma solo 37 restano aperte dopo le 16 Ansa, 10 settembre 2010 I 68mila detenuti che, ad oggi, si trovano nelle 206 sovraffollate carceri italiane possono impiegare parte del loro tempo leggendo, ma per lo più soltanto la mattina e quasi sempre libri, non quotidiani o periodici. È quanto emerge da una rilevazione compiuta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) sulle biblioteche in carcere. Quelle che si trovano in locali idonei ed attrezzati anche con computer o stampanti sono 153 (su un totale di 201 istituti penitenziari che hanno risposto ai questionari). Di queste, tuttavia, solo 52 sono convenzionate con i servizi bibliotecari gestiti da comuni e province. Ma il dato più rilevante, alla base delle indicazioni che il responsabile della direzione generale detenuti del Dap Sebastiano Ardita ha impartito ai provveditori regionali con una circolare, è la criticità degli orari di apertura delle biblioteche penitenziarie: solo 37 sono accessibili anche nel pomeriggio, dopo le 16. E ancora: l’acquisto di giornali o periodici è possibile soltanto in 75 biblioteche. Il Dap ha pertanto sollecitato gli istituti a prolungare l’orario di apertura e a rafforzare il ruolo di supporto alle attività istruttive, ampliando l’offerta dei testi e di prodotti multimediali e collaborando con associazioni o centri che si occupando di immigrazione così da garantire testi e stampa quotidiana in lingua originale. “È evidente - scrive Ardita - che la difficile situazione che investe il mondo penitenziario, a causa principalmente del sovraffollamento e della carenza degli operatori, rende il superamento della problematica evidenziata di difficile attuazione, tuttavia, si ritiene che qualche tentativo in tal senso possa essere sperimentato, anche con l’ausilio del volontariato che, in molti casi, già collabora fattivamente alla gestione del servizio bibliotecario”. Lettere: solo demagogia nel decreto legislativo riguardante il rimpatrio dei detenuti stranieri Comunicato Stampa, 10 settembre 2010 Il Cidsi - Centro Informazioni Detenuti Stranieri in Italia - denuncia l’ultima demagogica iniziativa del Governo per fronteggiare l’emergenza carceri. Il decreto legislativo riguardante il rimpatrio dei detenuti stranieri non solo non affronta la questione drammatica del sovraffollamento, ormai giunto ad un limite incontrollabile, ma con un sol colpo cancella buona parte dei diritti dei detenuti e un pezzo importante della nostra civiltà giuridica. L’Italia con questo provvedimento supera e si mette alla testa delle politiche adottate da altri paesi europei in materia di politiche migratorie. L’incapacità di accogliere e integrare i Rom per un verso e i detenuti stranieri per l’altro mostra l’assenza completa di politiche d’integrazione che riusciranno solamente ad esasperare i conflitti. Il Cidsi auspica una ripresa dell’iniziativa politica e democratica per fermare le scelte demagogiche, insensate e razziste del governo in materia penale. Per il Cidsi Mariella Altomare Napoli: Gabriele (Pd); suicidio a Poggioreale ennesima conferma disinteresse del Governo Adnkronos, 10 settembre 2010 Con questo salgono a tre i suicidi verificatisi all’interno del carcere di Poggioreale tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre. Questa è l’ennesima conferma del disinteresse del governo e la dimostrazione dell’eccessiva attenzione per salvare dal carcere, grazie a leggi ad personam, chi in carcere non c’è mai stato. Giovedì mi recherò in visita ispettiva nella casa circondariale di Poggioreale per far luce su quanto accaduto questa mattina”. Lo dichiara Corrado Gabriele, consigliere regionale del Pd, che interviene sulla morte del detenuto di 34 anni avvenuta ieri sera nel carcere di Poggioreale. Il governo continua a non intervenire con atti concreti per migliorare le condizioni disumane in cui vivono migliaia di reclusi in tutta Italia. Gran parte dei suicidi si verifica in molti casi per lo stato di stress psicologico cui sono sottoposti i carcerati, sia per incontrare i familiari che per ricevere cibo o altre cose in carcere. Ma soprattutto per le condizioni fisiche in cui sono costretti a vivere ventiquattro ore al giorno. Proprio nell’istituto di pena di Poggioreale - rimarca Gabriele - dove sono stato in visita a giugno scorso, vivono in nove in una cella di 18 metri quadri, ossia uno spazio di poco più di 2 metri per ciascun individuo. Un carcere che, va detto, accoglie 2.666 detenuti. Per non parlare delle docce, che il regolamento consente di fare due volte a settimana e che, in alcuni reparti, sono addirittura inesistenti. In particolare, il consigliere del Pd Gabriele, che sta effettuando un giro di ispezioni in tutti gli istituti carcerari della Campania, punta l’indice contro la rigidità del regolamento per le visite dei familiari. Spesso - accusa l’esponente del Pd - accade che molti parenti dopo essersi messi in fila dalle prime luci dell’alba per un colloquio, siano informati solo al momento di entrare che il proprio congiunto è venuto a mancare, com’è capitato ad una madre in visita al figlio, che era già morto da tre giorni. Ristrutturare le case circondariali della regione e sbloccare i cinque milioni di euro già stanziati è un’altra delle priorità per il consigliere di centrosinistra: “Bisogna migliorare le condizioni di vivibilità dei carcerati, che non possono essere trattati come animali e cui occorre garantire la certezza di un futuro migliore una volta scontata la pena, attraverso percorsi formativi e rieducativi volti alla reinclusione sociale. Senza dimenticare - conclude Gabriele - le condizioni di precarietà in cui si trovano ad operare anche i circa 200 agenti penitenziari che lavorano a Poggioreale e che dal prossimo anno saranno vittime dei tagli del governo, con aggravio di turni e di carichi di lavoro”. Firenze: tornano al lavoro le officine penitenziarie per la riparazione delle bici rimosse Dire, 10 settembre 2010 Via libera della giunta alla nuova convenzione del Comune con la Cooperativa Ulisse, il carcere di Sollicciano e l’Istituto minorile Meucci. Riprenderà a breve l’attività dei laboratori della Cooperativa Ulisse per la riparazione delle biciclette abbandonate. La giunta comunale ieri infatti ha dato il via libera, su proposta dell’assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi, al nuovo protocollo che disciplina i rapporti tra Amministrazione, Carcere di Sollicciano, Istituto per i minorenni Meucci e la cooperativa. Si tratta del rinnovo della intesa scaduta qualche mese fa ma non manca un elemento di novità, ovvero la previsione che il 2% delle biciclette riparate siano destinate al Comune. “Sono soddisfatta dell’approvazione di questa delibera commenta l’assessore Saccardi perché si garantisce una seconda vita a quei mezzi altrimenti destinati a diventare carcasse inutilizzabili nelle depositerie dando lavoro a una cooperativa sociale impegnata a fornire una occasione lavorativa alle persone che escono da circuito carcerario. Al tempo stesso così assicuriamo un servizio alla città perché, anche grazie ai mezzi che resteranno nella disponibilità dell’Amministrazione, possiamo incentivare l’utilizzo della bici quale mezzo per spostarsi in città”. La decisione parte da una constatazione, ovvero che l’esperienza scaturita dall’attivazione dei laboratori a Sollicciano e al Meucci è considerata dai responsabili delle strutture un valido strumento di socializzazione nonché come intervento congiunto finalizzato al reinserimento socio - lavorativo dei detenuti, detenuti in misura alternativa ed ex detenuti, adulti e minori. E al tempo stesso rappresenta una occasione per valorizzare il sistema della cooperazione sociale per la realizzazione di un progetto con obiettivi così marcatamente sociali. Quindi il Comune si impegna a donare alla Cooperativa sociale Ulisse le biciclette necessarie all’attivazione dei due laboratori - officina interne ai due istituti di pena che si occuperanno della riparazione dei mezzi. Si tratta delle biciclette rimosse per violazioni del codice della strada e acquisite al patrimonio comunale come oggetti abbandonati perché non reclamati dai proprietari. Mezzi che si accumulano nella depositeria. Le bici verranno poi vendute dalla cooperativa e i relativi proventi dovranno essere destinati esclusivamente alla prosecuzione dell’attività. La Cooperativa Ulisse da parte sua si impegna a gestire le officine interne dei due istituti di pena e a provvedere alla riparazione delle biciclette provenienti dalla depositeria (e di quelle eventualmente affidate da altri enti pubblici o privati) nelle due officine e di utilizzare locali esterni per l’attività di vendita. E inoltre anche a mettere ogni anno a disposizione dell’Amministrazione comunale il 2% delle biciclette riparate per finalità diverse. Tra gli impegni della cooperativa di utilizzare il ricavato della vendita per la prosecuzione delle attività previste dal protocollo e di assumere come soci - lavoratori il numero di detenuti necessario a svolgere il lavoro di riparazione. La direzione del carcere di Sollicciano e quella dell’istituto Meucci da parte loro si assumono l’obbligo di individuare i soggetti da avviare al lavoro nelle officine, di favorire l’attività lavorativa e formativa dei detenuti assicurando il rispetto degli orari programmati, di attivarsi perché le persone che rientrano nel progetto scontino la pena nelle due strutture. E per quanto riguarda il Meucci anche di concedere in commodato gratuito alla Cooperativa Ulisse i locali individuati all’interno dell’istituto. Firenze: Corleone; a Sollicciano oltre mille detenuti, sovraffollamento fuori controllo Ansa, 10 settembre 2010 Il carcere fiorentino di Sollicciano ormai ha un sovraffollamento fuori controllo, con oltre mille detenuti: lo afferma Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti di Firenze, rivelando oggi in una conferenza stampa che alla conta di ieri sono risultati in 1.010, oltre a 6 bambini. La capienza regolamentare del penitenziario è di 476 detenuti. Corleone fa appello alla Regione Toscana perché nomini un garante regionale per i diritti dei detenuti, e perché ricostituisca il tavolo che si era formato prima delle elezioni, un tavolo regionale permanente a cui chiamare le amministrazioni locali e la magistratura per monitorare costantemente esigenze e avanzamento di progetti specifici. Il garante ha inoltre lamentato la non apertura della scuola del carcere di Sollicciano a causa dei tagli del Governo all’istruzione, una decisione assolutamente inaccettabile che rappresenta un vero sfregio, specie in una situazione dove le condizioni interne non garantiscono il diritto alla salute, e che pregiudica la funzione rieducativa del carcere. Il nuovo prefetto deve intervenire - ha concluso Corleone - vista la gravità della situazione, e mi auguro che Comune, Provincia e Regione facciano sentire la propria voce. Varese: con il progetto “Non solo accoglienza”, anche casa e lavoro per gli ex detenuti Varese News, 10 settembre 2010 Un progetto triennale promosso da vari partner per dare risposte concrete ai bisogni di reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti della provincia di Varese. Si chiama “Non solo accoglienza” e mira ad intervenire sui temi della formazione, del lavoro e dell’abitazione per le persone delle Case Circondariali di Varese e Busto Arsizio e per le loro famiglie. Spesa complessiva: 628.841 euro. Fondazione Cariplo finanzierà 320.000 euro. Vol.Gi.Ter (Associazione Volontariato Giustizia Territorio), Enaip, Exodus e Intrecci assieme per un importante progetto diretto a detenuti ed ex della provincia di Varese. L’elemento di novità di questo progetto è la volontà di proporre percorsi individualizzati, flessibili e negoziati, condivisi con il sistema dei servizi territoriali in un’ottica di integrazione delle risposte da dare al singolo, della continuità della cura riabilitativa e dello sviluppo culturale della comunità locale. Nel concreto si prevedono progetti che prenderanno avvio dall’interno dei penitenziari su iniziativa dell’area educativa per poi svilupparsi all’esterno, tramite un percorso individuale condiviso con la rete dei servizi locali. Ma come sensibilizzare la comunità locale? Puntando sul concetto di “sicurezza collettiva”. È infatti noto che i tassi di recidiva dei detenuti che hanno partecipato a percorsi di reinserimento all’esterno del carcere a a pene alternative sono molto più bassi rispetto a chi ha scontato la propria pena esclusivamente dietro le sbarre. Verranno promossi anche interventi pubblici in cui si cercherà di dimostrare come gli interventi di reintegrazione sociale siano occasioni reali di protezione dei propri affetti e dei propri beni. All’interno di questo progetto nasce anche il blog Carcere 2.0, “uno spazio per raccontare l’evoluzione del progetto”, ma anche per gettare una luce sui temi della detenzione. Il blog vuole infatti essere un’occasione di riflessione e confronto sul tema del carcere. “Per questo vogliamo provare - partendo anche da articoli, fatti di cronaca e contributi esterni a porci delle domande e a riflettere insieme”. Il carcere viene spesso presentato, dai media, come un “pianeta alieno” mentre è parte della società. Gli istituti sorgono “fisicamente” all’interno dei confini delle città e tra quelle mura vivono persone che vengono dalla società esterna e che, prima o poi, ci torneranno. Anche perché “Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato”. Almeno così sostiene la Costituzione. Teramo: un gruppo di detenuti al lavoro con i cantonieri per le attività di manutenzione stradale Corriere Adriatico, 10 settembre 2010 Un gruppo di detenuti del carcere di Castrogno ha scritto una lettera al vicepresidente della Provincia Renato Rasicci nella quale affermano di aver sbagliato nel loro percorso di vita ma chiedono anche una opportunità di reinserimento sociale “Abbiamo sbagliato, chiediamo una possibilità”. Dal prossimo mese di ottobre, infatti, i detenuti affiancheranno i cantonieri per le attività di manutenzione stradale sul territorio provinciale. “Anche se abbiamo sbagliato siamo pronti a recuperare. Così il gruppo di detenuti del carcere di Castrogno scrive al vicepresidente della Provincia con delega alle Politiche Sociali, Renato Rasicci, una lettera che attraverso una possibilità di reinserimento nella collettività chiede in sintesi la possibilità di una speranza. Ed è proprio il frutto di questa lettera il progetto che partirà su impulso dell’assessore Rasicci e che vedrà 6 detenuti accanto ai cantonieri della provincia per attività di affiancamento in lavori di manutenzione stradale. L’accordo siglato dalla Provincia con i servizi sociali del carcere di Castrogno prevede infatti che alcuni detenuti (3 per ogni semestre) escano fuori dalla struttura penitenziaria una volta la settimana per svolgere 8 ore lavorative a sostegno delle attività del primo nucleo di cantonieri della Provincia in servizio a Sant’Omero. I detenuti saranno accompagnati al lavoro da un pulmino ma non saranno sorvegliati da agenti di polizia penitenziaria anche perché le figure coinvolte nel progetto sono persone individuate dai servizi sociali proprio per le reali possibilità di recupero. L’iniziativa di recupero sociale, di cui è particolarmente orgoglioso l’assessore Renato Rasicci, è svolta in collaborazione con l’associazione Uniti contro la droga, partirà a ottobre e costerà all’ente 6.200 euro. Un impegno economico non certo importante ma che sarà in grado di tracciare un percorso nuovo capace di dare speranza a quei detenuti che, pentiti, aspirano da subito a un loro reinserimento nella società. Il progetto ha già ottenuto il plauso di molte associazioni del territorio. Matera: carcere e disabilità, quando la formazione favorisce il recupero sociale Asca, 10 settembre 2010 Lunedì 13 settembre alle ore 9,30 presso la Sala giunta dell’Ente di via Ridola, saranno siglati i protocolli di intesa con la Casa Circondariale di Matera e la comunità Fratello Sole di Irsina. “Favorire il recupero sociale dei detenuti e dei diversamente abili attraverso progetti di formazione dedicati ha dichiarato l’assessore alla formazione Salvatore Auletta è lo scopo di questi protocolli. Due piattaforme di attività che rientrano nel quadro delle politiche sociali a sostegno della promozione delle risorse di questa provincia. Tutte le iniziative promosse dall’assessorato sono finalizzate, in particolare, alla tutela e promozione dei diritti e delle pari opportunità per tutti, al raggiungimento della piena inclusione sociale e della costruzione di una “società per tutti”, anche attraverso la rimozione delle cause che impediscono o limitano l’accessibilità ai diversi ambiti della vita delle persone.” “L’Ageforma ha detto il presidente dell’agenzia provinciale, Nicola Trombetta ha cercato di fornire risposte concrete alle esigenze di formazione dei detenuti e dei diversamente abili. I progetti previsti, infatti, consentiranno loro di acquisire competenze professionali specifiche e spendibili nel mondo del lavoro.” “Ritengo che nel nostro territorio, e non solo, ha fatto notare il presidente della Provincia, Franco Stella - sia necessario dedicare maggiore attenzione al rapporto carcere - lavoro e disabilità - lavoro. Tra le potenzialità maggiori espresse dai progetti che l’Ageforma andrà ad attivare c’è proprio quella di ricostruire e valorizzare le competenze presenti all’interno del carcere e della comunità Fratello Sole, sulla base di una rete di domanda reale avanzata dalle imprese, dalle istituzioni e dalle cooperative sociali. Un’esperienza guida per affrontare il tema della pena e della disabilità fuori dall’ottica emergenziale, ma con una prospettiva stabile e di lungo periodo.” Larino: con un torneo di calcio a 5 lo sport diventa occasione per creare canali comunicativi Comunicato stampa, 10 settembre 2010 Ieri un gruppo di detenuti della sezione AS ha disputato con una squadra proveniente dall’esterno la partita conclusiva di un torneo di calcio a 5; torneo che ha preso il nome di “Primo torneo dell’amicizia”. Un pomeriggio di sport che si è trasformato in una vera festa, caratterizzata dalla partecipazione della comunità esterna all’iniziativa, con rappresentanti del mondo ecclesiale, funzionari dell’Anas, consiglieri della Regione Molise e della Provincia di Campobasso, il presidente del Centro Sportivo italiano e il Rappresentante del Coni regionale. Lo sport è diventato occasione per creare canali comunicativi e perché no, ha favorito anche gesti di sana amicizia, consentendoci di realizzare un processo di condivisione, con un altissima valenza sociale, tra l’interno e la società esterna. Il primo torneo dell’amicizia in verità è solo l’ultimo dei numerosi progetti ideati e realizzati nel nostro penitenziario, molti dei quali di grande importanza ai fini trattamentali e rieducativi. Attualmente è in programmazione un corso professionale per operatori della produzione di pasticceria che consentirà ad una trentina di detenuti l’ acquisizione di competenze nel campo da spendere nel mondo del lavoro. Da segnalare è anche l’esistenza presso la nostra Casa Circondariale di un polo universitario. Attualmente abbiamo 5 detenuti AS iscritti a corsi universitari on-line (Unidav) dell’Università G. D’Annunzio di Chieti. L’Educatore Dott.ssa Brigida Finelli Savona: in Comune si chiude la mostra sulle sette carceri liguri www.savonanews.it, 10 settembre 2010 La mostra è esplicativa della situazione di sovraffollamento e di degrado in cui versano le carceri. Nell’atrio del palazzo civico di Savona si chiude oggi la mostra fotografica sulle 7 case circondariali presenti in Liguria promossa dalla conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. “La mostra - dichiarano gli organizzatori - è esplicativa della situazione di sovraffollamento e di degrado in cui versano le carceri italiane, infatti ogni foto riporta a margine due dati numerici significativi: capienza massima ed effettiva presenza. L’argomento “carcere” in questi giorni è tornato d’attualità. Si susseguono le notizie non sempre positive sulla costruzione - ormai improcrastinabile - del nuovo carcere savonese. Il volontariato penitenziario, testimone quotidiano di questa realtà, vuole portare al di fuori delle “mura” la propria esperienza e vuol far sentire la propria voce, sensibilizzando l’opinione pubblica, con iniziative come questa mostra, nella speranza che istituzioni e governo ricevano sollecitazioni e possano trovare ed adottare adeguate soluzioni al problema. Ricordiamo che La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha organizzato nello scorso luglio una mobilitazione di protesta per denunciare proprio il sovraffollamento e le pessime condizioni di vita nelle carceri. A questa richiesta hanno aderito il Coordinamento Enti ed Associazioni di Volontariato Penitenziario (Seac) e la Conferenza Regionale del Volontariato Giustizia della Liguria (Crvgl)”. Immigrazione: al Cie di Gradisca otto “ospiti” su 10 sono ex detenuti Il Piccolo, 10 settembre 2010 Secondo un rapporto di Medici senza frontiere l’80% degli ospiti del Cie era composto da ex detenuti. Il rapporto risale al 2008 ma quella percentuale è valida ancora oggi, assicura la Cisl. La presenza di criminali all’interno di un centro pensato per trattenimenti a carattere amministrativo crea inevitabilmente pesanti scompensi: “Sconcerta la rilevante presenza di ex detenuti tra la popolazione detenuta nei Cie - spiega il rapporto di Msf - nei cui confronti sarebbe stato possibile procedere all’identificazione nel corso della detenzione. In tale modo, per l’incapacità delle strutture amministrative preposte, nei fatti si determina un indebito allungamento del periodo di detenzione”. Gli ex detenuti intervistati intervistati da Msf denunciano il periodo di reclusione nel Cie con rabbia e frustrazione come un’estensione ingiustificata della pena già scontata. “La presenza di ex detenuti nei Cie - prosegue il rapporto - , oltre ad essere irragionevole rispetto alle finalità per cui è stato istituito il sistema di detenzione amministrativa, rischia di generare ripercussioni negative in termini di condizioni di vita e di modalità di erogazione dei servizi a danno di tutti gli altri trattenuti, soprattutto di quelli appartenenti a categorie vulnerabili”. Questi ultimi sono coloro che non hanno compiuto alcun reato e, non avendo permesso di soggiorno, vengono trattenuti in vista dell’espulsione: i clandestini. Il percorso con cui finiscono nel Cie è rocambolesco: dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine, l’immigrato riceve l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale dalla questura. A quel punto viene portato davanti a un giudice di pace e gli viene affidato un difensore d’ufficio. Il giudice ne decreta infine il trattenimento nel Cie (fino a 180 giorni) ai fini dell’espulsione. Il procedimento è macchinoso perché mima le dinamiche di un vero processo, come spiega Francesco Cecotti di Asgi - Ics (associazione studi giuridici sull’immigrazione): “Tutto questo iter procedimentale è necessario perché il provvedimento questorile è un mero atto amministrativo il quale, da solo, non può consentire il trattenimento fino a 180 giorni di un soggetto che non ha compiuto alcun reato. Perciò si tiene udienza presso il giudice di pace. La presenza di un difensore è necessaria perché deve essere rispettato il diritto di difesa dello straniero la cui libertà personale verrà limitata. A quel punto il giudice di pace, verificati tutta una serie di presupposti, emette un decreto motivato nelle successive quarantotto ore”. È così che per l’immigrato si aprono le porte del Cie. “In quei centri si trovano anche persone con esperienze traumatiche di detenzione carceraria all’estero, persone con problemi psichiatrici - conclude Cecotti, insomma, c’è di tutto”. Droghe: proibizionismo killer di Alessandro De Pascale Terra, 10 settembre 2010 Gli effetti della Fini - Giovanardi sono peggiori perfino della norma voluta dai socialisti e abrogata nel 1993 con referendum. Sono stati oltre 30mila i tossicodipendenti arrestati nel 2008. Corsico, provincia di Milano. R.D. è un ragazzo incensurato di 38 anni che aveva tentato il suicidio. Il 6 luglio gli operatori sanitari del 118 entrano nella sua casa per soccorrerlo ma vedono delle piante di marijuana. Così chiamano i carabinieri e R.D. viene arrestato. Fosse successo in Germania, in Spagna, in Belgio o addirittura nella Russia di Putin, questo ragazzo non avrebbe corso alcun pericolo. Perché in queste nazioni la coltivazione di marijuana per uso personale ormai è stata legalizzata, riducendo anche gli introiti delle mafie. A Roberto Pregnolato, un operaio 33enne di Aprilia, è andata molto peggio. La notte del 17 aprile 2009 era in giro con alcuni amici, quando i carabinieri fermano l’auto e senza mandato lo perquisiscono. Trovano pochi grammi di cocaina e Roberto si prende la paternità della droga. I militari vanno così a perquisire la mansarda, appena comprata con un mutuo, dove vive con la sua ragazza. Salta fuori qualche grammo di hashish e un bilancino. La perquisizione procede, senza avvocato, ma il ragazzo non si trova più. Si è lanciato dal terrazzo, alto più di 30 metri. Anche Alberto Mercuriali era giovane. Aveva 28 anni e faceva l’agronomo a Forlì. Nell’estate 2007 al tavolino di un bar con alcuni amici fumava uno spinello. Arrivano i carabinieri che poco dopo si recano nella sua abitazione e senza la presenza di un avvocato perquisiscono la stanza, trovando dell’hashish. Lo denunciano per spaccio, senza arrestarlo. Qualche giorno dopo sui giornali locali si parla del fermo di un importante spacciatore e in caserma viene addirittura convocata una conferenza stampa. Ma il ragazzo collega il tubo di scappamento alla sua auto e si uccide. Giuseppe Ales era invece un geometra di 23 anni dell’isola di Pantelleria. Nel marzo 2005 i carabinieri trovano nella sua casa diversi vasetti con della marijuana appena germogliata e lo denunciano. Anche la sua storia finisce sui giornali, assieme a quella di altri ragazzi arrestati con qualche pasticca di ecstasy. Lui non regge il colpo, prende una corda, la lega al soffitto e si impicca. Questi e tanti altri ragazzi sono morti per una modica quantità di sostanze stupefacenti in un Paese come l’Italia che nel 2006 ha approvato la legge sulla droga più repressiva d’Europa. Secondo questa norma “tutte le droghe sono uguali”, contro ogni evidenza scientifica, e punisce anche i consumatori. A presentarla l’attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il sottosegretario con delega alle Droghe Carlo Giovanardi. Per essere riconosciuti come spacciatori bastano superare i 250 milligrammi di principio attivo di cannabis, per la cocaina 500, di acido lisergico 0,05, di oppio, morfina ed eroina 200. Niente più uso personale, quindi, e nemmeno la discrezionalità del giudice nel valutare i singoli casi. Ma soprattutto anche per una singola piantina di marijuana coltivata sul balcone, scatta l’arresto. Questa legge venne unificata in un solo emendamento e inserita nel decreto sulle Olimpiadi di Torino del 2006, per essere votata a Camere sciolte e con doppio voto di fiducia. Una norma simile ma ancora più repressiva della Iervolino - Vassalli, imposta da Craxi nel 1990 e abrogata a larga maggioranza dagli italiani con un referendum nel 1993. Il 31 dicembre 1990 i tossicodipendenti in carcere erano 7.000, tre anni dopo 15mila, il 30 per cento dei detenuti. Così visti gli effetti di quella legge, del tutto simili a quelli attuali, i cittadini la cancellarono. Ma oggi i danni della Fini - Giovanardi sono addirittura maggiori: più di 50mila segnalati l’anno, il 70 per cento per detenzione o consumo di uno spinello. Gli ultimi dati attendibili disponibili, quelli del 2008, parlano di 92.800 nuovi ingressi in carcere: 30.528 sono tossicodipendenti e ben 26.931 soggetti che possedevano droghe. “Circa la metà del campione di detenuti indagati è entrato in carcere per aver commesso almeno un reato in violazione della normativa sulle droghe”, scrive la relazione. Numeri in costante aumento dato che l’ultima relazione al Parlamento, presentata da Giovanardi nel 2010, non contiene dati completi proprio a causa delle Prefetture che ingolfate dalle tante segnalazioni ritardano nell’inviare le notifiche. Inoltre la repressione costa ai contribuenti ben 2.469.337.029 euro, a fronte degli investimenti sociosanitari pari a 1.862.030.851. Francia: dal carcere di Grasse arriva una lettera del compagno di cella di Daniele Franceschi Ansa, 10 settembre 2010 È arrivata a Viareggio alla famiglia di Daniele Franceschi, l’italiano morto nel carcere di Grasse, una lettera del compagno di cella del trentaseienne. Lo riferisce lo zio di Franceschi, Aldo Antignano. “Nella lettera spiega il familiare - questo detenuto, Abdel, racconta che Daniele si sentì malissimo il 23 agosto e che per tre giorni, nonostante le ripetute richieste di aiuto, non fu mai soccorso. Solo una volta lo portarono in infermeria e gli diedero delle pastiglie”. La missiva reca la data del 27 agosto scorso, due giorni dopo la morte di Franceschi, ed è stata spedita il 6 settembre. Abdel scrive che, rientrando in cella, alle 19 del 25 agosto prosegue lo zio fu lui a trovare Daniele steso a terra, a faccia in giù. Era molto freddo e aveva il viso gonfio, scrive ancora. Abdel conclude dicendo: “Per loro è una morte naturale ma io penso di no”. Abdel si dice anche pronto a testimoniare. La lettera però non convince Aldo Antignano. “È tradotta dal francese, perché questo detenuto è franco - algerino, in un italiano troppo raffinato. La traduzione è opera di un altro detenuto italiano che lavorava con Daniele nelle cucine. Ma se un detenuto scrive alla famiglia di un compagno morto non si esprime in questa maniera”. La lettera sarà ora inviata al console italiano a Nizza in modo che sia fatta pervenire alle autorità francesi. Intanto, l’avvocato della famiglia, Aldo Lasagna, riferisce che “la salma di Daniele potrebbe essere portata in Italia la prossima settimana”. Sulla vicenda, infine, la senatrice Manuela Granaiola ha presentato un’interrogazione ai ministri degli Esteri e della Giustizia per sapere “quali misure intendano adottare affinché si giunga alla verità sulle reali cause della morte di Daniele Franceschi, come richiesto dalla famiglia, scongiurando la possibilità che al rimpatrio della salma le condizioni del corpo non rendano possibile una seconda perizia in Italia”. Cile: da 60 giorni indios detenuti in sciopero della fame, 4 deputati aderiscono Ansa, 10 settembre 2010 Quattro deputati cileni hanno aderito allo sciopero della fame che stanno portando avanti da 60 giorni in varie carceri 34 membri della comunità mapuche, che protestano per essere stati incriminati secondo una legge antiterrorismo che risale ai tempi della dittatura di Pinochet. Lo ha reso noto uno dei parlamentari, il segretario del Partito Comunista Hugo Gutierrez, precisando che sono con lui Tucapel Jimenez, del Partito per la democrazia ed i socalisti Sergio Aguilò e Manuel Monsalve. La loro decisione è stata avallata dal segretario del Partito Socialista, Osvaldo Andrade ma bocciata dal deputato della destra al governo, Ivan Moreira e dalla presidente della Camera dei deputati, l’ex democristiana Alejandra Sepulveda. Il presidente dell’episcopato cattolico, mons. Alejandro Goic ha rivolto un appello al governo e ai legislatori affinché facciano ‘passi concretì per trovare una soluzione alla situazione. Da tempo 106 indigeni sono in carcere accusati di diversi reati commessi contro gli imprenditori del legname che operano nelle loro terre ancestrali, nell’estremo sud del Paese. Il presidente conservatore Sebastian Pinera ha anticipato che proporrà una riforma della legge di Augusto Pinochet e che prevede processi sia civili che militari per reati di presunto terrorismo. Cina: avvocatessa, condannata da un “tribunale ferroviario”, è in carcere da 2 anni Ansa, 10 settembre 2010 Un’avvocatessa cinese è in prigione da quasi due anni dopo essere arrestata dalla polizia ferroviaria e giudicata da un tribunale ferroviario. L’allucinante vicenda, che mette in luce la confusione che regna nel sistema giudiziario cinese, è stata rivelata dalla rivista Century Weekly e ripresa da molti quotidiani cinesi tra cui il giornale ufficiale del Partito Comunista, il Quotidiano del Popolo. La donna, Wang Yu, di 37 anni ha avuto un diverbio con alcuni dipendenti delle ferrovie di Tianjin, nel nord della Cina, nel maggio del 2008. Le ragioni del diverbio non sono chiare ma è certo che è sfociato in reciproche violenze fisiche. La donna, dopo essersi fatta curare in ospedale, ha denunciato di essere stata aggredita. Dal 1982 esiste in Cina una legge in base alla quale tutte le dispute che sorgono sui treni e nelle stazioni vengono gestite dagli organi di pubblica sicurezza delle ferrovie stesse. Le Ferrovie - ha spiegato all’Ansa l’avvocato Mo Shaoping di Pechino - sono ancora considerate alla stregua di un corpo militare, e come l’esercito hanno i loro organi deputati ad amministrare la giustizia. Secondo il Century Weekly, l’abolizione di questa anomalia viene discussa tutti gli anni dall’organo legislativo cinese, l’Assemblea Nazionale del Popolo, che però non hai preso la decisione di abolirla. Alla fine del 2008, sette mesi dopo i fatti, Wang Yu è stata arrestata dalla polizia della stazione ovest di Tianjin e accusata di “violenze volontaria”. Secondo le accuse la donna avrebbe picchiato i quattro dipendenti delle ferrovie - ispettori che, sembra, le avevano chiesto il biglietto, in modo così violento da causare la sordità ad uno di loro e da ferirne due, gettandoli violentemente a terra. In seguito il tribunale delle ferrovie l’ ha giudicata colpevole e costretta a scontare la pena, oltre a pagare alle sue presunte vittime un risarcimento di 130mila yuan (15 mila euro). È una donna non molto robusta e non conosce arti marziali. È improbabile che abbia potuto aver la meglio su quattro ispettori maschi e che ne abbia addirittura buttati a terra due. È incredibile, ha commentato l’avvocato della donna, Li Pinggui. In questo caso - ha proseguito Li - la polizia ha aperto illegalmente il caso e ha condotto un’indagine illegale. Le cosiddette “vittima” sono impiegati della compagnia ferroviaria, ma è la stessa compagnia ferroviaria che ha paga i salari alla polizia ferroviaria, al procuratore ferroviario e al giudice ferroviario. Come si può tenere un processo imparziale in questa situazione? L’8 agosto scorso 30 avvocati hanno scritto una lettera alla Corte Suprema, alla Procura del Popolo, al ministero della pubblica sicurezza e all’Assemblea Nazionale del Popolo, chiedendo loro se ritengono che sia possibile amministrare la giustizia in una situazione come questa. Finora non hanno ricevuto risposta e Wang Yu è ancora detenuta dalle autorità ferroviarie.