Giustizia: Bernardini (Ri); sui bambini in carcere resa ai giustizialisti, resteranno dentro Il Velino, 7 ottobre 2010 “Il testo unificato licenziato per la sede referente in Commissione giustizia, è la resa completa agli istinti più giustizialisti presenti in parlamento. Quanto contenuto nelle proposte di legge originarie e quanto auspicato dallo stesso Ministro della giustizia con lo slogan “mai più bambini in carcere” è destinato a rimanere un sogno. Eppure, considerate le cifre del fenomeno - stiamo parlando di 60 - 70 bambini in tutta Italia detenuti con le loro madri - si tratta di problema facilmente risolvibile con il semplice buon senso”. Lo dichiara la deputata radicale Rita Bernardini. “Ma ormai - prosegue l’esponente radicale - sembra diventato uno sport molto praticato quello di varare leggi che nulla hanno a che fare con gli scopi originari che ci si prefigge. Sono tali e tanti i compromessi accettati che è più che sicuro che i bambini piccolissimi continueranno a scontare la galera al seguito delle loro madri detenute; senza che vengano in alcun modo tutelate le esigenze di socialità e di relazione con l’esterno del minore. Intanto, perché a legislazione vigente ci sono ancora bambini detenuti, se già le norme prevedono forme di detenzione domiciliare speciale per le detenute madri? Semplicemente perché le mamme, per lo più tossicodipendenti e nomadi, sono recidive, e quindi vi è il rischio che una volta uscite dal carcere tornino a delinquere. Ora, la proposta radicale (e anche quella del Pd prima delle rinunce compromissorie) prevedeva, oltre al rafforzamento della detenzione domiciliare, anche l’introduzione di forme di custodia presso le case famiglia protette e, solo in casi veramente eccezionali di pericolosità sociale, la detenzione presso gli Icam, cioè strutture gestite dal ministero dove almeno non ci sono sbarre e personale in divisa. Con il testo unificato viene così a cadere quel percorso individualizzato per mamme e bambini che - come ci avevano suggerito le associazioni del volontariato che abbiamo audito in commissione - avrebbe potuto assicurare un serio reinserimento sociale in grado di abbattere i tassi di recidiva”. Giustizia: cosa ci fanno questi bambini nelle carceri italiane? di Serena Cara www.ezrome.it, 7 ottobre 2010 Si è da poco conclusa, il 29 settembre scorso, una mostra d’arte dal titolo eloquente: Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane. In mostra, alla Sala di Santa Rita vi erano foto toccanti e profonde che testimoniano una tematica purtroppo di grande attualità: nel nostro Paese ci sono ben 56 bambini di età inferiore ai 3 anni che vivono nei carceri con le loro mamme detenute. Questi sono i dati forniti dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta. Bimbi non solo italiani ma anche provenienti dalla Romania, Nigeria ed ex Jugoslavia. Gli scatti in mostra sono stati realizzati da cinque fotografi professionisti: Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikhael Subotzky e Riccardo Venturi. Ogni fotografo con il suo stile e la sua intensità ha immortalato i bambini con le loro mamme in cinque Istituti di reclusione femminili in Italia : Roma (Rebibbia), Avellino (Bellizzi Irpino-Pozzuoli), milano (San Vittore), Torino (Lorusso e Cutugno), Venezia (Giudecca). Una mostra unica sotto diversi aspetti. Primo fra tutti il soggetto prescelto. L’emergenza nei carceri è un tema da tempo trattato in cui si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita dei detenuti nel nostro paese. Troppo poco, invece si è parlato della presenza di bambini che sono chiusi in spazi non adatti alla loro crescita psicofisica, questo perché rappresentano per lo Stato una minoranza. L’esposizione ha voluto richiamare l’attenzione delle Istituzioni e dei parlamentari su questa problematica, ma anche sollecitare la discussione della proposta di legge a “tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”. La mostra, promossa dall’assessorato alle Politiche Giovanile del Comune di Roma, è nata dalla collaborazione tra Contrasto e l’associazione di volontariato “A Roma, Insieme”, che dal 1991 è impegnata nei progetti sulle politiche sociali di Roma, e dal 1994 su questa tematica. Come è potuto accadere che dei bambini così piccoli, non colpevoli, sono stati costretti a passare i loro primi anni di vita, in luoghi igienicamente ma anche psicologicamente non adatti alla loro crescita? Facciamo un passo indietro, era il 1997 quando il ministro delle pari opportunità Angela Finocchiaro propose una legge sulle detenute madri che verrà approvata nel 2001: la legge 40/2001. Prima di allora le madri potevano ottenere gli arresti domiciliari per pene al di sotto dei quattro anni. Se invece non vi erano i presupposti, i bambini al di sotto dei tre anni avrebbero seguito le madri dietro le sbarre. Questa decisione creò non poche perplessità, per l’ inadeguatezza degli spazi carcerari per la crescita dei minori ma anche per il doppio trauma del successivo distacco tra madre e figlio, al compimento dei tre anni di età del minore. Sin da subito fu chiaro che la legge non risolveva affatto l’emergenza sociale, si spinse quindi verso una nuova soluzione. Si suggerì così la “detenzione domiciliare speciale”, tutt’oggi in vigore. Questa consiste nella possibilità di scontare la pena al di fuori dal carcere, per le condanne con figli di età inferiore ai dieci anni. Questo ovviamente solo se si accerta che non vi sia pericolo di recidiva. Una volta che il bambino compie il decimo anno di età la donna può godere della semilibertà, in base al comportamento tenuto, negli anni precedenti. La Legge Finocchiaro nonostante l’importante passo, non cambiò di fatto la situazione, in quanto le donne che possono beneficiare della detenzione domiciliare speciale sono ben poche. La Legge infatti prevede che le donne detenute possono usufruire di questa soluzione solo se hanno un domicilio privato. Come è facile immaginare le donne straniere hanno difficilmente questo requisito. Non solo, la Legge può essere applicata a donne che hanno già avuto la condanna, mentre l’emergenza più grande risiede nel fatto, che sono moltissime le detenute incinte o con minori al seguito, che sono ancora in attesa dal primo grado del processo. A luglio è stata proposta una riforma della legge del 2001 per la realizzazione di case-famiglia protette per tutte le detenute che non possono usufruire della detenzione domiciliare speciale. Questa situazione sociale è stata mostrata negli scatti della Sala Santa Rita di Roma. Ogni fotografo ha narrato in modo diverso la l’emergenza. Scatti fortemente realistici, mostranti la vita quotidiana di bambini che non hanno libertà. Un elemento comune: le sbarre. Questo fa nascere una riflessione: i piccoli delle foto, probabilmente hanno visto il cielo sempre schermato dalle sbarre in ferro delle celle. Questa consapevolezza, basterebbe per accelerare i tempi, intanto la mostra alla Sala Santa Rita di Roma, ha fatto la sua parte, si spera che, chi di competenza si affretti a risolvere questa problematica sociale. Giustizia: Ionta (Dap); riforma della sanità penitenziaria ancora il fase di transizione Agi, 7 ottobre 2010 Il passaggio della sanità penitenziaria tra le competenze del sistema sanitario pubblico e delle Regioni “è ancora in fase di transizione”. Lo ha sottolineato il capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, interpellato in merito dopo essere stato sentito in audizione dalla Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale del Senato. “Nelle regioni a statuto ordinario il passaggio è cosa fatta - spiega Ionta - ancora in corso è invece nelle regioni a statuto speciale. In Valle d’Aosta prevedo una conclusione entro un mese, in Sicilia ci vorrà più tempo, data la quantità delle strutture. Ho chiesto alla Commissione - conclude Ionta - aiuto e collaborazione per risolvere le questioni pendenti con la sorveglianza, gli enti locali e le Regioni”. Giustizia: Sappe; il Dap annuncia nuove strutture, ma gli agenti sono troppo pochi Adnkronos, 7 ottobre 2010 Il Dap annuncia la creazione, entro 3 anni, di 11 nuovi carceri e 20 nuovi padiglioni in vecchi istituti. Ma il Sappe replica: “Chi controllerà i nuovi detenuti? La polizia penitenziaria è già carente di 6mila unità. Secondo quanto riportano alcune agenzie di stampa - rileva il segretario generale Donato Capece - il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria avrebbe confermato oggi che entro la fine dell’anno saranno avviate le gare di appalto per la realizzazione del piano straordinario per l’edilizia penitenziaria che prevede la costruzione, in tre anni, di 11 nuove carceri e di 20 nuovi padiglioni in altrettanti vecchi istituti”. Capece chiede se queste “indiscrezioni sono vere, visto che su queste indicazioni non c’è alcuna indicazione ufficiale. Ma ci chiediamo chi li controllerà, i detenuti. Oggi infatti - fa notare - che in carcere ci sono quasi 69mila persone ci sono solo 6mila unità di polizia penitenziaria e neppure si riescono a rimpiazzare i vuoti d’organico che si determinano per effetto dei pensionamenti. Torno a ripetere quello che ho detto qualche giorno fa: è necessario ed urgente un incontro urgente con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, a nove mesi dall’approvazione del Piano carceri del Governo e dalla dichiarazione dello stato nazionale d’emergenza sulle criticità penitenziarie, per fare il punto della situazione”. Per Capece, “un atto di serietà politica e di onestà intellettuale sarebbe quello di ascoltare chi in carcere ci lavora da anni, la Polizia Penitenziaria appunto. Un confronto con il Ministro della Giustizia Alfano su questi temi è dunque urgente e prioritario, atteso che oggi abbiamo quasi 70mila detenuti in carceri nate per ospitarne poco più di 42mila, controllati da agenti di polizia penitenziaria che sono ben 6mila e 500 rispetto agli organici previsti”. Giustizia: Sappe; nelle carceri mancano i fondi anche per avere i beni primari Il Velino, 7 ottobre 2010 “Sono in visita in alcuni carceri della Campania ed ho preso atto che anche qui, come in altre strutture di pena nazionali, molte direzioni non hanno i fondi per saldare le competenze relative ai servizi ed alle merci che vengono usati in carcere”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del primo sindacato della Polizia penitenziaria, il Sappe. “Il caso più eclatante è quello legato a servizi essenziali come l’erogazione di energia elettrica, gas e acqua - aggiunge. A Santa Maria Capua Vetere, in cui sono detenute circa 860 persone a fronte di 547 posti letto regolamentari, si è costretti a razionalizzare l’acqua potabile. Questo acuisce anche le tensioni dei detenuti con il nostro personale di Polizia penitenziaria, che è nella prima linea delle sezioni detentive a contatto con i ristretti 24 ore al giorno e in grave carenza di organico. Le imprese e ditte che erogano questi ed altri servizi alle carceri italiane non vengono pagate perché non ci sono fondi e stanno accumulando crediti per milioni di euro. Non oso immaginare cosa potrebbe accadere nelle nostre già esplosive carceri se qualcuno di loro pensasse di sospendere l’erogazione di qualche servizio essenziale”. Capece sottolinea ancora una volta come “la situazione nelle carceri è ogni giorno sempre più allarmante, con un numero di detenuti mai raggiunto prima (69 mila i presenti, quasi 8 mila dei quali in Campania dove i posti letto regolamentari sono 5.500), carenze organiche di poliziotti gravissime (oltre 6 mila e 500 agenti in meno) e gravi eventi critici ogni giorno (primi tra tutti i suicidi di detenuti e le aggressioni agli agenti). Nonostante ciò, ad oggi non si è ancora visto nulla di concreto per risolvere questa drammatica emergenza. né nuove assunzioni, né nuove carceri, nè una nuova politica della pena. Le carceri sono ogni giorno sempre più invivibili, per chi ci lavora e per chi sconta una pena, e il prossimo 31 dicembre ha termine il decreto del Governo di emergenza nazionale sulle carceri. Quali sono stati realmente gli interventi adottati? Quali risultati ci si prefigge di raggiungere? Quali prossimi urgenti provvedimenti intendono assumere ministero della Giustizia e Governo? Quel confronto più volte chiesto con il ministro della Giustizia Alfano su queste tematiche e criticità è sempre urgente e prioritario”. Giustizia: Osapp; chiarezza sul “Piano Ionta”, tra 3 anni ci saranno 30mila detenuti in più Il Velino, 7 ottobre 2010 “È estremamente importante che si faccia chiarezza sul Piano Ionta, e che i poliziotti penitenziari ricevano la prova tangibile di quello che si sta facendo per loro” lo chiede il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, dopo che ieri il Dap aveva fatto circolare cifre non tanto rassicuranti, secondo le valutazioni degli addetti ai lavori, sul piano straordinario di edilizia penitenziaria. “Per noi l’espressione Piano Ionta ha il sapore beffardo del suo significato letterale: “Vai Ionta, vai vai, ma fai piano, procedi con cautela”. “Per i poliziotti penitenziari, quelli che fanno i turni massacranti di 12/14 ore al giorno, invece, il progetto è oramai come sangue agli occhi - sottolinea Beneduci -. Se è vero come è vero che a detta del capo del dipartimento si realizzerà solo tra tre anni”. “Si perché a conti fatti, per chi mastica di questioni attinenti al carcere, questioni di cui il capo sembra essere scollegato, sa già che 3 anni significano altri 30 mila detenuti in più da accogliere rispetto la quota regolamentare, che adesso rimane fissa alle 44 mila unità, rispetto ai 68.570 presenti, quando i lavori di costruzione, secondo le aspettative del dipartimento, realizzeranno solo 20 mila posti letto”. “Ciò vuol dire - in base agli elementi raccolti dall’Osapp - che rimarranno fuori e comunque 10 mila detenuti. Diecimila detenuti sul terzo o quarto letto a castello; diecimila detenuti sul materasso a terra; ovvero come a Brescia allocati nelle barberie, o ancora nei corridoi o nelle infermerie, diecimila detenuti che noi poliziotti avremo comunque l’onere e la responsabilità di prendere in carico”. “E non è neanche detto, in base alle voci che ci pervengono con sempre maggiore insistenza - aggiunge ancora il sindacalista - che sarà lo stesso Ionta, in quanto capo del Dap, nel 2011, a realizzare la prima parte di tale piano!” “I detenuti aumenteranno - conclude Beneduci - e noi saremo lì, sempre gli stessi, con gli organici carenti di oltre 6 mila unità per i vuoti, che neppure si riescono a rimpiazzare, e che si determinano per effetto del turnover”. “Vai Ionta, vai vai ma fai Piano...!” Giustizia: Osapp; “Piano Ionta” ha già prosciugato i fondi destinati all’edilizia ordinaria Adnkronos, 7 ottobre 2010 “Il piano carceri del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è una patacca, perché porterà alla costruzione di soli 10 nuovi padiglioni”. Lo afferma il segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci, che spiega come in questi giorni “una fonte molto autorevole del Dap ci ha confermato come di quel progetto imponente sempre rimandato non si potranno costruire che 10 padiglioni, in strutture già presenti oltretutto, con un esborso di poco più di 100 milioni di euro e per un aumento di soli tremila posti letto in più sulla capienza regolamentare”. L’Osapp ricorda come del piano carceri se ne era iniziato a parlare due anni fa, “precisamente il 7 novembre 2008, ed allora il progetto prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari (una decina) e l’ampliamento di molte strutture già esistenti per la creazione di 20.000 nuovi posti”. Costo stimato, un miliardo e mezzo di euro. “All’epoca nelle carceri italiane erano presenti circa 56mila detenuti, mentre oggi - fa notare Beneduci - i detenuti hanno toccato quota 68.749, sfiorando cifre mai registrate nella storia penitenziaria dell’Italia. In altre parole, in soli 12 mesi la metà del lavoro previsto dal Piano carceri, 750 milioni di euro, una cifra enorme, sarebbe risultata praticamente spesa per non risolvere affatto il problema”. “Questo è il quadro: un piano inutile se attuato per le cifre che ci sono sempre state propinate e che a fine 2010 avrebbe esaurito comunque i suoi effetti. Ma la vera verità, come abbiamo detto, sta nel fatto che quelle cifre non esistono: i soldi non ci sonò, sintetizza Beneduci. L’Osapp conclude che inoltre, “nelle more degli appalti, dei progetti, delle assegnazioni dei lavori lo stesso Ionta, quale Commissario straordinario dell’edilizia penitenziaria ha letteralmente asciugato tutti i fondi destinati all’edilizia ordinaria, stiamo parlando di 40 milioni di euro, trasportandoli nel Piano di edilizia straordinaria. Quaranta milioni che aggiunti agli altri della Cassa delle ammende fanno giusto giusto 140 milioni per i padiglioni”. Giustizia: Milillo (Fimmg); maggiore attenzione a personale medico delle carceri Il Velino, 7 ottobre 2010 Maggiore attenzione alle problematiche del personale medico che opera nelle carceri. È l’appello che ha fatto a Regioni e Asl Giacomo Milillo, segretario generale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), nel corso del suo intervento al 65esimo convegno della federazione a Santa Margherita di Pula (Cagliari). “Il blocco al rinnovo degli Aaccnn - ha spiegato - presuppone un’ulteriore allungamento di questa condizione di limbo senza regole e senza garanzie di sicurezza del posto di lavoro, che potrebbe dar luogo in non poche realtà ad un esodo massivo e senza possibilità di turnover, con negative ripercussioni della qualità dell’assistenza nelle carceri e conseguenti, non trascurabili, ricadute sulla medicina del territorio”. Pertanto “la Fimmg chiede alle Regioni ed alle Asl una maggiore attenzione alle problematiche del personale medico operante nelle carceri assicurando omogeneità di trattamento economico e normativo, garantendo il posto di lavoro e tenendo conto sul piano economico e normativo della peculiare condizione di rischio personale e professionale”. Sardegna: Schirru (Pd); regione inadempiente sulla medicina penitenziaria Ansa, 7 ottobre 2010 “Ho avuto modo di apprendere dalla stampa, della chiusura del centro clinico di Buoncammino, a causa della mancanza di risorse finanziarie. Eravamo al corrente di un tale rischio che avevamo segnalato sia al Presidente Cappellacci, che al Ministro Alfano, neppure qualche settimana, durante l’ultima visita istituzionale al carcere. L’inadempienza della giunta regionale è tanto più sconcertante a fronte della preoccupante situazione carceraria sarda. Nonostante le numerose sollecitazioni, fin dal 2007, per rivendicare la nostra autonomia, nulla di concreto è stato fatto. In virtù del Dlgs 230/99 già dal giugno del 2008 sono state trasferite ai Servizi sanitari regionali le funzioni sanitarie svolte dal Dap e dal Dipartimento della Giustizia minorile del Ministero della Giustizia. Tuttavia, questo trasferimento non ha interessato la Sardegna, come le altre Regioni a statuto speciale, per le quali si prevede che esso avvenga “con le modalità previste dai rispettivi statuti e dalle correlate norme di attuazione”. La nostra regione ha provveduto a redigere la proposta delle norme di attuazione sopracitate nel 2008 (Dgr 68/26). Tuttavia, i passaggi amministrativi successivi, che prevedevano la convocazione da parte del Ministero competente della commissione paritetica Stato-Regione non sono stati attuati. È incredibile che dopo ben due anni la Giunta regionale non sia stata in grado di mettersi al pari con le altre Regioni a Statuto ordinario. I silenzi sono troppi. Avevo scritto numerose note sia al Presidente, che all’ormai ex assessore regionale alla sanità, che sono state puntualmente ignorate e non sono stata degnata mai di un cenno di risposta. La miopia e l’atto più grave di disumanità è compiuto però su chi non ha nessuna possibilità di dare voce alla propria sofferenza in qualità di malato e detenuto, proprio perché tenuto lontano e nascosto dalla società.” Toscana: in comunità oltre 500 detenuti tossicodipendenti, la Regione spende 350mila € Redattore Sociale, 7 ottobre 2010 È il rivoluzionario risultato della delibera regionale che garantisce “le stesse opportunità di recupero” ai reclusi tossicodipendenti. La regione versa 350 mila euro alle Asl per il 2010. La regione Toscana rivoluziona il carcere: i detenuti tossico/alcoldipendenti potranno curarsi in comunità terapeutica. A stabilirlo è una delibera portata in giunta dall’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia, che fissa anche l’importo da distribuire alle Asl toscane: 350 mila euro per il 2010. L’opportunità riguarda quei detenuti tossicodipendenti che possono usufruire di misure alternative alla detenzione, che in Toscana, secondo il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, ammontano ad oltre 500. Nell’ambito del progressivo trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie penitenziarie, la regione ha ritenuto opportuno che anche i detenuti tossico e alcoldipendenti potessero usufruire dei percorsi riabilitativi nelle comunità terapeutiche. Le comunità terapeutiche che operano sul territorio toscano sono 63, e tutte - sia quelle a gestione pubblica che del privato sociale - sono risultate idonee a ospitare soggetti con misure alternative, in quanto in possesso dei requisiti strutturali, organizzativi e funzionali. Sui circa 4 mila detenuti presenti nelle carceri toscane, si stima che quasi un terzo, circa 1.300, siano tossico o alcoldipendenti. Fra le sostanze utilizzate, la cocaina occupa il primo posto (43,7%), seguita da eroina (41,5%) e cannabis (12,7%). “Mi sembra un segno di grande civiltà garantire ai detenuti la stessa dignità e tutela della salute che viene garantita ai cittadini liberi - commenta l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - . Negli ultimi tempi, molte sono state le iniziative messe in atto dalla regione per migliorare la salute dei detenuti: penso alla distribuzione di materassi nuovi in tutti gli istituti di pena, o alla diffusione di kit per l’igiene personale. Consentire ai detenuti di intraprendere un percorso di recupero e riabilitazione nelle comunità terapeutiche è un passo ulteriore nella direzione della tutela della loro salute”. Nella delibera si stabilisce che il percorso di presa in carico dei detenuti tossico-alcoldipendenti dovrà essere equiparato in tutto e per tutto a quello delle persone tossico-alcoldipendenti in libertà; che dovrà esserci un’interazione tra Asl, Sert (i Servizi per le tossicodipendenze), comunità terapeutiche, Prap (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) toscano e magistratura di sorveglianza, per definire percorsi assistenziali e procedure idonee per i detenuti tossico-alcoldipendenti sottoposti a misure alternative alla detenzione, qualora vogliano intraprendere programmi di recupero. E si incarica il comitato regionale di coordinamento sulle dipendenze di definire, di concerto con il Prap e la magistratura di sorveglianza, una proposta di percorso assistenziale. Taranto: da Ferrante (Pd) interrogazione ad Alfano sul caso di Christian Bianchini Ristretti Orizzonti, 7 ottobre 2010 Per sapere, premesso che abbiamo appreso dalla lettura dell’articolo “Taranto: magistrato concede arresti a detenuto con tumore, dopo 40 giorni è ancora in carcere” pubblicato, il 6 ottobre 2010, dal quotidiano locale “La Sicilia”, l’ennesima drammatica notizia proveniente dalle carceri italiane; sempre dalla lettura del suddetto articolo veniamo a conoscenza del fatto che: le condizioni di salute di Christian Bianchini, detenuto di 28 anni affetto da tumore al fegato si sono ulteriormente aggravate ma che continua a stare nel carcere di Taranto nonostante che dall’inizio di settembre il magistrato di Sorveglianza gli abbia concesso gli arresti ospedalieri, ordinandone l’immediato trasferimento a Palermo per essere ricoverato al centro clinico Ismet la cui direzione sanitaria si è detta disponibile ad accoglierlo e sottoporlo ad intervento chirurgico per l’asportazione del tumore; incredibilmente è però accaduto che l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza non abbia trovato esecuzione nonostante l’immediata notifica alla direzione della casa circondariale e per conoscenza alla Corte d’Appello di Catania (che ha processato Bianchini in abbreviato condannandolo a tredici anni di reclusione per mafia e traffico di droga) e al difensore dello stesso detenuto, avvocato Giuseppe Brandino; il quotidiano catanese riporta, inoltre, anche la denuncia dei genitori: i genitori del giovane detenuto, allarmati per le condizioni del figlio, che da una settimana a questa parte, continua ripetutamente a sputare sangue e rifiuta il cibo che gli passa la mensa carceraria, hanno minacciato di presentare una denuncia a carico del direttore della casa circondariale e di trascinare a giudizio i responsabili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per la omessa attuazione del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, nonché per il trattamento disumano cui è sottoposto Christian Bianchini, che, nonostante le sue gravi condizioni di salute, viene tenuto in una cella, senza alcuna assistenza sanitaria da parte dei medici del carcere; le intenzioni del padre e della madre di Christian Bianchini sono state recepite dall’avvocato Giuseppe Brandino che ha immediatamente inoltrato una diffida sia al direttore della casa circondariale di Taranto che ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, trasmettendone una copia al Magistrato di Sorveglianza di Taranto, per sollecitare un suo eventuale intervento in grado di far sbloccare la pratica del trasferimento all’ospedale Ismet di Palermo di Christian Bianchini; i motivi della mancata osservanza dell’ordinanza del magistrato sembrerebbero da ricercare nella carenza di risorse finanziarie per sostenere i costi di trasporto del detenuto da Taranto a Palermo. Ma anche se così fosse, i genitori, e non solo loro, si chiedono indignati: per soldi lo Stato può fare morire un giovane di appena 28 anni? Alla luce di quanto sopra esposto si chiede al Ministro della Giustizia di conoscere: se quanto sopra descritto corrisponda al vero e se è vero, in particolare, che il trasferimento del giovane detenuto non sia eseguito per carenza di risorse finanziarie; se intenda aprire urgentemente un’indagine per verificare le responsabilità del caso; cosa intenda concretamente fare per dare immediata esecuzione all’ordinanza del magistrato di sorveglianza. Firenze: il carcere di Sollicciano scoppia, il Garante dei detenuti fa sciopero della fame Ansa, 7 ottobre 2010 Sono 1022 i detenuti nella struttura fiorentina, quando la capienza regolamentare sarebbe di 497. La Regione ha finora spedito solo 400 nuovi materassi. E Franco Corleone riparte con la protesta. Sos da Sollicciano. Il garante per i diritti dei detenuti ha annunciato l’avvio, da domani, di uno sciopero della fame” per denunciare la situazione di “grave sovraffollamento” nel carcere, dove è stata superata la soglia di 1.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 497. Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze spiega che oggi “siamo arrivati a 1.022, più 4 bambini”. La percentuale di sovraffollamento del carcere è ormai del 102%, la più alta delle carceri toscane. Nelle scorse settimane una trentina di detenuti hanno scritto alla magistratura di sorveglianza dei reclami riguardo alla situazione di sovraffollamento e alle infiltrazioni d’acqua nelle celle: la magistratura di sorveglianza ne ha accolti più di uno intimando alla direzione penitenziaria di eseguire i lavori necessari. Proprio quelli che anche Palazzo Vecchio ha imposto di fare alla direzione del carcere con un provvedimento dirigenziale datato 23 agosto. Il capogruppo della Sel in consiglio comunale Eros Cruccolini lancia un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “La Costituzione a Sollicciano non è rispettata, occorre fare il possibile”. Corleone auspica di “poter ottenere almeno obiettivi minimi”: la costituzione da parte della Regione di un ‘Tavolò per la riforma del carcere e per la valutazione della sanità carceraria, presenze sotto quota mille a Sollicciano, il ripristino integrale della scuola in carcere e “la garanzia” dell’esame in Senato del ddl sulle “Disposizioni relative all’esecuzione a domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”. Il garante chiede alla magistratura di sorveglianza “un impegno straordinario per la concessione di misure alternative” e intanto “esprime apprezzamento per l’accoglimento dei reclami presentati dai detenuti sulle condizioni di vita in carcere”. Chiede inoltre all’amministrazione penitenziaria “un piano di manutenzione straordinario” per Sollicciano, al Comune “l’attivazione di una casa per il reinserimento dei semiliberi e alla Regione “il completamento del ‘piano materassì, del progetto per l’uscita dal carcere di almeno 100 tossicodipendenti, la nomina del Garante regionale e l’avvio delle procedure per la chiusura dell’Opg di Montelupo”. Pordenone: la Lega stoppa il progetto del nuovo carcere, troppi detenuti… e troppi soldi Messaggero Veneto, 7 ottobre 2010 “A queste condizioni, se qualcuno pensa che la Lega nord voterà in Regione uno stanziamento di 15 milioni di euro per il nuovo carcere di Pordenone si sbaglia di grosso. Voteremo no, anche se verrà posta la questione di fiducia”. Dopo il sopralluogo dell’altro giorno in Comina, con la partecipazione dei rappresentanti di Regione, Prefettura, Provincia, Comune e del ministero della Giustizia, Danilo Narduzzi, capogruppo del Carroccio nell’assemblea legislativa, alza il tiro e stoppa ogni ulteriore passo in avanti senza una verifica di maggioranza a tutti i livelli, da Trieste a Pordenone. Al braccio di ferro Stato-enti locali sulla cessione del castello di piazza della Motta, si aggiunge, quindi, la netta opposizione del Carroccio. Quel sopralluogo non le è proprio piaciuto. “A quell’incontro non era presente alcun esponente del mio partito ed è un fatto gravissimo. Non è pensabile di lasciare fuori da questa vicenda il primo movimento del Friuli occidentale che ha ruoli chiave di governo a Trieste come in Provincia”. Perché vi opponete? “È inaccettabile che si pensi di costruire il carcere nella zona nord di Pordenone, a poche centinaia di metri dal sito del nuovo ospedale, senza prevedere prima una viabilità di supporto. Dov’è il progetto della gronda nord? Dove sono i soldi? A me risulta che non ci siano. È il modello di carcere al quale si sta pensando, in quel sito, poi, che non ci piace”. Sono troppi, secondo voi, 450 posti? “Sono eccessivi 800 posti, altro che 450. A regime un carcere ospita mediamente il doppio dei detenuti che sono previsti. Si creerà in Comina una situazione esplosiva”. Critiche che avete rivolto già in passato ma che non hanno impedito alla Regione di andare avanti, tant’è che l’altro giorno era autorevolmente rappresentata dal vicepresidente Ciriani che ha ribadito la volontà di finanziare l’opera. Digerirete il rospo? “Non ci pensiamo nemmeno. Ne ho già parlato con il segretario Fontanini: se portano lo stanziamento di 15 milioni di euro in Finanziaria regionale a queste condizioni non lo votiamo, anche se Tondo pone la fiducia”. Ma ci sarà pure un punto di mediazione? “È necessario che su questo tema, a tutti i livelli, ci sia una verifica di maggioranza che non è mai avvenuta ed è un fatto scandaloso. Vogliamo poi che seriamente si verifichi se ci sono alternative al sito di Pordenone, a partire dalla caserma Dall’Armi di San Vito tenuto conto che c’è un indirizzo nazionale finalizzato proprio a riconvertire strutture pubbliche già presenti invece di costruirne ex novo. Noi vogliamo un carcere leggero e poco costoso, visto poi che i soldi li deve mettere la Regione, e non certo una mega-struttura tra l’altro inserita in un contesto viario e urbanistico che rischia la paralisi considerati anche il progetto del nuovo ospedale e l’ampliamento della zona industriale. Lo ripeto: se si pensa di fare i conti senza la Lega, ci si sbaglia di grosso”. Cagliari: non ha documenti, detenuto tunisino espulso non riesce a tornare nel suo paese Adnkronos, 7 ottobre 2010 Un giovane tunisino, ricoverato nel Centro Clinico della Casa Circondariale di Cagliari, attua da 21 giorni lo sciopero della fame e della sete per sollecitare dalle autorità diplomatiche del suo Paese il lasciapassare per rientrare in Tunisia, in attuazione del decreto di espulsione. Il provvedimento è stato emesso dal Magistrato di Sorveglianza quale pena alternativa alla detenzione che finirà di scontare nell’estate dell’anno prossimo. Ne dà notizia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme denunciando un altro caso, per molti versi assurdo, che si scarica sulla struttura penitenziaria cagliaritana, peraltro in gravi difficoltà per il sovraffollamento e la drastica riduzione delle prestazioni sanitarie. Jalel El Asghaa, nato in Tunisia il 24 febbraio 1980, non riesce ad ottenere l’attuazione del decreto di espulsione dal territorio dello Stato Italiano emesso il 14 maggio scorso quale sanzione alternativa alla pena residua di reclusione dal magistrato di sorveglianza del Tribunale di Modena. Il provvedimento, inviato al Questore di Cagliari per l’esecuzione, non può, infatti, essere attuato in assenza del passaporto o del lasciapassare delle autorità diplomatiche tunisine. Inutilmente l’Ufficio Stranieri della Questura di Cagliari ha scritto e telefonato al Consolato ed all’Ambasciata di Tunisia in Italia. Nessuna risposta utile è stata però fornita da consentire l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, secondo quanto previsto dal Magistrato. Di conseguenza l’uomo dovrà restare in stato di detenzione per altri otto mesi fino a scontare la pena. Solo allora potrà uscire dal carcere con l’intimazione a lasciare l’Italia ma non avrà comunque i documenti. In caso di inosservanza del decreto di espulsione rischia quindi nuovamente l’arresto e la condanna. Nell’attesa che le autorità diplomatiche tunisine, sollecitate dal Ministero degli Esteri italiano interessato dalla Questura di Cagliari, rilascino il lasciapassare, Jalel El Asghaa - conclude la presidente di Socialismo Diritti Riforme - rischia di essere ricoverato in una struttura ospedaliera per l’aggravamento delle condizioni fisiche successive al rifiuto del cibo e dell’acqua. Una situazione insomma paradossale, senza possibilità di alternative, creata dalla mancata risposta ad una richiesta legittima di un cittadino evidentemente non gradito dal suo Paese. Ivrea (To): assolti dopo sette anni due agenti penitenziari accusati di corruzione La Sentinella, 7 ottobre 2010 Sette anni sotto processo e la vita sconvolta da un’accusa pesantissima: istigazione alla corruzione. Un’accusa infamante per un dipendente dello Stato, in questo caso due agenti della polizia penitenziaria in servizio, all’epoca dei fatti, nella casa circondariale di Ivrea. Si tratta di Pasquale Gallo, 41 anni, e Natale Scandamarro, di 37. Martedì mattina il giudice Ivana Peila li ha assolti perché il fatto non sussiste. La procura della Repubblica, attraverso il pubblico ministero Francesco Saverio Pelosi, aveva chiesto una condanna a nove mesi. “Finalmente è stata fatta giustizia - commenta a caldo Pasquale Gallo , difeso dagli avvocati Mario Benni ed Enrico Scolari -. Ho vissuto un incubo lungo sette anni per una vicenda inesistente. Ho sofferto tanto sia sul posto di lavoro sia in famiglia. L’amministrazione penitenziaria mi aveva anche sospeso dal servizio per due mesi. Oggi, finalmente, giustizia è stata fatta”. Pasquale Gallo da tempo ha lasciato la città. Oggi lavora nel carcere di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. “A Ivrea il clima era diventato irrespirabile. È stato meglio andare via”. Uno dei suoi avvocati, Enrico Scolari, annuncia che il suo cliente farà ricorso alla legge Pinto. “In questa vicenda giudiziaria ci sono tutti gli estremi per chiedere allo Stato un indennizzo. Questa vicenda giudiziaria è andata ben oltre i tempi della ragionevole durata del processo”. L’altro imputato, Natale Scandamarro, difeso dagli avvocati Pio Coda e Leo Davoli, non era presente in aula. Anche lui da qualche anno è andato via da Ivrea. Vive in Puglia e ha lasciato la polizia penitenziaria. Scandamarro era accusato, oltre che di istigazione alla corruzione, di rilevazione e utilizzazione di segreti di ufficio. Secondo l’accusa, mossa da un detenuto del carcere di Ivrea, Scandamarro gli avrebbe chiesto, ripetutamente e con insistenza, 10 mila euro in cambio di un trattamento di favore. A fronte di quei soldi, l’agente di polizia penitenziaria lo avrebbe rifornito di beni come sigarette, liquori e profumi. Non solo, Scandamarro avrebbe avvertito il detenuto dell’imminente perquisizione che i suoi colleghi stavano per effettuare nella sua cella. Stessa ipotesi di istigazione alla corruzione anche per Gallo che però avrebbe chiesto una somma inferiore, 3.500 euro. Tutte le accuse sono cadute “Perché il fatto non sussiste”. Ancona: due progetti Lions club a favore dei detenuti Corriere Adriatico, 7 ottobre 2010 Parte il nuovo progetto di solidarietà finanziato dal Lions club di Castelfidardo e Riviera del Conero. L’attivismo dei leoncini fidardensi andrà a sostenere un’iniziativa legata al tema della paternità in carcere, coinvolgendo i detenuti della casa penitenziaria di Monteacuto. A Natale, i Lions provvederanno ad allestire due corner nelle sale di incontro con le famiglie, in modo da riprodurre un ambiente familiare più idoneo ad accogliere i bambini. Da novembre a marzo, scatta il progetto che vedrà i detenuti-padre impegnati a redigere un elaborato sulla propria esperienza. Il testo migliore sarà poi utilizzato per la realizzazione di una rappresentazione teatrale. Nonostante sia stato costituito da soli due anni, il club guidato dal presidente Alessandrini, conta già all’attivo un cospicuo numero di iniziative benefiche a favore del territorio, come la donazione del broncospio per il reparto rianimazione del Salesi, e del defibrillatore automatico esterno, in maggio, per attrezzare la nuova ambulanza per le emergenze della Croce Verde. Bologna: i ragazzi del Pratello diventano film-maker per il “Terra di tutti film festival” Redattore Sociale, 7 ottobre 2010 Si chiama “Prove costituenti” il video realizzato dai ragazzi del carcere minorile del Pratello per riflettere su diritti, doveri e libertà: 5 minuti di canzoni originali, poesie e immagini di Bologna da dietro le sbarre al Terra di tutti film festival Le canzoni hip hop recitate da voci italiane e nigeriane, le poesie scritte dai giovani detenuti, le immagini di una Bologna “tagliata” dalle sbarre del carcere del Pratello. I ragazzi dell’Istituto penale minorile raccontano il loro universo al Terra di tutti film festival, la rassegna del documentario e del cinema sociale dal Sud del mondo organizzata dalle ong Cospe e Gvc. Venerdì 8 ottobre, in una sessione dedicata alle “giovani periferie” d’Italia e d’Europa, una delegazione di giovani detenuti sarà al cinema Lumière di Bologna per presentare “Prove costituenti”, video partecipato frutto di un mix di laboratori video e musicali e riflessioni sulla Costituzione organizzati nei 3 mesi estivi dentro le mura dell’istituto. Nato da un’idea del coordinatore dell’area educativa dell’istituto Alfredo Ragaini e costruito da riprese e interviste realizzate da una dozzina di ragazzi rom, africani e italiani tra i 15 e i 18 anni, il cortometraggio è un montaggio di 5 minuti densi di pensieri, riflessioni, creazioni musicali e letterarie che mettono in luce il punto di vista dei detenuti su diritti, doveri e libertà. “I ragazzi ritengono che la Costituzione italiana sia una delle migliori - racconta Agnese Mattanò, realizzatrice del laboratorio video - ma molti di loro osservano che spesso non viene rispettata dal mondo degli adulti. In diverse interviste, affermano che la legge non è uguale per tutti. Molti detenuti sono stranieri e conoscono bene i problemi con il permesso di soggiorno per sé o per i propri coetanei”. La sessione in programma per venerdì pomeriggio alle 16 getta luce sul mondo giovanile attraverso un mix di video partecipati realizzati dagli adolescenti e di pellicole già premiate in altre rassegne nazionali. Tra queste ultime “Alisya nel paese delle meraviglie” di Simone Amendola, vincitore del premio produzione Ilaria Alpi 2010: la vita e i pensieri dei giovani italiani e immigrati nel quartiere di Cinquina a Roma, periferia equivalente a una banlieue parigina. Simbolo della nuova generazione, nata sotto il segno di un’integrazione sempre più concreta, è la piccola Alisya, figlia una giovanissima coppia mista: Fabio, 19 anni, padre italiano e madre capoverdiana, e Serena, 18 anni, figlia di genitori italiani. Nella stessa sessione “Youth of Tuzla” di Matteo Pasi, regista vincitore del TTFF 2009, prende invece le mosse da un eccidio avvenuto nel corso del conflitto jugoslavo per raccontare la rinascita della città bosniaca di Tuzla attraverso lo sguardo dei giovani, tra disillusione e energie creative, desiderio di fuga e solidarietà. E ancora, le esperienze di video partecipato in cui sono i più giovani a prendere in mano la telecamera: “Tinerii Dunarii - i ragazzi del Danubio” (a cura dell’Associazione Pereira), che racconta opportunità e sogni dei giovani rumeni coinvolti insieme ai loro compagni italiani nel progetto finanziato dall’Unione Europea, “Europe for All” e “Grajaù”, un divertente videoclip di Domingos Do Cavaco nato all’interno del progetto “É Isso Ai seguito”: le telecamere raccontano le favela brasiliane seguendo un gruppo di artisti e musicisti su un autobus nelle periferie della città. All’interno del Terra di tutti film festival, anche sessioni dedicate al conflitto mediorientale, all’Africa e all’America Latina (venerdì), all’ambiente e alle migrazioni tra i paesi del sud del mondo (sabato), alle culture rom e sinti e alle donne (domenica).